opuscolo siquilaca last 001 - Parmigiano Reggiano
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Indice<br />
PRESENTAZIONE ............................................................................................................................................ 3<br />
CENTRO PER L’INNOVAZIONE SIQUILACA................................................................................................. 5<br />
LE TAPPE DEL LAVORO DI SIQUILACA................................................................................................................ 7<br />
BACTOSCAN: CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI................................................................................... 8<br />
CURVA DI CONVERSIONE................................................................................................................................. 10<br />
CARICA BATTERICA TOTALE: RESAZZURINA VS BACTOSCAN ........................................................... 11<br />
SISTEMA DI PAGAMENTO DEL LATTE A QUALITÀ: STORIA E SCHEMA ATTUALE ............................ 14<br />
SIGNIFICATO QUALITATIVO E TECNOLOGICO DEI PARAMETRI DI VALUTAZIONE DEL LATTE....... 16<br />
ACIDITÀ °SH .................................................................................................................................................. 16<br />
LATTODINAMOGRAFIA - LDG........................................................................................................................... 16<br />
CARICA BATTERICA TOTALE - CBT .................................................................................................................. 19<br />
Importanza della carica batterica ............................................................................................................. 19<br />
L’impatto della carica batterica del latte sulla trasformazione in <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>.......................... 20<br />
Gestione e lavaggio impianti di mungitura e di stoccaggio del latte alla stalla (a cura di A. Pazzona –<br />
Università di Sassari e M. Capasso – Associazione Italiana Allevatori di Roma).................................... 22<br />
CELLULE SOMATICHE...................................................................................................................................... 37<br />
La mungitura............................................................................................................................................. 39<br />
Come intervenire e prevenire................................................................................................................... 43<br />
Il “rischio residui” ...................................................................................................................................... 44<br />
CLOSTRIDI ..................................................................................................................................................... 45<br />
Come si determinano le spore dei clostridi .............................................................................................. 46<br />
I difetti provocati nel formaggio ................................................................................................................ 46<br />
Come limitare i danni................................................................................................................................ 47<br />
Regolamento di alimentazione delle bovine da latte (DM20/07/2006)..................................................... 48<br />
GRASSO ........................................................................................................................................................ 48<br />
CASEINA ........................................................................................................................................................ 49<br />
ELABORAZIONI DEI RISULTATI OTTENUTI PER I DIVERSI PARAMETRI ANALITICI............................ 51<br />
PROPOSTA DI MODIFICA DEL PARAMETRO CBT NEL METODO DI PAGAMENTO.............................. 59<br />
SIMULAZIONE E VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI SUL SISTEMA DI PESATURA ECONOMICA......................................... 60<br />
I PARTNER DI SIQUILACA............................................................................................................................ 62<br />
2
Presentazione<br />
La carica batterica è un parametro fondamentale per la valutazione della qualità del latte. Esigenze sanitarie<br />
e tecnologiche impongono una conoscenza e una gestione molto approfondita e attenta della problematica,<br />
tanto più in un prodotto come il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> in cui il ruolo della microflora nativa del latte gioca un<br />
ruolo così importante: è infatti ben noto che è possibile reperire anche nel formaggio stagionato cariche<br />
rilevabili di batteri lattici mesofili provenienti dal latte, batteri che costituiscono un fattore importante di<br />
legame con il territorio di produzione e che nel corso della maturazione contribuiscono a caratterizzare dal<br />
punto di vista organolettico e sensoriale il prodotto.<br />
Per questo motivo il Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> ha utilizzato la possibilità prevista dal<br />
Regolamento (CE) n. 853/2004 di richiedere adattamenti dello stesso regolamento idonei a “consentire<br />
l’utilizzazione ininterrotta dei metodi tradizionali”, dato che è tradizionalmente accettato che un contenimento<br />
eccessivo della carica batterica totale comporti un impoverimento anche della flora filocasearia.<br />
Con provvedimento del 25.01.07 la Conferenza Stato-Regioni ha accettato le richiesta del Consorzio<br />
relativamente alle modalità di applicazione del regolamento consentendo ai produttori di <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong> l’impiego di latte non corrispondente ai criteri fissati per il tenore in germi ritenendo, da un lato,<br />
motivate dal punto di vista tecnologico le richieste e ,dall’altro, adeguate le garanzie di sicurezza fornite dal<br />
processo di produzione e dalla sua gestione tramite i piani di autocontrollo.<br />
Non vi è dubbio, però, che sia necessario accrescere le conoscenze sulla componente microbica del latte e<br />
sulla sua gestione, dato che ai vincoli normativi, che perlatro non si può escludere che possano in futuro<br />
divenire più restrittivi, si affiancano anche esigenze di tipo tecnologico: è necessario mantenere la flora<br />
filocasearia presente nel latte, ma si può e si deve comunque lavorare per contenere quella non filocasearia<br />
o anticasearia che, chiaramente, in nessun caso è funzionale a una produzione di qualità.<br />
In questo contesto e con questi obiettivi, mentre si è avviata, sempre con il contributo della Regione Emilia-<br />
Romagna, una approfondita ricerca sulle connessioni tra flora lattica mesofila e carica batterica totale del<br />
latte, è nato SiQuILaCa, Centro per l’Innovazione Sicurezza e Qualità nell’Industria Lattiero-Casearia, che fa<br />
parte della rete dell’Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna ed è stato finanziato nell’ambito del Programma<br />
Regionale per la Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT).<br />
Obiettivo delle attività del Centro è quello di innovare gli strumenti e i servizi a supporto della sicurezza<br />
igienica e della qualità del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. Gli scopi specifici che SiQuILaCa si propone sono:<br />
sensibilizzare le imprese, in particolare caseifici e loro fornitori, sulle potenzialità di nuovi strumenti analitici<br />
che permettono di rilevare in forma diretta la carica batterica del latte e sviluppare e/o adeguare le<br />
metodologie per il trasferimento e la valorizzazione tecnica ed economica di questi dati analitici.<br />
Il presente volume raccoglie alcuni prodotti dell’attività svolta dal Centro dei primi due anni di lavoro.<br />
3
Centro per l’Innovazione SiQuILaCa<br />
SiQuILaCa, Centro per l’Innovazione Sicurezza e Qualità nell’Industria Lattiero-Casearia, fa parte della rete<br />
dell’Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna ed è stato finanziato nell’ambito del Programma Regionale per la<br />
Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT) - Misura 4 Azione B.<br />
La rete, supportata da ASTER, è formata da 57 “nodi” (27 Laboratori di ricerca industriale e trasferimento<br />
tecnologico, 24 Centri per l’innovazione e 6 Parchi per l’Innovazione) che, da Piacenza a Rimini,<br />
compongono il “network” voluto dalla Regione Emilia-Romagna per garantire al territorio un sistema per la<br />
ricerca industriale.<br />
Il PRRIITT - Programma Regionale per la Ricerca Industriale e il Trasferimento Tecnologico - definisce gli<br />
indirizzi strategici, i criteri e le priorità per l'attuazione delle azioni previste dalla L.R. 7/02 "Promozione del<br />
sistema regionale delle attività di ricerca industriale, innovazione e trasferimento tecnologico" dell’Emilia-<br />
Romagna. Il Programma mira a rafforzare le dinamiche del sistema produttivo regionale verso l'attività di<br />
ricerca applicata, di sviluppo pre-competitivo e di innovazione; a favorire l'aumento del contenuto tecnologico<br />
delle produzioni e lo sviluppo dell'economia della conoscenza. Inoltre, punta a definire schemi di intervento<br />
molto focalizzati sulle specificità regionali, considerando le tipologie dei protagonisti, le eccellenze presenti<br />
nel sistema regionale, la loro messa in Rete e la valutazione del loro potenziale rispetto all'assetto<br />
tecnologico della regione.<br />
SiQuILaCa è gestito da un’Associazione Temporanea di Imprese costituita da CRPA, Arte Casearia, Centro<br />
Lattiero-Caseario, Consorzio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e Salchim. Il Centro gode della<br />
collaborazione scientifica del Laboratorio di Tecnologia e Microbiologia di latte, carne e derivati –<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna.<br />
La struttura organizzativa si configura come un centro a rete di sedi:<br />
• Consorzio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e Dipartimento di Scienze degli Alimenti (Univ. di Bologna): elemento<br />
aggregante e di indirizzo;<br />
• CRPA SpA (mandatario dell’ATI): supporto organizzativo e tecnico-scientifico;<br />
• Arte Casearia (MO), Centro Lattiero-Caseario (PR) e Salchim (RE): sedi operative distribuite sul territorio<br />
comprensoriale.<br />
SiQuILaCa ha la sua sede principale presso il Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, mentre<br />
l’insieme delle attività è coordinato da CRPA SpA - Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia<br />
Le attività del Centro per l’Innovazione SiQuILaCa sono finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:<br />
• diffondere la determinazione della carica batterica totale, rilevata in modo diretto, sul latte conferito a tutti<br />
i caseifici del comprensorio di produzione;<br />
• innovare lo schema di pagamento secondo qualità della materia prima inserendovi questa tipologia di<br />
analisi;<br />
• acquisire conoscenze fondamentali sullo stato igienico della materia prima in entrata nelle imprese di<br />
trasformazione;<br />
• consentire il trasferimento di conoscenze e metodologie di controllo dei rischi igienici nelle strutture<br />
casearie.<br />
Il Centro interessa in particolare il comparto del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, pi<strong>last</strong>ro del settore lattiero-caseario<br />
regionale e italiano.<br />
Le attività portate avanti da SiQuILaCa consentono di:<br />
• far fronte alle crescenti esigenze, anche cogenti, di dimostrare l’igienicità delle produzioni;<br />
• mantenere la competitività del comparto;<br />
• contribuire al permanere di insediamenti produttivi in aree in cui il caseificio rappresenta l’ultimo presidio<br />
per la presenza umana (zone svantaggiate dell’Appennino).<br />
Il comparto di produzione del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> è tuttora caratterizzato dalla presenza di un<br />
numero elevato di strutture di trasformazione e, per contro, da un ridotto numero medio di addetti per unità di<br />
produzione.<br />
5
In genere, le singole strutture non sono in grado di essere autosufficienti sia dal punto di vista delle<br />
conoscenze tecnico-scientifiche sia sul versante delle dotazioni strumentali rispetto a una serie di<br />
problematiche, in primis quelle legate alla valutazione dell’idoneità della materia prima in ingresso.<br />
La trasformazione del latte in <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> è, pertanto, storicamente supportata da una serie di<br />
fornitori di servizi, tra i quali spiccano sul fronte tecnico i laboratori di analisi privati e lo stesso Consorzio del<br />
formaggio <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong>.<br />
Il modello organizzativo e la dotazione strumentale esistenti a supporto del comparto sono adeguati a<br />
definire la qualità della materia prima, e relativi rapporti contrattuali, secondo uno schema sviluppato e<br />
messo a punto nei primi anni ‘90.<br />
Le profonde modificazioni delle realtà produttive così come delle tecnologie in grado di darne lettura, oltre<br />
che della stessa filosofia di approccio alla qualità e igienicità delle produzioni, hanno fatto emergere<br />
esigenze pressanti di adeguamento degli strumenti e dei servizi in essere.<br />
L’Unione Europea ha stabilito principi e requisiti generali della legislazione alimentare e ha fissato procedure<br />
per la sicurezza alimentare, non solo intesa come condizione preliminare per la tutela della popolazione ma<br />
anche come componente del normale funzionamento del mercato, della tutela degli interessi delle parti<br />
coinvolte nella filiera e della fiducia dei consumatori. Sul fronte delle imprese di produzione e trasformazione<br />
sono, inoltre, stati emanati nuovi regolamenti relativi alla produzione e commercializzazione del latte e dei<br />
prodotti lattiero-caseari.<br />
Questa evoluzione comporta la necessità di aggiornare i metodi di valutazione della qualità igienico-sanitaria<br />
della materia prima latte in ingresso al processo di trasformazione, attualmente effettuata con metodologie<br />
indirette e poco efficienti, sfruttando la recente disponibilità di nuovi strumenti analitici dotati di notevoli<br />
prestazioni in termini di numerosità di campioni processati e di affidabilità del dato analitico fornito.<br />
E’ noto infatti che le tecnologie utilizzate per la produzione di formaggi con latte crudo e a lunga<br />
stagionatura consentono di ottenere prodotti con ottime qualità dal punto di vista organolettico nonchè di<br />
sicurezza igienica purchè si rispettino quei parametri di qualità microbiologica imposti dai disciplinari di<br />
produzione.<br />
In linea generale i rischi microbiologici degli alimenti lattiero-caseari dipendono dalla contaminazione della<br />
materia prima, dalle tecnologie di trasformazione e dalla possibilità di sopravvivenza e sviluppo dei batteri<br />
nel corso del processo di maturazione.<br />
L’uso del latte crudo nella produzione di formaggio rappresenta un argomento controverso e gli interrogativi<br />
sollevati in merito alla sicurezza igienica chiamano in causa soprattutto le produzioni casearie tradizionali, le<br />
cui caratteristiche qualitative sono legate a codici di lavorazione che escludono trattamenti termici del latte<br />
utilizzato. I formaggi a lunga stagionatura sono generalmente ottenuti da latte non refrigerato, crudo e con<br />
siero innesto naturale proprio per mantenere un legame anche microbiologico con il territorio d’origine.<br />
La questione coinvolge anche il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, benchè sia ampiamente riconosciuta la sua<br />
affidabilità sia per la mancanza di correlazioni epidemiologiche tra casi di tossinfezioni alimentari e consumo<br />
di questo formaggio sia per l’evidenza degli effetti avversi della tecnologia sulla sopravvivenza dei batteri<br />
potenzialmente patogeni. I fattori che impediscono la sopravvivenza di batteri potenzialmente patogeni nel<br />
<strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> sono: la temperatura raggiunta nella fase di cottura (55°C e anche oltre), la<br />
permanenza della cagliata a questa temperatura per circa 60 minuti, il rapido sviluppo dei batteri lattici<br />
termofili apportati con il sieroinnesto che determinano un repentino abbassamento del pH nelle prime ore<br />
dopo la lavorazione e la completa idrolisi degli zuccheri. Inoltre la cagliata, dopo la caseificazione, viene<br />
sottoposta a salatura per 20-24 giorni e sono necessari almeno 12 mesi di stagionatura per ottenere un<br />
prodotto pronto al consumo. Durante la stagionatura la presenza del sale, la diminuzione dell’attività<br />
dell’acqua, il contenuto di acido lattico e i valori di pH raggiunti escludono la possibilità di pericoli che<br />
potrebbero verificarsi nell’ipotesi che i batteri patogeni possano superare stress sub-letali subiti durante la<br />
caseificazione.<br />
Pertanto l’utilizzazione di latte crudo non costituisce un rischio per la sicurezza del consumatore. Già nelle<br />
prime 24 ore la tecnologia è in grado di abbattere anche eventuali elevate contaminazioni del latte conferito<br />
ai caseifici. In genere si tratta di una evenienza poco probabile ma, nondimeno e soprattutto per questo,<br />
occorre disporre di metodologie in grado di valutare in modo particolarmente efficace, in tempi<br />
estremamente contenuti e a basso costo la corretta applicazione delle buone prassi igieniche negli<br />
allevamenti e il rispetto di rigide regole per il trasporto e la raccolta del latte.<br />
Questo modo di procedere consente di poter intervenire tempestivamente nel caso in cui si presentino<br />
situazioni a rischio e di confermare ulteriormente che il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> fatto con latte crudo,<br />
condizione imprescindibile per mantenere le caratteristiche peculiari di questo prodotto, assicura per mezzo<br />
6
del processo produttivo nel suo insieme (produzione igienica del latte e relativi controlli, unitamente alla<br />
tecnologia di trasformazione casearia) obiettivi di sicurezza alimentare assolutamente paragonabili a quelli<br />
ottenuti da latte sanificato termicamente.<br />
Le tappe del lavoro di SiQuILaCa<br />
I laboratori di analisi che partecipano a SiQuILaCa, unitamente al Consorzio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong>, si sono dotati ciascuno di una apparecchiatura per la conta diretta delle cellule batteriche basata<br />
sulla citometria di flusso.<br />
Ogni laboratorio, con il coordinamento del Consorzio, ha individuato una serie di caseifici rappresentativi<br />
delle diverse tipologie dimensionali, strutturali e di collocazione geografica. Questi caseifici, e relativi<br />
conferenti, sono stati oggetto di una fase pilota di sperimentazione della nuova metodologia di valutazione<br />
della qualità igienica della materia prima latte.<br />
Acquisita una sufficiente mole di dati analitici, la metodologia è stata validata mediante effettuazione di ringtest<br />
fra i tre laboratori e il Consorzio ed è stato effettuato il confronto dei risultati con quelli ottenuti grazie a<br />
metodi convenzionali.<br />
Queste informazioni sono state successivamente elaborate ed analizzate nel quadro complessivo dei<br />
parametri che concorrono alla definizione della qualità compositiva e attitudinale del latte destinato a<br />
<strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e che consentono la determinazione del prezzo della materia prima.<br />
La nuova determinazione analitica (CBT diretta) può sostituire la valutazione della carica batterica totale<br />
effettuata attraverso valutazioni indirette (imprecise, poco oggettive e lunghe).<br />
Una volta verificata la fattibilità della sostituzione e dell’adeguamento parametrico si è proceduto:<br />
• alla predisposizione degli strumenti informativi e telematici di supporto;<br />
• alla divulgazione dell’efficacia della nuova metodica analitica presso la totalità delle imprese di<br />
trasformazione e della valenza tecnico-economica della sua utilizzazione nello schema di valutazione<br />
della qualità della materia prima.<br />
7
Bactoscan: caratteristiche e prestazioni<br />
Lo strumento analitico individuato per raggiungere gli obiettivi esplicitati in premessa è BactoScan FC mod.<br />
50H prodotto dalla ditta Foss.<br />
Bactoscan FC è uno strumento optofluorimetrico per il conteggio della carica batterica nel latte. Si tratta di<br />
una apparecchiatura che in un breve volgere di tempo è divenuta lo standard industriale in molte nazioni per<br />
l’effettuazione di tale misurazione.<br />
Il suo funzionamento si basa sulla tecnologia della citometria di flusso: è cioè in grado di contare le cellule<br />
presenti in un fluido durante il loro passaggio in un capillare in cui sono forzate dopo essere state colorate. Il<br />
capillare è illuminato e ripreso da un obiettivo in grado di registrare il passaggio di ogni cellula.<br />
Recentemente i miglioramenti tecnologici nel campo dell’elettronica, della chimica dei reagenti e<br />
dell’informatica hanno enormemente migliorato le prestazioni degli apparati flussocitometrici, permettendo<br />
valutazioni anche delle dimensioni e della forma delle particelle rilevate. Sinteticamente il processo avviene<br />
attraverso i seguenti passaggi:<br />
8
1. il latte, aggiunto al liquido di incubazione, viene trattato meccanicamente fino alla rottura di tutte le<br />
componenti corpuscolari: salvo i batteri, eventuali altri aggregati vengono in buona parte disaggregati;<br />
2. durante l’incubazione i batteri vengono colorati con un colorante specifico per il DNA;<br />
3. nel punto di misurazione il campione viene illuminato da una sorgente laser: le cellule batteriche colorate<br />
riflettono tale fonte determinando un segnale luminoso per ogni corpuscolo; il passaggio del campione<br />
avviene in un capillare di precisione che garantisce che i batteri siano allineati in una monofila;<br />
4. gli impulsi vengono conteggiati e gestiti da un apposito software.<br />
Rispetto alle metodiche tradizionali il sistema garantisce maggiore accuratezza, ripetibilità e riproducibilità, in<br />
particolare non dipendendo, se non marginalmente, a differenza della conta in piastra, dalla manualità e da<br />
valutazioni soggettive dell’operatore. In sintesi l’operatività, e il risultato analitico, di Bactoscan FC:<br />
• dipende in minore misura dall’operatore;<br />
• richiede un minore impiego dell’operatore;<br />
