Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

“Mentre un tempo la prosperità e la fertilità agricola coincidevano, oggi molti le considerano alternative. Alcuni anziani esprimevano questo concetto dicendo che in passato le giovani volevano un marito con molte mucche, mentre ora un tale partito sarebbe davvero indesiderabile” 54 L’attenzione agli aspetti sociologici (soprattutto per quanta riguarda lo status e il ruolo) è indispensabile per comprendere perché mentre la prospettiva di essere “i giardinieri dell’ambiente” viene rifiutata sdegnosamente viene, invece, considerato degno di stima “tenere puliti i prati e i boschi” quando queste attività vengono esercitate (normalmente da pensionati) senza alcun ritorno economico. Il ragionamento va esteso al ruolo dei sussidi. L’operatore agricolo non considera “disonorevole” beneficiare di sussidi alla produzione o, comunque, al mantenimento di un potenziale produttivo (terreni coltivati, animali). Questo viene considerato una doverosa “compensazione” per la maggiore difficoltà a produrre in condizioni svantaggiate. Negli ultimi anni si è diffusa la consapevolezza che il grado di sostegno all’agricoltura di montagna e delle altre aree svantaggiate rappresenta un compenso per quelle esternalità che, indirettamente, l’attività agricola produce a favore dell’ambiente e del territorio e quindi, impersonalmente, alla società in generale. Rimane, implicito che è il ruolo produttivo è quello che conferisce identità e status all’imprenditore agricolo. Tale ruolo produttivo 55 è caratterizzato da alcuni elementi che segnano l’emancipazione dalla condizione “tradizionale” e l’entrata nella modernità vissuta come il superamento di una condizione di inferiorità sociale e culturale. Produrre per il mercato, applicare la tecnologia alla produzione agricola, applicare quanto più possibile valutazioni quantitative al posto di quelle qualitative, sostituire le macchine al lavoro dell’uomo, affidarsi all’innovazione e a criteri “razionali” (quante volte si usano ancor oggi espressioni “stalla razionale”, “metodi di allevamento razionali”!), rappresentano gli elementi di un nuovo “orgoglio”, di un senso di integrazione sociale nel mondo moderno. Parallelamente alle modificazioni delle tecniche e delle strutture produttive si è evoluta una mentalità “moderna” che considera estranee all’impresa le considerazioni e i valori di ordine estetico, simbolico, etico, morale e, unico criterio valido dell’agire economico e dell’organizzazione della produzione, il perseguimento del massimo profitto economico. Al rispetto dei valori “socialmente condivisi” sono deputate le normative. L’operatore agricolo si sente almeno in parte sminuito quando “ammette” che, alla luce di un bilancio formale d’impresa, la redditività del suo lavoro e dei capitali investiti è del tutto insoddisfaciente e che la propria scelta di continuità dell’ attvità agricolo è motivata da considerazioni extra-economiche. Egli percepisce che il modello della razionalità d’impresa ben difficilmente può essere applicato nel contesto in cui opera ma valuta tutto ciò come impossibilità di sfuggire ad una condizione di inferiorità. Più difficilmente si rende conto, però, che questo modello di razionalità interna all’azienda appare sempre più in conflitto con considerazioni di ordine ecologico e sociale. Ancor più difficilmente si rende conto che il carattere che la “modernizzazione” del mondo rurale e della produzione agricola presenta larghi margini di ambiguità. Giova a questo proposito utilizzare le parole di uno storico autorevole: Eric R. Wolf 56 “La teoria della modernizzazione ambiva a rappresentare un tipo di sviluppo che si muove che si muove lungo una traiettoria unidirezionale, da un mondo ‘tradizionale’ verso una modernità razionale e innovativa. Tuttavia, quando sia il concetto di ‘tradizione’ che quello do ‘modernità’ vennero riesaminati alla luce dell’analisi delle componenti tanto mutevoli dell’economia e della politica, e con gli esiti più diversi a seconda delle classi sociali e delle regioni considerate, la ‘tradizione’ cominciò a essere vista come un qualcosa sempre meno tradizionale e sempre più compatibile con il cambiamento; mentre la ‘modernizzazione’ dal proprio canto, cominciò ad essere vista come un processo sempre più soggetto a fallimenti e inversioni di sviluppo rispetto a quanto i modelli lineari di progresso avessero potuto far prevedere.” 54 P. Heady op. cit. p. 183 55 la cui differenziazione dalle figure tradizionali dell’agricoltura di sussistenza o da quelle “moderne” dell’agricoltore part-time, pensionato, amatoriale è sanzionata in termini giuridici attraverso il riconoscimento dalla figura dell’ “imprenditore agricolo a titolo principale”, 56 p. in: Prefazione a “Un mondo negoziato” Harriet. G. Rosenberg op. cit. p. xxiii 222

