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opuscolo siquilaca last 001 - Parmigiano Reggiano

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Indice<br />

PRESENTAZIONE ............................................................................................................................................ 3<br />

CENTRO PER L’INNOVAZIONE SIQUILACA................................................................................................. 5<br />

LE TAPPE DEL LAVORO DI SIQUILACA................................................................................................................ 7<br />

BACTOSCAN: CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI................................................................................... 8<br />

CURVA DI CONVERSIONE................................................................................................................................. 10<br />

CARICA BATTERICA TOTALE: RESAZZURINA VS BACTOSCAN ........................................................... 11<br />

SISTEMA DI PAGAMENTO DEL LATTE A QUALITÀ: STORIA E SCHEMA ATTUALE ............................ 14<br />

SIGNIFICATO QUALITATIVO E TECNOLOGICO DEI PARAMETRI DI VALUTAZIONE DEL LATTE....... 16<br />

ACIDITÀ °SH .................................................................................................................................................. 16<br />

LATTODINAMOGRAFIA - LDG........................................................................................................................... 16<br />

CARICA BATTERICA TOTALE - CBT .................................................................................................................. 19<br />

Importanza della carica batterica ............................................................................................................. 19<br />

L’impatto della carica batterica del latte sulla trasformazione in <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>.......................... 20<br />

Gestione e lavaggio impianti di mungitura e di stoccaggio del latte alla stalla (a cura di A. Pazzona –<br />

Università di Sassari e M. Capasso – Associazione Italiana Allevatori di Roma).................................... 22<br />

CELLULE SOMATICHE...................................................................................................................................... 37<br />

La mungitura............................................................................................................................................. 39<br />

Come intervenire e prevenire................................................................................................................... 43<br />

Il “rischio residui” ...................................................................................................................................... 44<br />

CLOSTRIDI ..................................................................................................................................................... 45<br />

Come si determinano le spore dei clostridi .............................................................................................. 46<br />

I difetti provocati nel formaggio ................................................................................................................ 46<br />

Come limitare i danni................................................................................................................................ 47<br />

Regolamento di alimentazione delle bovine da latte (DM20/07/2006)..................................................... 48<br />

GRASSO ........................................................................................................................................................ 48<br />

CASEINA ........................................................................................................................................................ 49<br />

ELABORAZIONI DEI RISULTATI OTTENUTI PER I DIVERSI PARAMETRI ANALITICI............................ 51<br />

PROPOSTA DI MODIFICA DEL PARAMETRO CBT NEL METODO DI PAGAMENTO.............................. 59<br />

SIMULAZIONE E VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI SUL SISTEMA DI PESATURA ECONOMICA......................................... 60<br />

I PARTNER DI SIQUILACA............................................................................................................................ 62<br />

2


Presentazione<br />

La carica batterica è un parametro fondamentale per la valutazione della qualità del latte. Esigenze sanitarie<br />

e tecnologiche impongono una conoscenza e una gestione molto approfondita e attenta della problematica,<br />

tanto più in un prodotto come il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> in cui il ruolo della microflora nativa del latte gioca un<br />

ruolo così importante: è infatti ben noto che è possibile reperire anche nel formaggio stagionato cariche<br />

rilevabili di batteri lattici mesofili provenienti dal latte, batteri che costituiscono un fattore importante di<br />

legame con il territorio di produzione e che nel corso della maturazione contribuiscono a caratterizzare dal<br />

punto di vista organolettico e sensoriale il prodotto.<br />

Per questo motivo il Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> ha utilizzato la possibilità prevista dal<br />

Regolamento (CE) n. 853/2004 di richiedere adattamenti dello stesso regolamento idonei a “consentire<br />

l’utilizzazione ininterrotta dei metodi tradizionali”, dato che è tradizionalmente accettato che un contenimento<br />

eccessivo della carica batterica totale comporti un impoverimento anche della flora filocasearia.<br />

Con provvedimento del 25.01.07 la Conferenza Stato-Regioni ha accettato le richiesta del Consorzio<br />

relativamente alle modalità di applicazione del regolamento consentendo ai produttori di <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong> l’impiego di latte non corrispondente ai criteri fissati per il tenore in germi ritenendo, da un lato,<br />

motivate dal punto di vista tecnologico le richieste e ,dall’altro, adeguate le garanzie di sicurezza fornite dal<br />

processo di produzione e dalla sua gestione tramite i piani di autocontrollo.<br />

Non vi è dubbio, però, che sia necessario accrescere le conoscenze sulla componente microbica del latte e<br />

sulla sua gestione, dato che ai vincoli normativi, che perlatro non si può escludere che possano in futuro<br />

divenire più restrittivi, si affiancano anche esigenze di tipo tecnologico: è necessario mantenere la flora<br />

filocasearia presente nel latte, ma si può e si deve comunque lavorare per contenere quella non filocasearia<br />

o anticasearia che, chiaramente, in nessun caso è funzionale a una produzione di qualità.<br />

In questo contesto e con questi obiettivi, mentre si è avviata, sempre con il contributo della Regione Emilia-<br />

Romagna, una approfondita ricerca sulle connessioni tra flora lattica mesofila e carica batterica totale del<br />

latte, è nato SiQuILaCa, Centro per l’Innovazione Sicurezza e Qualità nell’Industria Lattiero-Casearia, che fa<br />

parte della rete dell’Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna ed è stato finanziato nell’ambito del Programma<br />

Regionale per la Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT).<br />

Obiettivo delle attività del Centro è quello di innovare gli strumenti e i servizi a supporto della sicurezza<br />

igienica e della qualità del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. Gli scopi specifici che SiQuILaCa si propone sono:<br />

sensibilizzare le imprese, in particolare caseifici e loro fornitori, sulle potenzialità di nuovi strumenti analitici<br />

che permettono di rilevare in forma diretta la carica batterica del latte e sviluppare e/o adeguare le<br />

metodologie per il trasferimento e la valorizzazione tecnica ed economica di questi dati analitici.<br />

Il presente volume raccoglie alcuni prodotti dell’attività svolta dal Centro dei primi due anni di lavoro.<br />

3


Centro per l’Innovazione SiQuILaCa<br />

SiQuILaCa, Centro per l’Innovazione Sicurezza e Qualità nell’Industria Lattiero-Casearia, fa parte della rete<br />

dell’Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna ed è stato finanziato nell’ambito del Programma Regionale per la<br />

Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT) - Misura 4 Azione B.<br />

La rete, supportata da ASTER, è formata da 57 “nodi” (27 Laboratori di ricerca industriale e trasferimento<br />

tecnologico, 24 Centri per l’innovazione e 6 Parchi per l’Innovazione) che, da Piacenza a Rimini,<br />

compongono il “network” voluto dalla Regione Emilia-Romagna per garantire al territorio un sistema per la<br />

ricerca industriale.<br />

Il PRRIITT - Programma Regionale per la Ricerca Industriale e il Trasferimento Tecnologico - definisce gli<br />

indirizzi strategici, i criteri e le priorità per l'attuazione delle azioni previste dalla L.R. 7/02 "Promozione del<br />

sistema regionale delle attività di ricerca industriale, innovazione e trasferimento tecnologico" dell’Emilia-<br />

Romagna. Il Programma mira a rafforzare le dinamiche del sistema produttivo regionale verso l'attività di<br />

ricerca applicata, di sviluppo pre-competitivo e di innovazione; a favorire l'aumento del contenuto tecnologico<br />

delle produzioni e lo sviluppo dell'economia della conoscenza. Inoltre, punta a definire schemi di intervento<br />

molto focalizzati sulle specificità regionali, considerando le tipologie dei protagonisti, le eccellenze presenti<br />

nel sistema regionale, la loro messa in Rete e la valutazione del loro potenziale rispetto all'assetto<br />

tecnologico della regione.<br />

SiQuILaCa è gestito da un’Associazione Temporanea di Imprese costituita da CRPA, Arte Casearia, Centro<br />

Lattiero-Caseario, Consorzio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e Salchim. Il Centro gode della<br />

collaborazione scientifica del Laboratorio di Tecnologia e Microbiologia di latte, carne e derivati –<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna.<br />

La struttura organizzativa si configura come un centro a rete di sedi:<br />

• Consorzio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e Dipartimento di Scienze degli Alimenti (Univ. di Bologna): elemento<br />

aggregante e di indirizzo;<br />

• CRPA SpA (mandatario dell’ATI): supporto organizzativo e tecnico-scientifico;<br />

• Arte Casearia (MO), Centro Lattiero-Caseario (PR) e Salchim (RE): sedi operative distribuite sul territorio<br />

comprensoriale.<br />

SiQuILaCa ha la sua sede principale presso il Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, mentre<br />

l’insieme delle attività è coordinato da CRPA SpA - Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia<br />

Le attività del Centro per l’Innovazione SiQuILaCa sono finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:<br />

• diffondere la determinazione della carica batterica totale, rilevata in modo diretto, sul latte conferito a tutti<br />

i caseifici del comprensorio di produzione;<br />

• innovare lo schema di pagamento secondo qualità della materia prima inserendovi questa tipologia di<br />

analisi;<br />

• acquisire conoscenze fondamentali sullo stato igienico della materia prima in entrata nelle imprese di<br />

trasformazione;<br />

• consentire il trasferimento di conoscenze e metodologie di controllo dei rischi igienici nelle strutture<br />

casearie.<br />

Il Centro interessa in particolare il comparto del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, pi<strong>last</strong>ro del settore lattiero-caseario<br />

regionale e italiano.<br />

Le attività portate avanti da SiQuILaCa consentono di:<br />

• far fronte alle crescenti esigenze, anche cogenti, di dimostrare l’igienicità delle produzioni;<br />

• mantenere la competitività del comparto;<br />

• contribuire al permanere di insediamenti produttivi in aree in cui il caseificio rappresenta l’ultimo presidio<br />

per la presenza umana (zone svantaggiate dell’Appennino).<br />

Il comparto di produzione del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> è tuttora caratterizzato dalla presenza di un<br />

numero elevato di strutture di trasformazione e, per contro, da un ridotto numero medio di addetti per unità di<br />

produzione.<br />

5


In genere, le singole strutture non sono in grado di essere autosufficienti sia dal punto di vista delle<br />

conoscenze tecnico-scientifiche sia sul versante delle dotazioni strumentali rispetto a una serie di<br />

problematiche, in primis quelle legate alla valutazione dell’idoneità della materia prima in ingresso.<br />

La trasformazione del latte in <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> è, pertanto, storicamente supportata da una serie di<br />

fornitori di servizi, tra i quali spiccano sul fronte tecnico i laboratori di analisi privati e lo stesso Consorzio del<br />

formaggio <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong>.<br />

Il modello organizzativo e la dotazione strumentale esistenti a supporto del comparto sono adeguati a<br />

definire la qualità della materia prima, e relativi rapporti contrattuali, secondo uno schema sviluppato e<br />

messo a punto nei primi anni ‘90.<br />

Le profonde modificazioni delle realtà produttive così come delle tecnologie in grado di darne lettura, oltre<br />

che della stessa filosofia di approccio alla qualità e igienicità delle produzioni, hanno fatto emergere<br />

esigenze pressanti di adeguamento degli strumenti e dei servizi in essere.<br />

L’Unione Europea ha stabilito principi e requisiti generali della legislazione alimentare e ha fissato procedure<br />

per la sicurezza alimentare, non solo intesa come condizione preliminare per la tutela della popolazione ma<br />

anche come componente del normale funzionamento del mercato, della tutela degli interessi delle parti<br />

coinvolte nella filiera e della fiducia dei consumatori. Sul fronte delle imprese di produzione e trasformazione<br />

sono, inoltre, stati emanati nuovi regolamenti relativi alla produzione e commercializzazione del latte e dei<br />

prodotti lattiero-caseari.<br />

Questa evoluzione comporta la necessità di aggiornare i metodi di valutazione della qualità igienico-sanitaria<br />

della materia prima latte in ingresso al processo di trasformazione, attualmente effettuata con metodologie<br />

indirette e poco efficienti, sfruttando la recente disponibilità di nuovi strumenti analitici dotati di notevoli<br />

prestazioni in termini di numerosità di campioni processati e di affidabilità del dato analitico fornito.<br />

E’ noto infatti che le tecnologie utilizzate per la produzione di formaggi con latte crudo e a lunga<br />

stagionatura consentono di ottenere prodotti con ottime qualità dal punto di vista organolettico nonchè di<br />

sicurezza igienica purchè si rispettino quei parametri di qualità microbiologica imposti dai disciplinari di<br />

produzione.<br />

In linea generale i rischi microbiologici degli alimenti lattiero-caseari dipendono dalla contaminazione della<br />

materia prima, dalle tecnologie di trasformazione e dalla possibilità di sopravvivenza e sviluppo dei batteri<br />

nel corso del processo di maturazione.<br />

L’uso del latte crudo nella produzione di formaggio rappresenta un argomento controverso e gli interrogativi<br />

sollevati in merito alla sicurezza igienica chiamano in causa soprattutto le produzioni casearie tradizionali, le<br />

cui caratteristiche qualitative sono legate a codici di lavorazione che escludono trattamenti termici del latte<br />

utilizzato. I formaggi a lunga stagionatura sono generalmente ottenuti da latte non refrigerato, crudo e con<br />

siero innesto naturale proprio per mantenere un legame anche microbiologico con il territorio d’origine.<br />

La questione coinvolge anche il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, benchè sia ampiamente riconosciuta la sua<br />

affidabilità sia per la mancanza di correlazioni epidemiologiche tra casi di tossinfezioni alimentari e consumo<br />

di questo formaggio sia per l’evidenza degli effetti avversi della tecnologia sulla sopravvivenza dei batteri<br />

potenzialmente patogeni. I fattori che impediscono la sopravvivenza di batteri potenzialmente patogeni nel<br />

<strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> sono: la temperatura raggiunta nella fase di cottura (55°C e anche oltre), la<br />

permanenza della cagliata a questa temperatura per circa 60 minuti, il rapido sviluppo dei batteri lattici<br />

termofili apportati con il sieroinnesto che determinano un repentino abbassamento del pH nelle prime ore<br />

dopo la lavorazione e la completa idrolisi degli zuccheri. Inoltre la cagliata, dopo la caseificazione, viene<br />

sottoposta a salatura per 20-24 giorni e sono necessari almeno 12 mesi di stagionatura per ottenere un<br />

prodotto pronto al consumo. Durante la stagionatura la presenza del sale, la diminuzione dell’attività<br />

dell’acqua, il contenuto di acido lattico e i valori di pH raggiunti escludono la possibilità di pericoli che<br />

potrebbero verificarsi nell’ipotesi che i batteri patogeni possano superare stress sub-letali subiti durante la<br />

caseificazione.<br />

Pertanto l’utilizzazione di latte crudo non costituisce un rischio per la sicurezza del consumatore. Già nelle<br />

prime 24 ore la tecnologia è in grado di abbattere anche eventuali elevate contaminazioni del latte conferito<br />

ai caseifici. In genere si tratta di una evenienza poco probabile ma, nondimeno e soprattutto per questo,<br />

occorre disporre di metodologie in grado di valutare in modo particolarmente efficace, in tempi<br />

estremamente contenuti e a basso costo la corretta applicazione delle buone prassi igieniche negli<br />

allevamenti e il rispetto di rigide regole per il trasporto e la raccolta del latte.<br />

Questo modo di procedere consente di poter intervenire tempestivamente nel caso in cui si presentino<br />

situazioni a rischio e di confermare ulteriormente che il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> fatto con latte crudo,<br />

condizione imprescindibile per mantenere le caratteristiche peculiari di questo prodotto, assicura per mezzo<br />

6


del processo produttivo nel suo insieme (produzione igienica del latte e relativi controlli, unitamente alla<br />

tecnologia di trasformazione casearia) obiettivi di sicurezza alimentare assolutamente paragonabili a quelli<br />

ottenuti da latte sanificato termicamente.<br />

Le tappe del lavoro di SiQuILaCa<br />

I laboratori di analisi che partecipano a SiQuILaCa, unitamente al Consorzio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong>, si sono dotati ciascuno di una apparecchiatura per la conta diretta delle cellule batteriche basata<br />

sulla citometria di flusso.<br />

Ogni laboratorio, con il coordinamento del Consorzio, ha individuato una serie di caseifici rappresentativi<br />

delle diverse tipologie dimensionali, strutturali e di collocazione geografica. Questi caseifici, e relativi<br />

conferenti, sono stati oggetto di una fase pilota di sperimentazione della nuova metodologia di valutazione<br />

della qualità igienica della materia prima latte.<br />

Acquisita una sufficiente mole di dati analitici, la metodologia è stata validata mediante effettuazione di ringtest<br />

fra i tre laboratori e il Consorzio ed è stato effettuato il confronto dei risultati con quelli ottenuti grazie a<br />

metodi convenzionali.<br />

Queste informazioni sono state successivamente elaborate ed analizzate nel quadro complessivo dei<br />

parametri che concorrono alla definizione della qualità compositiva e attitudinale del latte destinato a<br />

<strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e che consentono la determinazione del prezzo della materia prima.<br />

La nuova determinazione analitica (CBT diretta) può sostituire la valutazione della carica batterica totale<br />

effettuata attraverso valutazioni indirette (imprecise, poco oggettive e lunghe).<br />

Una volta verificata la fattibilità della sostituzione e dell’adeguamento parametrico si è proceduto:<br />

• alla predisposizione degli strumenti informativi e telematici di supporto;<br />

• alla divulgazione dell’efficacia della nuova metodica analitica presso la totalità delle imprese di<br />

trasformazione e della valenza tecnico-economica della sua utilizzazione nello schema di valutazione<br />

della qualità della materia prima.<br />

7


Bactoscan: caratteristiche e prestazioni<br />

Lo strumento analitico individuato per raggiungere gli obiettivi esplicitati in premessa è BactoScan FC mod.<br />

50H prodotto dalla ditta Foss.<br />

Bactoscan FC è uno strumento optofluorimetrico per il conteggio della carica batterica nel latte. Si tratta di<br />

una apparecchiatura che in un breve volgere di tempo è divenuta lo standard industriale in molte nazioni per<br />

l’effettuazione di tale misurazione.<br />

Il suo funzionamento si basa sulla tecnologia della citometria di flusso: è cioè in grado di contare le cellule<br />

presenti in un fluido durante il loro passaggio in un capillare in cui sono forzate dopo essere state colorate. Il<br />

capillare è illuminato e ripreso da un obiettivo in grado di registrare il passaggio di ogni cellula.<br />

Recentemente i miglioramenti tecnologici nel campo dell’elettronica, della chimica dei reagenti e<br />

dell’informatica hanno enormemente migliorato le prestazioni degli apparati flussocitometrici, permettendo<br />

valutazioni anche delle dimensioni e della forma delle particelle rilevate. Sinteticamente il processo avviene<br />

attraverso i seguenti passaggi:<br />

8


1. il latte, aggiunto al liquido di incubazione, viene trattato meccanicamente fino alla rottura di tutte le<br />

componenti corpuscolari: salvo i batteri, eventuali altri aggregati vengono in buona parte disaggregati;<br />

2. durante l’incubazione i batteri vengono colorati con un colorante specifico per il DNA;<br />

3. nel punto di misurazione il campione viene illuminato da una sorgente laser: le cellule batteriche colorate<br />

riflettono tale fonte determinando un segnale luminoso per ogni corpuscolo; il passaggio del campione<br />

avviene in un capillare di precisione che garantisce che i batteri siano allineati in una monofila;<br />

4. gli impulsi vengono conteggiati e gestiti da un apposito software.<br />

Rispetto alle metodiche tradizionali il sistema garantisce maggiore accuratezza, ripetibilità e riproducibilità, in<br />

particolare non dipendendo, se non marginalmente, a differenza della conta in piastra, dalla manualità e da<br />

valutazioni soggettive dell’operatore. In sintesi l’operatività, e il risultato analitico, di Bactoscan FC:<br />

• dipende in minore misura dall’operatore;<br />

• richiede un minore impiego dell’operatore;<br />

• comporta minori costi di reagenti (circa 18%) e di campioni di controllo (50%) e conseguentemente<br />

determina:<br />

• produce una minore quantità di rifiuti;<br />

• presenta una più veloce accensione e spegnimento della macchina, elemento prevalente nel<br />

miglioramento del fattore di utilizzazione da 69 a 80%.<br />

Il modello utilizzato dai laboratori di SiQuILaCa ha una produttività di 50 campioni/ora; con la macchina in<br />

condizioni di operatività servono meno di 10’ per ottenere il risultato dall’arrivo del campione in laboratorio<br />

dal momento che non è necessario un pretrattamento per riscaldare il campione stesso.<br />

Nel corso della fase pilota del Centro sono state considerate anche le modalità di gestione e le esigenze<br />

operative in merito alla conservazione dei campioni, legate prevalentemente alla necessità di prevenire le<br />

proliferazioni batteriche che possono intervenire tra il prelievo e l’analisi.<br />

A differenza di quanto avviene in caso di uso delle metodiche di semina in piastra, l’effettuazione delle<br />

misure di carica batterica con Bactoscan FC non risente in alcun modo dell’aggiunta al latte di conservanti<br />

come Bronopol o sodio azide.<br />

La prassi corrente nel Comprensorio del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> prevede che le analisi vengano<br />

effettuate entro un massimo di 2-4 ore dal prelievo e che, nel frattempo, il campione sia conservato al<br />

freddo. Tali condizioni sono sufficienti a bloccare la crescita batterica, per cui si è stabilito di limitare l’uso del<br />

conservante alle specifiche situazioni in cui non sia possibile garantire tali parametri di tempo/temperatura.<br />

9


Curva di conversione<br />

Come detto l’apparecchiatura rileva impulsi luminosi. Per esprimere la carica batterica nella corrente unità di<br />

misura delle CFU (colony forming units o UFC = unità formanti colonia) è pertanto necessario individuare e<br />

applicare una curva di conversione. Purtroppo le curve utilizzate nel mondo sono numerose e neppure in<br />

Italia il panorama è omogeneo.<br />

Sono state sottoposte a verifica diverse curve di conversione, non rientrando – ovviamente – fra gli obiettivi<br />

del Centro quello della costruzione di una specifica curva di conversione. Tra le soluzioni possibili, la scelta<br />

più razionale è sembrata essere quella relativa all’utilizzazione da parte di tutti i laboratori del Centro della<br />

curva messa a punto per il latte bovino dalla sezione di Brescia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della<br />

Lombardia e dell’Emilia-Romagna [Bolzoni, G. et al. Evaluation of the Bactoscan FC. Milk Science<br />

International (55), 60-70 (2000)]. Questa curva è stata costruita analizzando 384 campioni di latte fresco<br />

mediante l’utilizzazione di Bactoscan FC in confronto con la metodica ufficiale [conta in piastra secondo le<br />

norme FIL-IDF (Standard n. 100/B 91)].<br />

L’analisi statistica dei dati finalizzata a definire la relazione esistente tra valori degli impulsi BactoScan (IBC)<br />

e il relativo valore di UFC/ml ha evidenziato che:<br />

• non è necessaria una relazione polinomiale ma è sufficiente una regressione lineare;<br />

• la retta che può rappresentare la relazione tra IBC e UFC, dopo opportune modifiche, è<br />

y=1.0317x+2.1128; tale equazione è confrontabile con quella utilizzata in Germania [ref.: Surhen G., et<br />

al. Kieler Milchwirtschaftliche Forschungsberichte (50), 249-275 (1998)];<br />

• i risultati confermano la possibilità di utilizzare un’unica equazione di primo grado per convertire i dati<br />

da impulso a UFC.<br />

Nello stesso lavoro riportato precedentemente, Bactoscan FC è stato anche confrontato con il precedente<br />

modello Bactoscan 8000, rispetto al quale ha mostrato una ripetibilità maggiore, una migliore accuratezza<br />

nella determinazione della CBT, in particolar modo nella fascia di contaminazione bassa che rappresenta la<br />

maggioranza del latte prodotto, e un trascinamento complessivo inferiore a quello dichiarato dal costruttore.<br />

