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08.06.2013 Views

“Un’altra luce torna, un’altra va, cielo di chiusa tenebra d’azzurro, muschio di pietra e sogno, cani lontani salgono quel monte, umido della pioggia che c’è stata, stazione del mio essere, svanire.” nostro lunedì numero 0 nuova serie lorenzo lotto - l’attimo terrestre «Tu sei destinato a un gran lunedì!» «Ben detto, ma la domenica non finisce mai.» Franz Kafka “La vita è come una strada fatta di tanti lunedì e sempre la speranza della domenica”. numero 0 nuova serie lorenzo lotto l’attimo terrestre Silvio D’Arzo

“Un’altra luce torna, un’altra va,<br />

cielo di chiusa tenebra d’azzurro,<br />

muschio di pietra e sogno,<br />

cani lontani salgono quel monte,<br />

umido della pioggia che c’è stata,<br />

stazione del mio essere, svanire.”<br />

nostro lunedì<br />

numero 0 nuova serie<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

«Tu sei destinato a un gran lunedì!»<br />

«Ben detto, ma la domenica non finisce mai.»<br />

Franz<br />

Kafka<br />

“La vita è come una strada fatta di tanti lunedì<br />

e sempre la speranza della domenica”.<br />

numero 0 nuova serie <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong><br />

l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

Silvio<br />

D’Arzo


«Tu sei destinato a un gran lunedì!»<br />

«Ben detto, ma la domenica non finisce mai.»<br />

numero 0 nuova serie <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong><br />

l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

Questo numero speciale della rivista<br />

è pubblicato in occasione della mostra<br />

“Lorenzo Lotto” - Scuderie del Quirinale<br />

Roma 2 marzo / 12 giugno 2011 -<br />

di cui la <strong>Regione</strong> <strong>Marche</strong> è partner istituzionale<br />

ed è dedicato alla cara memoria di Pietro Zampetti<br />

ringraziamenti<br />

a Luciano Goffi, direttore generale<br />

di UBI>


<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

sommario<br />

02.<br />

pietro marcolini<br />

“per <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong>”<br />

03.<br />

luciano goffi<br />

“ancora qui”<br />

04.<br />

f.s.<br />

“lascito”<br />

05.<br />

fabio pusterla<br />

“tragicamente immobili”<br />

06.07.<br />

pietro zampetti<br />

marco puca<br />

“gli affreschi di trescore”<br />

08.09.<br />

edoardo albinati<br />

“<strong>lotto</strong> camuffato”<br />

10.11.<br />

michele polverari<br />

costanza costanzi<br />

“sulla pala dell’alabarda”<br />

12.<br />

andrea carnevali<br />

“pompeo morganti.<br />

un richiamo lontano”<br />

13.<br />

daniela simoni<br />

“il miracolo della vita”<br />

14.17.<br />

vito punzi<br />

“santa lucia”<br />

18.24.<br />

francesco scarabicchi<br />

“dal diario”<br />

25.<br />

loretta mozzoni<br />

“un orizzonte nuovo”<br />

26.27.<br />

massimo raffaeli<br />

“giovanni serodine.<br />

una gita ticinese”<br />

28.29.<br />

giulio angelucci<br />

“fiaccola (spenta)”<br />

30.31.<br />

adrian n. bravi<br />

“l’aureola<br />

di san giacomo maggiore”<br />

32.33.<br />

cristina babino<br />

“elogio della mano”<br />

nostro lunedì<br />

34.35.<br />

enrico capodaglio<br />

“l’annunciazione di celeste”<br />

36.<br />

alessandra giappi<br />

“elogio <strong>delle</strong> cose”<br />

37.38.<br />

marcello verdenelli<br />

“il gatto che fugge”<br />

39.<br />

antonella anedda<br />

“spavento”<br />

40.<br />

stefano simoncelli<br />

“con la luce di <strong>lorenzo</strong>”<br />

41.<br />

giulia lavagnoli<br />

“l’anafora dei fiori”<br />

42.<br />

marta paraventi<br />

“la rosa di cingoli”<br />

43.<br />

umberto piersanti<br />

“adorazione dei pastori”<br />

44.47.<br />

bernard berenson<br />

anna banti<br />

“dittico”


2<br />

per<br />

pietro marcolini<br />

assessore alla Cultura della <strong>Regione</strong> <strong>Marche</strong><br />

<strong>lorenzo</strong><br />

<strong>lotto</strong><br />

La <strong>Regione</strong> <strong>Marche</strong> partecipa come partner istituzionale<br />

alla mostra dedicata a Lorenzo Lotto,<br />

in programma, a Roma, dal 2 marzo al 12 giugno<br />

presso le Scuderie del Quirinale.<br />

I rapporti di Lotto con le <strong>Marche</strong> sono stati continui<br />

e le opere marchigiane prese nel loro insieme<br />

consentono di ripercorrere la genesi, il significato<br />

e lo sviluppo del suo intero itinerario artistico.<br />

In onore a questo artista che ha così tanto<br />

segnato la storia culturale <strong>delle</strong> <strong>Marche</strong>, la<br />

<strong>Regione</strong> ha stabilito di sostenere le indagini<br />

diagnostiche sulle opere marchigiane del maestro,<br />

di promuovere i risultati <strong>delle</strong> indagini<br />

con un volume scientifico Lorenzo Lotto nelle<br />

<strong>Marche</strong>, di collaborare con gli enti locali e<br />

la Soprintendenza per assicurare le attività di<br />

prestito e il restauro dei dipinti.<br />

Ad integrazione di queste attività di carattere<br />

scientifico, la <strong>Regione</strong> <strong>Marche</strong> è partner anche<br />

del progetto “Terre di Lotto”, ideato per valorizzare<br />

e promuovere, in modo congiunto con i territori<br />

della Lombardia e del Veneto, la pittura del<br />

grande artista attraverso un progetto culturale e<br />

turistico di alto profilo.<br />

Si tratta di azioni mirate e coordinate a fare in<br />

modo che oltre la mostra - l’evento romano che<br />

consacrerà definitivamente Lorenzo Lotto come<br />

uno dei geni della pittura italiana agli occhi del<br />

pubblico - i riflettori siano sempre accesi sui<br />

luoghi che ha amato, in cui è vissuto e dove ha<br />

sempre sapientemente operato.<br />

Un riconoscimento particolare a nostro lunedì<br />

per aver scelto di dedicare un numero speciale<br />

della rivista all’opera marchigiana del Lotto<br />

evidenziandone gli apporti e il valore contemporaneo<br />

della sua poetica.<br />

ancora qui<br />

La Banca Popolare di Ancona è nata nelle <strong>Marche</strong><br />

e con le <strong>Marche</strong> è cresciuta, condividendone<br />

i valori, interpretandone i bisogni, favorendone<br />

lo sviluppo. Quando si veniva affermando<br />

quello che Giorgio Fuà definì brillantemente il<br />

“modello marchigiano”, la Banca Popolare di<br />

Ancona c’era. Era lì, al fianco del “contadinooperaio”<br />

che, senza abbandonare i campi arati,<br />

lavorava nella fabbrica, e spesso apriva la sua<br />

officina, cooperando per sviluppare il distretto;<br />

al fianco del negozio sotto casa che allargava il<br />

suo commercio; vicino al padre di famiglia che<br />

faceva studiare i figli e aveva in mente per loro<br />

una casa e una vita migliore.<br />

Mentre le <strong>Marche</strong> vivevano quella straordinaria<br />

stagione di sviluppo e si trasformavano da<br />

terra di mezzadri e pastori a culla dei distretti<br />

industriali, la Banca Popolare di Ancona era lì.<br />

Era nella Jesi, piccola Milano, nell’Ancona del<br />

commercio, nella Fabriano dell’industria, nella<br />

Senigallia del turismo. E poi nella terra laboriosa<br />

di Macerata e <strong>delle</strong> sue montagne, in mezzo agli<br />

straordinari maestri della calzatura, tra i moderni<br />

falegnami pesaresi, tra le cento torri ascolane.<br />

È questo il terreno dove le radici crescono robuste.<br />

Un rapporto profondo tra gli uomini della banca e<br />

la nostra gente marchigiana, un rapporto fatto di<br />

ascolto, di semplicità, di fiducia data e ricevuta.<br />

La Banca poi è cresciuta, ha conosciuto altri<br />

luoghi, altre genti, instaurando anche con esse<br />

quel rapporto che fa crescere i Territori.<br />

nostro lunedì<br />

3<br />

luciano goffi<br />

direttore generale UBI>< Banca Popolare di Ancona<br />

E poi, negli anni ’90 - con l’occhio che guarda lontano e vede il mondo<br />

che cambia - il passo responsabile e impegnativo <strong>delle</strong> alleanze: unire<br />

le forze per essere insieme più forti, unirle con un’altra grande banca<br />

popolare, quella di Bergamo, ricca della stessa storia, di altrettanto forti<br />

radici; unirsi per dare più slancio all’economia che entra nella globalizzazione,<br />

per non vacillare mai di fronte alle sfide dei tempi difficili.<br />

Da quell’alleanza - che la Popolare di Ancona ha reso vitale - è cresciuto<br />

poi, nel tempo, un grande gruppo bancario, Ubi, il quarto in<br />

Italia, uno dei più solidi.<br />

Ma dopo tanta strada percorsa, tanti Uomini che ne hanno attraversato<br />

la storia, la Popolare di Ancona è ancora qui, nelle <strong>Marche</strong>, con le <strong>Marche</strong>;<br />

a fare squadra con chi - tra le Istituzioni, le Associazioni, i Confidi, i<br />

Professionisti - lavora in questi tempi complessi, con impegno e responsabilità,<br />

per sconfiggere i virus della recessione, per portare le nostre imprese<br />

verso i mercati lontani, per aprire nuove speranze ai nostri giovani.<br />

Conoscere intimamente un Territorio dà consapevolezza dei suoi limiti,<br />

<strong>delle</strong> debolezze da correggere; ma anche dei valori da esaltare, <strong>delle</strong> eccellenze<br />

da promuovere, come nel caso di nostro lunedì.<br />

E la Banca è sempre lì, al fianco di chi vuole ancora competere nella<br />

manifattura sfidando con la qualità i mercati che crescono; di chi fa rete<br />

per arrivare più lontano.<br />

Al fianco di chi comprende quanto belle sono le nostre colline, il nostro<br />

mare, le nostre montagne; quanto ricche d’arte e di cultura sono<br />

le nostre città; quanto eccellenti le produzioni della nostra terra e <strong>delle</strong><br />

nostre fabbriche; e come queste “<strong>Marche</strong> d’eccellenza” possono diventare<br />

un’offerta accattivante per il turista, per il visitatore, affinché abbia<br />

voglia di fermarsi, di gustare, di condividere, di scoprire.<br />

Chi lavora avendo in mente questo obiettivo sa che noi della Banca Popolare<br />

di Ancona sappiamo dargli la nostra fiducia e, quando serve, il<br />

nostro consiglio per programmare, le risorse per investire, il sostegno per<br />

promuovere, la nostra faccia per essere insieme.


<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

“Lotto mi parla con una immediatezza assai<br />

maggiore di quanto mi accada con qualsiasi<br />

altro artista in qualsiasi altra forma d’arte visiva”.<br />

È Bernard Berenson. Umilmente, posso<br />

accodarmi e dire che sento mie le sue parole<br />

così come ho sempre sentito quel “sentimento”<br />

acuto e incancellabile. Anzi, quel sentimento s’è<br />

fatto, nel tempo, col tempo, incurabile e profondo<br />

tanto da portarmi a pensare che la presenza<br />

del Lotto nelle <strong>Marche</strong> ha mutato, non so come,<br />

non so perché, la stessa natura della percezione<br />

dettando un’altra grammatica, un’altra sintassi<br />

dello sguardo fino a noi. Lotto è più che mai<br />

un contemporaneo che, attraversando il silenzio<br />

dei secoli, è stato raggiunto dal nostro presente<br />

che non è solo un presente d’arte, ma di sensibile<br />

modo d’essere nella vita, precursore <strong>delle</strong><br />

inquietudini di Shakespeare, anticipatore di Amleto,<br />

solitario e febbrile interrogatore del dubbio.<br />

Quando, dopo un lungo meditare, ho scelto, nel<br />

cammino non certo facile di nostro lunedì, di dedicare,<br />

in occasione della mostra romana, uno<br />

“speciale” che concentrasse la sua attenzione<br />

sul Lotto marchigiano, sul lessico dei “dettagli”,<br />

sulla poetica <strong>delle</strong> cose viste da un coro plurale<br />

di testimoni, mi si è aperto un altro piccolo<br />

orizzonte di opportunità che spero contribuiscano<br />

a condurre altra luce verso la luce lottesca,<br />

quel fraseggio obliquo del chiaro e dell’ombra,<br />

editoriale<br />

lascito<br />

f.s.<br />

una conduzione di parole che avvicinino il più possibile alla “verità che<br />

giace al fondo”, all’indicibile segreto muto che l’arte stessa tramanda e<br />

consegna, volta per volta. Le opere marchigiane del Lotto concorrono a<br />

formare quel catalogo o atlante del lavoro del maestro veneziano che<br />

nutre il Rinascimento e l’intera pittura italiana della tradizione che si<br />

fa “adesso” per verticale vocazione a stare nella storia, a coniugare la<br />

storia all’epoca, alle differenti forme della coscienza e della conoscenza.<br />

Una virtù dell’umanesimo lottesco, una sua peculiare “piega” che lo<br />

rende attuale per necessità di cogliere sempre la forma del senso, una<br />

inclinazione al contemporaneo che è prerogativa dei cercatori di vie,<br />

dei continuatori, di coloro che possiedono il dono di condurre avanti<br />

l’umanità lungo i sentieri impervi dell’andare.<br />

La fatica dei secoli premia Lotto di tanto oblio. Forse proprio in virtù<br />

di quel buio “ci parla da un’epoca lontana” e la sua lingua è limpida,<br />

comprensibile, fraterna a sciogliere i nodi di ogni destino. Le opere della<br />

Marca compongono un paesaggio unico di intensità e bellezza, di ampiezza<br />

e forza, tra Leopardi e Verdi, tra l’eterno dell’Infinito e il preludio<br />

del quarto atto del Don Carlo (la meditazione sulla morte 4affidata a<br />

Filippo II di Spagna intonata nelle stanze dell’Escorial).<br />

Nella misura che le è propria, nostro lunedì tenta di proseguire l’indagine<br />

apertissima sul Maestro di Monte San Giusto e di Cingoli, di Mogliano e di<br />

Jesi, di Recanati e di Ancona, fino al lascito estremo di Loreto, dal di dentro<br />

di quella scrittura - anch’essa tagliata in obliquo - del Libro di spese<br />

diverse che riferisce d’una geografia d’esistenza dalla modernità del suo<br />

farsi “romanzo” dal fraseggio sincopato, fedele all’irregolarità della partitura<br />

e del suo compositore che camminava “avanti”, che stava stretto al<br />

suo tempo e a cui il tempo stava stretto, come vuole anche una “lettrice”<br />

abbagliante, Anna Banti, che individua l’etica della sua estetica nell’attimo<br />

<strong>terrestre</strong> che irradia ogni frammento del grande affresco e rende<br />

chiaro il disegno di un destino che non appartiene solo a lui.<br />

numero zero nostro lunedì<br />

tragicamente<br />

immobili<br />

5<br />

fabio pusterla<br />

Tragicamente immobili, le cose, prossime e distanti. Mute, nel loro grido<br />

raggelato, guardano impassibili il movimento convulso degli umani, il loro<br />

scorrere nel tempo, disperato. E quando l’angelo del destino li perseguita,<br />

gli umani fuggono invano, e nel loro fuggire vedono gli oggetti placidi che<br />

accompagnavano fino ad un istante prima le loro vite, in un’illusione di<br />

pace smentita, travolta, e che ora rimangono laggiù, nel luogo da cui una<br />

forza ora allontana ed esilia, implacabile. La quiete della materia, l’occhio<br />

nervoso degli uomini: nessuna conciliazione possibile. Un’ombra attraversa<br />

gli sguardi, l’improvvisa coscienza di una brusca catastrofe, l’orrore di<br />

un divenire che conduce sempre altrove, sempre più lontano; un impulso<br />

che ora raffrena i corpi, ora li sospinge frenetici verso la corsa, la spinta, la<br />

lotta o la fuga: paura, desiderio, disperazione o speranza.<br />

Non così loro, mute eterne presenze, prive di tempo e di profondità, dominate<br />

soltanto dal peso e dal colore, dalla gravità e dal vento che talvolta<br />

ne agita brevemente la superficie: le cose parlano senza parlare, guardano<br />

senza guardare, cantano senza cantare. Fanno ala all’andare degli uomini,<br />

alla loro scomparsa, e sopravvivono senza vita e senza morte; si protendono<br />

oltre, restando ciecamente ferme, e perfette.<br />

Abiti, utensili quotidiani, strumenti di luce, contenitori, seggiole, fiori persino<br />

o alberi, animali: non erano forse nostri? Non decoravano il nostro<br />

esistere soddisfatto e vanamente glorioso? Ne avevamo scelto la forma,<br />

la posizione, l’ordine; e ora quella forma, quella posizione e quell’ordine<br />

testimoniano contro di noi, dicono la nostra perigliosa metamorfosi, il<br />

nostro disorientamento, il caos che si apre improvviso di fronte ai nostri<br />

occhi smarriti. Qualcosa ha squarciato le nostre vite, una mano invisibile<br />

già ci trascina verso qualcosa, luce o buio; e noi vorremmo rimanere,<br />

sostare per sempre in mezzo ai cari oggetti ora già estranei, indifferenti,<br />

che bastano a se stessi e che ci ignorano. Esiliati dalla natura, esiliati dagli<br />

oggetti; nessun regno per noi, solo inquietudine, viaggio senza meta.<br />

E nostalgia. Le guardiamo ancora, nella loro stolida pienezza, le cose che<br />

dobbiamo abbandonare; rivelano noi a noi stessi, il nostro vuoto.