• comporta minori costi di reagenti (circa 18%) e di campioni di controllo (50%) e conseguentemente<br />
determina:<br />
• produce una minore quantità di rifiuti;<br />
• presenta una più veloce accensione e spegnimento della macchina, elemento prevalente nel<br />
miglioramento del fattore di utilizzazione da 69 a 80%.<br />
Il modello utilizzato dai laboratori di SiQuILaCa ha una produttività di 50 campioni/ora; con la macchina in<br />
condizioni di operatività servono meno di 10’ per ottenere il risultato dall’arrivo del campione in laboratorio<br />
dal momento che non è necessario un pretrattamento per riscaldare il campione stesso.<br />
Nel corso della fase pilota del Centro sono state considerate anche le modalità di gestione e le esigenze<br />
operative in merito alla conservazione dei campioni, legate prevalentemente alla necessità di prevenire le<br />
proliferazioni batteriche che possono intervenire tra il prelievo e l’analisi.<br />
A differenza di quanto avviene in caso di uso delle metodiche di semina in piastra, l’effettuazione delle<br />
misure di carica batterica con Bactoscan FC non risente in alcun modo dell’aggiunta al latte di conservanti<br />
come Bronopol o sodio azide.<br />
La prassi corrente nel Comprensorio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> prevede che le analisi vengano<br />
effettuate entro un massimo di 2-4 ore dal prelievo e che, nel frattempo, il campione sia conservato al<br />
freddo. Tali condizioni sono sufficienti a bloccare la crescita batterica, per cui si è stabilito di limitare l’uso del<br />
conservante alle specifiche situazioni in cui non sia possibile garantire tali parametri di tempo/temperatura.<br />
9
Curva di conversione<br />
Come detto l’apparecchiatura rileva impulsi luminosi. Per esprimere la carica batterica nella corrente unità di<br />
misura delle CFU (colony forming units o UFC = unità formanti colonia) è pertanto necessario individuare e<br />
applicare una curva di conversione. Purtroppo le curve utilizzate nel mondo sono numerose e neppure in<br />
Italia il panorama è omogeneo.<br />
Sono state sottoposte a verifica diverse curve di conversione, non rientrando – ovviamente – fra gli obiettivi<br />
del Centro quello della costruzione di una specifica curva di conversione. Tra le soluzioni possibili, la scelta<br />
più razionale è sembrata essere quella relativa all’utilizzazione da parte di tutti i laboratori del Centro della<br />
curva messa a punto per il latte bovino dalla sezione di Brescia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della<br />
Lombardia e dell’Emilia-Romagna [Bolzoni, G. et al. Evaluation of the Bactoscan FC. Milk Science<br />
International (55), 60-70 (2000)]. Questa curva è stata costruita analizzando 384 campioni di latte fresco<br />
mediante l’utilizzazione di Bactoscan FC in confronto con la metodica ufficiale [conta in piastra secondo le<br />
norme FIL-IDF (Standard n. 100/B 91)].<br />
L’analisi statistica dei dati finalizzata a definire la relazione esistente tra valori degli impulsi BactoScan (IBC)<br />
e il relativo valore di UFC/ml ha evidenziato che:<br />
• non è necessaria una relazione polinomiale ma è sufficiente una regressione lineare;<br />
• la retta che può rappresentare la relazione tra IBC e UFC, dopo opportune modifiche, è<br />
y=1.0317x+2.1128; tale equazione è confrontabile con quella utilizzata in Germania [ref.: Surhen G., et<br />
al. Kieler Milchwirtschaftliche Forschungsberichte (50), 249-275 (1998)];<br />
• i risultati confermano la possibilità di utilizzare un’unica equazione di primo grado per convertire i dati<br />
da impulso a UFC.<br />
Nello stesso lavoro riportato precedentemente, Bactoscan FC è stato anche confrontato con il precedente<br />
modello Bactoscan 8000, rispetto al quale ha mostrato una ripetibilità maggiore, una migliore accuratezza<br />
nella determinazione della CBT, in particolar modo nella fascia di contaminazione bassa che rappresenta la<br />
maggioranza del latte prodotto, e un trascinamento complessivo inferiore a quello dichiarato dal costruttore.<br />
E’ stato infine studiato l’effetto del conteggio in cellule somatiche che non è apparso richiedere l’inserimento<br />
di un fattore di correzione.<br />
10
Carica batterica totale: resazzurina vs Bactoscan<br />
Il metodo convenzionale utilizzato nel Comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> per definire il livello di carica<br />
batterica totale presente nel latte è quello della stima della carica batterica tramite resazurina. Il valore<br />
ottenuto entra come parametro nel modello per il pagamento del latte a qualità.<br />
Il test si basa sulla capacità di taluni enzimi batterici di trasferire idrogeno da un substrato a degli accettori<br />
biologici: il colorante (resazurina) funge da accettore e subisce una riduzione in funzione dell’attività<br />
enzimatica o della concentrazione di enzimi, a loro volta utilizzate come indice della presenza di batteri.<br />
L’eventuale riduzione trasforma la resazurina in resorufina (rosa) che può essere ulteriormente ridotta a<br />
idroresorufina (incolore) tramite reazioni di cui non è ancora ben chiarita la natura enzimatica intracellulare o<br />
biochimica extracellulare: l’entità della carica batterica viene stimata in funzione dell’entità della variazione di<br />
colore del mezzo.<br />
Sono state proposte scale a 3, 4, 5 o 6 valori di variazione di colore.<br />
Quella utilizzata è di norma la seguente:<br />
Colore Carica batterica<br />
blu normale<br />
viola normale/elevata<br />
rosa elevata<br />
bianco elevatissima<br />
L’attività delle reduttasi, e perciò il cambiamento di colore della resazurina, dipendono dal tipo di batteri<br />
presenti, dalle caratteristiche biochimiche o dalle condizioni fisiologiche delle cellule batteriche: tutto ciò fa sì<br />
che il test, per altro in pratica solo di tipo qualitativo, non venga più da molti ritenuto sufficientemente<br />
accurato per le attuali esigenze.<br />
Per meglio definire i rapporti tra le due metodiche sono stati letti in doppio (resazurina e Bactoscan FC) 442<br />
campioni di latte di massa. I valori rilevati con Bactoscan FC sono stati raggruppati in base alla<br />
classificazione ottenuta dagli stessi campioni con resazurina evidenziando i seguenti dati di statistica<br />
descrittiva.<br />
Numero di campioni per classe di resazurina:<br />
Classe resazurina n. campioni %<br />
N 272 61,54<br />
N/E 57 12,90<br />
E 75 16,96<br />
EE 38 8,60<br />
Media e deviazione standard dei valori, valori minimi e massimi di carica batterica totale (x 1.000)<br />
determinati con Bactoscan FC per classi di resazurina<br />
11<br />
Classe resazurina<br />
N N/E E EE<br />
Media di BACTOSCAN 364,42 1048,05 2193,75 7283,32<br />
D.S di BACTOSCAN 370,51 721,00 1487,15 2873,83<br />
Min di BACTOSCAN 3,00 55,00 325,00 3137,00<br />
Max di BACTOSCAN 1577,00 4615,00 11924,00 12595,00
Ba cto sc an<br />
8 0 0 0<br />
6 0 0 0<br />
4 0 0 0<br />
2 0 0 0<br />
0<br />
Appare evidente come vi sia una netta differenza tra le medie delle diverse classi di resazurina; tali<br />
differenze sono statisticamente significative, come dimostrato tramite test di analisi della varianza.<br />
ANOVA. Variabile dipendente: BACTOSCAN<br />
3 6 4<br />
N<br />
Sorgente<br />
Somma dei quadrati<br />
Tipo III df Media dei quadrati F Sig.<br />
Modello corretto 1660536424,776(a) 3 553512141,592 452,689 ,000<br />
Intercetta 1948135711,412 1 1948135711,412 1593,279 ,000<br />
RESAZURINA 1660536424,776 3 553512141,592 452,689 ,000<br />
Errore 535551855,460 438 1222721,131<br />
Totale 3010996934,000 442<br />
Totale corretto 2196088280,236 441<br />
Sono statisticamente significative le differenze reciproche tra ognuno dei gruppi:<br />
Student-Newman-<br />
Keuls a,b,c<br />
HSD di Tukey a,b,c<br />
RESAZURINA<br />
N<br />
N/E<br />
E<br />
EE<br />
Sig.<br />
N<br />
N/E<br />
E<br />
EE<br />
Sig.<br />
BACTOSCAN<br />
Sono visualizzate le medie per i gruppi di sottoinsiemi omogenei.<br />
Basato sulla somma dei quadrati Tipo III<br />
Il termine di errore è Media dei quadrati(Errore) = 1222721,131.<br />
a. Utilizza dimensione campionaria media armonica = 65,714<br />
Sottoinsieme<br />
N 1 2 3 4<br />
272 364,42<br />
57 1048,05<br />
75 2193,75<br />
38 7283,32<br />
1,000 1,000 1,000 1,000<br />
272 364,42<br />
57 1048,05<br />
75 2193,75<br />
38 7283,32<br />
1,000 1,000 1,000 1,000<br />
b. Le dimensioni dei gruppi non sono uguali. Verrà utilizzata la media armonica delle dimensioni. Non<br />
sono garantiti i livelli di errore di Tipo I.<br />
c. Alfa = ,05<br />
M e d ie B A C T O S C A N<br />
1 0 4 8<br />
N / E<br />
R E S A Z U R IN A<br />
Dai risultati sopra descritti emerge che indubbiamente la prova della resazurina può discriminare diverse<br />
entità di carica batterica: ciò però avviene solo per differenze molto rilevanti. Queste differenze elevate, di<br />
12<br />
2 1 9 4<br />
E<br />
7 2 8 3<br />
E E
fatto, non sono più attuali in quanto le condizioni igieniche degli allevamenti sono molto migliorate negli ultimi<br />
decenni e, inoltre, indipendentemente da questo, negli attuali contesti è necessario discriminare cariche<br />
basse da cariche batteriche bassissime (in particolare < o > 100.000 UFC/ml). Il test della resazurina non<br />
rende possibile tali discriminazioni, dato che, nel nostro caso, la media del gruppo più basso (“N”) è di ben<br />
364.420 UFC/ml. Il raggruppamento inferiore delle classi di resazurina comprende valori di CBT che si<br />
posizionano sia al di sotto, sia ben al di sopra della soglia che attualmente interessa (100.000 UFC/ml).<br />
Analizzando i dati risulta inoltre evidente una notevole dispersione dei valori (D.S.=370.510, con min=3.000<br />
UFC/ml e max=1.577.000 UFC/ml) che rende impossibile il raggiungimento di sensibilità e specificità<br />
soddisfacenti, quale che siano gli estremi della classe prescelti.<br />
La rappresentazione grafica delle distribuzioni dei valori di UFC Bactoscan FC in funzione delle diverse<br />
classi di resazurina evidenzia, anche visivamente, l’elevato grado di compattamento dei valori nella classe<br />
inferiore di resazurina (nella figura sottostante il box colorato rappresenta il 50% dei dati) – peraltro la classe<br />
che presenta la frequenza maggiore – e la vistosa sovrapposizione tra le code delle stesse.<br />
F req ue nz a<br />
2 0 0<br />
1 5 0<br />
1 0 0<br />
5 0<br />
0<br />
0<br />
N<br />
2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0<br />
0 0 0 0 0 0 0 0<br />
1 4 0<br />
0 0<br />
N /E<br />
R E S A Z U R IN A<br />
B A C T O S C A N<br />
Si può pertanto concludere che i dati rilevati confermano che la resazurina non è un test adeguato alla stima<br />
della carica batterica del latte in un contesto in cui sono richiesti livelli di definizione molto fini (valori di<br />
riferimento molto bassi pari a 100.000 UFC/ml) e le necessità di accuratezza sono molto rilevanti essendo il<br />
parametro possibile oggetto di prescrizioni di legge.<br />
13<br />
E<br />
0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0<br />
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />
E E
Sistema di pagamento del latte a qualità: storia e schema attuale<br />
La produzione di latte di qualità per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> richiede un forte impegno tecnico-economico da<br />
parte dei produttori, un costante aggiornamento sulle risultanze della sperimentazione e della ricerca, un<br />
disegno organico di intervento nel settore dell’assistenza tecnica e dei servizi alle imprese. Una giusta<br />
remunerazione degli sforzi profusi in direzione della qualità rappresenta una condizione necessaria al<br />
raggiungimenti di tale obiettivo.<br />
La storia degli sforzi degli operatori del comparto del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> in questo senso è molto lunga e<br />
ha seguito l’evolversi delle problematiche del comparto stesso e delle tecnologie a disposizione.<br />
Fin dal 1954 il Consorzio ha promosso il pagamento del latte a titolo incentrato sul tenore in grasso e<br />
caseina, quindi sulla resa di trasformazione, integrato nel 1970 con altri parametri qualitativi (acidità, cellule<br />
somatiche, attitudine alla coagulazione, cariche microbiche).<br />
Un ulteriore impulso è stato dato a partire dal 1983 dalle politiche congiunte di Assessorato regionale<br />
agricoltura e Consorzio che è sfociato nel 1992 in una nuova proposta di valutazione economica della qualità<br />
del latte affiancata da strumenti innovativi di supporto quali l’acquisizione dei dati analitici periodici finalizzati<br />
alla assistenza tecnica degli allevamenti e dei caseifici e l’elaborazione e diffusione dei dati con supporti<br />
informatici per l’integrazione e il coordinamento degli interventi nei vari momenti esecutivi (azienda,<br />
caseificio, ecc.).<br />
La tabella per la valutazione tecnico-economica del latte messa a punto nel 1992 attualmente ancora in uso<br />
è la seguente:<br />
Tabella per la valutazione tecnico-economica del latte<br />
ANALISI VALORI<br />
Acidità SH°/50ml<br />
Conteggio cellulare<br />
n. x .000<br />
Esame LDG<br />
Carica coliformi<br />
Carica batterica totale<br />
Ricerca clostridi<br />
Grasso % peso<br />
Caseina % peso<br />
>=3,00
sufficienti vennero assegnati valori positivi. Occorre mettere in evidenza che il punteggio pari a 0 non è<br />
attribuito a valori considerati medi e tanto meno deve essere considerato come un valore “soglia” o<br />
“franchigia”. Il latte di qualità media corrisponde al punteggio medio di caseificio e a questo vengono riferite<br />
in sede di riparto del prezzo del latte le differenze in più o in meno dei singoli conferenti.<br />
Questo schema presenta incidenza dei diversi parametri sulla valutazione del latte piuttosto equilibrata e che<br />
tiene conto della loro importanza ai fini della trasformazione casearia.<br />
Alla % di caseina viene assegnato circa il 48-50% del peso, al grasso il 5, all’acidità il 5, alle cellule<br />
somatiche 10-15%, alla LDG il 10-12% alla presenza di spore di clostridi il 5-7, mentre alla componente<br />
microbiologica il 5-7%.<br />
Per il calcolo del prezzo del latte con questi schemi sono necessari:<br />
• il punteggio globale mensile e le relative quantità di latte conferito dai singoli soci<br />
• il prezzo di riparto del caseificio<br />
• le medie ponderali annue dei singoli soci e del caseificio.<br />
L’applicazione di questo sistema di calcolo presenta una certa e<strong>last</strong>icità perché ogni caseificio sulla scorta<br />
degli obiettivi qualitativi che intende raggiungere, può scegliere il peso economico che intende dare al latte a<br />
qualità a tale fine può stabilire il valore massimo della differenza di prezzo (forbice prezzo) fra il socio con il<br />
punteggio più basso e quello con il punteggio più alto. Per la forbice può essere stabilità un valore assoluto o<br />
una cifra corrispondente a una quota percentuale del prezzo di riparto.<br />
Nella tabella sottostante viene riportato un esempio di applicazione.<br />
Socio n. Quantità latte in q.li Punteggio medio annuo<br />
1 1.000 30.92<br />
2 2.500 23.96<br />
3 1.500 36.79<br />
caseificio 5.000 29.20<br />
Prezzo di bilancio = 40 €/q<br />
Forbice di prezzo = 3 € (differenza fra prezzo minimo e massimo)<br />
Differenza fra punteggio più alto e più basso = (36.79 – 23.96) = 12.83<br />
Valore di 1 punto in più o in meno rispetto alla media = 3/12.83 = 0.23 €<br />
Socio n.<br />
Calcolo della differenza<br />
rispetto al punteggio<br />
medio di caseificio<br />
Calcolo della differenza<br />
rispetto al prezzo di bilancio<br />
15<br />
Calcolo del prezzo di riparto<br />
1 (30.92-29.20) = + 1.72 + 1.72 x 0.23 = + 0.40 € 40.00 €+ 0.40 € = 40.40 €<br />
2 (23.96-29.20) = - 5.24 - 5.24 x 0.23 = - 1.20 € 40.00 € - 1.20 € = 38.80 €<br />
3 (36.79-29.20) = + 7.59 + 7.59 x 0.23 = + 1.75 € 40.00 € + 1.75 € = 41.75 €
Significato qualitativo e tecnologico dei parametri di valutazione del<br />
latte<br />
Acidità °SH<br />
L’acidità e il pH dipendono dalle proprietà acide e basiche dei costituenti del latte stesso. Il latte normale<br />
presenta, anche allo stato fresco, una reazione leggermente acida, la quale è dovuta in parte all’incompleta<br />
neutralizzazione dei gruppi acidi della caseina e per il resto alla particolare composizione del suo sistema<br />
salino (presenza di fosfati e citrati acidi).<br />
L’acidità titolabile o acidità SH è una caratteristica chimica che si determina nel laboratorio di analisi con una<br />
titolazione. A un volume noto di latte, in genere 50 ml, si aggiungono alcune gocce di indicatore e<br />
successivamente un quantitativo di soluzione alcalina fino alla comparsa di una colorazione rosa, che in<br />
termini tecnici rappresenta il punto di viraggio dell’indicatore utilizzato. L’acidità si esprime in gradi °SH<br />
(Soxhlet-Henkel); un grado °SH equivale a 1 ml di soda N/4 necessario per titolare 50 ml di latte.<br />
L’acidità del latte ha una componente “naturale” che dipende da alcuni costituenti del latte stesso quali la<br />
caseina, le sostanze minerali e gli acidi organici, e una acidità “sviluppata” che dipende principalmente dalla<br />
quantità di acido lattico proveniente dalla degradazione microbica del lattosio. Il latte fresco in cui il lattosio<br />
non è ancora stato trasformato in acido lattico è caratterizzato dalla sola acidità naturale, mentre un latte<br />
conservato a temperatura ambiente, acidificando spontaneamente e in modo progressivo, presenta una<br />
acidità naturale a cui si somma l’acidità sviluppata dovuta alla trasformazione del lattosio in acido lattico ad<br />
opera dei diversi microrganismi contenuti.<br />
L’acidità reale o pH si misura con un apparecchio apposito, il pHmetro, e il valore indica lo stato di equilibrio<br />
dei vari componenti del latte. Il pH di un latte fresco è compreso fra 6.65 e 6.85.<br />
L’acidità, oltre che dai costituenti nativi del latte, dipende da fattori “ambientali” e individuali dell’animale:<br />
• fattori ambientali (stagione, condizioni climatiche): periodi prolungati di caldo intenso determinano<br />
un forte calo dell’acidità, questa variazione non deve essere confusa con le conseguenze del caldo sul<br />
latte già munto, quando l’acidità può aumentare considerevolmente a causa di processi fermentativi<br />
innescati da inadeguate condizioni igieniche delle attrezzature legate a un elevato inquinamento<br />
microbico; l’acidità appare elevata in condizioni di stress dell’animale;<br />
• stadio di lattazione: l’acidità si presenta molto elevata al parto per ridursi rapidamente entro i primi 20-<br />
30 giorni di lattazione; tende nuovamente ad aumentare verso la fine della stessa;<br />
• tipo di mungitura: la mungitura meccanica determina una diminuzione del contenuto in anidride<br />
carbonica disciolta nella fase acquosa del latte, determinando un abbassamento della acidità;<br />
• stato sanitario della mammella: la latte presenta una acidità più bassa quando lo stato funzionale della<br />
mammella non è ottimale;<br />
• alimentazione delle bovine: si manifesta acidità elevata in presenza di razioni troppo ricche in<br />
carboidrati fermentescibili o a squilibri alimentari in genere; l’ipoacidità può essere dovuta a carenza<br />
energetica, eccesso di sostanze proteiche, carenze saline;<br />
• inquinamento microbico del latte: un elevato inquinamento microbico del latte causa la fermentazione<br />
degli zuccheri del latte aumentandone l’acidità.<br />
Valori normali di acidità sono compresi fra 3,20 e 3,80 °SH/50 ml.<br />
Valori anomali di acidità possono avere conseguenze sulla caseificazione a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. I latti<br />
ipoacidi, acidità inferiore a 3,20 °SH/50 ml, sono più lenti in fase di coagulazione e di norma producono<br />
cagliate con poca consistenza e minore capacità di spurgo. I latti iperacidi, con acidità maggiore di 3,80<br />
°SH/50 ml sono molto rapidi in fase di coagulazione, ma la caseina tende a essere poco stabile<br />
Lattodinamografia - LDG<br />
L’attitudine alla coagulazione è una caratteristica tecnologica del latte particolarmente importante nella<br />
produzione di formaggio a pasta cotta, dura e con lungo periodo di stagionatura, quale il <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong>.<br />
16
Il processo di caseificazione consiste nella formazione e disidratazione di una cagliata lattico-presamica, e<br />
requisiti fondamentali del latte sono: una buona attitudine alla coagulazione; condizioni favorevoli di reattività<br />
del latte con il caglio, velocità di rassodamento e forza del coagulo, capacità e velocità di sineresi della<br />
cagliata. Sono tutti elementi che si riflettono sull’andamento del processo di caseificazione e sulla buona<br />
riuscita del formaggio.<br />
La coagulazione del latte è un processo alquanto complesso: consiste in una fase primaria di natura<br />
enzimatica in cui il caglio agisce sulla K-caseina e una fase secondaria di natura chimico-fisica in cui avviene<br />
la coagulazione propriamente detta a cui segue la sineresi del coagulo.<br />
La micella caseinica, composta dalla aggregazione di subunità costituite dalle caseine as1, as2, β e k con il<br />
concorso determinante del fosfato di calcio colloidale, subisce una profonda alterazione a seguito della<br />
azione dei costituenti del caglio sulla k-caseina, distribuita in gran parte nello strato superficiale della micella.<br />
Con il distacco, ad opera del caglio, della porzione terminale fortemente idrofila della k-caseina, il sistema<br />
micellare diventa instabile e la diminuzione dello strato periferico dell’acqua di idratazione determinano la<br />
formazione di aggregati micellari e la formazione del gel.<br />
L’azione enzimatica specifica del caglio sulla frazione k della caseina non determina nessun cambiamento<br />
dello stato fisico del latte tuttavia si ha una sorta di destabilizzazione delle micelle caseiniche.<br />
La formazione degli aggregati micellari provoca il passaggio della caseina da sol (micelle in sospensione<br />
colloidale) a gel (cagliata semi-solida) che occupa tutto il volume iniziale del latte. Queste due fasi<br />
avvengono contemporaneamente.<br />
Il processo di coagulazione porta alla formazione di un reticolo proteico tridimensionale dapprima a maglie<br />
larghe contenente i globuli di grasso, i microrganismi e la fase acquosa del latte, che a seguito<br />
dell’instaurarsi di un crescente numero di interazioni fra le micelle si contrae con conseguente espulsione<br />
della fase acquosa (sineresi o spurgo del gel).<br />
La sineresi può essere spontanea o indotta: il processo spontaneo è lentissimo mentre alcuni fattori possono<br />
