Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
di relazioni sociali, si accentua la tendenza, motivata da forti bisogni psicologici, ad un impiego non consumistico del proprio tempo che lasci spazio ad esigenze di al recupero di rapporti sociali e con l’elemento naturale di tipo territorializzante (da consumatori globalizzati, onnivori e anonimi ad “abitanti di un territorio”). Il sostenere che questi bisogni rappresentino dei “lussi” (bisogni secondari) dimostra una mancata comprensione della crisi della modernità. La loro curva di domanda pertanto tende ad essere rigida. La divisione tra “tempo di lavoro” e “tempo libero” è un prodotto recente della società industriale (ed è forse destinata ad essere ridimensionata) Nella società tradizionale la maggior parte delle persone erano impegnate in attività agricole, la produttività era infatti così bassa che la gran parte della produzione di alimenti era destinata all’autoconsumo e quindi solo una piccola parte della produzione poteva essere impiegata per il sostentamento della minoranza extra-agricola (artigiani, religiosi, funzionari, soldati, mercanti, aristocratici). L’autoconsumo non era limitato alle derrate alimentari ma a tutti i bisogni essenziali ai quali si doveva far fronte con le risorse e le capacità dell’ambiente rurale. Spesso gli unici acquisti sul mercato, all’esterno della comunità rurale, riguardavano arnesi in ferro e il sale (quest’ultimo bene fondamentale anche per lo sviluppo delle attività di allevamento e di trasformazione casearia); per il resto la casa, le supellettili, le stoviglie, il vestiario, il combustibile per cucinare e riscaldarsi tutto era prodotto con materie prime locali ottenute attraverso il lavoro dei campi e nei boschi e tramite l’allevamento. Nella maggiorparte dei casi la produzione avveniva nell’ambito della famiglia, in altri casi si ricorreva ad artigiani locali (anch’essi impegnati nell’attività agrosilvopastorale) con particolari abilità (così per esempio per la fabbricazione dei gerli o dei curàm, le funi di cuoio utilizzate per fissare i carichi sui carri) od all’aiuto di vicini o parenti (come per l’edificazione delle case). Fino al XIX secolo l’abbigliamento contadino era costituito da capi in lana o lino attraverso un ciclo di produzione completo (dalla semina del lino, dalla tosatura delle pecore alla filatura e tessitura casalinga). Anche nelle cassìne della Bassa i salariati fissi oltre ad una piccola abitazione avevano diritto ad un orto e, attraverso varie forme contrattuali, potevano coltivare piccoli appezzamenti di mais (base dell’alimentazione) e di lino (utilizzato per la produzione di vestiario e biancheria). In montagna l’autoconsumo è persistito più a lungo con riguardo all’abbigliamento. Molte persone non necessariamente anziane raccontano oggi di come, da bambini, indossavano calzerotti e maglie di lana “nostrana” di cui ricordamo bene quanto erano pungenti. Nella società preindustriale solo una ristretta élite poteva permettersi l’acquisto di beni e servizi diversi da quelli forniti dall’agricoltura e dell’artigianato rurale. La produzione e il consumo di beni culturali (arti figurative, musica, spettacoli) era limitata dal numero ristretto degli esponenti dell’élite (re e principi, grandi proprietari terrieri, ricchi mercanti e banchieri) in grado di stipendiare o comunque mantenere presso di sè per lunghi periodi gli artisti e gli intellettuali. Per questi beni non esisteva un mercato. Quanto al “tempo libero” c’è da osservare che la distinzione tra “tempo di lavoro” e “tempo libero” è una delle caratteristiche della società industriale. Nella società rurale tradizionale la distinzione tra attività produttive e di consumo non era netta ed ancora meno significato aveva la distinzione tra attività svolte a titolo professionale e non. Se per i pochi artigiani e commercianti e per i salariati agricoli della Bassa o per gli emigranti stagionali che scendevano dalle valli (muratori, decoratori, arrotini, spazzacamini, merciai ambulanti ecc.) poteva almeno in parte valere l’identificazione con una condizione professionale per la maggiorparte della popolazione rurale la condizione di vita era costantemente caratterizzata dalla fatica per procurarsi cibo, indumenti, combustibile. Questo “lavoro” coinvolgeva bambini e anziani, uomini e donne e quindi era una condizione permanente. Durante il tempo “libero” dai lavori agricoli, si sera, durante le giornate invernali le donne filavano e tessevano, gli uomini riparavano attrezzi e fabbricavano utensili per la casa, per il lavoro nei campi, per l’allevamento; alla stagione autunnale ed invernale erano dedicati i lavori selvicolturali. Nelle “veglie” invernali quando i componenti di più famiglie si radunavano nelle stalle (per sfruttare il calore prodotto dagli animali) mentre le donne filavano si raccontavano storie. Si trattava di occasioni di socializzazione e di trasmissione di conoscenze e difficilmente potremmo qualificarle come “lavoro “ o “divertimento”. 202