gli affreschi<br />

di trescore pietro zampetti<br />

6Gli affreschi di Trescore - lo si è già detto - riprendono<br />

una tradizione, si legano alla coscienza<br />

popolare, hanno l’intensità emotiva di una sacra<br />

rappresentazione, dove l’evento era vissuto con<br />

la partecipazione collettiva dei fedeli. Per rendere<br />

più credibile il racconto, il Lotto anticipa addirittura<br />

certe conquiste moderne del narrare per<br />

immagini successive, quasi come in una sequenza<br />

cinematografica. I vari episodi di Barbara hanno<br />

l’immediatezza di una cronaca, dove tutto è<br />

raccontato, dove le donne vendono le verdure al<br />

mercato, gli uomini uccidono, la violenza si consuma<br />

senza dare fiato agli animi, mentre la natura<br />

- paesaggio, colline serene immerse nel verde<br />

- sta a guardare. Tutto si svolge nell’apparente indifferenza<br />

o nella reazione impotente, infine nella<br />

rassegnazione, intesa come momento inseparabile<br />

della condizione umana. Ma nelle storie di<br />

Brigida gli eventi sembrano cambiare, nel nome<br />

della fede: gli animi sono rasserenati, i campi di<br />

grano sono fecondi, la luce li esalta. La decorazione<br />

dell’Oratorio di Trescore, così complessa nei<br />

suoi valori e nei suoi significati, anche allusivi e<br />

simbolici, ci rivela un’apertura nuova - quasi in-<br />

sospettabile - nell’arte del Lotto: corale, popolaresca.<br />

Essa è affine - è vero - ai modi di sentire<br />

di Gaudenzio Ferrari; ma appare tanto più scavata,<br />

penetrante, la dove a una certezza di fede si<br />

uniscono una partecipazione, una trepida inquietudine,<br />

un accorato sentire. Prima di essere fatti<br />

narrati questi sono eventi della coscienza, dove<br />

tutto ritorna alla schiettezza <strong>delle</strong> origini, alla<br />

semplicità degli umili: fede, speranza, amore del<br />

prossimo. Il Lotto respinge ogni legame con le regole<br />

rinascimentali della prospettiva e dell’unità<br />

(di luogo, di tempo) e crea una simbiosi di immagini<br />

in cui l’unità esiste, ma non è fisica, ma bensì<br />

metafisica, voglio intendere che è quella della<br />

pietà religiosa, dell’amore del Cristo. A Trescore<br />

v’è addirittura un ritorno a valori paleocristiani,<br />

proprio nella figura iconica del Cristo immenso, in<br />

primo piano, cui tutta la narrazione rimanda, senza<br />

il quale ogni presenza perderebbe significato.<br />

Dalle sue dita partono i racemi, che alzandosi e<br />

allargandosi formano dei cerchi (entro i quali occhieggiano<br />

dei santi) e poi si diffondono per tutto<br />

il soffitto, che si trasforma in pergolato, animato<br />

dalla presenza di putti in festa. Tutto l’insieme<br />

allude, dunque, al mistero<br />

dell’eucarestia,<br />

al sangue di Cristo:<br />

come negli antichi<br />

mosaici paleocristiani,<br />

anche se i modi sono<br />

filtrati attraverso l’arte<br />

del Rinascimento, e<br />

magari vi aleggia il ricordo<br />

del soffitto della<br />

camera della badessa<br />

a San Paolo di Parma,<br />

opera del Correggio.<br />

Significato simbolico<br />

hanno anche quei personaggi<br />

dai nomi strani<br />

che tentano invano<br />

di tagliare i racemi, la<br />

pianta di Cristo, precipitando<br />

dalle scale,<br />

di cui si servono per<br />

arrampicarsi: allusione<br />

evidente all’eresia, alla<br />

situazione religiosa del<br />

7<br />

tempo, affermazione di fedeltà alla chiesa cattolica.<br />

Alla quale rimandano le storie di Barbara<br />

e di Brigida. Le immagini si ripetono e si inseguono<br />

come in un racconto medioevale, come<br />

nelle stazioni della “Via Crucis” e sono ricche di<br />

spunti colti dal vero. Gli eventi drammatici sono<br />

visti nella loro attualità, quali storie che possono<br />

accadere, anzi che accadono in ogni tempo, sono<br />

davanti ai nostri occhi, prodotto dell’arroganza<br />

del potere e della violenza che ne discende.<br />

Le storie di Barbara - narrate attraverso la proiezione<br />

metafisica del Cristo - si svolgono in un<br />

ambiente-scenario, dove le case sembrano elementi<br />

messi là per creare le situazioni necessarie<br />

al racconto, con prospettive complicate non<br />

unitarie, ma rispondenti alle esigenze interne<br />

del racconto stesso. Insomma il Lotto dà il via<br />

a un’arte nuova, inconcepibile, allora, a Venezia<br />

o a Roma. Proprio il mondo lombardo e quello<br />

marchigiano possono capire certe cose e credere<br />

ancora nella certezza del miracolo e accettare il<br />

male sopravvivere ad esso con la speranza e con<br />

la fede, nella solidarietà, magari silenziosa, di chi<br />

subisce la violenza, ma non è vinto.<br />

marco puca<br />

nostro lunedì<br />

Trescore, piccolo paese di campagna, che dista dalla città di Bergamo circa<br />

quindici chilometri sulla via del lago di Iseo, era luogo in cui la famiglia<br />

illustre dei Suardi aveva dei possedimenti.<br />

In questo luogo Battista Suardi aveva fatto costruire un oratorio le cui forme<br />

architettoniche richiamavano elementi affini al tardogotico, inserendolo accanto<br />

alla via in cui vi erano altri edifici.<br />

Qui Battista Suardi aveva agito cambiando l’urbanistica della città, poiché dopo<br />

operazioni di ristrutturazione aveva isolato totalmente l’oratorio circondandolo<br />

di un grande parco lontanto dagli edifici. Questo ambiente, via via formatosi<br />

tra il 1501 e il 1502, ospitò Lotto che, incaricato dallo stesso Bernardo<br />

Suardi nell’estate del 1523, affrescò l’edificio che da oratorio era passato<br />

a chiesetta. Quando dipinse il suo Cristo-Vite, la scena europea era<br />

occupata da un conflitto che riguardava non la vite ma la vigna, poiché<br />

Papa Leone X aveva pubblicato la bolla “Exsurage Domine” contro Martin<br />

Lutero, che vi era rappresentato come il cinghiale che la devasta.<br />

L’immagine della vigna è metafora della Chiesa e i cristiani sono chiamati al<br />

lavoro non alla distruzione e bisognava, da un lato, estirpare le male piante del<br />

terreno, dall’altro curare attraverso l’evangelizzazione i nuovi tralci: le nuove<br />

terre scoperte oltreoceano. L’intera Chiesa era una grande vigna e i rami di<br />

dimensioni minori erano tutte le città sedi di diocesi.<br />

Non a caso Bartolomeo Pellegrini usa l’immagine della vigna in un suo scritto<br />

del 1523 richiamando l’appello del Papa Leone X Medici definendo i tedeschi<br />

“barbari”, sinonimo di cinghiali che distruggono un ambiente civilizzato, una<br />

cultura secolare, cioè la Chiesa Romana vigna del Signore.<br />

L’affresco del Lotto è significativo proprio per la sua scelta di mettere in primo<br />

piano non la vigna “Chiesa”, ma la vigna “Cristo”. Interprete più sensibile<br />

di una tendenza diffusa nella vita religiosa italiana del primo Cinquecento:<br />

riportare tutta la vita ecclesiastica e la pratica della vita religiosa, che si era<br />

in qualche modo affievolita, a Cristo come unico mediatore e radice fondamentale.<br />

Lo spazio architettonico interno dell’oratorio era semplice, a unica<br />

navata, fatta eccezione per l’arco che incrocia l’abside e per il cordolino a<br />

profilo continuo che corre tutt’intorno alla sala ad altezza d’uomo.<br />

Lotto divise orizzontalmente le pareti Ovest e Sud in due zone principali con<br />

l’aggiunta di modanature fittizie, disegnate con soluzione illusiva in modo tale<br />

da corrispondere a quella reale. Nella parte superiore inserisce una serie di<br />

tondi con, all’interno, alternativamente figure di profeti e sibille, che guardano<br />

e si sporgono fuori dalle cornici in cui vuole richiamarsi alla Cappella Sistina di<br />

Michelangelo che aveva potuto ammirare nel suo soggiorno romano.<br />

Disegnando <strong>delle</strong> colonne nella zona principale e usufruendo <strong>delle</strong> due finestre<br />

alte e strette sulla parte Sud, il pittore creò anche una suddivisione verticale.<br />

Disponendo su questa lunga parete le scene narrative adattò due sistemi<br />

prospettici: uno maggiore per i soggetti in primo piano e uno minore<br />

per il paesaggio sullo sfondo. Tema del committente: gli episodi della<br />

vita di Santa Brigida. Per comodità diremo che la parete Est è situata<br />

all’ingresso principale, la Nord è la parete opposta al finto abside e di<br />

conseguenza le altre saranno Sud ed Ovest.


<strong>lotto</strong><br />

camuffato<br />

edoardo albinati<br />

Risalivo la California in compagnia della mia amica Laura su una Toyota,<br />

quando venimmo superati da un pulmino dipinto in stile psichedelico.<br />

Eravamo proprio sulle cornici della One resa famosa dai film di Hitchcock:<br />

tutta curve e panorami mozzafiato sull’oceano. Dico a Laura di accelerare<br />

e di sorpassare il pulmino in modo che io possa vedere bene il dipinto sulla<br />

fiancata, e lei esegue malgrado sia da matti viaggiare così appaiati, sul filo<br />

del burrone, col pericolo di un frontale se una macchina sbucasse dalla<br />

prossima curva. La scena era molto interessante, dipinta con l’aerografo in<br />

stile allucinato-messicano, con un grande Cristo in primo piano che spalanca<br />

le braccia, e dalle braccia, anzi proprio dalle dita, dalla punta <strong>delle</strong><br />

dita gli partono dei lunghi tralci di vite: dieci dita, dieci tralci che vanno a<br />

formare in cielo dieci medaglioni con dentro vari santi occupati a leggere<br />

libri e a pregare. Mentre decifravo il dipinto lo descrivevo alla mia amica<br />

che non poteva certo mettersi a guardare, ma badava che non finissimo<br />

giù nella scarpata. “Se non sbaglio, il santo nell’ultimo medaglione a sinistra<br />

dev’essere Girolamo… ma non capisco quelle strane figure sotto di<br />

lui… accelera un altro po’, per favore.” Quando fui col finestrino proprio<br />

davanti a San Girolamo, vidi che in basso erano raffigurati alcuni uomini<br />

che si arrampicavano su una scala e avevano in mano forbicioni e falcetti,<br />

ma il santo li ributtava giù e quelli capitombolavano come bifolchi ubriachi<br />

dall’albero della Cuccagna o se preferite un esempio contemporaneo,<br />

come concorrenti maltesi di Giochi senza frontiere. “Ma sì, è chiaro, si<br />

tratta degli eretici. Con le loro teorie cercano di recidere i robusti tralci di<br />

Cristo la Vite, per questo il santo traduttore li respinge. Dovrebbero essere<br />

Elvidio, quello che sosteneva la superiorità del matrimonio sulla verginità,<br />

e Gioviniano… Ora capisco anche quel che succede dalla parte opposta:<br />

vedi, c’è Sant’Ambrogio con la mitra e il pastorale brandito come un giavel<strong>lotto</strong>,<br />

e sta rintuzzando un altro attacco alla fede.” Lì i malcapitati eretici<br />

venivano fatti precipitare dal santo che spalancava un volume contro<br />

di loro come uno Scudo Spaziale, e Laura, essendo milanese, ne era piuttosto<br />

orgogliosa. “Ha azionato i superpoteri della Bibbia”, disse scalando in<br />

terza e poi richiese una precisazione: “Edo, controlla se uno degli assalitori<br />

è Ario”. Sì, aveva ragione, era proprio Ario a capofitto, il pittore gli aveva<br />

scritto il nome sulla giubba a scanso di equivoci. “Ma come fai a saperlo se<br />

non l’hai nemmeno visto?”, le chiesi un po’ stupito<br />

della sua conoscenza in materia. Laura mi<br />

rivelò di aver fatto due anni di teologia prima di<br />

andare a lavorare da Sotheby’s. “Sant’Ambroeus<br />

persino sul gonfalone municipale è raffigurato<br />

con la frusta, per come ha combattuto gli avversari<br />

della fede, con maggior foga che se fossero<br />

suoi nemici personali. Umiliò l’imperatore Teodosio.<br />

Una volta fece occupare dalla folla una<br />

basilica pur di non cederla agli Ariani, e la folla<br />

cantava, cantava esaltata gli inni scritti da lui,<br />

cantò per dieci giorni e dieci notti.” L’autista del pulmino si era affacciato<br />

col gomito di fuori a vedere che facevamo e perché diavolo continuavamo<br />

a viaggiare appaiati. Big Sur non era lontana. Nell’oceano schizzi di vapore<br />

facevano pensare a una balena. La barba rossa gli arrivava fino a metà del<br />

petto nudo. Sorrise quando capì che eravamo interessati alla pittura sulla<br />

fiancata. “D’you like it?”, “So much”, gli risposi, e poi gli domandai se fosse<br />

stata dipinta sotto l’effetto di un fungo messicano. Scoppiò a ridere e riferì<br />

la mia questione ai compagni dentro il camper: altre risate selvaggie. “Uh!<br />

Uh! No, brother, no fucking mushrooms: we copied it off a church.<br />

Ten years ago, travelling down Italy. Can you believe it?” In Italia? E dove<br />

mai si può trovare un tale Cristo psichedelico?


michele polverari<br />

Ci ritrovammo in Sant’Agostino il primo agosto<br />

del ‘38; c’era Simone Pizzoni col notaio, c’erano<br />

i testimoni. Fu ben specificato quello che il Pizzoni<br />

voleva, che ci fossero Maria incoronata da<br />

due angeli con il Bambino in braccio e i santi<br />

Simon Giuda, Giovanni Evangelista, Stefano e<br />

Lorenzo. E poi sul frontespizio lo Spirito Santo,<br />

che faceva scendere i suoi doni, e in predella<br />

Sant’Orsola e il suo seguito. Per il gruppo della<br />

Vergine col Bambino, avrei variato un po’ quello<br />

che avevo realizzato a Cingoli, ultimato da poco.<br />

I quattro santi, che pure avrei disposto intorno<br />

al basamento del trono della Madonna, sareb-<br />

bero stati ovviamente<br />

accompagnati dai<br />

consueti attributi, il<br />

sasso per Stefano,<br />

l’aquila per Giovanni,<br />

la graticola per<br />

Lorenzo, e per Simon<br />

Giuda - in vero erano<br />

due santi, Simone e<br />

Giuda, unificati nella<br />

festa del calendario,<br />

ed ora fusi anche<br />

in un’unica identità,<br />

tanto erano stati decapitati entrambi - la scure<br />

di Giuda Taddeo. Quadro anconitanissimo per<br />

i santi protettori della città, Stefano e Lorenzo<br />

agli estremi, e per Simone (Giuda) e Giovanni in<br />

primo piano, omonimi del committente Pizzoni<br />

e del padre suo Giovanni, che era stato tra i patrizi<br />

esiliati dal cardinale governatore Benedetto<br />

Accolti, che poi era finito male, una storia anconitana,<br />

e non è che poi tutto fosse tornato come<br />

prima, ormai comandava la Chiesa, ma insomma<br />

i nobili erano tornati a fare i nobili e i Pizzoni<br />

volevano celebrare le cose ricondotte al loro posto<br />

con questo quadro, d’una ovvietà, però, da<br />

non credere. Certo che l’avrei ben fatto, ero un<br />

grande. Poi gli dissi: ma se i tempi mali sono terminati<br />

giacché il Signore Iddio ha punito la pravità<br />

del Cardinale, perché non lo indichiamo in<br />

metafora, capovolgiamo l’alabarda (meglio della<br />

scure, ché l’alabarda è <strong>delle</strong> guardie del potente),<br />

facciamo vedere che il suo legno è spezzato,<br />

ad Ancona tutti capiranno.<br />

L’idea piacque: ché l’alabarda rovesciata indica<br />

un martirio scampato; è uno strumento micidiale<br />

assolutamente innocuo, basta puntare il ferro<br />

in basso, diventa uno strumento d’appoggio. La<br />

variazione iconografica era certamente ardita,<br />

ma fu accettata perché non manifestava polemica<br />

con la Chiesa, col nuovo potere; l’allusione<br />

riguardava il passato, d’altronde l’Accolti non lo<br />

rimpiangevano manco a Roma.<br />

Ma io volevo anche dire a Giuda Taddeo, protettore<br />

dei disperati, che non s’affaticasse qui,<br />

dove tutto è ordinario, a posto, conforme.<br />

Che ci fai della scure, dell’alabarda? Non lasciare<br />

la testa ad Ancona, dove anche la disperazione<br />

è banale. (Uno col quale m’intenderei<br />

è colui che, sui ruderi all’uscita della galleria di<br />

San Martino, ha dipinto la mia Madonna e il mio<br />

Bambino con le teste rovesciate).<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

sulla pala dell’alabarda<br />

costanza costanzi<br />

11<br />

nostro lunedì<br />

Nella vulgata artistica si fa spesso riferimento a due grandi<br />

protagonisti della pittura veneziana del ‘500, Lorenzo Lotto e<br />

Tiziano, enfatizzando in modo un po’ schematico due divergenti<br />

modi di finalizzare l’arte: Tiziano, artista <strong>delle</strong> corti e<br />

dei re, Lotto, pittore di confraternite e parrocchie.<br />

Per Ancona, questa disparità non vale. Anzi, qui i due<br />

sono, per così dire, in regime di assoluta parità.<br />

Lo sono nella quantità di opere da loro licenziate per la<br />

città dorica, ciascuno di loro artefice di due grandiose<br />

Pale d’altare. Lo sono per la rilevanza <strong>delle</strong> sedi di destinazione:<br />

i dipinti di Tiziano per le chiese di San Francesco<br />

ad Alto (oggi nella Pinacoteca Civica) e di San Domenico,<br />

quelli del Lotto per Sant’Agostino (oggi nella Pinacoteca<br />

Civica) e per San Francesco alle Scale.<br />

Lo sono infine in relazione alla committenza di riferimento,<br />

che per entrambi “schiera” quattro rappresentanti<br />

della ricca borghesia e del patriziato mercantile, molto<br />

noti nella città: per Tiziano il dalmata Alvise Gozzi e il<br />

veneziano Pietro Cornovi della Vecchia, uniti dal fil rouge<br />

<strong>delle</strong> non sempre facili relazioni diplomatiche, commerciali<br />

e politiche afferenti il triangolo Venezia-Ragusa-Ancona.<br />

Committenti lotteschi ad Ancona sono invece due<br />

esponenti di spicco della classe dirigente locale: Simone<br />

di Giovannino Pizoni, committente della Pala dell’Alabarda<br />

(già in Sant’Agostino), mentre alla realizzazione della<br />

grande Pala con l’Assunta per i Conventuali provvede Giovan<br />

Francesco Todini, detentore di incarichi di prestigio e<br />

di magistrature cittadine.<br />

Ma non è tutto. Il Lotto, nella Pala dell’Alabarda, ha legato<br />

il suo nome e la sua arte alla città di Ancona attraverso<br />

la rievocazione di una pagina drammatica della storia:<br />

la breve e spietata tirannia imposta ad Ancona nel 1532<br />

dal Cardinal Legato Benedetto Accolti, della cui crudele<br />

repressione furono vittime eccellenti cinque nobili anconetani,<br />

giustiziati e barbaramente mutilati la notte tra il<br />

13 e il 14 marzo 1534.<br />

Tra gli oppositori di quel feroce regime erano anche<br />

sessantaquattro nobili anconetani, ai quali fu comminato<br />

l’esilio, tra cui lo stesso Simone Pizoni, committente<br />

della pala lottesca.<br />

L’opera di Lorenzo Lotto assurge perciò a metafora del<br />

riscatto e della riappropriazione <strong>delle</strong> libertà cittadine,<br />

esemplate attraverso i valori simbolici espressi dai quattro<br />

Santi - Santo Stefano, San Giovanni Evangelista,<br />

San Lorenzo e San Simone Giuda - testimoni di un messaggio<br />

senza tempo, civile e morale.