E’ stato infine studiato l’effetto del conteggio in cellule somatiche che non è apparso richiedere l’inserimento<br />

di un fattore di correzione.<br />

10


Carica batterica totale: resazzurina vs Bactoscan<br />

Il metodo convenzionale utilizzato nel Comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> per definire il livello di carica<br />

batterica totale presente nel latte è quello della stima della carica batterica tramite resazurina. Il valore<br />

ottenuto entra come parametro nel modello per il pagamento del latte a qualità.<br />

Il test si basa sulla capacità di taluni enzimi batterici di trasferire idrogeno da un substrato a degli accettori<br />

biologici: il colorante (resazurina) funge da accettore e subisce una riduzione in funzione dell’attività<br />

enzimatica o della concentrazione di enzimi, a loro volta utilizzate come indice della presenza di batteri.<br />

L’eventuale riduzione trasforma la resazurina in resorufina (rosa) che può essere ulteriormente ridotta a<br />

idroresorufina (incolore) tramite reazioni di cui non è ancora ben chiarita la natura enzimatica intracellulare o<br />

biochimica extracellulare: l’entità della carica batterica viene stimata in funzione dell’entità della variazione di<br />

colore del mezzo.<br />

Sono state proposte scale a 3, 4, 5 o 6 valori di variazione di colore.<br />

Quella utilizzata è di norma la seguente:<br />

Colore Carica batterica<br />

blu normale<br />

viola normale/elevata<br />

rosa elevata<br />

bianco elevatissima<br />

L’attività delle reduttasi, e perciò il cambiamento di colore della resazurina, dipendono dal tipo di batteri<br />

presenti, dalle caratteristiche biochimiche o dalle condizioni fisiologiche delle cellule batteriche: tutto ciò fa sì<br />

che il test, per altro in pratica solo di tipo qualitativo, non venga più da molti ritenuto sufficientemente<br />

accurato per le attuali esigenze.<br />

Per meglio definire i rapporti tra le due metodiche sono stati letti in doppio (resazurina e Bactoscan FC) 442<br />

campioni di latte di massa. I valori rilevati con Bactoscan FC sono stati raggruppati in base alla<br />

classificazione ottenuta dagli stessi campioni con resazurina evidenziando i seguenti dati di statistica<br />

descrittiva.<br />

Numero di campioni per classe di resazurina:<br />

Classe resazurina n. campioni %<br />

N 272 61,54<br />

N/E 57 12,90<br />

E 75 16,96<br />

EE 38 8,60<br />

Media e deviazione standard dei valori, valori minimi e massimi di carica batterica totale (x 1.000)<br />

determinati con Bactoscan FC per classi di resazurina<br />

11<br />

Classe resazurina<br />

N N/E E EE<br />

Media di BACTOSCAN 364,42 1048,05 2193,75 7283,32<br />

D.S di BACTOSCAN 370,51 721,00 1487,15 2873,83<br />

Min di BACTOSCAN 3,00 55,00 325,00 3137,00<br />

Max di BACTOSCAN 1577,00 4615,00 11924,00 12595,00


Ba cto sc an<br />

8 0 0 0<br />

6 0 0 0<br />

4 0 0 0<br />

2 0 0 0<br />

0<br />

Appare evidente come vi sia una netta differenza tra le medie delle diverse classi di resazurina; tali<br />

differenze sono statisticamente significative, come dimostrato tramite test di analisi della varianza.<br />

ANOVA. Variabile dipendente: BACTOSCAN<br />

3 6 4<br />

N<br />

Sorgente<br />

Somma dei quadrati<br />

Tipo III df Media dei quadrati F Sig.<br />

Modello corretto 1660536424,776(a) 3 553512141,592 452,689 ,000<br />

Intercetta 1948135711,412 1 1948135711,412 1593,279 ,000<br />

RESAZURINA 1660536424,776 3 553512141,592 452,689 ,000<br />

Errore 535551855,460 438 1222721,131<br />

Totale 3010996934,000 442<br />

Totale corretto 2196088280,236 441<br />

Sono statisticamente significative le differenze reciproche tra ognuno dei gruppi:<br />

Student-Newman-<br />

Keuls a,b,c<br />

HSD di Tukey a,b,c<br />

RESAZURINA<br />

N<br />

N/E<br />

E<br />

EE<br />

Sig.<br />

N<br />

N/E<br />

E<br />

EE<br />

Sig.<br />

BACTOSCAN<br />

Sono visualizzate le medie per i gruppi di sottoinsiemi omogenei.<br />

Basato sulla somma dei quadrati Tipo III<br />

Il termine di errore è Media dei quadrati(Errore) = 1222721,131.<br />

a. Utilizza dimensione campionaria media armonica = 65,714<br />

Sottoinsieme<br />

N 1 2 3 4<br />

272 364,42<br />

57 1048,05<br />

75 2193,75<br />

38 7283,32<br />

1,000 1,000 1,000 1,000<br />

272 364,42<br />

57 1048,05<br />

75 2193,75<br />

38 7283,32<br />

1,000 1,000 1,000 1,000<br />

b. Le dimensioni dei gruppi non sono uguali. Verrà utilizzata la media armonica delle dimensioni. Non<br />

sono garantiti i livelli di errore di Tipo I.<br />

c. Alfa = ,05<br />

M e d ie B A C T O S C A N<br />

1 0 4 8<br />

N / E<br />

R E S A Z U R IN A<br />

Dai risultati sopra descritti emerge che indubbiamente la prova della resazurina può discriminare diverse<br />

entità di carica batterica: ciò però avviene solo per differenze molto rilevanti. Queste differenze elevate, di<br />

12<br />

2 1 9 4<br />

E<br />

7 2 8 3<br />

E E


fatto, non sono più attuali in quanto le condizioni igieniche degli allevamenti sono molto migliorate negli ultimi<br />

decenni e, inoltre, indipendentemente da questo, negli attuali contesti è necessario discriminare cariche<br />

basse da cariche batteriche bassissime (in particolare < o > 100.000 UFC/ml). Il test della resazurina non<br />

rende possibile tali discriminazioni, dato che, nel nostro caso, la media del gruppo più basso (“N”) è di ben<br />

364.420 UFC/ml. Il raggruppamento inferiore delle classi di resazurina comprende valori di CBT che si<br />

posizionano sia al di sotto, sia ben al di sopra della soglia che attualmente interessa (100.000 UFC/ml).<br />

Analizzando i dati risulta inoltre evidente una notevole dispersione dei valori (D.S.=370.510, con min=3.000<br />

UFC/ml e max=1.577.000 UFC/ml) che rende impossibile il raggiungimento di sensibilità e specificità<br />

soddisfacenti, quale che siano gli estremi della classe prescelti.<br />

La rappresentazione grafica delle distribuzioni dei valori di UFC Bactoscan FC in funzione delle diverse<br />

classi di resazurina evidenzia, anche visivamente, l’elevato grado di compattamento dei valori nella classe<br />

inferiore di resazurina (nella figura sottostante il box colorato rappresenta il 50% dei dati) – peraltro la classe<br />

che presenta la frequenza maggiore – e la vistosa sovrapposizione tra le code delle stesse.<br />

F req ue nz a<br />

2 0 0<br />

1 5 0<br />

1 0 0<br />

5 0<br />

0<br />

0<br />

N<br />

2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0<br />

0 0 0 0 0 0 0 0<br />

1 4 0<br />

0 0<br />

N /E<br />

R E S A Z U R IN A<br />

B A C T O S C A N<br />

Si può pertanto concludere che i dati rilevati confermano che la resazurina non è un test adeguato alla stima<br />

della carica batterica del latte in un contesto in cui sono richiesti livelli di definizione molto fini (valori di<br />

riferimento molto bassi pari a 100.000 UFC/ml) e le necessità di accuratezza sono molto rilevanti essendo il<br />

parametro possibile oggetto di prescrizioni di legge.<br />

13<br />

E<br />

0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0<br />

0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />

0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />

0 0 0 0 0 0 0 0 0 0<br />

E E


Sistema di pagamento del latte a qualità: storia e schema attuale<br />

La produzione di latte di qualità per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> richiede un forte impegno tecnico-economico da<br />

parte dei produttori, un costante aggiornamento sulle risultanze della sperimentazione e della ricerca, un<br />

disegno organico di intervento nel settore dell’assistenza tecnica e dei servizi alle imprese. Una giusta<br />

remunerazione degli sforzi profusi in direzione della qualità rappresenta una condizione necessaria al<br />

raggiungimenti di tale obiettivo.<br />

La storia degli sforzi degli operatori del comparto del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> in questo senso è molto lunga e<br />

ha seguito l’evolversi delle problematiche del comparto stesso e delle tecnologie a disposizione.<br />

Fin dal 1954 il Consorzio ha promosso il pagamento del latte a titolo incentrato sul tenore in grasso e<br />

caseina, quindi sulla resa di trasformazione, integrato nel 1970 con altri parametri qualitativi (acidità, cellule<br />

somatiche, attitudine alla coagulazione, cariche microbiche).<br />

Un ulteriore impulso è stato dato a partire dal 1983 dalle politiche congiunte di Assessorato regionale<br />

agricoltura e Consorzio che è sfociato nel 1992 in una nuova proposta di valutazione economica della qualità<br />

del latte affiancata da strumenti innovativi di supporto quali l’acquisizione dei dati analitici periodici finalizzati<br />

alla assistenza tecnica degli allevamenti e dei caseifici e l’elaborazione e diffusione dei dati con supporti<br />

informatici per l’integrazione e il coordinamento degli interventi nei vari momenti esecutivi (azienda,<br />

caseificio, ecc.).<br />

La tabella per la valutazione tecnico-economica del latte messa a punto nel 1992 attualmente ancora in uso<br />

è la seguente:<br />

Tabella per la valutazione tecnico-economica del latte<br />

ANALISI VALORI<br />

Acidità SH°/50ml<br />

Conteggio cellulare<br />

n. x .000<br />

Esame LDG<br />

Carica coliformi<br />

Carica batterica totale<br />

Ricerca clostridi<br />

Grasso % peso<br />

Caseina % peso<br />

>=3,00


sufficienti vennero assegnati valori positivi. Occorre mettere in evidenza che il punteggio pari a 0 non è<br />

attribuito a valori considerati medi e tanto meno deve essere considerato come un valore “soglia” o<br />

“franchigia”. Il latte di qualità media corrisponde al punteggio medio di caseificio e a questo vengono riferite<br />

in sede di riparto del prezzo del latte le differenze in più o in meno dei singoli conferenti.<br />

Questo schema presenta incidenza dei diversi parametri sulla valutazione del latte piuttosto equilibrata e che<br />

tiene conto della loro importanza ai fini della trasformazione casearia.<br />

Alla % di caseina viene assegnato circa il 48-50% del peso, al grasso il 5, all’acidità il 5, alle cellule<br />

somatiche 10-15%, alla LDG il 10-12% alla presenza di spore di clostridi il 5-7, mentre alla componente<br />

microbiologica il 5-7%.<br />

Per il calcolo del prezzo del latte con questi schemi sono necessari:<br />

• il punteggio globale mensile e le relative quantità di latte conferito dai singoli soci<br />

• il prezzo di riparto del caseificio<br />

• le medie ponderali annue dei singoli soci e del caseificio.<br />

L’applicazione di questo sistema di calcolo presenta una certa e<strong>last</strong>icità perché ogni caseificio sulla scorta<br />

degli obiettivi qualitativi che intende raggiungere, può scegliere il peso economico che intende dare al latte a<br />

qualità a tale fine può stabilire il valore massimo della differenza di prezzo (forbice prezzo) fra il socio con il<br />

punteggio più basso e quello con il punteggio più alto. Per la forbice può essere stabilità un valore assoluto o<br />

una cifra corrispondente a una quota percentuale del prezzo di riparto.<br />

Nella tabella sottostante viene riportato un esempio di applicazione.<br />

Socio n. Quantità latte in q.li Punteggio medio annuo<br />

1 1.000 30.92<br />

2 2.500 23.96<br />

3 1.500 36.79<br />

caseificio 5.000 29.20<br />

Prezzo di bilancio = 40 €/q<br />

Forbice di prezzo = 3 € (differenza fra prezzo minimo e massimo)<br />

Differenza fra punteggio più alto e più basso = (36.79 – 23.96) = 12.83<br />

Valore di 1 punto in più o in meno rispetto alla media = 3/12.83 = 0.23 €<br />

Socio n.<br />

Calcolo della differenza<br />

rispetto al punteggio<br />

medio di caseificio<br />

Calcolo della differenza<br />

rispetto al prezzo di bilancio<br />

15<br />

Calcolo del prezzo di riparto<br />

1 (30.92-29.20) = + 1.72 + 1.72 x 0.23 = + 0.40 € 40.00 €+ 0.40 € = 40.40 €<br />

2 (23.96-29.20) = - 5.24 - 5.24 x 0.23 = - 1.20 € 40.00 € - 1.20 € = 38.80 €<br />

3 (36.79-29.20) = + 7.59 + 7.59 x 0.23 = + 1.75 € 40.00 € + 1.75 € = 41.75 €


Significato qualitativo e tecnologico dei parametri di valutazione del<br />

latte<br />

Acidità °SH<br />

L’acidità e il pH dipendono dalle proprietà acide e basiche dei costituenti del latte stesso. Il latte normale<br />

presenta, anche allo stato fresco, una reazione leggermente acida, la quale è dovuta in parte all’incompleta<br />

neutralizzazione dei gruppi acidi della caseina e per il resto alla particolare composizione del suo sistema<br />

salino (presenza di fosfati e citrati acidi).<br />

L’acidità titolabile o acidità SH è una caratteristica chimica che si determina nel laboratorio di analisi con una<br />

titolazione. A un volume noto di latte, in genere 50 ml, si aggiungono alcune gocce di indicatore e<br />

successivamente un quantitativo di soluzione alcalina fino alla comparsa di una colorazione rosa, che in<br />

termini tecnici rappresenta il punto di viraggio dell’indicatore utilizzato. L’acidità si esprime in gradi °SH<br />

(Soxhlet-Henkel); un grado °SH equivale a 1 ml di soda N/4 necessario per titolare 50 ml di latte.<br />

L’acidità del latte ha una componente “naturale” che dipende da alcuni costituenti del latte stesso quali la<br />

caseina, le sostanze minerali e gli acidi organici, e una acidità “sviluppata” che dipende principalmente dalla<br />

quantità di acido lattico proveniente dalla degradazione microbica del lattosio. Il latte fresco in cui il lattosio<br />

non è ancora stato trasformato in acido lattico è caratterizzato dalla sola acidità naturale, mentre un latte<br />

conservato a temperatura ambiente, acidificando spontaneamente e in modo progressivo, presenta una<br />

acidità naturale a cui si somma l’acidità sviluppata dovuta alla trasformazione del lattosio in acido lattico ad<br />

opera dei diversi microrganismi contenuti.<br />

L’acidità reale o pH si misura con un apparecchio apposito, il pHmetro, e il valore indica lo stato di equilibrio<br />

dei vari componenti del latte. Il pH di un latte fresco è compreso fra 6.65 e 6.85.<br />

L’acidità, oltre che dai costituenti nativi del latte, dipende da fattori “ambientali” e individuali dell’animale:<br />

• fattori ambientali (stagione, condizioni climatiche): periodi prolungati di caldo intenso determinano<br />

un forte calo dell’acidità, questa variazione non deve essere confusa con le conseguenze del caldo sul<br />

latte già munto, quando l’acidità può aumentare considerevolmente a causa di processi fermentativi<br />

innescati da inadeguate condizioni igieniche delle attrezzature legate a un elevato inquinamento<br />

microbico; l’acidità appare elevata in condizioni di stress dell’animale;<br />

• stadio di lattazione: l’acidità si presenta molto elevata al parto per ridursi rapidamente entro i primi 20-<br />

30 giorni di lattazione; tende nuovamente ad aumentare verso la fine della stessa;<br />

• tipo di mungitura: la mungitura meccanica determina una diminuzione del contenuto in anidride<br />

carbonica disciolta nella fase acquosa del latte, determinando un abbassamento della acidità;<br />

• stato sanitario della mammella: la latte presenta una acidità più bassa quando lo stato funzionale della<br />

mammella non è ottimale;<br />

• alimentazione delle bovine: si manifesta acidità elevata in presenza di razioni troppo ricche in<br />

carboidrati fermentescibili o a squilibri alimentari in genere; l’ipoacidità può essere dovuta a carenza<br />

energetica, eccesso di sostanze proteiche, carenze saline;<br />

• inquinamento microbico del latte: un elevato inquinamento microbico del latte causa la fermentazione<br />

degli zuccheri del latte aumentandone l’acidità.<br />

Valori normali di acidità sono compresi fra 3,20 e 3,80 °SH/50 ml.<br />

Valori anomali di acidità possono avere conseguenze sulla caseificazione a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. I latti<br />

ipoacidi, acidità inferiore a 3,20 °SH/50 ml, sono più lenti in fase di coagulazione e di norma producono<br />

cagliate con poca consistenza e minore capacità di spurgo. I latti iperacidi, con acidità maggiore di 3,80<br />

°SH/50 ml sono molto rapidi in fase di coagulazione, ma la caseina tende a essere poco stabile<br />

Lattodinamografia - LDG<br />

L’attitudine alla coagulazione è una caratteristica tecnologica del latte particolarmente importante nella<br />

produzione di formaggio a pasta cotta, dura e con lungo periodo di stagionatura, quale il <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong>.<br />

16


Il processo di caseificazione consiste nella formazione e disidratazione di una cagliata lattico-presamica, e<br />

requisiti fondamentali del latte sono: una buona attitudine alla coagulazione; condizioni favorevoli di reattività<br />

del latte con il caglio, velocità di rassodamento e forza del coagulo, capacità e velocità di sineresi della<br />

cagliata. Sono tutti elementi che si riflettono sull’andamento del processo di caseificazione e sulla buona<br />

riuscita del formaggio.<br />

La coagulazione del latte è un processo alquanto complesso: consiste in una fase primaria di natura<br />

enzimatica in cui il caglio agisce sulla K-caseina e una fase secondaria di natura chimico-fisica in cui avviene<br />

la coagulazione propriamente detta a cui segue la sineresi del coagulo.<br />

La micella caseinica, composta dalla aggregazione di subunità costituite dalle caseine as1, as2, β e k con il<br />

concorso determinante del fosfato di calcio colloidale, subisce una profonda alterazione a seguito della<br />

azione dei costituenti del caglio sulla k-caseina, distribuita in gran parte nello strato superficiale della micella.<br />

Con il distacco, ad opera del caglio, della porzione terminale fortemente idrofila della k-caseina, il sistema<br />

micellare diventa instabile e la diminuzione dello strato periferico dell’acqua di idratazione determinano la<br />

formazione di aggregati micellari e la formazione del gel.<br />

L’azione enzimatica specifica del caglio sulla frazione k della caseina non determina nessun cambiamento<br />

dello stato fisico del latte tuttavia si ha una sorta di destabilizzazione delle micelle caseiniche.<br />

La formazione degli aggregati micellari provoca il passaggio della caseina da sol (micelle in sospensione<br />

colloidale) a gel (cagliata semi-solida) che occupa tutto il volume iniziale del latte. Queste due fasi<br />

avvengono contemporaneamente.<br />

Il processo di coagulazione porta alla formazione di un reticolo proteico tridimensionale dapprima a maglie<br />

larghe contenente i globuli di grasso, i microrganismi e la fase acquosa del latte, che a seguito<br />

dell’instaurarsi di un crescente numero di interazioni fra le micelle si contrae con conseguente espulsione<br />

della fase acquosa (sineresi o spurgo del gel).<br />

La sineresi può essere spontanea o indotta: il processo spontaneo è lentissimo mentre alcuni fattori possono<br />

favorire lo spurgo della cagliata e vengono utilizzati nella produzione del formaggio. Essi sono acidificazione,<br />

riscaldamento e rottura del coagulo:<br />

• acidificazione: l’aggiunta dell’innesto fa abbassare il pH con conseguente tendenza alla<br />

demineralizzazione della caseina, contrazione della struttura e spurgo uniforme del siero;<br />

• riscaldamento: aumentano le interazioni idrofobiche che fanno avvicinare le micelle, i grumi caseosi<br />

diventano sempre più consistenti;<br />

• rottura del coagulo: aumenta la superficie di espulsione del siero, tanto più duro deve essere il<br />

formaggio, tanto più piccoli dovranno essere i pezzi di cagliata.<br />

La coagulazione dipende dalle caratteristiche compositive del latte, un ruolo importante è dato dalla acidità<br />

reale o pH, dal contenuto in caseina e dall’equilibrio tra le proteine e i sali minerali.<br />

L’esame lattodinamografico (LDG) descrive le caratteristiche di coagulazione del latte mediante l’impiego di<br />

una apparecchiatura chiamata lattodinamografo, che fornisce un tracciato dal quale si ricavano:<br />

• il tempo di coagulazione - r,<br />

• la velocità di presa del coagulo (rassodamento) - k20,<br />

• la consistenza del coagulo a 30 minuti dalla coagulazione - a30.<br />

I valori che queste caratteristiche possono assumere vengono riassunte in un sistema di valutazione del latte<br />

a classi individuate da lettere dell’alfabeto A – B – C – D - E – F.<br />

L’esecuzione della prova consiste nell’aggiungere una determinata quantità di caglio a una quantità nota di<br />

latte previamente posto alla temperatura di 35°C e di seguire mediante registrazione la fase di coagulazione<br />

che avviene all’interno dello strumento per un periodo di 30 minuti.<br />

Al termine della prova si ottiene un tracciato la cui interpretazione fornisce i parametri indicativi delle<br />

caratteristiche di coagulazione del latte analizzato.<br />

La diversa combinazione di questi parametri va a definire l’appartenenza del latte a una delle classi citate in<br />

precedenza.<br />

17


Dove:<br />

t = tempo totale della prova = 30 minuti primi (corrispondenti a 60 mm di lunghezza, essendo 2 mm = 1<br />

minuto primo).<br />

r = tempo di coagulazione in minuti primi (dall’inizio della prova fino a che il tracciato raggiunge<br />

un’apertura di 1 mm).<br />

k20 = velocità di formazione del coagulo in minuti primi: si calcola misurando la distanza fra l’inizio della<br />

formazione del coagulo e l’apertura a 20 mm delle branche del tracciato.<br />

a30 = consistenza del coagulo a 30 minuti primi (corrisponde alla distanza in mm fra due estremità del<br />

tracciato).<br />

r I<br />

k20<br />

(min)<br />

(min)<br />

(mm)<br />

CLASSE<br />

r I < 6 ≥ 0 - DD<br />

6 ≤ r I < 10.30 < 9 - D<br />

6 ≤ r I < 10.30 ≥ 9 - C<br />

10.30 ≤ r I < 11.30 < 9 - AD<br />

10.30 ≤ r I < 11.30 ≥ 9 - AC<br />

11.30 ≤ r I < 18.00 - - A<br />

18.00 ≤ r I < 19.00 - - AE<br />

19.00 ≤ r I < 25.00 ≥ 5.30 - E<br />

19.00 ≤ r I < 25.00 < 5.30 - B<br />

25.00 ≤ r I < 26.00 - - EF<br />

26.00 ≤ r I ≤ 30.00 - - F<br />

r I >30 - - FF<br />

11.30 ≤ r I < 15.00 - ≥ 50 D<br />

15.00 ≤ r I ≤ 18.30 - ≥ 40 B<br />

r I ≤ 18 - < 20 E<br />

Le diverse tipologie di LDG corrispondono a diverse caratteristiche del latte.<br />

