Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

appresentano un fattore di stabilità dell’ecosistema. Anche in questo caso, però, il forte aumento delle popolazioni di ungulati selvatici sull’arco alpino (caratterizzato per la parte centro-occidentale da una vera e propria reitroduzione spontanea) ha messo in evidenza i limiti di una soluzione esclusivamente “naturalistica” dei problemi di equilibrio ecologico dei terrirori alpini. E’facile constatare che se da una parte l’abbandono delle attività agropastorali in quota e, sopratutto, sui versanti, ha ampliato l’habitat di questi selvatici, d’altra parte la consistenza delle loro popolazioni risulta fortemente limitata dalla riduzione degli ambienti adatti a fungere “da quartieri invernali”. L’antropizzazione del fondovalle (insediamenti residenziali, industriali, terziari, infrastrutture) e la bonifica agricola di terreni un tempo caratterizzati da vegetazione boschiva riparia e soggetti a periodiche esondazioni limita le risorse trofiche e gli spazi invernali per questi animali. La dimostrazione è data dalla necessità di provvedere con alimentazione invernale di soccorso o, secondo gli orientamenti più recenti della gestione faunistica, alla predisposizione di “coltivazioni a perdere” necessarie per impedire l’aumento dei già rilevanti danni alle colture arrecati dai cervi. E’evidente quindi che solo un ragionevole equilibrio tra specie erbivore domestiche e selvatiche può risolvere il problema dell’equilibrio tra bosco e superfici erbacee. Nell’ambito di questo equilibrio deve essere rimarcato come la presenza del pascolamento degli erbivori domestici mantenendo l’alternanza di fasce boscate e di pascoli ed impedendo la chiusura delle formazioni boschive può contribuire ad aumentare le risorse trofiche di cui gli ungulati selvatici attraverso due meccanismi: 1) aumento della “frangia” tra superfici dove il bosco è stabilmente insediato e le superfici a vegetazione erbacea (dove la varietà di vegetazione erbacea e arbustiva consente di reperire materiale vegetale edibile anche in diverse fasi stagionali); 2) disponibilità di ricacci erbacei primaverili ed autunnali nel sottobosco e nelle radure boschive. Questi meccanismi favoriscono la soluzione del problema del reperimento alimentare nella cruciale fase primaverile e tendono a controbilanciare efficacemente la potenziale concorrenzialità tra erbivori domestici e selvatici durante il periodo estivo quando, come già accennato, le risorse trofiche sono al culmine della disponibilità. L’evoluzione dei pascoli in seguito all’abbandono delle attività pastorali comporta delle successioni di formazioni vegetazionali che possono variare sia per la durata che per l’esito del processo evolutivo. L’idea che all’invasione da parte delle essenze arbustive succeda inevitabilmente una formazione boschiva secondaria è da ritenere decisamente semplicistica (Hopkins, 1996). In funzione delle condizioni pedologiche e ambientali (scarsa fertilità, umidità), della capacità di competizione e inibizione da parte del cotico erboso nei confronti dell’invasione arborea, l’affermazione di una bosco può essere più o meno rapida e condurre o meno ad una formazione in grado di rinnovarsi naturalmente e di garantire una funzione protettiva, estetica e dove le circostanze lo consentono anche economica. Dove la fertilità del suolo è scarsa gli arbusti, avvantaggiati dalle ampie riserve di fosforo e di azoto dei loro grossi semi sono avvantaggiate rispetto alle graminacee che, essendo caratterizzare da semi di piccole dimensioni sono anche penalizzate dalla carenza idrica che ostacola l’utilizzo dell’azoto. In queste situazioni di scarsa fertilità e umidità, però, anche la crescita del bosco è difficile. In molti casi il processo di affermazione del bosco esige molti decenni nel corso dei quali le formazioni arbustive o arboreo/arbustive tipiche di questa transizione caratterizzano un paesaggio che, sin dai primi stadi dell’invasione abustiva, manifesta una drastica riduzione della biodiversità, una scarsa qualità estetica, la difficile progressione sul terreno degli escursionisti, cacciatori, raccoglitori di funghi o essenze aromatiche (ma anche squadre anti-incendio), dove è facile l’innesco degli incendi boschivi e gravi le loro conseguenze. In alcune situazioni le formazioni boschive appaiono instabili (formazioni ecotonali) e soggette ad una trasformazione ciclica dove l’insediamento della vegetazione arborea non è accampognato dala capacità di rinnovazione e quindi di stabilità. In queste condizioni l’insediamento di essenze arboree è limitato o comunque accompagnato dalla persistenza di un consistente strato arbustivo. Questo tipo di formazioni miste con forte presenza 106

