Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

08.06.2013 Views

pascolive. Mantenere le anacronistiche prescrizioni di polizia forestale relative al pascolo in bosco, alla classificazione di bosco, all’assurdo divieto di pascolo nei terreni percorsi dal fuoco significa optare consapevolmente per una politica di eliminazione del presidio umano del territorio favorendo l’addensamento della popolazione e delle attività di allevamento nei fondovalle e nelle città e quindi l’accentuazione degli squilibri territoriali e dello sradicamento culturale e sociale. E’interessante sottolineare come il divieto del pascolo così come quello di esercizio dell’attività venatoria nelle aree boscate percorse dal fuoco siano stati ribaditi con una “Legge-quadro in materia di incendi boschivi” (Legge 21 novembre 2000, n. 353) 30 . La medesima legge si preoccupa di indicare anche la sanzione amministrativa per ogni capo (da 60.000 a 120.000). Dal momento che tali divieti non hanno alcuna attinenza con considerazioni di carattere ecologico (data la diversità di: caratteristiche dell’incendio, suoli, pendenze, piovosità, vegetazione e quindi degli effetti dell’incendio e dei tempi e delle modalità evoluzione del soprassuolo delle aree percorse dal fuoco) appaiono semplicemente l’espressione di una cultura che colpevolizza aprioristicamente pastori e cacciatori e di un persistente centralismo legislativo che non tiene conto delle enormi differenze tra le regioni mediterranee ed alpine. In queste ultime non solo l’incendio è raramente provocato dai pastori e quindi non ha significato il divieto di pascolo “dissuasivo” ma le condizioni climatiche e pedologiche solo in pochi casi determinano la sussistenza di rischi erosivi a seguito del pascolamento di aree percorse dal fuoco. Va anzi osservato che l’assurdo limite di 10 anni determina in assenza di pascolamento nelle “aree boscate” non costituite da fustaie la formazione di quella vegetazione erbacea ed arbustiva che rappresenta un ottimo innesco per il fuoco. La medesima legge ribadendo l’ispirazione anacronistica che vede il pascolamento solo come “nemico” del bosco alle voci dedicate alla prevenzione si limita a fare riferimento alle “operazioni silviculturali di pulizia e manutenzione del bosco”. Per impedire la trasformazione nel “bosco” come definito dalle normative vigenti (anche se in realtà trattasi di formazioni ecotonali che non conducono ad una copertura arborea tantomeno dotata di stabilità e significato protettivo) risulta indispensabile attuare mediante il pascolamento o l’estirpazione una continua “pulizia” del pascolo. Si è visto, però, come a seguito di una situazione di sottopascolamento o di errata gestione del pascolo si assista a volte in pochi anni ad una invasione del pascolo da parte di arbusti con la conseguente riduzione della presenza erbacea e il mutamento del microclima e delle caratteristiche chimico-fisiche del suolo che determinano ulteriore insediamento degli arbusti e quindi delle essenze arboree. Il recupero del pascolo così trasformato è incentivato dai contributi previsti in base all’attuazione delle misure agroambientali delle CE (reg. 91/2079 e ora reg. 99/) è possibile laddove le essenze infestanti sono costituite da arbusti (sui pascoli alpini sopratutto Rododendron ssp. e Alnus viridis, su quelli prealpini Sarothamnus scoparius) ma non è possibile laddove si sia insediata seppur da pochissimi anni la vegetazione arborea (di solito rappresentata da laricini). Gli onerosi interventi di decespugliamento inoltre sono spesso limitati al taglio al piede delle piante in luogo del più risolutivo intervento di estirpazione o comunque taglio del fittone al di sotto del livello del terreno. L’intervento di estirpazione oltre al maggior tempo e fatica necessarie determina un danno al cotico e rischi di erosione del terreno. Un mezzo economico ed efficace per limitare il cespugliamento dei pascoli e i conseguenti onerosi interventi è rappresentato da un pascolo caprino controllato. Esso, sfruttando la predilezione per le piante arbustive ed arboree delle capre se esercitato nelle aree che si desidera mantenere “pulite” risulta molto più efficace del pascolo di altre specie. Bovini, ovini ed equini non disdegnano le foglie delle essenze arboree ed arbustive e, in mancanza di meglio, operano anch’essi lo scortecciamento delle piante ma per “distoglierli” dal pascolo erbaceo è necessario mantenere un 30 come tale vincolante per le Regioni 124