18<br />

a30


Per la trasformazione a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> i tipi A, B e C sono considerati buoni, i tipi D ed E sono<br />

considerati mediocri, l’F scadente e l’FF pessimo.<br />

Latti di tipo E ed F presentano minore reattività al siero, al caglio e al fuoco, sono più difficili nella<br />

conduzione del processo di coagulazione e spurgano male; la resa è in genere peggiore e la pasta del<br />

formaggio tende a trattenere maggiore umidità e avrà minore consisitenza.<br />

Latti rapidi come il tipo D reagiscono immediatamente alla aggiunta di siero e al caglio rendendosi difficili<br />

nella corretta conduzione della fase di caseificazione.<br />

Tipo LDG Caratteristiche del latte<br />

A Latte con buone caratteristiche di coagulazione<br />

B Latte con tempo di coagulazione lungo ma con buona velocità di presa del coagulo e<br />

consistenza finale relativamente elevata.<br />

C Latte con tempo di coagulazione breve ma con bassa velocità di presa del coagulo e<br />

consistenza finale relativamente scarsa.<br />

D Latte con breve tempo di coagulazione alta velocità di presa e consistenza finale eccessiva<br />

E Latte con tempo di coagulazione lungo,bassa velocità di presa e scarsa consistenza finale<br />

F Latte con tempo di coagulazione lunghissimo, velocità di presa molto bassa e scarsissima<br />

consistenza finale del coagulo<br />

FF Latte che non coagula nei tempi tecnici della prova lattodinamografica<br />

AE Latte con buone caratteristiche di coagulazione ma con lunghi tempi di coagulazione<br />

(intermedio fra il tipo A e il tipo E)<br />

Carica batterica totale - CBT<br />

Importanza della carica batterica<br />

La carica batterica totale presente nel latte destinato alla produzione di formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong><br />

rappresenta uno degli aspetti più importanti per definire la sua qualità casearia e, in particolar modo, la sua<br />

attitudine tecnologica.<br />

Il contenuto e la qualità microbica del latte, infatti, rispecchiano lo stato sanitario della mandria, l’igiene e la<br />

corretta operatività della mungitura, nonchè le condizioni di raccolta e di conservazione del latte soprattutto<br />

durante il riposo notturno nelle vasche di affioramento.<br />

I batteri presenti nel latte sono tanti e appartenenti a specie assai diverse le une dalle altre, quasi tutti, però,<br />

riconducibili a due categorie di appartenenza: i batteri filocaseari utili alla caseificazione e quelli, invece,<br />

anticaseari dannosi per la caseificazione stessa, in quanto in grado di provocare, all’interno della forma<br />

prodotta, fermentazioni anomale con gravi danni strutturali della pasta.<br />

Possono, inoltre, essere presenti in funzione dello stato sanitario delle bovine, e comunque sempre in<br />

piccola percentuale, anche germi patogeni che non rappresentano, però, sotto l’aspetto caseario, un ruolo<br />

importante dal momento che la tecnologia a <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> ne riduce drasticamente, addirittura entro<br />

poche ore dalla fabbricazione del formaggio, la loro attività, eliminando, di fatto, qualsiasi rischio<br />

igienicosanitario per il consumatore.<br />

La carica microbica totale presente nel latte varia moltissimo e può essere soggetta anche a forti incrementi<br />

legati, soprattutto, alla presenza di germi anticaseari.<br />

La carica batterica filocasearia è rappresentata da batteri lattici mesofili che, da alcune recenti rilevazioni<br />

analitiche effettuate su campioni di latte di stalla, di latte di vascone, di latte magro e di latte di caldaia, sono<br />

rilevabili nel latte con cariche di norma attorno ai 5.000 - 20.000 per ml che in genere restano abbastanza<br />

stabili durante le prime fasi della lavorazione.<br />

La flora lattica mesofila nativa nel latte è fondamentale per le caratteristiche del formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong>.<br />

Essa, infatti, rappresenta, un vero e inscindibile legame con il territorio, capace di conferire al formaggio<br />

prodotto, attraverso l’utilizzo del foraggio comprensoriale, i requisiti per la DOP e, cosa molto importante, è in<br />

grado di indirizzare e condizionare i processi chimico-fisici, biologici ed enzimatici che intervengono durante<br />

la maturazione del formaggio conferendo al formaggio stesso, soprattutto attraverso le peculiari<br />

caratteristiche organolettiche, la sua tipicità.<br />

19


Il contenuto della carica batterica anticasearia presente nel latte mostra invece valori molto variabili,<br />

condizionati da diversi fattori ambientali, strutturali, igienici, gestionali o operativi, nonchè dalle condizioni di<br />

raccolta e di conservazione del latte alla stalla e in caseificio.<br />

La raccolta in cisterna del latte alla stalla, prassi ormai consolidata in quasi tutti i caseifici, raffrescato alla<br />

temperatura compresa tra i 18 e i 21°C (per il rispetto del disciplinare di produzione del <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong> non si può scendere al di sotto dei 18°C), ha consentito di contenere lo sviluppo delle cariche<br />

batteriche migliorando di molto la qualità microbiologica del latte prodotto.<br />

Infatti, se la mungitura avviene correttamente nel rispetto sia della buone prassi igieniche e operative che<br />

della temperatura di stoccaggio, la carica batterica totale contenuta nel latte prodotto si mantiene al di sotto<br />

dei 100.000 germi per ml.<br />

Visto che i due tipi di flora devono mantenersi in equilibrio, è importante che la carica batterica non cresca in<br />

modo incontrollato in quanto la flora lattica mesofila è di solito presente nel latte da trasformare a cariche<br />

inferiori. E’ anche importante impedire forti proliferazioni della CBT in caseificio dal momento che, in questa<br />

fase la flora lattica tende invece a rimanere stabile.<br />

Un altro aspetto rilevante, che può condizionare fortemente lo sviluppo della carica batterica totale e quindi<br />

la riuscita del formaggio, riguarda il modo di conservare il latte della sera durate il riposo notturno nelle<br />

vasche di affioramento. Tale passaggio, soprattutto in un lungo periodo dell’anno – almeno da aprile a<br />

ottobre – è estremamente delicato e va gestito in modo corretto. E’ importante impedire al latte – munto<br />

correttamente e altrettanto correttamente stoccato in cisterna – di incrementare, durante il tempo di<br />

affioramento nelle vasche, la propria temperatura. Per fare ciò occorre utilizzare alcuni sistemi efficaci di<br />

raffreddamento quali il ricircolo dell’acqua gelida all’interno delle vasche di affioramento o il condizionamento<br />

ambientale della sala latte.<br />

Se questo passaggio è corretto, la temperatura del latte stesso nelle vasche riesce, entro breve tempo, a<br />

scendere anche di alcuni gradi centigradi favorendo il processo di affioramento dei globuli di grasso e,<br />

soprattutto, impedendo, quasi certamente, qualsiasi proliferazione microbica anticasearia.<br />

Conseguentemente, il relativo latte magro è in grado di presentare un contenuto in carica batterica totale<br />

ampiamente al di sotto dei 100.000 germi per ml. Tale condizione è fondamentale per indirizzare tutto il latte<br />

di caldaia verso una adeguata tecnologia di trasformazione, favorendo un regolare spurgo della cagliata, una<br />

intensa e completa acidificazione della pasta e, infine, una corretta e uniforme maturazione del formaggio sia<br />

sotto il profilo strutturale che organolettico.<br />

Al fine di garantire tutto questo è, pertanto, importante che la carica batterica totale presente sia nel latte di<br />

stalla che nel latte magro e di caldaia, si mantenga su valori relativamente bassi. Aspetto, questo,<br />

estremamente importante soprattutto per il latte raccolto in cisterna dove il rispetto e il mantenimento della<br />

temperatura di stoccaggio diventa condizione prioritaria per la riuscita del formaggio.<br />

Una eccessiva proliferazione batterica è, infatti, in grado di compromettere la riuscita del formaggio<br />

condizionando negativamente le principali fasi tecnologiche e favorendo, conseguentemente, lo sviluppo di<br />

fermentazioni anomale all’interno della pasta, riconducibili, prevalentemente, a fermentazioni precoci di tipo<br />

propionico ed eterolattico e a fermentazioni più tardive di tipo butirrico.<br />

Elevate cariche batteriche possono, inoltre, essere concausa dell’insorgenza di alcuni difetti legati anche alla<br />

mancanza di e<strong>last</strong>icità e di coesione della pasta tali da provocare la formazione di spacchi e fessurazioni più<br />

o meno accentuate nella forma durante la sua stagionatura.<br />

L’impatto della carica batterica del latte sulla trasformazione in <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong><br />

La fase dell’affioramento è una delle più delicate nel processo produttivo del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>: in<br />

questa fase il latte riposa varie ore durante le quali, se da un lato viene “pulito” dall’affioramento, dall’altro,<br />

per l’impossibilità di agitare la massa proprio per permettere l’affioramento, difficilmente si raffredda in modo<br />

omogeneo restando di norma nella parte centrale della vasca, più distante dalle pareti, più caldo.<br />

Per tali motivi se il latte non è molto pulito all’origine, può succedere che la carica batterica del latte magro si<br />

innalzi rispetto a quella del latte della sera anziché calare, come dimostrato anche da molti dati rilevati dal<br />

CFPR in caseificio che dimostrano che non è solo il latte intero della mattina il responsabile delle cariche<br />

batterica del latte in caldaia.<br />

Se il latte della sera non ha all’arrivo in caseificio valori di carica batterica molto bassi, non è raro che tali<br />

valori crescano anziché calare a causa di inquinamento per contatto con superfici lavate senza la dovuta<br />

accuratezza (cisterne trasporto latte, gomme di carico-scarico, vasconi di affioramento, canale di servizio,<br />

20


tanks per latte di riporto ma soprattutto per camere latte insufficienti per portata e condizionamento (troppo<br />

latte steso per vasca e/o non raffreddato a sufficienza in rapporto all’altezza del battente).<br />

Il tutto può essere accentuato in presenza di affioramenti bassi o medio-bassi o di lavorazioni tendenti al<br />

grasso.<br />

Sono ormai solo rare situazioni quelle in cui si assiste, corrispondentemente a valori di CBT elevata del latte<br />

a fine affioramento, ad un incremento dell’ acidità °SH e ad un abbassamento del valore del pH, ovvero ad<br />

una maturazione lattica-acidificante e comunque più specifico-casearia; molto più spesso si rileva che a latti<br />

magri, caratterizzati da elevate CBT, corrispondono caratteristiche acidimetriche (sia acidità titolabile che<br />

reale) normoacide se non con tendenza addirittura a ipoacidità, a dimostrazione di come lo sviluppo<br />

batterico durante la notte in vasca non sia in questi casi prevalentemente di interesse caseario, ovvero<br />

lattico-acidificante, quanto piuttosto ad indirizzo aspecifico se non anticaseario (maturanza-proteolisi).<br />

In situazioni di questi tipo è importante applicare misure tecnologiche preventive prima della lavorazione o di<br />

rimedio in fase di lavorazione.<br />

Senza bisogno di ribadire che la prima profilassi consiste nel miglioramento della carica batterica del latte<br />

alla stalla, in caseificio la prevenzione è rappresentata dalla buona prassi legata dell’esame visivo ed<br />

olfattivo della panna in vasca: la panna di latte fermentato si presenta grinzosa, con odore di fermentato, di<br />

verdura lessa, di cotto e comunque con odore sgradevole tendente alla soda o all’acido a seconda del tipo di<br />

fermentazione prevalente.<br />

Altra misura importante è rappresentata dall’anticipo netto del tempo di coagulazione fin dalle prime caldaie,<br />

anche di 4’-5’ in meno rispetto al normale tempo di coagulazione.<br />

Infine, quando si verificano queste situazioni si registra di norma l’emanazione di odore di verdura cotta dalla<br />

caldaia fin dalle prime fasi di asciugatura.<br />

In lavorazione può servire:<br />

- una riduzione del dosaggio del siero innesto in caldaia;<br />

- l’eventuale riduzione, moderata, del caglio;<br />

- un ridotto rassodamento della cagliata ed un anticipo della rottura con lo spino;<br />

- una spinatura breve e veloce;<br />

- l’apertura del fuoco in spinatura con apertura a tutto vapore a fine spinatura con l’attenzione a non<br />

superare la temperatura di cottura classica per effetto della grossa spinta-inerzia di vapore erogato;<br />

- l’eventuale ulteriore rottura della cagliata ancora con spino + agitatore;<br />

- la riduzione del tempo di giacenza.<br />

Come si vede in tali situazioni i secondi, a questi livelli di instabilità del latte, possono salvare o danneggiare<br />

in modo importante la forma.<br />

Chiaramente non si è opportuno utilizzare il siero cotto di latte maturo per fare l’innesto.<br />

A seguito di lavorazioni di latte maturo, all’estrazione post-giacenza il rischio più frequente è quello di una<br />

forma con bocca molto compromessa nell’impasto, ovvero caratterizzata da diverse morfologie di slegatura<br />

che vanno dalla bocca finita con polvere, alla bocca schioppettata, alla bocca con fontanelle o fontane<br />

nonché slabbrature.<br />

Sullo spersore il danno rende manifesto il mancato impasto con la forma della pelle che si attacca alla pezza<br />

e che viene strappata via ai primi cambi (soprattutto alle prime due voltature); la pasta al tatto si sbirciola, si<br />

sgrana facilmente e sono evidenti già dalle prime ore delle screpolature della pasta arida che fa fatica a<br />

stare legata.<br />

Il siero che spurga dalla forma è bianco-lattiginoso, e non chiaro-limpido come dovrebbe essere, a causa<br />

della demineralizzazione della pasta a seguito del ristagno di umidità e dell’eccesso di acidificazione<br />

all’interno (dove la pasta disidratatasi in lavorazione tende a trattenere il siero (effetto” spugna”) entro la<br />

forma).<br />

In stagionatura i difetti più eclatanti, conseguenti a mancato o scarso impasto ed ad eccesso di<br />

acidificazione e demineralizzazione, manifestano in paste slegate (sfoglie, strappi, bocche di pesce) spesso<br />

associate a colorazioni più o meno intense, uniformemente estese o sbandierate e localizzate internamente<br />

o anche sull’esterno della forma.<br />

21


Ai difetti strutturali possono sovrapporsi anche problemi di tipo microbiologico favoriti dal trattenimento di<br />

eccesso di umidità nella pasta ovvero dal ristagno nella forma di un eccesso di siero con rischio di presenza<br />

di zuccheri non completamente metabolizzati pur ad acidificazione avvenuta.<br />

Segue spesso l’insorgenza di difetti organolettici per alterazione dei normali processi enzimatici (proteolisi in<br />

particolare) o per acidificazioni spinte (ristagni di siero): un formaggio prodotto con latte maturo risulta di<br />

norma al palato più piccante e più acido ed è pronto al consumo, rispetto ad un formaggio di pari età<br />

prodotto con latte non inquinato, in tempi ben più brevi ovvero non ha le caratteristiche idonee per una<br />

stagionatura classica di 22-30 mesi ma tende ad essere un formaggio da destinarsi al consumo poco oltre i<br />

12 mesi.<br />

Gestione e lavaggio impianti di mungitura e di stoccaggio del latte alla stalla (a cura<br />

di A. Pazzona – Università di Sassari e M. Capasso – Associazione Italiana Allevatori di Roma)<br />

In qualsiasi processo produttivo le caratteristiche del prodotto finale sono influenzate da numerosi fattori, fra<br />

questi il più rilevante risulta la qualità della materia prima. Nel settore lattiero-caseario, in particolare, la<br />

qualità della materia prima appare di fondamentale importanza per l’ottenimento di prodotti di pregio, sia che<br />

siano destinati al consumo diretto, sia alla trasformazione in formaggi.<br />

Gli allevatori che intendono accrescere qualitativamente la propria produzione debbono, in primo luogo,<br />

curare le condizioni di igiene e pulizia nel corso dell’estrazione del latte. A questo riguardo si può affermare<br />

che la mungitrice ed il serbatoio refrigerante in precarie condizioni igieniche divengono le fonti primarie e più<br />

dannose d’inquinamento del latte. Difatti, la scarsa pulizia degli impianti favorisce l’insediamento e la<br />

proliferazione di una flora microbica composta prevalentemente da germi termoresistenti.<br />

Il contenuto microbico rappresenta, pertanto, un componente essenziale della qualità e dell’intima struttura<br />

del latte che, una volta alterata, ne riducono in misura considerevole sia il valore dietetico che il pregio<br />

caseario. Pertanto, per garantire la salubrità del prodotto appare sempre più importante la formulazione di un<br />

piano d’igiene per “l’analisi del rischio” dell’intera filiera alimentare.<br />

Di seguito sono sinteticamente esposte le principali norme da seguire per effettuare correttamente la<br />

gestione igienico-sanitaria dell’impianto di mungitura e del refrigeratore del latte alla stalla.<br />

22


Igiene e qualità del latte<br />

I batteri e la loro azione<br />

I microrganismi o germi sono esseri unicellulari dell’ordine un milionesimo di millimetro che non si originano<br />

spontaneamente dalla materia inanimata, ma derivano da altri microrganismi. Appartengono a questa<br />

categoria virus, batteri e funghi.<br />

Il latte costituisce un buon terreno di coltura per molti ceppi di microrganismi che vi si trovano naturalmente e<br />

che provengono dall’interno della mammella, nel caso di animali ammalati, e dall’ambiente esterno. Alcuni di<br />

questi microrganismi possono essere dannosi per la salute dei consumatori, altri provocano l’alterazione dei<br />

costituenti del latte ponendo problemi di conservazione e di trasformazione, altri ancora sono indice di una<br />

scarsa igiene aziendale. I germi patogeni sono presenti nella pelle, nelle mammelle delle vacche con<br />

infezioni in atto, nelle ferite, negli impianti di mungitura e di refrigerazione, nella lettiera, nell’aria dei locali,<br />

nelle mani e negli indumenti dell’uomo.<br />

I batteri che penetrando all’interno della mammella causano la mastite si possono suddividere in due grandi<br />

gruppi: batteri contagiosi e batteri ambientali.<br />

I batteri contagiosi vivono principalmente all’interno dei quartieri mammari o nelle screpolature dei capezzoli,<br />

quindi l’infezione si può trasmettere per contagio da un animale all’altro. La contaminazione avviene nel<br />

corso della mungitura per mezzo delle mani del mungitore, del panno utilizzato per la pulizia della mammella<br />

e delle guaine dei prendicapezzoli (fig. 1). I batteri contagiosi non causano di norma mastiti cliniche acute<br />

ma, più frequentemente, infezioni subcliniche croniche.<br />

I batteri ambientali vivono e proliferano anche nell’ambiente della stalla; i più importanti di questa famiglia<br />

arrivano dalle feci degli animali. L’ingresso nella mammella avviene soprattutto quando gli animali sono<br />

sdraiati, per contatto dei capezzoli con la lettiera. Rispetto ai contagiosi, sono responsabili di infezioni di<br />

minore durata, ma molto acute, accompagnate generalmente da segni clinici.<br />

La carica batterica è un fattore molto importante in quanto, oltre che costituire un importante parametro<br />

qualitativo che definisce il prezzo del latte, il rischio per l’organismo umano di contrarre la malattia infettiva è<br />

proporzionale al numero di batteri. Fra i fattori che favoriscono la crescita dei microrganismi, vi è innanzitutto<br />

il substrato dal quale traggono nutrimento. Sotto questo aspetto il latte e i depositi di sporcizia in genere<br />

rappresentano un ottimo terreno per lo sviluppo dei batteri. Un altro fattore, a volte sottovalutato, che<br />

agevola la moltiplicazione batterica è l’umidità, in quanto i batteri hanno necessità d’acqua per vivere e<br />

riprodursi. Alcuni batteri vivono solo in presenza di ossigeno (batteri aerobi) ed in generale la presenza di<br />

ossigeno accelera il processo di deterioramento del latte.<br />

Figura 1. Modalità di trasmissione dell’infezione per contagio da un animale all’altro<br />

La flora dominante in un latte appena munto è rappresentata da tre gruppi principali: i batteri lattici, i<br />

coliformi, gli psicrotrofi. I batteri lattici (lattobacilli e streptococchi) ed i coliformi demoliscono il lattosio<br />

provocando l’acidificazione del latte; i batteri psicrofili producono lipasi e proteasi termoresistenti che<br />

determinano difetti nei prodotti caseari. Ciascun ceppo di batteri si riproduce attivamente entro un<br />

determinato campo di temperature, nell’ambito del quale vi è un valore ottimale cui corrisponde la massima<br />

velocità di crescita. I microrganismi per moltiplicarsi hanno bisogno di tempo; in condizioni favorevoli ogni 20<br />

23


minuti raddoppiano il loro numero. Ad esempio, da un solo batterio si passa in circa 10 ore a 60 milioni di<br />

microrganismi.<br />

Per rallentare o, nel migliore dei casi, arrestare la moltiplicazione batterica occorre abbassare rapidamente<br />

la temperatura del latte. La refrigerazione costituisce il miglior mezzo per contenere la proliferazione dei<br />

germi, e la sua efficacia è legata tanto alle prestazioni degli impianti quanto alla qualità iniziale del prodotto.<br />

Infatti, poiché il freddo non uccide i germi, sia in fase di allevamento che di mungitura, devono essere messe<br />

in atto tutte quelle procedure che consentono di limitare al massimo il grado di contaminazione iniziale del<br />

latte.<br />

La normativa cogente<br />

Dal punto di vista normativo sono state da tempo definite le prescrizioni che devono essere rispettate negli<br />

allevamenti in tema d’igiene, sia attraverso la fissazione di limiti di carica batterica massima, sia mediante la<br />

precisazione dei requisiti igienici cui le aziende devono attenersi. In particolare il DPR 54/97 (Regolamento<br />

recante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/CEE in materia di produzione e immissione sul mercato di<br />

latte e di prodotti a base di latte) prima, ed il Reg. CEE n. 853 del 29/04/2004 (che stabilisce norme<br />

specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale) hanno stabilito le condizioni per:<br />

• locali ed attrezzature<br />

• igiene della mungitura, della raccolta e del trasporto<br />

• igiene del personale<br />

I citati provvedimenti normativi stabiliscono alcune condizioni strutturali cui le aziende devono attenersi ed<br />

alcune modalità operative da rispettare. Ad esempio, per quanto riguarda i requisiti di locali ed attrezzature,<br />

viene sottolineata la necessità di costruirli e utilizzarli in modo da evitare le contaminazioni del latte; inoltre<br />

viene messo in evidenza l’obbligo di pulizia e disinfezione delle attrezzature stesse.<br />

Analogamente, per quanto riguarda le operazioni di mungitura, il reg. 853/04 ribadisce quanto già previsto<br />

dal DPR 54/97, ovvero alcuni accorgimenti da osservare per una corretta routine di mungitura (es. pulizia<br />

della mammella e dei capezzoli prima dell’attacco dei gruppi, eliminazione dei primi getti per controllare il<br />

latte). Infine, per ciò che concerne il personale, particolare importanza viene data alle condizioni igieniche<br />

degli operatori, i quali rappresentano uno dei fattori di trasmissione di microrganismi in una stalla di vacche<br />

da latte.<br />

Il passaggio fondamentale sancito dai regolamenti afferenti al cosiddetto “pacchetto igiene” (reg. 852 ed 853<br />

del 2004) consiste nell’attribuire piena responsabilità al produttore primario per quanto concerne la sicurezza<br />

degli alimenti. Tale concetto rappresenta un obiettivo del Libro Bianco sulla sicurezza alimentare che<br />

l’Unione Europea ha definito sin dall’anno 2000 ed ha rappresentato il comune denominatore di tutta la<br />

normativa emanata negli anni successivi (es. reg. 178/2002 relativo alla tracciabilità degli alimenti, reg.<br />

