Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

artigli mena fendenti micidiali che provocano ferite mortali per numerosi soggetti. Le conseguenze di questi attacchi sono particolarmente gravi nel caso di ovini ammassati. Queste considerazioni assumono attualità in seguito agli episodi di predazione verificatisi nella primavera 2002 in Trentino che hanno avuto per protagonisti soggetti introdotti dalla Slovenia. In tre distinte circostanze sono state attaccati e predati caprini, ovini e suini. Casi di predazione di ovini da parte di orsi si registrano in Norvegia, sui Pirenei (dove sono aggrediti anche i bovini) e in Austria. L’esperienza di quest’ultimo paese ci indica come la strategia dell’abbattimento selettivo dei capi particolarmente aggressivi e responsabili di numerose aggressioni agli animali domestici che abbiamo visto applicata in Svizzera, possa dimostrarsi efficace al fine di una convivenza tra predatori e attività pastorali che eviti una pericolosa conflittualità. Su una popolazione austriaca di 20-25 orsi due si sono resi responsabili di attacchi e, una volta abbattuti, non si sono più lamentate perdite di bestiame. In Italia un approccio fortemente ideologizzato al problema della salvaguardia dell’ambiente retaggio di una cultura fortemente urabanocentrica e di una radicata mancanza di familiarità della classe urbana media con la concreta dimensione del naturale, rende impensabile tale approccio “pragmatico”. Il protezionismo intransigente è espressione della cattiva coscienza ambientale della classe media urbana e tende a caricare di valenze simboliche alcuni aspetti del contesto naturale isolandoli da una concreta dimensione ecologica (che comprende anche l’elemento sociale e antropico) e assumendoli a simulacri della natura “incontaminata”. Queste considerazioni valide per alcuni aspetti assunti dalla “parchizzazione” e dalla politica forestale si ripresentano ora a fronte dalle sbandierate campagne di reintroduzione dei grandi predatori. E’importante sottolineare che la reintroduzione pone maggiori problemi della “riconquista” spontanea di quello che era l’areale ecologico della specie. La presenza del lupo deve esser valutata alla luce di questa “spontaneità”. In Slovenia gli orsi sono 500-600 e non solo si sono registrati numerosi casi di aggressione alle pecore ma anche all’uomo in questi anni due contadini sloveni sono stati uccisi dagli orsi (sia pure in circostanze particolari). I responsabili dei programmi di introduzione dell’orso non solo minimizzano i rischi di predazione, sostenendo che il rischio è relativo alla sola specie ovina, ma nei loro rassicuranti interventi si guardano bene dal citare i casi di aggressioni mortali all’uomo verificatesi in Slovenia. L’asserzione che gli orsi sarebbero sotto costante controllo è stata smentita dalla perdita in diversi casi del radiocollare e dagli episodi degli incidenti stradali (l’orsa che si è scontrata con un auto di turisti tedeschi sull’autostrada del Brennero nel 2001) e dell’orso vagante alla periferia di Trento (2002). Nel 2002 sono stati attaccati e uccisi dall’orso in diverse località diversi animali donestici: pecore, capre e persino maiali mentre gli alveari, dopo gravi devastazioni hanno dovuto essere protetti nelle zone (a rischio) con filo elettrico. Di fronte alle perplessità e alle critiche che tengono conto dell’esigenza di contemperare la reintroduzione dei grandi carnivori le esigenze della sopravvivenza della pastorizia alpina nell’ambito dei sistemi territoriali estensivi, la reazione dei responsabili dei progetti di reintroduzione lascia intravedere (analogamente ai conflitti innescati dalla parchizzazione del territorio) un atteggiamento di arroganza e di superiorità culturale. Tali atteggiamenti rimandano al contrasto sociale e culturale del passato tra le esigenze di habitat della grande selvaggina oggetto di attività venatoria aristocratica e quelle degli animali domestici allevati dalle comunità rurali. La forma ideologica che legittimava il diritto della classe signorile (e oggi della classe media urbana e della tecnocrazia “verde”) nei confronti della popolazione rurale tende ad identificarsi con un diverso status degli animali che sono oggetto degli interessi in conflitto. La “fiera” e il cavallo, ossia gli animali legati alle attività cavalleresche militari e venatorie (la caccia rappresentava nel mondo aristoctatico una forma surrogatoria e propedeutica alla guerra) incarnano nell’ideologia della classe dominante una intrinseca “nobiltà” mentre gli animali allevati dalle comunità contadine (secondo un gradiente che corrisponde alla loro specifica 186