numero elevato di capi in rapporto alla superfice di pascolo. Inoltre lo spettro di essenze arboree ed arbustive consumate dalle capre è più ampio in ragione della maggiore resistenza a fattori tossici o antinutrizionali (alcaloidi, tannini, oli essenziali), ciò spiega il consumo da parte delle capre di piante come seneci (Senecio ssp.) e maggiociondolo (Laburnum anagryoides) contenenti alcaloidi, ginepro (oli essenziali dannosi per il fegato), corteccie (ricche di tannini), essenze spinose (cardi), e comunque poco appetite dai bovini come molte essenze povere di sostanza secca: felci, romici. In generale le capre utilizzano bene molte essenze erbacee non graminacee (comprese quelle a foglia larga e felci ) trascurate dai bovini e la cui la cui diffusione nel sottobosco delle fasce di pasclo arboreo confinanti con il pascolo e nelle aree periferiche del pascolo stesso può determinare la mancata utilizzazione da parte dei bovini e quindi la diffusione della flora arbustiva. Oltre a mantenere la “pulizia” del pascolo nelle zone marginali di esso secondo modalità che non solo non determinano competizione tra le due specie ma aumentano la disponibilità pabulare per i bovini, il pascolo caprino può essere utilizzato per operare il decespugliamento in mdo molto meno oneroso dei tagli e delle estirpazioni. Il pascolo dei ricacci delle ceppaie di arbusti sottoposti al taglio al piede può contenere la capacità di produrre polloni e, se ripetuto, determinare l’esaurimento delle piante. Ma un sistema di pascolo guidato o confinato (attuabile mediante la posa di reti elettrificate comunemente utilizzate per il pascolo ovi-caprino facilmente spostabili) può consentire anche l’eliminazione della flora arbustiva. Ciò è facilmente possibile per molte delle essenze arbustive presenti sui pascoli (ginestre, lamponi, ginepro, rosa canina, mirtilli, ontano verde) poco appetiti risultano i rododendri consumati dalle capre in scarsa misura probabilmente a causa della loro tossicità. Nel caso dell’ontano alpino (Alnus viridis) essenza largamente diffusa alta sino a 2,5 m la tendenza a formare boscaglie dense l’intervento per essere efficace dovrebbe essere eseguito quando la superficie non è ancora interamente occupata dagli arbusti e l’altezza delle piante non è massima. Nel caso degli ontani come di altre formazioni arbustive l’eccessiva densità raggiunta in caso di prolungata assenza di pascolamento non solo riduce la penetrabilità ma anche il rapporto tra la massa di foglie e altro materiale vegetale edibile e accessibile agli animali e la massa legnosa non utilizzabile nonchè la presenza di una copertura erbacea rendendo, oltre un certo limite, impossibile il ricorso al pascolo per contenere l’ulteriore diffusione del cespugliamento. Se l’obiettivo di una gestione sostenibile dello spazio silvopastorale deve consentire un equilibrio tra gli interessi economici (produzione zootecnica, usi ricreativi, silvicoltura) e quelli di natura ambientale (biodiversità, protezione idrogeologica, tutela faunistica) il pascolo, fattore che ha concorso storicamente in modo determinante alla formazione del paesaggio culturale alpino le attività pastorali devono recuperare un ruolo fondamentale. E’ fondamentale, però, che tali attività vengano gestite attraverso una gestione consapevolmente orientata al perseguimento di tali obiettivi. Ciò significa che il territorio deve essere classificato in base agli impatti potenziali del pascolamento distinguendo anche le modalità più appropriate. In nessun caso il pascolo brado(specie per alcune specie dianimali) non può essere ritenuto un metodo sostenibile di gestione del territorio. La mancanza di forme di controllo degli animali in ambienti caratterizzati da un mosaico di condizioni morfologiche, litologiche, climatiche, vegetazionali comporta rischi di danni di diversa natura. Devono essere incentivate, invece, tutte quelle forme di recupero di economicità dei sistemi di allevamento tradizionali sia attraverso la forma del “pascolo di servizio” che attraverso la valorizzazione delle potenzialità produttive delle risorse animali (lane, carne, lana, servizi turistici). Considerando gli aspetti positivi e negativi legati alle caratteristiche di utilizzo del territorio pastorale da parte delle diverse specie animali appare utile la previsione di una destinazione specializzata di alcuni ambiti territoriali ma, più spesso la realizzazione di un utilizzo complementare e coordinato. La messa in atto di queste strategie presuppone forme di aggregazione dei produttori e un ruolo attivo degli enti territoriali. Nel capitolo saranno esposte alcune forme mediante le quali realizzare nuovi sistemi di gestione pastorale. 125

pascolive. Mantenere le anacronistiche prescrizioni di polizia forestale relative al pascolo in bosco,<br />

alla classificazione di bosco, all’assurdo divieto di pascolo nei terreni percorsi dal fuoco significa<br />

optare consapevolmente per una politica di eliminazione del presidio umano del territorio favorendo<br />

l’addensamento della popolazione e delle attività di allevamento nei fondovalle e nelle città e quindi<br />

l’accentuazione degli squilibri territoriali e dello sradicamento culturale e sociale.<br />