183/2005 sui requisiti per l’igiene dei mangimi, oltre ai già citati regolamenti sul pacchetto igiene).<br />

I principi fondamentali su cui si basano tali regolamenti comunitari in tema di sicurezza alimentare<br />

interessano quindi tutti gli operatori della catena alimentare, compresa la produzione primaria. Tali principi<br />

possono essere così riassunti:<br />

• la responsabilità principale per la sicurezza degli alimenti è dell’operatore del settore alimentare, garante<br />

del rispetto delle disposizioni della relativa legislazione nell’impresa alimentare posta sotto il suo<br />

controllo;<br />

• la sicurezza degli alimenti va garantita lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione<br />

primaria, anche attraverso l’introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti.<br />

In definitiva la necessità di garantire l’igiene dei prodotti passa da un’esigenza del consumatore finale, oggi<br />

molto più attento ed intransigente rispetto al passato su tale aspetto qualitativo, esigenza pienamente<br />

recepita dal Legislatore che ha indirizzato tutta la normativa relativa ai prodotti alimentari sulla garanzia dei<br />

requisiti di igiene e sicurezza.<br />

Igiene della mammella<br />

L’obiettivo di una corretta igiene di mungitura è quello di eliminare dai capezzoli depositi organici che<br />

ospitano batteri ambientali e, allo stesso tempo, di non favorire il passaggio di batteri contagiosi fra i quarti<br />

delle mammelle.<br />

La probabilità d’insorgenza di una nuova infezione è proporzionale al numero di batteri presenti sulla<br />

superficie del capezzolo; il rischio aumenta ulteriormente se vi sono lesioni della cute o dello sfintere<br />

capezzolare, facilmente contaminati dai batteri che causano la mastite. Pertanto, risulta indispensabile<br />

24


effettuare la disinfezione della mammella, una pratica che ancora oggi viene a volte trascurata. Inoltre,<br />

curando l’igiene della mammella si favorisce l’eiezione del latte che, come è noto, avviene soprattutto in<br />

seguito a stimoli tattili (mani del mungitore) e termici (acqua tiepida).<br />

Figura 2. Si raccomanda di pulire solo il capezzolo con detergenti e carta a perdere, oppure con panni<br />

imbevuti di disinfettanti.<br />

I metodi di pulizia della mammella sono riconducibili a due gruppi: la pulizia con acqua, adottata soprattutto<br />

in presenza di lettiera, e la pulizia a secco. Si deve procedere alla pulizia con acqua solo se la mammella<br />

presenta evidenti tracce di sporco, perché il lavaggio può provocare un incremento della carica batterica<br />

totale (CBT). Si raccomanda, quindi, di pulire solo il capezzolo utilizzando detergenti e carta a perdere o<br />

fazzoletti imbevuti di disinfettante (fig. 2). Si possono utilizzare anche panni in stoffa, ma dopo ogni<br />

mungitura devono essere lavati ad alta temperatura, disinfettati e asciugati. Quando la disinfezione avviene<br />

per immersione del capezzolo in apposita soluzione, ed è questa la pratica più comune, si parla di dipping<br />

(fig. 3). La cosa importante è che al momento dell’attacco del gruppo il capezzolo risulti perfettamente<br />

asciutto, poiché anche solo poche gocce di acqua possono favorire le infezioni mammarie. Di norma, i<br />

prodotti per la disinfezione, se applicati correttamente, riducono la percentuale di infezioni dei capezzoli di<br />

oltre il 50%. Il tempo richiesto per completare la preparazione della mammella, compreso l’attacco del<br />

gruppo, risulta mediamente di 20-30 secondi per vacca.<br />

Figura 3. La disinfezione per immersione del capezzolo in apposita soluzione (dipping) è la pratica più<br />

comune<br />

Immediatamente dopo lo stacco del prendicapezzoli si deve procedere con la disinfezione post-mungitura;<br />

queste operazioni si effettuano in circa 40 secondi per vacca. Per facilitare la chiusura ermetica dello<br />

sfintere, il cui orificio rimane aperto per almeno mezz’ora dopo la mungitura, è importantissimo impiegare<br />

prodotti disinfettanti ad azione filmante (fig. 4). L’applicazione post-mungitura svolge il ruolo essenziale di<br />

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imuovere dalla mammella i batteri contaminanti esterni e, contemporaneamente, di bloccarne la diffusione<br />

all’interno del canale capezzolare. Prima della successiva mungitura si rimuove il film lavando i capezzoli<br />

con acqua potabile ed eliminando i primi getti di latte.<br />

Figura 4. Per il post-dipping è bene impiegare prodotti disinfettanti ad azione filmante<br />

Le sostanze attive contenute nei prodotti per la disinfezione dei capezzoli sono molteplici, fra le principali<br />

troviamo i prodotti a base di cloro (candeggina) e di iodio, le clorexidine, il perossido di idrogeno (acqua<br />

ossigenata), l’acido lattico, ecc.. La presenza di screpolature della pelle richiede, in fase di pre-mungitura, un<br />

trattamento con un emolliente, al fine di mantenere la cute al giusto grado di umidità e limitare la possibilità<br />

di colonizzazione batterica. Il prodotto emolliente va aggiunto alle soluzioni disinfettanti in concentrazioni<br />

ridotte per non comprometterne l’attività battericida.<br />

Igiene degli impianti<br />

Le operazioni igienico-sanitarie inerenti gli impianti sono comunemente riassunte col termine di “lavaggio”. In<br />

realtà il lavaggio comprende una serie di operazioni specifiche alle quali corrispondono appropriate<br />

definizioni.<br />

La detersione consiste nella completa rimozione dello sporco visibile utilizzando acqua e detergenti; le<br />

superfici trattate, tuttavia, pur essendo perfettamente pulite presentano ancora colonie microbiche. Per<br />

eliminare il 99,999% dei microrganismi patogeni, ad eccezione delle spore, si deve procedere alla<br />

disinfezione utilizzando prodotti registrati P.M.C. (Presidio Medico Chirurgico). Si parla invece di<br />

sanitizzazione quando la disinfezione avviene impiegando prodotti non registrati come P.C.M.. Col termine di<br />

sanificazione, infine, si intende l’insieme delle operazioni di detersione e di disinfezione.<br />

Natura dei depositi<br />

I depositi di latte si possono distinguere in depositi molli e in depositi duri; la presenza dei primi è un chiaro<br />

indice di lavaggio giornaliero insufficiente da effettuarsi con prodotti alcalini. Oltre ai residui di latte intero si<br />

trovano delle molecole di grasso identificabili dallo stato delle superfici e dalle goccioline d’acqua sulle pareti.<br />

I residui duri non appaiono subito, quando l’impianto è ancora nuovo, ma dopo qualche tempo; essi sono<br />

indice sia di lavaggio giornaliero incompleto, sia dell’assenza o della scarsa frequenza di lavaggi acidi<br />

disincrostanti (fig. 5). I depositi duri si presentano sotto diverse forme: minerale e metallica. I sedimenti<br />

minerali, comunemente chiamati “pietra di latte”, sono originati dai minerali dell’acqua e del latte insieme,<br />

mentre i depositi metallici si formano, ad esempio, nelle regioni in cui l’acqua è molto ricca di ferro e<br />

presentano una colorazione rossastra. Talvolta compaiono anche depositi di colore grigio di natura argillosa.<br />

I residui di latte aderiscono differentemente alle superfici a seconda della natura e dello stato di usura delle<br />

stesse e del tipo di microrganismi che colonizzano il materiale. Di solito i residui si accumulano negli angoli e<br />

nelle parti concave o sporgenti; lasciati a contatto con l’aria si disseccano rapidamente aderendo fortemente<br />

ai loro supporti. Il deposito risulta tanto più difficile da asportare quanto più esso è anziano.<br />

26


La colonizzazione microbica dei depositi di latte non è immediata, essa dipende dalla natura e dallo<br />

spessore della pellicola, dalla tecnica di disinfezione adottata e dalla temperatura ambiente. Le superfici, in<br />

particolare quelle costituite da materiale diverso dell’acciaio, divengono porose con l’invecchiamento<br />

naturale e sotto l’azione del latte e dei detersivi.<br />

Figura 5. I depositi duri sulla valvola di chiusura del collettore indicano la mancanza di lavaggi acidi<br />

disincrostanti<br />

I detersivi<br />

Il lavaggio, che mira all’eliminazione dei depositi di varia natura formatisi sulla superficie interna degli<br />

impianti di mungitura e di refrigerazione, deve esercitare tre azioni:<br />

• azione detergente, per mezzo di prodotti alcalini, per allontanare i depositi di natura organica (grassi e<br />

proteine) e rendere le superfici fisicamente pulite;<br />

• azione detartrante, con composti acidi, per asportare i depositi minerali;<br />

• azione disinfettante, con formulati principalmente a base di cloro, per eliminare i microrganismi.<br />

Evidentemente un solo prodotto chimico non può avere tutte le proprietà richieste. Pertanto, si dovranno<br />

impiegare delle combinazioni di differente costituzione per arrivare ad una soluzione di lavaggio veramente<br />

efficace (fig. 6).<br />

Figura 6. Per arrivare ad un’efficace soluzione di lavaggio è necessario impiegare i prodotti chimici in diverse<br />

combinazioni<br />

I detergenti alcalini sono composti solitamente da tre frazioni attive: alcali, tensioattivi, agenti complessi.<br />

Come alcali si utilizzano principalmente silicati, fosfati e carbonati, ma non di rado si trova nello stesso<br />

prodotto un'associazione di questi composti. I tensioattivi o agenti bagnanti (saponi, oli solfonati, ecc.)<br />

hanno il compito di abbassare la tensione superficiale della soluzione circolante e far sì che l'agente lavante<br />

possa infiltrarsi sotto i depositi di sporcizia.<br />

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Gli agenti complessi intervengono neutralizzando i sali di calcio e magnesio presenti nell'acqua<br />

mantenendoli in soluzione e impedendone la deposizione. Un'eccessiva durezza dell'acqua potrebbe<br />

determinare nel tempo la formazione di incrostazioni difficili da eliminare anche col lavaggio acido. E'<br />

importante, quindi, effettuare preventivamente l'analisi dell'acqua per conoscere con precisione il suo<br />

contenuto in sali di calcio e di magnesio, così da poter effettuare un corretto dosaggio del prodotto e<br />

prevenire le deposizioni. L'azione degli agenti complessi si esplica anche su ferro e sali di rame.<br />

I detergenti acidi sono prodotti composti da acidi, tensioattivi e agenti inibenti. Come acidi o detartranti, si<br />

utilizzano acidi organici deboli (acido citrico, lattico e acetico) e acidi organici forti (acido cloridrico, solforico,<br />

nitrico, fosforico e altri ancora). In considerazione del fatto che l'azione degli acidi non è selettiva, in quanto<br />

assieme ai depositi minerali agiscono anche sui materiali dell'impianto, si è resa necessaria l'introduzione di<br />

agenti inibenti per limitare al massimo eventuali danni alla mungitrice.<br />

Gli impianti sono costruiti con diversi materiali come il vetro, la p<strong>last</strong>ica, la gomma, l'acciaio e l'alluminio.<br />

Questi materiali sono diversi da pulire e i detergenti devono possedere le qualità per pulirli tutti ugualmente<br />

bene e senza intaccarli.<br />

Fra i disinfettanti più usati si ricordano il cloro, lo iodio, i composti iodofori e l'acido paracetico. Le soluzioni<br />

clorate sono a base di ipocloriti (varechina), di fosfati trisodici clorati e, non di rado da clorammine. Questi<br />

prodotti, che agiscono contro i batteri e i virus, vanno utilizzati in soluzioni alcaline (pH maggiore di 8) e a<br />

caldo, ma ad una temperatura inferiore a 65 °C per non incorrere nel rischio di rendere inattivo il cloro.<br />

Considerata l'azione corrosiva del cloro sulle gomme e sui metalli, acciaio inossidabile compreso, la<br />

concentrazione di questo sanitizzante non deve superare le 50-100 ppm ed il tempo di contatto con le parti in<br />

gomma non deve eccedere i 20 minuti.<br />

Lo iodio, pur essendo un eccellente disinfettante, non è solubile nell'acqua. Perciò, lo si deve associare con<br />

un tensioattivo e con un acido per costituire ciò che si chiama un composto iodoforo. Quest’ultimo offre il<br />

vantaggio di essere attivo anche a freddo, di possedere le medesime qualità battericide dei derivati del cloro<br />

e di risultare meno corrosivo del cloro.<br />

I detergenti sono dotati, in genere, di un potere disinfettante assai modesto: essi agiscono nei riguardi dei<br />

batteri rimuovendo i depositi di latte che servono loro da supporto, ed è per questo che il lavaggio, anche se<br />

eccellente, non assicura la completa disinfezione. E' consigliabile, pertanto, utilizzare una soluzione<br />

disinfettante sia da sola, dopo il lavaggio, sia miscelata con i detergenti che si identificano allora col termine<br />

di sanificanti.<br />

Il principio di azione del lavaggio è fondato sulla combinazione di cinque fattori: l’acqua, l’azione meccanica,<br />

la temperatura, la concentrazione e la durata di azione della soluzione detergente. L’acqua ha la funzione di<br />

rammollire e quindi disgregare i depositi di sporcizia e di solubilizzare alcuni componenti. Essa, inoltre, serve<br />

da veicolo ai detergenti e ai depositi da rimuovere. Risulta indispensabile assicurarsi che l’acqua sia potabile<br />

secondo quanto prescritto dal D.P.R. N. 236/88. L’azione meccanica risulta essenziale per completare<br />

l’azione della soluzione detergente sui residui di latte la cui aderenza sovente è assai forte (fig. 7).<br />

Un’energica azione meccanica può esercitarsi con la spazzolatura, con la circolazione o con l’iniezione sotto<br />

pressione della soluzione detergente. A seconda del metodo di lavaggio e del tipo di materiale da lavare si<br />

utilizzano uno o più di questi trattamenti.<br />

La temperatura elevata migliora ed accelera il processo di lavaggio. La pulizia risulta più efficace quando la<br />

temperatura della soluzione detergente è più alta del punto di liquefazione del grasso (30–35 °C). il grasso<br />

allo stato fuso viene così eliminato facilmente. Si ottiene la massima azione di una soluzione detergente a<br />

65–70 °C, per temperature superiori esiste il rischio di calcificazione delle proteine sulle superfici degli<br />

impianti. In ragione delle difficoltà che possono avere alcuni allevatori nel disporre di acqua calda in quantità<br />

sufficiente, si può ricorrere ai sistemi di lavaggio “a freddo” che utilizzano acqua a temperatura ambiente.<br />

La concentrazione della soluzione detergente è variabile in funzione del prodotto, di norma è compresa tra<br />

l’uno e il due percento. L’aumento della dose prescritta dal fornitore non migliora l’efficacia del lavaggio ma<br />

costituisce una spesa inutile e si corre il rischio di danneggiare il materiale. La durata d’azione della<br />

soluzione detergente è diversa a seconda del sistema di lavaggio adottato e del prodotto impiegato. In alcuni<br />

casi bastano pochi minuti, mentre in altri sono necessari fino a trenta minuti circa. Anche in questo caso<br />

risulta inutile andare oltre il tempo prescritto.<br />

28


Figura 7. Per staccare i depositi di sporcizia che aderiscono tenacemente alle superfici dell’impianto è<br />

indispensabile che la soluzione di lavaggio sia animata da moto turbolento<br />

Detersione e disinfezione degli impianti di mungitura<br />

Gli impianti di mungitura possono essere lavati secondo due procedimenti fondati sullo stesso principio: l’uno<br />

manuale, l’altro automatico. Quest’ultimo presenta il vantaggio di ridurre l’intervento umano, di evitare<br />

sprechi d’acqua e di detergenti e di non richiedere sforzi fisici.<br />

Lavando manualmente non sempre è possibile ottenere un buon risultato, in quanto si possono commettere<br />

errori nel dosaggio dei detergenti, nella scelta della temperatura, nella successione delle fasi e dei tempi più<br />

appropriati per ciascuna di esse. Inoltre, risultando il lavaggio manuale un’operazione abbastanza faticosa, si<br />

ha sovente la tentazione di semplificarla e, a volte, di non effettuarla. I sistemi automatici evitano il rischio di<br />

questi inconvenienti ed offrono la garanzia di un lavaggio accurato.<br />

Le modalità comunemente adottate per la sanificazione delle macchine mungitrici, a prescindere dalla<br />

tipologia delle stesse, sono determinate dalla temperatura dell'acqua utilizzata per la preparazione della<br />

soluzione di lavaggio. Pertanto, si possono distinguere i sistemi di lavaggio seguenti:<br />

• a freddo, si effettua di norma manualmente utilizzando speciali detersivi efficaci a temperature inferiori a<br />

35-40 °C. In realtà come composizione chimica sono simili agli altri detersivi, però sono più concentrati e<br />

corrodono in misura maggiore soprattutto le parti in gomma;<br />

• a caldo, prevede l'uso di acqua a 65-70 °C e risulta il metodo più diffuso e adatto ad ogni tipo di<br />

impianto.<br />

Una buona detersione, senza dover ricorrere a controlli microbiologici, può evidenziarsi già ad occhio nudo<br />

con la prova cosiddetta dell'acqua. Questa, sparsa su di una superficie pulita si diffonde sotto forma di un<br />

velo continuo, mentre sparsa sopra una superficie non ben detersa si riunisce in piccole goccioline.<br />

Lavaggio manuale<br />

Le superfici esterne delle mungitrici a secchio e a carrello vanno lavate con getto d'acqua e spazzola, mentre<br />

per la pulizia dei componenti che entrano a contatto col latte, in particolare per i gruppi prendicapezzoli, è<br />

necessario dotarsi di apposite spazzole e di un lavello della capacità di almeno 50 litri. Si deve misurare<br />

attentamente il volume dell'acqua per evitare errori di diluizione: di norma occorrono una quindicina di litri<br />

d'acqua a 60 °C per ciascun gruppo prendicapezzoli.<br />

Sarebbe opportuno operare ad una temperatura non inferiore a 40 °C, perché tanto più è bassa la<br />

temperatura della soluzione e quanto più lungo risulta il tempo di contatto per ottenere il medesimo effetto;<br />

tutto ciò in contrapposizione al fatto che proprio nel lavaggio a mano si desidera far presto. Risulta<br />

indispensabile, inoltre, scegliere un prodotto detergente-disinfettante specifico per il lavaggio manuale.<br />

La soluzione detergente dovrebbe essere preparata in precedenza per poi immergervi le singole parti da<br />

trattare; nel caso di detersivi in polvere converrà assicurarsi che tutto il prodotto risulti ben disciolto prima di<br />

iniziare le operazioni. Inoltre, è consigliabile lasciare agire la soluzione per qualche minuto sui materiali<br />

29


prima di intervenire con spazzole le cui setole risultino sufficientemente morbide per non graffiare o rigare le<br />

superfici.<br />

Al termine del risciacquo finale, durante il quale possono essere aggiunti 8 ml di ipoclorito di sodio (la<br />

comune candeggina) in 12 litri d'acqua per ogni gruppo prendicapezzoli, tutti i componenti puliti si fanno<br />

sgocciolare appendendoli ad una rastrelliera al riparo dalla polvere.<br />

Lavaggio automatico<br />

Per la pulizia degli impianti esistono numerosi prodotti, ma non sempre sono impiegati in modo corretto. Non<br />

di rado il mungitore effettua il lavaggio una sola volta al giorno, di norma dopo la mungitura del pomeriggio, o<br />

addirittura saltuariamente al fine di risparmiare i 25-30 minuti necessari per l'operazione. Risulta, perciò,<br />

importante dotare l'impianto di un dispositivo automatico di lavaggio che provveda a riscaldare l'acqua e a<br />

regolare elettronicamente i detergenti alcalini e acidi in funzione della quantità e della qualità dell'acqua. E'<br />

sufficiente premere un pulsante per avviare il programma che a fine ciclo si arresta automaticamente (fig. 8).<br />

Anche col lavaggio automatico, ovviamente, la pulizia delle superfici esterne deve essere curata<br />

quotidianamente con interventi manuali, facendo ricorso a spazzole e a panni inumiditi. Si procede poi a<br />

fissare i gruppi prendicapezzoli alle coppette di lavaggio.<br />

La pulizia dell'impianto, che deve eseguirsi entro un’ora al massimo dalla conclusione della mungitura per<br />

prevenire l'essiccazione dei residui di latte, comprende di regola i seguenti interventi operativi: prelavaggio,<br />

sanificazione (detersione e disinfezione), risciacquo finale. Per il lavaggio degli impianti di mungitura a<br />

lattodotto il fabbisogno giornaliero di acqua risulta di 60-80 litri/gruppo.<br />

Prelavaggio. Tutte le superfici venute a contatto con il latte dovranno subire un risciacquo semplice o<br />

doppio, detto comunemente prelavaggio, con acqua fredda d’estate e tiepida (30-35 °C) d’inverno della<br />

durata di 2-3 minuti. E’ necessario far circolare nell’impianto circa 10 litri d’acqua per ogni gruppo<br />

prendicapezzoli, in modo da allontanare i residui di latte. Da evitare l’uso di acqua calda (superiore a 45 °C)<br />

poiché il calore, determinando la calcificazione delle proteine, favorisce la formazione dello sporco “ostinato”.<br />

Si commette un grosso errore se, per risparmiare tempo, si omette questa fase e si inizia il lavaggio con<br />

acqua calda e detersivo; infatti, la sostanza organica presente nel latte residuo annulla l’effetto del<br />

disinfettante e causa la progressiva formazione di una pattina batterica, untuosa al tatto.<br />

Figura 8. Lavatrice automatica: 1) spia lumisosa attivazione lavaggio; 2) programmatore elettronico; 3)<br />

serbatoio detersivo e disinfettante; 4) valvola pneumatica a tre vie; 5) tubo riempimento acqua; 6)<br />

pressostato; 7) vaschetta acqua<br />

Sanificazione. Questa fase ha lo scopo di staccare i depositi di sporcizia che aderiscono ai materiali e di<br />

tenerli in sospensione, evitando agli stessi di depositarsi nuovamente sulle superfici pulite. Il lavaggio<br />

classico in circuito prevede la circolazione per circa 15 minuti di una soluzione calda (65-70 °C) con<br />

l’aggiunta di specifici prodotti che, di norma, contengono soda come sostanza detergente e cloro come<br />

sostanza disinfettante. In questo caso, come nel prelavaggio, è bene non superare le temperature<br />

consigliate per evitare il rischio della calcificazione delle proteine sulle superfici.<br />

30


Si deve misurare con precisione la quantità di acqua utilizzata e calcolare la giusta quantità di detersivo da<br />

aggiungere. Se le istruzioni di lavaggio prevedono, ad esempio, una concentrazione della soluzione di<br />

lavaggio pari all’1%, bisogna diluire 100 grammi per ogni 10 litri di acqua. Se la soluzione è troppo diluita<br />

perde di efficacia, se troppo concentrata corrode le parti in gomma ed espone il rischio di inibenti nel latte.<br />

