Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

stagioni di pascolo. Un’ altra soluzione consiste nel riprendere nell’ambito degli alpeggi di maggiori dimensioni il sistema della compresenza di ovini e bovini. Questo sistema in aree ad esso idonee come l’Alta Valtellina venne abbandonato in passato a causa di preoccupazioni di ordine sanitario da parte dei proprietari del bestiame bovino che temevano la trasmissione di malattie infettive da parte degli ovini. La situazione attuale dei greggi transumanti non giustifica più queste preoccupazioni (Servizio Sanitario Regione Lombardia). Nell’ambito di un programmazione pastorale a scala territoriale il problema della dimensione dei greggi può essere risolto anche attraverso l’utilizzo dei pascoli di alpeggi limitrofi. L’ultima soluzione che sfrutta la mobilità dei greggi ovini in grado di valicare senza difficoltà le creste montuose e di percorrere considerevoli distanze può essere rappresentata dall’utilizzo a fine stagione dei pascoli di alpeggi tuttora caricati con bovini situati nella stessa area rispetto a quelli utilizzati dagli ovini. Un ruolo molto importante nell’ambito di un’attività pastorale volta alla cura e manutenzione del territorio può essere svolto anche dalle capre. Lasciate senza controllo esse possono provocare una serie di danni oltre a quelli già ricordati. Le capre quando non sono ricoverate per tempo al sopraggiungere dei rigori invernali a causa della neve e del ghiaccio spesso non possono essere facilmente recuperate anche a causa della tendenza a sottrarsi al contatto con l’uomo dopo mesi di vita allo stato libero. In queste condizioni gli animali che sopravvivono all’inverno sono comunque gravemente indeboliti e diventano suscettibili alle infestazioni di parassiti che tendono a trasmettere ad altri animali. I maschi (becchi) se non recuperati tendono a non lasciarsi più avvicinare dall’uome, nemmeno dal proprietario e a volte divengono aggressivi nei confronti dell’uomo e potenzialmente pericolosi. Animali lasciati senza controllo rappresentano in ogni caso un potenziale fattore di trasmissione di malattie infettive (attraverso le carcasse, le placente, i feti abortiti) e di contaminazione delle prese dell’acqua potabile e delle sorgenti. Questo sistema di allevamento brado, praticato in in condizioni climatiche proibitive come quelle alpine che vede in pieno inverno capre e pecore lasciate di proposito (o per intempestività nel ritorno alle stalle e sopraggiunta impossibilità di effettuarlo) non ha nulla a che fare con i sistemi pastorali tradizionali e dovrebbe essere sanzionato come previsto dalle normative. Il vantaggio ricavato dai proprietari degli animali (definirli allevatori o pastori è improprio e comunque immeritato) è limitato specie se lo si raffronta ai danni all’ambiente e alla collettività (interferenza con le specie eselvatiche e con l’attività venatoria, danni a manufatti e infrastrutture, rischi igienici e sanitari, danni forestali ecc.). Oltre alle perdite (animali morti per incidenti) lo stato nutrizionale e sanitario (parassitosi) di questi animali è spesso precario e questo limita fortemente la loro produttività. Nel caso delle capre la cui unica produzione è rappresentata in questo sistema semibrado dal solo capretto pasquale i parti tardivi, e la limitata produzione di latte delle madri non consentono il raggiungimento di pesi di macellazione soffisfacienti e comunque la capacità di produzione è largamente inferiore a quella potenziale anche tenendo conto della scarsa gemellarità 28 . E’ indicativo dell’insufficiente attenzione ai problemi pastorali che mentre da una parte sopravvivono anacronistici regolamenti di polizia forestale che impediscono il pascolo caprino in bosco (indipendentemente dalle effettive condizioni del soprassuolo e dalla presenza o meno di un controllo da parte del pastore) dall’altra si utilizzino risorse pubbliche per costosi interventi di recupero con elicotteri di greggi bloccati in alta montagna dalla neve a causa della negligenza dei proprietari. In questi casi l’intervento dovrebbe essere effettuato per evitare inutili sofferenze agli animali e i problemi sopra considerati ma il costo dovrebbe essere in parte sostenuto con il ricavato delle sanzioni comminate a norma di legge ai poco responsabili proprietari sino al sequesto degli animali nei casi più gravi o recidivi. Se il pascolo brado degli ovini e dei caprini è da considerare negativamente, forme di pascolo estensivo anche nell’ambito di aree boscate deve essere incoraggiato. E’ già stato ricordato come il 28 Condizionata negativamente dallo stato nutrizionale al momento dell’ovulazione e dalla taglia spesso ridotta delle madri a sua volta determinata dal mancato controllo delle monte e dalla fecondazione autunnale di caprette nate a primavera e non sufficientemente sviluppate. 122

