Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
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Protezione della natura e attività agro<strong>pastorali</strong><br />
tradizionali: dalla conflittualità alla<br />
collaborazione<br />
La fase della “parchizzazione” colonialista<br />
Un terreno che più di ogni altro testimonia come i gradi cambiamenti sociali e culturali degli ultimi<br />
anni abbiano influenzato le politiche di programmazione uso del territorio è quello del rapporto tra<br />
agricoltura e aree “protette”. In Italia la diffidenza della cultura ambientalista per il mondo rurale era<br />
sino a ieri fortissima (e... ricambiata). E’ palese che questo atteggiamento non rappresenti altro che il<br />
rispecchiamento del rapporto conflittuale tra una cultura fortemente urbanocentrica che ha ereditato<br />
da una storia di dominio della città sulle campagne affermatosi nel XII secolo, un pesante bagaglio di<br />
disprezzo per il mondo rurale. La conflittualità tra esigenze “protezionistiche” e attività agricole si è<br />
manifestata sin dall’inizio nell’impostazione vincolistica e dirigistica delle politiche di tutela delle aree<br />
reputate di forte rilevanza naturalistica. L’applicazione ai sistemi agroecologici di una mentalità<br />
improntata più alla pianificazione urbanistica che all’ecologia e una concezione che incasellava le<br />
attività agricole in una forma di “disturbo antropico” è legata ai caratteri della cultura italiana<br />
Paradossalmente, ma non troppo, quella che pareva espressione di una politica “progressiva” ricalcava<br />
alcune costanti conservatrici della vita sociale italiana. Le forme di dominio esercitate dalla città sul<br />
“contado” in epoca medioevale e moderna sono inquadrabili senz’altro nella categoria del colonialismo<br />
(obblighi a senso unico, diverso regime fiscale, disparità di tutela giuridica) ma hanno preteso di<br />
legittimarsi in senso “democratico” rispetto al sistema feudale. Con la creazione dello stato<br />
centralizzato e burocratizzato il mondo rurale, comprese le comunità alpine, che nell’ ancient regime<br />
avevano goduto di larghi spazi di autonomia videro ancora peggiorati i rapporti di dipendenza da<br />
centri decisionali esterni dal momento che lo Stato non si preoccupò di esercitare un controllo solo<br />
dall’esterno ma, attraverso i suoi emissari locali, iniziò ad occuparsi della gestione delle risorse locali, ad<br />
influenzare le attività agricole e i modi di sfruttamento dei beni collettivi (boschi e pascoli). Se nella<br />
fase di penetrazione del capitalismo nelle campagne e nelle montagne (XIX secolo) l’interesse dei<br />
centri del potere politico ed economico era indirizzata al controllo delle materie prime e alla<br />
“liberazione” della manodopera dalle condizione dell’economia di villaggio (per renderla disponibile<br />
per le attività estrattive e le industrie dei fondovalle e della pianura), nel XX secolo l’interesse dei centri<br />
economici urbani per la montagna si è indirizzato verso altre risorse: l’energia idroelettrica da una<br />
parte, i terreni agricoli, i boschi, i pascoli dall’altra come potenziali “materie prime” dell’industria<br />
turistica e come “spazio ricreativo”.<br />
Non è difficile scorgere in quella che è la politica “prima maniera” della “parchizzazione del territorio”<br />
una continuità con le forme di esercizio dell’egemonia signorile o cittadina sul mondo rurale. Dal<br />
punto di vista dei residenti e degli operatori agrosilvo<strong>pastorali</strong> il “Parco” non è apparso molto diverso<br />
da quanto appariva per i loro antenati la “Riserva di caccia”: una forma arrogante di espropriazione di<br />
diritti tradizionali ieri per il diletto degli aristocratici, oggi per lo “svago” dei cittadini stressati.<br />
E’interessante osservare come la politica della “parchizzazione” e di un certo modo di tutelare<br />
l’”ambiente” a prescindere dalle tradizioni e dagli interessi delle comunità locali rurali rappresenta un<br />
mezzo di ridurre le contraddizioni e la conflittualità interne alle diverse componenti sociali e politiche<br />
urbane alle spese di una “piccolissima popolazione di montanari che, politicamente, può essere lasciata<br />
al proprio destino” 64 .<br />
Il “Parco” è una forma di alibi sociale utile a mettere in pace la coscienza “ambientalista” senza<br />
mettere in discussione i criteri complessivi della gestione del territorio e il modello economico<br />
antiecologico. Attraverso opportune “perimetrazioni” le aree di rispetto possono essere delimitate in<br />
64<br />
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