Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

Mungitura e produzione di formaggi. L’attitudine alla produzione di latte delle pecore bergamasche doveva essere superiore in passato quando era valutata in 180 l (SCIPIONI 1924). Essa viene valutata nell’ambito della descrizione dei caratteri della razza pari a 120 l anche se è probabile che oggi, in parallelo con il miglioramento dell’attitudine alla produzione della carne, l’attitudine lattifera sia inferiore al passato. La produzione di latte è inizialmente piuttosto abbondante nella pecora Bergamasca ma, specie al giorno d’oggi, declina rapidamente. I pastori utilizzavano oltre al latte di capra anche quello di pecora che, però, a differenza di quello caprino, era sempre caseificato a causa del suo elevato contenuto di grasso e quindi della scarsa digeribilità. Le pecore in passato venivano munte una volta che l’agnello era in grado di soddisfare il suo fabbisogno con il pascolo; più recentemente in considerazione della riduzione dell’attitudine lattifera i pastori ottengono i modesti quantitativi di latte che desiderano utilizzare separando le pecore dagli agnelli ancora durante il periodo dell’allattamento. Fino al XIV-XV secolo la pecora bergamasca era utilizzata più per il latte che per la carne perché la produzione di formaggio vaccino era ancora poco diffusa. La pecora Bergamasca introdotta negli Abruzzi dall’inizio del ‘900, è stata utilizzata anche in tempi non lontani per la produzione di latte e, inizialmente, la razza Fabrianese, derivata in tempi recenti dalla Bergamasca, era considerata a duplice attitudine. Taglio della coda, Salassi. Il taglio della cosa oggi non è più praticato. Era motivato da una maggior pulizia del vello e dalla la scabbia. Di fatto, però, le code degli agnelli erano consumate dai pastori che, dopo aver tolta la lana, le abbrustolivano. In passato il pastore era anche un po’ chirurgo e utilizzava coltelli con varie lame per praticare incisioni e salassi. Queste pratiche non sono del tutto scomparse. Forme contrattuali. In passato i grandi proprietari affidavano in consegna il gregge ad un pastore per tutto l’anno pagandolo a seconda del numero degli animali e delle difficoltà del pascolo. Molto diffusa era la soccida che prevedeva la presa in consegna del gregge da parte del pastore il quale si impegnava a pagare tutti i tributi di cui il bestiame era gravato e corrispondeva al proprietario 1 kg di lana all’anno. I contratti di soccida prevedevano che dopo 3-5 anni il gregge fosse diviso a metà tra conduttore e proprietario. I proprietari non perdevano però il contatto con il gregge e di tanto in tanto salivano sugli alpeggi per controllarlo. (ASTORI, 1942). L’origine dei contratti di soccida è molto antica. CARISSONI (1985) riferisce di numerosi verbali reperibili negli archivi dei paesi della Valleseriana relativi a contratti di soccida risalenti a diversi secoli e ne fornisce un esempio datato 28 agosto 1509 in Gorno: “Giovanni Filippo Abate, di Gorno concede a soccida, a Giovanni Accorsi di Bertolino, dello stesso luogo, 46 pecore veronese con un foro all’orecchia destra, che lo stesso Giovanni Accorsi aveva ricevuto a titolo di deposito ed a soccida, a norma degli Statuti della Val Seriana superiore, perché le guardi, le costudisca, le nutra ecc. per anni 4 p.f. dando e consegnando ogni anno a detto Giovanni Filippo e per i primi 3 anni, di tonsura in tonsura, metà della lana raccolta in dette pecore e loro nati, e nell’ultimo anno consegnandogli soltanto due quintali di tutta la lana tosata come sopra; saranno infine del presente contratto di soccida, divise tra le parti le dette pecore e i loro nati in parti uguali con un supplemento di lire 40, a titolo di restituzione di altrettante ricevute a sostegno del presente contratto a favore del concedente, Fatto sul cimitero della chiesa di S.Martino di Gromo, presenti come testimoni Maifredo Corna, Giovanni Corna, Pietro fu Raimondo Stefani e Gio Francesco di mastro Pietro” Ancora più antichi sono i contratti registrati dal notaio Pastore della Chiesa di Pasturo (Valsassina) nei primi decenni del ‘400. Sono registrati 6 contratti per un numero di pecore variante da 7 a 20 e 40