Poderosa e plastica rappresentazione di stile lottesco,<br />

la Resurrezione di Lazzaro di Pompeo Morganti<br />

a Filottrano è tra le sue opere di maggiore<br />

interesse. Il paesaggio è costruito per creare una<br />

prospettiva profonda e lontana che viene interrotta<br />

da gruppi di personaggi attenti ad osservare la<br />

scena. La fuga di linee verso l’orizzonte del sentiero<br />

di terra scavato sulla roccia fa risollevare lo<br />

sguardo verso il cielo dove spunta un paesaggio<br />

tempestoso tra le nubi.<br />

La forza del racconto della resurrezione di Lazzaro<br />

è modellata dalla luce dorata del mattino che si<br />

intravede tra i rami <strong>delle</strong> piante. Un richiamo lontano<br />

al Lotto del Sacrificio di Melchisedech presso<br />

il museo della Delegazione Pontificia di Loreto<br />

(eseguito tra agli anni ’40 e ‘50 del Cinquecento).<br />

Ma anche all’opera di Fano Resurrezione di Lazzaro<br />

e San Michele che caccia Lucifero che aveva realizzato,<br />

firmato e datato con il padre alcuni anni<br />

prima. Il paesaggio, minuziosamente descritto, è<br />

addolcito da eleganti figure - nonostante il fare<br />

pittorico è compendiaro - e animato da tanti personaggi<br />

in corsa e da un insolito cielo.<br />

12<br />

pompeo<br />

morganti<br />

un richiamo<br />

lontano<br />

andrea carnevali<br />

Che tra l’altro fa pensare a Signorelli e Lorenzo Lotto. Il nuovo stile - di<br />

stampo veneto diffuso nelle <strong>Marche</strong> - rielaborato e attualizzato, attraverso<br />

il linguaggio nordico, conferma la sua grande capacità di descrivere le architetture:<br />

il palazzo, gli archi e le lesene rinascimentali tra il verde della natura.<br />

Tuttavia utile a Morganti a restituire alla vicenda quel senso di precarietà<br />

della vita dell’uomo insita nell’esistenza. Che la sola preghiera può cambiare.<br />

La datazione della pala d’altare è certa poiché l’ultima cifra dell’iscrizione è<br />

chiara: Pompeius Morgantis Fenensis 1543. La Resurrezione di Lazzaro della<br />

chiesa di San Francesco di Filottrano permette di conoscere la religiosità di<br />

Pompeo e di individuarne le fonti iconografiche, le vicende biografiche e le<br />

relazioni con il lavoro del padre-pittore Bartolomeo.<br />

La descrizione degli abiti e l’accuratezza nella rappresentazione dei gesti<br />

fanno di lui un attento osservatore <strong>delle</strong> novità artistiche che furono<br />

introdotte da Lorenzo Lotto. L’opera di Filottrano segna un momento alto<br />

del rapporto con la pittura di Lotto: la ricchezza dei colori distribuita in<br />

ampi piani cromatici e la complessità dei rapporti spaziali sono messi in luce<br />

dall’articolazione della vicenda distribuita in più piani narrativi.<br />

L’abbondanza dei panneggi si accompagna ad un’atmosfera serenamente<br />

sentimentale e alla raffinata attenzione per il dettaglio dei ruoli dei personaggi.<br />

Rispetto al Sacrificio di Melchisedech di Lotto la composizione è<br />

mossa e dinamica: le figure tracciano un fitto tessuto di diagonali, i panneggi<br />

seguono andamenti irrequieti (per esempio nella veste di Gesù) e la<br />

luce dorata ha guizzi improvvisi. Il dipinto è gremito di personaggi diversi,<br />

talora stravaganti, che si affollano intorno alla scena secondaria dove si<br />

distingue singolarmente l’elegante di una donna in veste cinquecentesca<br />

sopra il gruppo <strong>delle</strong> Marie che tra l’altro ricorda quella della Maddalena<br />

nella Deposizione di Lotto alla Pinacoteca Civica di Jesi.<br />

Il dipinto era stato scelto tra quelli da inviare al musée du Louvre dalla Commissione<br />

francese, ma ciò non si verificò per gli eventi politici successivi.<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

“È un miracolo, dimmi una cosa che non sia un<br />

miracolo” : queste parole di Licini – uomo assolutamente<br />

laico - sembrano vivere quattrocento<br />

anni prima nelle tele di Lorenzo Lotto, artista animato<br />

da una profonda, sincera religiosità. La forza<br />

della sua arte sta anche nella capacità di esprimere<br />

questa intensa spiritualità agganciandola<br />

potentemente alla contingenza quotidiana, come<br />

accade nella pala realizzata nel 1532 per i francescani<br />

di San Francesco al Monte a Jesi, ora nella<br />

Pinacoteca, composta dalla lunetta con l’Annunciazione<br />

e dalla tela quadrangolare con l’incontro<br />

tra Maria ed Elisabetta. Sono due momenti del<br />

racconto evangelico di Luca, tradotti da Lotto con<br />

un linguaggio pittorico vivace, immediato, usando<br />

un punto di vista molto ravvicinato. L’ombra<br />

obliqua che investe Maria nell’intimità della sua<br />

stanza è la trascrizione visiva <strong>delle</strong> parole dell’Angelo:<br />

“Lo Spirito Santo verrà su di te, l’Onnipotente<br />

Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il<br />

bambino che avrai sarà santo, Figlio di Dio”. Alla<br />

Vergine viene annunciata anche la gravidanza miracolosa<br />

di Elisabetta e lei, modello di purezza ma<br />

anche di carità, non esita a partire, ad affrontare<br />

un lungo viaggio per assistere l’anziana cugina.<br />

Nella tela inferiore in un corridoio, come in un<br />

proscenio, al centro si compie l’intenso, silenzioso<br />

saluto tra le due gestanti. L’immediato intervento<br />

dello Spirito Santo, che con assoluta naturalezza<br />

si inserisce nei processi comunicativi umani,<br />

fa sì che Elisabetta, che ha in grembo Giovanni<br />

Battista, percepisca la divina gravidanza di Maria.<br />

Il muto colloquio è giocato sulla gestualità <strong>delle</strong><br />

mani, sull’intensità dello sguardo, sul convergere<br />

dei due profili, sollecito e sinuoso quello di Maria,<br />

più eretto e rigido quello di Elisabetta che volge<br />

estaticamente gli occhi al cielo; nell’affresco con<br />

lo stesso tema realizzato nel 1525 nella chiesa di<br />

S. Michele al Pozzo Bianco di Bergamo Lotto aveva<br />

rappresentato l’attimo successivo, quello in cui<br />

Elisabetta si inchina di fronte a Maria. Estranee<br />

al mistero restano le altre figure: le due sorelle di<br />

Maria - che secondo una leggenda tardo medievale<br />

l’accompagnarono – sono intente a conversare<br />

tra loro e recano un cesto come omaggio per la<br />

cugina; relegata sull’uscio a sinistra è la presenza<br />

il miracolo<br />

della vita<br />

daniela simoni<br />

maschile del vecchio Zaccaria che saluta con il gesto della mano e con lo<br />

sguardo, poiché è stato temporaneamente reso muto per non aver creduto<br />

incondizionatamente al messaggio dell’angelo. Pochi, significativi elementi<br />

connotano l’interno: la finestra con i vetri a piombo e la mensola con la<br />

natura morta ricordano quelli nella stanza in cui si svolge l’ Annunciazione di<br />

Recanati. Il vaso fa riferimento a Maria “teofora”, mediatrice tra l’umano e il<br />

divino, l’arancia ha la medesima valenza della mela e allude alla Redenzione,<br />

così come la zucca è simbolo della Resurrezione e della salvezza in relazione<br />

con l’episodio biblico legato a Giona, mentre il rotolo rappresenta il Vecchio<br />

Testamento e gli strumenti di scrittura si<br />

13<br />

riferiscono all’imminente stesura<br />

del Nuovo Testamento in virtù dell’Annunciazione rappresentata nella lunetta.<br />

Le violette recise sparse a terra sono simbolo di modestia e umiltà<br />

in riferimento alla Vergine ma anche a Cristo che umilmente ha deciso di<br />

farsi uomo. La pala suggerisce anche una riflessione sulla presa che il tema<br />

della maternità interpretato in chiave religiosa poteva avere sulle donne del<br />

tempo per le quali l’esistenza era finalizzata ad assicurare la discendenza: il<br />

parto era un’esperienza ad alto rischio di mortalità, vissuta precocemente e<br />

reiterata più volte nell’arco dell’età fertile.


nostro lunedì numero zero<br />

4<br />

santa lucia vito<br />

Il contratto d’affitto è disdetto. Dopo Bergamo<br />

ho deciso: torno a Venezia, presso i domenicani<br />

di Giovanni e Paolo, finché fra’ Damiano vorrà.<br />

Non tema. Per la mia mansione, il dipingere,<br />

m’accontenterò del dormitorio superiore, altrimenti,<br />

con mazor spesa, m’arrangerò, ma non<br />

lontano da qui. A Roma c’è flagello, a Firenze<br />

paura, qui in laguna quiete e bonaza.<br />

Continuo a inviare nel bergamasco disegni per<br />

le tarsie, ma certi impegni presi nella Marca<br />

non mi lasciano tranquillo. Le imprese si moltiplicano<br />

tra quei colli e non voglio perderli. Due<br />

anni sono passati da quell’11 dicembre del 1523,<br />

quando per i confratelli della scuola di Iesi firmai<br />

il contratto per la Cona. Il tempo accordatomi è<br />

già trascorso e son lontano dal compimento.<br />

«Maestro Lotto, che succede?»<br />

«M’impegna la pala per San Francesco al Monte,<br />

per i vostri concittadini. La vostra Lucia, poi,<br />

m’inquieta. Dico il vero, credetemi!»<br />

Questo rispose agli iesini il 22 d’aprile scorso<br />

e mi han creduto, se son veri i denari che ne<br />

ricevetti in borza. Sono qui dunque. Mi chiedo<br />

se solo per mestiere e ambizione. Questa giovane<br />

siciliana mi commuove. Restare impassibile,<br />

punzi<br />

come se davanti a me non succedesse nulla, è impossibile. L’ho seguita questa<br />

mattina, e mi è facile ricordare i gesti. Recatasi alla tomba di sant’Agata<br />

con la madre, dopo la Messa, e non erano sole, l’ho visto addormentarsi. Mi<br />

pare vederne sfilare le immagini, una di seguito all’altra, o forse, addirittura,<br />

rivedo i loro movimenti in una sola scena, la cripta… Devo affrettarmi, tra<br />

poco sarà condotta davanti al prefetto romano. Durante il sonno di lei la<br />

madre dunque pregava, unendo i suoi ai tanti ex voto lì raccolti.<br />

Ecco, vorrei riprodurre quanto osservato con stupore in quel luogo sacro.<br />

Il bianco, il rosso e il giallo li conserverò per l’abito di Lucia. Non riescirei<br />

a immaginare la sua fede senza sacrificio e senza qualche oncia di follia.<br />

Un gatto e un cane sono vicini, giocano, eppur ella non abbandona la<br />

visione che l’ha presa, consolazione al desiderio che la madre sua possa<br />

guarire. La vedo nell’angolo, davanti a un San Sebastiano, vivace nel colloquio<br />

con la madre, sollevata e decisa a rispondere al destino che rapido<br />

s’avvicina al compimento: vergine dovrà restare e non per eroismo.<br />

La sua dote intanto la vedo dissolvere tra le mani tese di una povera famiglia<br />

ridotta senza tetto, a una brocca d’acqua e a una misera fassina e la<br />

madre le è accanto, vorrebbe forse condividere il grande passo cui è stata<br />

chiamata sua figlia, ma le basta l’orgoglio di essere lì, umile devota donna.<br />

Nessun gesto particolare la distingue, man non posso deluderla: la storia<br />

di Lucia non sarebbe più.<br />

Gli iesini m’han chiesto d’assistere a questa scena tremenda? Di fissarla<br />

per la loro Confraternita? Ebbene, sto lavorando, lentamente, ma sto<br />

lavorando. È successo tutto così in fretta! E poi, che mandino il resto<br />

dei denari! Minaccino pure di ritirar l’incarico! Ho il mio bel da fare, nel<br />

bergamasco come nel resto della Marca, prima di dar soddisfazione ai<br />

loro desideri! Al tribunale dunque! Ringrazio Pascasio, prefetto romano


santa lucia<br />

vito punzi<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

per aver consentito la mia presenza di pittore<br />

ingombrante. Certo, cerco di nascondermi e la<br />

luce che penetra alle mie spalle mi è favorevole<br />

qualcuno però mi scorge e si distrae. Mi guarda<br />

e senza saperlo diventa mio testimone. È un<br />

uomo distinto, il capo piegato di lato. Cos’ha<br />

mai da condividere con Lucia? La luce obliqua<br />

gl’illumina l’ampia fronte, accentuando il contrasto<br />

col suo nero mantello. Segue i miei gesti<br />

e parrebbe disinteressarsi a ciò che, terribile sta<br />

per accadere. Eppure quel capo chino l’ho già<br />

visto è come se volesse chiedere pietà, pietà<br />

per questa vergine. Ma, se è così, perché mai<br />

rivolto a me? E quello accanto? Altri sguardi<br />

che imperiosi chiedono pietà. A me! Non c’entro<br />

nulla, lo sapete. Son capitato qui per raccontare,<br />

guardate i miei colori…<br />

Non sostengo più il loro sguardo, eppur non<br />

mi rabisco.<br />

«Ad altri rivolgetevi, e neppure a chi decide la<br />

giustizia e l’ingiustizia di questo mondo», questo<br />

vorrei gridare, ma so che aggiungerei confusione<br />

a confusione. Sa bene Lucia a chi domandare.<br />

L’uomo ch’ella doveva sposare mi voltava le spalle.<br />

Vorrei guardarlo, lui si, coglierne le labbra e<br />

gli occhi nel gesto d’accusa rivolto alla vergine.<br />

Stancamente abbandonato, la spalla sinistra<br />

poggiata al marmo che fa da enorme piedistallo<br />

allo scranno del prefetto, prossimo a Lucia, a<br />

fatica alza il braccio destro per allungare l’indice<br />

accusatorio:<br />

«È cristiana». Accade tutto in un attimo. Per<br />

me è già scomparso, inghiottito dal suo stesso<br />

odio, povera vittima. L’ira del barbuto prefetto<br />

si scaglia, tesa all’estremità della bacchetta,<br />

protesa nel giudizio di condanna: «Al lupanare,<br />

al lupanare, cara vergine!».<br />

Si rinnova il desiderio di raccontarvi non tanto<br />

per immagini, ma attraverso il movimento, un<br />

movimento in un tempo ora più che mai carico<br />

di senso. Da osservatore (ma credete possa stare<br />

qui davvero come semplice osservatore?) guardo<br />

i gesti succedersi e ciascuno comunica un senso,<br />

necessario all’altro che seguirà. Vorrei definirlo,<br />

ma riesco a pensare solo a un presente eterno, o<br />

a un eterno presente.<br />

Sullo sfondo dell’oscura porta che le è alle spalle,<br />

Lucia eleva il braccio suo con l’indice ritto a<br />

indicare la bianca colomba, che non ali spiegati<br />

compare d’improvviso nella fitta penombra del<br />

soffitto. La sinistra poggia lieve sul cuore poiché<br />

tutto il corpo suo appartiene a quella bianca colomba,<br />

così almanco intendo io.<br />

Gli occhi poi, che cosa vedano, se ancora vedano,<br />

questo non so. Sembrano fissare, orgogliosi,<br />

il prefetto, o forse contemplano la luce che tutta<br />

la illumina e la fissa, ferma e serena. Eppure a<br />

quegli occhi, mistero, potrebbe anche rinunciare!<br />

Invano le si appoggiano su spalle e fianchi le<br />

pesanti mani dei tre uomini servi che vorrebbero<br />

trascinarlo. Inutile poi che puntino i piedi, come<br />

inutili sono le suppliche del prefetto affinché<br />

ella assecondi la sua volontà. Neppure il suo alto<br />

scranno la intimidisce.<br />

Come può resistere una creatura così debole,<br />

donna sola in mezzo a questa marmaglia di uomini<br />

pettegoli, sorci eccitati?<br />

Come raccontarvi il mistero di questa debolezza,<br />

di questa solitudine di creatura, che ripone in<br />

altro la propria forza? A fatica scorgo i piedi di<br />

Lucia, eppure mi pare il suo sinistro non si sia<br />

spostato di un sol millimetro.<br />

D’improvviso, da dietro lo scranno del prefetto, un<br />

bambino a piedi nudi vuol lanciarsi con braccia<br />

larghe e tese verso Lucia… Potessi io liberarmi di<br />

timore e reverenza che mi legano al potere di questo<br />

mondo e affidarmi alla limpidezza che traspare<br />

da questa vergine. Arriverà anche per me il tempo<br />

dell’oblazione? Per intanto lasciatemi immedesimare<br />

nello slancio di questo figliolo in carne…<br />

In piazza già si raccolgono turbe inquiete. Fanno<br />

ressa e temono, impauriti, la sconfitta. Le lance<br />

levate, marciano gli uomini, soldati e popolani,<br />

come contro un gran nemico. E dev’essere pure<br />

un gran Potente, Costui, che misterioso usa di<br />

questa vergine per distruggere i loro idoli! Tentano<br />

con otto possenti buoi.<br />

nostro lunedì<br />

Sollecitati da irsuti<br />

vaccari, le loro zampe<br />

si tendono a disegnare<br />

inutili linee oblique.<br />

Orribile martirio decidono<br />

allora per Lucia.<br />

Resisterà lei, la debole,<br />

o Colui che la possiede,<br />

alla mistura infernale<br />

di fuoco, olio<br />

bollente e pece che la<br />

sommergerà.<br />

Ecco dunque, l’arbitrio<br />

che l’uomo può<br />

su se stesso si sta per<br />

compiere.<br />

A Lucia, prima <strong>delle</strong><br />

morte che la libererà,<br />

l’ultimo gesto.<br />

M’avvicino, per quanto<br />

m’è consentito, in<br />

ginocchio. Abbandono<br />

il cavalletto, finalmente.<br />

Testimonio per te,<br />

Lucia. Il corpo eucaristico<br />

che ricevi è la<br />

tua, è la mia libertà.<br />

Della pittura il più<br />

è fatto, cari iesini.<br />

Macchie di colore e di<br />

dettagli luci e ombre<br />

soprattutto, e qualche<br />

tempo pure ci vorrà…<br />

Pala e predella prenderanno<br />

infine il largo<br />

in questo mare.<br />

17<br />

E io forse con loro.