Col sistema di lavaggio in circuito possono formarsi dei depositi visibili in alcuni punti dell'impianto, quali il<br />

collettore del latte ed il separatore igienico, che vengono raggiunti con minore efficacia dalla soluzione<br />

detergente. In tal caso occorre smontare il componente dell'impianto ed eliminare il deposito con l'ausilio di<br />

spazzole speciali. Per i pulsatori, che vanno mantenuti al riparo dell'umidità e protetti dai liquidi di lavaggio, ci<br />

si limiterà ad una pulitura esterna con panno lievemente inumidito.<br />

Con frequenza di norma settimanale o quindicinale, in funzione della durezza dell'acqua, si pratica il lavaggio<br />

con detergente acido e acqua calda per rimuovere eventuali formazioni di pietra di latte o di tartaro che<br />

divengono visibili sulle parti in vetro dell'installazione. Il lavaggio acido deve seguire quello alcalino, in caso<br />

contrario la patina di grasso e proteine che avvolge i depositi calcarei li difende dall’azione dell’acido.<br />

Risciacquo finale. Il ciclo di lavaggio ha termine col risciacquo finale, della durata di poco meno di 10 minuti,<br />

da effettuarsi con acqua fredda o tiepida per asportare i residui di detersivo. Questi ultimi, oltre ad alterare il<br />

sapore degli alimenti, nella produzione del formaggio hanno effetti dannosi simili a quelli provocati dalla<br />

presenza di antibiotici. Dopo lo scarico dell'acqua, viene aspirata dell'aria per asciugare perfettamente le<br />

condutture. Con l'asciugatura, a volte trascurata nel lavaggio manuale, viene esclusa qualsiasi proliferazione<br />

dei batteri che, seppure in numero limitato, sono presenti nell'acqua di risciacquo.<br />

Poco prima l'inizio della mungitura, in particolare nei mesi caldi, è buona norma attivare il programma di<br />

disinfezione, per il quale si utilizza una soluzione disinfettante fredda che viene fatta circolare per 4 minuti.<br />

Detersione e disinfezione dei serbatoi refrigeranti<br />

I metodi ed i prodotti utilizzati per la detersione e la disinfezione dei serbatoi refrigeranti sono gli stessi già<br />

descritti per il lavaggio manuale ed automatico degli impianti di mungitura. La tecnica di lavaggio delle<br />

vasche prevede in sequenza le fasi di:<br />

• prelavaggio, con acqua tiepida o fredda per allontanare il latte residuo;<br />

• sanificazione, con detergente-disinfettante e acqua calda (60-70°C);<br />

• risciacquo finale, con acqua fredda per eliminare i residui di detersivo.<br />

La pulizia può essere eseguita manualmente solo negli impianti di piccole-medie dimensioni di tipo aperto,<br />

mentre per le vasche di grande capacità ed in quelle di tipo chiuso si deve necessariamente ricorrere ad un<br />

sistema meccanico.<br />

Lavaggio manuale<br />

La prima operazione da effettuare, non appena la vasca è stata vuotata, è il risciacquo con acqua corrente di<br />

tutte le parti venute a contatto col latte, preferibilmente eseguito con un getto a pressione per aumentarne<br />

l’efficacia. In questa fase lo scarico di fondo della vasca deve essere lasciato in posizione aperta, in modo da<br />

allontanare completamente tutti i residui di latte.<br />

La soluzione detergente viene preparata a parte, in un recipiente di p<strong>last</strong>ica, miscelando acqua calda (60-70<br />

°C) e detersivo in una percentuale dello 0,5-1% (ossia 5-10 g per ogni litro di acqua). Per il lavaggio vero e<br />

proprio si impiega una spazzola con setole sufficientemente morbide in modo da non graffiare le superfici<br />

della vasca.<br />

Le parti rimovibili, come il tappo del condotto di scarico, l’agitatore e l’asta di misurazione, vanno smontate,<br />

immerse nella soluzione e spazzolate accuratamente. Si chiude quindi lo scarico della vasca e si esegue<br />

un’energica spazzolatura, con la soluzione detergente, delle superfici interne, compreso il coperchio,<br />

procedendo dall’alto verso il basso. E’ consigliabile lavare anche la superficie esterna della vasca e<br />

qualunque altro accessorio venuto a contatto con il latte. Dopo la spazzolatura non deve rimanere alcuna<br />

impurità visibile. A questo punto si apre lo scarico di fondo della vasca, si fa allontanare tutta la soluzione<br />

detergente e si risciacqua accuratamente con acqua potabile, in modo da eliminare qualsiasi traccia di<br />

detersivo che potrebbe altrimenti alterare il latte. Completato il risciacquo e scaricata l’acqua residua, è bene<br />

rimontare il tappo di scarico e chiudere il coperchio del tank per evitare contaminazioni successive (insetti,<br />

polvere, ecc.).<br />

Assolutamente da evitare l’impiego di prodotti non specifici per il lavaggio delle vasche refrigeranti: i comuni<br />

detersivi hanno un potere schiumogeno troppo elevato e contengono profumazioni che conferiscono sapori<br />

ed odori sgradevoli al latte.<br />

31


Lavaggio automatico<br />

I principali componenti di un sistema automatico di lavaggio sono:<br />

• il circuito di distribuzione dell’acqua<br />

• il sistema per il dosaggio e il riscaldamento dell’acqua<br />

• il sistema per il dosaggio dei detergenti<br />

• l’elettrovalvola di scarico<br />

• il programmatore elettronico di azionamento e controllo<br />

La parte fondamentale dell’impianto di lavaggio è il dispositivo di aspersione costituito da irrigatori o doccette<br />

che, sotto l’azione di una pompa, provvedono a spruzzare le superfici interne della vasca con un getto a<br />

pressione. Per un lavaggio efficace l’azione meccanica dell’acqua deve raggiungere con la stessa intensità<br />

tutti i punti della vasca.<br />

Gli irrigatori possono essere fissi o dinamici (fig. 9). Quelli di tipo fisso sono montati nella parte alta della<br />

vasca oppure sul fondo attraverso il rubinetto di scarico. Con questi sistemi si ottiene in genere un buon<br />

lavaggio, a patto che l’irrigatore sia posizionato verso la parte centrale del serbatoio per avere una buona<br />

distribuzione dell’acqua. Inoltre le pale dell’agitatore possono creare delle "zone d’ombra” che non vengono<br />

risciacquate e l’ostruzione dei fori dell’irrigatore diminuisce direttamente l’efficienza del lavaggio.<br />

Nei sistemi dinamici l’irrigatore può essere o rotativo o accoppiato ad un diffusore rotativo. Viene posizionato<br />

nella parte alta del serbatoio o, più frequentemente, sull’albero o sulle pale dell’agitatore, il che assicura<br />

un’azione più efficace. Un’interessante soluzione consiste nel montare le doccette al centro delle pale e<br />

nell’utilizzare l’albero cavo dell’agitatore per il passaggio dei fluidi di lavaggio. In questo modo si sfrutta la<br />

rotazione dell’agitatore per ottenere l’aspersione di tutte le superfici interne della vasca. Il circuito di<br />

distribuzione può essere separato dalla vasca, nel caso venga posizionato al momento del lavaggio, ma più<br />

frequentemente è integrato nella vasca; alcune installazioni prevedono due circuiti indipendenti, uno per<br />

l’acqua ed uno per la soluzione di lavaggio.<br />

Figura 9. Dispositivi di lavaggio dei serbatoi refrigeranti con irrigatore fisso o rotativo. Le posizioni<br />

dell’irrigatore riportate negli schemi 5 e 6 sono le più funzionali<br />

Il ciclo di lavaggio è controllato da una centralina elettronica, contenuta in un pannello di comando, che<br />

determina la sequenza e la durata di ciascuna fase, comanda l’ingresso e lo scarico dell’acqua, stabilisce la<br />

32


temperatura di riscaldamento e la dose di detersivo (fig. 10). All’avvio del programma, l’elettrovalvola di<br />

immissione dell’acqua si apre ed ha inizio il prelavaggio. Questo (come anche il risciacquo finale) può essere<br />

semplice o doppio e viene effettuato con la valvola di scarico aperta in modo che non si abbia ricircolo di<br />

acqua. Terminata questa fase, la valvola si chiude e si passa al lavaggio con acqua calda e detergenti che<br />

ha una durata di circa 10-15 minuti (alcuni sistemi prevedono più fasi di lavaggio). Il dosaggio del detergente<br />

può essere completamente automatico, per cui l’operatore deve provvedere solo al rifornimento periodico del<br />

contenitore, oppure semiautomatico se il dosaggio deve essere effettuato manualmente all’inizio di ogni<br />

ciclo.<br />

Figura 10. Serbatoio da 8.000 litri di capacità con dispositivo per il lavaggio automatico<br />

Il riscaldamento dell’acqua può essere ottenuto tramite una resistenza elettrica incorporata nel sistema,<br />

oppure mediante un boiler elettrico o a gas. Alla fine del lavaggio, l’elettrovalvola di scarico si apre per<br />

permettere l’evacuazione della soluzione detergente e si procede al risciacquo semplice o doppio con acqua<br />

fredda.<br />

Lavaggio e progettazione degli impianti<br />

Molti dei problemi legati all’igiene dell’impianto sono la diretta conseguenza di errori commessi nella<br />

progettazione e nell’installazione della sala di mungitura.<br />

L’impianto deve risultare quanto più possibile compatto, l’eccessiva lunghezza delle condutture del latte e del<br />

lavaggio aumentano i volumi d’acqua, le dispersioni di calore e le perdite di carico delle condutture stesse.<br />

L’incremento delle perdite di carico, vale a dire degli attriti interni che l’acqua deve vincere per muoversi<br />

all’interno delle condutture, si tramuta in una riduzione della velocità dei fluidi di lavaggio e, quindi,<br />

dell’azione meccanica esercitata da questi ultimi sui depositi di sporco.<br />

L’eventuale incremento della volumetria di un impianto preesistente per l’installazione di equipaggiamenti<br />

extra, come ad esempio i vasi misuratori, richiede l’adeguamento del volume d’acqua immessa in circolo e la<br />

verifica della turbolenza con la quale essa si muove all’interno dell’impianto. Per modificare il volume<br />

d’acqua è sufficiente agire sulla posizione del galleggiante situato nella vaschetta di lavaggio, mentre per<br />

valutare la turbolenza bisogna adottare metodi empirici osservando il movimento dell’acqua nel terminale del<br />

latte, se questi è realizzato in vetro pirex, e l’ampiezza del movimento dei tubi lunghi del latte.<br />

Prima di utilizzare un nuovo impianto è indispensabile un test di collaudo sia per la mungitura che per il<br />

lavaggio. Limitatamente al lavaggio, il certificato di collaudo dovrebbe riportare anche le misurazioni sulla<br />

portata d’aria che penetra nel circuito di lavaggio attraverso l’iniettore d’aria e sulla portata d’acqua<br />

attraverso il singolo gruppo prendicapezzoli.<br />

Si rammenta che l’ingresso d’aria supplementare durante il lavaggio viene di norma utilizzato per aumentare<br />

la turbolenza della soluzione circolante, in particolare nel lattodotto che costituisce la conduttura di diametro<br />

maggiore. La portata di 3 litri/min di soluzione di lavaggio è considerata sufficiente a garantire una buon<br />

livello di pulizia dei gruppi; per impianti con lattometri o vasi misuratori la portata richiesta sale a 4,5-6<br />

litri/min. Nel caso l’iniettore di aria venga installato in impianti preesistenti, si deve verificare se la portata<br />

della pompa è sufficiente per estrarre l’ingresso supplementare d’aria durante il lavaggio.<br />

La progettazione e l’installazione dell’impianto devono essere effettuate in modo che tutte le tubazioni e i<br />

componenti possano scaricare l’acqua residua di lavaggio anche per gravità, attraverso le apposite valvole di<br />

33


drenaggio. Come si è detto in precedenza, eventuali ristagni d’acqua creano le condizioni ottimali per la<br />

proliferazione microbica tra le due mungiture.<br />

L’installatore è tenuto a fornire all’allevatore le opportune istruzioni per eseguire correttamente le operazioni<br />

di lavaggio.<br />

Devono essere definite chiaramente le procedure di preparazione dell’impianto per il lavaggio, includendo le<br />

operazioni di controllo delle valvole e degli interruttori, di manipolazione dei detergenti e di lavaggio delle<br />

parti esterne di alcuni componenti. Persino negli impianti più moderni ci sono ancora dei componenti che<br />

devono essere smontati per una più accurata pulizia manuale utilizzando, in alcuni casi, specifici detergenti.<br />

Figura 11. Nel caso di lavaggio insufficiente, il terminale del latte è uno dei componenti dell’impianto dove è<br />

più frequente trovare depositi di sporcizia<br />

Gli effetti di un lavaggio insufficiente si manifestano con la comparsa di residui organici e inorganici, di sottili<br />

pellicole di natura organica e di decolorazioni dovute a corrosione di alcune superfici. Di norma i punti critici<br />

per il lavaggio sono il collettore del latte, le guaine e il vaso terminale (fig. 11). I sistemi automatici di lavaggio<br />

degli impianti di mungitura e di refrigerazione, essendo oramai ampiamente collaudati, richiedono<br />

scarsissima manutenzione. Per prevenire guasti, tuttavia, è consigliabile curare la pulizia esterna<br />

dell’apparecchiatura, tenere dei fusibili di riserva e verificare con frequenza mensile i filtri che proteggono gli<br />

ingressi di acqua calda e fredda nell’unità di comando. Nel caso di anomalie di funzionamento è bene<br />

tentare di porvi rimedio senza ricorrere al servizio assistenza; nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di<br />

inconvenienti di poco conto le cui cause, unitamente ai possibili rimedi, sono riassunte nelle tabelle seguenti.<br />

Operazioni di piccola manutenzione della lavatrice dell'impianto di mungitura<br />

SINTOMI CAUSE RIMEDI<br />

1.Selettore di programma mal 1.Spostare il selettore nella<br />

posizionato<br />

posizione di partenza<br />

2. Fusibile bruciato 2.Sostituire il fusibile<br />

Il programma di lavaggio non<br />

parte e la spia luminosa non si<br />

accende<br />

3. Assenza di corrente elettrica<br />

1.Rubinetti dell'acqua chiusi 1.Aprire i rubinetti<br />

L'acqua arriva molto lentamente,<br />

o non arriva affatto, alla 2.Pressione dell'acqua non sufficiente 2.Valore normale 1-6 bar<br />

vaschetta di lavaggio 3.Filtri ostruiti 3.Pulire i filtri<br />

Il riempimento della vaschetta 1.Il pressostato è starato o non 1.Verificare il funzionamento del<br />

non si arresta anche quando funziona<br />

pressostato<br />

raggiunge il livello prefissato 2.La posizione del galleggiante del 2.Fissare il galleggiante nella<br />

pressostato è troppo alta<br />

giusta posizione<br />

Il programma di lavaggio non si 1.Viti del pannello programmatore 1.Serrare viti di fissaggio<br />

svolge normalmente<br />

allentate<br />

Sulle parti in vetro dell'impianto 1.Detergente acido mal dosato 1.Controllare le istruzioni sull'uso<br />

di mungitura si rendono visibili<br />

del detersivo e la durezza acqua<br />

dei depositi di tartaro<br />

2.Temperatura dell'acqua non 2.Verificare il funzionamento del<br />

sufficientemente alta<br />

boiler<br />

3.Assenza di lavaggi acidi 3.Effettuare il lavaggio acido<br />

34


Operazioni di piccola manutenzione della lavatrice della vasca refrigerante<br />

SINTOMI CAUSE RIMEDI<br />

Il programma di lavaggio non<br />

parte e la spia luminosa non si<br />

accende<br />

L'acqua arriva molto<br />

lentamente, o non arriva affatto<br />

all'interno del serbatoio del<br />

latte<br />

1.Selettore di programma mal 1.Spostare il selettore nella posiposizionato<br />

zione di partenza<br />

2. Fusibile bruciato 2.Sostituire il fusibile<br />

3. Assenza di corrente nella rete elettrica<br />

1.Rubinetti dell'acqua chiusi 1.Aprire i rubinetti<br />

2.Pressione dell'acqua non suffi- ciente 2.Valore normale 1-6 bar<br />

3.Filtri ostruiti 3.Pulire i filtri<br />

L'agitatore non funziona 1.Agitatore difettoso 1.Verificare il collegamento<br />

Depositi di calcare sulle pareti<br />

della vasca<br />

L'acqua non è proiettata con<br />

forza sulle pareti del serbatoio<br />

Il programma di lavaggio non si<br />

svolge normalmente<br />

1.Prodotto mal dosato<br />

elettrico<br />

1.Controllare le istruzioni sull'uso<br />

del detersivo e la durezza acqua<br />

2.Temperatura dell'acqua non 2.Verificare il funzionamento del<br />

sufficientemente alta<br />

boiler<br />

3.Assenza di lavaggi acidi 3.Effettuare il lavaggio acido<br />

1.Pompa difettosa 1.Interpellare il servizio assistenza<br />

2.Un corpo estraneo ha ostruito<br />

l'irrigatore<br />

1.Viti del pannello programmatore<br />

allentate<br />

35<br />

2.Smontare e pulire l'irrigatore<br />

1.Serrare le viti di fissaggio<br />

Formulazione del piano d’igiene<br />

Per garantire l’igiene del prodotto è necessario che ogni azienda sviluppi un’analisi specifica delle proprie<br />

condizioni operative, al fine di definire le modalità con cui garantire il controllo igienico del proprio processo.<br />

L’obiettivo è quello di individuare i punti critici della gestione di stalla ed operare con costanza affinché siano<br />

tenuti sotto controllo, vale a dire entro confini prestabiliti.<br />

Per effettuare una completa valutazione dei rischi si deve prendere in considerazione la storia del prodotto,<br />

riuscendo a:<br />

• individuare le sostanze potenzialmente pericolose, i microrganismi patogeni o alteranti e i composti<br />

chimici dannosi;<br />

• identificare le impurità fisiche e le fonti di contaminazione chimica e microbica;<br />

• valutare la probabilità di sopravvivenza e di moltiplicazione dei microrganismi, la presenza di residui di<br />

sostanze chimiche e fisiche alla fine del processo;<br />

• stimare i rischi e la severità dei pericoli;<br />

• individuare eventuali limiti minimi di accettazione nel prodotto.<br />

Successivamente è necessario identificare tutte le operazioni su cui può essere esercitato un controllo al fine<br />

di eliminare, prevenire o, nel peggiore dei casi, minimizzare il pericolo di contaminazioni. Nello schema a<br />

blocchi di figura 12 sono riportate le fasi di processo inerenti la mungitura e la refrigerazione del latte.<br />

I fattori di contaminazione si possono suddividere in tre grandi gruppi: biologici, chimici e fisici.<br />

Fra i contaminanti di natura biologica, si tratta di organismi vitali e/o loro tossine, si distinguono due grosse<br />

categorie: microrganismi (batteri, lieviti e muffe, patogeni o alterativi) e gli organismi superiori (insetti ecc.).<br />

Le fonti di contaminazione sono: suolo, acque, aria, animali, uomo e piante.<br />

I contaminanti chimici possono derivare da pratiche agronomiche, veterinarie, zootecniche e dal trattamento<br />

di lavaggio e disinfezione degli impianti e delle mammelle.<br />

I contaminanti fisici sono spesso di tipo accidentale, quindi difficilmente prevedibili; possono derivare dagli<br />

operai, dalle operazioni di pulizia e di manutenzione dei macchinari.


1. Ingresso animali sala mungitura<br />

Figura 12. Per impostare un piano d’igiene è necessario definire la fasi di processo della mungitura e della<br />

refrigerazione del latte.<br />

Prevenzione rischi biologici<br />

Il rischio di contaminazione biologica è presente nelle fasi di pulizia della mammelle, di refrigerazione del<br />

latte di lavaggio della mungitrice e del serbatoio refrigerante. Il lavaggio e l’asciugatura delle mammelle deve<br />

essere effettuato con cura da personale adeguatamente addestrato, con abiti puliti e mani deterse.<br />

Risulta di fondamentale importanza trattare ogni animale individualmente e asciugare completamente la<br />

mammella.<br />

Il serbatoio refrigerante deve essere efficiente, deve portare cioè il latte alla temperatura di 4-5 °C entro due<br />

ore dalla fine della mungitura e mantenere tale temperatura durante tutto il tempo di conservazione,<br />

indipendentemente dalla temperatura esterna.<br />

Il lavaggio dell’impianto, compresi alcuni componenti esterni, deve avvenire alla fine di ogni mungitura.<br />

Particolare attenzione si deve prestare alla temperatura e alla turbolenza dell’acqua durante il lavaggio, alla<br />

quantità d’acqua con cui viene lavato ciascun gruppo ed alla quantità ed al tipo di detergente impiegato.<br />

Particolare attenzione va fatta all’acqua che si utilizza in azienda per tale operazione, questa deve essere<br />

potabile secondo il D.P.R. N. 236/88.<br />

Il lavaggio del serbatoio refrigerante deve essere effettuato ogni qual volta si consegna il latte. Anche in<br />

questo caso i parametri da tenere sotto controllo sono gli stessi indicati per gli impianti di mungitura.<br />

Prevenzione rischi chimici<br />

2. Lavaggio mammelle<br />

3. Controllo primi getti di latte<br />

4. Attacco prendicapezzoli<br />

5. Mungitura<br />

8. Stacco prendicapezzoli<br />

9. Disinfezione mammelle<br />

10. Uscita animali sala mungitura<br />

11. Lavaggio impianto mungitura<br />

Il rischio di contaminazione chimica è limitato alle fasi di lavaggio degli impianti. Occorre prestare attenzione<br />

al risciacquo, questo deve essere abbondante e completo in modo da eliminare qualsiasi traccia di residui di<br />

detergenti. A fine lavaggio l’impianto dovrebbe risultare perfettamente asciutto o, quantomeno, privo dei<br />

ristagni d’acqua.<br />

36<br />

6. Invio latte al<br />

tank<br />

12. Lavaggio sale attesa,<br />

mungitura, latte<br />

7. Refrigerazione<br />

del latte<br />

13. Consegna<br />

del latte<br />

14. Lavaggio tank<br />

refrigerante


Prevenzione rischi fisici<br />

I rischi di contaminazione fisica con frammenti organici (insetti e altri animali infestanti) o di corpi estranei<br />

(metallo, p<strong>last</strong>ica, oggetti personali) possono interessare le fasi di attacco dei prendicapezzoli, di lavaggio<br />

della mungitrice e di controllo del serbatoio refrigerante.<br />

Durante la manipolazione dei gruppi, soprattutto se questi sono collegati al vuoto, è opportuno prestare<br />

attenzione affinché nessun corpo estraneo o insetto si depositi all’interno della guaina e venga così aspirato<br />

durante la mungitura.<br />

Impiegare prodotti chimici adatti e specifici per il proprio impianto e non aumentare, per il desiderio di lavare<br />

più a fondo, la concentrazione e la temperatura della soluzione di lavaggio per evitare l’allontanamento di<br />

materiale, soprattutto delle parti in gomma. Al termine della mungitura si deve cambiare il filtro del latte che,<br />

come è noto, contribuisce alla riduzione della carica microbica totale ed evita l’introduzione di impurità<br />

grossolane nel serbatoio refrigerante.<br />

Allo stesso modo, bisogna prestare attenzione ogni qual volta si solleva il coperchio della vasca refrigerante,<br />

onde evitare l’ingresso di un qualsiasi corpo estraneo che potrebbe ritrovarsi durante la conservazione del<br />

latte.<br />

Considerazioni conclusive<br />

Fino ad oggi il problema igienico-sanitario è stato rivolto principalmente sull’animale e sull’ambiente,<br />

trascurando la componente meccanica che può invece costituire la fonte primaria d’inquinamento.<br />