18 contratti di soccida per una sola vacca ciascuno. Nel caso delle pecore tutti i contratti hanno durata triennale e comportano il versamento al soccidante della lana ricavata da una tosa ogni anno (PENSOTTI, 1976). E’ interessante notare che lo stesso notaio, nel medesimo periodo, registrò anche due contratti di affitto di greggi In un caso vennero affittate 36 pecore, nell’altro 23, sempre per 20 soldi e 12 once di lana e per la durata di tre anni. L’affitto di bestiame, compresi gli ovini, è documentato in contratti dell’inizio del XIV secolo in Valseriana (ALEMANNI, 1983). Attualmente sono ancora utilizzate delle forme di “mezzadria” che consistono nell’affido di un gregge ad un conduttore con l’impegno a dividerlo dopo 3 anni. Alcuni piccoli proprietari danno ancora “a fida” le loro pecore corrispondendo al pastore, che normalmente è proprietario della maggior parte degli animali che conduce, dalle 200 alle 220 lire al giorno. Spesso due pastori si associano per poter condurre insieme i loro animali. Rispetto al passato sono quasi scomparsi i casi di ricchi imprenditori operanti in altri rami di attività proprietari di numerosi greggi. Diversi macellatori e commercianti, essi stessi in passato pastori, risultano proprietari di migliaia di capi, ma, normalmente, anche in questo caso, qualche membro della famiglia continua ad esercitare l’attività pastorale o mantiene comunque la qualifica di imprenditore agricolo. La commercializzazione. Il BENEDINI (1976) riferendosi alla situazione bresciana dell’ ‘800 riferiva che: “Della lana si fanno depositi a Brescia, presso due o tre commercianti, e a Sale Marasino e Marone (Mandamento di Iseo), centri della fabbricazione delle coperte di lana. I contratti di vendita della lana si fanno di consueto nella seconda domenica di marzo. Hanno però luogo anche in settembre, al momento stesso della tosatura”. I pastori in passato operavano prevalentemente nell’ambito dei mercati. Erano importanti quelli di Clusone, primo, secondo e terzo lunedì di settembre, Albino, 10 settembre, Oggiono in settembre, Madonna del Bosco, il 4 Marzo. In tempi più recenti i pastori partecipavano anche alle fiere di Novara e di Brescia. Oggi la maggior parte delle contrattazioni si svolge per telefono e la partecipazione alle manifestazioni specializzate del settore è finalizzata alla vendita e all’acquisto di riproduttori di pregio. Rapporti tra pastori e agricoltori. Già si è detto circa il cresce dell’ostilità degli agricoltori verso la pastorizia transumante bergamasca. Mano a mano che nuove aree venivano valorizzate dal punto di vista agricolo, che i diritti di proprietà divennero esclusivi, che venivano introdotte nuove coltivazioni, lo spazio per i pastori si restringeva e sempre meno valevano di fronte per gli agricoltori il “grasso” lasciato dalle pecore e quello che i pastori offrivano in cambio dell’utilizzo dei pascoli. Ancora negli anni ‘30 i pastori camuni potevano “tenere buoni” i piccoli coltivatori con delle coti di terza qualità ma con gli agricoltori della “bassa” i rapporti andarono peggiorando tanto più quanto aumentava il patrimonio bovino e le misure di profilassi sanitaria. I greggi venivano sono stati spesso accusati di essere dei vettori di gravi malattie infettive del bestiame trasmissibili dall’ovino al bovino quali Afta epizootica e Brucellosi. Oggi i pastori tendono a stabilire accordi con almeno una parte degli agricoltori della batìda. Il Gaì. Utilizzato dai pastori transumanti dell’area alpina (bergamaschi, biellese, bresciani, trentinotirolesi, veronesi) serviva per non farsi comprendere dagli estranei e per favorire la comprensione tra pastori provenienti da aree con dialetti e lingue differenti. Fino agli anni ’50 parlare gaì era condizione per essere riconosciuti come pastori e un pastore non otteneva risposta da un altro se non gli si rivolgeva in gaì. La convulsa e per certi versi disastrosa modernizzazione degli anni ‘50-’60 non ha mancato di sconvolgere anche il mondo dei pastori, un mondo che, come abbiamo visto, non è mai stato immutabile, separato ed arcaico. Nel giro di una generazione il gaì è passato dalla condizione di lingua viva a quella di lingua (quasi)morta. E’ interessante, però, che molti pastori più o meno giovani abbiano sentito l’esigenza di riappropriarsi del gaì studiando anche il lessico ed i frasari riportati dalle varie opere a stampa e in particolare quella del FACCHINETTI (1921), una specie di “oggetto di culto”. L’ibridazione con la parlata locale e la povertà del lessico sono segni 41