nostro lunedì <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

dal diario<br />

francesco scarabicchi<br />

“[...] I tempi e quel che essi portavano di non<br />

esausta tradizione figurativa; l’educazione veneta;<br />

la naturale inclinazione allo scrupolo, al<br />

tormento interiore, non potevano concedere al<br />

Lotto di divenire in tutto un Caravaggio avanti<br />

lettera. Egli inventò, e per un numero di opere<br />

insigni mantenne vittorioso, un mondo più fantastico<br />

che verosimile dai personaggi di fiamma e di<br />

latte, teneri, leggeri, esaltanti di compunzione e<br />

d’innocenza. Vergini singolarissime, in cui il volto,<br />

di tratti classici, par consumato, polito dal flusso<br />

marino e reso trasparente come un osso di seppia.<br />

Angeli soffiati nel vetro, incandescenti. E tuttavia,<br />

per una costola di libro, un inginocchiatoio, uno<br />

stipite, una finestra, queste immagini irreali si legano<br />

alla vita, all’attimo <strong>terrestre</strong> […]”<br />

anna banti<br />

19.VIII.1981<br />

Apertasi ad Ancona il sabato 4 luglio 1981, la mostra<br />

Lorenzo Lotto nelle <strong>Marche</strong>. Il suo tempo, il suo<br />

influsso fu distribuita in tre sedi: la vanvitelliana<br />

Chiesa del Gesù, la Chiesa di San Francesco alle<br />

18<br />

Scale col suo portale di Giorgio da Sebenico e la<br />

Loggia dei Mercanti, già a ridosso del porto. Suddivise<br />

in undici sezioni, vennero esposte più di centosessanta<br />

opere appartenenti ad oltre cinquanta<br />

pittori che operarono nelle <strong>Marche</strong> tra il 1500 e<br />

il 1560. Posta sotto il Patrocinio del Presidente<br />

della Repubblica Sandro Pertini, fu realizzata dalla<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Marche</strong>, dalla Soprintendenza per i Beni<br />

artistici e storici <strong>delle</strong> <strong>Marche</strong>, dall’Università degli<br />

Studi di Urbino, dall’Università di Macerata, dal<br />

Comune di Ancona e dai Comuni di Cingoli, Jesi,<br />

Loreto, Mogliano, Monte San Giusto, Recanati,<br />

dalla Pinacoteca della Santa Casa di Loreto.<br />

Il comitato scientifico della mostra era costituito da Paolo Dal Poggetto,<br />

soprintendente per i beni artistici e storici <strong>delle</strong> <strong>Marche</strong>, e da Pietro Zampetti,<br />

direttore dell’istituto di storia dell’arte dell’Università di Urbino. Il<br />

comitato esecutivo era formato dagli stessi Dal Poggetto e Zampetti, da<br />

Marilena Pasquali, Direttore della Pinacoteca Civica di Ancona, e da Maurizio<br />

Piazzini, Assessore alle Attività Culturali del Comune di Ancona. In<br />

occasione della mostra circa settanta dipinti furono restaurati e ricondotti<br />

alla loro veste originaria salvando, in tal modo, numerosissime opere che<br />

versavano in cattivo stato e rischiavano di deteriorarsi irreparabilmente.<br />

Il catalogo - di cinquecentottantadue pagine - pregevolissimo, fitto di<br />

intramature filologiche, ricco e denso come una narrazione inesauribile,<br />

fu stampato dal Centro Di di Firenze nel luglio del 1981 e posto in vendita<br />

al prezzo di20 mila lire La mostra restò aperta fino al giorno 11 ottobre di<br />

quell’anno, una domenica.<br />

Le mani. La grammatica e quella occulta sintassi <strong>delle</strong> mani. La danza,<br />

la processione di mani, la loro mobilità. Le mani come linguaggio muto,<br />

come elementi fondanti di una resistente, intramata tessitura di significati<br />

e riferimenti. Che cosa sta scritto e dipinto in quelle mani? Dove cogliere<br />

la traccia che ce ne liberi il primo, profondo e nascosto codice?<br />

Lorenzo Lotto di Tommaso, “pictor venetiano”, nato nel 1480, tracce ne ha<br />

seminate un po’ dovunque affinché si potesse tentare di scovare anche un<br />

pur minimo bandolo dentro l’intricata “selva” di dita dipinte con sapienza,<br />

maestria, pazienza e cura, lavorate ed elaborate con scrupolo, minuzia e<br />

dovizia di “particulari”, studiate nelle loro inedite e ignote geometrie, nel<br />

loro orchestrato, allegorico e figurale codice. Ogni opera ha, fra le sue<br />

diverse chiavi interpretative e di lettura, le mani e in ogni opera alle mani<br />

è consegnato il segno che definisce o, in alcuni casi, sposta il senso.<br />

Prendiamo il Polittico di Recanati (“Lavrent Lotus MDVIII”) e, del Polittico,<br />

la tavola di cimasa, quella raffigurante La pietà (Cristo morto abbracciato<br />

dall’angelo, da Giuseppe d’Arimatea, dalla Maddalena, presente la figura<br />

nascosta della Madonna), uno fra i più drammatici e tesi “testi” di tutta<br />

l’opera pittorica e poetica del Lotto. Soffermiamoci sull’uso <strong>delle</strong> mani,<br />

sulla loro posizione, sul loro movimento; scrutiamone l’agire: le mani del<br />

d’Arimatea, una che sorregge e raccoglie la parte destra della testa re-<br />

19 19clinata di Cristo, l’altra<br />

aperta sul petto; quelle<br />

della Maddalena,<br />

una racchiudente, a<br />

coppa, un gomito, l’altra<br />

che tiene la mano<br />

sinistra di Cristo; quella<br />

dell’angelo visibile<br />

sul braccio abbracciato<br />

del Nazareno. Tutto<br />

il tracciato <strong>delle</strong> mani<br />

è un incedere di dolore<br />

attorno al corpo nudo,<br />

seduto, le labbra semichiuse<br />

che hanno<br />

licenziato l’ultimo fiato<br />

dopo la crocifissione.<br />

Che cosa ci lascia<br />

sentire il dolore, l’impotenza,<br />

il patimento,<br />

la perdita di chi, prima<br />

vivo in quel corpo,<br />

ora altro non è che un<br />

pesante uomo inerte,<br />

abbandonato, nel silenzio<br />

della morte, alle<br />

cure d’amore e di pietà<br />

di quelle mani? Circoscriviamo<br />

l’attenzione<br />

alla mano sinistra di<br />

Giuseppe d’Arimatea,<br />

quella che - le dita<br />

unite, il pollice leggermente<br />

dischiuso - copre<br />

un seno del Cristo<br />

e impercettibilmente,<br />

in punta di polpastrelli,<br />

vela e protegge<br />

quella zona trattenendosimbolicamente<br />

il cuore, l’ultimo a<br />

tacere in quel corpo,<br />

uno fra i più “veri” di<br />

tutta l’iconografia ta-<br />

natologica di Cristo.<br />

Quella mano è forse la<br />

cifra di saldatura della<br />

tavola, il centro verso<br />

cui convergono tutti<br />

gli elementi costitutivi<br />

e descrittivi. La mano<br />

come metafora irradiante.<br />

Ma dove tutta<br />

la polifonia gestuale<br />

del Lotto trova il suo<br />

vertice è nella Crocifissione<br />

di Monte San<br />

Giusto (1531, anche se<br />

dal restauro è emerso<br />

che, molto probabilmente,<br />

l’opera potrebbe<br />

risalire al 1534),<br />

nella coralità compatta<br />

e potente della tela<br />

che rasenta, in alcuni<br />

momenti, la perfezione<br />

del grande affresco (la<br />

tela: cm. 452 x 248).<br />

Solo per la Crocifissione<br />

necessiterebbe uno<br />

spazio di indagine ampio,<br />

tanto l’opera è fitta<br />

e densa di elementi e<br />

riferimenti (dal Maestro<br />

olandese Jam di Zwolle,<br />

del tardo Quattrocento,<br />

al Dürer, al Grünewald,<br />

alla cultura e tradizione<br />

popolari degli<br />

ex voto, agli influssi<br />

europei di quel tempo,<br />

soprattutto nordici).<br />

Anche qui analizziamo<br />

il contrappunto<br />

interrelato <strong>delle</strong> mani,<br />

quella partitura nella<br />

Grande Partitura,<br />

quella sorta di “secon-<br />

do testo” che crea un<br />

movimento circolare<br />

alla base <strong>delle</strong> tre<br />

croci di Cristo, di Tito<br />

e di Dimaco.<br />

La massa assiepata segue<br />

una precisa regia<br />

cadenzata e scandita<br />

proprio dalle mani; le<br />

mani stesse significano<br />

il ruolo di ciascun<br />

personaggio, di ciascun<br />

personaggio esprimono<br />

la condizione emotiva;<br />

le mani orchestrano il<br />

crescendo solenne e<br />

drammatico dell’evento<br />

che si compie e<br />

quell’evento (segnato<br />

nella memoria dell’uomo<br />

e dall’uomo tramandato)<br />

trova uno


dal diario<br />

dei suoi nuclei rappresentativi nella figura equestre<br />

posta sul lato sinistro della tela, la figura<br />

di centurione che si sporge all’indietro con la<br />

schiena e protende, verso la croce di Cristo, le<br />

braccia aperte e le palme <strong>delle</strong> sue mani in un<br />

dichiarativo intensissimo, riconducendo al centro<br />

(alla verticalità dell’opera quindi) tutta l’attenzione.<br />

Un’altra “zona” della tela da esaminare<br />

(per cogliere fino in fondo la misura dell’inedita<br />

maestria del Lotto) è quella che ritrae (in basso<br />

a sinistra) il legato apostolico Nicolò Bonafede<br />

(che commissionò l’opera) inginocchiato, le<br />

braccia incrociate, lo sguardo fisso in un punti<br />

lontano. É l’unico ad avere le mani immobili,<br />

l’unico ad essere estraneo all’evento rappresentato.<br />

La posizione di primo piano laterale ce lo<br />

consegna come parte integrante del dipinto e,<br />

nel contempo, come luogo del presente, di un<br />

presente che rivive, con l’occhio dell’immaginario<br />

e della memoria, quanto sul Golgota è<br />

avvenuto. L’inginocchiato è nel cuore di una<br />

situazione meditativa, nell’ascolto profondo di<br />

quel sacrificio che è al di là di lui stesso, che lo<br />

precede in un “prima” storico proiettato, nella<br />

trama del tempo, sul vivere di ciascun uomo e<br />

che il Lotto, spostando in alto il piano dell’opera<br />

(la croce centrale, le altre due convergenti su<br />

di essa), dimensiona all’interno di una “narrazione”<br />

tutta realistica (le piene, forti e marcate<br />

anatomie, la statuaria, plastica positura dei<br />

cavalli, la ricerca dei volti).<br />

Le radici della mediazione e della riconduzione<br />

all’evento sacrificale stanno in quelle due mani<br />

20<br />

immobili come colombe addormentate, in quelle<br />

dita unite come piume d’ala.<br />

É, quello del legato Bonafede, l’unico frammento<br />

statico, contemplativo. Dietro, accanto e sopra<br />

di lui, tutto brulica e si agita nel concitato e folto<br />

scenario di luci cupe e radenti, di toni tragici<br />

e marcati che connotano i tre piani dell’opera<br />

(il gruppo che sorregge Maria al centro, il coro<br />

e i crocifissi). L’incrociarsi diagonale e verticale<br />

<strong>delle</strong> picche è poi composto secondo un progetto<br />

strettamente coerente e conseguente all’impianto<br />

e al bilanciamento generale della tela e<br />

fornisce lo spessore dell’incalzante crescendo di<br />

dramma e pathos che sotto le croci turbina rafforzato dall’incombenza di un<br />

cielo pesante nel quale sembrano cancellarsi o immergersi i terminali <strong>delle</strong><br />

croci stesse, battute da un vento che agita e sconvolge tutto. La lettura <strong>delle</strong><br />

mani lottesche potrebbe proseguire suffragata da altri esempi (pensiamo<br />

alla pala di Santa Lucia, alla Visitazione, alla Madonna del Rosario o Pala di<br />

Cingoli, alla Pala della Trasfigurazione, a Cristo e l’adultera, a L’Assunta); la<br />

lettura stessa andrebbe approfondita in termini di ricerca pittorica, calata<br />

dentro le maglie di una elaborata e solida concezione del disegno di base.<br />

Da quanto si è detto fino ad ora, emerge un aspetto rilevante di questo maestro<br />

strano, defilato, isolato, di questo “pictor venetiano” che trova, nelle<br />

<strong>Marche</strong>, forse la sua più prossima e interiore residenza, il luogo in cui si ricompone<br />

un paesaggio esistenziale fin troppo frantumato e dissestato da vicende<br />

interne ed esterne, il luogo in cui scegli di attendere la morte sebbene<br />

di essa non “potemo haver alcuna certezza, del quando, né luocco, né come”.<br />

Della dimensione esistenziale del Lotto, le opere marchigiane sono la misura<br />

e la voce e per questo meglio sarebbe stato se le avessero raccolte e collocate<br />

tutte assieme in un’unica sede, invece che seminarle in un assemblaggio a<br />

volte ingiustificato e immotivato, spesso distraente, troppo dissimile il livello,<br />

inesistente il confronto con gli altri del suo tempo, sotto il suo riflusso.<br />

Una pittura che davvero nasce nuova e riconduce a noi un artista attento<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

a decifrare le verità quotidiane attraversate dalla<br />

lingua della luce che le manifesta. Una pittura calata<br />

nelle pieghe segrete di una poetica del “dentro”<br />

legata al segno e al senso di un “destino” mai<br />

contraddetto, compiuto nell’evolversi della sua<br />

“forma”. Anche qui gli esempi sarebbero numerosi<br />

e questa volta legati ai volti, agli occhi, ai profili,<br />

al disegno <strong>delle</strong> figure espresse e “fermate”; addirittura<br />

alla poetica oggettuale, alle “nature morte”<br />

lottesche, a quella attenta, minuziosa, pignola e<br />

nitida ricognizione da cui emerge un costante e<br />

sotterraneo alluso tematico. In questa ottica,<br />

soffermiamoci proprio sui nudi oggetti d’arredo<br />

situati, in apparenza, in zone marginali o periferiche<br />

<strong>delle</strong> tele, ma in realtà posti in posizioni<br />

centrali, niente affatto complementari (ne La<br />

Visitazione quanto è sopra il piano della mensola;<br />

in un taglio de L’Annunciazione di Recanati, i libri,<br />

un candeliere, un calamaio e le penne; nel Cristo<br />

deposto nel sepolcro gli attrezzi usati per decrocifiggere<br />

Gesù, un martello e una tenaglia; le<br />

borracce rinvenibili in più di un’opera). Prestiamo<br />

poi attenzione ai gioielli e alle bottonature dipinti<br />

con profonda conoscenza e gusto (alcune notizie<br />

riferiscono che il Lotto portasse con sé una cassetta<br />

contenente pietre preziose, corniole, anelli,<br />

cammei, gioielli di varia foggia che poi utilizzava<br />

come modelli e campioni di lavoro).<br />

Una sosta meritano anche i fiori e i petali leggibili<br />

in diversi dipinti: nella Pala di Cingoli (i tre<br />

putti che spargono petali di rosa da una cesta<br />

colma); il roseto rampicante alle spalle della<br />

Madonna con i quindici “tondi” o “lanterne cinesi”<br />

(secondo Berenson); di nuovo ne La Visitazione,<br />

le violette ai piedi di Maria e <strong>delle</strong> ancelle.<br />

É evidente che gli oggetti rientrano in una specifica<br />

simbologia iconografica e mistica, ma qui<br />

interessa lasciare emergere il dato realistico, lo<br />

sguardo indirizzato ai dettagli, alle sfumature, ai<br />

frammenti di un quotidiano innestato nel vasto<br />

corpo dell’opera, un quotidiano che, legato strettamente<br />

alle nervature e al tessuto cromatico<br />

<strong>delle</strong> tele, viene vissuto come elemento nodale<br />

del “racconto”. Gli oggetti si pongono come valori<br />

imprescindibili di un paesaggio degli interni<br />

domestici così come, per gli esterni, nell’identica<br />

ottica, leggiamo l’eterogeneo e simbolico bestiario o le figurine delineate<br />

sugli sfondi. Certamente, un’indagine più approfondita ci consentirebbe<br />

di delineare un’ipotesi sul Lotto popolare, conoscitore dell’esistenza dei<br />

marginali, dei poveri, <strong>delle</strong> comunità contadine marchigiane del Cinquecento<br />