Anche nella vita delle popolazioni rurali segnata da un ritmo incessante di attività necessarie a garantire la sopravvivenza vi erano delle occasioni di festa e divertimento che, però, dovevano rispondere ad esigenze di una ben precisa ritualità e rispondevano a finalità di rafforzamanto dei legami comunitari, stabilimento o ufficializzazione di legami di coppia. Anche i membri delle élites privilegiate pur disponendo di tempo da dedicare agli “ozi” finivano per dedicare gran parte di questo tempo ad obblighi rituali legati al loro ruolo sociale. Il concetto del “tempo libero” inteso come spazio di tempo di cui disporre a piacimento secondo l’inclinazione personale per dedicarsi ad attività “hobbies” che non producono utilità economica (ma che anzi richiedono l’impiego di risorse) è legato all’urbanizzazione e alla creazione della “classe media”. Oltre allo sviluppo degli “hobbies” il “tempo libero” comporta un impiego più “passivo” caratterizzato dalle attività di “intrattenimento”. Ma è sostenibile un sistema in cui il lavoro è sempre più una risorsa scarsa e preziosa e il “tempo libero” una risorsa così abbondante? Il sistema economico incorpora, oltre alla tecnologia, sempre più capitale naturale e risorse non rinnovabili nei prodotti e nei servizi per risparmiare lavoro (anche in agricoltura!), ma ciò comporta una crescita vertiginosa degli impatti ambientali e una dilapidazione di risorse. La diminuzione del tempo di lavoro (riduzione delle ore di lavoro settimanali e della vita lavorativa) e la riduzione della fatica manuale creano la possibilità di un modello sostenibile di attività al di là del lavoro retribuito da dedicare non solo all’”intrattenimento” (imbesuimento?), ma anche all’arricchimento culturale, all’educazione permanente, a scopi di utilità sociale, ma anche a forme di autoproduzione agricola e artigianale. Le “city farm” e le forme di “agricoltura civica” rappresentano un modello dove consumo e produzione non sono più rigidamente separate. Turismo come bisogno primario Il turismo nasce come una forma di consumo di lusso, un “bisogno” molto sofisticato di una ristretta élite. La prima forma di turismo è “culturale” ed “educativa”. I viaggi rappresentano un fenomeno che coinvolge le élite aristocratiche a partire dal XVIII mentre nel XIX secolo. Per esse il turismo rappresentava il completamento della formazione culturale (grand tour in Italia). Con l’avvento dell’industria e il trionfo della borghesia si svilupperà una vera e propria industria turistica (ferrovie, grandi alberghi, località termali) ben lontana, però, dalle dimensioni che assumerà il turismo di massa già nella prima metà del XX secolo. Nonostante lo sviluppo dell’industria turistica e le dimensioni di massa che il fenomeno turistico ha assunto nell’ambito della società industriale il bisogno turistico rappresenta pur sempre un bisogno secondario la cui soddisfazione viene dopo quella di altri bisogni considerati più importanti. E’ vero che i soggiorni “climatici” sono considerati necessari per “disintossicarsi” dall’aria inquinata e dai ritmi stressanti delle metropoli, ma è anche vero che, nonostante le forme di turismo “sociale” (dopolavoro, colonie estive), questi bisogni restano in gran parte un lusso di chi può permettersi il loro soddisfacimento. Nella società industriale la domanda turistica oltre che elastica aveva anche una forte connotazione stagionale. Queste caratteristiche hanno determinato una crescita del comparto turistico un pò casuale e disordinata e non è difficile rintracciare nella tendenza dell’offerta ad adattarsi all’elasticità e stagionalità della domanda, la connotazione scarsamente professionale e imprenditoriale del settore turistico. Nella società post-industriale la domanda turistica modifica i suoi tratti. Innanzitutto considerata nel suo complesso la domanda turistica diventa meno elastica. Il bisogno di turismo corrisponde alla necessità di arricchimento e realizzazione culturale, ad esigenze psicologiche e relazionali. Ciò è legato a elevati livelli di istruzione connessi alle trasformazioni del lavoro (sempre meno caratterizzato da attività ripetitive e manuali). Il cambiamento della natura del lavoro e l’urbanizzazione hanno modificato la natura dei bisogni di svago e di riposo accentuando l’esigenza di un allontanamento dall’ambiente usuale di vita e di lavoro. Quanto all’aspetto relazionale il turismo assolve ad un deficit di socializzazione (basti pensare alla formula del “villaggio vacanze”) oltre che mantenere un forte valore di status symbol. I bisogni che spiegano l’accresciuta importanza del turismo nella società post-industriale sono molteplici ed è quindi ovvio che l’industria turistica conosca una forte differenziazione tanto che oggi più che parlare di turismo si preferisce parlare di turismi. Basti pensare come ai “classici” turismi: 203
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Anche nella vita delle popolazioni rurali segnata da un ritmo incessante di attività necessarie a garantire<br />