utilità per i più poveri) rappresentano l’animale “umile” metafora di ogni vizio e stupidità (vedasi le immagini associate al maiale, all’asino e alla capra). In conclusione a questo paragrafo pare opportuno svolgere alcune considerazioni: • il ritorno dei grandi predatori deve essere visto positivamente in quanto elemento di ristabilimento di un equilibrio ecologico (i carnivori rappresentano il vertice delle catene alimentari e svolgono una funzione fondamentale nelle biocenosi) e indicatore di un buon livello di integrità ambientale. Da questo non devono discendere, però, delle forzature pericolose e non può comunque valere l’inverso: se c’è il predatore (reintrodotto) l’ambiente è integro tanto che per molti naturalisti la reintroduzione è sbagliata ed è piuttosto importante migliorare l’ambinete e creare i presupposti per un ritorno spontaneo della fauna in questione; • l’insediamento dei grandi predatori presuppone spazi molto estesi ed habitat adatti ancor meno facilmente rinvenibili che nel caso dei grandi erbivori selvatici, ma il territorio alpino è oggi compromesso da una forte frammentazione mentre sono poche le azioni per creare “cuscinetti ecologici” e “corridoi ecologici”; • la presenza, e ancor di più, la reintroduzione programmata dei grandi predatori esigono una valutazione attenta dell’impatto sulle attività zootecniche estensive e pastorali e dovrebbe essere considerata compatibile solamente quando non compromette la funzione essenziale di cura e manutenzione del territorio che queste attività svolgono; • la convivenza tra attività pastorali e grandi carnivori presuppone (al di là delle proposte dai fautori della reintroduzione) l’introduzione di misure di controllo passive ed attive ed in primo luogo abbattimenti selettivi nel caso di soggetti particolarmente aggressivi nonché il risarcimento dei danni prodotti. Favorire la diffusione e l’introduzione dei grandi predatori nel territorio alpino sull’onda di una spinta emotiva venata di spettacolarismo può risultare pericoloso. Va osservato con molta franchezza che queste operazioni sono in grado di catalizzare la fantasia e l’attenzione del grande pubblico cittadino “consumatore” di protezionismo attraverso le riviste patinate e l’inflazione dei documentari televisivi sulla fauna esotica. Esso non è sicuramente in grado di valutarne l’importanza in termini di salvaguardia della biodiversità e di ripristino dell’integrità ammbientale ma sicuramente è portato ad assicurare più consenso a queste iniziative rispetto ad altre meno spettacolari ma più efficaci nella direzione del ripristino degli equilibri ambientali . Basti pensare che nello stesso Trentino nell’ambito dei ricercatori che si sono occupati della popolazione autoctona di orsi non tutti erano e sono favorevoli al programma di reintroduzione dell’orso con l’importazione di soggetti sloveni. L’operazione avrebbe richiesto un osservazione etologica approfondita dei singoli soggetti da trasferire come dimostrato dal caso dei soggetti “girovaghi”. L’esigenza di pubblicizzazione del progetto (legata oltre a considerazioni naturalistiche anche ad una promozione abbastanza trasparente di tipo turistico-commerciale come dimostra lo sfruttamento a vati livelli di comunicazione dell’immagine dell’orso) e la larga disponibilità di fondi europei (progetto Life Ursus) hanno pesato non poco sulle modalità e i tempi di realizzazione del medesimo. Gli ungulati selvatici Il nostro interesse si incentra sugli ungulati selvatici è motivato da più elementi. Innanzitutto queste specie, indicate nella Tab., sono, ad eccezione dello stambecco (Capra ibex) cacciabili e in alcuni casi (in funzione delle loro caratteristiche etologiche) allevabili e quindi oggetto di attività zootecnica finalizzata alla produzione di carne. In secondo luogo la reintroduzione di queste specie (spontanea nel caso dei cervidi e del camoscio) comporta crescenti problemi di interazione con la fauna erbivora domestica (trasmissione di malattie parassitarie e infettive, ibridazioni, competizione alimentare) e quindi interessa da vicino lo sviluppo dei sistemi pastorali montani. In terzo luogo la 187

artigli mena fendenti micidiali che provocano ferite mortali per numerosi soggetti. Le conseguenze<br />

di questi attacchi sono particolarmente gravi nel caso di ovini ammassati.<br />

Queste considerazioni assumono attualità in seguito agli episodi di predazione verificatisi nella<br />

primavera 2002 in Trentino che hanno avuto per protagonisti soggetti introdotti dalla Slovenia. In<br />

tre distinte circostanze sono state attaccati e predati caprini, ovini e suini.<br />