(e qui torna utile l’allusione ai volti, alle facce maschili marcate,<br />

dai tratti duri, incisivi); si porterebbe in superficie l’aspetto niente affatto<br />

sottovalutabile del Lotto che guarda la vita dal basso, “da sotto”, frugando


dal diario<br />

in una realtà taciuta, scendendo nelle dimesse<br />

dimore di una condizione umana e sociale buia,<br />

continuamente cancellata.<br />

L’ambiguità e l’ambivalenza (umane e stilistiche)<br />

troverebbero, allora, il dato che le attesta<br />

e le motiva. La mostra di Ancona apre un nuovo<br />

tempo della conoscenza lottesca e pone grosse<br />

questioni che investono, contestualmente,<br />

l’opera di questo strano maestro, isolato, “inquieto<br />

nella mente”, e il rapporto che l’arte del<br />

passato ha con noi, proprio in questo presente<br />

che sembra in apparenza cancellare e seppellire<br />

ogni memoria, ogni archetipo, ogni sua epifania<br />

ma che, nel rovescio della realtà, chiede di<br />

riconoscere la sua identità primitiva. L’opera di<br />

un complesso e difficile artista come lui è stato<br />

si offre a una pluralità di decodifiche ma, secondo<br />

me, una fra le più efficaci è quella (tutta<br />

da sperimentare) che ci suggerisce di porci “dietro”<br />

ogni opera, nel punto non visibile in cui è<br />

possibile scrutare ciò che si propone come “non<br />

detto” e “non dato” nella tela. Insomma, se nella<br />

poesia è da ricercare, fra le altre cose, ciò che<br />

sta “prima della parola”, nella pittura va disseppellito<br />

ciò che sta “prima del segno”, dell’intarsio<br />

cromato. Lorenzo Lotto ci appare, oggi, come<br />

una fra le più enigmatiche e ignote figure della<br />

storia dell’arte, ma anche come il più prossimo<br />

nel cammino di una identità riconosciuta verso<br />

cui si va procedendo nel silenzio, lo stesso che<br />

occupa e anima un olio su tela del Lotto non<br />

compreso nella mostra anconitana, quel Triplice<br />

ritratto di orefice (1528-’30 circa, presso il Kunsthistorischs<br />

Museum di Vienna) che riproduce,<br />

in tre pose (due di profilo e una di fronte), forse<br />

uno dei molti amici orefici del pittore veneziano.<br />

Il ritratto offre un volto penetrato e penetrante,<br />

gli spilli degli occhi fissi per ogni “posa”, le tre<br />

dimensioni del volto stesso denotano una situazione<br />

di ascolto e di attesa vissuta nel fluire del<br />

tempo e che solo nel tempo cresce. L’ignoto orefice<br />

verso dove guarda?<br />

Pur essendo immobile, su quale soglia di cammino<br />

si trova? La triplice immagine muta, che cosa<br />

cela nel suo “prima”, in quel preciso momento<br />

in cui il Lotto avrà pure avvertito la vertigine<br />

22<br />

francesco scarabicchi<br />

che un pensiero nascente manda come sua staffetta? E quelle mani che<br />

l’ignoto orefice tiene sul petto, all’altezza del cuore, a cosa alludono nel<br />

loro concavo interno, in quelle fessure quasi impercettibili fra le dita?<br />

*28.III.2004<br />

Il giorno 8 del mese di settembre del 1554 Lorenzo Lotto si fa “oblato”<br />

della Santa Casa di Loreto (“[…] spontaneamente e perpetuamente offerisco,<br />

do, dono e dedico la propria volontà il corpo et tutta la mia robba che<br />

mi trovo et che pro tempore trovar mi potessi sì in vita come dopo morte<br />

[…]”). Ha circa settantaquattro anni. A Loreto è giunto definitivamente,<br />

lasciata Ancona, il 30 agosto del 1552 (“[…] condoto con tute le mie robe,<br />

per habitar a complacentia del reverendissimo governator Monsignor Gaspar<br />

de Doti, prothonotario apostolico, in mio beneficio acomodatomi de<br />

stantia etiam locco da lavorar, et darmi la spesa del vito con el garzone et<br />

che possi lavorar per altri in cunto mio e guadagno”.).<br />

L’ultima annotazione, su foglio volante, del Il libro di spese diverse - conservato<br />

a Loreto nell’Archivio Storico, iniziato ad Ancona il 16 novembre<br />

1538 e tenuto fino alla fine dei suoi giorni - è del primo settembre 1556<br />

(riedito, in copia anastatica e in edizione critica, a cura di Floriano Grimaldi<br />

e Katy Sordi, nel 2004, dalla Delegazione Pontificia per il Santuario della<br />

Santa Casa di Loreto). Probabilmente muore tra la fine del 1556 e il luglio<br />

del 1557 nell’ultimo riparo da una vita errabonda, “[…] per non andarmi<br />

avolgendo più in mia vecchiaia, ho voluto quetar la mia vita in questo<br />

santo locho: et fattomi oblato a perpetua vita mia […]”.<br />

Si spegne, in là con gli anni, quasi afono, forse in un mese d’autunno o<br />

d’estate, sotto il cielo di nuvole alte che si vedono dalla Via Sisto V – Osimo<br />

e Castelfidardo sui colli e l’isola verde del Cònero -, camminando verso<br />

la Porta del Palazzo Apostolico, in quell’arco di vento perenne prima di<br />

voltare sotto il colonnato e salire le scale del Museo Pinacoteca dove sono<br />

conservate le sette tele - destinate a decorare il Coro della Basilica - del<br />

pittore veneziano nato intorno al 1480, un po’ prima di Tiziano (1490) e circa<br />

tre anni dopo Giorgione (1477-‘78). Sono, quei dipinti, il frutto solitario ed<br />

estremo di un artista isolato, inquieto, continuamente costretto a lasciare le<br />

dimore e i luoghi della vita, ferito dall’incomprensione (solo il Novecento –<br />

dopo Bernard Berenson - gli renderà davvero giustizia affidandogli la dignità<br />

di uno dei vertici del Rinascimento, non più coperto dall’ombra pesante del<br />

Vecellio), accusato d’essere artefice di una pittura popolare, inadeguata alle<br />

chiese e ai committenti d’alto rango, legata al senso “basso” della vita e <strong>delle</strong><br />

cose, ai destini di figure anonime. Un’esistenza, la sua, segnata dalla dolorosa<br />

fedeltà alla propria vocazione nel tentativo di far coincidere poetica e<br />

senso morale. In questo la sua grandezza e l’autenticità che lo sottraggono<br />

ai limiti dell’epoca per condurlo fino a noi, nella tormentata luce del dubbio,<br />

la stessa che tocca l’ultima opera, quell’incompiuta e perfetta Presentazione<br />

di Gesù Bambino al Tempio, “[…] la più moderna pittura che mai maestro<br />

italiano abbia dipinto […]”, secondo Berenson.<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

Loreto (come le <strong>Marche</strong>, dove seminerà di opere il<br />

suo passaggio nei diversi luoghi di due province)<br />

è quel senso intimo che lo accoglie o al quale si<br />

consegna. Lungo il sentiero della peregrinazione,<br />

c’è il segno di una tensione “ormai prossima a<br />

quella dell’Amleto di Shakespeare”, dopo le “certezze<br />

solari”, come ha scritto Pietro Zampetti. La<br />

grande crisi del Rinascimento è toccata dalla luce<br />

terribile e intensa di Lotto, dal suo ferito e verticale<br />

umanesimo.<br />

Nessuno sa dove sia stato sepolto, ma forse s’è<br />

lasciato calare in una fossa “al costume e usanza<br />

fratesca”. C’è traccia del suo “matarazzetto” venduto<br />

“a francesi” già il primo giorno di luglio del<br />

1557, per “fiorini tre et bolognini cinque”.<br />

27.I.2011<br />

“Ancona con la prima e la seconda guerra mondiale<br />

vide disastri immani, vide il proprio volto<br />

mutato, antichi monumenti scomparsi, chiese<br />

distrutte, l’aspetto dei suoi rioni storici alterato<br />

per sempre. […] La città riprendeva a guardarsi<br />

attorno, a riconoscersi: quei quadri disposti con<br />

estrema semplicità negli spazi di una sede, che<br />

è il simbolo <strong>delle</strong> sue vicende storiche, ebbero<br />

il merito di sollevare gli animi, di proporre un<br />

modo anche diverso di vivere, dopo anni e anni<br />

di violenze inaudite, di tragedie, di macerie e<br />

di morte. […] San Ciriaco con le ferite ancora<br />

aperte, Santa Maria della Piazza chiusa da<br />

staccionate ed inavvicinabile, la chiesa di San<br />

Pietro cancellata dal suolo: e con essa quella<br />

della Misericordia, di San Primiano, di Sant’Anna<br />

dei Greci, ed altre ancora.<br />

Anche palazzi, vie e piazze erano spariti, così<br />

come le ripide stradine e le scalinate che dal<br />

Guasco conducevano al porto. Si camminava tra<br />

gli scheletri di edifizi poi abbattuti, su sentieri<br />

che sormontavano le macerie. S’ergeva invece,<br />

mole quasi insospettata, la facciata a mare del<br />

Palazzo degli Anziani che, “liberato” dalla incombente<br />

chiesa di Santa Maria della Misericordia<br />

con la sua bella cupola coperta da pietre<br />

di azulejo rivelava finalmente il suo prospetto<br />

altissimo, ritmato dalle belle finestre romaniche


dal diario<br />

a sesto ribassato, e sostenuto dagli archi gotici<br />

in pietra d’Istria.” Autore di questo brano è Pietro<br />

Zampetti nell’introduzione a Lorenzo Lotto<br />

nelle <strong>Marche</strong>. Il suo tempo, il suo influsso (luglio<br />

1981), ricordando, fra l’altro, la mostra del ’50 a<br />

Palazzo degli Anziani - Pittura Veneta nelle <strong>Marche</strong><br />

- che egli curò e che precederà di soli tre<br />

anni quella fondamentale di Venezia - sempre<br />

a lui dovuta - allestita a Palazzo Ducale e integralmente<br />

dedicata a Lorenzo Lotto.<br />

L’Ancona di cui ci parla nei passi citati (e nella<br />

quale era nato nel 1913) non esiste più: né quella<br />

cancellata dai disastri della guerra, né quella<br />

che la guerra ci ha lasciato in eredità.<br />

Il paesaggio che egli poteva osservare andandosene<br />

a Treviso è assai diverso, nel bene come nel<br />

male, tolte le macerie, recuperata gran parte di<br />

ciò che alle incursioni e agli insulti della storia<br />

è sopravvissuto, salvata la bellezza residua, cresciuto<br />

il cemento e gli inserti che, verso il cavalcavia<br />

che porta alla stazione, spezzano sguardo<br />

e umore e incombono su chi passa nella luce<br />

zebrata del primo pomeriggio.<br />

Zampetti lasciava un’Ancona che gli deve (oltre<br />

alla vastità della sua ricerca e della sua<br />

opera di storico e critico) l’etica di un’educazione<br />

silenziosa e lunga al senso di una passione<br />

esclusiva per l’incessante domanda sulla<br />

vita attraverso la pittura, le forme, gli stili, gli<br />

autori, le epoche, le città, gli eventi.<br />

Un interrogatorio senza requie che, volta per<br />

volta, ha assunto, su tutte, l’identità di Lotto<br />

e poi di Giorgione, Carpaccio, Crivelli, Bellini,<br />

Gentile da Fabriano, nelle trame complesse di<br />

un’esistenza davvero intensa che la sua figura<br />

porta come dono e destino, nella cadenza<br />

del bastone che ritma il passo salendo o scendendo<br />

il Viale, qualunque sia la stagione, nella<br />

vivida luce degli occhi. Salutandolo, ora che<br />

si è spento per sempre, mi viene in mente che<br />

proprio in quel Palazzo degli Anziani, “simbolo<br />

<strong>delle</strong> sue vicende storiche”, lo conobbi il giorno<br />

dell’inaugurazione della mostra lottesca del<br />

1981, di fronte all’oriente del mare, nella luce<br />

radiosa del maestro veneziano, a pochi passi<br />

dalla Chiesa del Gesù.<br />

francesco scarabicchi<br />

numero zero<br />

24<br />

25<br />

che nulla spiegano e poco raccontano <strong>delle</strong> sue scelte di vita. In principio<br />

un orizzonte<br />

nuovo<br />

loretta mozzoni<br />

Le tante lettere, il diario quotidiano della vecchiaia, i suoi stessi quadri ci<br />

hanno convinto di aver penetrato fino in fondo il suo essere pittore e la<br />

sostanza della sua arte. In realtà si tratta di un falso eccesso di informazioni<br />

era Venezia, in pieno entusiasmo creativo dopo secoli di assonnate figurette<br />

greche. Ma quello straordinario laboratorio di sperimentazioni pittoriche è<br />

meno attraente di qualcosa che lo attrae e lo risucchia a Treviso.<br />

La capitale e la provincia, il centro e la periferia, il protagonista e la comparsa.<br />

È in questo apparentemente ininfluente trasferimento da Venezia a Treviso che<br />

va cercata l’onda lunga che travolge la carriera e la fortuna critica di Lotto.<br />

Ci piace la vulgata dell’artista che sceglie le periferie e consapevolmente si<br />

affida alla marginalità popolare. Eppure la sua biografia ci dice altro. Ci racconta<br />

di un giovane pittore che ce la mette tutta per integrarsi negli ambienti<br />

che contano a Roma come a Venezia senza riuscirci mai. Perché personalità<br />

più invadenti della sua lo scalzano dalla posizione appena ottenuta e lo<br />

respingono ai margini. Oppure perché un carattere lunatico e introverso lo<br />

ricaccia sempre indietro, in città sempre diverse, in abitazioni precarie, in<br />

amicizie prima cercate e poi temute. La sua è una figura ancora medievale del<br />

pittore itinerante che non ha legami di bottega, ma ogni volta un orizzonte<br />

nuovo, un luogo “altro” per limitare un confine mai definitivo. Mi piace pensare<br />

che uno dei luoghi dell’anima siano state le <strong>Marche</strong> non solo come terra<br />

di avvicinamento a Roma e come rifugio dopo Roma, ma anche come rimedio<br />

al frastuono del rinascimento raffaellesco e michelangiolesco. È evidente che<br />

il Rinascimento romano non lo soddisfa. Non lo interessano né la pompa né<br />

l’esaltazione dell’eroe. Le sue radici sono quattrocentesche e, come aspirazione<br />

finale, trecentesche. Lotto affronta i temi religiosi dal versante terreno e<br />

<strong>terrestre</strong>, affidando alla potenza del corpo la carica spirituale che caratterizza<br />

i contenuti. Seguito a dire che forse non è stato sufficientemente indagato<br />

il rapporto con i marchigiani, in particolare con i Salimbeni e Giovanni Boccati<br />

e con quell’altro veneto, Carlo Crivelli, così presente nella nostra terra.<br />

D’altra parte una pittura ancora gotica non poteva non interessare un artista<br />

che era cresciuto guardando con interesse alla cultura tedesca. Le due cose<br />

inevitabilmente si saldano. Parlando di geografia lottesca non bisogna mai<br />

dimenticare che nella sua formazione un ruolo fondamentale lo interpreta il<br />

Nord Europa con tutte le sue resipiscenze teologiche e spirituali (il tentativo<br />

poi riuscito di Lutero di staccarsi dai giochi di potere della curia vaticana) e<br />

la vocazione a creare una cultura nuova, atlantica. Venezia - che ha una sua<br />

tradizione mai territoriale - non poteva non capire questo nuovo orizzonte<br />

oceanico. La ferisce, ma lo condivide. Fa parte del suo modo stesso di essere<br />

grande capitale del mondo, affacciata sul mare e protesa verso terre lontane.<br />

E pazienza se l’Atlantico le toglie ruolo e ricchezza. Il linguaggio parlato dagli<br />

uomini del Nord è lo stesso, insofferente alla retorica romana, indifferente<br />

ai giochi di potere la cui posta non è l’apertura di un nuovo mercato, ma la<br />

posizione gerarchica nella<br />

curia romana.<br />

È dentro questa cornice che<br />

trovano posto le <strong>Marche</strong>, un<br />

mondo antico, ma per niente<br />

semplice, di cui ci rimane<br />

tanta parte di pittura religiosa<br />

e narrativa, spirituale<br />

e popolare. Le <strong>Marche</strong> vogliono<br />

e sollecitano soggetti<br />

devozionali a seguire una<br />

inclinazione pittorica tardo<br />

medievale rinnovata negli<br />

aspetti di carattere formale<br />

e cromatico. Lorenzo Lotto<br />

è il protagonista assoluto<br />

di questa straordinaria<br />

tradizione, ravvivata con<br />

esiti di assoluta grandezza<br />

e originalità. Pur ammettendo<br />

gravi perdite di opere<br />

del Lotto, la prevalenza<br />

della sua opera è di soggetto<br />

religioso e, a differenza<br />

di quanto si conserva<br />

a Bergamo e a Treviso,<br />

non è rimasto in regione<br />

nessun ritratto. Così come<br />

non si ha notizia di nessuna<br />

opera realizzata per<br />

Macerata dove pure risiede<br />

per non breve periodo<br />

mentre lavora a Cingoli<br />

per la strepitosa Pala del<br />

Rosario. Uomo più di terra<br />

che di mare, guarda agli<br />

orizzonti collinari marchigiani<br />

come ad una cornice<br />

entro la quale sempre più<br />

desidera concedersi pace.<br />

Senza cercare troppo lontano<br />

aveva la soluzione a<br />

portata di mano: un’altra<br />

casa, l’ultima, quella<br />

di Maria, l’unica capace<br />

di tenerlo fermo, almeno<br />

fino alla morte.


giovanni<br />

serodine<br />

una gita ticinese<br />

Quello del poeta Fabio Pusterla fu un gesto di affetto in forma di restituzione,<br />

l’ennesimo di una lunga e fervida amicizia. Più volte era venuto<br />

nelle <strong>Marche</strong>, più volte aveva chiesto ai suoi amici (e naturalmente aveva<br />

subito ottenuto) di poter visitare i capolavori di Lorenzo Lotto, a Jesi e a<br />

Recanati. Lì lo avevano colpito non solo e non tanto la delicatezza esatta,<br />

vertiginosa, di quel magistero isolato e senza pari, quanto il racconto<br />

parallelo della sua vicenda di individuo e di artista sempre vulnerato da<br />

incomprensione, silenzio e oblìo. Dunque Pusterla era inteso, da tempo, a<br />

contraccambiare e l’occasione fu una gita estiva. C’era il sole a picco e un<br />

caldo bitumoso ad Ascona, sulla riva del lago Maggiore che guarda all’Italia<br />

ed in particolare a due siti che gli sono carissimi ma di lì non si vedono<br />

e però si intuiscono, vale a dire Luino (minuscola patria del suo Vittorio<br />

Sereni) e, più remota, Domodossola, dove è nato e riposa Gianfranco Contini.<br />