arbustiva rappresenta l’esito, oltre che dell’abbandono dello sfruttamento con il pascolo o della coltivazione foraggera, anche del degrado di coltivazioni arboree da frutto (castagneti) e di boschi cedui maggiore nel caso di superfici meno facilmente accessibili e più declivi. In altre situazioni questo tipo di formazioni boschive sono il risultato di misure di malintesa “conservazione ambientale” da parte di “piani di salvaguardia” adottati da “Parchi” e “Riserve naturali”. In queste condizioni si assiste ad un accumulo pericoloso di sostanza organica combustibile nello strato inferiore erbaceo e nello strato intermedio arbustivo. L’erba secca e il materiale accumulato negli strati inferiori possono costituire l’innesco allo sviluppo dell’incendio che la presenza dello strato intermedio arbustivo estende a tutto l’insieme della vegetazione con la conseguenza dello sviluppo di un “fuoco totale” che raggiunge elevatissime temperature. In queste condizioni il suolo subisce una forte alterazione con la formazione di uno strato impermeabile che riduce l’infiltrazione delle acque meteoriche aumentando il rischio di smottamenti. Il ruolo del pascolamento nell’ambito delle formazioni boschive suscettibili a degrado e rischio di incendi e instabilità è molteplice: • riduzione dell’accumulo di materiale combustibile negli strati inferiori; • riduzione della massa arbustiva, solitamente molto appetita, a vantaggio della vegetazione erbacea; • riduzione della vegetazione arborea degli strati più bassi grazie al brucamento dei rami più bassi (operato con particolare efficienza dalle capre fino a 1,8 m di altezza); • facilitazione della decomposizione di materiale vegetale attraverso l’azione meccanica degli unghielli Questi effetti non solo riducono (in modo più o meno efficiente in relazione alla massa raggiunta dalla vegetazione arbustiva) la biomassa potenzialmente combustibile ma creano una soluzione di continuità tra gli strati inferiori del profilo vegetazionale e quelli superiori riducendo la gravità delle conseguenze dell’incendio. Dal punto di vista più propriamente selvicolturale l’effetto di “pulizia” del sottobosco e la defogliazione dei rami più bassi delle essenze arboree nonchè l’eliminazione dei polloni possono favorire lo svettamento delle piante e l’evoluzione di boschi ad alto fusto o, quantomeno verso formazioni di maggiore qualità forestale e paesistica. Questi interventi possono risultare come conseguenza “secondaria” di un’attività agropastorale ordinaria ma possono divenire oggetto di una vera e propria politica di difesa contro gli incendi in cui l’attività pastorale è finalizzata oltre che alla pulizia del sottobosco alla creazione e alla manutenzione di fasce tagliafuoco o altre zone finalizzate alla creazione di interruzioni della presenza di materiale combustibile e “fasce tampone” disboscate tra la foresta le strade di comunicazione e le superfici agricole da dove può originarsi l’incendio. Nel Sud della Francia questa strategia è attuata mediante diverse modalità che possono prevedere degli appositi contratti tra pastori e servizio anti-incendio. In alcuni casi sono stati realizzati nell’ambito di comprensori forestali nuovi allevamenti ovicaprini per meglio rispondere alle esigenze di questa politica di difesa dagli incendi boschivi. Vale la pena rilevare che in ambito alpino l’esigenza di nuove strategie di lotta agli incendi boschivi pur interessando in modo più drammatico le Alpi marittime caratterizzate da un clima secco anche in altre aree dell’Arco Alpino durante la stagione invernale in assenza di precipitazioni e in assenza di manto nevoso gli incendi possono risultare di notevole estensione e gravità. Anche in Lombardia è in corso un’esperienza pilota promossa dalla Comunità Montana Bassa Val Seriana con il sostegno della Regione Lombardia che consiste nell’utilizzo di greggi di ovini di razza Bergamasca (1.500 capi + 50 capre ciascuno) per il pascolamento di aree facilmente e periodicamente soggette all’incendio. L’obiettivo è principalmente quello dell’eliminazione del residuo paglioso (Molinia ssp.) che costituisce ai margini delle strade e delle boscaglie facile innesco al fuoco (sempre doloso) e il contenimento della vegetazione arbustiva. Questo “pascolo di 107

appresentano un fattore di stabilità dell’ecosistema. Anche in questo caso, però, il forte aumento<br />

delle popolazioni di ungulati selvatici sull’arco alpino (caratterizzato per la parte centro-occidentale<br />

da una vera e propria reitroduzione spontanea) ha messo in evidenza i limiti di una soluzione<br />

esclusivamente “naturalistica” dei problemi di equilibrio ecologico dei terrirori <strong>alpini</strong>. E’facile<br />

constatare che se da una parte l’abbandono delle attività agro<strong>pastorali</strong> in quota e, sopratutto, sui<br />

versanti, ha ampliato l’habitat di questi selvatici, d’altra parte la consistenza delle loro popolazioni<br />

risulta fortemente limitata dalla riduzione degli ambienti adatti a fungere “da quartieri invernali”.<br />