pascolo, particolarmente quello caprino, rappresenti se correttamente attuato un mezzo di prevenzione degli incendi boschivi e , più in generale, del degrado delle superfici boscate. Anche per quanto riguarda la definizione di “bosco” è opportuno rilevare che nell’ambito di una considerazione della gestione silvopastorale che tenga conto delle più recenti acquisizioni scientifiche e dei pronunciamenti di autorevoli organi politici (Commissione europea) 29 si tratta di operare indispensabili aggiornamenti legislativi. Attualmente la normativa in materia forestale (Regolamento di massima e prescizioni di Polizia Forestale) classifica come “bosco” ogni superfice dove a seguito della cessazione dell’attività di sfalcio o di pascolamento da almento tre anni e per opera della disseminazione spontanea le essenze arboree ed arbustive abbiano superato il 20% della copertura del suolo. Il recente D.L. 18 maggio 2001, n. 227 all’ art. 2, comma 6 si preoccupa di stabilire (in attesa che le Regioni procedano entro 12 mesi ad emanare nuove norme regionali di definizione del “bosco”) che: “ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui esse sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento con misurazione effettuata alla base esterna dei fusti ...” Come si vede una definizione molto “larga” che deve preoccuparsi di precisare che non sono bosco .... i giardini pubblici e privati. Non distinguendo tra bosco e neoformazioni (spesso come visto rappresentative di una successione vegetazionale che non conduce ad una stabile formazione boschiva in grado di rinnovarsi naturalmente) ed applicando i vincoli previsti per i boschi veri e propri si tende a favorire in modo irragionevole la perdita dei pascoli. E’ ovvio che ci si trova di fronte ad un vero e proprio anacronismo legislativo che si rispecchia anche in altri articoli del sopracitato regolamento. I criteri attuali di classificazione del bosco potevano essere idonei 50 anni orsono quando, dopo le distruzioni dei boschi avvenute nel periodo bellico, vi era l’esigenza di favorire l’estensione delle aree boscate. Il legislatore italiano pare non accorgersi di tutto questo influenzato da vecchi “dogmi forestali” e da nuove “pulsioni verdi”. La sopracitata Legge del maggio 2001 (una di quelle del “paniere” di fine legislatura) si preoccupa di ribadire all’art 4, comma 1 che “Costituisce trasformazione del bosco in altra destinazione d’uso del suolo, ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione esistente finalizzata ad un’utilizzazione del terreno diversa da quella forestale” e (comma 2) che “La trasformazione del bosco è vietata, fatte salve le autorizzazioni rilasciate dalle regioni in conformità con l’articolo 151 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, compatibilmente con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valenghe e dalla caduta di massi, con la tutela del paesaggio, con l’azione frangivento e di igiene ambientale locale”. In ogni caso la trasformazione del bosco deve essere compensata da rimboschimenti con specie autoctone, preferibilmente di provenienza locale, su terreni non boscati a spese del destinatario alla trasformazione di coltura nell’ambito del medesimo bacino idrografico. C’è da chiedersi in quale mondo vivano i legislatori ed i loro consulenti scientifici. Oggi i villaggi di montagna sono stretti d’assedio dal bosco; gli scarsi (ed anziani) abitanti rimasti non sono in grado di fronteggiarne l’avanzata. Rispetto ad una situazione di sovrapopolamento umano della montagna, dove il bosco era sotto pressione a causa della’elevata utilizzazione di legna, foglia, foraggio da parte della popolazione oggi la situazione è ribaltata; la pressione dell’uomo e degli animali domestici sul bosco ha lasciato il posto ad una pressione crescente del bosco, degli ungulati selvatici e, in prospettiva anche dei grandi carnivori, sull’uomo, gli animali domestici e le risorse 29 Documento “Biodiversità” 123

stagioni di pascolo. Un’ altra soluzione consiste nel riprendere nell’ambito degli alpeggi di maggiori<br />

dimensioni il sistema della compresenza di ovini e bovini. Questo sistema in aree ad esso idonee<br />

come l’Alta Valtellina venne abbandonato in passato a causa di preoccupazioni di ordine sanitario<br />

da parte dei proprietari del bestiame bovino che temevano la trasmissione di malattie infettive da<br />

parte degli ovini. La situazione attuale dei greggi transumanti non giustifica più queste<br />

preoccupazioni (Servizio Sanitario Regione Lombardia). Nell’ambito di un programmazione<br />