favorire lo spurgo della cagliata e vengono utilizzati nella produzione del formaggio. Essi sono acidificazione,<br />
riscaldamento e rottura del coagulo:<br />
• acidificazione: l’aggiunta dell’innesto fa abbassare il pH con conseguente tendenza alla<br />
demineralizzazione della caseina, contrazione della struttura e spurgo uniforme del siero;<br />
• riscaldamento: aumentano le interazioni idrofobiche che fanno avvicinare le micelle, i grumi caseosi<br />
diventano sempre più consistenti;<br />
• rottura del coagulo: aumenta la superficie di espulsione del siero, tanto più duro deve essere il<br />
formaggio, tanto più piccoli dovranno essere i pezzi di cagliata.<br />
La coagulazione dipende dalle caratteristiche compositive del latte, un ruolo importante è dato dalla acidità<br />
reale o pH, dal contenuto in caseina e dall’equilibrio tra le proteine e i sali minerali.<br />
L’esame lattodinamografico (LDG) descrive le caratteristiche di coagulazione del latte mediante l’impiego di<br />
una apparecchiatura chiamata lattodinamografo, che fornisce un tracciato dal quale si ricavano:<br />
• il tempo di coagulazione - r,<br />
• la velocità di presa del coagulo (rassodamento) - k20,<br />
• la consistenza del coagulo a 30 minuti dalla coagulazione - a30.<br />
I valori che queste caratteristiche possono assumere vengono riassunte in un sistema di valutazione del latte<br />
a classi individuate da lettere dell’alfabeto A – B – C – D - E – F.<br />
L’esecuzione della prova consiste nell’aggiungere una determinata quantità di caglio a una quantità nota di<br />
latte previamente posto alla temperatura di 35°C e di seguire mediante registrazione la fase di coagulazione<br />
che avviene all’interno dello strumento per un periodo di 30 minuti.<br />
Al termine della prova si ottiene un tracciato la cui interpretazione fornisce i parametri indicativi delle<br />
caratteristiche di coagulazione del latte analizzato.<br />
La diversa combinazione di questi parametri va a definire l’appartenenza del latte a una delle classi citate in<br />
precedenza.<br />
17
Dove:<br />
t = tempo totale della prova = 30 minuti primi (corrispondenti a 60 mm di lunghezza, essendo 2 mm = 1<br />
minuto primo).<br />
r = tempo di coagulazione in minuti primi (dall’inizio della prova fino a che il tracciato raggiunge<br />
un’apertura di 1 mm).<br />
k20 = velocità di formazione del coagulo in minuti primi: si calcola misurando la distanza fra l’inizio della<br />
formazione del coagulo e l’apertura a 20 mm delle branche del tracciato.<br />
a30 = consistenza del coagulo a 30 minuti primi (corrisponde alla distanza in mm fra due estremità del<br />
tracciato).<br />
r I<br />
k20<br />
(min)<br />
(min)<br />
(mm)<br />
CLASSE<br />
r I < 6 ≥ 0 - DD<br />
6 ≤ r I < 10.30 < 9 - D<br />
6 ≤ r I < 10.30 ≥ 9 - C<br />
10.30 ≤ r I < 11.30 < 9 - AD<br />
10.30 ≤ r I < 11.30 ≥ 9 - AC<br />
11.30 ≤ r I < 18.00 - - A<br />
18.00 ≤ r I < 19.00 - - AE<br />
19.00 ≤ r I < 25.00 ≥ 5.30 - E<br />
19.00 ≤ r I < 25.00 < 5.30 - B<br />
25.00 ≤ r I < 26.00 - - EF<br />
26.00 ≤ r I ≤ 30.00 - - F<br />
r I >30 - - FF<br />
11.30 ≤ r I < 15.00 - ≥ 50 D<br />
15.00 ≤ r I ≤ 18.30 - ≥ 40 B<br />
r I ≤ 18 - < 20 E<br />
Le diverse tipologie di LDG corrispondono a diverse caratteristiche del latte.<br />
18<br />
a30
Per la trasformazione a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> i tipi A, B e C sono considerati buoni, i tipi D ed E sono<br />
considerati mediocri, l’F scadente e l’FF pessimo.<br />
Latti di tipo E ed F presentano minore reattività al siero, al caglio e al fuoco, sono più difficili nella<br />
conduzione del processo di coagulazione e spurgano male; la resa è in genere peggiore e la pasta del<br />
formaggio tende a trattenere maggiore umidità e avrà minore consisitenza.<br />
Latti rapidi come il tipo D reagiscono immediatamente alla aggiunta di siero e al caglio rendendosi difficili<br />
nella corretta conduzione della fase di caseificazione.<br />
Tipo LDG Caratteristiche del latte<br />
A Latte con buone caratteristiche di coagulazione<br />
B Latte con tempo di coagulazione lungo ma con buona velocità di presa del coagulo e<br />
consistenza finale relativamente elevata.<br />
C Latte con tempo di coagulazione breve ma con bassa velocità di presa del coagulo e<br />
consistenza finale relativamente scarsa.<br />
D Latte con breve tempo di coagulazione alta velocità di presa e consistenza finale eccessiva<br />
E Latte con tempo di coagulazione lungo,bassa velocità di presa e scarsa consistenza finale<br />
F Latte con tempo di coagulazione lunghissimo, velocità di presa molto bassa e scarsissima<br />
consistenza finale del coagulo<br />
FF Latte che non coagula nei tempi tecnici della prova lattodinamografica<br />
AE Latte con buone caratteristiche di coagulazione ma con lunghi tempi di coagulazione<br />
(intermedio fra il tipo A e il tipo E)<br />
Carica batterica totale - CBT<br />
Importanza della carica batterica<br />
La carica batterica totale presente nel latte destinato alla produzione di formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong><br />
rappresenta uno degli aspetti più importanti per definire la sua qualità casearia e, in particolar modo, la sua<br />
attitudine tecnologica.<br />
Il contenuto e la qualità microbica del latte, infatti, rispecchiano lo stato sanitario della mandria, l’igiene e la<br />
corretta operatività della mungitura, nonchè le condizioni di raccolta e di conservazione del latte soprattutto<br />
durante il riposo notturno nelle vasche di affioramento.<br />
I batteri presenti nel latte sono tanti e appartenenti a specie assai diverse le une dalle altre, quasi tutti, però,<br />
riconducibili a due categorie di appartenenza: i batteri filocaseari utili alla caseificazione e quelli, invece,<br />
anticaseari dannosi per la caseificazione stessa, in quanto in grado di provocare, all’interno della forma<br />
prodotta, fermentazioni anomale con gravi danni strutturali della pasta.<br />
Possono, inoltre, essere presenti in funzione dello stato sanitario delle bovine, e comunque sempre in<br />
piccola percentuale, anche germi patogeni che non rappresentano, però, sotto l’aspetto caseario, un ruolo<br />
importante dal momento che la tecnologia a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> ne riduce drasticamente, addirittura entro<br />
poche ore dalla fabbricazione del formaggio, la loro attività, eliminando, di fatto, qualsiasi rischio<br />
igienicosanitario per il consumatore.<br />
La carica microbica totale presente nel latte varia moltissimo e può essere soggetta anche a forti incrementi<br />
legati, soprattutto, alla presenza di germi anticaseari.<br />
La carica batterica filocasearia è rappresentata da batteri lattici mesofili che, da alcune recenti rilevazioni<br />
analitiche effettuate su campioni di latte di stalla, di latte di vascone, di latte magro e di latte di caldaia, sono<br />
rilevabili nel latte con cariche di norma attorno ai 5.000 - 20.000 per ml che in genere restano abbastanza<br />
stabili durante le prime fasi della lavorazione.<br />
La flora lattica mesofila nativa nel latte è fondamentale per le caratteristiche del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong>.<br />
Essa, infatti, rappresenta, un vero e inscindibile legame con il territorio, capace di conferire al formaggio<br />
prodotto, attraverso l’utilizzo del foraggio comprensoriale, i requisiti per la DOP e, cosa molto importante, è in<br />
grado di indirizzare e condizionare i processi chimico-fisici, biologici ed enzimatici che intervengono durante<br />
la maturazione del formaggio conferendo al formaggio stesso, soprattutto attraverso le peculiari<br />
caratteristiche organolettiche, la sua tipicità.<br />
19
Il contenuto della carica batterica anticasearia presente nel latte mostra invece valori molto variabili,<br />
condizionati da diversi fattori ambientali, strutturali, igienici, gestionali o operativi, nonchè dalle condizioni di<br />
raccolta e di conservazione del latte alla stalla e in caseificio.<br />
La raccolta in cisterna del latte alla stalla, prassi ormai consolidata in quasi tutti i caseifici, raffrescato alla<br />
temperatura compresa tra i 18 e i 21°C (per il rispetto del disciplinare di produzione del <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong> non si può scendere al di sotto dei 18°C), ha consentito di contenere lo sviluppo delle cariche<br />
batteriche migliorando di molto la qualità microbiologica del latte prodotto.<br />
Infatti, se la mungitura avviene correttamente nel rispetto sia della buone prassi igieniche e operative che<br />
della temperatura di stoccaggio, la carica batterica totale contenuta nel latte prodotto si mantiene al di sotto<br />
dei 100.000 germi per ml.<br />
Visto che i due tipi di flora devono mantenersi in equilibrio, è importante che la carica batterica non cresca in<br />
modo incontrollato in quanto la flora lattica mesofila è di solito presente nel latte da trasformare a cariche<br />
inferiori. E’ anche importante impedire forti proliferazioni della CBT in caseificio dal momento che, in questa<br />
fase la flora lattica tende invece a rimanere stabile.<br />
Un altro aspetto rilevante, che può condizionare fortemente lo sviluppo della carica batterica totale e quindi<br />
la riuscita del formaggio, riguarda il modo di conservare il latte della sera durate il riposo notturno nelle<br />
vasche di affioramento. Tale passaggio, soprattutto in un lungo periodo dell’anno – almeno da aprile a<br />
ottobre – è estremamente delicato e va gestito in modo corretto. E’ importante impedire al latte – munto<br />
correttamente e altrettanto correttamente stoccato in cisterna – di incrementare, durante il tempo di<br />
affioramento nelle vasche, la propria temperatura. Per fare ciò occorre utilizzare alcuni sistemi efficaci di<br />
raffreddamento quali il ricircolo dell’acqua gelida all’interno delle vasche di affioramento o il condizionamento<br />
ambientale della sala latte.<br />
Se questo passaggio è corretto, la temperatura del latte stesso nelle vasche riesce, entro breve tempo, a<br />
scendere anche di alcuni gradi centigradi favorendo il processo di affioramento dei globuli di grasso e,<br />
soprattutto, impedendo, quasi certamente, qualsiasi proliferazione microbica anticasearia.<br />
Conseguentemente, il relativo latte magro è in grado di presentare un contenuto in carica batterica totale<br />
ampiamente al di sotto dei 100.000 germi per ml. Tale condizione è fondamentale per indirizzare tutto il latte<br />
di caldaia verso una adeguata tecnologia di trasformazione, favorendo un regolare spurgo della cagliata, una<br />
intensa e completa acidificazione della pasta e, infine, una corretta e uniforme maturazione del formaggio sia<br />
sotto il profilo strutturale che organolettico.<br />
Al fine di garantire tutto questo è, pertanto, importante che la carica batterica totale presente sia nel latte di<br />
stalla che nel latte magro e di caldaia, si mantenga su valori relativamente bassi. Aspetto, questo,<br />
estremamente importante soprattutto per il latte raccolto in cisterna dove il rispetto e il mantenimento della<br />
temperatura di stoccaggio diventa condizione prioritaria per la riuscita del formaggio.<br />
Una eccessiva proliferazione batterica è, infatti, in grado di compromettere la riuscita del formaggio<br />
condizionando negativamente le principali fasi tecnologiche e favorendo, conseguentemente, lo sviluppo di<br />
fermentazioni anomale all’interno della pasta, riconducibili, prevalentemente, a fermentazioni precoci di tipo<br />
propionico ed eterolattico e a fermentazioni più tardive di tipo butirrico.<br />
Elevate cariche batteriche possono, inoltre, essere concausa dell’insorgenza di alcuni difetti legati anche alla<br />
mancanza di e<strong>last</strong>icità e di coesione della pasta tali da provocare la formazione di spacchi e fessurazioni più<br />
o meno accentuate nella forma durante la sua stagionatura.<br />
L’impatto della carica batterica del latte sulla trasformazione in <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong><br />
La fase dell’affioramento è una delle più delicate nel processo produttivo del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>: in<br />
questa fase il latte riposa varie ore durante le quali, se da un lato viene “pulito” dall’affioramento, dall’altro,<br />
per l’impossibilità di agitare la massa proprio per permettere l’affioramento, difficilmente si raffredda in modo<br />
omogeneo restando di norma nella parte centrale della vasca, più distante dalle pareti, più caldo.<br />
Per tali motivi se il latte non è molto pulito all’origine, può succedere che la carica batterica del latte magro si<br />
innalzi rispetto a quella del latte della sera anziché calare, come dimostrato anche da molti dati rilevati dal<br />
CFPR in caseificio che dimostrano che non è solo il latte intero della mattina il responsabile delle cariche<br />
batterica del latte in caldaia.<br />
Se il latte della sera non ha all’arrivo in caseificio valori di carica batterica molto bassi, non è raro che tali<br />
valori crescano anziché calare a causa di inquinamento per contatto con superfici lavate senza la dovuta<br />
accuratezza (cisterne trasporto latte, gomme di carico-scarico, vasconi di affioramento, canale di servizio,<br />
20
tanks per latte di riporto ma soprattutto per camere latte insufficienti per portata e condizionamento (troppo<br />
latte steso per vasca e/o non raffreddato a sufficienza in rapporto all’altezza del battente).<br />
Il tutto può essere accentuato in presenza di affioramenti bassi o medio-bassi o di lavorazioni tendenti al<br />
grasso.<br />
Sono ormai solo rare situazioni quelle in cui si assiste, corrispondentemente a valori di CBT elevata del latte<br />
a fine affioramento, ad un incremento dell’ acidità °SH e ad un abbassamento del valore del pH, ovvero ad<br />
una maturazione lattica-acidificante e comunque più specifico-casearia; molto più spesso si rileva che a latti<br />
magri, caratterizzati da elevate CBT, corrispondono caratteristiche acidimetriche (sia acidità titolabile che<br />
reale) normoacide se non con tendenza addirittura a ipoacidità, a dimostrazione di come lo sviluppo<br />
batterico durante la notte in vasca non sia in questi casi prevalentemente di interesse caseario, ovvero<br />
lattico-acidificante, quanto piuttosto ad indirizzo aspecifico se non anticaseario (maturanza-proteolisi).<br />
In situazioni di questi tipo è importante applicare misure tecnologiche preventive prima della lavorazione o di<br />
rimedio in fase di lavorazione.<br />
Senza bisogno di ribadire che la prima profilassi consiste nel miglioramento della carica batterica del latte<br />
alla stalla, in caseificio la prevenzione è rappresentata dalla buona prassi legata dell’esame visivo ed<br />
olfattivo della panna in vasca: la panna di latte fermentato si presenta grinzosa, con odore di fermentato, di<br />
verdura lessa, di cotto e comunque con odore sgradevole tendente alla soda o all’acido a seconda del tipo di<br />
fermentazione prevalente.<br />
Altra misura importante è rappresentata dall’anticipo netto del tempo di coagulazione fin dalle prime caldaie,<br />
anche di 4’-5’ in meno rispetto al normale tempo di coagulazione.<br />
Infine, quando si verificano queste situazioni si registra di norma l’emanazione di odore di verdura cotta dalla<br />
caldaia fin dalle prime fasi di asciugatura.<br />
In lavorazione può servire:<br />
- una riduzione del dosaggio del siero innesto in caldaia;<br />
- l’eventuale riduzione, moderata, del caglio;<br />
- un ridotto rassodamento della cagliata ed un anticipo della rottura con lo spino;<br />
- una spinatura breve e veloce;<br />
- l’apertura del fuoco in spinatura con apertura a tutto vapore a fine spinatura con l’attenzione a non<br />
superare la temperatura di cottura classica per effetto della grossa spinta-inerzia di vapore erogato;<br />
- l’eventuale ulteriore rottura della cagliata ancora con spino + agitatore;<br />
- la riduzione del tempo di giacenza.<br />
Come si vede in tali situazioni i secondi, a questi livelli di instabilità del latte, possono salvare o danneggiare<br />
in modo importante la forma.<br />
Chiaramente non si è opportuno utilizzare il siero cotto di latte maturo per fare l’innesto.<br />
A seguito di lavorazioni di latte maturo, all’estrazione post-giacenza il rischio più frequente è quello di una<br />
forma con bocca molto compromessa nell’impasto, ovvero caratterizzata da diverse morfologie di slegatura<br />
che vanno dalla bocca finita con polvere, alla bocca schioppettata, alla bocca con fontanelle o fontane<br />
nonché slabbrature.<br />
Sullo spersore il danno rende manifesto il mancato impasto con la forma della pelle che si attacca alla pezza<br />
e che viene strappata via ai primi cambi (soprattutto alle prime due voltature); la pasta al tatto si sbirciola, si<br />
sgrana facilmente e sono evidenti già dalle prime ore delle screpolature della pasta arida che fa fatica a<br />
stare legata.<br />
Il siero che spurga dalla forma è bianco-lattiginoso, e non chiaro-limpido come dovrebbe essere, a causa<br />
della demineralizzazione della pasta a seguito del ristagno di umidità e dell’eccesso di acidificazione<br />
all’interno (dove la pasta disidratatasi in lavorazione tende a trattenere il siero (effetto” spugna”) entro la<br />
forma).<br />
In stagionatura i difetti più eclatanti, conseguenti a mancato o scarso impasto ed ad eccesso di<br />
acidificazione e demineralizzazione, manifestano in paste slegate (sfoglie, strappi, bocche di pesce) spesso<br />
associate a colorazioni più o meno intense, uniformemente estese o sbandierate e localizzate internamente<br />
o anche sull’esterno della forma.<br />
21
Ai difetti strutturali possono sovrapporsi anche problemi di tipo microbiologico favoriti dal trattenimento di<br />
eccesso di umidità nella pasta ovvero dal ristagno nella forma di un eccesso di siero con rischio di presenza<br />
di zuccheri non completamente metabolizzati pur ad acidificazione avvenuta.<br />
Segue spesso l’insorgenza di difetti organolettici per alterazione dei normali processi enzimatici (proteolisi in<br />
particolare) o per acidificazioni spinte (ristagni di siero): un formaggio prodotto con latte maturo risulta di<br />
norma al palato più piccante e più acido ed è pronto al consumo, rispetto ad un formaggio di pari età<br />
prodotto con latte non inquinato, in tempi ben più brevi ovvero non ha le caratteristiche idonee per una<br />
stagionatura classica di 22-30 mesi ma tende ad essere un formaggio da destinarsi al consumo poco oltre i<br />
12 mesi.<br />
Gestione e lavaggio impianti di mungitura e di stoccaggio del latte alla stalla (a cura<br />
di A. Pazzona – Università di Sassari e M. Capasso – Associazione Italiana Allevatori di Roma)<br />
In qualsiasi processo produttivo le caratteristiche del prodotto finale sono influenzate da numerosi fattori, fra<br />
questi il più rilevante risulta la qualità della materia prima. Nel settore lattiero-caseario, in particolare, la<br />
qualità della materia prima appare di fondamentale importanza per l’ottenimento di prodotti di pregio, sia che<br />
siano destinati al consumo diretto, sia alla trasformazione in formaggi.<br />
Gli allevatori che intendono accrescere qualitativamente la propria produzione debbono, in primo luogo,<br />
curare le condizioni di igiene e pulizia nel corso dell’estrazione del latte. A questo riguardo si può affermare<br />
che la mungitrice ed il serbatoio refrigerante in precarie condizioni igieniche divengono le fonti primarie e più<br />
dannose d’inquinamento del latte. Difatti, la scarsa pulizia degli impianti favorisce l’insediamento e la<br />
proliferazione di una flora microbica composta prevalentemente da germi termoresistenti.<br />
Il contenuto microbico rappresenta, pertanto, un componente essenziale della qualità e dell’intima struttura<br />
del latte che, una volta alterata, ne riducono in misura considerevole sia il valore dietetico che il pregio<br />
caseario. Pertanto, per garantire la salubrità del prodotto appare sempre più importante la formulazione di un<br />
piano d’igiene per “l’analisi del rischio” dell’intera filiera alimentare.<br />
Di seguito sono sinteticamente esposte le principali norme da seguire per effettuare correttamente la<br />
gestione igienico-sanitaria dell’impianto di mungitura e del refrigeratore del latte alla stalla.<br />
22
Igiene e qualità del latte<br />
I batteri e la loro azione<br />
I microrganismi o germi sono esseri unicellulari dell’ordine un milionesimo di millimetro che non si originano<br />
spontaneamente dalla materia inanimata, ma derivano da altri microrganismi. Appartengono a questa<br />
categoria virus, batteri e funghi.<br />
Il latte costituisce un buon terreno di coltura per molti ceppi di microrganismi che vi si trovano naturalmente e<br />
che provengono dall’interno della mammella, nel caso di animali ammalati, e dall’ambiente esterno. Alcuni di<br />
questi microrganismi possono essere dannosi per la salute dei consumatori, altri provocano l’alterazione dei<br />
costituenti del latte ponendo problemi di conservazione e di trasformazione, altri ancora sono indice di una<br />
scarsa igiene aziendale. I germi patogeni sono presenti nella pelle, nelle mammelle delle vacche con<br />
infezioni in atto, nelle ferite, negli impianti di mungitura e di refrigerazione, nella lettiera, nell’aria dei locali,<br />
nelle mani e negli indumenti dell’uomo.<br />
I batteri che penetrando all’interno della mammella causano la mastite si possono suddividere in due grandi<br />
gruppi: batteri contagiosi e batteri ambientali.<br />
I batteri contagiosi vivono principalmente all’interno dei quartieri mammari o nelle screpolature dei capezzoli,<br />
quindi l’infezione si può trasmettere per contagio da un animale all’altro. La contaminazione avviene nel<br />
corso della mungitura per mezzo delle mani del mungitore, del panno utilizzato per la pulizia della mammella<br />
e delle guaine dei prendicapezzoli (fig. 1). I batteri contagiosi non causano di norma mastiti cliniche acute<br />
ma, più frequentemente, infezioni subcliniche croniche.<br />
I batteri ambientali vivono e proliferano anche nell’ambiente della stalla; i più importanti di questa famiglia<br />
arrivano dalle feci degli animali. L’ingresso nella mammella avviene soprattutto quando gli animali sono<br />
sdraiati, per contatto dei capezzoli con la lettiera. Rispetto ai contagiosi, sono responsabili di infezioni di<br />
minore durata, ma molto acute, accompagnate generalmente da segni clinici.<br />
La carica batterica è un fattore molto importante in quanto, oltre che costituire un importante parametro<br />
qualitativo che definisce il prezzo del latte, il rischio per l’organismo umano di contrarre la malattia infettiva è<br />