Casi di predazione di ovini da parte di orsi si registrano in Norvegia, sui Pirenei (dove sono<br />

aggrediti anche i bovini) e in Austria. L’esperienza di quest’ultimo paese ci indica come la strategia<br />

dell’abbattimento selettivo dei capi particolarmente aggressivi e responsabili di numerose<br />

aggressioni agli animali domestici che abbiamo visto applicata in Svizzera, possa dimostrarsi<br />

efficace al fine di una convivenza tra predatori e attività <strong>pastorali</strong> che eviti una pericolosa<br />

conflittualità.<br />

Su una popolazione austriaca di 20-25 orsi due si sono resi responsabili di attacchi e, una volta<br />

abbattuti, non si sono più lamentate perdite di bestiame.<br />

In Italia un approccio fortemente ideologizzato al problema della salvaguardia dell’ambiente<br />

retaggio di una cultura fortemente urabanocentrica e di una radicata mancanza di familiarità della<br />

classe urbana media con la concreta dimensione del naturale, rende impensabile tale approccio<br />

“pragmatico”. Il protezionismo intransigente è espressione della cattiva coscienza ambientale della<br />

classe media urbana e tende a caricare di valenze simboliche alcuni aspetti del contesto naturale<br />

isolandoli da una concreta dimensione ecologica (che comprende anche l’elemento sociale e<br />

antropico) e assumendoli a simulacri della natura “incontaminata”. Queste considerazioni valide per<br />

alcuni aspetti assunti dalla “parchizzazione” e dalla politica forestale si ripresentano ora a fronte<br />

dalle sbandierate campagne di reintroduzione dei grandi predatori. E’importante sottolineare che la<br />

reintroduzione pone maggiori problemi della “riconquista” spontanea di quello che era l’areale<br />

ecologico della specie. La presenza del lupo deve esser valutata alla luce di questa “spontaneità”.<br />

In Slovenia gli orsi sono 500-600 e non solo si sono registrati numerosi casi di aggressione alle<br />

pecore ma anche all’uomo in questi anni due contadini sloveni sono stati uccisi dagli orsi (sia pure<br />

in circostanze particolari). I responsabili dei programmi di introduzione dell’orso non solo<br />

minimizzano i rischi di predazione, sostenendo che il rischio è relativo alla sola specie ovina, ma<br />

nei loro rassicuranti interventi si guardano bene dal citare i casi di aggressioni mortali all’uomo<br />

verificatesi in Slovenia. L’asserzione che gli orsi sarebbero sotto costante controllo è stata smentita<br />

dalla perdita in diversi casi del radiocollare e dagli episodi degli incidenti stradali (l’orsa che si è<br />

scontrata con un auto di turisti tedeschi sull’autostrada del Brennero nel 2001) e dell’orso vagante<br />

alla periferia di Trento (2002).<br />

Nel 2002 sono stati attaccati e uccisi dall’orso in diverse località diversi animali donestici: pecore,<br />

capre e persino maiali mentre gli alveari, dopo gravi devastazioni hanno dovuto essere protetti nelle<br />

zone (a rischio) con filo elettrico.<br />

Di fronte alle perplessità e alle critiche che tengono conto dell’esigenza di contemperare la<br />

reintroduzione dei grandi carnivori le esigenze della sopravvivenza della pastorizia alpina<br />

nell’ambito dei sistemi territoriali estensivi, la reazione dei responsabili dei progetti di<br />

reintroduzione lascia intravedere (analogamente ai conflitti innescati dalla parchizzazione del<br />

territorio) un atteggiamento di arroganza e di superiorità culturale.<br />

Tali atteggiamenti rimandano al contrasto sociale e culturale del passato tra le esigenze di habitat<br />

della grande selvaggina oggetto di attività venatoria aristocratica e quelle degli animali domestici<br />

allevati dalle comunità rurali. La forma ideologica che legittimava il diritto della classe signorile (e<br />

oggi della classe media urbana e della tecnocrazia “verde”) nei confronti della popolazione rurale<br />

tende ad identificarsi con un diverso status degli animali che sono oggetto degli interessi in<br />

conflitto. La “fiera” e il cavallo, ossia gli animali legati alle attività cavalleresche militari e<br />

venatorie (la caccia rappresentava nel mondo aristoctatico una forma surrogatoria e propedeutica<br />

alla guerra) incarnano nell’ideologia della classe dominante una intrinseca “nobiltà” mentre gli<br />

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