pastorale a scala territoriale il problema della dimensione dei greggi può essere risolto anche<br />

attraverso l’utilizzo dei pascoli di alpeggi limitrofi. L’ultima soluzione che sfrutta la mobilità dei<br />

greggi ovini in grado di valicare senza difficoltà le creste montuose e di percorrere considerevoli<br />

distanze può essere rappresentata dall’utilizzo a fine stagione dei pascoli di alpeggi tuttora caricati<br />

con bovini situati nella stessa area rispetto a quelli utilizzati dagli ovini. Un ruolo molto importante<br />

nell’ambito di un’attività pastorale volta alla cura e manutenzione del territorio può essere svolto<br />

anche dalle capre. Lasciate senza controllo esse possono provocare una serie di danni oltre a quelli<br />

già ricordati. Le capre quando non sono ricoverate per tempo al sopraggiungere dei rigori invernali<br />

a causa della neve e del ghiaccio spesso non possono essere facilmente recuperate anche a causa<br />

della tendenza a sottrarsi al contatto con l’uomo dopo mesi di vita allo stato libero. In queste<br />

condizioni gli animali che sopravvivono all’inverno sono comunque gravemente indeboliti e<br />

diventano suscettibili alle infestazioni di parassiti che tendono a trasmettere ad altri animali. I<br />

maschi (becchi) se non recuperati tendono a non lasciarsi più avvicinare dall’uome, nemmeno dal<br />

proprietario e a volte divengono aggressivi nei confronti dell’uomo e potenzialmente pericolosi.<br />

Animali lasciati senza controllo rappresentano in ogni caso un potenziale fattore di trasmissione di<br />

malattie infettive (attraverso le carcasse, le placente, i feti abortiti) e di contaminazione delle prese<br />

dell’acqua potabile e delle sorgenti. Questo sistema di allevamento brado, praticato in in condizioni<br />

climatiche proibitive come quelle alpine che vede in pieno inverno capre e pecore lasciate di<br />

proposito (o per intempestività nel ritorno alle stalle e sopraggiunta impossibilità di effettuarlo) non<br />

ha nulla a che fare con i sistemi <strong>pastorali</strong> tradizionali e dovrebbe essere sanzionato come previsto<br />

dalle normative. Il vantaggio ricavato dai proprietari degli animali (definirli allevatori o pastori è<br />

improprio e comunque immeritato) è limitato specie se lo si raffronta ai danni all’ambiente e alla<br />

collettività (interferenza con le specie eselvatiche e con l’attività venatoria, danni a manufatti e<br />

infrastrutture, rischi igienici e sanitari, danni forestali ecc.). Oltre alle perdite (animali morti per<br />

incidenti) lo stato nutrizionale e sanitario (parassitosi) di questi animali è spesso precario e questo<br />

limita fortemente la loro produttività. Nel caso delle capre la cui unica produzione è rappresentata in<br />

questo sistema semibrado dal solo capretto pasquale i parti tardivi, e la limitata produzione di latte<br />

delle madri non consentono il raggiungimento di pesi di macellazione soffisfacienti e comunque la<br />

capacità di produzione è largamente inferiore a quella potenziale anche tenendo conto della scarsa<br />

gemellarità 28 .<br />

E’ indicativo dell’insufficiente attenzione ai problemi <strong>pastorali</strong> che mentre da una parte<br />

sopravvivono anacronistici regolamenti di polizia forestale che impediscono il pascolo caprino in<br />

bosco (indipendentemente dalle effettive condizioni del soprassuolo e dalla presenza o meno di un<br />

controllo da parte del pastore) dall’altra si utilizzino risorse pubbliche per costosi interventi di<br />

recupero con elicotteri di greggi bloccati in alta montagna dalla neve a causa della negligenza dei<br />

proprietari. In questi casi l’intervento dovrebbe essere effettuato per evitare inutili sofferenze agli<br />

animali e i problemi sopra considerati ma il costo dovrebbe essere in parte sostenuto con il ricavato<br />

delle sanzioni comminate a norma di legge ai poco responsabili proprietari sino al sequesto degli<br />

animali nei casi più gravi o recidivi.<br />

Se il pascolo brado degli ovini e dei caprini è da considerare negativamente, forme di pascolo<br />

estensivo anche nell’ambito di aree boscate deve essere incoraggiato. E’ già stato ricordato come il<br />

28 Condizionata negativamente dallo stato nutrizionale al momento dell’ovulazione e dalla taglia spesso ridotta delle<br />

madri a sua volta determinata dal mancato controllo delle monte e dalla fecondazione autunnale di caprette nate a<br />

primavera e non sufficientemente sviluppate.<br />

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