Un’insufficiente pulizia degli impianti di mungitura e di refrigerazione del latte si ripercuote immediatamente<br />

sulla qualità del prodotto. Le carenze igieniche che si riscontrano negli impianti sono dovute in molti casi a<br />

negligenza o imperizia dell’operatore; altre volte, invece, le cause vanno ricercate nei dispositivi di lavaggio<br />

per mancanza di manutenzione, montaggio difettoso e usura di alcuni componenti.<br />

La scelta dei prodotti santificanti non deve essere lasciata al caso o fondarsi solo sul parametro del prezzo.<br />

E’ consigliabile indirizzarsi verso fornitori specializzati e competenti, capaci d’individuare il tipo di prodotto e<br />

le modalità di impiego più rispondenti alle esigenze di ogni specifico caso.<br />

Al momento dell’acquisto dei prodotti l’allevatore dovrà effettuare un’attenta lettura dell’etichetta posta sulla<br />

confezione che dovrà riportare:<br />

• l’azione svolta dal prodotto (detergente, disinfettante, santificante, disincrostante);<br />

• la composizione e la quantità dei principi attivi;<br />

• la quantità di prodotto da utilizzare in soluzione (espressa in % o in grammi/litro);<br />

• le variazioni da apportare alla concentrazione della soluzione di lavaggio in funzione della durezza<br />

dell’acqua.<br />

Cellule somatiche<br />

La causa più frequente e importante di innalzamento del contenuto cellulare del latte è lo stato infiammatorio<br />

della mammella, la mastite. In base al tipo di manifestazione, le mastiti vengono classificate come:<br />

• cliniche, che a loro volta, in base al decorso e all’intensità dei sintomi, vengono distinte in:<br />

• iperacute, con risentimento generale (temperatura, atonia ruminale, collasso, ecc.), vistose<br />

alterazioni del quarto e del latte e talvolta morte dell’animale,<br />

• acute: caratterizzate da mammella con il quarto o i quarti colpiti ingrossati, induriti, edematosi,<br />

arrossati, caldi, dolenti. La secrezione lattea è di norma macroscopicamente alterata (coaguli di<br />

fibrina, latte acquoso con colorazione anomala) con gravi alterazioni della composizione. La<br />

produzione di latte si riduce fortemente fino alla agalassia. È talvolta presente una sintomatologia<br />

generale nelle bovine, con febbre e alterazioni della funzionalità ruminale,<br />

• subacute (leggere): caratterizzate da riduzione del latte prodotto, aumento delle cellule somatiche,<br />

presenza di materiale coagulato almeno nei primi getti;<br />

• sub-cliniche: contraddistinte da una diminuzione ed una alterazione della composizione del latte<br />

prodotto mentre l’esame batteriologico è generalmente positivo e si ha sempre un aumento delle cellule<br />

somatiche e in particolare dei neutrofili polimorfonucleati.<br />

37


La mastite può essere clinica, quando vi è interessamento del quarto, o subclinica, quando l’unico sintomo è<br />

l’aumento delle cellule<br />

Molto spesso si osserva un andamento cronico della malattia: si tratta di un’evoluzione delle forme acuta o<br />

sub-acuta non completamente risolte in quanto non curate o curate male, cioè con antibiotico inadatto o, più<br />

spesso, con posologia insufficiente.<br />

La produzione di latte si riduce significativamente per mancata funzionalità del parenchima mammario,<br />

mentre la conta cellulare è elevata e le alterazioni del latte possono non essere evidenti. La causa di gran<br />

lunga più frequente di mastite è l’ingresso (per via ascendente attraverso il canale del capezzolo) di<br />

microrganismi all’interno della mammella con successiva loro proliferazione. Tali microrganismi vengono di<br />

norma classificati in:<br />

• contagiosi, come Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus. Si tratta di microrganismi in grado<br />

di moltiplicarsi a livello della cute e all’interno della mammella che ne diviene il serbatoio, ma con scarsa<br />

o nulla capacità di sopravvivere nell’ambiente: la trasmissione dell’infezione avviene quasi<br />

esclusivamente attraverso la mungitura che veicola – attraverso le mani del mungitore, il gruppo di<br />

mungitura, salviette o spugne non monouso – residui di latte infetto da una bovina malata a una sana.<br />

Queste infezioni tendono ad essere sub-cliniche o croniche per cui determinano importanti rialzi nelle<br />

conte cellulari del latte di massa.<br />

Il risanamento, cioè l’eliminazione dell’agente infettivo dalla stalla, è possibile mediante l’applicazione<br />

scrupolosa di programmi appositamente studiati a livello di singola azienda e imperniati su un’attenta<br />

profilassi in quanto, per lo meno per S. aureus, la terapia in lattazione è poco efficace;<br />

Il post dipping è una misura fondamentale di controllo delle mastiti causate da microbi contagiosi<br />

• ambientali, come coliformi e streptococchi diversi da S. agalactiae. Questi batteri albergano<br />

normalmente nelle lettiere e possono penetrare nella mammella in ogni momento del ciclo produttivo<br />

della bovina, compreso il periodo di asciutta durante il quale il rischio di infezione è anzi molte volte più<br />

elevato che in lattazione. Non è evidentemente possibile eliminare questi microrganismi dalla stalla;<br />

vanno perciò controllati riducendone il più possibile il numero nell’ambiente mediante una pulizia<br />

accurata e mantenendo elevate le difese delle bovine.<br />

Infatti, non va dimenticato che la mastite, clinica o sub-clinica, non dipende solo dalla presenza del microbo,<br />

ma è il risultato della sua interazione con l’ospite e che questa interazione può essere mediata da molti<br />

fattori che giocano un ruolo importante nel determinare la malattia stessa. Questi sono fondamentalmente:<br />

38


• la pulizia delle bovine e della stabulazione e più in generale tutte le misure di profilassi in grado di<br />

condizionare la quantità di microbi presenti in prossimità del capezzolo;<br />

• tutti i fattori che possono ridurre le difese (fisiche, immunitarie biochimiche, ecc.) della bovina. Tra questi<br />

vanno ricordati: ambienti e microclima poco confortevoli, altre patologie ricorrenti, improvvisi cambi<br />

alimentari e alimenti di qualità scadente o squilibrati, il sovraffollamento e la mungitura meccanica,<br />

perché è dimostrato che le sollecitazioni provocate da questa pratica possono causare alterazioni del<br />

trofismo dei tessuti e lesioni alla punta del capezzolo in grado di aumentare il rischio di mastite. Fra gli<br />

aspetti della mungitura particolarmente pericolosi vi è la sovramungitura, cioè la mungitura a flussi bassi,<br />

sia all’inizio che alla fine della mungitura stessa.<br />

E’ fondamentale curare la pulizia della mammella<br />

La sanità e la funzionalità dell’apparato mammario delle bovine sono di fondamentale importanza per la<br />

migliore riuscita degli allevamenti di bovine da latte. Da questi due aspetti, infatti, dipende direttamente la<br />

qualità igienico-sanitaria e casearia del latte: le alterazioni del latte causate dalle mastiti, anche quando non<br />

ne pregiudicano l’uso, influenzano in modo rilevante la quantità e la qualità dei prodotti trasformati e di<br />

conseguenza la redditività delle produzioni. Ne consegue che tutto ciò che ha riflesso, diretto o indiretto,<br />

sullo stato sanitario della mammella può essere rilevante, a vario livello, sulla qualità della materia prima. Al<br />

di là di quelli più facilmente riconoscibili, come spese per farmaci, i costi più elevati collegabili alla mastite<br />

sono quelli legati:<br />

• alla mancata produzione di latte: ad ogni raddoppio della conta cellulare media della lattazione si ha una<br />

minore produzione di circa 700 gr di latte/giorno; il che vuol dire che una vacca che ha una conta media<br />

di 400.000 cellule/ml produce nella lattazione circa due quintali in meno di latte, a parità di<br />

alimentazione, genetica, altre patologie ecc. di quello che avrebbe prodotto se avesse fatto la lattazione<br />

a 200.000 cellule. Il tutto anche senza mostrare nessun segno di mastite.<br />

• alle alterazioni biochimiche della materia prima (particolarmente importanti quando il latte è destinato<br />

alla trasformazione casearia):<br />

• riduzione dei tenori in grasso, proteine e lattosio;<br />

• modificazione della composizione delle proteine del latte con aumento delle sieroproteine e<br />

riduzione della caseina (da 77% a 73%) e, con essa, della resa;<br />

• aumento di sodio e cloro e conseguente calo dell’acidità;<br />

• attivazione del plasminogeno la cui attività proteolitica condiziona negativamente la forza del<br />

coagulo.<br />

La mungitura<br />

Una mungitura inadeguata è uno tra i principali fattori capaci di causare mastite. Infatti può essere<br />

responsbile della trasmissione tra vacche di batteri della mastite, e ciò tramite le tettarelle, le mani del<br />

mungitore o spugne/stracci usati per la pulizia: è questo il meccanismo attraverso cui si diffondono le mastiti<br />

causate da microbi contagiosi, come Staphiloccus aureus o Streptococcus agalactiae. Ricordiamo che i<br />

microbi entrano dal capezzolo: la mungitura può rendere meno resistente la punta del capezzolo quando lo<br />

danneggia. E’ possibile valutare questo effetto osservandone la punta: quando si formano delle callosità,<br />

specialmente se screpolate o sanguinanti, allora aumenta il rischio di mastite.<br />

39


I capezzoli lesionati da sovramungitura sono molto più esposti al rischio di mastite<br />

Tra le cause che favoriscono queste situazioni c’è innanzitutto la sovramungitura, cioè la mungitura troppo<br />

lunga. Per evitare la sovramungitura vanno ridotte al massimo le fasi di basso flusso di latte: all’inizio della<br />

mungitura questo è possibile preparando accuratamente le vacche tramite una massaggio vigoroso (che<br />

coincide con l’eliminazione del primo latte e la pulizia dei capezzoli ed una sufficiente attesa prima<br />

dell’attacco: in tal modo la vacca darà subito molto latte appena attaccata. Al termine, la sovramungitura si<br />

evita facendo regolare adeguatamente lo stacco automatico o manuale dell’impianto. Nelle bovine ben<br />

conformate la trazione non serve. Una mungitura scorretta può facilitare la penetrazione dei batteri nel<br />

capezzolo quando si verificano repentini ingressi d’aria (“soffi”).<br />

Quando un gruppo “soffia” durante la mungitura porta nella mammella i microbi della mastite<br />

In tali situazioni l’aria aspirata dalla tettarella forma in direzione dei capezzoli un flusso “retroverso” che può<br />

spingere all’interno di questi i microbi. Ovviamente questa situazione è tanto più pericolosa quanto più è<br />

sporca, cioè carica di microbi, la mammella al momento della mungitura!<br />

Per una corretta gestione della mungitura è fondamentale un efficace e regolare controllo dell’impianto<br />

eseguito da tecnici preparati: sono infatti molti i malfunzionamenti dell’impianto (zoppicamenti dei pulsatori,<br />

carenze della pompa ecc) che aumentano il rischio di mastitie. E’ però importante che il tecnico, al di là<br />

dell’individuazione di tali malfunzionamenti, sappia fornire anche indicazioni sulla corretta configurazione<br />

dell’impianto (livello di vuoto, rapporto di pulsazione, taratura stacchi…) in funzione delle caratteristiche<br />

srutturali dell’impianto stesso, del tipo di bovine, del tipo di routine.<br />

40


Sulla base di quanto sopra sinteticamente esposto, è possibile fissare alcuni criteri per una corretta routine<br />

di mungitura.<br />

E’ probabile che la formazione del mungitore abbia sull’incidenza della mastiti un’influenza maggiore di molte<br />

sottigliezze sul funzionamento dell’impianto.<br />

I cardini di una corretta routine di mungitura (“attacca tardi e stacca presto”) sono i seguenti:<br />

• garantire alle bovine un ambiente pulito e privo di stress: è ben documentato che soli in tali condizioni le<br />

vacche danno correttamente e velocemente il latte;<br />

• eliminare un po’ di latte per ogni capezzolo prima di attaccare le tettarelle per:<br />

• vedere se ci sono delle mastiti anche lievi, cioè con solo un po’ si stoppini anche senza gonfiore del<br />

quarto.<br />

• garantire una massaggio adeguato, cioè di almeno 10-20” assieme o in alternativa al lavaggio;<br />

Vanno sempre eliminati i prirmi getti di latte per effettuare un buon massaggio e per individuare piccoli<br />

stoppini segno di mastite<br />

• pulire i capezzoli in modo efficace. Quando si devono lavare le mammelle perché entrano sporche in<br />

sala, è necessario anche asciugarle perfettamente dato che l’attacco del gruppo a tettarelle bagnate è<br />

per vari motivi quanto di più pericoloso si possa fare: d’altro canto è ben noto che questa operazione<br />

spesso viene tralasciata. Al di là del fatto che l’intervento fondamentale da fare in questi casi è sulla<br />

stalla in modo da avere vacche che entrano pulite in sala, e la cui pulizia può pertanto essere effettuata<br />

facilmente e velocemente, dove ciò non avviene è da valutare l’opportunità dell’utilizzo del predipping. Il<br />

predipping consiste nella pulizia della mammella con appositi prodotti prima dell’applicazione del gruppo<br />

di mungitura. Può essere effettuato solo con prodotti appositamente registrati che danno adeguate<br />

garanzie di innocuità. Dopo la distribuzione sui capezzoli (spray o per immersione) devono essere<br />

lasciati agire per 20-40 secondi quindi accuratamente rimossi con carta a perdere. Specialmente se i<br />

prodotti utilizzati sono a base di acqua ossigenata, questa pratica manifesta spesso anche una notevole<br />

efficacia nella prevenzione della contaminazione del latte da parte di clostridi sporigeni.<br />

• se le mammelle sono state lavate, asciugare perfettamente i capezzoli con tovaglioli individuali di carta a<br />

perdere o di stoffa lavati dopo ogni uso;<br />

• attaccare il gruppo di mungitura entro due minuti dall’inizio della stimolazione. E’ importante applicare i<br />

gruppi non prima di 60” dopo l’inizio della stimolazione in modo da ottenere l’immediata emissione del<br />

latte al momento dell’attacco e così accorciare il tempo di permanenza del gruppo sui capezzoli. Durante<br />

la mungitura solo il latte della cisterna della mammelle esce per differenza di pressione tra interno ed<br />

esterno. Per raggiungere la cisterna deve venire spinto dagli alveoli del tessuto alveolare: tale<br />

movimento avviene perche gli alveoli sono “spremuti” dalle cellule mioepiteliali che le circondano, e siò<br />

avviene grazie allo stimolo dell’ossitocina.<br />

41


Serve un buon massaggio ed un tempo adeguato perché l’ossitocina raggiuga la mammella<br />

L’ossitocina viene liberata dalla postipofisi dopo che il capezzolo è stato stimolato dal vitello o dal<br />

massaggio del mungitore. L’ossitocina impiega circa un minuto a raggiungere la mammella. Finchè ciò<br />

non avviene, se il gruppo è già attaccato vi sarà l’aspirazione del gruppo di mungitura senza che vi sia<br />

sufficiente latte pronto per scendere e ciò crea un stress fisico molto intenso ai capezzoli, un aumento<br />

dei danni causati da eventuali soffi, una risalita del gruppo di mungitura che verrà così a stozzare la<br />

base del capezzolo rallentando ulteriormente la mungitura<br />

• se necessario, aggiustare la posizione dei gruppi in modo da ridurre al massimo ingressi d’aria e<br />

sbilanciamento della mungitura tra quarti anteriori e posteriori. E’ ben noto ad ogni bravo mungitore<br />

come questa attenzione, nella sua apparente banalità, sia importante;<br />

• a fine mungitura staccare tempestivamente il gruppo disattivando il vuoto prima di rimuovere il gruppo.<br />

E’ ormai ben dimostrato che non serve, anzi è pericoloso, sovramungere: una piccola quantià di latte<br />

residuo nella cisterna della mammella non dà problemi né di mastite nè di calo della produzione, mentre<br />

sono ben documentati i danni della sovramingitura;<br />

• almeno dove vi sono o sono state solo da poco tempo eliminate infezioni da contagiosi, è importante<br />

effettuare il postdipping subito dopo la rimozione del gruppo. Il post-dipping, eliminando in modo<br />

semplice, efficace ed economico la massima parte dei microrganismi che si trovano sul capezzolo a fine<br />

mungitura, riduce drasticamente il rischio che questi entrino nel capezzolo e, con esso, quello di nuove<br />

infezioni mammarie in una misura variabile dal 50 al 95%.<br />

In definitiva in una stalla è importante avere per la maggior parte delle vacche curve di emissione del latte<br />

che crescano velocemente, mantegano per alcuni minuti un’emissione costante e che poi calino in modo<br />

repentino, con periodi di flusso basso (=< 400 gr/min) ridotti al minimo; in particolare sono da evitare<br />

l’andamento bimodale (uscita immediata del latte cisternale, calo del flusso a seguito della svuotamento<br />

della cisterna, ripresa del flusso collegabile all’emissione del latte alveolare ((a) nella figura) e la<br />

sovramungitura finale per ritardato stacco ((b) nella figura).<br />

42


Esistono oggi dispositivi (sia mobili che fissi e collegati ai software di gestione della sala di mungitura) che<br />

permettono di studiare gli andamenti delle curve di emissione fornendo un potente strumento di assistenza<br />

tecnica e di gestione della mungitura.<br />

Come intervenire e prevenire<br />

Quando ci sono dei problemi di cellule o di mastiti è importante chiedere al veterinario di fare analisi<br />

specifiche, chiamate “esami colturali” per capire che microbi stanno causando la mastite dato che per<br />

risolvere il problema si devono fare cose diverse a seconda dei microbi che prevalgono.<br />

Le mastiti si controllano:<br />

• tenendo le vacche su una lettiera pulita (anche in asciutta, che è il periodo in cui entrano nella mammella<br />

molti dei microbi che daranno poi le mastiti durante la lattazione);<br />

• curando la manutenzione dell’impianto e mungendo con molta attenzione per non trasmettere le<br />

infezioni e per non danneggiare la punta del capezzolo che è la “porta” della mammella;<br />

• individuando le vacche mastitiche (anche subcliniche) per:<br />

• eliminare il latte mastitico;<br />

• curare la mastite;<br />

• separarle dalle altre se ha un’infezione contagiosa;<br />

• riformare le vacche.<br />

Quando la mastite è subclinica non si vedono segni esterni: le vacche malate si possono individuare<br />

tramite il CMT (California Mastitis Test, comunemente detto “padellino” o la conta individuale delle<br />

cellule, molto più precisa. L’esecuzione mensile dell’analisi delle cellule su ogni singola vacca permette<br />

di ottenere molte e importanti informazioni sia a livello di vacca (età dell’infezione, sull prognosi, sulla<br />

causa ecc.) che di allevamento (efficacia degli interventi effettuati, nuove infezioni ecc.);<br />

Il CMT permette di individuare in modo economico e veloce le mastiti subcliniche<br />

• alimentando le vacche esclusivamente con alimenti di ottima qualità dato che prodotti –mangimi ma<br />

anche foraggi- scadenti possono abbassare le difese immunitarie delle bovine rendendole più esposte<br />

alle infezioni;<br />

• usando correttamente, secondo le indicazioni del veterinario, la terapia antibiotica, sia in lattazione che<br />

in asciutta.<br />

La terapia è uno strumento fondamentale per il controllo delle cellule: è perciò necessario rivolegersi al<br />

veterinario per aver tutte le indicazioni del caso, prima di tutto la scelta del farmaco. Le indicazioni vanno<br />

applicate scrupolosamente perchè molto spesso le modalità ed i tempi di esecuzione incidono sul<br />

successo della terapia più del tipo di antibiotico scelto.<br />

In particolare è importante:<br />

• intervenire nelle primissime fasi della mastite;<br />

43


• non sospendere la terapia prima del tempo;<br />

• non usare i farmaci con modalità (via di somministrazione, terapia combinata, dosagg, associazioni)<br />

diverse da quelli prescritte);<br />

• somminstrare il farmaco in adeguate condizioni di igiene.<br />

La terapia antibiotica va gestita con la massima cura per prevenire il rischio di residui nel latte.<br />

L’asciutta è un momento fondamentale per il controllo delle cellule: infatti molte delle mastiti che si<br />

manifestano in lattazione vengono contratte durante questo periodo (in particolare le prime e le ultime<br />

due settimane quando il capezzolo non è chiuso perfettamente). Per questo è importante il trattamento<br />

antibiotico in asciutta che serve:<br />

• per curare le mastiti delle vacche asciugate con le cellule alte (in asciutta la terapia è più efficace<br />

perchè si possono usare dosaggi più alti e perchè l’antibiotico resta in mammella più tempo non<br />

venendo munto con il latte);<br />

• per prevenire nuove infezioni eliminando i microbi che dovessero entrare in mammella prima che i<br />

capezzoli si chiudano (circa due settimane); l’abbinamento all’antibiotico di un sigillante ha<br />

dimostrato la capacità di aumentare molto questa attività preventiva del trattamento ed è un potente<br />

strumento di controllo delle nuove infezioni da microbi ambientali.<br />

Se è vero che le bovine devono sempre essere tenute in una ambiente pulito, garantire un ambiente<br />

pulitissimo in particolare nelle due settimane prima e dopo il parto (quando le difese delle vacche sono<br />

ridotte al minimo), è sicuramente il principale intervento di profilassi della mastiti ambientali.<br />

Il “rischio residui”<br />

Quando si cura una vacca con dell’antibiotico e’ importantissimo accertarsi che non ne rimangano residui nel<br />

latte. Questi residui costituiscono le cosiddette sostanze inibenti, chiamate così perché sono capaci di inibire<br />

la crescita di un particolare batterio utilizzato nei test di laboratorio che si utilizzano per individuarne la<br />

presenza nel latte.<br />

I residui di sostanze inibenti nel latte costituiscono un grave rischio per il consumatore: in particolare negli<br />

individui allergici si possono verificare sintomi variabili da lievi manifestazioni cutanee a gravi shock<br />

anafilattici e per questo motivo la consegna di latte con residui di antibiotici può comportare responsabilità<br />

penale ai sensi degli art.5,6,12 L.283/62.<br />

I residui di sostanze inibenti possono compromettere la vitalità dei batteri lattici del sieroinnesto che di<br />

conseguenza non è in grado di acidificare la cagliata che perciò molto spesso si gonfia precocemente per lo<br />

sviluppo di germi ad attività anticasearia, con relativi enormi danni economici per il caseificio.<br />

Le sostanze inibenti non arrivano al latte solo da trattamenti effettuati direttamente in mammella, ma<br />

possono essere eliminati attraverso il latte, a seguito di trattamenti terapeutici per altre vie (intramuscolare,<br />

endovenosa, orale, intrauterina, cutanea, sottocutanea). Il trattamento di un solo quarto non dà garanzie che<br />

l’antibiotico non passi in quantità rilevabili negli altri quarti.<br />

Le regole per prevenire i residui di sostanze inibenmti nel latte:<br />

• utilizzare i farmaci solo quando necessario e sempre sotto la guida del veterinario;<br />