I tavoli di un bar all’aperto non annunciavano quel giorno del ’99, nel<br />

pieno pomeriggio d’agosto, nulla che non fosse di un turismo risaputo, il<br />

controluce accecante, birra e gelati, coppie per lo più di anziani tedeschi,<br />

bambini irritati dall’afa. Nulla pareva contraddire la quiete ronzante di un<br />

borgo che sembra tuffarsi nel lago, non ci fossero il molo o la piazza che<br />

lo fa somigliare, lindo e quieto, a decine di altri borghi ticinesi.<br />

Quando Pusterla fece per alzarsi, tutti pensarono a un gesto di sollievo e<br />

non, invece, ad una strepitosa digressione.<br />

A pochi metri, di spalle alla piazza, Pusterla si infilò (seguito dal gruppo<br />

degli amici, perplessi) sotto il portico della Chiesa Parrocchiale, entrò dentro<br />

e puntò direttamente all’abside.<br />

massimo raffaeli<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

La chiesa era vuota, fresca, ben illuminata. Così, bastò alzare gli occhi per<br />

vedere qualcosa di cui tutti (dico tutti perché anche i bambini non osarono<br />

fiatare) colsero all’istante la prodigiosa verticale: l’Incoronazione della<br />

Vergine e Santi, una pala d’altare (un trionfo ascendente di rosso, ocra<br />

e gialli arroventati) che risulta dipinta da Giovanni Serodine nel 1625 e<br />

perciò cinque anni prima della sua morte a Roma, dove dalla natìa Ascona<br />

si era trasferito, o forse era scappato con il sogno, che presto si mutò in<br />

illusione, di potersi affermare dipingendo alla maniera del maestro, nientemeno<br />

Caravaggio, che da Roma a sua volta era fuggito per essere rincorso<br />

dal disprezzo, dalla maldicenza e persino da un mandato di cattura.<br />

Pusterla non sbagliava, perché il nome di Giovanni Serodine, pari a quello<br />

dei caravaggeschi in blocco, era un nome mitologico per almeno uno degli<br />

amici presenti. Una ventina d’anni prima a Bologna, ne aveva parlato a<br />

lezione Carlo Volpe, insigne storico dell’arte e allievo di Roberto Longhi,<br />

cui dovevo infatti le mie sole notizie sul pittore.<br />

Poi era venuto il libretto longhiano, copertina verde, semplicemente intitolato<br />

Giovanni Serodine, fitto di immagini in biancoenero filologico,<br />

comparso da Sansoni nel ’54, che conteneva, debitamente ampliata, la<br />

recensione ad una mostra ticinese uscita in “Paragone” (numero 7, del luglio<br />

’50). Col suo stile impareggiabile, quasi di un D’Annunzio redentosi al<br />

lume della scienza, Longhi ne tracciava il profilo inseguendo il decorso di<br />

una vita troppo breve e di opere disperse: nato intorno al 1594, colui che<br />

sopravvive a Roma marcendo in una solitudine così vicina al fallimento,<br />

la solitudine di un uomo che ha trent’anni appena, evoca a Longhi “un<br />

vecchio capomastro ticinese, scarmiglione e bohémien, un impasto di Don<br />

Chisciotte e Don Ferrante”, o insomma il caravaggista incallito che non ha<br />

pudore di ritrarre la Madonna e i Santi “in una luce di cantina tra gente<br />

comune e senza decoro” tanto che, aggiunge lo scrittore, costui aveva<br />

l’impudenza di tradurre Caravaggio all’aperto, voltando il luce/ombra nella<br />

scansione binaria di più luce/meno luce o più ombra/meno ombra che,<br />

a vederla d’acchito, è sua e solo sua.<br />

È certo che nessuno ha mai dipinto nei modi della tela di Ascona: qui la<br />

zona inferiore è gremita di santi malvissuti (fra cui spicca, facendo eccezione,<br />

la porpora lussuosa di San Carlo Borromeo), tutti quanti scoscesi<br />

in un triangolo isoscele di barbe brizzolate, canizie scarruffate, pesanti<br />

abiti talari, i quali si stringono a brandire il tovagliolo della Veronica con<br />

l’effigie del Cristo; la zona superiore, viceversa, rovescia il triangolo in<br />

un’orgia di luce rovente che sublima le figure di contorno e le accerchia,<br />

sfuocandole, ai lati di una Vergine che ha i medesimi tratti di Lucia<br />

Mondella. In altre parole, Serodine ha dipinto un trionfo che può essere<br />

letto come un Memento mori.<br />

Era un artista troppo grande per ridursi a illustratore, troppo libero per<br />

poter soggiacere alla moda che, sanzionando Caravaggio, castigava la sua<br />

stessa inventiva. L’emozione e il silenzio ammirato, addirittura costerna-<br />

to, dei presenti quel<br />

giorno ad Ascona non<br />

era solo un suggello<br />

necessario ma replicava,<br />

alla lettera e per<br />

altra via, l’antica consuetudine,<br />

che nelle<br />

<strong>Marche</strong> è consuetudine<br />

domestica, con Lorenzo<br />

Lotto. Mi sono<br />

chiesto molte volte che<br />

cosa, oltre all’impulso<br />

di una generosità per<br />

lui abituale, che cosa<br />

voglio dire abbia indotto<br />

Pusterla a guidare<br />

i suoi amici davanti<br />

a Serodine. Continuo<br />

a non saper rispondere<br />

ma, ogni volta,<br />

mi vengono in mente<br />

certi suoi versi di Folla<br />

sommersa (Marcos y<br />

Marcos, 2004), che dicono<br />

in clausola: “Se<br />

non succede nulla, e<br />

grigio cenere/ corre<br />

il fiume dei comodi<br />

giorni: disingannati/<br />

altri battono strade<br />

più impervie”. Tale è<br />

l’oroscopo dei<br />

27<br />

grandi<br />

artisti fuorivia, come<br />

Lorenzo Lotto o Giovanni<br />

Serodine, ma è<br />

anche l’oroscopo di alcuni<br />

che tuttora vivono<br />

e lavorano tra noi,<br />

certamente i migliori.


28<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

fiaccola 28<br />

angelucci (spenta)giulio<br />

Sapendosi al termine del proprio itinerario mon- Ma di che parla quella fiaccola spenta che gia- * L. Lotto, Adorazione<br />

dano lui si ritrae, sapiente tra i Sapienti (mago tra ce accanto al basto, mimetizzata nella tonalità dei Magi. Loreto,<br />

i Magi), prostrato nell’atto estremo dell’oblazio- terrosa del suolo? La disposizione originaria nel Museo della Santa Casa.<br />

ne*. Al suo fianco, la corona e la spada deposte Coro dei religiosi la metteva in corrispondenza Il dipinto fu istallato<br />

a terra lo dichiarano finalmente liberato d’ogni frontale con un’altra fiaccola (questa però ac- dal Pittore sopra<br />

spunto d’orgoglio, d’ogni combattività.<br />

cesa, seppure ancora per poco), strappata dalle i banchi del Coro<br />

Lì ha scelto di compiere il suo ultimo atto di Pit- mani del bellissimo Lucifero e ridotta in pezzi della basilica lauretana<br />

tura: nel luogo di devozione alla Casa dell’Annun- sotto l’incalzare dello spadone di Michele. a conclusione<br />

ciazione. Lì, dove nella reliquia dell’Incarnazione La gestualità simmetrica dei due arcangeli (vi si di una serie di sette tele.<br />

è venerato il termine iniziale della Rivelazione; coglie un moto singolare e condiviso di attrazio- Fu questa la sua ultima<br />

praticamente, il punto zero della Cristianità. Lo ne-repulsione) ha colpito tutti i commentatori. iniziativa artistica.<br />

scenario era allora ben riconoscibile.<br />

È che l’irreversibilità della condanna di Lucifero L’Autore la pose<br />

In cima al ripido pendio di Monte Ciotto, lungo il risulta solo dall’attributo villoso della coda pie- in opera all’inizio<br />

quale scende la strada da Recanati, si staglia la rogata fin sul davanti, tra le gambe dello sconfitto, del 1555, appena<br />

vina dell’antico castello dei recanatesi, e a mezza allusiva ad un fallo villoso che turba la nudità qualche mese prima<br />

costa era dato individuare il monastero di S. Gio- apollinea dell’ex-Portatore di luce.<br />

dall’invalidazione<br />

vanni (entrambi a noi noti solo dalle carte, ma an- La comparsa del sesso sta a significare la con- che nel giro d’un anno<br />

cora presenti nel paesaggio lauretano del 1554). dizione di finitezza nella quale Lucifero preci- gli sarebbe stata fatale.<br />

A sfumare nel tempo è invece il corteo che discenpita nel perdere l’appartenenza divina. Espulso L’atto giuridico<br />

de quella strada, in abito sempre più contempo- dall’immediata afferenza al Tutto, egli è con- dell’Oblazione<br />

raneo via via che affiora da una luce caliginosa. dannato all’esilio dalla Scienza perfetta. Que- era stato tipulato<br />

Da quella profondità del tempo emergono i tre sto in relazione alla sfera del Celeste.<br />

l’8 settembre 1554.<br />

Magi, compreso quello tristemente abraso da Ma, vista dalla parte di noi umani, quella creatu-<br />

un intervento di “restauro” al quale sopravvira separata - (tale è l’etimologia di “diabolica”)<br />

vono incertamente il volto di profilo, il dono - consente dignità teologica al dubbio. Infatti,<br />

e la sagoma prona davanti a Giuseppe. Il rac- per la sua natura angelica, essa resta metafisiconto<br />

del loro omaggio regale costituisce il camente votata all’annuncio. Se il suo “doppio”<br />

termine analogo della devozione dell’Oblato, supero resta latore unidirezionale dei messaggi<br />

che figura in primo piano illuminato dalla luce dall’Alto, egli – che ne è il doppio <strong>terrestre</strong> – è<br />

piena e adamantina del Gruppo.<br />

divenuto il messaggero dal Basso della dignità<br />

Alle sue spalle, un basto d’asino parla del viag- “religiosa” del dubbio e dell’errore. Rappresenta<br />

gio lento e tutt’altro che regale che l’ha con- dunque lo Spirito affannato di chi altro non può<br />

dotto spossato e confidente fin lì, alla casa di che muoversi nella consapevolezza dell’incerta<br />

Nazareth, alla cui porta (se ne ricorderà Cara- distinguibilità del Vero dal Falso, del Bene dal<br />

vaggio nel dipingere la Madonna dei Pellegrini Male. Quella fiaccola spenta è la malleveria <strong>delle</strong><br />

per Santa Maria di Loreto, in Roma) siede Ma- santità eterodosse che trovano la fonte della Veria<br />

con in braccio il Bambino benedicente. rità nella pratica virtuosa dell’incertezza.<br />

29


nostro lunedì<br />

Il San Giacomo Maggiore di Lorenzo Lotto, un<br />

quadro piccolissimo d’appena 20 x 15 centimetri,<br />

del quale non sappiamo con certezza quando<br />

e dove sia stato dipinto (d’altronde non è né firmato<br />

né datato e non risulta neanche presente<br />

tra le opere del Lotto citate dal Vasari), contiene<br />

in fieri la drammaticità tipica che caratterizza<br />

le sue figure, colte all’improvviso nella loro intimità.<br />

Si presume che questa tavoletta risalga al<br />

1512, nel momento del suo secondo soggiorno<br />

marchigiano, dunque dopo l’esperienza romana<br />

e prima di recarsi a Bergamo. I caratteri stilistici,<br />

secondo Bernard Berenson, sono gli stessi della<br />

Deposizione di Jesi (1512) e della predella della<br />

Trasfigurazione di Recanati (1512).<br />

L’apostolo San Giacomo ritrattato dal Lotto,<br />

detto Maggiore per distinguerlo dal suo omonimo<br />

Giacomo Minore, era fratello di Giovanni<br />

Evangelista. Insieme a Pietro e a suo fratello<br />

Giovanni era presente quando Gesù aveva risuscitato<br />

la figlia di Giàiro (Marco 5.37-42).<br />

Era presente anche alla Trasfigurazione sul Tabor<br />

e al Getsémani, alla vigilia della Passione.<br />

Secondo la Legenda Aurea, Giacomo era chiamato<br />

“figlio del tuono” per la potenza della sua<br />

voce quando parlava: “spaventava i cattivi, risvegliava<br />

i pigri, in tutti suscitava ammirazione<br />

per la sua elevatezza,” scrive Jacopo da Varazze<br />

(una forza e un’autorevolezza che il Lotto coglie<br />

in pieno in questa tavoletta).<br />

È stato il primo apostolo a subire il martirio, intorno<br />

all’anno 43 per ordine di Erode Agrippa.<br />

“Subito dopo l’ascensione del Signore predicò in<br />

Giudea e in Samaria; poi però andò in Spagna<br />

per disseminarvi la parola del Signore” (ibid.).<br />

30<br />

Tornato a Gerusalemme è stato decapitato. I suoi discepoli trafugarono il<br />

l’aureola<br />

di san giacomo maggiore<br />

adrian n. bravi<br />

corpo di notte, per non incorrere nell’ira dei Giudei, racconta sempre Jacopo<br />

da Varazze, poi lo caricarono su una nave senza timoniere e infine, dopo<br />

diverse vicissitudini, lo portarono sulle coste della Galizia.<br />

La piccola tavola del Lotto è imperniata, cosa che vale per tutto il pensiero<br />

del Rinascimento, sulla figura umana: un San Giacomo pellegrino già<br />

maturo, dal volto affaticato, con una barba folta e i capelli divisi in mezzo.<br />

Con una mano regge il libro della predicazione evangelica e con l’altra un<br />

bordone. Cammina a piedi nudi, in salita, con indosso un mantello blu che<br />

indica la sua autorità di testimone in materia di fede. Porta la veste rossa<br />

dei martiri, simbolo del sacrificio (un rosso che s’impone con forza, non<br />

attenuato né da ombre né da luci; appare come in un piano avanzato in<br />

rapporto al fondo dell’immagine). A terra c’è una bisaccia, una borraccia<br />

e un cappello con l’emblema della conchiglia dei pellegrini. Annodato al<br />

bordone, pende un fazzoletto la cui estremità indica un paese in lontananza,<br />

dalle parvenze marchigiane, quasi sfumato rispetto alla figura<br />

del santo. Dall’altro lato invece c’è il mare che si perde all’orizzonte e in<br />

mezzo una barca piccolissima con le vele gonfie che ricorda la nave senza<br />

timoniere sulla quale i suoi discepoli avevano caricato la salma del santo.<br />

La cosa che colpisce di più in questo quadro è, a mio avviso, quella linea<br />

sottile e luminosa che incorona il capo di San Giacomo. Non è il tipico<br />

nimbo dell’iconografia medievale (un centro intorno al quale si costituisce<br />

il soggetto da rappresentare), ma un semplice cerchio aureo orientato in<br />

prospettiva, come un attributo che pende dal cielo sopra il capo del santo.<br />

Nella Quaestio 96 della Summa Theologica, Tommaso d’Aquino analizza<br />

il problema dell’aureola e parla di un “premio mediante il quale l’uomo<br />

è reso partecipe in qualche maniera della divinità”. Dunque l’aureola in<br />

questo caso individua una singolare partecipazione con la divinità, poiché<br />

“costituisce il coronamento e l’ornamento della beatitudine”. Nella<br />

drammaticità espressiva di questo San Giacomo pellegrino, dal volto affranto,<br />

il “premio” alla sua beatitudine s’identifica con il martirio, perché<br />

è attraverso il martirio che il santo è stato coronato e reso testimone di<br />

una certa verità. “L’aureola più nobile tra tutte,” scrive ancora Tommaso a<br />

conclusione della Quaestio, mentre stabilisce una sorta di gerarchia della<br />

santità, “è quella dei martiri”.<br />

31


elogio<br />

della mano<br />

C’è una virtù magnetica, ipnotica, nel gioco di mani su cui Lorenzo<br />

Lotto costruisce quella tavola della Pietà che è uno dei suoi esiti più<br />

significativi e iconici.<br />

Un’opera che non nasce per sé, ma come parte di un insieme - il polittico<br />

di San Domenico in Recanati - di cui si fa appendice e apice,<br />

compimento ad un tempo ideale e formale.<br />

Scena di compianto posta a cimasa d’un complesso d’altare composito<br />

- frutto di rimandi stilistici articolati, assegnato dagli storici, per quel<br />

1508 che lo data, a conclusione del periodo giovanile della produzione<br />

lottesca - è una Pietà dal carattere insolito, singolare, a cavallo tra<br />

il naturalismo veneto, certi accenti figurativi mutuati in particolare<br />

da Giovanni Bellini e da Giorgione, e la narrazione dolente e aspra<br />

tipica della pittura tedesca: istanze che l’ancor giovane Lotto coniuga<br />

e combina in una visione individuale, unica perché frutto di quell’inquietudine,<br />

quel rimestio profondo dell’animo e dell’intelletto che lo<br />

faranno per tutta la vita un esule più per scelta dolorosa che per destino,<br />

ramingo per terre di provincia (Treviso, Bergamo, e poi Ancona,<br />

Jesi, Recanati e il maceratese, infine Loreto) sua sponte e suo malgrado,<br />

piuttosto che protagonista dei circuiti artistici <strong>delle</strong> grandi città.<br />

