Sistemi zootecnici e pastorali alpini Prof. Michele Corti ... - Ruralpini

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08.06.2013 Views

I vantaggi ecologici del pascolo estensivo Tab. Confronto tra sistemi pastorali e zootecnici intensivi in montagna SISTEMI PASTORALI SISTEMI ZOOTECNICI INTENSIVI usi complementari delle diverse fasce territoriali utilizzo squilibrato del territorio • protezione ambientale • impatto ambientale negativo (specie azoto) • mantenimento biodiversità • perdita di diversità biologica • usi ricreativi • abbandono dei versanti e alta quota • riproduzione cultura tradizionale • perdita diversità culturale I sistemi di alimentazione degli animali di interesse zootecnico basati sul pascolo non sono di per sè “ecologici”. Il pascolo può determinare impatti negativi sull’ambiente sia in sistemi intensivi che espensivi. Il pascolo su terreni leggeri (come nella zootecnia da latte olandese) comporta perdite di azoto per lisciviazione dei nitrati a causa dell’urinazione (in stalla si avrebbe, però, perdita di ammoniuaca nell’atmosfera). Nei sistemi pastorali estensivi in aree aride il pascolamento può determinare desertificazione. In Brasile l’allevamento estensivo basato sul pascolo è realizzato a spese della distruzione della foresta pluviale. La trattazione seguente tiene conto della realtà di molte aree europee interessate a forme di abbandono dell’attività agricola. Da qualche anno a questa parte si è andata consolidando sul piano scientifico la convinzione che i sistemi di pascolo estensivi svolgano un ruolo positivo sugli equilibri ecologici e che il loro mantenimento sia preferibile alla situazione che si verrebbe a creare a seguito dell’abbandono di ogni attività pastorale. Le evidenze scientifiche indicano come la conservazione della maggior parte degli habitat degli spazi aperti (e anche di diversi habitat boschivi) sia legata all’attività di pascolamento secondo i tradizionali metodi estensivi. Da queste considerazioni discende il sempre più frequente utilizzo di programmi ambientali che prevedono l’impiego del pascolo come strumento di una gestione ambientale finalizzato alla conservazione o alla reintroduzione di singole specie o di biocenosi e, più in generale per mantenere particolari ambienti. Se, da una parte, la riduzione o l’abbandono di sistemi di pascolo intensivo rappresenta una opportunità, il declino dei sistemi di pascolamento estensivi rappresenta un pericolo per la qualità dell’ambiente (Bullock e Amstrong, 2000). In alcuni paesi negli ultimi anni si è molto diffuso l’utilizzo del pascolamento con animali domestici come mezzo per gestire la copertura vegetale e conseguire determinate obiettivi ecologici. Tra questi paesi si segnalano il Regno Unito, l’Olanda e la Francia mentre l’Italia appare in forte ritardo. Le ragioni di tale ritardo possono essere in parte spiegate con le differenze climatiche ma dipendono in gran parte da fattori politici e culturali (illustrati in altre parti del testo). A favore dei sistemi pastorali vi è la loro capacità di creare e mantenere delle condizioni che soddisfano al requisito di una buona stabilità dell’ecosistema. A prescindere dai pascoli ricavati al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea (dove le formazioni vegetali spontanee sono costituite da essenze erbacee) anche nei piani inferiori un pascolo estensivo può determinare l’instaurarsi di formazioni vegetali seminaturali (antropoclimax). Il valore ecologico di queste formazioni naturali è legato al fatto che con il pascolamento si afferma la presenza di un elevato numero di specie vegetali ed animali (macro e microfauna) ossia di un buon indice di biodiversità. La stabilità ecologica delle formazioni vegetali risultanti da una lunga e continua utilizzazione 104