proporzionale al numero di batteri. Fra i fattori che favoriscono la crescita dei microrganismi, vi è innanzitutto<br />
il substrato dal quale traggono nutrimento. Sotto questo aspetto il latte e i depositi di sporcizia in genere<br />
rappresentano un ottimo terreno per lo sviluppo dei batteri. Un altro fattore, a volte sottovalutato, che<br />
agevola la moltiplicazione batterica è l’umidità, in quanto i batteri hanno necessità d’acqua per vivere e<br />
riprodursi. Alcuni batteri vivono solo in presenza di ossigeno (batteri aerobi) ed in generale la presenza di<br />
ossigeno accelera il processo di deterioramento del latte.<br />
Figura 1. Modalità di trasmissione dell’infezione per contagio da un animale all’altro<br />
La flora dominante in un latte appena munto è rappresentata da tre gruppi principali: i batteri lattici, i<br />
coliformi, gli psicrotrofi. I batteri lattici (lattobacilli e streptococchi) ed i coliformi demoliscono il lattosio<br />
provocando l’acidificazione del latte; i batteri psicrofili producono lipasi e proteasi termoresistenti che<br />
determinano difetti nei prodotti caseari. Ciascun ceppo di batteri si riproduce attivamente entro un<br />
determinato campo di temperature, nell’ambito del quale vi è un valore ottimale cui corrisponde la massima<br />
velocità di crescita. I microrganismi per moltiplicarsi hanno bisogno di tempo; in condizioni favorevoli ogni 20<br />
23
minuti raddoppiano il loro numero. Ad esempio, da un solo batterio si passa in circa 10 ore a 60 milioni di<br />
microrganismi.<br />
Per rallentare o, nel migliore dei casi, arrestare la moltiplicazione batterica occorre abbassare rapidamente<br />
la temperatura del latte. La refrigerazione costituisce il miglior mezzo per contenere la proliferazione dei<br />
germi, e la sua efficacia è legata tanto alle prestazioni degli impianti quanto alla qualità iniziale del prodotto.<br />
Infatti, poiché il freddo non uccide i germi, sia in fase di allevamento che di mungitura, devono essere messe<br />
in atto tutte quelle procedure che consentono di limitare al massimo il grado di contaminazione iniziale del<br />
latte.<br />
La normativa cogente<br />
Dal punto di vista normativo sono state da tempo definite le prescrizioni che devono essere rispettate negli<br />
allevamenti in tema d’igiene, sia attraverso la fissazione di limiti di carica batterica massima, sia mediante la<br />
precisazione dei requisiti igienici cui le aziende devono attenersi. In particolare il DPR 54/97 (Regolamento<br />
recante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/CEE in materia di produzione e immissione sul mercato di<br />
latte e di prodotti a base di latte) prima, ed il Reg. CEE n. 853 del 29/04/2004 (che stabilisce norme<br />
specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale) hanno stabilito le condizioni per:<br />
• locali ed attrezzature<br />
• igiene della mungitura, della raccolta e del trasporto<br />
• igiene del personale<br />
I citati provvedimenti normativi stabiliscono alcune condizioni strutturali cui le aziende devono attenersi ed<br />
alcune modalità operative da rispettare. Ad esempio, per quanto riguarda i requisiti di locali ed attrezzature,<br />
viene sottolineata la necessità di costruirli e utilizzarli in modo da evitare le contaminazioni del latte; inoltre<br />
viene messo in evidenza l’obbligo di pulizia e disinfezione delle attrezzature stesse.<br />
Analogamente, per quanto riguarda le operazioni di mungitura, il reg. 853/04 ribadisce quanto già previsto<br />
dal DPR 54/97, ovvero alcuni accorgimenti da osservare per una corretta routine di mungitura (es. pulizia<br />
della mammella e dei capezzoli prima dell’attacco dei gruppi, eliminazione dei primi getti per controllare il<br />
latte). Infine, per ciò che concerne il personale, particolare importanza viene data alle condizioni igieniche<br />
degli operatori, i quali rappresentano uno dei fattori di trasmissione di microrganismi in una stalla di vacche<br />
da latte.<br />
Il passaggio fondamentale sancito dai regolamenti afferenti al cosiddetto “pacchetto igiene” (reg. 852 ed 853<br />
del 2004) consiste nell’attribuire piena responsabilità al produttore primario per quanto concerne la sicurezza<br />
degli alimenti. Tale concetto rappresenta un obiettivo del Libro Bianco sulla sicurezza alimentare che<br />
l’Unione Europea ha definito sin dall’anno 2000 ed ha rappresentato il comune denominatore di tutta la<br />
normativa emanata negli anni successivi (es. reg. 178/2002 relativo alla tracciabilità degli alimenti, reg.<br />
183/2005 sui requisiti per l’igiene dei mangimi, oltre ai già citati regolamenti sul pacchetto igiene).<br />
I principi fondamentali su cui si basano tali regolamenti comunitari in tema di sicurezza alimentare<br />
interessano quindi tutti gli operatori della catena alimentare, compresa la produzione primaria. Tali principi<br />
possono essere così riassunti:<br />
• la responsabilità principale per la sicurezza degli alimenti è dell’operatore del settore alimentare, garante<br />
del rispetto delle disposizioni della relativa legislazione nell’impresa alimentare posta sotto il suo<br />
controllo;<br />
• la sicurezza degli alimenti va garantita lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione<br />
primaria, anche attraverso l’introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti.<br />
In definitiva la necessità di garantire l’igiene dei prodotti passa da un’esigenza del consumatore finale, oggi<br />
molto più attento ed intransigente rispetto al passato su tale aspetto qualitativo, esigenza pienamente<br />
recepita dal Legislatore che ha indirizzato tutta la normativa relativa ai prodotti alimentari sulla garanzia dei<br />
requisiti di igiene e sicurezza.<br />
Igiene della mammella<br />
L’obiettivo di una corretta igiene di mungitura è quello di eliminare dai capezzoli depositi organici che<br />
ospitano batteri ambientali e, allo stesso tempo, di non favorire il passaggio di batteri contagiosi fra i quarti<br />
delle mammelle.<br />
La probabilità d’insorgenza di una nuova infezione è proporzionale al numero di batteri presenti sulla<br />
superficie del capezzolo; il rischio aumenta ulteriormente se vi sono lesioni della cute o dello sfintere<br />
capezzolare, facilmente contaminati dai batteri che causano la mastite. Pertanto, risulta indispensabile<br />
24
effettuare la disinfezione della mammella, una pratica che ancora oggi viene a volte trascurata. Inoltre,<br />
curando l’igiene della mammella si favorisce l’eiezione del latte che, come è noto, avviene soprattutto in<br />
seguito a stimoli tattili (mani del mungitore) e termici (acqua tiepida).<br />
Figura 2. Si raccomanda di pulire solo il capezzolo con detergenti e carta a perdere, oppure con panni<br />
imbevuti di disinfettanti.<br />
I metodi di pulizia della mammella sono riconducibili a due gruppi: la pulizia con acqua, adottata soprattutto<br />
in presenza di lettiera, e la pulizia a secco. Si deve procedere alla pulizia con acqua solo se la mammella<br />
presenta evidenti tracce di sporco, perché il lavaggio può provocare un incremento della carica batterica<br />
totale (CBT). Si raccomanda, quindi, di pulire solo il capezzolo utilizzando detergenti e carta a perdere o<br />
fazzoletti imbevuti di disinfettante (fig. 2). Si possono utilizzare anche panni in stoffa, ma dopo ogni<br />
mungitura devono essere lavati ad alta temperatura, disinfettati e asciugati. Quando la disinfezione avviene<br />
per immersione del capezzolo in apposita soluzione, ed è questa la pratica più comune, si parla di dipping<br />
(fig. 3). La cosa importante è che al momento dell’attacco del gruppo il capezzolo risulti perfettamente<br />
asciutto, poiché anche solo poche gocce di acqua possono favorire le infezioni mammarie. Di norma, i<br />
prodotti per la disinfezione, se applicati correttamente, riducono la percentuale di infezioni dei capezzoli di<br />
oltre il 50%. Il tempo richiesto per completare la preparazione della mammella, compreso l’attacco del<br />
gruppo, risulta mediamente di 20-30 secondi per vacca.<br />
Figura 3. La disinfezione per immersione del capezzolo in apposita soluzione (dipping) è la pratica più<br />
comune<br />
Immediatamente dopo lo stacco del prendicapezzoli si deve procedere con la disinfezione post-mungitura;<br />
queste operazioni si effettuano in circa 40 secondi per vacca. Per facilitare la chiusura ermetica dello<br />
sfintere, il cui orificio rimane aperto per almeno mezz’ora dopo la mungitura, è importantissimo impiegare<br />
prodotti disinfettanti ad azione filmante (fig. 4). L’applicazione post-mungitura svolge il ruolo essenziale di<br />
25
imuovere dalla mammella i batteri contaminanti esterni e, contemporaneamente, di bloccarne la diffusione<br />
all’interno del canale capezzolare. Prima della successiva mungitura si rimuove il film lavando i capezzoli<br />
con acqua potabile ed eliminando i primi getti di latte.<br />
Figura 4. Per il post-dipping è bene impiegare prodotti disinfettanti ad azione filmante<br />
Le sostanze attive contenute nei prodotti per la disinfezione dei capezzoli sono molteplici, fra le principali<br />
troviamo i prodotti a base di cloro (candeggina) e di iodio, le clorexidine, il perossido di idrogeno (acqua<br />
ossigenata), l’acido lattico, ecc.. La presenza di screpolature della pelle richiede, in fase di pre-mungitura, un<br />
trattamento con un emolliente, al fine di mantenere la cute al giusto grado di umidità e limitare la possibilità<br />
di colonizzazione batterica. Il prodotto emolliente va aggiunto alle soluzioni disinfettanti in concentrazioni<br />
ridotte per non comprometterne l’attività battericida.<br />
Igiene degli impianti<br />
Le operazioni igienico-sanitarie inerenti gli impianti sono comunemente riassunte col termine di “lavaggio”. In<br />
realtà il lavaggio comprende una serie di operazioni specifiche alle quali corrispondono appropriate<br />
definizioni.<br />
La detersione consiste nella completa rimozione dello sporco visibile utilizzando acqua e detergenti; le<br />
superfici trattate, tuttavia, pur essendo perfettamente pulite presentano ancora colonie microbiche. Per<br />
eliminare il 99,999% dei microrganismi patogeni, ad eccezione delle spore, si deve procedere alla<br />
disinfezione utilizzando prodotti registrati P.M.C. (Presidio Medico Chirurgico). Si parla invece di<br />
sanitizzazione quando la disinfezione avviene impiegando prodotti non registrati come P.C.M.. Col termine di<br />
sanificazione, infine, si intende l’insieme delle operazioni di detersione e di disinfezione.<br />
Natura dei depositi<br />
I depositi di latte si possono distinguere in depositi molli e in depositi duri; la presenza dei primi è un chiaro<br />
indice di lavaggio giornaliero insufficiente da effettuarsi con prodotti alcalini. Oltre ai residui di latte intero si<br />
trovano delle molecole di grasso identificabili dallo stato delle superfici e dalle goccioline d’acqua sulle pareti.<br />
I residui duri non appaiono subito, quando l’impianto è ancora nuovo, ma dopo qualche tempo; essi sono<br />
indice sia di lavaggio giornaliero incompleto, sia dell’assenza o della scarsa frequenza di lavaggi acidi<br />
disincrostanti (fig. 5). I depositi duri si presentano sotto diverse forme: minerale e metallica. I sedimenti<br />
minerali, comunemente chiamati “pietra di latte”, sono originati dai minerali dell’acqua e del latte insieme,<br />
mentre i depositi metallici si formano, ad esempio, nelle regioni in cui l’acqua è molto ricca di ferro e<br />
presentano una colorazione rossastra. Talvolta compaiono anche depositi di colore grigio di natura argillosa.<br />
I residui di latte aderiscono differentemente alle superfici a seconda della natura e dello stato di usura delle<br />
stesse e del tipo di microrganismi che colonizzano il materiale. Di solito i residui si accumulano negli angoli e<br />
nelle parti concave o sporgenti; lasciati a contatto con l’aria si disseccano rapidamente aderendo fortemente<br />
ai loro supporti. Il deposito risulta tanto più difficile da asportare quanto più esso è anziano.<br />
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La colonizzazione microbica dei depositi di latte non è immediata, essa dipende dalla natura e dallo<br />
spessore della pellicola, dalla tecnica di disinfezione adottata e dalla temperatura ambiente. Le superfici, in<br />
particolare quelle costituite da materiale diverso dell’acciaio, divengono porose con l’invecchiamento<br />
naturale e sotto l’azione del latte e dei detersivi.<br />
Figura 5. I depositi duri sulla valvola di chiusura del collettore indicano la mancanza di lavaggi acidi<br />
disincrostanti<br />
I detersivi<br />
Il lavaggio, che mira all’eliminazione dei depositi di varia natura formatisi sulla superficie interna degli<br />
impianti di mungitura e di refrigerazione, deve esercitare tre azioni:<br />
• azione detergente, per mezzo di prodotti alcalini, per allontanare i depositi di natura organica (grassi e<br />
proteine) e rendere le superfici fisicamente pulite;<br />
• azione detartrante, con composti acidi, per asportare i depositi minerali;<br />
• azione disinfettante, con formulati principalmente a base di cloro, per eliminare i microrganismi.<br />
Evidentemente un solo prodotto chimico non può avere tutte le proprietà richieste. Pertanto, si dovranno<br />
impiegare delle combinazioni di differente costituzione per arrivare ad una soluzione di lavaggio veramente<br />
efficace (fig. 6).<br />
Figura 6. Per arrivare ad un’efficace soluzione di lavaggio è necessario impiegare i prodotti chimici in diverse<br />
combinazioni<br />
I detergenti alcalini sono composti solitamente da tre frazioni attive: alcali, tensioattivi, agenti complessi.<br />
Come alcali si utilizzano principalmente silicati, fosfati e carbonati, ma non di rado si trova nello stesso<br />
prodotto un'associazione di questi composti. I tensioattivi o agenti bagnanti (saponi, oli solfonati, ecc.)<br />
hanno il compito di abbassare la tensione superficiale della soluzione circolante e far sì che l'agente lavante<br />
possa infiltrarsi sotto i depositi di sporcizia.<br />
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Gli agenti complessi intervengono neutralizzando i sali di calcio e magnesio presenti nell'acqua<br />
mantenendoli in soluzione e impedendone la deposizione. Un'eccessiva durezza dell'acqua potrebbe<br />
determinare nel tempo la formazione di incrostazioni difficili da eliminare anche col lavaggio acido. E'<br />
importante, quindi, effettuare preventivamente l'analisi dell'acqua per conoscere con precisione il suo<br />
contenuto in sali di calcio e di magnesio, così da poter effettuare un corretto dosaggio del prodotto e<br />
prevenire le deposizioni. L'azione degli agenti complessi si esplica anche su ferro e sali di rame.<br />
I detergenti acidi sono prodotti composti da acidi, tensioattivi e agenti inibenti. Come acidi o detartranti, si<br />
utilizzano acidi organici deboli (acido citrico, lattico e acetico) e acidi organici forti (acido cloridrico, solforico,<br />
nitrico, fosforico e altri ancora). In considerazione del fatto che l'azione degli acidi non è selettiva, in quanto<br />
assieme ai depositi minerali agiscono anche sui materiali dell'impianto, si è resa necessaria l'introduzione di<br />
agenti inibenti per limitare al massimo eventuali danni alla mungitrice.<br />
Gli impianti sono costruiti con diversi materiali come il vetro, la p<strong>last</strong>ica, la gomma, l'acciaio e l'alluminio.<br />
Questi materiali sono diversi da pulire e i detergenti devono possedere le qualità per pulirli tutti ugualmente<br />
bene e senza intaccarli.<br />
Fra i disinfettanti più usati si ricordano il cloro, lo iodio, i composti iodofori e l'acido paracetico. Le soluzioni<br />
clorate sono a base di ipocloriti (varechina), di fosfati trisodici clorati e, non di rado da clorammine. Questi<br />
prodotti, che agiscono contro i batteri e i virus, vanno utilizzati in soluzioni alcaline (pH maggiore di 8) e a<br />
caldo, ma ad una temperatura inferiore a 65 °C per non incorrere nel rischio di rendere inattivo il cloro.<br />
Considerata l'azione corrosiva del cloro sulle gomme e sui metalli, acciaio inossidabile compreso, la<br />
concentrazione di questo sanitizzante non deve superare le 50-100 ppm ed il tempo di contatto con le parti in<br />
gomma non deve eccedere i 20 minuti.<br />
Lo iodio, pur essendo un eccellente disinfettante, non è solubile nell'acqua. Perciò, lo si deve associare con<br />
un tensioattivo e con un acido per costituire ciò che si chiama un composto iodoforo. Quest’ultimo offre il<br />
vantaggio di essere attivo anche a freddo, di possedere le medesime qualità battericide dei derivati del cloro<br />
e di risultare meno corrosivo del cloro.<br />
I detergenti sono dotati, in genere, di un potere disinfettante assai modesto: essi agiscono nei riguardi dei<br />
batteri rimuovendo i depositi di latte che servono loro da supporto, ed è per questo che il lavaggio, anche se<br />
eccellente, non assicura la completa disinfezione. E' consigliabile, pertanto, utilizzare una soluzione<br />
disinfettante sia da sola, dopo il lavaggio, sia miscelata con i detergenti che si identificano allora col termine<br />
di sanificanti.<br />
Il principio di azione del lavaggio è fondato sulla combinazione di cinque fattori: l’acqua, l’azione meccanica,<br />
la temperatura, la concentrazione e la durata di azione della soluzione detergente. L’acqua ha la funzione di<br />
rammollire e quindi disgregare i depositi di sporcizia e di solubilizzare alcuni componenti. Essa, inoltre, serve<br />
da veicolo ai detergenti e ai depositi da rimuovere. Risulta indispensabile assicurarsi che l’acqua sia potabile<br />
secondo quanto prescritto dal D.P.R. N. 236/88. L’azione meccanica risulta essenziale per completare<br />
l’azione della soluzione detergente sui residui di latte la cui aderenza sovente è assai forte (fig. 7).<br />
Un’energica azione meccanica può esercitarsi con la spazzolatura, con la circolazione o con l’iniezione sotto<br />
pressione della soluzione detergente. A seconda del metodo di lavaggio e del tipo di materiale da lavare si<br />
utilizzano uno o più di questi trattamenti.<br />
La temperatura elevata migliora ed accelera il processo di lavaggio. La pulizia risulta più efficace quando la<br />
temperatura della soluzione detergente è più alta del punto di liquefazione del grasso (30–35 °C). il grasso<br />
allo stato fuso viene così eliminato facilmente. Si ottiene la massima azione di una soluzione detergente a<br />
65–70 °C, per temperature superiori esiste il rischio di calcificazione delle proteine sulle superfici degli<br />
impianti. In ragione delle difficoltà che possono avere alcuni allevatori nel disporre di acqua calda in quantità<br />
sufficiente, si può ricorrere ai sistemi di lavaggio “a freddo” che utilizzano acqua a temperatura ambiente.<br />
La concentrazione della soluzione detergente è variabile in funzione del prodotto, di norma è compresa tra<br />
l’uno e il due percento. L’aumento della dose prescritta dal fornitore non migliora l’efficacia del lavaggio ma<br />
costituisce una spesa inutile e si corre il rischio di danneggiare il materiale. La durata d’azione della<br />
soluzione detergente è diversa a seconda del sistema di lavaggio adottato e del prodotto impiegato. In alcuni<br />
casi bastano pochi minuti, mentre in altri sono necessari fino a trenta minuti circa. Anche in questo caso<br />
risulta inutile andare oltre il tempo prescritto.<br />
28
Figura 7. Per staccare i depositi di sporcizia che aderiscono tenacemente alle superfici dell’impianto è<br />
indispensabile che la soluzione di lavaggio sia animata da moto turbolento<br />
Detersione e disinfezione degli impianti di mungitura<br />
Gli impianti di mungitura possono essere lavati secondo due procedimenti fondati sullo stesso principio: l’uno<br />
manuale, l’altro automatico. Quest’ultimo presenta il vantaggio di ridurre l’intervento umano, di evitare<br />
sprechi d’acqua e di detergenti e di non richiedere sforzi fisici.<br />
Lavando manualmente non sempre è possibile ottenere un buon risultato, in quanto si possono commettere<br />
errori nel dosaggio dei detergenti, nella scelta della temperatura, nella successione delle fasi e dei tempi più<br />
appropriati per ciascuna di esse. Inoltre, risultando il lavaggio manuale un’operazione abbastanza faticosa, si<br />
ha sovente la tentazione di semplificarla e, a volte, di non effettuarla. I sistemi automatici evitano il rischio di<br />
questi inconvenienti ed offrono la garanzia di un lavaggio accurato.<br />
Le modalità comunemente adottate per la sanificazione delle macchine mungitrici, a prescindere dalla<br />
tipologia delle stesse, sono determinate dalla temperatura dell'acqua utilizzata per la preparazione della<br />
soluzione di lavaggio. Pertanto, si possono distinguere i sistemi di lavaggio seguenti:<br />
• a freddo, si effettua di norma manualmente utilizzando speciali detersivi efficaci a temperature inferiori a<br />
35-40 °C. In realtà come composizione chimica sono simili agli altri detersivi, però sono più concentrati e<br />
corrodono in misura maggiore soprattutto le parti in gomma;<br />
• a caldo, prevede l'uso di acqua a 65-70 °C e risulta il metodo più diffuso e adatto ad ogni tipo di<br />
impianto.<br />
Una buona detersione, senza dover ricorrere a controlli microbiologici, può evidenziarsi già ad occhio nudo<br />
con la prova cosiddetta dell'acqua. Questa, sparsa su di una superficie pulita si diffonde sotto forma di un<br />
velo continuo, mentre sparsa sopra una superficie non ben detersa si riunisce in piccole goccioline.<br />
Lavaggio manuale<br />
Le superfici esterne delle mungitrici a secchio e a carrello vanno lavate con getto d'acqua e spazzola, mentre<br />
per la pulizia dei componenti che entrano a contatto col latte, in particolare per i gruppi prendicapezzoli, è<br />
necessario dotarsi di apposite spazzole e di un lavello della capacità di almeno 50 litri. Si deve misurare<br />
attentamente il volume dell'acqua per evitare errori di diluizione: di norma occorrono una quindicina di litri<br />
d'acqua a 60 °C per ciascun gruppo prendicapezzoli.<br />
Sarebbe opportuno operare ad una temperatura non inferiore a 40 °C, perché tanto più è bassa la<br />
temperatura della soluzione e quanto più lungo risulta il tempo di contatto per ottenere il medesimo effetto;<br />
tutto ciò in contrapposizione al fatto che proprio nel lavaggio a mano si desidera far presto. Risulta<br />
indispensabile, inoltre, scegliere un prodotto detergente-disinfettante specifico per il lavaggio manuale.<br />
La soluzione detergente dovrebbe essere preparata in precedenza per poi immergervi le singole parti da<br />
trattare; nel caso di detersivi in polvere converrà assicurarsi che tutto il prodotto risulti ben disciolto prima di<br />