Al centro campeggia il corpo del Cristo: un corpo esangue eppure energico,<br />

monumentale pur nella sua spiccata umanità e sensuale, persino,<br />

nelle pieghe che segnano il tono ancora contratto dell’addome, l’anatomia<br />

esatta <strong>delle</strong> vene rigonfie.<br />

Ma su questo, sempre al centro, come a irradiare l’immagine stessa, e<br />

l’azione, s’impone, distesa e orizzontale, la mano sinistra di Giuseppe<br />

di Arimatea: allungata a sfiorare con cauta devozione il petto del Cristo,<br />

mentre la destra, seminascosta dall’oscurità, ne sorregge il capo<br />

abbandonato. Ci guarda, Giuseppe, e somiglia a certi vecchi già co-<br />

cristina babino<br />

nosciuti da Lorenzo grazie alle stampe tratte<br />

dai Maestri nordici (Dürer, soprattutto): è uno<br />

sguardo attonito, disperso nel dolore appena<br />

compiuto, e tanto fermo però che trascina chi<br />

lo guarda nel dramma che si svolge. A renderci<br />

partecipi, necessariamente, tutti.<br />

C’è, sulla destra, la mano senza sesso e senza<br />

età dell’angelo - che con gli occhi interpella,<br />

si direbbe, il senso dell’evento - appoggiata<br />

dolcemente all’avambraccio del Cristo,<br />

affacciata dal groviglio stretto che l’annoda<br />

al corpo appena deposto. Ci sono le mani del<br />

Cristo. La destra, persa nella distensione immobile<br />

dell’arto che la regge, palesa i segni<br />

del martirio. La sinistra, che ricorda certe ardite<br />

soluzioni crivellesche, raccolta e baciata<br />

da una Maddalena avvolta in una veste vermiglia,<br />

dalle cui maniche finemente decorate<br />

emergono due mani affusolate e docilissime:<br />

la destra a sostenere, ad accogliere, il gomito<br />

possente del Cristo. Solo la Madonna, che<br />

s’indovina anziana come iconografia vuole, si<br />

cela in questa scena distesa di dolore: si cela<br />

nel viso, nello sguardo, nel corpo, nelle mani.<br />

Non è che un grumo azzurro di dolore, impossibile<br />

da decifrare e da restituire - tradurre in<br />

forma - sembra dirci Lorenzo nella sua umiltà<br />

umanissima, e tormentata.<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

32/ 3233 /33 /


nostro lunedì <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

l’annunciazione<br />

di celeste<br />

enrico capodaglio Bastava uscire dal portone e attraversare la<br />

strada per entrare dentro la chiesetta di Santa<br />

Maria sopra Mercanti a Recanati. Celeste prese<br />

per mano il bambino e lo portò dentro il minuscolo<br />

oratorio in penombra dove tre vecchiette<br />

inginocchiate col velo nero e le mani diafane<br />

dicevano i vespri. Avanzò a passettini e accomodò<br />

il sedere sulla panca di legno, prese fiato,<br />

intrecciò il rosario e fece lo sforzo di inginocchiarsi<br />

dicendo: “Méttete a séde, cocco.”<br />

L’odore di muffa, di sapone, di legno antico e di<br />

religione dei misteri si mescolava al latino popolare,<br />

biascicato in recanatese.<br />

Come tutte le sere il piccolo sopportava tranquillo<br />

la strana cerimonia, visto che nessuno dei<br />

familiari andava a messa.<br />

Era la chiesa più piccola che avesse mai visto,<br />

dove non entrava mai nessuno. E dopo un po’<br />

l’occhio gli cadde sul gatto che scappava.<br />

La ragazza apriva le mani come a dire “Mamma<br />

mia!”, perché un nonno con la barba la puntava a<br />

mani giunte da una nuvola, mentre un angelo col<br />

corpo da uomo e il viso da donna… che faceva?,<br />

la minacciava? Il bambino cercava di capire quanta<br />

sabbia dovesse scorrere ancora nella clessidra<br />

quando lo prese la mano di Celeste che, ansimando<br />

per rialzarsi, disse: “ Cocco, namo a casa.”<br />

Passò del tempo quando la madre, insegnante di<br />

storia dell’arte, lo portò al museo civico di Recanati<br />

e lui fu stupito di ritrovare quel quadro<br />

illuminato in una sala e di sentirne parlare come<br />

l’opera di un pittore famoso. Soltanto in Italia<br />

poteva capitare di ritrovare un capolavoro in<br />

34<br />

35<br />

una chiesetta incustodita, affidato alle vecchie dei vespri. E messo così, in<br />

fondo, nelle mani per le quali era stato fatto.<br />

Il bambino è tornato dopo cinquant’anni a Villa Colloredo a visitare l’Annunciazione<br />

di Lorenzo Lotto: una sintesi perfetta di bello e di vero, di<br />

calma artistica e dramma mistico. Dio sul punto di tuffarsi nel tempo da<br />

una nube di luce, il messaggero appena atterrato, con i capelli biondi tesi,<br />

che sembra dire “Sorgi!” alla Madonna, nella posa per lui più naturale,<br />

benché impossibile per un mortale. Il gatto che richiama quello marmoreo<br />

dell’Annunciazione del Sansovino nella Santa Casa. Ma che non pare il<br />

simbolo del diavolo che scappa, bensì il micio di casa scosso nell’intimità<br />

con la Madonna donzelletta, fissata in un gesto geniale: apre infatti per la<br />

paura le mani pronte a riunirsi in preghiera.<br />

E quel viso che si rivolge a noi, visto che dà le spalle alla scena, quasi dicendo:<br />

“Cosa mi succede!”, mentre scruta dentro di sé a labbra chiuse, con<br />

gli occhi che ci guardano ancora rivolti verso l’alto. E non quell’alto che è<br />

alla sua sinistra, dove figura il Dio pittorico irrompente nella camera, ma il<br />

Dio invisibile che le entrerà in grembo.<br />

Sul leggio l’Antico Testamento, chissà?, aperto al passo di Isaia (7, 14) che<br />

profetizza il concepimento della Vergine.<br />

Sulla mensola un libro, un candeliere, una cuffia, uno scialle. Dietro di<br />

lei, il letto nuziale. Al centro, sullo sgabello, la clessidra, coperta da un<br />

panno, dove la sabbia sta per finire: il cronos, tempo in ombra degli<br />

oggetti paralizzati, in cui irrompe il kairòs, tempo-luce della Grazia,<br />

nell’istante in cui si addentra nella donna.<br />

Atemporale il giardino all’italiana: un cipresso che indica il cielo, come le<br />

dita dell’angelo, e una pianta a ombrello dal fusto leggerissimo, mantello<br />

e scudo alla quiete della natura.<br />

Opera ironica? Proprio no, se non per occhi troppo smaliziati di oggi. Irriverente?<br />

Sì, come lo è la fede quando non può più essere candida. E l’uomo<br />

rivede Celeste, la donna di servizio dei nonni, la campagnola che lo ha formato<br />

prima di scrittori e filosofi, semplicemente esistendo, la quale disse<br />

i vespri per anni davanti a quella tela, più vicina di lui al cuore di Lorenzo.


36<br />

La vita riposa negli oggetti, negli stipi. L’evento<br />

travolge e talvolta scuote l’esistenza più riposta:<br />

gli oggetti immobili guardano, custodiscono<br />

l’anima turbata. La poesia si accumula sulle<br />

cose, le ricopre. Nell’Annunciazione di Recanati<br />

di Lorenzo Lotto la mensola della camera della<br />

giovane Maria è muta testimone dell’irruzione<br />

del divino: dell’incontro tra umano e soprannaturale.<br />

Dio Padre si tuffa letteralmente e virtualmente<br />

nella stanza da una nuvola; l’arcangelo<br />

Gabriele munito di giglio interrompe con il suo<br />

annuncio biondo e possente la lettura-preghiera<br />

elogio<br />

<strong>delle</strong><br />

cosealessandra giappi<br />

della Vergine che, sorpresa e visibilmente scossa, con un sussulto si volge;<br />

il gatto spaventato fugge via con il dorso inarcato e irto.<br />

La mensola, nella quinta spaziale disegnata accanto al baldacchino del<br />

letto, quietamente sostiene pochi libri, un candelabro, un calamaio, un’altra<br />

suppellettile appena indovinata.<br />

Sul lato sottostante diventa guardaroba: tre ganci invisibili reggono una<br />

cuffietta, uno scialle leggero, un velo o forse un nastro. Nel vano d’ombra<br />

scavato tra la parete e lo stipite, su uno sgabello, una clessidra semicoperta<br />

da un piccolo drappo annuncia che il tempo irrevocabilmente scorre. Ma in<br />

quell’attimo l’eternità vince sul tempo: tutto è fermo, sospeso dalla grazia.<br />

Non si avverte l’usura. Fuori la natura è apparentemente calma e serena: un<br />

pergolato, un arco vegetale, un cipresso, alberi di altre specie, fiori.<br />

Le cose cantano la cultura umana, il culto dei gesti ripetuti, rassicuranti.<br />

Non c’è consuetudine o rito del quotidiano che valga a proteggere dall’irruzione<br />

di un assolutamente altro. La ricchezza non risiede nel lusso esibito<br />

ma nell’interiorità e nello spirito, nell’ordine limpido <strong>delle</strong> cose semplici,<br />

simboliche. Nessun doppio gioiello ostentato al chiaro di luna, nessun libro<br />

sfogliato con voluttà o sapienza, non petali sparsi: tutto è misurato,<br />

essenziale: ma non spoglio. Lo scaffale di Maria è quasi vuoto perché bastano<br />

poche cose materiali alla vita già splendente di chi coltiva un sogno,<br />

un’attesa. L’eleganza è stile, non decoro: è gusto della sobrietà la pazienza<br />

riposata degli oggetti in questo interno quasi lombardo, mentale. Ritrovo<br />

qui la sostanza solida e lieve, la mia cornice ideale: nello spessore <strong>delle</strong><br />

cose amiche, grondanti di senso.<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

L’Annunciazione (olio su tela, cm 166 x 114,<br />

firmato “L. Lotus”) di Lorenzo Lotto, dipinta nel<br />

1534 circa per la chiesa di Santa Maria dei Mercanti<br />

a Recanati (ora nel museo di Villa Coloredo<br />

Mels di Recanati), è opera tra le più suggestive<br />

ed emblematiche dell’intero percorso artisticoculturale<br />

del grande e inquieto pittore veneziano.<br />

Opera, l’Annunciazione, che esprime, proprio in<br />

quella particolare impaginazione religiosa, il sogno,<br />

la rarefazione, la visionarietà della grande<br />

pittura veneta del Cinquecento, cui però Lotto<br />

aggiunge, come elemento stilisticamente dirompente<br />

e nuovo, quel senso di sorpresa, di stupore,<br />

di smarrimento, che l’inattesa irruzione del religioso<br />

nello spazio quotidiano suscita. E infatti<br />

la rivoluzionaria cifra stilistica del capolavoro di<br />

Lotto risiede in quel suo nuovo e quasi poetico realismo.<br />

Realismo che allontanerà via via l’artista<br />

da quella pur illustre tradizione veneta. Tradizione<br />

che pure ha avuto il suo peso sulla formazione<br />

di Lotto. Secondo Giorgio Vasari, Lotto fu allievo<br />

di Giovanni Bellini, tanto è vero che, «avendo imitato<br />

un tempo la maniera de’ Bellini, s’appiccò<br />

poi a quella di Giorgione». E uno studioso come<br />

Bernard Berenson, al quale si deve la riscoperta<br />

sul finire dell’Ottocento del pittore veneziano, ha<br />

scritto, giustamente, che «conoscere Lotto è im-<br />

il gatto<br />

che fugge<br />

marcello verdenelli<br />

nostro lunedì<br />

portante quanto conoscere Tiziano». Come se l’opera di Lotto costituisse,<br />

relativamente alla tematica religiosa, una sorta di rovescio di un paradigma<br />

più generale. Il tema dell’Annunciazione, che ha nel Vangelo di Luca (1,29) il<br />

suo significativo nucleo di partenza, è un tema variamente ripreso da molti<br />

artisti dell’epoca. Si è ipotizzato che Lotto avesse avuto modo di vedere a<br />

Venezia un’Annunciazione di Dirk Bouts, quadro che a sua volta ispirò Tiziano<br />

per una tela destinata alla cattedrale di Treviso e da cui forse Lotto trasse<br />

ispirazione per il suo capolavoro marchigiano.<br />

Ma che cos’è che affascina così tanto nell’Annunciazione di Lotto? La spiazzante<br />

novità stilistica ed espressiva di questo capolavoro sta in una diversa e<br />

strategica impaginazione del tema dell’Annunciazione. A differenza di tanti<br />

altri grandi artisti, Lotto risolve l’evento (la Vergine visitata inaspettatamente<br />

nella sua casa dall’Angelo) in un tratto, semplice e poetico al tempo stesso,<br />

di realismo, là dove appunto quell’inattesa irruzione della trascendenza<br />

diventa tutt’uno con lo spazio quotidiano. La scena è quella della stanza da<br />

letto della Vergine (stanza come thalamus Virginis), dove Maria<br />

Vergine è intenta a leggere su un leggio un libro, ma che<br />

all’arrivo dell’Angelo si distacca da quella pur intensa lettura per<br />

voltarsi, stupefatta, in direzione di un osservatore esterno, quasi<br />

in un ammiccante invito a entrare in quello spazio quotidiano<br />

invaso dal divino. L’Annunciazione è un quadro tutto abilmente<br />

e prospetticamente giocato tra un “interno” e un “esterno”.<br />

L’ interno appunto della stanza da letto della Vergine, con sulla<br />

sinistra un letto a baldacchino, e sulla destra una finestra e una<br />

mensola corredata da oggetti (i libri, la candela con il candeliere, il calamaio,<br />

alcuni indumenti di Maria come la cuffietta e lo scialle appesi) intrisi di un<br />

forte simbolismo. E poi più in basso quella clessidra su uno sgabello, simbolo<br />

del tempo e della morte, ma anche della virtù cardinale della temperanza,<br />

clessidra che sembra fissare, proprio in quel perfetto equilibrio tra tempo<br />

trascorso e tempo da trascorrere, questo momento di incertezza, come se<br />

il tempo fosse stato toccato da quella generale atmosfera di stupore. Ambientazione<br />

e oggetti che sono comunque sia il segno della conoscenza da<br />

parte di Lotto della coeva pittura fiamminga. Può darsi, come la critica ha<br />

sovente sottolineato, che in questa particolare ambientazione della scena,<br />

e in particolare nell’aver voluto ritrarre Maria Vergine davanti ad un letto<br />

a baldacchino, Lotto si sia riferito a una raffigurazione in marmo che An


il gatto che fugge<br />

drea Sansovino scolpì<br />

nel 1521 in una <strong>delle</strong><br />

pareti del rivestimento<br />

della Santa Casa di<br />

Loreto. Oltre a un “interno”,<br />

c’è nel quadro<br />

anche un “esterno”<br />

invaso da una chiara<br />

luce solare e primaverile:<br />

“esterno” occupato<br />

da quel giardino<br />

che si intravede sullo<br />

sfondo e che allude<br />

all’hortus conclusus di<br />

Maria, simbolo della<br />

sua purezza. La maggiore<br />

novità dell’Annunciazione<br />

di Lotto<br />

sta soprattutto in quella<br />

inondante atmosfera<br />

di realismo, leggibile<br />

soprattutto nello spazio<br />

“interno”, che dà<br />

un carattere diverso<br />

alle stesse figure religiose:<br />

l’Angelo che con<br />

la mano sinistra tiene<br />

un gran giglio, simbolo<br />

di purezza sfolgorante,<br />

di innocenza, appunto<br />

di verginità; la figura<br />

del Padre Eterno che fa<br />

irruzione, adagiato su<br />

una vaporosa e anche<br />

qui più realistica nuvola<br />

bianca, dalla loggia<br />

sul giardino.<br />

Quel realismo di cui<br />

marcello verdenelli<br />

parla, in maniera così intensa e ammiccante,<br />

l’Annunciazione di Lotto incide, strutturalmente,<br />

sulla stessa prospettiva.<br />

Se nelle tradizionali raffigurazioni del tema<br />

dell’Annunciazione l’azione ha un movimento<br />

che va dal primo piano verso lo sfondo, Lotto,<br />

nella sua Annunciazione, fa esattamente il contrario.<br />

L’azione, in un incisivo focus di sguardi<br />

che ne fa un’opera originalissima, ha un movimento,<br />

una dinamica narrativa, che va dallo<br />

sfondo verso il primo piano, portando quel miracolo<br />

(di qui la fisiologica necessità di quella cifra<br />

realistica) nello spazio quotidiano.<br />

Che la visione che Lotto ha del tema dell’Annunciazione<br />

pieghi verso una sintassi espressiva che<br />

fa del realismo il suo vero punto di forza, sono<br />

alcuni elementi a dircelo.<br />

Innanzitutto, quel significativo gioco di ombre<br />

che riguarda due figure, apparentemente inconciliabili,<br />

lontane, ma che invece hanno un qualche<br />

elemento di contiguità: il gatto tigrato che<br />

fugge spaventato alla visione dell’Angelo e l’Angelo<br />

stesso, il cui corpo, quasi a conferma di una<br />

cifra realistica che ha invaso ormai senza alcuna<br />

distinzione tra dimensione concreta e astratta lo<br />

numero zero<br />

38<br />

spazio quotidiano, produce una densa e quasi<br />

plastica ombra. Relativamente al gatto, c’è da<br />

dire che nella simbologia <strong>delle</strong> religioni e <strong>delle</strong><br />

civiltà questo animale domestico è stato spesso<br />

associato a tendenze di segno sia positivo sia<br />

negativo. Nell’arte del Medioevo e del Rinascimento,<br />

generalmente al gatto non viene assegnato<br />

un particolare valore simbolico. Lotto, capovolgendo<br />

un assunto del suo tempo, dà invece<br />

al gatto un particolare valore simbolico. Il gatto,<br />

la cui sagoma produce non a caso una striscia di<br />

ombra che corre quasi parallela a quella dell’Angelo,<br />

sembra alludere, proprio in quel repentino<br />

spavento e in quella fuga prodotte dall’irruzione<br />

dell’Angelo nello spazio quotidiano, a un significato<br />

simbolico del demoniaco.<br />

La cifra realistica, quella che rappresenta in fondo<br />

la vera novità stilistica dell’Annunciazione,<br />

permette a Lotto di associare demoniaco e religioso,<br />

in un denso intreccio emotivo e di sguardi<br />

che è tipico della vita, di quel realismo, garbato,<br />

ironico e allusivo, di cui si nutre la sua ispirazione<br />

anche quando affronta il tema religioso. Il<br />

gatto che fugge è in fondo metafora del divino<br />

che vince sul demoniaco, del bene sul male.<br />

Nulla è così vicino alla morte quanto il concepimento:<br />

viene da laggiù, laggiù si è composto.<br />

Nell’Annunciazione di Recanati.<br />

L’annuncio è l’arrivo di una luce che dà luce alla<br />

tenda e al libro, all’inginocchiatoio e alla candela.<br />

È il moto che scuote gli oggetti del mondo<br />

oscuro e tranquillo, è la testa china di chi ascolta.<br />

La clessidra cola sabbia nel tempo inerte e<br />

(questo è il vero miracolo) sottrae il tempo al<br />

vetro, lo porta dove si spalanca l’arcata fino ai<br />

pini e ai cipressi. Lo trasforma in spazio.<br />

L’annuncio è spavento: una creatura spaventata,<br />

come il gatto, da qualcosa che non comprende.<br />

Il vento porta il dolore attraverso un angelo<br />

dai polpacci ingrossati dal volo che spaventa<br />

una ragazza di provincia.<br />

Chi ha visto il quadro da vicino sa che il suo<br />

sguardo segue il nostro, ovunque ci spostiamo,<br />

come per chiedere aiuto agli esseri umani davanti<br />

alla divinità che le invade la stanza.<br />

Spalanca gli occhi, solleva le mani nel gesto e<br />

nello sguardo, non di chi prega, ma di chi non<br />

vuole sentire, di chi non vuole vedere. Poi la<br />

metamorfosi, anzi il miracolo: la metamorfosi è<br />

lenta e il miracolo è una scossa. Una scossa di<br />

luce: negli occhi della Madonna si annuncia il<br />

Getsemani. Da un corpo all’altro, dal cielo alla<br />

terra, dall’angelo al ventre della Vergine e dal<br />

ventre alla morte, fino al Calvario.<br />

Le minuscole bare su cui in molti quadri di Lotto<br />

si posa Gesù-bambino sono il dettaglio che<br />

scaccia ogni mistero: l’annuncio della nascita<br />

è il presentimento che ogni maternità trascina.<br />

Cose reali, paura, solitudine, corpo che muore.<br />

La ragazza di provincia di colpo diventa un’altra.<br />

Maria con la maiuscola.<br />

Lo spavento si aguzza in attenzione per il moto<br />

nel ventre, leggero, ma reale, come il vento fuori<br />

dalla stanza che trasforma la stagione. Ciò<br />

che forse oggi amiamo in Lotto è la precarietà:<br />

precarietà di genio, nonostante le celebrazioni,<br />

precarietà di ispirazione. I quadri davvero belli<br />

si contano sulla punta <strong>delle</strong> dita, ma in quella<br />

invisibile linea che rende obliquo lo spazio <strong>delle</strong><br />

immagini, chi guarda entra nella confidenza<br />

di quello spazio, e una volta là comprende che<br />

spavento<br />

39<br />

antonella anedda<br />

è fragile, insicuro, sul punto di essere (come oggi il paesaggio italiano),<br />