pascoliva è dimostrata dal fatto che, spesso, l’evoluzione vegetazionale dopo l’abbandono è piuttosto lenta mostrando i suoi effetti (solitamente negativi) a distanza di anni quando diventa difficile il recupero. Alle formazioni vegetali corrispondenti ad un raggiunto e sufficientemente stabile equilibrio ecologico legato al pascolamento corrispondono dei biotopi antropo-zoogenici che possono contribuire efficacemente al mantenimento di specie animali e vegetali rare e minacciate. Dal momento che l’evoluzione della copertura vegetazionale in conseguenza dell’abbandono delle utilizzazioni pastorali può essere valutata positivamente solo quando l’insediamento del bosco avviene in tempi rapidi e che le foreste, sull’Arco Alpino (ma non solo) hanno già rioccupato molte delle superfici più adatte al loro ritorno (quelle, per intenderci, “rubate” dall’uomo con il disboscamento delle quote intermedie tra il fondovalle e la zona degli alpeggi) non deve sorprendere che negli “Orientamenti.per una agricoltura sostenibile.” si affermi che “agli effetti del mantenimento della biodiversità non è auspicabile un ulteriore avanzamanto della foresta a danno dei pascoli” L’affermazione che il problema attuale non sia rappresentato dalla difesa della foresta dal pascolo ma dalla difesa del pascolo dalla foresta assume portata storica considerando che la scienza e la politica hanno sostenuto negli ultimi due secoli una accanita polemica a favore dell’estensione delle zone boscate. Siamo di fronte quindi ad un problema culturale. Alla “svolta” si è pervenuti grazie alle osservazioni scientifiche rese possibili dalla presenza nella montagna europea di ambienti dove l’abbandono del pascolamento data da ormai da molti anni. “... la forte eterogeneità morfologica, geologica e climatica del territorio italiano determina una notevole variabilità floristica e vegetazionale dei fascoli e dei prati, per i quali risulta quindi assai complicata una valutazione generale dell’evoluzione in atto, e Studi e sperimentazioni eseguite negli ultimi anni in differenti contesti ambientali italiani e stranieri, permettono però di intravedere degli effetti tendenzialmente svantaggiosi in questa dinamica che, eccetto laddove venga favorito il rapido reingresso del bosco, porta spesso al degrado del cotico erboso e alla formazione di tipologie vegetazionali di modesta ricchezza floristica e dal destino evolutivo interno. In particolare si è osservata la contrazione delle superfici aperte pascolive, la riduzione del valore pastorale (unità di misura della qualità e della produttività del cotico erboso), la semplificazione e la banalizzazione delle risorse, con conseguenti riduzioni di produzioni di foraggio, erosioni genetiche e abbassamento dei livelli di biodiversità, peggioramenti paesaggistici, compromissione di habitat di animali selvatici.” 24 Prima di addentrarci nei diversi aspetti che inducono gli ecologi e i conservazionisti a valutare positivamente la presenza del pascolo estensivo conviene anteporre qualche considerazione di carattere generale. L’idea che la natura lasciata a sè stessa pervenga alla condizione di un equilibrio “ottimale” tra specie vegetali e tra vegetali ed animali si scontra con la constatazione che i fattori che in natura consentono di pervenire a questa condizione e di mantenerla (incendi e alluvioni) non sono compatibili con l’esistenza di una vita sociale organizzata. Anche presupponendo una totale deantropizzazione del territorio montano, eventualità del tutto negativa dal punto di vista sociale, le conseguenze degli eventi catastrofici sui territori densamente abitati a valle risulterebbero comunque disastrose per i territori popolati a valle. In condizioni naturali gli erbivori selvatici 24 Sabatini e Argenti, in: “Il futuro dei pascoli alpini: gestione integrata per uno sviluppo sostenibile”, Viote del Monte Bondone (Tn) 15-17/06/2000 105

pascoliva è dimostrata dal fatto che, spesso, l’evoluzione vegetazionale dopo l’abbandono è<br />

piuttosto lenta mostrando i suoi effetti (solitamente negativi) a distanza di anni quando diventa<br />

difficile il recupero. Alle formazioni vegetali corrispondenti ad un raggiunto e sufficientemente<br />

stabile equilibrio ecologico legato al pascolamento corrispondono dei biotopi antropo-zoogenici che<br />

possono contribuire efficacemente al mantenimento di specie animali e vegetali rare e minacciate.<br />