iniziare le operazioni. Inoltre, è consigliabile lasciare agire la soluzione per qualche minuto sui materiali<br />
29
prima di intervenire con spazzole le cui setole risultino sufficientemente morbide per non graffiare o rigare le<br />
superfici.<br />
Al termine del risciacquo finale, durante il quale possono essere aggiunti 8 ml di ipoclorito di sodio (la<br />
comune candeggina) in 12 litri d'acqua per ogni gruppo prendicapezzoli, tutti i componenti puliti si fanno<br />
sgocciolare appendendoli ad una rastrelliera al riparo dalla polvere.<br />
Lavaggio automatico<br />
Per la pulizia degli impianti esistono numerosi prodotti, ma non sempre sono impiegati in modo corretto. Non<br />
di rado il mungitore effettua il lavaggio una sola volta al giorno, di norma dopo la mungitura del pomeriggio, o<br />
addirittura saltuariamente al fine di risparmiare i 25-30 minuti necessari per l'operazione. Risulta, perciò,<br />
importante dotare l'impianto di un dispositivo automatico di lavaggio che provveda a riscaldare l'acqua e a<br />
regolare elettronicamente i detergenti alcalini e acidi in funzione della quantità e della qualità dell'acqua. E'<br />
sufficiente premere un pulsante per avviare il programma che a fine ciclo si arresta automaticamente (fig. 8).<br />
Anche col lavaggio automatico, ovviamente, la pulizia delle superfici esterne deve essere curata<br />
quotidianamente con interventi manuali, facendo ricorso a spazzole e a panni inumiditi. Si procede poi a<br />
fissare i gruppi prendicapezzoli alle coppette di lavaggio.<br />
La pulizia dell'impianto, che deve eseguirsi entro un’ora al massimo dalla conclusione della mungitura per<br />
prevenire l'essiccazione dei residui di latte, comprende di regola i seguenti interventi operativi: prelavaggio,<br />
sanificazione (detersione e disinfezione), risciacquo finale. Per il lavaggio degli impianti di mungitura a<br />
lattodotto il fabbisogno giornaliero di acqua risulta di 60-80 litri/gruppo.<br />
Prelavaggio. Tutte le superfici venute a contatto con il latte dovranno subire un risciacquo semplice o<br />
doppio, detto comunemente prelavaggio, con acqua fredda d’estate e tiepida (30-35 °C) d’inverno della<br />
durata di 2-3 minuti. E’ necessario far circolare nell’impianto circa 10 litri d’acqua per ogni gruppo<br />
prendicapezzoli, in modo da allontanare i residui di latte. Da evitare l’uso di acqua calda (superiore a 45 °C)<br />
poiché il calore, determinando la calcificazione delle proteine, favorisce la formazione dello sporco “ostinato”.<br />
Si commette un grosso errore se, per risparmiare tempo, si omette questa fase e si inizia il lavaggio con<br />
acqua calda e detersivo; infatti, la sostanza organica presente nel latte residuo annulla l’effetto del<br />
disinfettante e causa la progressiva formazione di una pattina batterica, untuosa al tatto.<br />
Figura 8. Lavatrice automatica: 1) spia lumisosa attivazione lavaggio; 2) programmatore elettronico; 3)<br />
serbatoio detersivo e disinfettante; 4) valvola pneumatica a tre vie; 5) tubo riempimento acqua; 6)<br />
pressostato; 7) vaschetta acqua<br />
Sanificazione. Questa fase ha lo scopo di staccare i depositi di sporcizia che aderiscono ai materiali e di<br />
tenerli in sospensione, evitando agli stessi di depositarsi nuovamente sulle superfici pulite. Il lavaggio<br />
classico in circuito prevede la circolazione per circa 15 minuti di una soluzione calda (65-70 °C) con<br />
l’aggiunta di specifici prodotti che, di norma, contengono soda come sostanza detergente e cloro come<br />
sostanza disinfettante. In questo caso, come nel prelavaggio, è bene non superare le temperature<br />
consigliate per evitare il rischio della calcificazione delle proteine sulle superfici.<br />
30
Si deve misurare con precisione la quantità di acqua utilizzata e calcolare la giusta quantità di detersivo da<br />
aggiungere. Se le istruzioni di lavaggio prevedono, ad esempio, una concentrazione della soluzione di<br />
lavaggio pari all’1%, bisogna diluire 100 grammi per ogni 10 litri di acqua. Se la soluzione è troppo diluita<br />
perde di efficacia, se troppo concentrata corrode le parti in gomma ed espone il rischio di inibenti nel latte.<br />
Col sistema di lavaggio in circuito possono formarsi dei depositi visibili in alcuni punti dell'impianto, quali il<br />
collettore del latte ed il separatore igienico, che vengono raggiunti con minore efficacia dalla soluzione<br />
detergente. In tal caso occorre smontare il componente dell'impianto ed eliminare il deposito con l'ausilio di<br />
spazzole speciali. Per i pulsatori, che vanno mantenuti al riparo dell'umidità e protetti dai liquidi di lavaggio, ci<br />
si limiterà ad una pulitura esterna con panno lievemente inumidito.<br />
Con frequenza di norma settimanale o quindicinale, in funzione della durezza dell'acqua, si pratica il lavaggio<br />
con detergente acido e acqua calda per rimuovere eventuali formazioni di pietra di latte o di tartaro che<br />
divengono visibili sulle parti in vetro dell'installazione. Il lavaggio acido deve seguire quello alcalino, in caso<br />
contrario la patina di grasso e proteine che avvolge i depositi calcarei li difende dall’azione dell’acido.<br />
Risciacquo finale. Il ciclo di lavaggio ha termine col risciacquo finale, della durata di poco meno di 10 minuti,<br />
da effettuarsi con acqua fredda o tiepida per asportare i residui di detersivo. Questi ultimi, oltre ad alterare il<br />
sapore degli alimenti, nella produzione del formaggio hanno effetti dannosi simili a quelli provocati dalla<br />
presenza di antibiotici. Dopo lo scarico dell'acqua, viene aspirata dell'aria per asciugare perfettamente le<br />
condutture. Con l'asciugatura, a volte trascurata nel lavaggio manuale, viene esclusa qualsiasi proliferazione<br />
dei batteri che, seppure in numero limitato, sono presenti nell'acqua di risciacquo.<br />
Poco prima l'inizio della mungitura, in particolare nei mesi caldi, è buona norma attivare il programma di<br />
disinfezione, per il quale si utilizza una soluzione disinfettante fredda che viene fatta circolare per 4 minuti.<br />
Detersione e disinfezione dei serbatoi refrigeranti<br />
I metodi ed i prodotti utilizzati per la detersione e la disinfezione dei serbatoi refrigeranti sono gli stessi già<br />
descritti per il lavaggio manuale ed automatico degli impianti di mungitura. La tecnica di lavaggio delle<br />
vasche prevede in sequenza le fasi di:<br />
• prelavaggio, con acqua tiepida o fredda per allontanare il latte residuo;<br />
• sanificazione, con detergente-disinfettante e acqua calda (60-70°C);<br />
• risciacquo finale, con acqua fredda per eliminare i residui di detersivo.<br />
La pulizia può essere eseguita manualmente solo negli impianti di piccole-medie dimensioni di tipo aperto,<br />
mentre per le vasche di grande capacità ed in quelle di tipo chiuso si deve necessariamente ricorrere ad un<br />
sistema meccanico.<br />
Lavaggio manuale<br />
La prima operazione da effettuare, non appena la vasca è stata vuotata, è il risciacquo con acqua corrente di<br />
tutte le parti venute a contatto col latte, preferibilmente eseguito con un getto a pressione per aumentarne<br />
l’efficacia. In questa fase lo scarico di fondo della vasca deve essere lasciato in posizione aperta, in modo da<br />
allontanare completamente tutti i residui di latte.<br />
La soluzione detergente viene preparata a parte, in un recipiente di p<strong>last</strong>ica, miscelando acqua calda (60-70<br />
°C) e detersivo in una percentuale dello 0,5-1% (ossia 5-10 g per ogni litro di acqua). Per il lavaggio vero e<br />
proprio si impiega una spazzola con setole sufficientemente morbide in modo da non graffiare le superfici<br />
della vasca.<br />
Le parti rimovibili, come il tappo del condotto di scarico, l’agitatore e l’asta di misurazione, vanno smontate,<br />
immerse nella soluzione e spazzolate accuratamente. Si chiude quindi lo scarico della vasca e si esegue<br />
un’energica spazzolatura, con la soluzione detergente, delle superfici interne, compreso il coperchio,<br />
procedendo dall’alto verso il basso. E’ consigliabile lavare anche la superficie esterna della vasca e<br />
qualunque altro accessorio venuto a contatto con il latte. Dopo la spazzolatura non deve rimanere alcuna<br />
impurità visibile. A questo punto si apre lo scarico di fondo della vasca, si fa allontanare tutta la soluzione<br />
detergente e si risciacqua accuratamente con acqua potabile, in modo da eliminare qualsiasi traccia di<br />
detersivo che potrebbe altrimenti alterare il latte. Completato il risciacquo e scaricata l’acqua residua, è bene<br />
rimontare il tappo di scarico e chiudere il coperchio del tank per evitare contaminazioni successive (insetti,<br />
polvere, ecc.).<br />
Assolutamente da evitare l’impiego di prodotti non specifici per il lavaggio delle vasche refrigeranti: i comuni<br />
detersivi hanno un potere schiumogeno troppo elevato e contengono profumazioni che conferiscono sapori<br />
ed odori sgradevoli al latte.<br />
31
Lavaggio automatico<br />
I principali componenti di un sistema automatico di lavaggio sono:<br />
• il circuito di distribuzione dell’acqua<br />
• il sistema per il dosaggio e il riscaldamento dell’acqua<br />
• il sistema per il dosaggio dei detergenti<br />
• l’elettrovalvola di scarico<br />
• il programmatore elettronico di azionamento e controllo<br />
La parte fondamentale dell’impianto di lavaggio è il dispositivo di aspersione costituito da irrigatori o doccette<br />
che, sotto l’azione di una pompa, provvedono a spruzzare le superfici interne della vasca con un getto a<br />
pressione. Per un lavaggio efficace l’azione meccanica dell’acqua deve raggiungere con la stessa intensità<br />
tutti i punti della vasca.<br />
Gli irrigatori possono essere fissi o dinamici (fig. 9). Quelli di tipo fisso sono montati nella parte alta della<br />
vasca oppure sul fondo attraverso il rubinetto di scarico. Con questi sistemi si ottiene in genere un buon<br />
lavaggio, a patto che l’irrigatore sia posizionato verso la parte centrale del serbatoio per avere una buona<br />
distribuzione dell’acqua. Inoltre le pale dell’agitatore possono creare delle "zone d’ombra” che non vengono<br />
risciacquate e l’ostruzione dei fori dell’irrigatore diminuisce direttamente l’efficienza del lavaggio.<br />
Nei sistemi dinamici l’irrigatore può essere o rotativo o accoppiato ad un diffusore rotativo. Viene posizionato<br />
nella parte alta del serbatoio o, più frequentemente, sull’albero o sulle pale dell’agitatore, il che assicura<br />
un’azione più efficace. Un’interessante soluzione consiste nel montare le doccette al centro delle pale e<br />
nell’utilizzare l’albero cavo dell’agitatore per il passaggio dei fluidi di lavaggio. In questo modo si sfrutta la<br />
rotazione dell’agitatore per ottenere l’aspersione di tutte le superfici interne della vasca. Il circuito di<br />
distribuzione può essere separato dalla vasca, nel caso venga posizionato al momento del lavaggio, ma più<br />
frequentemente è integrato nella vasca; alcune installazioni prevedono due circuiti indipendenti, uno per<br />
l’acqua ed uno per la soluzione di lavaggio.<br />
Figura 9. Dispositivi di lavaggio dei serbatoi refrigeranti con irrigatore fisso o rotativo. Le posizioni<br />
dell’irrigatore riportate negli schemi 5 e 6 sono le più funzionali<br />
Il ciclo di lavaggio è controllato da una centralina elettronica, contenuta in un pannello di comando, che<br />
determina la sequenza e la durata di ciascuna fase, comanda l’ingresso e lo scarico dell’acqua, stabilisce la<br />
32
temperatura di riscaldamento e la dose di detersivo (fig. 10). All’avvio del programma, l’elettrovalvola di<br />
immissione dell’acqua si apre ed ha inizio il prelavaggio. Questo (come anche il risciacquo finale) può essere<br />
semplice o doppio e viene effettuato con la valvola di scarico aperta in modo che non si abbia ricircolo di<br />
acqua. Terminata questa fase, la valvola si chiude e si passa al lavaggio con acqua calda e detergenti che<br />
ha una durata di circa 10-15 minuti (alcuni sistemi prevedono più fasi di lavaggio). Il dosaggio del detergente<br />
può essere completamente automatico, per cui l’operatore deve provvedere solo al rifornimento periodico del<br />
contenitore, oppure semiautomatico se il dosaggio deve essere effettuato manualmente all’inizio di ogni<br />
ciclo.<br />
Figura 10. Serbatoio da 8.000 litri di capacità con dispositivo per il lavaggio automatico<br />
Il riscaldamento dell’acqua può essere ottenuto tramite una resistenza elettrica incorporata nel sistema,<br />
oppure mediante un boiler elettrico o a gas. Alla fine del lavaggio, l’elettrovalvola di scarico si apre per<br />
permettere l’evacuazione della soluzione detergente e si procede al risciacquo semplice o doppio con acqua<br />
fredda.<br />
Lavaggio e progettazione degli impianti<br />
Molti dei problemi legati all’igiene dell’impianto sono la diretta conseguenza di errori commessi nella<br />
progettazione e nell’installazione della sala di mungitura.<br />
L’impianto deve risultare quanto più possibile compatto, l’eccessiva lunghezza delle condutture del latte e del<br />
lavaggio aumentano i volumi d’acqua, le dispersioni di calore e le perdite di carico delle condutture stesse.<br />
L’incremento delle perdite di carico, vale a dire degli attriti interni che l’acqua deve vincere per muoversi<br />
all’interno delle condutture, si tramuta in una riduzione della velocità dei fluidi di lavaggio e, quindi,<br />
dell’azione meccanica esercitata da questi ultimi sui depositi di sporco.<br />
L’eventuale incremento della volumetria di un impianto preesistente per l’installazione di equipaggiamenti<br />
extra, come ad esempio i vasi misuratori, richiede l’adeguamento del volume d’acqua immessa in circolo e la<br />
verifica della turbolenza con la quale essa si muove all’interno dell’impianto. Per modificare il volume<br />
d’acqua è sufficiente agire sulla posizione del galleggiante situato nella vaschetta di lavaggio, mentre per<br />
valutare la turbolenza bisogna adottare metodi empirici osservando il movimento dell’acqua nel terminale del<br />
latte, se questi è realizzato in vetro pirex, e l’ampiezza del movimento dei tubi lunghi del latte.<br />
Prima di utilizzare un nuovo impianto è indispensabile un test di collaudo sia per la mungitura che per il<br />
lavaggio. Limitatamente al lavaggio, il certificato di collaudo dovrebbe riportare anche le misurazioni sulla<br />
portata d’aria che penetra nel circuito di lavaggio attraverso l’iniettore d’aria e sulla portata d’acqua<br />
attraverso il singolo gruppo prendicapezzoli.<br />
Si rammenta che l’ingresso d’aria supplementare durante il lavaggio viene di norma utilizzato per aumentare<br />
la turbolenza della soluzione circolante, in particolare nel lattodotto che costituisce la conduttura di diametro<br />
maggiore. La portata di 3 litri/min di soluzione di lavaggio è considerata sufficiente a garantire una buon<br />
livello di pulizia dei gruppi; per impianti con lattometri o vasi misuratori la portata richiesta sale a 4,5-6<br />
litri/min. Nel caso l’iniettore di aria venga installato in impianti preesistenti, si deve verificare se la portata<br />
della pompa è sufficiente per estrarre l’ingresso supplementare d’aria durante il lavaggio.<br />
La progettazione e l’installazione dell’impianto devono essere effettuate in modo che tutte le tubazioni e i<br />
componenti possano scaricare l’acqua residua di lavaggio anche per gravità, attraverso le apposite valvole di<br />
33
drenaggio. Come si è detto in precedenza, eventuali ristagni d’acqua creano le condizioni ottimali per la<br />
proliferazione microbica tra le due mungiture.<br />
L’installatore è tenuto a fornire all’allevatore le opportune istruzioni per eseguire correttamente le operazioni<br />
di lavaggio.<br />
Devono essere definite chiaramente le procedure di preparazione dell’impianto per il lavaggio, includendo le<br />
operazioni di controllo delle valvole e degli interruttori, di manipolazione dei detergenti e di lavaggio delle<br />
parti esterne di alcuni componenti. Persino negli impianti più moderni ci sono ancora dei componenti che<br />
devono essere smontati per una più accurata pulizia manuale utilizzando, in alcuni casi, specifici detergenti.<br />
Figura 11. Nel caso di lavaggio insufficiente, il terminale del latte è uno dei componenti dell’impianto dove è<br />
più frequente trovare depositi di sporcizia<br />
Gli effetti di un lavaggio insufficiente si manifestano con la comparsa di residui organici e inorganici, di sottili<br />
pellicole di natura organica e di decolorazioni dovute a corrosione di alcune superfici. Di norma i punti critici<br />
per il lavaggio sono il collettore del latte, le guaine e il vaso terminale (fig. 11). I sistemi automatici di lavaggio<br />
degli impianti di mungitura e di refrigerazione, essendo oramai ampiamente collaudati, richiedono<br />
scarsissima manutenzione. Per prevenire guasti, tuttavia, è consigliabile curare la pulizia esterna<br />
dell’apparecchiatura, tenere dei fusibili di riserva e verificare con frequenza mensile i filtri che proteggono gli<br />
ingressi di acqua calda e fredda nell’unità di comando. Nel caso di anomalie di funzionamento è bene<br />
tentare di porvi rimedio senza ricorrere al servizio assistenza; nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di<br />
inconvenienti di poco conto le cui cause, unitamente ai possibili rimedi, sono riassunte nelle tabelle seguenti.<br />
Operazioni di piccola manutenzione della lavatrice dell'impianto di mungitura<br />
SINTOMI CAUSE RIMEDI<br />
1.Selettore di programma mal 1.Spostare il selettore nella<br />
posizionato<br />
posizione di partenza<br />
2. Fusibile bruciato 2.Sostituire il fusibile<br />
Il programma di lavaggio non<br />
parte e la spia luminosa non si<br />
accende<br />
3. Assenza di corrente elettrica<br />
1.Rubinetti dell'acqua chiusi 1.Aprire i rubinetti<br />
L'acqua arriva molto lentamente,<br />
o non arriva affatto, alla 2.Pressione dell'acqua non sufficiente 2.Valore normale 1-6 bar<br />
vaschetta di lavaggio 3.Filtri ostruiti 3.Pulire i filtri<br />
Il riempimento della vaschetta 1.Il pressostato è starato o non 1.Verificare il funzionamento del<br />
non si arresta anche quando funziona<br />
pressostato<br />
raggiunge il livello prefissato 2.La posizione del galleggiante del 2.Fissare il galleggiante nella<br />
pressostato è troppo alta<br />
giusta posizione<br />
Il programma di lavaggio non si 1.Viti del pannello programmatore 1.Serrare viti di fissaggio<br />
svolge normalmente<br />
allentate<br />
Sulle parti in vetro dell'impianto 1.Detergente acido mal dosato 1.Controllare le istruzioni sull'uso<br />
di mungitura si rendono visibili<br />
del detersivo e la durezza acqua<br />
dei depositi di tartaro<br />
2.Temperatura dell'acqua non 2.Verificare il funzionamento del<br />
sufficientemente alta<br />
boiler<br />
3.Assenza di lavaggi acidi 3.Effettuare il lavaggio acido<br />
34
Operazioni di piccola manutenzione della lavatrice della vasca refrigerante<br />
SINTOMI CAUSE RIMEDI<br />
Il programma di lavaggio non<br />
parte e la spia luminosa non si<br />
accende<br />
L'acqua arriva molto<br />
lentamente, o non arriva affatto<br />
all'interno del serbatoio del<br />
latte<br />
1.Selettore di programma mal 1.Spostare il selettore nella posiposizionato<br />
zione di partenza<br />
2. Fusibile bruciato 2.Sostituire il fusibile<br />
3. Assenza di corrente nella rete elettrica<br />
1.Rubinetti dell'acqua chiusi 1.Aprire i rubinetti<br />
2.Pressione dell'acqua non suffi- ciente 2.Valore normale 1-6 bar<br />
3.Filtri ostruiti 3.Pulire i filtri<br />
L'agitatore non funziona 1.Agitatore difettoso 1.Verificare il collegamento<br />
Depositi di calcare sulle pareti<br />
della vasca<br />
L'acqua non è proiettata con<br />
forza sulle pareti del serbatoio<br />
Il programma di lavaggio non si<br />
svolge normalmente<br />
1.Prodotto mal dosato<br />
elettrico<br />
1.Controllare le istruzioni sull'uso<br />
del detersivo e la durezza acqua<br />
2.Temperatura dell'acqua non 2.Verificare il funzionamento del<br />
sufficientemente alta<br />
boiler<br />
3.Assenza di lavaggi acidi 3.Effettuare il lavaggio acido<br />
1.Pompa difettosa 1.Interpellare il servizio assistenza<br />
2.Un corpo estraneo ha ostruito<br />
l'irrigatore<br />
1.Viti del pannello programmatore<br />
allentate<br />
35<br />
2.Smontare e pulire l'irrigatore<br />
1.Serrare le viti di fissaggio<br />
Formulazione del piano d’igiene<br />
Per garantire l’igiene del prodotto è necessario che ogni azienda sviluppi un’analisi specifica delle proprie<br />
condizioni operative, al fine di definire le modalità con cui garantire il controllo igienico del proprio processo.<br />
L’obiettivo è quello di individuare i punti critici della gestione di stalla ed operare con costanza affinché siano<br />
tenuti sotto controllo, vale a dire entro confini prestabiliti.<br />
Per effettuare una completa valutazione dei rischi si deve prendere in considerazione la storia del prodotto,<br />
riuscendo a:<br />
• individuare le sostanze potenzialmente pericolose, i microrganismi patogeni o alteranti e i composti<br />
chimici dannosi;<br />
• identificare le impurità fisiche e le fonti di contaminazione chimica e microbica;<br />
• valutare la probabilità di sopravvivenza e di moltiplicazione dei microrganismi, la presenza di residui di<br />
sostanze chimiche e fisiche alla fine del processo;<br />
• stimare i rischi e la severità dei pericoli;<br />
• individuare eventuali limiti minimi di accettazione nel prodotto.<br />
Successivamente è necessario identificare tutte le operazioni su cui può essere esercitato un controllo al fine<br />
di eliminare, prevenire o, nel peggiore dei casi, minimizzare il pericolo di contaminazioni. Nello schema a<br />
blocchi di figura 12 sono riportate le fasi di processo inerenti la mungitura e la refrigerazione del latte.<br />
I fattori di contaminazione si possono suddividere in tre grandi gruppi: biologici, chimici e fisici.<br />
Fra i contaminanti di natura biologica, si tratta di organismi vitali e/o loro tossine, si distinguono due grosse<br />
categorie: microrganismi (batteri, lieviti e muffe, patogeni o alterativi) e gli organismi superiori (insetti ecc.).<br />
Le fonti di contaminazione sono: suolo, acque, aria, animali, uomo e piante.<br />
I contaminanti chimici possono derivare da pratiche agronomiche, veterinarie, zootecniche e dal trattamento<br />
di lavaggio e disinfezione degli impianti e delle mammelle.<br />
I contaminanti fisici sono spesso di tipo accidentale, quindi difficilmente prevedibili; possono derivare dagli<br />
operai, dalle operazioni di pulizia e di manutenzione dei macchinari.