E’interessante sottolineare come il divieto del pascolo così come quello di esercizio dell’attività<br />

venatoria nelle aree boscate percorse dal fuoco siano stati ribaditi con una “Legge-quadro in materia<br />

di incendi boschivi” (Legge 21 novembre 2000, n. 353) 30 . La medesima legge si preoccupa di<br />

indicare anche la sanzione amministrativa per ogni capo (da 60.000 a 120.000). Dal momento che<br />

tali divieti non hanno alcuna attinenza con considerazioni di carattere ecologico (data la diversità di:<br />

caratteristiche dell’incendio, suoli, pendenze, piovosità, vegetazione e quindi degli effetti<br />

dell’incendio e dei tempi e delle modalità evoluzione del soprassuolo delle aree percorse dal fuoco)<br />

appaiono semplicemente l’espressione di una cultura che colpevolizza aprioristicamente pastori e<br />

cacciatori e di un persistente centralismo legislativo che non tiene conto delle enormi differenze tra<br />

le regioni mediterranee ed alpine. In queste ultime non solo l’incendio è raramente provocato dai<br />

pastori e quindi non ha significato il divieto di pascolo “dissuasivo” ma le condizioni climatiche e<br />

pedologiche solo in pochi casi determinano la sussistenza di rischi erosivi a seguito del<br />

pascolamento di aree percorse dal fuoco. Va anzi osservato che l’assurdo limite di 10 anni<br />

determina in assenza di pascolamento nelle “aree boscate” non costituite da fustaie la formazione di<br />

quella vegetazione erbacea ed arbustiva che rappresenta un ottimo innesco per il fuoco. La<br />

medesima legge ribadendo l’ispirazione anacronistica che vede il pascolamento solo come<br />

“nemico” del bosco alle voci dedicate alla prevenzione si limita a fare riferimento alle “operazioni<br />

silviculturali di pulizia e manutenzione del bosco”.<br />

Per impedire la trasformazione nel “bosco” come definito dalle normative vigenti (anche se in realtà<br />

trattasi di formazioni ecotonali che non conducono ad una copertura arborea tantomeno dotata di<br />

stabilità e significato protettivo) risulta indispensabile attuare mediante il pascolamento o<br />

l’estirpazione una continua “pulizia” del pascolo. Si è visto, però, come a seguito di una situazione<br />

di sottopascolamento o di errata gestione del pascolo si assista a volte in pochi anni ad una<br />

invasione del pascolo da parte di arbusti con la conseguente riduzione della presenza erbacea e il<br />

mutamento del microclima e delle caratteristiche chimico-fisiche del suolo che determinano<br />

ulteriore insediamento degli arbusti e quindi delle essenze arboree. Il recupero del pascolo così<br />

trasformato è incentivato dai contributi previsti in base all’attuazione delle misure agroambientali<br />

delle CE (reg. 91/2079 e ora reg. 99/) è possibile laddove le essenze infestanti sono costituite da<br />

arbusti (sui pascoli <strong>alpini</strong> sopratutto Rododendron ssp. e Alnus viridis, su quelli pre<strong>alpini</strong><br />

Sarothamnus scoparius) ma non è possibile laddove si sia insediata seppur da pochissimi anni la<br />

vegetazione arborea (di solito rappresentata da laricini). Gli onerosi interventi di decespugliamento<br />

inoltre sono spesso limitati al taglio al piede delle piante in luogo del più risolutivo intervento di<br />

estirpazione o comunque taglio del fittone al di sotto del livello del terreno. L’intervento di<br />

estirpazione oltre al maggior tempo e fatica necessarie determina un danno al cotico e rischi di<br />

erosione del terreno.<br />

Un mezzo economico ed efficace per limitare il cespugliamento dei pascoli e i conseguenti onerosi<br />

interventi è rappresentato da un pascolo caprino controllato. Esso, sfruttando la predilezione per le<br />

piante arbustive ed arboree delle capre se esercitato nelle aree che si desidera mantenere “pulite”<br />

risulta molto più efficace del pascolo di altre specie. Bovini, ovini ed equini non disdegnano le<br />

foglie delle essenze arboree ed arbustive e, in mancanza di meglio, operano anch’essi lo<br />

scortecciamento delle piante ma per “distoglierli” dal pascolo erbaceo è necessario mantenere un<br />

30 come tale vincolante per le Regioni<br />

124

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!