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Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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utilità per i più poveri) rappresentano l’animale “umile” metafora di ogni vizio e stupidità (vedasi<br />

le immagini associate al maiale, all’asino e alla capra).<br />

In conclusione a questo paragrafo pare opportuno svolgere alcune considerazioni:<br />

• il ritorno dei grandi predatori deve essere visto positivamente in quanto elemento di<br />

ristabilimento di un equilibrio ecologico (i carnivori rappresentano il vertice delle catene<br />

alimentari e svolgono una funzione fondamentale nelle biocenosi) e indicatore di un buon livello<br />

di integrità ambientale. Da questo non devono discendere, però, delle forzature pericolose e non<br />

può comunque valere l’inverso: se c’è il predatore (reintrodotto) l’ambiente è integro tanto che<br />

per molti naturalisti la reintroduzione è sbagliata ed è piuttosto importante migliorare l’ambinete<br />

e creare i presupposti per un ritorno spontaneo della fauna in questione;<br />

• l’insediamento dei grandi predatori presuppone spazi molto estesi ed habitat adatti ancor meno<br />

facilmente rinvenibili che nel caso dei grandi erbivori selvatici, ma il territorio alpino è oggi<br />

compromesso da una forte frammentazione mentre sono poche le azioni per creare “cuscinetti<br />

ecologici” e “corridoi ecologici”;<br />

• la presenza, e ancor di più, la reintroduzione programmata dei grandi predatori esigono una<br />

valutazione attenta dell’impatto sulle attività zootecniche estensive e <strong>pastorali</strong> e dovrebbe essere<br />

considerata compatibile solamente quando non compromette la funzione essenziale di cura e<br />

manutenzione del territorio che queste attività svolgono;<br />

• la convivenza tra attività <strong>pastorali</strong> e grandi carnivori presuppone (al di là delle proposte dai<br />

fautori della reintroduzione) l’introduzione di misure di controllo passive ed attive ed in primo<br />

luogo abbattimenti selettivi nel caso di soggetti particolarmente aggressivi nonché il risarcimento<br />

dei danni prodotti.<br />

Favorire la diffusione e l’introduzione dei grandi predatori nel territorio alpino sull’onda di una<br />

spinta emotiva venata di spettacolarismo può risultare pericoloso. Va osservato con molta<br />

franchezza che queste operazioni sono in grado di catalizzare la fantasia e l’attenzione del grande<br />

pubblico cittadino “consumatore” di protezionismo attraverso le riviste patinate e l’inflazione dei<br />

documentari televisivi sulla fauna esotica. Esso non è sicuramente in grado di valutarne<br />

l’importanza in termini di salvaguardia della biodiversità e di ripristino dell’integrità ammbientale<br />

ma sicuramente è portato ad assicurare più consenso a queste iniziative rispetto ad altre meno<br />

spettacolari ma più efficaci nella direzione del ripristino degli equilibri ambientali . Basti pensare<br />

che nello stesso Trentino nell’ambito dei ricercatori che si sono occupati della popolazione<br />

autoctona di orsi non tutti erano e sono favorevoli al programma di reintroduzione dell’orso con<br />

l’importazione di soggetti sloveni. L’operazione avrebbe richiesto un osservazione etologica<br />

approfondita dei singoli soggetti da trasferire come dimostrato dal caso dei soggetti “girovaghi”.<br />

L’esigenza di pubblicizzazione del progetto (legata oltre a considerazioni naturalistiche anche ad<br />

una promozione abbastanza trasparente di tipo turistico-commerciale come dimostra lo sfruttamento<br />

a vati livelli di comunicazione dell’immagine dell’orso) e la larga disponibilità di fondi europei<br />

(progetto Life Ursus) hanno pesato non poco sulle modalità e i tempi di realizzazione del<br />

medesimo.<br />

Gli ungulati selvatici<br />

Il nostro interesse si incentra sugli ungulati selvatici è motivato da più elementi. Innanzitutto queste<br />

specie, indicate nella Tab., sono, ad eccezione dello stambecco (Capra ibex) cacciabili e in alcuni<br />

casi (in funzione delle loro caratteristiche etologiche) allevabili e quindi oggetto di attività<br />

zootecnica finalizzata alla produzione di carne. In secondo luogo la reintroduzione di queste specie<br />

(spontanea nel caso dei cervidi e del camoscio) comporta crescenti problemi di interazione con la<br />

fauna erbivora domestica (trasmissione di malattie parassitarie e infettive, ibridazioni, competizione<br />

alimentare) e quindi interessa da vicino lo sviluppo dei sistemi <strong>pastorali</strong> montani. In terzo luogo la<br />

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