1. Ingresso animali sala mungitura<br />
Figura 12. Per impostare un piano d’igiene è necessario definire la fasi di processo della mungitura e della<br />
refrigerazione del latte.<br />
Prevenzione rischi biologici<br />
Il rischio di contaminazione biologica è presente nelle fasi di pulizia della mammelle, di refrigerazione del<br />
latte di lavaggio della mungitrice e del serbatoio refrigerante. Il lavaggio e l’asciugatura delle mammelle deve<br />
essere effettuato con cura da personale adeguatamente addestrato, con abiti puliti e mani deterse.<br />
Risulta di fondamentale importanza trattare ogni animale individualmente e asciugare completamente la<br />
mammella.<br />
Il serbatoio refrigerante deve essere efficiente, deve portare cioè il latte alla temperatura di 4-5 °C entro due<br />
ore dalla fine della mungitura e mantenere tale temperatura durante tutto il tempo di conservazione,<br />
indipendentemente dalla temperatura esterna.<br />
Il lavaggio dell’impianto, compresi alcuni componenti esterni, deve avvenire alla fine di ogni mungitura.<br />
Particolare attenzione si deve prestare alla temperatura e alla turbolenza dell’acqua durante il lavaggio, alla<br />
quantità d’acqua con cui viene lavato ciascun gruppo ed alla quantità ed al tipo di detergente impiegato.<br />
Particolare attenzione va fatta all’acqua che si utilizza in azienda per tale operazione, questa deve essere<br />
potabile secondo il D.P.R. N. 236/88.<br />
Il lavaggio del serbatoio refrigerante deve essere effettuato ogni qual volta si consegna il latte. Anche in<br />
questo caso i parametri da tenere sotto controllo sono gli stessi indicati per gli impianti di mungitura.<br />
Prevenzione rischi chimici<br />
2. Lavaggio mammelle<br />
3. Controllo primi getti di latte<br />
4. Attacco prendicapezzoli<br />
5. Mungitura<br />
8. Stacco prendicapezzoli<br />
9. Disinfezione mammelle<br />
10. Uscita animali sala mungitura<br />
11. Lavaggio impianto mungitura<br />
Il rischio di contaminazione chimica è limitato alle fasi di lavaggio degli impianti. Occorre prestare attenzione<br />
al risciacquo, questo deve essere abbondante e completo in modo da eliminare qualsiasi traccia di residui di<br />
detergenti. A fine lavaggio l’impianto dovrebbe risultare perfettamente asciutto o, quantomeno, privo dei<br />
ristagni d’acqua.<br />
36<br />
6. Invio latte al<br />
tank<br />
12. Lavaggio sale attesa,<br />
mungitura, latte<br />
7. Refrigerazione<br />
del latte<br />
13. Consegna<br />
del latte<br />
14. Lavaggio tank<br />
refrigerante
Prevenzione rischi fisici<br />
I rischi di contaminazione fisica con frammenti organici (insetti e altri animali infestanti) o di corpi estranei<br />
(metallo, p<strong>last</strong>ica, oggetti personali) possono interessare le fasi di attacco dei prendicapezzoli, di lavaggio<br />
della mungitrice e di controllo del serbatoio refrigerante.<br />
Durante la manipolazione dei gruppi, soprattutto se questi sono collegati al vuoto, è opportuno prestare<br />
attenzione affinché nessun corpo estraneo o insetto si depositi all’interno della guaina e venga così aspirato<br />
durante la mungitura.<br />
Impiegare prodotti chimici adatti e specifici per il proprio impianto e non aumentare, per il desiderio di lavare<br />
più a fondo, la concentrazione e la temperatura della soluzione di lavaggio per evitare l’allontanamento di<br />
materiale, soprattutto delle parti in gomma. Al termine della mungitura si deve cambiare il filtro del latte che,<br />
come è noto, contribuisce alla riduzione della carica microbica totale ed evita l’introduzione di impurità<br />
grossolane nel serbatoio refrigerante.<br />
Allo stesso modo, bisogna prestare attenzione ogni qual volta si solleva il coperchio della vasca refrigerante,<br />
onde evitare l’ingresso di un qualsiasi corpo estraneo che potrebbe ritrovarsi durante la conservazione del<br />
latte.<br />
Considerazioni conclusive<br />
Fino ad oggi il problema igienico-sanitario è stato rivolto principalmente sull’animale e sull’ambiente,<br />
trascurando la componente meccanica che può invece costituire la fonte primaria d’inquinamento.<br />
Un’insufficiente pulizia degli impianti di mungitura e di refrigerazione del latte si ripercuote immediatamente<br />
sulla qualità del prodotto. Le carenze igieniche che si riscontrano negli impianti sono dovute in molti casi a<br />
negligenza o imperizia dell’operatore; altre volte, invece, le cause vanno ricercate nei dispositivi di lavaggio<br />
per mancanza di manutenzione, montaggio difettoso e usura di alcuni componenti.<br />
La scelta dei prodotti santificanti non deve essere lasciata al caso o fondarsi solo sul parametro del prezzo.<br />
E’ consigliabile indirizzarsi verso fornitori specializzati e competenti, capaci d’individuare il tipo di prodotto e<br />
le modalità di impiego più rispondenti alle esigenze di ogni specifico caso.<br />
Al momento dell’acquisto dei prodotti l’allevatore dovrà effettuare un’attenta lettura dell’etichetta posta sulla<br />
confezione che dovrà riportare:<br />
• l’azione svolta dal prodotto (detergente, disinfettante, santificante, disincrostante);<br />
• la composizione e la quantità dei principi attivi;<br />
• la quantità di prodotto da utilizzare in soluzione (espressa in % o in grammi/litro);<br />
• le variazioni da apportare alla concentrazione della soluzione di lavaggio in funzione della durezza<br />
dell’acqua.<br />
Cellule somatiche<br />
La causa più frequente e importante di innalzamento del contenuto cellulare del latte è lo stato infiammatorio<br />
della mammella, la mastite. In base al tipo di manifestazione, le mastiti vengono classificate come:<br />
• cliniche, che a loro volta, in base al decorso e all’intensità dei sintomi, vengono distinte in:<br />
• iperacute, con risentimento generale (temperatura, atonia ruminale, collasso, ecc.), vistose<br />
alterazioni del quarto e del latte e talvolta morte dell’animale,<br />
• acute: caratterizzate da mammella con il quarto o i quarti colpiti ingrossati, induriti, edematosi,<br />
arrossati, caldi, dolenti. La secrezione lattea è di norma macroscopicamente alterata (coaguli di<br />
fibrina, latte acquoso con colorazione anomala) con gravi alterazioni della composizione. La<br />
produzione di latte si riduce fortemente fino alla agalassia. È talvolta presente una sintomatologia<br />
generale nelle bovine, con febbre e alterazioni della funzionalità ruminale,<br />
• subacute (leggere): caratterizzate da riduzione del latte prodotto, aumento delle cellule somatiche,<br />
presenza di materiale coagulato almeno nei primi getti;<br />
• sub-cliniche: contraddistinte da una diminuzione ed una alterazione della composizione del latte<br />
prodotto mentre l’esame batteriologico è generalmente positivo e si ha sempre un aumento delle cellule<br />
somatiche e in particolare dei neutrofili polimorfonucleati.<br />
37
La mastite può essere clinica, quando vi è interessamento del quarto, o subclinica, quando l’unico sintomo è<br />
l’aumento delle cellule<br />
Molto spesso si osserva un andamento cronico della malattia: si tratta di un’evoluzione delle forme acuta o<br />
sub-acuta non completamente risolte in quanto non curate o curate male, cioè con antibiotico inadatto o, più<br />
spesso, con posologia insufficiente.<br />
La produzione di latte si riduce significativamente per mancata funzionalità del parenchima mammario,<br />
mentre la conta cellulare è elevata e le alterazioni del latte possono non essere evidenti. La causa di gran<br />
lunga più frequente di mastite è l’ingresso (per via ascendente attraverso il canale del capezzolo) di<br />
microrganismi all’interno della mammella con successiva loro proliferazione. Tali microrganismi vengono di<br />
norma classificati in:<br />
• contagiosi, come Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus. Si tratta di microrganismi in grado<br />
di moltiplicarsi a livello della cute e all’interno della mammella che ne diviene il serbatoio, ma con scarsa<br />
o nulla capacità di sopravvivere nell’ambiente: la trasmissione dell’infezione avviene quasi<br />
esclusivamente attraverso la mungitura che veicola – attraverso le mani del mungitore, il gruppo di<br />
mungitura, salviette o spugne non monouso – residui di latte infetto da una bovina malata a una sana.<br />
Queste infezioni tendono ad essere sub-cliniche o croniche per cui determinano importanti rialzi nelle<br />
conte cellulari del latte di massa.<br />
Il risanamento, cioè l’eliminazione dell’agente infettivo dalla stalla, è possibile mediante l’applicazione<br />
scrupolosa di programmi appositamente studiati a livello di singola azienda e imperniati su un’attenta<br />
profilassi in quanto, per lo meno per S. aureus, la terapia in lattazione è poco efficace;<br />
Il post dipping è una misura fondamentale di controllo delle mastiti causate da microbi contagiosi<br />
• ambientali, come coliformi e streptococchi diversi da S. agalactiae. Questi batteri albergano<br />
normalmente nelle lettiere e possono penetrare nella mammella in ogni momento del ciclo produttivo<br />
della bovina, compreso il periodo di asciutta durante il quale il rischio di infezione è anzi molte volte più<br />
elevato che in lattazione. Non è evidentemente possibile eliminare questi microrganismi dalla stalla;<br />
vanno perciò controllati riducendone il più possibile il numero nell’ambiente mediante una pulizia<br />
accurata e mantenendo elevate le difese delle bovine.<br />
Infatti, non va dimenticato che la mastite, clinica o sub-clinica, non dipende solo dalla presenza del microbo,<br />
ma è il risultato della sua interazione con l’ospite e che questa interazione può essere mediata da molti<br />
fattori che giocano un ruolo importante nel determinare la malattia stessa. Questi sono fondamentalmente:<br />
38
• la pulizia delle bovine e della stabulazione e più in generale tutte le misure di profilassi in grado di<br />
condizionare la quantità di microbi presenti in prossimità del capezzolo;<br />
• tutti i fattori che possono ridurre le difese (fisiche, immunitarie biochimiche, ecc.) della bovina. Tra questi<br />
vanno ricordati: ambienti e microclima poco confortevoli, altre patologie ricorrenti, improvvisi cambi<br />
alimentari e alimenti di qualità scadente o squilibrati, il sovraffollamento e la mungitura meccanica,<br />
perché è dimostrato che le sollecitazioni provocate da questa pratica possono causare alterazioni del<br />
trofismo dei tessuti e lesioni alla punta del capezzolo in grado di aumentare il rischio di mastite. Fra gli<br />
aspetti della mungitura particolarmente pericolosi vi è la sovramungitura, cioè la mungitura a flussi bassi,<br />
sia all’inizio che alla fine della mungitura stessa.<br />
E’ fondamentale curare la pulizia della mammella<br />
La sanità e la funzionalità dell’apparato mammario delle bovine sono di fondamentale importanza per la<br />
migliore riuscita degli allevamenti di bovine da latte. Da questi due aspetti, infatti, dipende direttamente la<br />
qualità igienico-sanitaria e casearia del latte: le alterazioni del latte causate dalle mastiti, anche quando non<br />
ne pregiudicano l’uso, influenzano in modo rilevante la quantità e la qualità dei prodotti trasformati e di<br />
conseguenza la redditività delle produzioni. Ne consegue che tutto ciò che ha riflesso, diretto o indiretto,<br />
sullo stato sanitario della mammella può essere rilevante, a vario livello, sulla qualità della materia prima. Al<br />
di là di quelli più facilmente riconoscibili, come spese per farmaci, i costi più elevati collegabili alla mastite<br />
sono quelli legati:<br />
• alla mancata produzione di latte: ad ogni raddoppio della conta cellulare media della lattazione si ha una<br />
minore produzione di circa 700 gr di latte/giorno; il che vuol dire che una vacca che ha una conta media<br />
di 400.000 cellule/ml produce nella lattazione circa due quintali in meno di latte, a parità di<br />
alimentazione, genetica, altre patologie ecc. di quello che avrebbe prodotto se avesse fatto la lattazione<br />
a 200.000 cellule. Il tutto anche senza mostrare nessun segno di mastite.<br />
• alle alterazioni biochimiche della materia prima (particolarmente importanti quando il latte è destinato<br />
alla trasformazione casearia):<br />
• riduzione dei tenori in grasso, proteine e lattosio;<br />
• modificazione della composizione delle proteine del latte con aumento delle sieroproteine e<br />
riduzione della caseina (da 77% a 73%) e, con essa, della resa;<br />
• aumento di sodio e cloro e conseguente calo dell’acidità;<br />
• attivazione del plasminogeno la cui attività proteolitica condiziona negativamente la forza del<br />
coagulo.<br />
La mungitura<br />
Una mungitura inadeguata è uno tra i principali fattori capaci di causare mastite. Infatti può essere<br />
responsbile della trasmissione tra vacche di batteri della mastite, e ciò tramite le tettarelle, le mani del<br />
mungitore o spugne/stracci usati per la pulizia: è questo il meccanismo attraverso cui si diffondono le mastiti<br />
causate da microbi contagiosi, come Staphiloccus aureus o Streptococcus agalactiae. Ricordiamo che i<br />
microbi entrano dal capezzolo: la mungitura può rendere meno resistente la punta del capezzolo quando lo<br />
danneggia. E’ possibile valutare questo effetto osservandone la punta: quando si formano delle callosità,<br />
specialmente se screpolate o sanguinanti, allora aumenta il rischio di mastite.<br />
39
I capezzoli lesionati da sovramungitura sono molto più esposti al rischio di mastite<br />
Tra le cause che favoriscono queste situazioni c’è innanzitutto la sovramungitura, cioè la mungitura troppo<br />
lunga. Per evitare la sovramungitura vanno ridotte al massimo le fasi di basso flusso di latte: all’inizio della<br />
mungitura questo è possibile preparando accuratamente le vacche tramite una massaggio vigoroso (che<br />
coincide con l’eliminazione del primo latte e la pulizia dei capezzoli ed una sufficiente attesa prima<br />
dell’attacco: in tal modo la vacca darà subito molto latte appena attaccata. Al termine, la sovramungitura si<br />
evita facendo regolare adeguatamente lo stacco automatico o manuale dell’impianto. Nelle bovine ben<br />
conformate la trazione non serve. Una mungitura scorretta può facilitare la penetrazione dei batteri nel<br />
capezzolo quando si verificano repentini ingressi d’aria (“soffi”).<br />
Quando un gruppo “soffia” durante la mungitura porta nella mammella i microbi della mastite<br />
In tali situazioni l’aria aspirata dalla tettarella forma in direzione dei capezzoli un flusso “retroverso” che può<br />
spingere all’interno di questi i microbi. Ovviamente questa situazione è tanto più pericolosa quanto più è<br />
sporca, cioè carica di microbi, la mammella al momento della mungitura!<br />
Per una corretta gestione della mungitura è fondamentale un efficace e regolare controllo dell’impianto<br />
eseguito da tecnici preparati: sono infatti molti i malfunzionamenti dell’impianto (zoppicamenti dei pulsatori,<br />
carenze della pompa ecc) che aumentano il rischio di mastitie. E’ però importante che il tecnico, al di là<br />
dell’individuazione di tali malfunzionamenti, sappia fornire anche indicazioni sulla corretta configurazione<br />
dell’impianto (livello di vuoto, rapporto di pulsazione, taratura stacchi…) in funzione delle caratteristiche<br />
srutturali dell’impianto stesso, del tipo di bovine, del tipo di routine.<br />
40
Sulla base di quanto sopra sinteticamente esposto, è possibile fissare alcuni criteri per una corretta routine<br />
di mungitura.<br />
E’ probabile che la formazione del mungitore abbia sull’incidenza della mastiti un’influenza maggiore di molte<br />
sottigliezze sul funzionamento dell’impianto.<br />
I cardini di una corretta routine di mungitura (“attacca tardi e stacca presto”) sono i seguenti:<br />
• garantire alle bovine un ambiente pulito e privo di stress: è ben documentato che soli in tali condizioni le<br />
vacche danno correttamente e velocemente il latte;<br />
• eliminare un po’ di latte per ogni capezzolo prima di attaccare le tettarelle per:<br />
• vedere se ci sono delle mastiti anche lievi, cioè con solo un po’ si stoppini anche senza gonfiore del<br />
quarto.<br />
• garantire una massaggio adeguato, cioè di almeno 10-20” assieme o in alternativa al lavaggio;<br />
Vanno sempre eliminati i prirmi getti di latte per effettuare un buon massaggio e per individuare piccoli<br />
stoppini segno di mastite<br />
• pulire i capezzoli in modo efficace. Quando si devono lavare le mammelle perché entrano sporche in<br />
sala, è necessario anche asciugarle perfettamente dato che l’attacco del gruppo a tettarelle bagnate è<br />
per vari motivi quanto di più pericoloso si possa fare: d’altro canto è ben noto che questa operazione<br />
spesso viene tralasciata. Al di là del fatto che l’intervento fondamentale da fare in questi casi è sulla<br />
stalla in modo da avere vacche che entrano pulite in sala, e la cui pulizia può pertanto essere effettuata<br />
facilmente e velocemente, dove ciò non avviene è da valutare l’opportunità dell’utilizzo del predipping. Il<br />
predipping consiste nella pulizia della mammella con appositi prodotti prima dell’applicazione del gruppo<br />
di mungitura. Può essere effettuato solo con prodotti appositamente registrati che danno adeguate<br />
garanzie di innocuità. Dopo la distribuzione sui capezzoli (spray o per immersione) devono essere<br />
lasciati agire per 20-40 secondi quindi accuratamente rimossi con carta a perdere. Specialmente se i<br />
prodotti utilizzati sono a base di acqua ossigenata, questa pratica manifesta spesso anche una notevole<br />
efficacia nella prevenzione della contaminazione del latte da parte di clostridi sporigeni.<br />
• se le mammelle sono state lavate, asciugare perfettamente i capezzoli con tovaglioli individuali di carta a<br />
perdere o di stoffa lavati dopo ogni uso;<br />
• attaccare il gruppo di mungitura entro due minuti dall’inizio della stimolazione. E’ importante applicare i<br />
gruppi non prima di 60” dopo l’inizio della stimolazione in modo da ottenere l’immediata emissione del<br />
latte al momento dell’attacco e così accorciare il tempo di permanenza del gruppo sui capezzoli. Durante<br />
la mungitura solo il latte della cisterna della mammelle esce per differenza di pressione tra interno ed<br />
esterno. Per raggiungere la cisterna deve venire spinto dagli alveoli del tessuto alveolare: tale<br />
movimento avviene perche gli alveoli sono “spremuti” dalle cellule mioepiteliali che le circondano, e siò<br />
avviene grazie allo stimolo dell’ossitocina.<br />
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Serve un buon massaggio ed un tempo adeguato perché l’ossitocina raggiuga la mammella<br />
L’ossitocina viene liberata dalla postipofisi dopo che il capezzolo è stato stimolato dal vitello o dal<br />
massaggio del mungitore. L’ossitocina impiega circa un minuto a raggiungere la mammella. Finchè ciò<br />
non avviene, se il gruppo è già attaccato vi sarà l’aspirazione del gruppo di mungitura senza che vi sia<br />
sufficiente latte pronto per scendere e ciò crea un stress fisico molto intenso ai capezzoli, un aumento<br />
dei danni causati da eventuali soffi, una risalita del gruppo di mungitura che verrà così a stozzare la<br />
base del capezzolo rallentando ulteriormente la mungitura<br />
• se necessario, aggiustare la posizione dei gruppi in modo da ridurre al massimo ingressi d’aria e<br />
sbilanciamento della mungitura tra quarti anteriori e posteriori. E’ ben noto ad ogni bravo mungitore<br />
come questa attenzione, nella sua apparente banalità, sia importante;<br />
• a fine mungitura staccare tempestivamente il gruppo disattivando il vuoto prima di rimuovere il gruppo.<br />
E’ ormai ben dimostrato che non serve, anzi è pericoloso, sovramungere: una piccola quantià di latte<br />
residuo nella cisterna della mammella non dà problemi né di mastite nè di calo della produzione, mentre<br />
sono ben documentati i danni della sovramingitura;<br />
• almeno dove vi sono o sono state solo da poco tempo eliminate infezioni da contagiosi, è importante<br />
effettuare il postdipping subito dopo la rimozione del gruppo. Il post-dipping, eliminando in modo<br />
semplice, efficace ed economico la massima parte dei microrganismi che si trovano sul capezzolo a fine<br />
mungitura, riduce drasticamente il rischio che questi entrino nel capezzolo e, con esso, quello di nuove<br />
infezioni mammarie in una misura variabile dal 50 al 95%.<br />
In definitiva in una stalla è importante avere per la maggior parte delle vacche curve di emissione del latte<br />
che crescano velocemente, mantegano per alcuni minuti un’emissione costante e che poi calino in modo<br />
repentino, con periodi di flusso basso (=< 400 gr/min) ridotti al minimo; in particolare sono da evitare<br />
l’andamento bimodale (uscita immediata del latte cisternale, calo del flusso a seguito della svuotamento<br />
della cisterna, ripresa del flusso collegabile all’emissione del latte alveolare ((a) nella figura) e la<br />
sovramungitura finale per ritardato stacco ((b) nella figura).<br />
42
Esistono oggi dispositivi (sia mobili che fissi e collegati ai software di gestione della sala di mungitura) che<br />
permettono di studiare gli andamenti delle curve di emissione fornendo un potente strumento di assistenza<br />
tecnica e di gestione della mungitura.<br />
Come intervenire e prevenire<br />
Quando ci sono dei problemi di cellule o di mastiti è importante chiedere al veterinario di fare analisi<br />
specifiche, chiamate “esami colturali” per capire che microbi stanno causando la mastite dato che per<br />
risolvere il problema si devono fare cose diverse a seconda dei microbi che prevalgono.<br />
Le mastiti si controllano:<br />
• tenendo le vacche su una lettiera pulita (anche in asciutta, che è il periodo in cui entrano nella mammella<br />
molti dei microbi che daranno poi le mastiti durante la lattazione);<br />
• curando la manutenzione dell’impianto e mungendo con molta attenzione per non trasmettere le<br />
infezioni e per non danneggiare la punta del capezzolo che è la “porta” della mammella;<br />
• individuando le vacche mastitiche (anche subcliniche) per:<br />
• eliminare il latte mastitico;<br />
• curare la mastite;<br />
• separarle dalle altre se ha un’infezione contagiosa;<br />
• riformare le vacche.<br />
Quando la mastite è subclinica non si vedono segni esterni: le vacche malate si possono individuare<br />
tramite il CMT (California Mastitis Test, comunemente detto “padellino” o la conta individuale delle<br />
cellule, molto più precisa. L’esecuzione mensile dell’analisi delle cellule su ogni singola vacca permette<br />
di ottenere molte e importanti informazioni sia a livello di vacca (età dell’infezione, sull prognosi, sulla<br />
causa ecc.) che di allevamento (efficacia degli interventi effettuati, nuove infezioni ecc.);<br />
Il CMT permette di individuare in modo economico e veloce le mastiti subcliniche<br />
• alimentando le vacche esclusivamente con alimenti di ottima qualità dato che prodotti –mangimi ma<br />
anche foraggi- scadenti possono abbassare le difese immunitarie delle bovine rendendole più esposte<br />
alle infezioni;<br />
• usando correttamente, secondo le indicazioni del veterinario, la terapia antibiotica, sia in lattazione che<br />
in asciutta.<br />
La terapia è uno strumento fondamentale per il controllo delle cellule: è perciò necessario rivolegersi al<br />
veterinario per aver tutte le indicazioni del caso, prima di tutto la scelta del farmaco. Le indicazioni vanno<br />
applicate scrupolosamente perchè molto spesso le modalità ed i tempi di esecuzione incidono sul<br />
successo della terapia più del tipo di antibiotico scelto.<br />
In particolare è importante:<br />
• intervenire nelle primissime fasi della mastite;<br />
43
• non sospendere la terapia prima del tempo;<br />
• non usare i farmaci con modalità (via di somministrazione, terapia combinata, dosagg, associazioni)<br />
diverse da quelli prescritte);<br />
• somminstrare il farmaco in adeguate condizioni di igiene.<br />
La terapia antibiotica va gestita con la massima cura per prevenire il rischio di residui nel latte.<br />
L’asciutta è un momento fondamentale per il controllo delle cellule: infatti molte delle mastiti che si<br />
manifestano in lattazione vengono contratte durante questo periodo (in particolare le prime e le ultime<br />
due settimane quando il capezzolo non è chiuso perfettamente). Per questo è importante il trattamento<br />
antibiotico in asciutta che serve:<br />
• per curare le mastiti delle vacche asciugate con le cellule alte (in asciutta la terapia è più efficace<br />
