Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

zootecniche queste specie si troverebbero in gravi difficoltà e dovrebbero probabilmente abbandonare gli ambiento colonizzati negli ultimi decenni. Una DAF eccessiva potrebbe portare comunque ad un certo grado di conflittualità con gli operatori agricoli che mantengono le superfici erbacee nell’ambito del piano montano inferiore a meno che da parte degli enti responsabili della gestione faunistica (CAC) non si generalizzi quella che è ancora una tendenza troppo poco seguita di concedere incentivi e contributi mirati agli operatori agricoli al fine della realizzazione di coltivazioni a perdere (destinate all’utilizzo da parte dei selvatici) in foresta o del mantenimento delle superfici sfalciate e pascolate. La competizione alimentare comunque si manifesta già in alcuni ambiti sul piano dell’utilizzo di risorse complementari. Durante l’autunno i greggi ovini e caprini si alimentano abbondantemente nel castagneto inselvatichito di frutti caduti a terra e che l’uomo non si preoccupa più di raccogliere (anche in ragione del ridotto calibro dei medesimi). Nell’ambito dei sistemi pastorali ovicaprini questa risorsa era divenuta negli ultimi anni molto importante perché assolveva allo scopo di creazione (grazie al forte contenuto in amido delle castagne) di una riserva alimentare e, persino, alla realizzazione di un flushing alimentare in corrispondenza delle monte con il noto effetto positivo della diponibilità di glucosio per l’ovario e il conseguente miglior tasso di ovulazione. Ora quasta fonte alimentare di elevato valore nutrizionale e del tutto gratuita è sempre più contesa da cervi e cinghiali che hanno ben presto imparato a cibersene. Situazioni patologiche In alcune aree del Parco Nazionale dello Stelvio la densità dei cervi ha raggiunto i 20 capi per 100 ha. Si tratta di densità di tipo zootecnico al di fuori di ogni criterio di gestione naturalistica. In queste aree il rinnovamento della foresta è del tutto compromesso. La popolazione mostra evidenti segni deperimento (ritardo nell’epoca della pubertà, ridotto sviluppo somatico) a conferma che la densità eccede di gran lunga anche quella massima biologica. Centinaia di carcasse restano a testimoniare a fine inverno di come l’equilibrio tra la popolazione e le risorse sia del tutto rotto. Finalmente dal 2002 sono stati avviati dei piani di abbattimento. Dal punto di vista dell’etica ambientale la riduzione di un area protetta ad una specie di zoo (le alte densità incoraggiano i visitatori che possono avvistare con fin troppa facilità i selvatici) o di allevamento all’aperto è manifestatamene più discutibile che una gestione rigidamente regolamentata dell’attività venatoria (come avviene in provincia di Bolzano). Trasmissione di patologie Il rischio più concreto di effetti negativi per l’attività zootecnica e pastorale legato alla crescente presenza di ungulati selvatici è però legato alla trasmissione “incrociata” di malattie. Un certo punto di vista “naturalistico” ha portato a preoccuparsi maggiormente del rischio di trasmissione dal domestico al selvatico. Ciò è giustificato dal fatto che gli animali domestici possono più facilmente essere sottoposti a trattamenti (sverminazione, somministrazione di antibiotici) in grado di curare i soggetti ammalati e di impedire la diffusione delle patologie, ma forse non tiene conto che il selvatico proprio perché non sottoposto a trattamenti terapeutici e di profilassi rappresenta un “serbatoio” di agenti potenzialmente patogeni rispetto ai quali il domestico ha visto indebolirsi i meccanismi di difesa. Come esempio di grave forma infettiva trasmessa ai selvatici si cita quello della cheratocongiuntivite contagiosa che, con epidemie ricorrenti (fortunatamente a distanza di parecchi anni l’una dall’altra) miete numerose vittime tra i camosci che resi ciechi non riecono ad alimentarsi e precipitano dalle rupi. Di queste epidemie (cui probabilmente non è estranea l’eccessiva densità raggiunta localmente dalle colonie di questi bovidi selvatici) vengono “incolpati” gli ovini. Recentemente, però, si fanno sempre più frequententi le segnalazioni di patologie che colpiscono gli animali domestici al pascolo in relazione al contatto con i selvatici e all’aumento della loro densità. 190