la sopravvivenza vi erano delle occasioni di festa e divertimento che, però, dovevano rispondere ad<br />
esigenze di una ben precisa ritualità e rispondevano a finalità di rafforzamanto dei legami comunitari,<br />
stabilimento o ufficializzazione di legami di coppia. Anche i membri delle élites privilegiate pur<br />
disponendo di tempo da dedicare agli “ozi” finivano per dedicare gran parte di questo tempo ad<br />
obblighi rituali legati al loro ruolo sociale. Il concetto del “tempo libero” inteso come spazio di tempo<br />
di cui disporre a piacimento secondo l’inclinazione personale per dedicarsi ad attività “hobbies” che<br />
non producono utilità economica (ma che anzi richiedono l’impiego di risorse) è legato<br />
all’urbanizzazione e alla creazione della “classe media”. Oltre allo sviluppo degli “hobbies” il “tempo<br />
libero” comporta un impiego più “passivo” caratterizzato dalle attività di “intrattenimento”. Ma è<br />
sostenibile un sistema in cui il lavoro è sempre più una risorsa scarsa e preziosa e il “tempo libero” una<br />
risorsa così abbondante? Il sistema economico incorpora, oltre alla tecnologia, sempre più capitale<br />
naturale e risorse non rinnovabili nei prodotti e nei servizi per risparmiare lavoro (anche in agricoltura!),<br />
ma ciò comporta una crescita vertiginosa degli impatti ambientali e una dilapidazione di risorse.<br />
La diminuzione del tempo di lavoro (riduzione delle ore di lavoro settimanali e della vita lavorativa) e la<br />
riduzione della fatica manuale creano la possibilità di un modello sostenibile di attività al di là del lavoro<br />
retribuito da dedicare non solo all’”intrattenimento” (imbesuimento?), ma anche all’arricchimento<br />
culturale, all’educazione permanente, a scopi di utilità sociale, ma anche a forme di autoproduzione<br />
agricola e artigianale. Le “city farm” e le forme di “agricoltura civica” rappresentano un modello dove<br />
consumo e produzione non sono più rigidamente separate.<br />
Turismo come bisogno primario<br />
Il turismo nasce come una forma di consumo di lusso, un “bisogno” molto sofisticato di una ristretta<br />
élite. La prima forma di turismo è “culturale” ed “educativa”. I viaggi rappresentano un fenomeno che<br />
coinvolge le élite aristocratiche a partire dal XVIII mentre nel XIX secolo. Per esse il turismo<br />
rappresentava il completamento della formazione culturale (grand tour in Italia). Con l’avvento<br />
dell’industria e il trionfo della borghesia si svilupperà una vera e propria industria turistica (ferrovie,<br />
grandi alberghi, località termali) ben lontana, però, dalle dimensioni che assumerà il turismo di massa<br />
già nella prima metà del XX secolo. Nonostante lo sviluppo dell’industria turistica e le dimensioni di<br />
massa che il fenomeno turistico ha assunto nell’ambito della società industriale il bisogno turistico<br />
rappresenta pur sempre un bisogno secondario la cui soddisfazione viene dopo quella di altri bisogni<br />
considerati più importanti. E’ vero che i soggiorni “climatici” sono considerati necessari per<br />
“disintossicarsi” dall’aria inquinata e dai ritmi stressanti delle metropoli, ma è anche vero che,<br />
nonostante le forme di turismo “sociale” (dopolavoro, colonie estive), questi bisogni restano in gran<br />
parte un lusso di chi può permettersi il loro soddisfacimento.<br />
Nella società industriale la domanda turistica oltre che elastica aveva anche una forte connotazione<br />
stagionale. Queste caratteristiche hanno determinato una crescita del comparto turistico un pò casuale e<br />
disordinata e non è difficile rintracciare nella tendenza dell’offerta ad adattarsi all’elasticità e stagionalità<br />
della domanda, la connotazione scarsamente professionale e imprenditoriale del settore turistico.<br />
Nella società post-industriale la domanda turistica modifica i suoi tratti. Innanzitutto considerata nel<br />
suo complesso la domanda turistica diventa meno elastica. Il bisogno di turismo corrisponde alla<br />
necessità di arricchimento e realizzazione culturale, ad esigenze psicologiche e relazionali. Ciò è legato a<br />
elevati livelli di istruzione connessi alle trasformazioni del lavoro (sempre meno caratterizzato da attività<br />
ripetitive e manuali). Il cambiamento della natura del lavoro e l’urbanizzazione hanno modificato la<br />
natura dei bisogni di svago e di riposo accentuando l’esigenza di un allontanamento dall’ambiente<br />
usuale di vita e di lavoro. Quanto all’aspetto relazionale il turismo assolve ad un deficit di<br />
socializzazione (basti pensare alla formula del “villaggio vacanze”) oltre che mantenere un forte valore<br />
di status symbol. I bisogni che spiegano l’accresciuta importanza del turismo nella società post-industriale<br />
sono molteplici ed è quindi ovvio che l’industria turistica conosca una forte differenziazione tanto che<br />
oggi più che parlare di turismo si preferisce parlare di turismi. Basti pensare come ai “classici” turismi:<br />
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