L’antropizzazione del fondovalle (insediamenti residenziali, industriali, terziari, infrastrutture) e la<br />

bonifica agricola di terreni un tempo caratterizzati da vegetazione boschiva riparia e soggetti a<br />

periodiche esondazioni limita le risorse trofiche e gli spazi invernali per questi animali. La<br />

dimostrazione è data dalla necessità di provvedere con alimentazione invernale di soccorso o,<br />

secondo gli orientamenti più recenti della gestione faunistica, alla predisposizione di “coltivazioni a<br />

perdere” necessarie per impedire l’aumento dei già rilevanti danni alle colture arrecati dai cervi.<br />

E’evidente quindi che solo un ragionevole equilibrio tra specie erbivore domestiche e selvatiche<br />

può risolvere il problema dell’equilibrio tra bosco e superfici erbacee. Nell’ambito di questo<br />

equilibrio deve essere rimarcato come la presenza del pascolamento degli erbivori domestici<br />

mantenendo l’alternanza di fasce boscate e di pascoli ed impedendo la chiusura delle formazioni<br />

boschive può contribuire ad aumentare le risorse trofiche di cui gli ungulati selvatici attraverso due<br />

meccanismi: 1) aumento della “frangia” tra superfici dove il bosco è stabilmente insediato e le<br />

superfici a vegetazione erbacea (dove la varietà di vegetazione erbacea e arbustiva consente di<br />

reperire materiale vegetale edibile anche in diverse fasi stagionali); 2) disponibilità di ricacci<br />

erbacei primaverili ed autunnali nel sottobosco e nelle radure boschive.<br />

Questi meccanismi favoriscono la soluzione del problema del reperimento alimentare nella cruciale<br />

fase primaverile e tendono a controbilanciare efficacemente la potenziale concorrenzialità tra<br />

erbivori domestici e selvatici durante il periodo estivo quando, come già accennato, le risorse<br />

trofiche sono al culmine della disponibilità.<br />

L’evoluzione dei pascoli in seguito all’abbandono delle attività <strong>pastorali</strong> comporta delle successioni<br />

di formazioni vegetazionali che possono variare sia per la durata che per l’esito del processo<br />

evolutivo. L’idea che all’invasione da parte delle essenze arbustive succeda inevitabilmente una<br />

formazione boschiva secondaria è da ritenere decisamente semplicistica (Hopkins, 1996).<br />

In funzione delle condizioni pedologiche e ambientali (scarsa fertilità, umidità), della capacità di<br />

competizione e inibizione da parte del cotico erboso nei confronti dell’invasione arborea,<br />

l’affermazione di una bosco può essere più o meno rapida e condurre o meno ad una formazione in<br />

grado di rinnovarsi naturalmente e di garantire una funzione protettiva, estetica e dove le<br />

circostanze lo consentono anche economica. Dove la fertilità del suolo è scarsa gli arbusti,<br />

avvantaggiati dalle ampie riserve di fosforo e di azoto dei loro grossi semi sono avvantaggiate<br />

rispetto alle graminacee che, essendo caratterizzare da semi di piccole dimensioni sono anche<br />

penalizzate dalla carenza idrica che ostacola l’utilizzo dell’azoto. In queste situazioni di scarsa<br />

fertilità e umidità, però, anche la crescita del bosco è difficile.<br />

In molti casi il processo di affermazione del bosco esige molti decenni nel corso dei quali le<br />

formazioni arbustive o arboreo/arbustive tipiche di questa transizione caratterizzano un paesaggio<br />

che, sin dai primi stadi dell’invasione abustiva, manifesta una drastica riduzione della biodiversità,<br />

una scarsa qualità estetica, la difficile progressione sul terreno degli escursionisti, cacciatori,<br />

raccoglitori di funghi o essenze aromatiche (ma anche squadre anti-incendio), dove è facile<br />

l’innesco degli incendi boschivi e gravi le loro conseguenze. In alcune situazioni le formazioni<br />

boschive appaiono instabili (formazioni ecotonali) e soggette ad una trasformazione ciclica dove<br />

l’insediamento della vegetazione arborea non è accampognato dala capacità di rinnovazione e<br />

quindi di stabilità.<br />

In queste condizioni l’insediamento di essenze arboree è limitato o comunque accompagnato dalla<br />

persistenza di un consistente strato arbustivo. Questo tipo di formazioni miste con forte presenza<br />

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