Non solo nel “terzo mondo” ma anche nelle aree rurali interne europee alla “modernizzazione” è, a volte, corrisposto uno “sviluppo del sottosviluppo”. Nel contesto delle nostre aree rurali interne e di montagna in particolare il sottosviluppo non è coinciso con un impoverimento materiale (anche in queste aree si è sviluppato un certo benessere che ha la sua espressione esteriore nello sviluppo di centri commerciali, motorizzazione privata ecc.), ma con l’aumento della dipendenza dall’esterno, con la perdita di significato economico della precedente base produttiva agricola, con la perdita di valori culturali ed identitari, l’impoverimento dei rapporti sociali. E’utile concretizzare con riferimento alle unità produttive agricole il concetto di dipendenza e di sottosviluppo. I termini dell’economia di mercato e della modernizzazione delle tecniche agricole –ovviamente influenzati dalla presenza o meno in loco di opportunità di lavoro extra-agricolo- hanno operato una drastica selezione delle unità produttive. Il salto verso una condizione professional-imprenditoriale può essere interpretato come un “successo” e un elelemento di “sviluppo” solo entro certi limiti. Innanzitutto per molti il “successo” è stato solo transitorio. L’impegno e le risorse impegnate per la meccanizzazione e la modernizzazione dell’azienda hanno in molti casi solo posticipato la cessazione dell’attività agricola. Questa operazione di “puntello”, aspetto di una “modernizzazione senza sviluppo”, ha avvantaggiato solo interessi esterni alla realtà rurale, sono state impegnate risorse locali (umane e materiali) e risorse pubbliche. La presenza delle residue aziende “professionali” rappresenta realmente un elemento di “sviluppo” intendendo con questo termine un fenomeno con caratteristiche durevoli in cui l’elemento economico non è disgiunto dagli aspetti sociali? Non è difficile ravvisare nella realtà delle aziende “professionali” elementi di debolezza e di dipendenza che, anche a prescindere dalla sempre minore integrazione ecologica con la realtà territoriale- portano a mettere in dubbio il fatto che esse rappresentino un elemento di sviluppo. Il primo elemento di dipendenza è ravvisabile nel carattere che hanno assunto i processi di “razionalizzazione”, “modernizzazione”, “meccanizzazione”. Essi, molto, spesso, non sono stati sostenuti da una logica economica, ma socio-psicologica. Dal momento che l’industria e l’agricoltura industrializzata della pianura, rappresentano un modello culturalmente e socialmente superiore, l’adozione di schemi tecnico-organizzativi mutuati da questi contesti è apparsa ai tecnici e agli stessi operatori agricoli come la premessa ad una impostazione “razionale”. L’ampliamento del volume di produzione, della produttività unitaria, l’aumento del grado di “imput” tecnologici e finanziari sono apparsi di per sé una premessa obbligata e, ciò che ha inciso negativamente l’unica percorribile, al fine di impostare l’attività agricola e zootecnica su basi “imprenditoriali”. I mezzi e i fini dell’attività economica sono stati confusi e invertiti. Un certo modulo zootecnico è assunto come dato; invece di dedurre dal contesto aziendale, territoriale, ecologico, di mercato il modulo tecnico-economico si è giunti a valutare se il contesto possa “sopportare” un dato modulo. Esistono le superfici minime per “smaltire” i “reflui zootecnici”? Quanti m 3 è necessario sbancare 57 per realizzare un ricovero zootecnico conforme agli orientamenti tecnici “razionali” (meccanizzazione dell’alimentazione, della mungitura, dell’allontanamento e stoccaggio delle deiezioni) per un numero “minimo” di lattifere ada lta produzione? I mezzi diventano i fini: il riporre il prestigio nella “modernizzazione” nella quantità, nel grado di impiego di tecnologia e di costosi apparati meccanici fa si che l’attività agro-zootecnica venga organizzata in funzione della copertura di pesantissimi costi fissi giustificati molto spesso per il loro valore extra-economico. In un circolo vizioso che comporta una serie di anelli in cui non è più ravvisabile una logica economica il volume produttivo e la produttività sono imposti dalle strutture e dalla dotazione di attrezzature e macchinari; a loro volta il volume produttivo e la produttività impongono tutta una serie di scelte produttive e di organizzazione del lavoro. “Devo acquistare mangime e fieno da fuori perché ho troppe vacche e hanno una produzione elevata” “Non posso portare le vacche all’alpeggio perché producono troppo”. “Non ho tempo per segare i prati, ho troppi animali da governare”. 57 esistono anche abberranti esempi di stalle “razionali” costruite a sbalzo e su più livelli per assoluta mancanza di superfici idonee 223