Mungitura e produzione di formaggi. L’attitudine alla produzione di latte delle pecore bergamasche<br />

doveva essere superiore in passato quando era valutata in 180 l (SCIPIONI 1924). Essa viene valutata<br />

nell’ambito della descrizione dei caratteri della razza pari a 120 l anche se è probabile che oggi, in<br />

parallelo con il miglioramento dell’attitudine alla produzione della carne, l’attitudine lattifera sia<br />

inferiore al passato. La produzione di latte è inizialmente piuttosto abbondante nella pecora<br />

Bergamasca ma, specie al giorno d’oggi, declina rapidamente. I pastori utilizzavano oltre al latte di<br />

capra anche quello di pecora che, però, a differenza di quello caprino, era sempre caseificato a<br />

causa del suo elevato contenuto di grasso e quindi della scarsa digeribilità. Le pecore in passato<br />

venivano munte una volta che l’agnello era in grado di soddisfare il suo fabbisogno con il pascolo;<br />

più recentemente in considerazione della riduzione dell’attitudine lattifera i pastori ottengono i<br />

modesti quantitativi di latte che desiderano utilizzare separando le pecore dagli agnelli ancora<br />

durante il periodo dell’allattamento. Fino al XIV-XV secolo la pecora bergamasca era utilizzata più<br />

per il latte che per la carne perché la produzione di formaggio vaccino era ancora poco diffusa. La<br />

pecora Bergamasca introdotta negli Abruzzi dall’inizio del ‘900, è stata utilizzata anche in tempi<br />

non lontani per la produzione di latte e, inizialmente, la razza Fabrianese, derivata in tempi recenti<br />

dalla Bergamasca, era considerata a duplice attitudine.<br />

Taglio della coda, Salassi. Il taglio della cosa oggi non è più praticato. Era motivato da una<br />

maggior pulizia del vello e dalla la scabbia. Di fatto, però, le code degli agnelli erano consumate dai<br />

pastori che, dopo aver tolta la lana, le abbrustolivano. In passato il pastore era anche un po’ chirurgo<br />

e utilizzava coltelli con varie lame per praticare incisioni e salassi. Queste pratiche non sono del<br />

tutto scomparse.<br />

Forme contrattuali. In passato i grandi proprietari affidavano in consegna il gregge ad un pastore<br />

per tutto l’anno pagandolo a seconda del numero degli animali e delle difficoltà del pascolo. Molto<br />

diffusa era la soccida che prevedeva la presa in consegna del gregge da parte del pastore il quale si<br />

impegnava a pagare tutti i tributi di cui il bestiame era gravato e corrispondeva al proprietario 1 kg<br />

di lana all’anno. I contratti di soccida prevedevano che dopo 3-5 anni il gregge fosse diviso a metà<br />

tra conduttore e proprietario. I proprietari non perdevano però il contatto con il gregge e di tanto in<br />

tanto salivano sugli alpeggi per controllarlo. (ASTORI, 1942).<br />

L’origine dei contratti di soccida è molto antica. CARISSONI (1985) riferisce di numerosi verbali<br />

reperibili negli archivi dei paesi della Valleseriana relativi a contratti di soccida risalenti a diversi<br />

secoli e ne fornisce un esempio datato 28 agosto 1509 in Gorno:<br />

“Giovanni Filippo Abate, di Gorno concede a soccida, a Giovanni Accorsi di Bertolino,<br />

dello stesso luogo, 46 pecore veronese con un foro all’orecchia destra, che lo stesso<br />

Giovanni Accorsi aveva ricevuto a titolo di deposito ed a soccida, a norma degli Statuti<br />

della Val Seriana superiore, perché le guardi, le costudisca, le nutra ecc. per anni 4 p.f.<br />

dando e consegnando ogni anno a detto Giovanni Filippo e per i primi 3 anni, di tonsura<br />

in tonsura, metà della lana raccolta in dette pecore e loro nati, e nell’ultimo anno<br />

consegnandogli soltanto due quintali di tutta la lana tosata come sopra; saranno infine<br />

del presente contratto di soccida, divise tra le parti le dette pecore e i loro nati in parti<br />

uguali con un supplemento di lire 40, a titolo di restituzione di altrettante ricevute a<br />

sostegno del presente contratto a favore del concedente, Fatto sul cimitero della chiesa<br />

di S.Martino di Gromo, presenti come testimoni Maifredo Corna, Giovanni Corna,<br />

Pietro fu Raimondo Stefani e Gio Francesco di mastro Pietro”<br />

Ancora più antichi sono i contratti registrati dal notaio Pastore della Chiesa di Pasturo (Valsassina)<br />

nei primi decenni del ‘400. Sono registrati 6 contratti per un numero di pecore variante da 7 a 20 e<br />

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