• rispettare scrupolosamente i tempi di sospensione successivi ad ogni trattamento, anche non<br />

intramammario, ricordando che quelli riportati sul foglietto si riferiscono all’utilizzo dell’antibiotico<br />

strettamente nelle dosi e con le modalità descritte. Ogni altro uso è improprio e richiede un<br />

adeguamento del tempo di sospensione;<br />

• identificare in almeno 2 modi ben visibili e non rimovibili accidentalmente gli animali al momento del<br />

trattamento;<br />

• mungere le bovine il cui latte deve essere scartato per ultime oppure utilizzare un gruppo di mungitura a<br />

parte da lavare accuratamente dopo la mungitura;<br />

• utilizzare adeguati sistemi di registrazione dei trattamenti;<br />

• utilizzare test di screening per individuare la presenza di residui prima di riprendere a consegnare il latte<br />

o se vi sia un dubbio sull’identificazione dell’animale trattato; il test non va mai eseguito prima del<br />

termine del tempo di sospensione;<br />

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• aumentare la consapevolezza del personale sul corretto utilizzo del farmaco spiegando chiaramente le<br />

conseguenze della eventuale positività e definendo chiaramente le mansioni per iscritto;<br />

• utilizzare correttamente disinfettanti e detergenti, che devono essere autorizzate per l’uso specifico.<br />

Clostridi<br />

I clostridi sono batteri a forma di bastoncino, sporigeni, che possono quindi formare al loro interno una<br />

cellula dormiente, chiamata endospora.<br />

Il processo che porta alla formazione delle spore inizia quando una popolazione di cellule batteriche,<br />

cosiddette vegetative, rallenta la fase di moltiplicazione esponenziale a causa di fenomeni stressanti, per<br />

esempio per carenza di una sostanza necessaria allo sviluppo.<br />

La specie di clostridi che più comunemente viene ritrovata nei formaggi difettosi è Clostridium<br />

tyrobutyricum; meno frequentemente vengono identificati batteri appartenenti alle specie Clostridium<br />

butyricum e Clostridium sporogenes.<br />

• Clostridium butyricum e Clostridium tyrobutyricum. Si tratta di specie in grado di fermentare carboidrati<br />

solubili, amido e pectine con la formazione di acido acetico e soprattutto butirrico, anidride carbonica e<br />

idrogeno. Per questo motivo i clostridi che provocano gonfiore vengono generalmente indicati come<br />

butirrici;<br />

• Clostridium sporogenes. Specie responsabile di degradazioni putrefattive dei composti azotati, quindi<br />

fortemente proteolitica.<br />

I clostridi hanno il loro habitat naturale nel terreno; l’entità della loro presenza varia in funzione della tessitura<br />

dello stesso (i suoli ricchi di scheletro contengono meno spore) e della quantità e qualità delle concimazioni<br />

organiche da deiezioni zootecniche.<br />

La diffusione dei clostridi segue uno schema preciso:<br />

• le spore presenti nelle produzioni vegetali imbrattate di terra influenzano la quantità di quelle degli<br />

alimenti conservati (essiccati o insilati);<br />

• il numero di spore negli alimenti condiziona quello nelle feci, che inevitabilmente contaminano l’ambiente<br />

di allevamento, gli animali, gli impianti di mungitura e di conseguenza il latte;<br />

• le feci, a loro volta, tornando come concimi organici al terreno le restituiscono e possono indurre<br />

fenomeni di arricchimento di spore nello stesso.<br />

Anche se non è sempre possibile mettere in relazione il numero di spore con l’inquinamento da terra degli<br />

alimenti zootecnici, è importante che questo sia il più possibile ridotto.<br />

Gli alimenti possono essere imbrattati di particelle di terreno, sia in seguito all’adesione di polvere<br />

direttamente sugli steli, sulle foglie e sulle granelle, sia perché durante la fase di raccolta può determinarsi<br />

l’incorporazione nella massa di quantità di terra più o meno rilevanti a seconda delle condizioni operative dei<br />

cantieri di raccolta. La presenza di terra nei foraggi, ad esempio, diventa particolarmente importante quando<br />

si adottano tecniche di alimentazione che non consentono alle bovine di operare una selezione in<br />

mangiatoia.<br />

Per valutare la quantità di terra presente nei foraggi può essere utilizzato come indice il contenuto di ceneri.<br />

Generalmente si ritengono troppo contaminati da terra quei foraggi che presentano percentuali di ceneri<br />

superiori al 10-12%, anche se non è raro riscontrare valori che superano, e di molto, il 15%.<br />

La presenza di terra nel fieno è influenzata principalmente dall’altezza di taglio dei foraggi. Da dati<br />

sperimentali si è riscontrato un generale maggior contenuto in ceneri in tagli effettuati ad altezze intorno ai 4<br />

cm, mentre oltre i 7 cm il contenuto in ceneri diminuisce drasticamente.<br />

I livelli di spore risultano molto variabili sia per tipo di alimento sia all’interno di ogni categoria dello stesso.<br />

Risultati di numerose analisi mostrano che è possibile ottenere alimenti praticamente esenti da spore, ma<br />

emerge altrettanto chiaramente che tutti possono essere a rischio. Il potenziale inquinante è comunque<br />

diverso: gli insilati risultano mediamente più contaminati, seguono i concentrati e i fieni. Nel caso di alimenti<br />

conservati mediante insilamento, infatti, le spore possono trovare condizioni di sviluppo e moltiplicazione.<br />

Il numero di spore presenti nella razione dipende dalla sua composizione e dal grado di contaminazione dei<br />

vari componenti. Nell’alimentazione delle bovine da latte per <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong> assume molta<br />

importanza il contenuto sporale dei mangimi.<br />

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Il numero di spore emesse con le feci dipende strettamente dal numero di quelle ingerite con gli alimenti. Le<br />

spore non vengono degradate nel tratto digerente delle bovine, e generalmente nelle feci se ne riscontrano<br />

più di quante ne siano state ingerite.<br />

Il numero di spore nel latte è legato strettamente al numero di spore presente nelle feci. La contaminazione<br />

del latte dipende, in linea generale, dal grado di imbrattamento delle bovine e più specificatamente delle<br />

mammelle, quindi dal sistema di allevamento e di mungitura adottati e dal livello di cura posto nella loro<br />

gestione.<br />

Come si determinano le spore dei clostridi<br />

Ancora oggi disporre di un metodo affidabile e uniformemente applicato per valutare la presenza dei clostridi<br />

nel latte, nei prodotti caseari e in altri materiali, rappresenta un problema non completamente risolto.<br />

Il metodo MPN (Most Probable Number), generalmente adottato dai laboratori fiduciari dei caseifici, fornisce<br />

una stima del numero di spore presenti nel campione. Questa tecnica prevede la pastorizzazione del<br />

campione in modo da eliminare tutte le specie batteriche non sporigene, ma anche le forme vegetative degli<br />

stessi sporigeni. Il campione viene inoculato in provette che contengono il terreno nutritivo seguendo schemi<br />

che dipendono dal grado di precisione voluto e dal livello di contaminazione atteso: in genere vengono<br />

effettuate 3 diluizioni per 3 o 5 ripetizioni. L’anaerobiosi si ottiene attraverso la formazione di un tappo sulla<br />

superficie delle provette inoculate costituito da una miscela di vaselina e paraffina o agar-acqua. L’eventuale<br />

spostamento verso l’alto di questo tappo, in seguito alla formazione di gas all’interno del terreno sottostante,<br />

dovuto alla germinazione delle spore e allo sviluppo dei clostridi anaerobi gasogeni, rappresenta il sistema<br />

attraverso il quale viene determinato il risultato.<br />

Dalla lettura delle positività ottenute sulla serie di provette inseminate per ogni campione, attraverso<br />

apposite tavole numeriche, costruite mediante l’elaborazione statistica di dati sperimentali, viene individuato<br />

il numero più probabile di spore presenti nel campione, cioè quello che più si avvicina al numero di spore<br />

che sarà in grado di germinare e quindi di creare danni nel corso della maturazione del formaggio.<br />

La frequenza dei campioni positivi alla ricerca di spore di clostridi nel latte per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> negli<br />

ultimi 10 anni è decisamente aumentata: si è passati da circa il 10% di campioni positivi al 20% e oltre.<br />

Gli stessi dati, visualizzati per trimestre, mostrano un tipico andamento ciclico stagionale: la frequenza<br />

minima, nel corso dell’anno, si ottiene sempre nel secondo trimestre (da aprile a giugno), con un<br />

innalzamento repentino nel trimestre.<br />

Si può affermare, sebbene con cautela, che negli anni non solo è aumentato il numero di campioni di latte<br />

positivi, ma aumenta pure il numero di spore che li rendono tali.<br />

I difetti provocati nel formaggio<br />

I clostridi sono fra i principali responsabili della comparsa di difetti, anche gravi, nei formaggi a lunga<br />

stagionatura, con notevole deprezzamento del prodotto.<br />

Le forme di formaggi grana con difetto da fermentazione butirrica risultano caratterizzate dalla presenza,<br />

nella zona centrale, di numerosi occhi “composti”, di grosso diametro, per lo più accompagnati da spacchi e<br />

fessurazioni longitudinali; la pasta, in tale zona, può presentare anche una densa e minuta occhiatura e un<br />

colore paglierino più intenso tendente al bruno. A questi difetti di struttura si accompagnano alterazioni<br />

organolettiche.<br />

La germinazione delle spore presenti nel latte da caseificare, e la successiva attività metabolica delle forme<br />

vegetative, comporta una considerevole produzione di anidride carbonica e di idrogeno, di acidi organici<br />

volatili, principalmente acido butirrico e acido acetico, e di sostanze azotate di basso peso molecolare. La<br />

produzione di gas è responsabile del gonfiore, delle occhiature e delle spaccature della pasta del formaggio.<br />

La produzione di acidi organici e l’attività proteolica portano, invece, ad alterazioni di sapore e aroma.<br />

Le spore di Clostridium butyricum e Clostridium sporogenes, le specie che più frequentemente sono presenti<br />

nel latte, trovano difficilmente nel formaggio le condizioni chimico-fisiche favorevoli per la germinazione e la<br />

moltiplicazione delle forme vegetative. Per contro, anche se meno frequente nel latte, Clostridium<br />

tyrobutyricum, può moltiplicarsi facilmente nel formaggio in corso di stagionatura.<br />

I difetti da gonfiore vengono classificati in base al momento della stagionatura del formaggio in cui<br />

compaiono.<br />

• Il gonfiore precoce insorge quando nella cagliata è ancora presente lattosio ed è correlato allo sviluppo<br />

di batteri coliformi o di clostridi.<br />

46


In quest’ultimo caso il responsabile è Clostridium butyricum. Questa specie sviluppa molto rapidamente,<br />

dando luogo alla formazione di microcolonie composte da un numero elevato di cellule con intensa<br />

produzione di gas e conseguente gonfiore, con evidente deformazione delle forme. La fermentazione<br />

butirrica precoce non è molto frequente ma, per contro, è violenta.<br />

Lo sviluppo termina con la sporificazione e la lisi delle cellule. Il ciclo fermentativo di Clostridium<br />

butyricum interessa i primi giorni di vita del formaggio, soprattutto nei casi in cui l’acidificazione lattica da<br />

sieroinnesto è lenta e debole.<br />

• Il gonfiore tardivo è un difetto largamente diffuso nella produzione di formaggi a pasta dura. In genere<br />

le cause di questo difetto sono da ricercare nella presenza nel latte destinato alla caseificazione di<br />

microrganismi che possono fermentare i lattati (sali dell’acido lattico): si tratta in genere di clostridi e/o di<br />

batteri propionici.<br />

Il gonfiore tardivo da clostridi è nella maggior parte dei casi dovuto allo sviluppo di Clostridium<br />

tyrobutyricum; la germinazione delle sue spore può avvenire nelle prime 20-30 ore di vita del formaggio<br />

ma le cellule vegetative hanno una riproduzione molto lenta che dura per alcuni mesi prima che<br />

l’accumulo di gas sia consistente e determini gonfiore nella forma. Il gonfiore si manifesta in genere a 5-<br />

6 mesi di età del formaggio. Anche i processi di sporificazione e di autolisi sono altrettanto lenti.<br />

Clostridium tyrobutyricum rappresenta senz’altro la specie che più interessa l’industria casearia in<br />

quanto, oltre a resistere in ambienti acidi quale la pasta fermentata del formaggio, può utilizzare a fini<br />

energetici proprio l’acido lattico derivante dalle fermentazioni batteriche filo-casearie trasformandolo in<br />

acido butirrico, acido acetico, anidride carbonica e idrogeno.<br />

Anche Clostridium sporogenes dà luogo a una fermentazione tardiva. Si tratta di una specie frequente<br />

nelle zone dove non si utilizzano insilati. Il difetto provocato da Clostridium sporogenes è particolarmente<br />

subdolo: si può manifestare anche oltre i 12 mesi di età, si evidenzia solo al taglio delle forme e rende il<br />

formaggio non commestibile per lo sviluppo di sapori e odori sgradevoli dovuti alla degradazione delle<br />

sostanze azotate.<br />

Come limitare i danni<br />

In azienda: l’obiettivo è quello di limitare al massimo l’ingresso delle spore nel sistema di produzione del<br />

latte. Ciò si realizza con una corretta produzione e preparazione degli alimenti. È necessario:<br />

• tagliare i foraggi ad un’altezza non inferiore a 7-8 cm;<br />

• regolare l’altezza dal terreno degli organi di lavoro di voltafieno, ranghinatori e pick-up di raccolta in modo<br />

che questi sfiorino appena il terreno, soprattutto nel caso di terreni non livellati, in pendenza e in<br />

presenza di scarsa produzione foraggera;<br />

• adottare accorgimenti e attrezzature per separare la terra dal fieno prima dell’utilizzazione;<br />

• raccogliere i residui in mangiatoia;<br />

• curare la pulizia dei sili e operare lo svuotamento completo degli stessi prima della immissione di nuovo<br />

mangime;<br />

• controllare l’umidità dei prodotti immagazzinati;<br />

• effettuare controlli analitici sulle forniture e selezionare i fornitori di mangime.<br />

In stalla: l’obiettivo è quello di limitare al massimo l’inquinamento del latte da spore, mettendo in atto<br />

accorgimenti che permettano di migliorare la gestione dell’ambiente di allevamento e della mungitura,<br />

riducendo l’imbrattamento delle mammelle con materiali fecali. È necessario:<br />

• evitare il sovraffollamento delle stalle e rimediare a errori di dimensionamento e progettazione delle<br />

superfici di stabulazione;<br />

• curare la pulizia delle aree di stabulazione interne ed esterne, e in particolare della zona di riposo,<br />

mediante la frequente asportazione delle deiezioni e il ricambio della lettiera;<br />

• pulire accuratamente la mammella prima della mungitura;<br />

• evitare per quanto possibile il contatto delle apparecchiature di mungitura con superfici sporche di feci<br />

(caduta prendicapezzoli, ecc.);<br />

• lavare e pulire accuratamente i locali di mungitura, le attrezzature e gli impianti che possono venire a<br />

contatto con il latte.<br />

47


Regolamento di alimentazione delle bovine da latte (DM20/07/2006)<br />

…Per evitare che gli insilati, anche attraverso il terreno ed i foraggi, possano contaminare l'ambiente di<br />

stalla, negli allevamenti delle vitelle, delle manze fino al sesto mese di gravidanza e delle bovine da latte,<br />

sono vietati l'uso e la detenzione di insilati di ogni tipo.<br />

L'eventuale allevamento di animali da carne deve avvenire in ambienti distinti e separati da quelli degli<br />

animali della filiera latte.<br />

E', comunque, vietata anche la semplice detenzione in azienda di insilati di erba e di sottoprodotti, quali le<br />

polpe di bietola, le buccette di pomodoro, ecc., conservati in balloni fasciati, trincee, platee o con altre<br />

tecniche.<br />

…Le bovine da latte provenienti da filiere produttive diverse da quella del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>, possono<br />

essere introdotte negli ambienti delle vacche in lattazione ed in asciutta dopo non meno di quattro mesi<br />

dall'introduzione nell'azienda. In tale periodo le bovine da latte devono essere alimentate conformemente<br />

alle norme del presente Regolamento e il latte, eventualmente prodotto, non può essere conferito in<br />

caseificio.<br />

Le aziende agricole non appartenenti alla filiera <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> sono autorizzate al conferimento del<br />

latte dopo non meno di quattro mesi dalla visita ispettiva…<br />

Grasso<br />

Il grasso del latte rappresenta un importante componente ad alto valore energetico che apporta anche<br />

sostanze nutritive nobili quali le vitamine A , D, E e K.<br />

La sua importanza va oltre la determinazione del valore energetico e la resa in burro perché influenza la<br />

resa casearia ed interviene nella maturazione dei formaggi partecipando attivamente alla determinazione<br />

della qualità.<br />

La composizione del grasso nel latte è formata da una miscela di acidi grassi a diverso peso molecolare il<br />

50% dei quali (circa) sono “leggeri” e sono sintetizzati dalla mammella a partire dall’acido acetico<br />

proveniente dalla fermentazione ruminale della fibra contenuta nella razione mentre gli “altri” provengono sia<br />

direttamente dagli alimenti ingeriti sia dalla mobilizzazione dei grassi di deposito presenti nel corpo<br />

dell’animale.<br />

Nel latte il grasso si trova sotto forma di globuli di piccolissime dimensioni che tendono ad affiorare essendo<br />

più leggeri della fase acquoso – proteica.<br />

Se si può stabilire che mediamente il latte di vacca contiene tra il 3,5 e il 3,7% di grasso, occorre anche<br />

specificare che la variabilità di questo valore è altissima e dipende da una molteplicità di fattori alcuni dei<br />

quali sono modificabili in breve tempo altri invece solo nel lungo periodo ed altri ancora difficilmente<br />

influenzabili. I più importanti fattori di variazione sono i seguenti:<br />

• genetici: determinano il limite oltre il quale quella bovina non può andare ma che a causa di varie<br />

influenze ambientali essa può solo scendere. Generalmente la selezione può aiutare ad innalzare il<br />

tenore di grasso essendo questo un carattere ad alta ereditarietà che si muove spesso in coppia con le<br />

proteine.<br />

• alimentari: attraverso l’alimentazione si può influenzare la produzione di grasso che la mammella<br />

sintetizza utilizzando i precursori derivati direttamente dagli alimenti ( acidi grassi a catena lunga) sia<br />

risintetizzando alcuni prodotti delle fermentazioni ruminali come l’acido acetico.<br />

• periodo di lattazione: con la massima produzione di latte (primo periodo post parto) si ha la minima<br />

concentrazione di grasso che poi cresce via via fino al raggiungimento del valore massimo in prossimità<br />

dell’asciutta.<br />

• sanitari: una mammella attaccata da germi patogeni sintetizza più difficilmente provocando quindi una<br />

diminuzione del grasso.<br />

• altri fattori: la modalità e la qualità di mungitura così come il clima nei suoi valori di temperatura più alti<br />

e bassi influenzano la quantità di grasso sintetizzato.<br />

La pratica dell'affioramento naturale del grasso durante la sosta del latte nelle bacinelle o vasche, in attesa<br />

della trasformazione in formaggio grana, è nata con il formaggio stesso. La risalita del grasso risulta<br />

inversamente proporzionale all'altezza dello strato del latte posto a riposo ed è correlata negativamente con<br />

la temperatura del latte; essa viene influenzata sfavorevolmente dallo sbattimento che il latte subisce<br />

durante la mungitura e le operazioni di trasporto. Nel determinismo del fenomeno giocano un ruolo<br />

48


importante le proteine agglutinanti presenti nel latte, nonché la durata, le condizioni di riposo e della camera<br />

del latte. La capacità di affioramento varia in rapporto alla influenza di numerosi fattori, quali alimentazione e<br />

stato metabolico delle vacche, parametri produttivi e fase fisiologica della lattazione, caratteristiche del latte,<br />

etc.. Da tale proprietà dipendono l'entità e la quantità dello strato della panna, aspetti di indubbio interesse<br />

caseario, in quanto al fenomeno sono legati, da un lato, il tenore in grasso e la quantità di latte lavorabile e,<br />

dall'altro, il titolo della crema da burrificare.<br />

L'affioramento del grasso in quanto tale è fondamentale non soltanto per la standardizzazione del rapporto<br />

grasso:caseina, ma anche ai fini del conseguimento di una certa "debatterizzazione" del latte in caldaia,<br />

fenomeno legato sia ai processi di agglutinazione dei batteri sia alla stessa aggregazione e risalita dei<br />

globuli di grasso. In particolare, la capacità di affioramento può esercitare un'influenza significativa sul grado<br />

di "depurazione" microbica del latte che passa in caldaia e che interessa soprattutto i batteri "anticaseari".<br />

Caseina<br />

Le proteine sono l’elemento più importante dei nutrienti del latte e sono in grado di determinare in modo<br />

decisivo la resa alla caseificazione. Per queste caratteristiche il parametro proteine è alla base di qualunque<br />

sistema di pagamento differenziato del latte.<br />

I tre raggruppamenti principali che compongono le frazioni azotote del latte sono: le caseine, le siero<br />

proteine e l’azoto non proteico. In verità l’insieme dei componenti di ciascuna delle tre classi è molto più<br />

complesso:<br />

• Caseine: sono diverse (alfa, beta, k e caseine minori) e sono molecole che formano micelle di diametro<br />

variabile unendosi insieme.<br />

• Proteine del siero: sono quelle che non restano imprigionate nella cagliata all’atto della coagulazione e<br />

sono rappresentate principalmente da alfa – lattoalbumina e beta – lattoglobulina.<br />

• Azoto non proteico: costituito soprattutto da urea che, sintetizzata dal fegato passa direttamente al latte<br />

senza modifiche. Questa è una frazione che non ha interesse particolare dal punto di vista caseario.<br />

Di queste componenti la frazione più importante è costituita dalle caseina che sono il 77% del totale, seguite<br />

dalle proteine del siero (18%) e dall’azoto non proteico (5%).<br />

La sintesi delle proteine avviene ad opera delle cellule mammarie a partire dagli amminoacidi contenuti nel<br />

sangue e provenienti per lo più dall’assorbimento intestinale.<br />

Il contenuto medio di proteine nel latte varia tra 3,1% e 3,4% ma, come per il grasso, il dato è soggetto ad<br />

altissima variabilità dovuta a cause che si possono sovrapporre a quelle del grasso:<br />

Quali sono dunque gli accorgimenti che l’allevatore deve adottare per massimizzare il tenore di grasso e di<br />

proteine? Premesso che la selezione genetica è in grado di mettere le basi per produrre latte con buoni<br />

contenuti, l’allevatore può intervenire in maniera determinante agendo sul fattore più importante che è<br />

l’alimentazione, curando e controllando lo stato sanitario della mandria, adottando una tecnica di mungitura<br />

precisa e igienicamente corretta, migliorando laddove possibile le condizioni di stabulazione degli animali.<br />

La caseina costituisce la vera e propria materia prima del formaggio da cui dipendono gran parte delle<br />

caratteristiche reologiche della cagliata, la capacità di contrazione della massa caseosa ed il rendimento<br />

della trasformazione casearia, nonché le proprietà fisico-chimiche e funzionali del prodotto finito. Il contenuto<br />

di caseina svolge un ruolo fondamentale, con il grasso, nella determinazione della resa della trasformazione<br />

casearia.<br />

La quantità di formaggio varia quindi in relazione diretta con la caseina e in misura tanto più stretta quanto<br />

più basso è il rapporto grasso:caseina del latte in caldaia. Per quanto riguarda il <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> le<br />

osservazioni disponibili indicano chiaramente che la resa in formaggio è fortemente associata al contenuto in<br />

caseina del latte.<br />

Il contenuto di caseina concorre in misura importante alla determinazione delle caratteristiche reologiche del<br />

latte con particolare riferimento alla consistenza del coagulo ed alle proprietà funzionali del reticolo<br />

caseinico, cui si rapportano i requisiti di e<strong>last</strong>icità, permeabilità, omogeneità e compattezza della massa<br />

caseosa.<br />

È noto che i latti più ricchi di caseina danno normalmente origine a cagliate dotate di maggiore consistenza.<br />