Non solo nel “terzo mondo” ma anche nelle aree rurali interne europee alla “modernizzazione” è, a<br />

volte, corrisposto uno “sviluppo del sottosviluppo”. Nel contesto delle nostre aree rurali interne e di<br />

montagna in particolare il sottosviluppo non è coinciso con un impoverimento materiale (anche in<br />

queste aree si è sviluppato un certo benessere che ha la sua espressione esteriore nello sviluppo di centri<br />

commerciali, motorizzazione privata ecc.), ma con l’aumento della dipendenza dall’esterno, con la<br />

perdita di significato economico della precedente base produttiva agricola, con la perdita di valori<br />

culturali ed identitari, l’impoverimento dei rapporti sociali. E’utile concretizzare con riferimento alle<br />

unità produttive agricole il concetto di dipendenza e di sottosviluppo. I termini dell’economia di<br />

mercato e della modernizzazione delle tecniche agricole –ovviamente influenzati dalla presenza o meno<br />

in loco di opportunità di lavoro extra-agricolo- hanno operato una drastica selezione delle unità<br />

produttive. Il salto verso una condizione professional-imprenditoriale può essere interpretato come un<br />

“successo” e un elelemento di “sviluppo” solo entro certi limiti. Innanzitutto per molti il “successo” è<br />

stato solo transitorio. L’impegno e le risorse impegnate per la meccanizzazione e la modernizzazione<br />

dell’azienda hanno in molti casi solo posticipato la cessazione dell’attività agricola. Questa operazione di<br />

“puntello”, aspetto di una “modernizzazione senza sviluppo”, ha avvantaggiato solo interessi esterni<br />

alla realtà rurale, sono state impegnate risorse locali (umane e materiali) e risorse pubbliche. La<br />

presenza delle residue aziende “professionali” rappresenta realmente un elemento di “sviluppo”<br />

intendendo con questo termine un fenomeno con caratteristiche durevoli in cui l’elemento economico<br />

non è disgiunto dagli aspetti sociali? Non è difficile ravvisare nella realtà delle aziende “professionali”<br />

elementi di debolezza e di dipendenza che, anche a prescindere dalla sempre minore integrazione<br />

ecologica con la realtà territoriale- portano a mettere in dubbio il fatto che esse rappresentino un<br />

elemento di sviluppo.<br />

Il primo elemento di dipendenza è ravvisabile nel carattere che hanno assunto i processi di<br />

“razionalizzazione”, “modernizzazione”, “meccanizzazione”. Essi, molto, spesso, non sono stati<br />

sostenuti da una logica economica, ma socio-psicologica. Dal momento che l’industria e l’agricoltura<br />

industrializzata della pianura, rappresentano un modello culturalmente e socialmente superiore,<br />

l’adozione di schemi tecnico-organizzativi mutuati da questi contesti è apparsa ai tecnici e agli stessi<br />

operatori agricoli come la premessa ad una impostazione “razionale”.<br />

L’ampliamento del volume di produzione, della produttività unitaria, l’aumento del grado di “imput”<br />

tecnologici e finanziari sono apparsi di per sé una premessa obbligata e, ciò che ha inciso negativamente<br />

l’unica percorribile, al fine di impostare l’attività agricola e zootecnica su basi “imprenditoriali”. I<br />

mezzi e i fini dell’attività economica sono stati confusi e invertiti. Un certo modulo zootecnico è<br />

assunto come dato; invece di dedurre dal contesto aziendale, territoriale, ecologico, di mercato il<br />

modulo tecnico-economico si è giunti a valutare se il contesto possa “sopportare” un dato modulo.<br />

Esistono le superfici minime per “smaltire” i “reflui <strong>zootecnici</strong>”? Quanti m 3 è necessario sbancare 57 per<br />

realizzare un ricovero zootecnico conforme agli orientamenti tecnici “razionali” (meccanizzazione<br />

dell’alimentazione, della mungitura, dell’allontanamento e stoccaggio delle deiezioni) per un numero<br />

“minimo” di lattifere ada lta produzione? I mezzi diventano i fini: il riporre il prestigio nella<br />

“modernizzazione” nella quantità, nel grado di impiego di tecnologia e di costosi apparati meccanici fa<br />

si che l’attività agro-zootecnica venga organizzata in funzione della copertura di pesantissimi costi fissi<br />

giustificati molto spesso per il loro valore extra-economico.<br />

In un circolo vizioso che comporta una serie di anelli in cui non è più ravvisabile una logica economica<br />

il volume produttivo e la produttività sono imposti dalle strutture e dalla dotazione di attrezzature e<br />

macchinari; a loro volta il volume produttivo e la produttività impongono tutta una serie di scelte<br />

produttive e di organizzazione del lavoro. “Devo acquistare mangime e fieno da fuori perché ho troppe<br />

vacche e hanno una produzione elevata” “Non posso portare le vacche all’alpeggio perché producono<br />

troppo”. “Non ho tempo per segare i prati, ho troppi animali da governare”.<br />

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