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Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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presenza stabile del personale comporta una serie di conseguenze, a volte negative, che<br />

rispecchiano le diverse modalità con cui questo passaggio viene attuato (specie animale, carico di<br />

bestiame, grado di sorveglianza). Nel caso degli ovini esistono due modalità di utilizzo dei pascoli<br />

<strong>alpini</strong>: l’una con grossi greggi transumanti (anche 1.000-1.500 capi) sotto la custodia permanente di<br />

un pastore che, come in passato, utilizza come ricoveri i tradizionali “baitelli” di alta quota o<br />

vecchie strutture di alpeggio, l’altra con piccoli greggi di uno o più proprietari che esercitano una<br />

sorveglianza minima sui loro capi (saltuaria somministrazione di sale, controllo a distanza con<br />

binocolo). Anche le capre di piccoli allevatori precocemente messe in asciutta alla fine della<br />

primavera vengono spesso trasferite sui pascoli <strong>alpini</strong> durante l’estate e sottoposte ad una minima<br />

sorveglianza. Nel caso delle capre questo sistema non ha riscontro con le pratiche tradizionali (che<br />

prevedevano la custodia e la mungitura durante l’estate) e deve essere considerato una forma<br />

regressiva al di fuori degli schemi dell’attività pastorale. Anche l’aumento degli equini e la<br />

destinazione di intere Alpi a manze e “asciutte” rappresenta un elemento nuovo che comunque<br />

garantisce un certo grado di utilizzo dei pascoli preferibile nella maggior parte dei casi<br />

all’abbandono. Bovini ed equini in un sistema di pascolo brado o semi-brado tendono ad occupare<br />

aree ampie ma con caratteristiche abbastanza definite (copertura vegetale prevalentemente erbacea,<br />

pendenze non troppo accentuate, ampia prospettiva visuale) il che li porta a limitare la mobilità e a<br />

mantenere l’occupazione di una determinata area. Ovini e caprini in assenza di sorveglianza sono<br />

caratterizzati da maggiore mobilità che li porta ad occupare zone differenziate dal punto di vista<br />

morfologico e vegetazionale. Ciò comporta il pascolamento di aree non sempre idonee con rischio<br />

di danni potenziali all’ambiente all’interno del variegato e fragile ecosistema alpino. Il danno<br />

potenziale può riguardare l’innesco di fenomeni erosivi legati, nel caso degli ovini, alla tendenza a<br />

pascolare in formazione compatta anche su terreni in forte pendenza e con copertura erbacea<br />

discontinua e larga proporzione di suolo nudo. La necessità di definire le aree adatte o meno al<br />

pascolo ovino e di adottare piani di pascolo adeguati è stata sottolineata da Stadler e Wiedmer<br />

(1999) in uno studio su 20 aree di pascolo delle Alpi Svizzere. Nel caso delle capre la tendenza ad<br />

inerpicarsi su scarpate e terreni instabili nonché sui tetti delle baite può provocare danni a vari<br />

manufatti, cadute di sassi. La tendenza alla mobilità di queste specie può comportare anche un certo<br />

grado di disturbo per le specie selvatiche. In entrambe le specie, ma in particolare nel caso delle<br />

capre, caratterizzate dalla capacità di ergersi sugli arti posteriori e di raggiungere la vegetazione<br />

arborea sino a 1,80 m da terra e da una relativa maggiore predilezione per la vegetazione arborea ed<br />

arbustiva rispetto a quella erbacea, il pascolo senza controllo può comportare anche in relazione al<br />

rapporto tra animali e superficie interessata, danni forestali che possono risultare più o meno gravi<br />

in relazione al tipo di essenze (conifere piuttosto che latifoglie), alla loro varietà e al sistema di<br />

governo del bosco. Sia nel caso delle capre che delle pecore e, in minor misura, degli equini la<br />

caratteristica di questi animali di utilizzare l’erba recidendola o strappandola a breve distanza dal<br />

terreno può risultare positiva per l’evoluzione del cotico e il mantenimento della varietà delle<br />

essenze erbacee presenti nel pabulum in caso di un regime di pascolo controllato, ma negativa in<br />

circostanze di carico eccessivo di pascolo e, sopratutto, di ripetizione a distanza troppo ravvicinata<br />

del ciclo di utilizzo. Nel caso di un pascolo non continuato sulla stessa superficie pabulare il<br />

pascolo ovino (o caprino) è favorita la diffusione di specie a basso portamento, una migliore<br />

fogliosità e densità del cotico. Ma se il ritmo di utilizzazione è troppo elevato le riserve della pianta,<br />

localizzate nelle zone basali, tendono ad esaurirsi e con esse la capacità di recupero e di ricaccio<br />

della pianta a seguito di stress (freddo, carenza idrica).<br />

Le diverse modalità di utilizzazione del pascolo da parte di diverse specie e categorie di animali<br />

possono essere convenientemente sfruttate per ottenere una combinazione ottimale degli obiettivi<br />

ecologici ed economici dell’attività pastorale. Negli ultimi anni la disponibilità di nuove tecniche<br />

per lo studio del comportamento al pascolo ha consentito il conseguimento di più approfondite<br />

conoscenze sulla materia. Si è compreso che il comportamento al pascolo e, in particolare, la<br />

selettività di utilizzo del foraggio disponibile che condiziona il grado di utilizzo del cotico e la sua<br />

composizione floristica, devono essere considerati su diverse scale spaziali e tenendo anche<br />

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