Tale segnalazioni provenienti da realtà anche molto distanti dalla nostra evidenziano il rischio potenziale connesso con DAF eccessive e con un conseguente precario stato nutrizionale e fisiologico degli animali. Dal momento che i cervi tendono a pascolare anche in gruppi di parecchi capi i pascoli ed i prati-pascoli normalmente utilizzati da bovini ed ovicaprini è facile aspettarsi un aumento di infestazione di queste superfici da parte di parassiti tipici del cervo. E’ il caso dell’ Elaphus strongilus parassita polmonare che nel cervo, ospite usuale, non comporta particolari problemi ma che trasmesso alla capra secondo alcune segnalazioni determinerebbe gravi problemi neurologici (locomozione). Casi di aborti infettivi nella capra di cui si sospetta una trasmissione da parte degli ungulati selvatici. Nel caso della capra si hanno notizie (testimonianze orali e fotografiche nonché l’interessamento al problema dell INFS) della presenza di stambecchi maschi presso greggi di capre nel momento dei calori. Gli stambecchi tendono a disturbare la riproduzione non solo perché i becchi subiscono la dominanza dello stambecco ma anche direttamente coprendo e fecondando le capre. L’ ibridazione dello stambecco con al capra domestica è stata da sempre ritenuta possibile dai montanari e vi sono notizie storiche che confermerebbero questa eventualità indicando anche la possibile fertilità degli ibridi anche se su questo aspetto vale la pena attendere i risultati delle indagini in corso da parte dell’ INFS. “Anche gli svizzeri avrebbero volentieri voluto riacclimatare nel loro territorio questo maestoso animale, ma il re d’Italia non voleva staccarsene. Si fecero dei tentativi partendo da ibridi di stambecchi e di capre domestiche, che si mostrarono intrattabili, lasciandosi andare ai peggiori scherzi. Incrociati tra loro, ritornarono rapidamente al ceppo della capra” Pierre e Robert Hainard in Guichonnet p 415. La densità delle popolazioni di ungulati selvatici e gli elementi base della gestione faunistica Attualmente in base alla vigente disciplina legislativa dell’attività venatoria i censimenti delle popolazioni di ungulati selvatici sono eseguiti a cura dei CAC che, annualmente, devono redigere sulla base dei censimenti stessi i Piani di Abbattimento e, quindi procede all’indicazione ad ogni cacciatore dei capi prelevabili (numero e categoria). Nelle Aree Protette, provvedono gli enti delegati alla gestione faunistica (Parchi) ad eseguire il censimento della fauna. Il monitoraggio dello stato di salute e di nutrizione delle popolazioni è effettuato attraverso l’esame dei capi abbattuti da parte dalle Guardie Venatorie delle Amministrazioni Provinciali che provvedono, prima che il cacciatore possa disporre della carcassa del capo abbattuto, ad eseguire rilievi biometrici sul sito di abbattimento. Tab. Densità biologiche e Densità agro-forestali indicative in funzione della qualità dell’ambiente (capi /100 ha) 1 cervo = 2,5 caprioli = 2 daini Alcune indicazioni utili alla gestione di una popolazione di ungulati selvatici sono riportate nella seguente Tabella: Tab. Elementi conoscitivi di base per la gestione di popolazioni di ungulati selvatici CERVO CAPRIOLO CAMOSCIO Capacità potenziale (capi/100 ha) 1÷4 5÷16 4÷18 Prelievo in condizioni di stabilità (% capi) 25÷30 35÷40 15 191

zootecniche queste specie si troverebbero in gravi difficoltà e dovrebbero probabilmente<br />

abbandonare gli ambiento colonizzati negli ultimi decenni. Una DAF eccessiva potrebbe portare<br />

comunque ad un certo grado di conflittualità con gli operatori agricoli che mantengono le superfici<br />

erbacee nell’ambito del piano montano inferiore a meno che da parte degli enti responsabili della<br />

gestione faunistica (CAC) non si generalizzi quella che è ancora una tendenza troppo poco seguita<br />

di concedere incentivi e contributi mirati agli operatori agricoli al fine della realizzazione di<br />

coltivazioni a perdere (destinate all’utilizzo da parte dei selvatici) in foresta o del mantenimento<br />

delle superfici sfalciate e pascolate. La competizione alimentare comunque si manifesta già in<br />

alcuni ambiti sul piano dell’utilizzo di risorse complementari. Durante l’autunno i greggi ovini e<br />

caprini si alimentano abbondantemente nel castagneto inselvatichito di frutti caduti a terra e che<br />

l’uomo non si preoccupa più di raccogliere (anche in ragione del ridotto calibro dei medesimi).<br />