Dal momento che l’evoluzione della copertura vegetazionale in conseguenza dell’abbandono delle<br />

utilizzazioni <strong>pastorali</strong> può essere valutata positivamente solo quando l’insediamento del bosco<br />

avviene in tempi rapidi e che le foreste, sull’Arco Alpino (ma non solo) hanno già rioccupato molte<br />

delle superfici più adatte al loro ritorno (quelle, per intenderci, “rubate” dall’uomo con il<br />

disboscamento delle quote intermedie tra il fondovalle e la zona degli alpeggi) non deve<br />

sorprendere che negli “Orientamenti.per una agricoltura sostenibile.” si affermi che<br />

“agli effetti del mantenimento della biodiversità non è auspicabile un ulteriore avanzamanto della<br />

foresta a danno dei pascoli”<br />

L’affermazione che il problema attuale non sia rappresentato dalla difesa della foresta dal pascolo<br />

ma dalla difesa del pascolo dalla foresta assume portata storica considerando che la scienza e la<br />

politica hanno sostenuto negli ultimi due secoli una accanita polemica a favore dell’estensione delle<br />

zone boscate.<br />

Siamo di fronte quindi ad un problema culturale.<br />

Alla “svolta” si è pervenuti grazie alle osservazioni scientifiche rese possibili dalla presenza nella<br />

montagna europea di ambienti dove l’abbandono del pascolamento data da ormai da molti anni.<br />

“... la forte eterogeneità morfologica, geologica e climatica del territorio italiano determina una<br />

notevole variabilità floristica e vegetazionale dei fascoli e dei prati, per i quali risulta quindi assai<br />

complicata una valutazione generale dell’evoluzione in atto, e Studi e sperimentazioni eseguite<br />

negli ultimi anni in differenti contesti ambientali italiani e stranieri, permettono però di intravedere<br />

degli effetti tendenzialmente svantaggiosi in questa dinamica che, eccetto laddove venga favorito il<br />

rapido reingresso del bosco, porta spesso al degrado del cotico erboso e alla formazione di tipologie<br />

vegetazionali di modesta ricchezza floristica e dal destino evolutivo interno. In particolare si è<br />

osservata la contrazione delle superfici aperte pascolive, la riduzione del valore pastorale (unità di<br />

misura della qualità e della produttività del cotico erboso), la semplificazione e la banalizzazione<br />

delle risorse, con conseguenti riduzioni di produzioni di foraggio, erosioni genetiche e<br />

abbassamento dei livelli di biodiversità, peggioramenti paesaggistici, compromissione di habitat di<br />

animali selvatici.” 24<br />

Prima di addentrarci nei diversi aspetti che inducono gli ecologi e i conservazionisti a valutare<br />

positivamente la presenza del pascolo estensivo conviene anteporre qualche considerazione di<br />

carattere generale. L’idea che la natura lasciata a sè stessa pervenga alla condizione di un equilibrio<br />

“ottimale” tra specie vegetali e tra vegetali ed animali si scontra con la constatazione che i fattori<br />

che in natura consentono di pervenire a questa condizione e di mantenerla (incendi e alluvioni) non<br />

sono compatibili con l’esistenza di una vita sociale organizzata. Anche presupponendo una totale<br />

deantropizzazione del territorio montano, eventualità del tutto negativa dal punto di vista sociale, le<br />

conseguenze degli eventi catastrofici sui territori densamente abitati a valle risulterebbero<br />

comunque disastrose per i territori popolati a valle. In condizioni naturali gli erbivori selvatici<br />

24 Sabatini e Argenti, in: “Il futuro dei pascoli <strong>alpini</strong>: gestione integrata per uno sviluppo<br />

sostenibile”, Viote del Monte Bondone (Tn) 15-17/06/2000<br />

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