perchè si possono usare dosaggi più alti e perchè l’antibiotico resta in mammella più tempo non<br />
venendo munto con il latte);<br />
• per prevenire nuove infezioni eliminando i microbi che dovessero entrare in mammella prima che i<br />
capezzoli si chiudano (circa due settimane); l’abbinamento all’antibiotico di un sigillante ha<br />
dimostrato la capacità di aumentare molto questa attività preventiva del trattamento ed è un potente<br />
strumento di controllo delle nuove infezioni da microbi ambientali.<br />
Se è vero che le bovine devono sempre essere tenute in una ambiente pulito, garantire un ambiente<br />
pulitissimo in particolare nelle due settimane prima e dopo il parto (quando le difese delle vacche sono<br />
ridotte al minimo), è sicuramente il principale intervento di profilassi della mastiti ambientali.<br />
Il “rischio residui”<br />
Quando si cura una vacca con dell’antibiotico e’ importantissimo accertarsi che non ne rimangano residui nel<br />
latte. Questi residui costituiscono le cosiddette sostanze inibenti, chiamate così perché sono capaci di inibire<br />
la crescita di un particolare batterio utilizzato nei test di laboratorio che si utilizzano per individuarne la<br />
presenza nel latte.<br />
I residui di sostanze inibenti nel latte costituiscono un grave rischio per il consumatore: in particolare negli<br />
individui allergici si possono verificare sintomi variabili da lievi manifestazioni cutanee a gravi shock<br />
anafilattici e per questo motivo la consegna di latte con residui di antibiotici può comportare responsabilità<br />
penale ai sensi degli art.5,6,12 L.283/62.<br />
I residui di sostanze inibenti possono compromettere la vitalità dei batteri lattici del sieroinnesto che di<br />
conseguenza non è in grado di acidificare la cagliata che perciò molto spesso si gonfia precocemente per lo<br />
sviluppo di germi ad attività anticasearia, con relativi enormi danni economici per il caseificio.<br />
Le sostanze inibenti non arrivano al latte solo da trattamenti effettuati direttamente in mammella, ma<br />
possono essere eliminati attraverso il latte, a seguito di trattamenti terapeutici per altre vie (intramuscolare,<br />
endovenosa, orale, intrauterina, cutanea, sottocutanea). Il trattamento di un solo quarto non dà garanzie che<br />
l’antibiotico non passi in quantità rilevabili negli altri quarti.<br />
Le regole per prevenire i residui di sostanze inibenmti nel latte:<br />
• utilizzare i farmaci solo quando necessario e sempre sotto la guida del veterinario;<br />
• rispettare scrupolosamente i tempi di sospensione successivi ad ogni trattamento, anche non<br />
intramammario, ricordando che quelli riportati sul foglietto si riferiscono all’utilizzo dell’antibiotico<br />
strettamente nelle dosi e con le modalità descritte. Ogni altro uso è improprio e richiede un<br />
adeguamento del tempo di sospensione;<br />
• identificare in almeno 2 modi ben visibili e non rimovibili accidentalmente gli animali al momento del<br />
trattamento;<br />
• mungere le bovine il cui latte deve essere scartato per ultime oppure utilizzare un gruppo di mungitura a<br />
parte da lavare accuratamente dopo la mungitura;<br />
• utilizzare adeguati sistemi di registrazione dei trattamenti;<br />
• utilizzare test di screening per individuare la presenza di residui prima di riprendere a consegnare il latte<br />
o se vi sia un dubbio sull’identificazione dell’animale trattato; il test non va mai eseguito prima del<br />
termine del tempo di sospensione;<br />
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• aumentare la consapevolezza del personale sul corretto utilizzo del farmaco spiegando chiaramente le<br />
conseguenze della eventuale positività e definendo chiaramente le mansioni per iscritto;<br />
• utilizzare correttamente disinfettanti e detergenti, che devono essere autorizzate per l’uso specifico.<br />
Clostridi<br />
I clostridi sono batteri a forma di bastoncino, sporigeni, che possono quindi formare al loro interno una<br />
cellula dormiente, chiamata endospora.<br />
Il processo che porta alla formazione delle spore inizia quando una popolazione di cellule batteriche,<br />
cosiddette vegetative, rallenta la fase di moltiplicazione esponenziale a causa di fenomeni stressanti, per<br />
esempio per carenza di una sostanza necessaria allo sviluppo.<br />
La specie di clostridi che più comunemente viene ritrovata nei formaggi difettosi è Clostridium<br />
tyrobutyricum; meno frequentemente vengono identificati batteri appartenenti alle specie Clostridium<br />
butyricum e Clostridium sporogenes.<br />
• Clostridium butyricum e Clostridium tyrobutyricum. Si tratta di specie in grado di fermentare carboidrati<br />
solubili, amido e pectine con la formazione di acido acetico e soprattutto butirrico, anidride carbonica e<br />
idrogeno. Per questo motivo i clostridi che provocano gonfiore vengono generalmente indicati come<br />
butirrici;<br />
• Clostridium sporogenes. Specie responsabile di degradazioni putrefattive dei composti azotati, quindi<br />
fortemente proteolitica.<br />
I clostridi hanno il loro habitat naturale nel terreno; l’entità della loro presenza varia in funzione della tessitura<br />
dello stesso (i suoli ricchi di scheletro contengono meno spore) e della quantità e qualità delle concimazioni<br />
organiche da deiezioni zootecniche.<br />
La diffusione dei clostridi segue uno schema preciso:<br />
• le spore presenti nelle produzioni vegetali imbrattate di terra influenzano la quantità di quelle degli<br />
alimenti conservati (essiccati o insilati);<br />
• il numero di spore negli alimenti condiziona quello nelle feci, che inevitabilmente contaminano l’ambiente<br />
di allevamento, gli animali, gli impianti di mungitura e di conseguenza il latte;<br />
• le feci, a loro volta, tornando come concimi organici al terreno le restituiscono e possono indurre<br />
fenomeni di arricchimento di spore nello stesso.<br />
Anche se non è sempre possibile mettere in relazione il numero di spore con l’inquinamento da terra degli<br />
alimenti zootecnici, è importante che questo sia il più possibile ridotto.<br />
Gli alimenti possono essere imbrattati di particelle di terreno, sia in seguito all’adesione di polvere<br />
direttamente sugli steli, sulle foglie e sulle granelle, sia perché durante la fase di raccolta può determinarsi<br />
l’incorporazione nella massa di quantità di terra più o meno rilevanti a seconda delle condizioni operative dei<br />
cantieri di raccolta. La presenza di terra nei foraggi, ad esempio, diventa particolarmente importante quando<br />
si adottano tecniche di alimentazione che non consentono alle bovine di operare una selezione in<br />
mangiatoia.<br />
Per valutare la quantità di terra presente nei foraggi può essere utilizzato come indice il contenuto di ceneri.<br />
Generalmente si ritengono troppo contaminati da terra quei foraggi che presentano percentuali di ceneri<br />
superiori al 10-12%, anche se non è raro riscontrare valori che superano, e di molto, il 15%.<br />
La presenza di terra nel fieno è influenzata principalmente dall’altezza di taglio dei foraggi. Da dati<br />
sperimentali si è riscontrato un generale maggior contenuto in ceneri in tagli effettuati ad altezze intorno ai 4<br />
cm, mentre oltre i 7 cm il contenuto in ceneri diminuisce drasticamente.<br />
I livelli di spore risultano molto variabili sia per tipo di alimento sia all’interno di ogni categoria dello stesso.<br />
Risultati di numerose analisi mostrano che è possibile ottenere alimenti praticamente esenti da spore, ma<br />
emerge altrettanto chiaramente che tutti possono essere a rischio. Il potenziale inquinante è comunque<br />
diverso: gli insilati risultano mediamente più contaminati, seguono i concentrati e i fieni. Nel caso di alimenti<br />
conservati mediante insilamento, infatti, le spore possono trovare condizioni di sviluppo e moltiplicazione.<br />
Il numero di spore presenti nella razione dipende dalla sua composizione e dal grado di contaminazione dei<br />
vari componenti. Nell’alimentazione delle bovine da latte per <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong> assume molta<br />
importanza il contenuto sporale dei mangimi.<br />
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Il numero di spore emesse con le feci dipende strettamente dal numero di quelle ingerite con gli alimenti. Le<br />
spore non vengono degradate nel tratto digerente delle bovine, e generalmente nelle feci se ne riscontrano<br />
più di quante ne siano state ingerite.<br />
Il numero di spore nel latte è legato strettamente al numero di spore presente nelle feci. La contaminazione<br />
del latte dipende, in linea generale, dal grado di imbrattamento delle bovine e più specificatamente delle<br />
mammelle, quindi dal sistema di allevamento e di mungitura adottati e dal livello di cura posto nella loro<br />
gestione.<br />
Come si determinano le spore dei clostridi<br />
Ancora oggi disporre di un metodo affidabile e uniformemente applicato per valutare la presenza dei clostridi<br />
nel latte, nei prodotti caseari e in altri materiali, rappresenta un problema non completamente risolto.<br />
Il metodo MPN (Most Probable Number), generalmente adottato dai laboratori fiduciari dei caseifici, fornisce<br />
una stima del numero di spore presenti nel campione. Questa tecnica prevede la pastorizzazione del<br />
campione in modo da eliminare tutte le specie batteriche non sporigene, ma anche le forme vegetative degli<br />
stessi sporigeni. Il campione viene inoculato in provette che contengono il terreno nutritivo seguendo schemi<br />
che dipendono dal grado di precisione voluto e dal livello di contaminazione atteso: in genere vengono<br />
effettuate 3 diluizioni per 3 o 5 ripetizioni. L’anaerobiosi si ottiene attraverso la formazione di un tappo sulla<br />
superficie delle provette inoculate costituito da una miscela di vaselina e paraffina o agar-acqua. L’eventuale<br />
spostamento verso l’alto di questo tappo, in seguito alla formazione di gas all’interno del terreno sottostante,<br />
dovuto alla germinazione delle spore e allo sviluppo dei clostridi anaerobi gasogeni, rappresenta il sistema<br />
attraverso il quale viene determinato il risultato.<br />
Dalla lettura delle positività ottenute sulla serie di provette inseminate per ogni campione, attraverso<br />
apposite tavole numeriche, costruite mediante l’elaborazione statistica di dati sperimentali, viene individuato<br />
il numero più probabile di spore presenti nel campione, cioè quello che più si avvicina al numero di spore<br />
che sarà in grado di germinare e quindi di creare danni nel corso della maturazione del formaggio.<br />
La frequenza dei campioni positivi alla ricerca di spore di clostridi nel latte per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> negli<br />
ultimi 10 anni è decisamente aumentata: si è passati da circa il 10% di campioni positivi al 20% e oltre.<br />
Gli stessi dati, visualizzati per trimestre, mostrano un tipico andamento ciclico stagionale: la frequenza<br />
minima, nel corso dell’anno, si ottiene sempre nel secondo trimestre (da aprile a giugno), con un<br />
innalzamento repentino nel trimestre.<br />
Si può affermare, sebbene con cautela, che negli anni non solo è aumentato il numero di campioni di latte<br />
positivi, ma aumenta pure il numero di spore che li rendono tali.<br />
I difetti provocati nel formaggio<br />
I clostridi sono fra i principali responsabili della comparsa di difetti, anche gravi, nei formaggi a lunga<br />
stagionatura, con notevole deprezzamento del prodotto.<br />
Le forme di formaggi grana con difetto da fermentazione butirrica risultano caratterizzate dalla presenza,<br />
nella zona centrale, di numerosi occhi “composti”, di grosso diametro, per lo più accompagnati da spacchi e<br />
fessurazioni longitudinali; la pasta, in tale zona, può presentare anche una densa e minuta occhiatura e un<br />
colore paglierino più intenso tendente al bruno. A questi difetti di struttura si accompagnano alterazioni<br />
organolettiche.<br />
La germinazione delle spore presenti nel latte da caseificare, e la successiva attività metabolica delle forme<br />
vegetative, comporta una considerevole produzione di anidride carbonica e di idrogeno, di acidi organici<br />
volatili, principalmente acido butirrico e acido acetico, e di sostanze azotate di basso peso molecolare. La<br />
produzione di gas è responsabile del gonfiore, delle occhiature e delle spaccature della pasta del formaggio.<br />
La produzione di acidi organici e l’attività proteolica portano, invece, ad alterazioni di sapore e aroma.<br />
Le spore di Clostridium butyricum e Clostridium sporogenes, le specie che più frequentemente sono presenti<br />
nel latte, trovano difficilmente nel formaggio le condizioni chimico-fisiche favorevoli per la germinazione e la<br />
moltiplicazione delle forme vegetative. Per contro, anche se meno frequente nel latte, Clostridium<br />
tyrobutyricum, può moltiplicarsi facilmente nel formaggio in corso di stagionatura.<br />
I difetti da gonfiore vengono classificati in base al momento della stagionatura del formaggio in cui<br />
compaiono.<br />
• Il gonfiore precoce insorge quando nella cagliata è ancora presente lattosio ed è correlato allo sviluppo<br />
di batteri coliformi o di clostridi.<br />
46
In quest’ultimo caso il responsabile è Clostridium butyricum. Questa specie sviluppa molto rapidamente,<br />
dando luogo alla formazione di microcolonie composte da un numero elevato di cellule con intensa<br />
produzione di gas e conseguente gonfiore, con evidente deformazione delle forme. La fermentazione<br />
butirrica precoce non è molto frequente ma, per contro, è violenta.<br />
Lo sviluppo termina con la sporificazione e la lisi delle cellule. Il ciclo fermentativo di Clostridium<br />
butyricum interessa i primi giorni di vita del formaggio, soprattutto nei casi in cui l’acidificazione lattica da<br />
sieroinnesto è lenta e debole.<br />
• Il gonfiore tardivo è un difetto largamente diffuso nella produzione di formaggi a pasta dura. In genere<br />
le cause di questo difetto sono da ricercare nella presenza nel latte destinato alla caseificazione di<br />
microrganismi che possono fermentare i lattati (sali dell’acido lattico): si tratta in genere di clostridi e/o di<br />
batteri propionici.<br />
Il gonfiore tardivo da clostridi è nella maggior parte dei casi dovuto allo sviluppo di Clostridium<br />
tyrobutyricum; la germinazione delle sue spore può avvenire nelle prime 20-30 ore di vita del formaggio<br />
ma le cellule vegetative hanno una riproduzione molto lenta che dura per alcuni mesi prima che<br />
l’accumulo di gas sia consistente e determini gonfiore nella forma. Il gonfiore si manifesta in genere a 5-<br />
6 mesi di età del formaggio. Anche i processi di sporificazione e di autolisi sono altrettanto lenti.<br />
Clostridium tyrobutyricum rappresenta senz’altro la specie che più interessa l’industria casearia in<br />
quanto, oltre a resistere in ambienti acidi quale la pasta fermentata del formaggio, può utilizzare a fini<br />
energetici proprio l’acido lattico derivante dalle fermentazioni batteriche filo-casearie trasformandolo in<br />
acido butirrico, acido acetico, anidride carbonica e idrogeno.<br />
Anche Clostridium sporogenes dà luogo a una fermentazione tardiva. Si tratta di una specie frequente<br />
nelle zone dove non si utilizzano insilati. Il difetto provocato da Clostridium sporogenes è particolarmente<br />
subdolo: si può manifestare anche oltre i 12 mesi di età, si evidenzia solo al taglio delle forme e rende il<br />
formaggio non commestibile per lo sviluppo di sapori e odori sgradevoli dovuti alla degradazione delle<br />
sostanze azotate.<br />
Come limitare i danni<br />
In azienda: l’obiettivo è quello di limitare al massimo l’ingresso delle spore nel sistema di produzione del<br />
latte. Ciò si realizza con una corretta produzione e preparazione degli alimenti. È necessario:<br />
• tagliare i foraggi ad un’altezza non inferiore a 7-8 cm;<br />
• regolare l’altezza dal terreno degli organi di lavoro di voltafieno, ranghinatori e pick-up di raccolta in modo<br />
che questi sfiorino appena il terreno, soprattutto nel caso di terreni non livellati, in pendenza e in<br />
presenza di scarsa produzione foraggera;<br />
• adottare accorgimenti e attrezzature per separare la terra dal fieno prima dell’utilizzazione;<br />
• raccogliere i residui in mangiatoia;<br />
• curare la pulizia dei sili e operare lo svuotamento completo degli stessi prima della immissione di nuovo<br />
mangime;<br />
• controllare l’umidità dei prodotti immagazzinati;<br />
• effettuare controlli analitici sulle forniture e selezionare i fornitori di mangime.<br />
In stalla: l’obiettivo è quello di limitare al massimo l’inquinamento del latte da spore, mettendo in atto<br />
accorgimenti che permettano di migliorare la gestione dell’ambiente di allevamento e della mungitura,<br />
riducendo l’imbrattamento delle mammelle con materiali fecali. È necessario:<br />
• evitare il sovraffollamento delle stalle e rimediare a errori di dimensionamento e progettazione delle<br />
superfici di stabulazione;<br />
• curare la pulizia delle aree di stabulazione interne ed esterne, e in particolare della zona di riposo,<br />
mediante la frequente asportazione delle deiezioni e il ricambio della lettiera;<br />
• pulire accuratamente la mammella prima della mungitura;<br />
• evitare per quanto possibile il contatto delle apparecchiature di mungitura con superfici sporche di feci<br />
(caduta prendicapezzoli, ecc.);<br />
• lavare e pulire accuratamente i locali di mungitura, le attrezzature e gli impianti che possono venire a<br />
contatto con il latte.<br />
47
Regolamento di alimentazione delle bovine da latte (DM20/07/2006)<br />
…Per evitare che gli insilati, anche attraverso il terreno ed i foraggi, possano contaminare l'ambiente di<br />
stalla, negli allevamenti delle vitelle, delle manze fino al sesto mese di gravidanza e delle bovine da latte,<br />
sono vietati l'uso e la detenzione di insilati di ogni tipo.<br />
L'eventuale allevamento di animali da carne deve avvenire in ambienti distinti e separati da quelli degli<br />
animali della filiera latte.<br />
E', comunque, vietata anche la semplice detenzione in azienda di insilati di erba e di sottoprodotti, quali le<br />
polpe di bietola, le buccette di pomodoro, ecc., conservati in balloni fasciati, trincee, platee o con altre<br />
tecniche.<br />
…Le bovine da latte provenienti da filiere produttive diverse da quella del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, possono<br />
essere introdotte negli ambienti delle vacche in lattazione ed in asciutta dopo non meno di quattro mesi<br />
dall'introduzione nell'azienda. In tale periodo le bovine da latte devono essere alimentate conformemente<br />
alle norme del presente Regolamento e il latte, eventualmente prodotto, non può essere conferito in<br />
caseificio.<br />
Le aziende agricole non appartenenti alla filiera <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> sono autorizzate al conferimento del<br />
latte dopo non meno di quattro mesi dalla visita ispettiva…<br />
Grasso<br />
Il grasso del latte rappresenta un importante componente ad alto valore energetico che apporta anche<br />
sostanze nutritive nobili quali le vitamine A , D, E e K.<br />
La sua importanza va oltre la determinazione del valore energetico e la resa in burro perché influenza la<br />
resa casearia ed interviene nella maturazione dei formaggi partecipando attivamente alla determinazione<br />
della qualità.<br />
La composizione del grasso nel latte è formata da una miscela di acidi grassi a diverso peso molecolare il<br />
50% dei quali (circa) sono “leggeri” e sono sintetizzati dalla mammella a partire dall’acido acetico<br />
proveniente dalla fermentazione ruminale della fibra contenuta nella razione mentre gli “altri” provengono sia<br />
direttamente dagli alimenti ingeriti sia dalla mobilizzazione dei grassi di deposito presenti nel corpo<br />
dell’animale.<br />
Nel latte il grasso si trova sotto forma di globuli di piccolissime dimensioni che tendono ad affiorare essendo<br />
più leggeri della fase acquoso – proteica.<br />
Se si può stabilire che mediamente il latte di vacca contiene tra il 3,5 e il 3,7% di grasso, occorre anche<br />
specificare che la variabilità di questo valore è altissima e dipende da una molteplicità di fattori alcuni dei<br />
quali sono modificabili in breve tempo altri invece solo nel lungo periodo ed altri ancora difficilmente<br />
influenzabili. I più importanti fattori di variazione sono i seguenti:<br />
• genetici: determinano il limite oltre il quale quella bovina non può andare ma che a causa di varie<br />
influenze ambientali essa può solo scendere. Generalmente la selezione può aiutare ad innalzare il<br />
tenore di grasso essendo questo un carattere ad alta ereditarietà che si muove spesso in coppia con le<br />
proteine.<br />
• alimentari: attraverso l’alimentazione si può influenzare la produzione di grasso che la mammella<br />
sintetizza utilizzando i precursori derivati direttamente dagli alimenti ( acidi grassi a catena lunga) sia<br />
risintetizzando alcuni prodotti delle fermentazioni ruminali come l’acido acetico.<br />
• periodo di lattazione: con la massima produzione di latte (primo periodo post parto) si ha la minima<br />
concentrazione di grasso che poi cresce via via fino al raggiungimento del valore massimo in prossimità<br />
dell’asciutta.<br />
• sanitari: una mammella attaccata da germi patogeni sintetizza più difficilmente provocando quindi una<br />
diminuzione del grasso.<br />
• altri fattori: la modalità e la qualità di mungitura così come il clima nei suoi valori di temperatura più alti<br />
e bassi influenzano la quantità di grasso sintetizzato.<br />
La pratica dell'affioramento naturale del grasso durante la sosta del latte nelle bacinelle o vasche, in attesa<br />
della trasformazione in formaggio grana, è nata con il formaggio stesso. La risalita del grasso risulta<br />
inversamente proporzionale all'altezza dello strato del latte posto a riposo ed è correlata negativamente con<br />
la temperatura del latte; essa viene influenzata sfavorevolmente dallo sbattimento che il latte subisce<br />
durante la mungitura e le operazioni di trasporto. Nel determinismo del fenomeno giocano un ruolo<br />
48
importante le proteine agglutinanti presenti nel latte, nonché la durata, le condizioni di riposo e della camera<br />
del latte. La capacità di affioramento varia in rapporto alla influenza di numerosi fattori, quali alimentazione e<br />
stato metabolico delle vacche, parametri produttivi e fase fisiologica della lattazione, caratteristiche del latte,<br />
etc.. Da tale proprietà dipendono l'entità e la quantità dello strato della panna, aspetti di indubbio interesse<br />
caseario, in quanto al fenomeno sono legati, da un lato, il tenore in grasso e la quantità di latte lavorabile e,<br />
dall'altro, il titolo della crema da burrificare.<br />
L'affioramento del grasso in quanto tale è fondamentale non soltanto per la standardizzazione del rapporto<br />
grasso:caseina, ma anche ai fini del conseguimento di una certa "debatterizzazione" del latte in caldaia,<br />
fenomeno legato sia ai processi di agglutinazione dei batteri sia alla stessa aggregazione e risalita dei<br />
globuli di grasso. In particolare, la capacità di affioramento può esercitare un'influenza significativa sul grado<br />
di "depurazione" microbica del latte che passa in caldaia e che interessa soprattutto i batteri "anticaseari".<br />
Caseina<br />
Le proteine sono l’elemento più importante dei nutrienti del latte e sono in grado di determinare in modo<br />
decisivo la resa alla caseificazione. Per queste caratteristiche il parametro proteine è alla base di qualunque<br />
sistema di pagamento differenziato del latte.<br />
I tre raggruppamenti principali che compongono le frazioni azotote del latte sono: le caseine, le siero<br />
proteine e l’azoto non proteico. In verità l’insieme dei componenti di ciascuna delle tre classi è molto più<br />
complesso:<br />
• Caseine: sono diverse (alfa, beta, k e caseine minori) e sono molecole che formano micelle di diametro<br />
variabile unendosi insieme.<br />
• Proteine del siero: sono quelle che non restano imprigionate nella cagliata all’atto della coagulazione e<br />
sono rappresentate principalmente da alfa – lattoalbumina e beta – lattoglobulina.<br />
• Azoto non proteico: costituito soprattutto da urea che, sintetizzata dal fegato passa direttamente al latte<br />
senza modifiche. Questa è una frazione che non ha interesse particolare dal punto di vista caseario.<br />
Di queste componenti la frazione più importante è costituita dalle caseina che sono il 77% del totale, seguite<br />