Nell’ambito dei sistemi <strong>pastorali</strong> ovicaprini questa risorsa era divenuta negli ultimi anni molto<br />

importante perché assolveva allo scopo di creazione (grazie al forte contenuto in amido delle<br />

castagne) di una riserva alimentare e, persino, alla realizzazione di un flushing alimentare in<br />

corrispondenza delle monte con il noto effetto positivo della diponibilità di glucosio per l’ovario e il<br />

conseguente miglior tasso di ovulazione. Ora quasta fonte alimentare di elevato valore nutrizionale<br />

e del tutto gratuita è sempre più contesa da cervi e cinghiali che hanno ben presto imparato a<br />

cibersene.<br />

Situazioni patologiche<br />

In alcune aree del Parco Nazionale dello Stelvio la densità dei cervi ha raggiunto i 20 capi per 100<br />

ha. Si tratta di densità di tipo zootecnico al di fuori di ogni criterio di gestione naturalistica. In<br />

queste aree il rinnovamento della foresta è del tutto compromesso. La popolazione mostra evidenti<br />

segni deperimento (ritardo nell’epoca della pubertà, ridotto sviluppo somatico) a conferma che la<br />

densità eccede di gran lunga anche quella massima biologica. Centinaia di carcasse restano a<br />

testimoniare a fine inverno di come l’equilibrio tra la popolazione e le risorse sia del tutto rotto.<br />

Finalmente dal 2002 sono stati avviati dei piani di abbattimento. Dal punto di vista dell’etica<br />

ambientale la riduzione di un area protetta ad una specie di zoo (le alte densità incoraggiano i<br />

visitatori che possono avvistare con fin troppa facilità i selvatici) o di allevamento all’aperto è<br />

manifestatamene più discutibile che una gestione rigidamente regolamentata dell’attività venatoria<br />

(come avviene in provincia di Bolzano).<br />

Trasmissione di patologie<br />

Il rischio più concreto di effetti negativi per l’attività zootecnica e pastorale legato alla crescente<br />

presenza di ungulati selvatici è però legato alla trasmissione “incrociata” di malattie.<br />

Un certo punto di vista “naturalistico” ha portato a preoccuparsi maggiormente del rischio di<br />

trasmissione dal domestico al selvatico. Ciò è giustificato dal fatto che gli animali domestici<br />

possono più facilmente essere sottoposti a trattamenti (sverminazione, somministrazione di<br />

antibiotici) in grado di curare i soggetti ammalati e di impedire la diffusione delle patologie, ma<br />

forse non tiene conto che il selvatico proprio perché non sottoposto a trattamenti terapeutici e di<br />

profilassi rappresenta un “serbatoio” di agenti potenzialmente patogeni rispetto ai quali il domestico<br />

ha visto indebolirsi i meccanismi di difesa.<br />

Come esempio di grave forma infettiva trasmessa ai selvatici si cita quello della<br />

cheratocongiuntivite contagiosa che, con epidemie ricorrenti (fortunatamente a distanza di parecchi<br />

anni l’una dall’altra) miete numerose vittime tra i camosci che resi ciechi non riecono ad alimentarsi<br />

e precipitano dalle rupi. Di queste epidemie (cui probabilmente non è estranea l’eccessiva densità<br />

raggiunta localmente dalle colonie di questi bovidi selvatici) vengono “incolpati” gli ovini.<br />

Recentemente, però, si fanno sempre più frequententi le segnalazioni di patologie che colpiscono gli<br />

animali domestici al pascolo in relazione al contatto con i selvatici e all’aumento della loro densità.<br />

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