Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini
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dell’ambiente, dai “formaggi tipici” prodotti in tutto il territorio nazionale secondo caratteristiche legate<br />
soltanto alla tecnica di produzione particolare. In questa accezione la tipicità è definita in termini di<br />
corrispondenza ad un “tipo” che può essere riprodotto osservando semplicemente delle prescrizioni<br />
tecnologiche che prescindono dalla materia prima e dalle condizioni proprie dell’ambiente di<br />
produzione (clima, terreno, fattori culturali). Nel linguaggio comune, invece, al concetto di “tipicità” si<br />
associa quello di “originalità” e “peculiarità” ossia si sottintende un riferimento ad un territorio. Ci si<br />
rende facilmente conto, però, che anche se la tipicità viene definita con riferimento ad un ambito<br />
geografico preciso più a meno ristretto le ambiguità commesse all’uso di questa qualificazione del<br />
prodotto agroalimentare non sono finite. Se per “tipicità” ci si attende la conformità a caratteristiche<br />
ben definite e costanti che differenziano il prodotto da quello di altri territori si potrebbe rimanere<br />
perplessi di fronte a prodotti che pur fortemente legati alle condizioni d’ambiente e alla tradizione del<br />
territorio non corrispondono ad un “tipo” presentando al contrario una forte variabilità legata alle<br />
condizioni artigianali di lavorazione, all’applicazione empirica di conoscenze tecnologiche non<br />
codificate. In questo senso il prodotto che presenta maggiore valenza tradizionale e un forte legame con<br />
il territorio (materia prima, condizioni di lavorazione, influssi stagionali) non risulta “tipico”.<br />
La comprensione di questi aspetti è ovviamente cruciale per la definizione di strategie delle<br />
valorizzazione delle produzioni agrozootecniche. Il mantenimento di <strong>Sistemi</strong> Agricoli Territoriali<br />
differenziati in grado di corrispondere ad esigenze ben distinte (competitività e integrazione con<br />
l’agroindustria da una parte, integrazione con i circuiti locali e produzione di valenze ambientali e<br />
culturali dall’altra) è legato alla individuazione degli aspetti della qualità specifica delle produzioni che si<br />
intendono valorizzare, della dimensione della nicchia territoriale di produzione, dei richiami sui quali<br />
impostare le azioni promozionali. Preliminarmente ad ogni considerazione circa le soluzioni che si<br />
impongono di fronte all’esigenza di abbandono del generico richiamo alla “tipicità” è opportuno<br />
richiamare quelle che sono le condizioni giuridiche attuali che definiscono e tutelano la “tipicità”.<br />
I prodotti DOP e IGP<br />
Ponendo fine agli abusi consistenti nell’utilizzazione di denominazioni tradizionali a prodotti di<br />
imitazione ottenuti con tecniche industriali che prescindevano dai fattori produttivi legati alla zona di<br />
origine dopo un lungo travaglio la Ce nel 1992 ha introdotto la legislazione sulla tutela delle<br />
denominazioni di origine. Essa prevede il riconoscimento in tutti i paesi aderenti di quelle forme di<br />
tutela che precedentemente valevano solo all’interno dei singoli paesi. Gli strumenti di tutela sono la<br />
DOC, la DOP e la IGP. L’attestazione DOC (denominazione di origine controllata) è riservata ai vini<br />
mentre quella DOP (Denominazione di origine protetta) viene assegnata a formaggi, salumi, olio e<br />
prodotti ortofrutticoli. Per poter fregiarsi dell’appellativo DOP (Reg. Cee 2081/92) i prodotti devono<br />
essere ottenuti in zone geografiche determinate e limitate osservando gli usi locali, leali e costanti,<br />
utilizzando materia prima prodotta nell’ambito della stessa area. Le caratteristiche dei prodotti DOP<br />
devono essere essenzialmente od esclusivamente dovute all’ambiente geografico comprensivo di fattori<br />
naturali (clima, suolo) ed umani (conoscenze e abilità tecniche locali).<br />
L’attestazione IGP (Indicazione geografica protetta) (Reg. Cee 2081/92). A differenza dei prodotti<br />
DOP, i prodotti IGP sono legati alla zona di riferimento di cui in genere portano il nome per una<br />
caratteristica o una fase del processo di produzione e trasformazione. Il nesso tra il prodotto e la zona è<br />
quindi meno stretto e diverso rispetto alla DOP e le materie prime possono provenire anche da altra<br />
regione e persino da paesi extracomunitari. E’ questo il caso della IGP “Bresaola della Valtellina” che<br />
viene prodotta industrialmente utilizzando carni di bovini sudamericani. Fino a qualche anno fa<br />
venivano importate le cosce congelate, oggi si importano tagli di carne sottovuoto già sottoposti a<br />
processo di salatura presso gli stabilimenti argentini. La tipicità di questo prodotto quindi rimane legata<br />
alla sola fase di stagionatura.<br />
Secondo quando indicato dal Reg. 2081/82 i prodotti DOP e IGP devono essere controllati da<br />
organismi autorizzati in grado di garantire la conformità dei prodotti ai requisiti indicati nei disciplinari<br />
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