dalle proteine del siero (18%) e dall’azoto non proteico (5%).<br />
La sintesi delle proteine avviene ad opera delle cellule mammarie a partire dagli amminoacidi contenuti nel<br />
sangue e provenienti per lo più dall’assorbimento intestinale.<br />
Il contenuto medio di proteine nel latte varia tra 3,1% e 3,4% ma, come per il grasso, il dato è soggetto ad<br />
altissima variabilità dovuta a cause che si possono sovrapporre a quelle del grasso:<br />
Quali sono dunque gli accorgimenti che l’allevatore deve adottare per massimizzare il tenore di grasso e di<br />
proteine? Premesso che la selezione genetica è in grado di mettere le basi per produrre latte con buoni<br />
contenuti, l’allevatore può intervenire in maniera determinante agendo sul fattore più importante che è<br />
l’alimentazione, curando e controllando lo stato sanitario della mandria, adottando una tecnica di mungitura<br />
precisa e igienicamente corretta, migliorando laddove possibile le condizioni di stabulazione degli animali.<br />
La caseina costituisce la vera e propria materia prima del formaggio da cui dipendono gran parte delle<br />
caratteristiche reologiche della cagliata, la capacità di contrazione della massa caseosa ed il rendimento<br />
della trasformazione casearia, nonché le proprietà fisico-chimiche e funzionali del prodotto finito. Il contenuto<br />
di caseina svolge un ruolo fondamentale, con il grasso, nella determinazione della resa della trasformazione<br />
casearia.<br />
La quantità di formaggio varia quindi in relazione diretta con la caseina e in misura tanto più stretta quanto<br />
più basso è il rapporto grasso:caseina del latte in caldaia. Per quanto riguarda il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> le<br />
osservazioni disponibili indicano chiaramente che la resa in formaggio è fortemente associata al contenuto in<br />
caseina del latte.<br />
Il contenuto di caseina concorre in misura importante alla determinazione delle caratteristiche reologiche del<br />
latte con particolare riferimento alla consistenza del coagulo ed alle proprietà funzionali del reticolo<br />
caseinico, cui si rapportano i requisiti di e<strong>last</strong>icità, permeabilità, omogeneità e compattezza della massa<br />
caseosa.<br />
È noto che i latti più ricchi di caseina danno normalmente origine a cagliate dotate di maggiore consistenza.<br />
Questo peculiare ruolo della caseina risulta cruciale nelle specifiche condizioni tecnologiche di produzione<br />
dei formaggi Grana Padano e <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. Il latte con più caseina fornisce un coagulo dotato di<br />
maggiore consistenza e di migliore attitudine alla sineresi. Esso manifesta una maggiore forza di<br />
49
contrazione, cui corrisponde una più elevata capacità di spurgo per unità di tempo, condizione importante<br />
per ottenere un formaggio con idoneo gradiente di umidità. Nella produzione del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> la<br />
cagliata ottenuta da un latte ricco di caseina raggiunge un buon grado di rassodamento; i granuli caseosi<br />
sono dotati di maggiore consistenza ed e<strong>last</strong>icità e manifestano una buona capacità di coesione e di spurgo;<br />
il siero risulta meno torbido (indice di minori perdite di grasso e di caseina); la massa caseosa all'estrazione<br />
dalla caldaia presenta migliore impasto e maggiore uniformità e la forma sul banco risulta giustamente<br />
e<strong>last</strong>ica, consistente e permeabile. Il contenuto di caseina rappresenta non soltanto il più importante criterio<br />
nella valutazione della qualità del latte da un punto di vista del suo rendimento caseario (resa industriale),<br />
ma anche un parametro indubbiamente significativo ai fini della determinazione della qualità del formaggio<br />
(resa commerciale).<br />
La caseina allo stato nativo, strutturata in micelle che si originano dalla aggregazione di subunità costituite<br />
dalle frazioni α s1, α s2, β e k con il concorso del fosfato di calcio colloidale, è interamente destinata a formare<br />
la massa caseosa, il formaggio. Le variazioni quanti-qualitative della caseina si ripercuotono, oltre che sulla<br />
resa della trasformazione, su tutte le caratteristiche reologiche della cagliata, con riflessi diretti sulla tessitura<br />
della pasta e sulla qualità del formaggio. La composizione, le proprietà fisico-chimiche, nonché la struttura<br />
intima del sistema micellare del latte rappresentano la risultante di complesse interazioni tra le numerose<br />
componenti in gioco (concentrazione ripartizione e tipo genetico delle caseine, fosfato di calcio colloidale,<br />
calcio caseinato, etc.), viste in stretto rapporto dinamico con la fase solubile del latte. Anche piccole<br />
variazioni possono esercitare un'influenza importante sullo stato di aggregazione delle submicelle e quindi<br />
sul grado di dispersione dell'intero sistema micellare.<br />
I sistemi micellari più uniformi, comunque contraddistinti da maggiori proporzioni di micelle di piccole<br />
dimensioni, come, ad esempio, quelli caratterizzati dalla presenza della k-caseina B, tendono a coagulare in<br />
minor tempo. Le varianti delle caseine k e β esercitano un ruolo fondamentale in tutte le fasi della<br />
coagulazione presamica del latte. Il latte k-caseina B manifesta una maggiore reattività con il caglio e<br />
presenta una migliore attitudine alla formazione del coagulo, il cui reticolo tende ad essere più compatto e<br />
più e<strong>last</strong>ico rispetto a quello di tipo k-caseina A. In tali condizioni le perdite di caseina e di grasso risultano<br />
inferiori, con ripercussioni favorevoli sulla resa e sulla qualità del formaggio. Anche il latte β -caseina B tende<br />
a coagulare in tempi sensibilmente inferiori rispetto a quello di tipo β -caseina A, con effetti importanti sulla<br />
velocità di formazione del coagulo e di riflesso anche sulla sua consistenza. Un carattere distintivo<br />
importante, comune alle varianti B di k-caseina e di β -caseina, è quello di determinare condizioni fisicochimiche<br />
particolarmente favorevoli alla velocità di aggregazione delle micelle di paracaseina, in misura tale<br />
da rendere sensibilmente più breve il tempo di rassodamento del coagulo, caratteristica di preminente<br />
interesse tecnologico-caseario.<br />
50
Elaborazioni dei risultati ottenuti per i diversi parametri analitici<br />
Si riportano i risultati analitici ottenuti dai tre laboratori che partecipano a SiQuILaCa in 13 mesi di attività. Nell’insieme i<br />
record afferiscono a un totale di 1.618 allevamenti che conferiscono il latte a 175 caseifici delle 5 provincie del<br />
comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>.<br />
Sono stati sottoposti ad elaborazione statistica, utilizzando il software di elaborazione SPSS, 33.629 record analitici. I<br />
dati sono relativi a tutti parametri che concorrono a definire la qualità del latte per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e che vengono<br />
utilizzati per la valutazione tecnico-economica dello stesso. La carica batterica totale è stata effettuata utilizzando a<br />
regime le apparecchiature Bactoscan FC50 in dotazione ai tre laboratori.<br />
La distribuzione dei record analitici per provincia del comprensorio è la seguente:<br />
Mantova Parma Reggio Emilia Modena Bologna Totale complessivo<br />
3.389 20.156 4.600 5.088 396 33.629<br />
La tabella sottostante mostra la media dei singoli parametri, che presentano valori continui, nelle diverse provincie:<br />
Parametri Mantova Parma Reggio Emilia Modena Bologna MediaTotale<br />
Acidità SH/50 ml 3,25 3,19 3,21 3,22 3,29 3,21<br />
Cellule somatiche x .000 256,58 383,27 306,60 313,71 297,21 348,68<br />
Coliformi ufc 1264,10 340,49 1809,37 2002,81 1134,26 1540,87<br />
Grasso % 3,53 3,56 3,56 3,63 3,62 3,57<br />
Caseina % 2,50 2,51 2,47 2,49 2,50 2,50<br />
CBT ufc x .000 75,05 113,35 119,09 139,91 311,67 116,63<br />
Come si può notare tutti i parametri presentano, fra le diverse provincie, una discreta uniformità di valori medi, in<br />
particolare acidità, grasso e caseina. La numerosità dei campioni che afferiscono alla provincia di Parma condiziona la<br />
media generale.<br />
Per ottenere un quadro abbastanza completo delle analisi effettuate e di come queste si pongono rispetto a risultati<br />
storici e/o ad andamenti tipici è stato analizzato l’andamento dei valori medi mensili dei diversi parametri.<br />
Dai grafici che seguono si evidenzia un normale effetto stagionale sui valori medi assunti dai parametri nel corso del<br />
2006.<br />
3,28<br />
3,26<br />
3,24<br />
3,22<br />
3,2<br />
3,18<br />
3,16<br />
3,14<br />
3,12<br />
3,1<br />
Andamento stagionale Acidità SH/50ml - Valori medi mensili<br />
nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />
I valori massimi di acidità vengono raggiunti nel mese di dicembre mentre quelli minimi nel mese di luglio.<br />
L’andamento dei dati in grafico è tipico rispetto a quanto rilevato in letteratura. Nel mese di agosto si deve rilevare un<br />
innalzamento dell’acidità leggermente superiore all’atteso, forse a causa di particolari condiziono climatiche favorevoli<br />
che si sono registrate in questo mese nel 2006.<br />
51
Lo stesso fenomeno positivo si evidenzierà successivamente anche a carico di altri parametri.<br />
4,8<br />
4,7<br />
4,6<br />
4,5<br />
4,4<br />
4,3<br />
4,2<br />
4,1<br />
Andamento stagionale conteggio cellule somatiche - Valori medi mensili di linear score<br />
nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />
Anche l’andamento dei valori delle cellule somatiche, espresso come punteggio linear score, è tipico: i valori più<br />
favorevoli vengono raggiunti all’inizio della primavera mentre quelli che denunciano una maggiore sofferenza<br />
dell’apparato mammario si evidenziano nei mesi estivi, in particolare luglio e agosto.<br />
3000<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
0<br />
Andamento stagionale conteggio coliformi - Valori medi mensili<br />
nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />
Per quanto riguarda i coliformi si evidenziano valori medi al di sopra della media annuale nei mesi relativi alla tarda<br />
primavera ed estate. Come accennato in precedenza il mese di agosto, caratterizzato da temperature non troppo<br />
elevate, ha consentito di ottenere buoni risultati per quanto riguarda questo parametro.<br />
Il grafico relativo ai contenuti percentuali di grasso e caseina dei latti di massa mostra anche in questo caso un tipico<br />
andamento stagionale. I dati assumono i valori massimi mesi invernali e i minimi in luglio.<br />
Lo stesso si può affermare per quanto riguarda l’andamento dei valori medi di carica batterica totale effettuata mediante<br />
Bactoscan. Anche nel caso della CBT il mese di agosto caratterizzato da temperature non troppo elevate ha,<br />
probabilmente, consentito di ottenere buoni risultati.<br />
I grafici e le tabelle offrono una visione d’insieme dei dati che consente di formulare un giudizio di “normalità”<br />
complessiva sul set di dati riferita allo storico e all’espressione di variabili che dipendono dalla stagione.<br />
52
grasso %<br />
ufc x .000<br />
3,75<br />
3,7<br />
3,65<br />
3,6<br />
3,55<br />
3,5<br />
3,45<br />
3,4<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0<br />
Andamento stagionale grasso e caseina % - Valori medi mensili<br />
nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />
Andamento stagionale CBT totale - Valori medi Mensili<br />
nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />
L’analisi statistica vera e propria ha permesso di individuare di range effettivi di normalità dei dati dei singoli parametri e<br />
pertanto di individuare i dati analitici al di sopra o al di sotto dei quali i valori ottenuti possono essere considerati frutto di<br />
un errore (di campionamento, di analisi, di trascrizione, ecc.).<br />
Per ogni parametro è stata individuata la media, il valore minimo e massimo presente all’interno del database, la<br />
deviazione standard, il coeficiente di variazione %, il limite inferiore e superiore di normalità. Tali limiti sono stati utilizzati<br />
per stabilire i valori al di sopra o al di sotto dei quali i risultati analitici vengono considerati anomali e sottoposti a verifica.<br />
Per quanto riguarda i parametri cellule somatiche e CBT vengono effettuate apposite trasformazioni logaritmiche al fine<br />
di rendere la distribuzione dei valori normale. Per questo motivo nella tabella che segue sono indicati in un caso il<br />
cosidetto linear score per quanto riguarda le cellule somatiche e il log in base 10 per la CBT. In entrambi i casi, per<br />
facilitare la lettura, segue anche il valore corrispondente ritrasformato in numeri normali; ovviamente, in questo caso - ad<br />
esempio - la media non corrisponde al valore precedentemente indicato frutto della media aritmetica dei valori.<br />
Media Massimo Minimo Dev Std CV% Limite inf Limite sup<br />
Acidità 3,21 5,00 2,50 0,17 5,18 2,78 3,63<br />
Cellule punt. Linear Score 4,53 9,38 -0,64 0,89 19,73 2,20 6,90<br />
Cellule n. x .000 288,65 8.306 8,00 23,23 8,05 57,43 1.492,85<br />
Grasso % 3,57 7,94 1,17 0,31 8,66 2,70 4,43<br />
Caseina % 2,50 4,12 3,64 0,12 4,83 2,19 2,80<br />
log CBT 4,58 7,48 3,48 059 12,88 4,55 4,57<br />
CBT ufc x .000 116.627 12.595.000 3.000 327.290 281 113.129 120.126<br />
53<br />
2,6<br />
2,58<br />
2,56<br />
2,54<br />
2,52<br />
2,5<br />
2,48<br />
2,46<br />
2,44<br />
2,42<br />
2,4<br />
caseina %
I grafici che seguono mostrano la distribuzione dei parametri sopra tabulati.<br />
54
Per quanto riguarda i coliformi in considerazione dell’elevato numero di analisi con risultato pari a zero e la bassa<br />
frequenza di esecuzione dell’analisi stessa si è optato per mostrare la distribuzione dei dati in base a classi di frequenza.<br />
56
Coliformi f F (%)<br />
< 100 3.786 65,60<br />
100-1000 753 13,05<br />
1000-10000 1.088 18,85<br />
10000-100000 139 2,41<br />
> 100000 5 0,09<br />
Totale 5.771 100,00<br />
Entro le 10.000 ufc/ml si posizione oltre il 97% dei campioni: devono essere considerati anomali valori che portano ad<br />
innalzare la frequenza delle due ultime classi. La tabella e il grafico che seguono mostrano la distribuzione dei campioni<br />
fra due classi: positivi e negativi alla ricerca delle spore di Clostridium con metodo indiretto. Scostamenti rapidi della<br />
frequenza di queste classi devono destare sospetto.<br />
Clostridium f F (%)<br />
Negativo 25.603 80,54<br />
Positivo 6.188 19,46<br />
Totale 31.791 100,00<br />
Tipo LDG f F (%)<br />
A 5743 35,22<br />
AB 57 0,35<br />
AD 18 0,11<br />
AE 1293 7,93<br />
B 959 5,88<br />
C 6 0,04<br />
D 8 0,05<br />
DD 1 0,01<br />
E 2563 15,72<br />
EA 5431 33,30<br />
EF 161 0,99<br />
F 31 0,19<br />
FF 37 0,23<br />
Totale 16308 100,00<br />
57
percentuale<br />
90,0<br />
80,0<br />
70,0<br />
60,0<br />
50,0<br />
40,0<br />
30,0<br />
20,0<br />
10,0<br />
0,0<br />
82,8<br />
16,8<br />
La frequenza del tipo LDG, vale a dire le caratteristiche del latte che individuano l’attitudine alla coagulazione dello<br />
stesso, sono mostrate nella tabella e nel grafico soprastanti. Anche in questo caso rapide importanti variazioni di queste<br />
frequenze devono essere considerate anomale.<br />
58<br />
0,2 0,2<br />
A-B-C D-E F-DD FF<br />
LDG
Proposta di modifica del parametro CBT nel metodo di pagamento<br />
Il metodo convenzionale sinora utilizzato nel Comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> per definire il livello di carica<br />
batterica totale presente nel latte è quello della stima della carica batterica tramite resazurina. Il valore ottenuto entra<br />
come parametro nel modello per il pagamento del latte a qualità.<br />
Il confronto fra la metodica BactoScan e quelle di uso convenzionale nel comprensorio, al fine di validarne l'uso e<br />
stabilire un legame fra i risultati ottenuti con i due metodi tale da consentire di ridefinire la griglia parametrica per il<br />
pagamento latte qualità, ha permesso di mettere in evidenza che la prova della resazurina può discriminare diverse<br />
entità di carica batterica ma solo se le differenze sono fra loro molto rilevanti. Nel contesto attuale è necessario<br />
discriminare cariche basse da cariche batteriche bassissime e pertanto sono richiesti livelli di sensibilità e accuratezza<br />
analitica molto elevate, prestazioni queste che, alla luce dei risultati ottenuti, l’apparecchiatura fluoroptimmetrica<br />
acquisita dai laboratori di SiQuILaCa sembra in grado di garantire.<br />
Sulla base di queste considerazioni non sono state utilizzate direttamente le classi medie di CBT individuate dal<br />
confronto diretto fra le due metodiche ma, al fine di individuare classi di CBT determinata in modo diretto più aderenti agli<br />
obiettivi e alla realtà produttiva, è stato sottoposto ad analisi statistica il set di analisi sulla carica batterica frutto della<br />
fase pilota di applicazione della metodica. L’elaborazione statistica dei dati analitici disponibili del CBT attraverso l’analisi<br />
della varianza e il test di separazione delle medie di Duncan ha permesso di individuare classi di CBT differenti fra loro<br />
con un livello di probabilità del 0.95 %. Le elaborazioni statistiche sono state effettuate con il programma statistico SPSS.<br />
ANOVA univariata<br />
Somma dei quadrati df Media dei quadrati F Sig.<br />
Fra gruppi 427620058,110 3 14254<strong>001</strong>9,370 2184,018 ,000<br />
Entro gruppi 153046511,137 2345 65265,037<br />
Totale 580666569,247 2348<br />
Test di Duncan CBT<br />
CBT N Sottoinsieme per alfa = .05<br />
1 2 3 4<br />
≤100 1697 34,46<br />
101 - 316 364 182,75<br />
317 - 1000 204 547,29<br />
≥ 1<strong>001</strong> 84 2262,12<br />
Frequenza CBT<br />
10000<br />
8000<br />
6000<br />
4000<br />
2000<br />
0<br />
346<br />
Come si può notare l’elaborazione statistica, effettuata utilizzando la trasformazione logaritmica usale per le elaborazioni<br />
dei dati microbiologici - successivamente ritrasformati in numeri naturali -, permette di individuare 4 classi di carica<br />
batterica significativamente differenti:<br />
100.000 300.000 1.000.000.<br />
Simulazione e valutazione degli effetti sul sistema di pesatura economica<br />
Sono stati simulati gli effetti dell’introduzione di una nuova griglia parametrica per la valutazione della qualità<br />
microbiologica del latte sul punteggio della qualità del latte.<br />
Nelle discussioni con il gruppo di lavoro si è optato per valutare non solo la griglia derivata dall’analisi statistica ma<br />
anche altre che da questa discendono ma che, almeno in via preliminare sembravano rappresentare un passaggio meno<br />
brusco fra sistemi di valutazione sia dal punto di vista tecnico, sia tenendo in considerazione la “psicologia” dei fruitori.<br />
Si seguito si riportano le griglie di valutazione con i relativi punteggi assegnati alle diverse classi adottate nella fase di<br />
simulazione.<br />
Griglie classi punteggio<br />
CBT – met. 1992<br />
CBT – met. 1<br />
n. x.000<br />
CBT – met 2<br />
n. x.000<br />
CBT met 3<br />
n. x.000<br />
CBT met 4<br />
n. x.000<br />
Normale (N)<br />
Elevata (E)<br />
Elevatissima (EE)<br />
300 800<br />
100 300 600 1.000<br />
300 600 1.000<br />
100 300 1.000<br />
Gli effetti della simulazione di queste 5 griglie di valutazione sul set di analisi (n. 442 analisi) che prevedevano la doppia<br />
determinazione – resazurina e CBT diretta, sono riportati nelle tabelle che seguono. Lo scopo è stato quello di<br />
individuare gli scostamenti delle nuove potenziali griglie rispetto a quella in uso.<br />
60<br />
3<br />
0<br />
-3<br />
3<br />
0<br />
-3<br />
3<br />
1<br />
0<br />
-3<br />
-6<br />
3<br />
0<br />
-3<br />
-6<br />
3<br />
1<br />
0<br />
-4<br />
RESAZURINA<br />
Valori E EE N Totale complessivo<br />
n. campioni 132 38 272 442<br />
Media punti per analisi 0 -3 3 1,59<br />
Dati Totale<br />
Media CBT 1357,82<br />
Punteggio tot met 1992 702 Media punti met 1992 1,59<br />
Punteggio tot met 1 -84 Media punti met 1 -0,19<br />
Punteggio tot met 2 -755 Media punti met 2 -1,71<br />
Punteggio tot met 3 -633 Media punti met 3 -1,43<br />
Punteggio tot met 4 -272 Media punti met 4 -0,61<br />
Come si può notare la CBT media di questo set di analisi è piuttosto elevata, ma ciononostante il met 1992 assegna un<br />
punteggio medio per analisi pari a 1,59 punti, al contrario di quanto avviene utilizzando tutte e 4 le altre griglie che<br />
addirittura assegnano un punteggio medio per analisi negativo seppure con severità diverse; vale a dire che in questi
casi il punteggio assegnato alla CBT andrebbe sottratto a quello complessivamente assegnato agli altri parametri di<br />
valutazione delle caratteristiche qualitative del latte.<br />
La scala in ordine crescente di severità è la seguente:<br />
1. met 1<br />
2. met 4<br />
3. met 3<br />
4. met 2<br />
La griglia che tende, su questo set di dati, a penalizzare maggiormente una scarsa qualità microbiologica del latte è<br />
pertanto la seguente.<br />
CBT – met 2<br />
n. x.000<br />
100 300 600 1.000<br />
Questa griglia al contrario delle altre, in situazioni abbastanza scadenti dal punto di vista della qualità microbiologica del<br />
latte, presentando due classi di valore al disopra dei 300.000 germi per ml, determina una maggiore penalizzazione per i<br />
valori analitici che si posizionano in questa zona.<br />
Le quattro griglie di valutazione della CBT diretta sono state utilizzate anche in riferimento a situazioni reali di strutture di<br />
trasformazione. In ognuno di questi casi sono stati calcolati i punteggi quindicinali e mensili ottenuti utilizzando assieme<br />
ai punteggi delle 4 distinte griglie anche tutti gli altri parametri di valutazione della qualità del latte con lo scopo di<br />
valutare la reale incidenza di un metodo rispetto all’altro sul punteggio finale e di conseguenza sulla valutazione tecnicoeconomica<br />
del latte base per la determinazione del pagamento dello stesso. I risultati ottenuti visti nel loro insieme non<br />
differiscono in modo sostanziale fra i diversi caseifici. Mediamente il met 2 risulta sempre quello più severo seguito dal 4,<br />
dal 3 e dall’1.<br />
Dai risultati ottenuti si evince che l’incidenza del parametro CBT a seconda della griglia utilizzata varia dal 7 al 7,8% e<br />
che, sulla totalità dei dati, il metodo 2 è sostanzialmente analogo al metodo 4, così come il 3 agisce in modo simile al<br />
metodo 1.<br />
In conclusione si può affermare che il met 2 seguito dal 4 sono quelli che più tendono a penalizzare una qualità<br />
microbiologica del latte scadente, anche se non pessima. In entrambi i casi viene distinta e premiata maggiormente la<br />
fascia di carica batterica
I Partner di SiQuILaCa<br />
CRPA SpA promuove innovazione e trasferimento di conoscenze e<br />
tecnologie individuate con la conduzione e la gestione di progetti di<br />
ricerca e sperimentazione.<br />
Corso Garibaldi 42 – 42100 Reggio Emilia<br />
Paola Vecchia - p.vecchia@crpa.it<br />
Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong> attua tutte le iniziative dirette al miglioramento<br />
tecnico e qualitativo del formaggio sottoposto alla sua tutela.<br />
Via JF Kennedy 17 – 42100 Reggio Emilia<br />
Marco Nocetti - nocetti@parmigiano-reggiano.it<br />
I tre laboratori di analisi aderenti a SiQuILaCa forniscono servizi complessivamente a circa il 60% dei<br />
caseifici (a cui fa riferimento circa il 75% delle aziende zootecniche che producono latte per <strong>Parmigiano</strong>-<br />
<strong>Reggiano</strong>) per il controllo qualità del latte e del formaggio, per l’assistenza tecnica al processo di produzione,<br />
oltre che per la creazione e il mantenimento di Sistemi Qualità, HACCP e rintracciabilità.<br />
Via Polonia 33 – 49100 Modena<br />
Alessandra Carletti<br />
acarletti@artecasearia.it<br />
Str. Torelli 17 – 43100 Parma<br />
Sandro Sandri<br />
clc@interfree.it<br />
62<br />
Via Quaresimo 6 – 42100 Reggio E.<br />
Massimo Vergnani<br />
salc.analisi@tin.it<br />
Il Centro per l’Innovazione SiQuILaCa si avvale della collaborazione scientifica del<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bologna.<br />
I testi, salvo diversamente indicato, sono a cura dei componenti del gruppo di lavoro:<br />
Alessandra Carletti (Arte Casearia), Luigi Grazia (Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli<br />
Studi di Bologna), Marco Nocetti e Paolo Reverberi (Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>),<br />
Sandro Sandri (Centro Lattiero Caseario), Paola Vecchia (Centro Ricerche Produzioni Animali- C.R.P.A.<br />
S.p.A.), Massimo Vergnani (Salchim).