Questo peculiare ruolo della caseina risulta cruciale nelle specifiche condizioni tecnologiche di produzione<br />

dei formaggi Grana Padano e <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>. Il latte con più caseina fornisce un coagulo dotato di<br />

maggiore consistenza e di migliore attitudine alla sineresi. Esso manifesta una maggiore forza di<br />

49


contrazione, cui corrisponde una più elevata capacità di spurgo per unità di tempo, condizione importante<br />

per ottenere un formaggio con idoneo gradiente di umidità. Nella produzione del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> la<br />

cagliata ottenuta da un latte ricco di caseina raggiunge un buon grado di rassodamento; i granuli caseosi<br />

sono dotati di maggiore consistenza ed e<strong>last</strong>icità e manifestano una buona capacità di coesione e di spurgo;<br />

il siero risulta meno torbido (indice di minori perdite di grasso e di caseina); la massa caseosa all'estrazione<br />

dalla caldaia presenta migliore impasto e maggiore uniformità e la forma sul banco risulta giustamente<br />

e<strong>last</strong>ica, consistente e permeabile. Il contenuto di caseina rappresenta non soltanto il più importante criterio<br />

nella valutazione della qualità del latte da un punto di vista del suo rendimento caseario (resa industriale),<br />

ma anche un parametro indubbiamente significativo ai fini della determinazione della qualità del formaggio<br />

(resa commerciale).<br />

La caseina allo stato nativo, strutturata in micelle che si originano dalla aggregazione di subunità costituite<br />

dalle frazioni α s1, α s2, β e k con il concorso del fosfato di calcio colloidale, è interamente destinata a formare<br />

la massa caseosa, il formaggio. Le variazioni quanti-qualitative della caseina si ripercuotono, oltre che sulla<br />

resa della trasformazione, su tutte le caratteristiche reologiche della cagliata, con riflessi diretti sulla tessitura<br />

della pasta e sulla qualità del formaggio. La composizione, le proprietà fisico-chimiche, nonché la struttura<br />

intima del sistema micellare del latte rappresentano la risultante di complesse interazioni tra le numerose<br />

componenti in gioco (concentrazione ripartizione e tipo genetico delle caseine, fosfato di calcio colloidale,<br />

calcio caseinato, etc.), viste in stretto rapporto dinamico con la fase solubile del latte. Anche piccole<br />

variazioni possono esercitare un'influenza importante sullo stato di aggregazione delle submicelle e quindi<br />

sul grado di dispersione dell'intero sistema micellare.<br />

I sistemi micellari più uniformi, comunque contraddistinti da maggiori proporzioni di micelle di piccole<br />

dimensioni, come, ad esempio, quelli caratterizzati dalla presenza della k-caseina B, tendono a coagulare in<br />

minor tempo. Le varianti delle caseine k e β esercitano un ruolo fondamentale in tutte le fasi della<br />

coagulazione presamica del latte. Il latte k-caseina B manifesta una maggiore reattività con il caglio e<br />

presenta una migliore attitudine alla formazione del coagulo, il cui reticolo tende ad essere più compatto e<br />

più e<strong>last</strong>ico rispetto a quello di tipo k-caseina A. In tali condizioni le perdite di caseina e di grasso risultano<br />

inferiori, con ripercussioni favorevoli sulla resa e sulla qualità del formaggio. Anche il latte β -caseina B tende<br />

a coagulare in tempi sensibilmente inferiori rispetto a quello di tipo β -caseina A, con effetti importanti sulla<br />

velocità di formazione del coagulo e di riflesso anche sulla sua consistenza. Un carattere distintivo<br />

importante, comune alle varianti B di k-caseina e di β -caseina, è quello di determinare condizioni fisicochimiche<br />

particolarmente favorevoli alla velocità di aggregazione delle micelle di paracaseina, in misura tale<br />

da rendere sensibilmente più breve il tempo di rassodamento del coagulo, caratteristica di preminente<br />

interesse tecnologico-caseario.<br />

50


Elaborazioni dei risultati ottenuti per i diversi parametri analitici<br />

Si riportano i risultati analitici ottenuti dai tre laboratori che partecipano a SiQuILaCa in 13 mesi di attività. Nell’insieme i<br />

record afferiscono a un totale di 1.618 allevamenti che conferiscono il latte a 175 caseifici delle 5 provincie del<br />

comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>.<br />

Sono stati sottoposti ad elaborazione statistica, utilizzando il software di elaborazione SPSS, 33.629 record analitici. I<br />

dati sono relativi a tutti parametri che concorrono a definire la qualità del latte per <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> e che vengono<br />

utilizzati per la valutazione tecnico-economica dello stesso. La carica batterica totale è stata effettuata utilizzando a<br />

regime le apparecchiature Bactoscan FC50 in dotazione ai tre laboratori.<br />

La distribuzione dei record analitici per provincia del comprensorio è la seguente:<br />

Mantova Parma Reggio Emilia Modena Bologna Totale complessivo<br />

3.389 20.156 4.600 5.088 396 33.629<br />

La tabella sottostante mostra la media dei singoli parametri, che presentano valori continui, nelle diverse provincie:<br />

Parametri Mantova Parma Reggio Emilia Modena Bologna MediaTotale<br />

Acidità SH/50 ml 3,25 3,19 3,21 3,22 3,29 3,21<br />

Cellule somatiche x .000 256,58 383,27 306,60 313,71 297,21 348,68<br />

Coliformi ufc 1264,10 340,49 1809,37 2002,81 1134,26 1540,87<br />

Grasso % 3,53 3,56 3,56 3,63 3,62 3,57<br />

Caseina % 2,50 2,51 2,47 2,49 2,50 2,50<br />

CBT ufc x .000 75,05 113,35 119,09 139,91 311,67 116,63<br />

Come si può notare tutti i parametri presentano, fra le diverse provincie, una discreta uniformità di valori medi, in<br />

particolare acidità, grasso e caseina. La numerosità dei campioni che afferiscono alla provincia di Parma condiziona la<br />

media generale.<br />

Per ottenere un quadro abbastanza completo delle analisi effettuate e di come queste si pongono rispetto a risultati<br />

storici e/o ad andamenti tipici è stato analizzato l’andamento dei valori medi mensili dei diversi parametri.<br />

Dai grafici che seguono si evidenzia un normale effetto stagionale sui valori medi assunti dai parametri nel corso del<br />

2006.<br />

3,28<br />

3,26<br />

3,24<br />

3,22<br />

3,2<br />

3,18<br />

3,16<br />

3,14<br />

3,12<br />

3,1<br />

Andamento stagionale Acidità SH/50ml - Valori medi mensili<br />

nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />

I valori massimi di acidità vengono raggiunti nel mese di dicembre mentre quelli minimi nel mese di luglio.<br />

L’andamento dei dati in grafico è tipico rispetto a quanto rilevato in letteratura. Nel mese di agosto si deve rilevare un<br />

innalzamento dell’acidità leggermente superiore all’atteso, forse a causa di particolari condiziono climatiche favorevoli<br />

che si sono registrate in questo mese nel 2006.<br />

51


Lo stesso fenomeno positivo si evidenzierà successivamente anche a carico di altri parametri.<br />

4,8<br />

4,7<br />

4,6<br />

4,5<br />

4,4<br />

4,3<br />

4,2<br />

4,1<br />

Andamento stagionale conteggio cellule somatiche - Valori medi mensili di linear score<br />

nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />

Anche l’andamento dei valori delle cellule somatiche, espresso come punteggio linear score, è tipico: i valori più<br />

favorevoli vengono raggiunti all’inizio della primavera mentre quelli che denunciano una maggiore sofferenza<br />

dell’apparato mammario si evidenziano nei mesi estivi, in particolare luglio e agosto.<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

Andamento stagionale conteggio coliformi - Valori medi mensili<br />

nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />

Per quanto riguarda i coliformi si evidenziano valori medi al di sopra della media annuale nei mesi relativi alla tarda<br />

primavera ed estate. Come accennato in precedenza il mese di agosto, caratterizzato da temperature non troppo<br />

elevate, ha consentito di ottenere buoni risultati per quanto riguarda questo parametro.<br />

Il grafico relativo ai contenuti percentuali di grasso e caseina dei latti di massa mostra anche in questo caso un tipico<br />

andamento stagionale. I dati assumono i valori massimi mesi invernali e i minimi in luglio.<br />

Lo stesso si può affermare per quanto riguarda l’andamento dei valori medi di carica batterica totale effettuata mediante<br />

Bactoscan. Anche nel caso della CBT il mese di agosto caratterizzato da temperature non troppo elevate ha,<br />

probabilmente, consentito di ottenere buoni risultati.<br />

I grafici e le tabelle offrono una visione d’insieme dei dati che consente di formulare un giudizio di “normalità”<br />

complessiva sul set di dati riferita allo storico e all’espressione di variabili che dipendono dalla stagione.<br />

52


grasso %<br />

ufc x .000<br />

3,75<br />

3,7<br />

3,65<br />

3,6<br />

3,55<br />

3,5<br />

3,45<br />

3,4<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0<br />

Andamento stagionale grasso e caseina % - Valori medi mensili<br />

nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />

Andamento stagionale CBT totale - Valori medi Mensili<br />

nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06<br />

L’analisi statistica vera e propria ha permesso di individuare di range effettivi di normalità dei dati dei singoli parametri e<br />

pertanto di individuare i dati analitici al di sopra o al di sotto dei quali i valori ottenuti possono essere considerati frutto di<br />

un errore (di campionamento, di analisi, di trascrizione, ecc.).<br />

Per ogni parametro è stata individuata la media, il valore minimo e massimo presente all’interno del database, la<br />

deviazione standard, il coeficiente di variazione %, il limite inferiore e superiore di normalità. Tali limiti sono stati utilizzati<br />

per stabilire i valori al di sopra o al di sotto dei quali i risultati analitici vengono considerati anomali e sottoposti a verifica.<br />

Per quanto riguarda i parametri cellule somatiche e CBT vengono effettuate apposite trasformazioni logaritmiche al fine<br />

di rendere la distribuzione dei valori normale. Per questo motivo nella tabella che segue sono indicati in un caso il<br />

cosidetto linear score per quanto riguarda le cellule somatiche e il log in base 10 per la CBT. In entrambi i casi, per<br />

facilitare la lettura, segue anche il valore corrispondente ritrasformato in numeri normali; ovviamente, in questo caso - ad<br />

esempio - la media non corrisponde al valore precedentemente indicato frutto della media aritmetica dei valori.<br />

Media Massimo Minimo Dev Std CV% Limite inf Limite sup<br />

Acidità 3,21 5,00 2,50 0,17 5,18 2,78 3,63<br />

Cellule punt. Linear Score 4,53 9,38 -0,64 0,89 19,73 2,20 6,90<br />

Cellule n. x .000 288,65 8.306 8,00 23,23 8,05 57,43 1.492,85<br />

Grasso % 3,57 7,94 1,17 0,31 8,66 2,70 4,43<br />

Caseina % 2,50 4,12 3,64 0,12 4,83 2,19 2,80<br />

log CBT 4,58 7,48 3,48 059 12,88 4,55 4,57<br />

CBT ufc x .000 116.627 12.595.000 3.000 327.290 281 113.129 120.126<br />

53<br />

2,6<br />

2,58<br />

2,56<br />

2,54<br />

2,52<br />

2,5<br />

2,48<br />

2,46<br />

2,44<br />

2,42<br />

2,4<br />

caseina %


I grafici che seguono mostrano la distribuzione dei parametri sopra tabulati.<br />

54


Per quanto riguarda i coliformi in considerazione dell’elevato numero di analisi con risultato pari a zero e la bassa<br />

frequenza di esecuzione dell’analisi stessa si è optato per mostrare la distribuzione dei dati in base a classi di frequenza.<br />

56


Coliformi f F (%)<br />

< 100 3.786 65,60<br />

100-1000 753 13,05<br />

1000-10000 1.088 18,85<br />

10000-100000 139 2,41<br />

> 100000 5 0,09<br />

Totale 5.771 100,00<br />

Entro le 10.000 ufc/ml si posizione oltre il 97% dei campioni: devono essere considerati anomali valori che portano ad<br />

innalzare la frequenza delle due ultime classi. La tabella e il grafico che seguono mostrano la distribuzione dei campioni<br />

fra due classi: positivi e negativi alla ricerca delle spore di Clostridium con metodo indiretto. Scostamenti rapidi della<br />

frequenza di queste classi devono destare sospetto.<br />

Clostridium f F (%)<br />

Negativo 25.603 80,54<br />

Positivo 6.188 19,46<br />

Totale 31.791 100,00<br />

Tipo LDG f F (%)<br />

A 5743 35,22<br />

AB 57 0,35<br />

AD 18 0,11<br />

AE 1293 7,93<br />

B 959 5,88<br />

C 6 0,04<br />

D 8 0,05<br />

DD 1 0,01<br />

E 2563 15,72<br />

EA 5431 33,30<br />

EF 161 0,99<br />

F 31 0,19<br />

FF 37 0,23<br />

Totale 16308 100,00<br />

57


percentuale<br />

90,0<br />

80,0<br />

70,0<br />

60,0<br />

50,0<br />

40,0<br />

30,0<br />

20,0<br />

10,0<br />

0,0<br />

82,8<br />

16,8<br />

La frequenza del tipo LDG, vale a dire le caratteristiche del latte che individuano l’attitudine alla coagulazione dello<br />

stesso, sono mostrate nella tabella e nel grafico soprastanti. Anche in questo caso rapide importanti variazioni di queste<br />

frequenze devono essere considerate anomale.<br />

58<br />

0,2 0,2<br />

A-B-C D-E F-DD FF<br />

LDG


Proposta di modifica del parametro CBT nel metodo di pagamento<br />

Il metodo convenzionale sinora utilizzato nel Comprensorio del <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong> per definire il livello di carica<br />

batterica totale presente nel latte è quello della stima della carica batterica tramite resazurina. Il valore ottenuto entra<br />

come parametro nel modello per il pagamento del latte a qualità.<br />

Il confronto fra la metodica BactoScan e quelle di uso convenzionale nel comprensorio, al fine di validarne l'uso e<br />

stabilire un legame fra i risultati ottenuti con i due metodi tale da consentire di ridefinire la griglia parametrica per il<br />

pagamento latte qualità, ha permesso di mettere in evidenza che la prova della resazurina può discriminare diverse<br />

entità di carica batterica ma solo se le differenze sono fra loro molto rilevanti. Nel contesto attuale è necessario<br />

discriminare cariche basse da cariche batteriche bassissime e pertanto sono richiesti livelli di sensibilità e accuratezza<br />

analitica molto elevate, prestazioni queste che, alla luce dei risultati ottenuti, l’apparecchiatura fluoroptimmetrica<br />

acquisita dai laboratori di SiQuILaCa sembra in grado di garantire.<br />

Sulla base di queste considerazioni non sono state utilizzate direttamente le classi medie di CBT individuate dal<br />

confronto diretto fra le due metodiche ma, al fine di individuare classi di CBT determinata in modo diretto più aderenti agli<br />

obiettivi e alla realtà produttiva, è stato sottoposto ad analisi statistica il set di analisi sulla carica batterica frutto della<br />

fase pilota di applicazione della metodica. L’elaborazione statistica dei dati analitici disponibili del CBT attraverso l’analisi<br />

della varianza e il test di separazione delle medie di Duncan ha permesso di individuare classi di CBT differenti fra loro<br />

con un livello di probabilità del 0.95 %. Le elaborazioni statistiche sono state effettuate con il programma statistico SPSS.<br />

ANOVA univariata<br />

Somma dei quadrati df Media dei quadrati F Sig.<br />

Fra gruppi 427620058,110 3 14254<strong>001</strong>9,370 2184,018 ,000<br />

Entro gruppi 153046511,137 2345 65265,037<br />

Totale 580666569,247 2348<br />

Test di Duncan CBT<br />

CBT N Sottoinsieme per alfa = .05<br />

1 2 3 4<br />

≤100 1697 34,46<br />

101 - 316 364 182,75<br />

317 - 1000 204 547,29<br />

≥ 1<strong>001</strong> 84 2262,12<br />

Frequenza CBT<br />

10000<br />

8000<br />

6000<br />

4000<br />

2000<br />

0<br />

346<br />


Come si può notare l’elaborazione statistica, effettuata utilizzando la trasformazione logaritmica usale per le elaborazioni<br />

dei dati microbiologici - successivamente ritrasformati in numeri naturali -, permette di individuare 4 classi di carica<br />

batterica significativamente differenti:<br />

100.000 300.000 1.000.000.<br />

Simulazione e valutazione degli effetti sul sistema di pesatura economica<br />

Sono stati simulati gli effetti dell’introduzione di una nuova griglia parametrica per la valutazione della qualità<br />

microbiologica del latte sul punteggio della qualità del latte.<br />

Nelle discussioni con il gruppo di lavoro si è optato per valutare non solo la griglia derivata dall’analisi statistica ma<br />

anche altre che da questa discendono ma che, almeno in via preliminare sembravano rappresentare un passaggio meno<br />

brusco fra sistemi di valutazione sia dal punto di vista tecnico, sia tenendo in considerazione la “psicologia” dei fruitori.<br />

Si seguito si riportano le griglie di valutazione con i relativi punteggi assegnati alle diverse classi adottate nella fase di<br />

simulazione.<br />

Griglie classi punteggio<br />

CBT – met. 1992<br />

CBT – met. 1<br />

n. x.000<br />

CBT – met 2<br />

n. x.000<br />

CBT met 3<br />

n. x.000<br />

CBT met 4<br />

n. x.000<br />

Normale (N)<br />

Elevata (E)<br />

Elevatissima (EE)<br />

300 800<br />

100 300 600 1.000<br />

300 600 1.000<br />

100 300 1.000<br />

Gli effetti della simulazione di queste 5 griglie di valutazione sul set di analisi (n. 442 analisi) che prevedevano la doppia<br />

determinazione – resazurina e CBT diretta, sono riportati nelle tabelle che seguono. Lo scopo è stato quello di<br />

individuare gli scostamenti delle nuove potenziali griglie rispetto a quella in uso.<br />

60<br />

3<br />

0<br />

-3<br />

3<br />

0<br />

-3<br />

3<br />

1<br />

0<br />

-3<br />

-6<br />

3<br />

0<br />

-3<br />

-6<br />

3<br />

1<br />

0<br />

-4<br />

RESAZURINA<br />

Valori E EE N Totale complessivo<br />

n. campioni 132 38 272 442<br />

Media punti per analisi 0 -3 3 1,59<br />

Dati Totale<br />

Media CBT 1357,82<br />

Punteggio tot met 1992 702 Media punti met 1992 1,59<br />

Punteggio tot met 1 -84 Media punti met 1 -0,19<br />

Punteggio tot met 2 -755 Media punti met 2 -1,71<br />

Punteggio tot met 3 -633 Media punti met 3 -1,43<br />

Punteggio tot met 4 -272 Media punti met 4 -0,61<br />

Come si può notare la CBT media di questo set di analisi è piuttosto elevata, ma ciononostante il met 1992 assegna un<br />

punteggio medio per analisi pari a 1,59 punti, al contrario di quanto avviene utilizzando tutte e 4 le altre griglie che<br />

addirittura assegnano un punteggio medio per analisi negativo seppure con severità diverse; vale a dire che in questi


casi il punteggio assegnato alla CBT andrebbe sottratto a quello complessivamente assegnato agli altri parametri di<br />

valutazione delle caratteristiche qualitative del latte.<br />

La scala in ordine crescente di severità è la seguente:<br />

1. met 1<br />

2. met 4<br />

3. met 3<br />

4. met 2<br />

La griglia che tende, su questo set di dati, a penalizzare maggiormente una scarsa qualità microbiologica del latte è<br />

pertanto la seguente.<br />

CBT – met 2<br />

n. x.000<br />

100 300 600 1.000<br />

Questa griglia al contrario delle altre, in situazioni abbastanza scadenti dal punto di vista della qualità microbiologica del<br />

latte, presentando due classi di valore al disopra dei 300.000 germi per ml, determina una maggiore penalizzazione per i<br />

valori analitici che si posizionano in questa zona.<br />

Le quattro griglie di valutazione della CBT diretta sono state utilizzate anche in riferimento a situazioni reali di strutture di<br />

trasformazione. In ognuno di questi casi sono stati calcolati i punteggi quindicinali e mensili ottenuti utilizzando assieme<br />

ai punteggi delle 4 distinte griglie anche tutti gli altri parametri di valutazione della qualità del latte con lo scopo di<br />

valutare la reale incidenza di un metodo rispetto all’altro sul punteggio finale e di conseguenza sulla valutazione tecnicoeconomica<br />

del latte base per la determinazione del pagamento dello stesso. I risultati ottenuti visti nel loro insieme non<br />

differiscono in modo sostanziale fra i diversi caseifici. Mediamente il met 2 risulta sempre quello più severo seguito dal 4,<br />

dal 3 e dall’1.<br />

Dai risultati ottenuti si evince che l’incidenza del parametro CBT a seconda della griglia utilizzata varia dal 7 al 7,8% e<br />

che, sulla totalità dei dati, il metodo 2 è sostanzialmente analogo al metodo 4, così come il 3 agisce in modo simile al<br />

metodo 1.<br />

In conclusione si può affermare che il met 2 seguito dal 4 sono quelli che più tendono a penalizzare una qualità<br />

microbiologica del latte scadente, anche se non pessima. In entrambi i casi viene distinta e premiata maggiormente la<br />

fascia di carica batterica


I Partner di SiQuILaCa<br />

CRPA SpA promuove innovazione e trasferimento di conoscenze e<br />

tecnologie individuate con la conduzione e la gestione di progetti di<br />

ricerca e sperimentazione.<br />

Corso Garibaldi 42 – 42100 Reggio Emilia<br />

Paola Vecchia - p.vecchia@crpa.it<br />

Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong> <strong>Reggiano</strong> attua tutte le iniziative dirette al miglioramento<br />

tecnico e qualitativo del formaggio sottoposto alla sua tutela.<br />

Via JF Kennedy 17 – 42100 Reggio Emilia<br />

Marco Nocetti - nocetti@parmigiano-reggiano.it<br />

I tre laboratori di analisi aderenti a SiQuILaCa forniscono servizi complessivamente a circa il 60% dei<br />

caseifici (a cui fa riferimento circa il 75% delle aziende zootecniche che producono latte per <strong>Parmigiano</strong>-<br />

<strong>Reggiano</strong>) per il controllo qualità del latte e del formaggio, per l’assistenza tecnica al processo di produzione,<br />

oltre che per la creazione e il mantenimento di Sistemi Qualità, HACCP e rintracciabilità.<br />

Via Polonia 33 – 49100 Modena<br />

Alessandra Carletti<br />

acarletti@artecasearia.it<br />

Str. Torelli 17 – 43100 Parma<br />

Sandro Sandri<br />

clc@interfree.it<br />

62<br />

Via Quaresimo 6 – 42100 Reggio E.<br />

Massimo Vergnani<br />

salc.analisi@tin.it<br />

Il Centro per l’Innovazione SiQuILaCa si avvale della collaborazione scientifica del<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bologna.<br />

I testi, salvo diversamente indicato, sono a cura dei componenti del gruppo di lavoro:<br />

Alessandra Carletti (Arte Casearia), Luigi Grazia (Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli<br />

Studi di Bologna), Marco Nocetti e Paolo Reverberi (Consorzio del Formaggio <strong>Parmigiano</strong>-<strong>Reggiano</strong>),<br />

Sandro Sandri (Centro Lattiero Caseario), Paola Vecchia (Centro Ricerche Produzioni Animali- C.R.P.A.<br />

S.p.A.), Massimo Vergnani (Salchim).

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