sfigurato. È il brivido della Pala di San Bernardino: un ghiaccio improvviso<br />

nel bruno della composizione - la tenda verde squillante, tenuta sulla<br />

Vergine dalla fatica degli angeli, ma che fa ombra anche a noi che la<br />

guardiamo. Tutto ci attira laggiù, a cominciare dal piccolo angelo dal volto<br />

ferino che distoglie lo sguardo dal libro e si volta.<br />

Ma l’annuncio (come lo spazio) è ambiguo, metà umano e metà animale<br />

(come l’angelo). Chi ha dipinto mostra l’insicurezza della terra, il suo, il<br />

nostro - cuore incerto. È la precarietà di una scossa interiore, il visualizzarsi<br />

nel colore, nella forma, di un essere umano che come dice Lotto di sé,<br />

è ”solo, senza fidel governo et molto inquieto dela mente”.<br />

È la precarietà del vecchio Lotto che si rifugia nella Santa Casa di Loreto<br />

e si fa oblato “per non andarmi advolgendo più in mia vecchiaia”. Oblato,<br />

cioè dimenticato, non più vicino al ricordo di se stesso.<br />

Questo significa quel “per non andarmi advolgendo”. La vecchiaia come<br />

una pelle - pericolosa - in cui ci si avvolge, in cui ci si può avvolgere, affilando<br />

l’osso della propria vita, dunque ferendosi.<br />

Un grande poeta della fine del Novecento Franco Scataglini, nato e vissuto<br />

e morto in quelle <strong>Marche</strong>, che per la follia di Lotto significarono pace, ha<br />

scritto in una lingua perduta della vecchiaia come di un “chinarsi” senza<br />

più desiderio, senza pienezza: “...i grigi \ in fila sopra ai piatti,\ comuni,<br />

vòti, astratti, visi da morte efigi...”


nostro lunedì <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

41<br />

nostro lunedì<br />

stefano simoncelli<br />

a Francesco Scarabicchi l’anafora dei fiori<br />

con la luce<br />

di <strong>lorenzo</strong><br />

A volte, come se sognassi,<br />

mi sembra di vedere noi due<br />

che camminiamo per Cingoli<br />

un pomeriggio di sole e nuvole<br />

come questo: primavera<br />

inoltrata e non ancora estate<br />

con la luce sghemba di Lorenzo Lotto<br />

a prenderci d’infilata - noi due,<br />

Francesco, così come siamo<br />

o ci immaginiamo<br />

chiudendo ogni tanto gli occhi<br />

come quei dannati pittori di soffitti<br />

per anni e anni al chiuso, lassù, sui palchi,<br />

a inventarselo l’abbagliante panorama<br />

là fuori, forse sognandoselo...<br />

Sognandoselo e basta.<br />

40<br />

Nel quadro l’oggetto può essere visibile solo nel<br />

senso in cui è percepito dalla vista. L’immagine<br />

percepita, però, può essere collocata al centro<br />

dell’attenzione cosciente e trasformata in stimolo<br />

attivo. La pittura può condurre ad espressione<br />

sensi diversi da quelli della vista, può essere in<br />

grado di produrre gli stessi effetti che sa produrre<br />

la natura. Attraverso la pura visione può creare<br />

dei valori e <strong>delle</strong> sensazioni tattili, olfattive, di<br />

movimento e farceli sentire come tali. In questo<br />

Lotto è maestro. Unica la sua capacità di portare<br />

l’emozione a una soglia altissima, di coinvolgere<br />

lo spettatore tramite invenzioni di grande poesia.<br />

Petali di rosa sfogliata ricorrono quasi ossessivamente<br />

nelle sue opere e dichiarano la preferenza<br />

del Lotto a rappresentare, tra le cose materiali, la<br />

più sottile, la più labile, la meno afferrabile.<br />

Emblematica la Madonna del Rosario della Chiesa<br />

di San Domenico a Cingoli e quella nevicata di<br />

petali che attraverso la figuratività sembra stimolare<br />

l’olfatto. Si crea una sinestesia, una modulazione<br />

tra due sostanze sensoriali diverse, la vista<br />

e l’olfatto. Il pittore evoca il profumo della rosa<br />

attraverso un’anafora dei fiori che sono raffigurati<br />

nel roseto sullo sfondo, nella tinozza di vimini,<br />

sospesi in aria nel lancio del putto e poi caduti a<br />

giulia lavagnoli<br />

terra. Si evoca una sensazione olfattiva anche immortalando i vari istanti<br />

del lancio dei petali: prima tutti dentro il cesto di vimini, dopo essere stati<br />

raccolti dal roseto sullo sfondo; poi, lanciati dal putto, bloccati in una<br />

scia, sospesi in aria; quindi a terra, interrotti tra lo spazio del quadro e<br />

quello dell’osservatore. Il quadro utilizza la propria simultaneità come un<br />

sincretismo, riporta più segmenti di un’azione in un’unica scena. L’istante<br />

ha una duplice potenzialità.<br />

Da un lato è il risultato di una segmentazione in unità successive, <strong>delle</strong><br />

quali ciascuna porta la traccia dell’antecedente e del conseguente, dall’altro,<br />

invece, è la rappresentazione di una immobilità, perché l’istante è<br />

strutturalmente bloccato in una posa, in una staticità. Così i petali rimangono<br />

fissati in fotogrammi che ne indicano il movimento che serve ad<br />

amplificare ed eternizzare la sensazione olfattiva che evocano.<br />

Si crea un’atmosfera fatta di profumi e fragranze familiari al devoto e,<br />

come ben osserva il Pallucchini, una nota saporosa attinta direttamente<br />

dall’esperienza <strong>delle</strong> feste religiose di paese, <strong>delle</strong> pie processioni campestri,<br />

dell’uso di spargere petali di rose durante il Corpus Domini.<br />

I petali dei putti sembrano rievocare la profusione dei fiori in forma di<br />

bouquet, corone e ghirlande che tradizionalmente il popolo offre alla<br />

Madonna, in particolare durante il mese di Maggio a lei dedicato, e<br />

in questo senso introducono nel quadro una sensazione olfattiva, un<br />

ricordo fugace del fedele che così instaura con l’opera un rapporto quasi<br />

fisico e non puramente contemplativo.<br />

L’atmosfera notturna che avvolge tutta la rappresentazione non può non<br />

ricordare la recita serale del rosario, preghiera collettiva durante le messe<br />

o le processioni, preghiera personale e solitaria prima di andare a dormire.


Mi chiamo Sperandia Franceschini. Sto per uscire<br />

dal palazzo Simonetti dove abito con mio marito,<br />

il colonnello Gabriele Simonetti e mio figlio, il<br />

piccolo Raffaello. È l’ora della recita del Rosario.<br />

Con le donne, gli uomini e i bambini di Cingoli<br />

ci troviamo tutte le sere nella chiesa di San Domenico<br />

di fronte la cona del Rosario. La cona di<br />

maestro Lorenzo Lotto, pittore veneziano.<br />

L’avevo desiderata così tanto. E avevo scelto lui,<br />

maestro Lorenzo, così devoto all’Ordine domenicano,<br />

così amico di mio nipote Dario, così noto<br />

nelle nostre città della Marca. Quando giunse a<br />

Cingoli per eseguire il dipinto chiese una stanza<br />

ben illuminata del convento e un aiutante;<br />

poi ci fece vedere il disegno, la Madonna con il<br />

Bambino che dona il rosario a San Domenico, i<br />

santi dell’ordine, il grande roseto alle spalle della<br />

Madonna con i misteri della preghiera in quindici<br />

tondi, il nostro Santo patrono Esuperanzio.<br />

Un giorno, poco prima della Processione del Corpus<br />

Domini, maestro Lorenzo vide Raffaello che,<br />

con altri bambini, giocava con i petali di rosa. Allora<br />

chiese una cesta di vimini, grande, e la fece<br />

riempire di petali; fu aiutato dai bambini che poi<br />

la rosa di<br />

cingoli<br />

marta paraventi<br />

lo guardavano mentre li dipingeva uno a uno, attendendo,<br />

in silenzio, che terminasse.<br />

I bambini finalmente misero le mani in quella<br />

cesta stracolma; e allora i petali cominciarono a<br />

volteggiare nella stanza, i bambini li rincorrevano,<br />

il profumo della rosa nell’aria. Maestro Lorenzo<br />

guardava, guardava e poi scelse. Scelse di fissare<br />

in eterno una piccola nuvola rosa di petali, così<br />

reale, così morbida, così profumata.<br />

Poi volle vedere un roseto vero da raffigurare alle<br />

spalle della Madonna, rosa dopo rosa, spina dopo<br />

spina, con tutte le ombre; sotto il roseto un muretto,<br />

con i suoi mattoncini, uno ad uno, con i fili d’erba<br />

che cercano di crescere. Tirò fuori dalle tasche il<br />

suo rosario bianco, consunto dalla preghiera, e lo<br />

dipinse tra le dita sottili della Madonna.<br />

Ogni giorno, ogni ora, ogni notte, un dettaglio<br />

nuovo. Maestro Lorenzo era instancabile. I gioielli<br />

sul capo della Maddalena, quel vestito veneto<br />

con le maniche alla tedesca. E quel giorno che<br />

ci chiese di accompagnarlo sotto la città, verso<br />

Jesi, per poterla ritrarre e dipingere tra le mani di<br />

Sant’Esuperanzio un modello vero di Cingoli da<br />

offrire alla Madonna.<br />

Terminato il dipinto, il giorno che scese a Macerata,<br />

Maestro Lorenzo mi ringraziò e mi disse<br />

che l’opera era la più bella che avesse mai fatto.<br />

Non lo rividi più. Serbo intatto il ricordo di lui che<br />

dipinge che guarda, osserva, mescola i colori, entra,<br />

esce, scruta.<br />

Così attento a ogni dettaglio. La sua scrittura,<br />

la firma, la data. Ogni opera come un figlio, una<br />

dolce fatica premiata, una sincera professione di<br />

fede nell’arte, nell’uomo. In Dio. Sopra ogni cosa.<br />

42<br />

Lorenzo Lotto eseguì<br />

nel 1539 per la chiesa<br />

di S. Domenico di Cingoli<br />

la monumentale “Madonna<br />

del Rosario e i quindici<br />

misteri”, per volere dei frati<br />

predicatori della cittadina.<br />

La tradizione locale narra<br />

che la committente<br />

fu Sperandia Franceschini,<br />

ritratta nelle sembianze<br />

della Maddalena.<br />

Questo scritto,<br />

liberamente ispirato<br />

alle vicende della<br />

pala di Cingoli<br />

cui furono rivolti<br />

la mia tesi di laurea<br />

e altri studi,<br />

è dedicato<br />

alla memoria<br />

di Sperandia<br />

e al cuore di tutte<br />

le donne<br />

che sentono,<br />

fremono,<br />

si commuovono,<br />

vedono oltre<br />

e cercano la verità.<br />

<strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong><br />

Il Bambino che abbraccia l’agnello è il gesto<br />

più tenero e straordinario: non l’ho visto in<br />

nessun’altra Natività. Se il presepio rappresenta<br />

nel cosmo l’unità tra tutti gli esseri e le cose,<br />

dalle pietre alle piante agli animali, agli uomini<br />

e al divino, non c’è gesto che lo possa meglio<br />

simbolizzare. E la tela raggiunge questa straordinaria<br />

unione senza bisogno di un paesaggio,<br />

senza alberi e campi, senza rivi e viandanti.<br />

C’è solo un interno con una luce che filtra morbida<br />

e leggermente offuscata e i personaggi<br />

attorno disposti in cerchio attorno a quel Bambino,<br />

l’unico che può dare un senso di pace, di<br />

tenerezza ed equilibrio all’immenso universo<br />

che lo cerchia. La Madonna tenera e giovane,<br />

bellissima e composta non assomiglia ad esempio,<br />

alle splendide e un po’ pagane Madonne di<br />

Raffaello: pagane non in quanto lontane da una<br />

dimensione religiosa, ma in quanto provviste di<br />

una forte carica fisica e terrena.<br />

Non che la Vergine del Lotto sia così metafisica,<br />

anzi può apparire anche una figura domestica,<br />

ma protesa in un’atmosfera di totale e<br />

intensa spiritualità.<br />

adorazione dei<br />

pastori<br />

umberto piersanti<br />

San Giuseppe, certo più maturo di Maria, ma ancora<br />

uomo solido e forte, differente dalle sue tante<br />

rappresentazioni un po’ senili, dietro alle spalle<br />

della Vergine s’affaccia con un fare attento e protettivo.<br />

I pastori, composti e un po’ aristocratici,<br />

nulla concedono al folclore <strong>delle</strong> pelli e <strong>delle</strong><br />

ceste: sono anch’essi pervasi da una spiritualità<br />

tanto intensa per quanto composta e misurata.<br />

L’angelo, quasi immancabile cifra, che con le ali<br />

aperte chiude la scena e quasi l’avvolge e definisce.<br />

I colori poi, straordinari e luminosi: quel<br />

rosso indefinibile della veste della Madonna,<br />

43<br />

il<br />

drappo rosso di San Giuseppe, il giallo e il mar-<br />

rone <strong>delle</strong> tuniche dei pastori e quelle luci stra stra-<br />

ordinarie che trapelano dalle grate e dalle aper aper-<br />

ture. In molti autori, anche di grande spessore,<br />

(penso ad esempio al Perugino) la dimensione<br />

devozionale non riesce mai a convincere del tut43<br />

tut-43<br />

tut-<br />

to, risulta sempre un minimo voluta e agiogra43<br />

agiogra-43<br />

agiogra-<br />

fica. In Lotto la devozione è senso dell’umano<br />

e del divino, percezione profonda ed assoluta.<br />

Se esiste, come esiste, una verità del Natale che<br />

vale per tutti gli uomini e per tutte le contrade,<br />

questa tela l’ha colta e rappresentata.


nostro lunedì <strong>lorenzo</strong> <strong>lotto</strong> - l’attimo <strong>terrestre</strong> nostro lunedì<br />

dittico<br />

Lorenzo Lotto fu dunque un pittore psicologo<br />

in un età che finì per apprezzare soprattutto la<br />

forza e l’apparenza, un pittore che aveva di mira<br />

l’anima umana in un’epoca in cui essa veniva<br />

rapidamente sacrificata al conformismo, un pittore<br />

intimamente evangelico in un paese che un<br />

cattolicesimo vuoto e autoritario stringeva sempre<br />

più nella sua morsa. Le stesse circostanze<br />

di vita gli furono di ostacolo ad acquistarsi la<br />

fama. Irrequieto e vagabondo, lasciò a Venezia,<br />

sua città natale, pochissime opere, sicchè gli<br />

amatori d’arte del Cinquecento, dai quali deriviamo<br />

le nostre nozioni correnti sull’arte di quel<br />

secolo, non vi trovarono una produzione sufficiente<br />

a ispirar loro resoconti entusiastici.<br />

Anche se le circostanze gli fossero state più favorevoli,<br />

è probabile che la riputazione del Lotto<br />

sarebbe stata oscurata dalla gloria del suo grande<br />

rivale, che conquistò, e continuò a dominare,<br />

la tensione del pubblico durante l’intero corso<br />

della sua lunga carriera.<br />

Una produzione così splendida e rappresentata<br />

da una così abile pubblicità, come quella di<br />

Tiziano, lasciava ben poco posto alla fama europea<br />

di un pittore i cui meriti richiedevano,<br />

per essere apprezzati, un occhio più attento e<br />

delicato senso della persona umana di quanto<br />

fossero comuni negli accampamenti di Carlo V o<br />

presso la corte di Filippo II.<br />

Per noi il valore del Lotto è di una specie diversa.<br />

Anche se l’arte moderna non ci avesse educati a<br />

gustare e ad intendere in meriti tecnici di opere<br />

come le sue, il fenomeno di una personalità che<br />

trasforma l’opera d’arte in una vera immagine<br />

del proprio io è cosi raro, che non possiamo permetterci<br />

di trascurarlo.<br />

Una simile negligenza ci è tanto meno concessa,<br />

quando si tratta di un tipo di personalità come<br />

quella del Lotto, al quale l’Europa si è rapidamente<br />

avvicinata nel corso degli ultimi tre secoli:<br />

così rapidamente, che oggi ci sono forse cento<br />

bernard berenson<br />

individui affini al Lotto<br />

su uno che gli somigliava<br />

quando egli<br />

era vivo. Il suo spirito<br />

è vicino al nostro forse<br />

più di quello di ogni<br />

altro pittore italiano<br />

del Rinascimento, ed<br />

esso esercita su di noi<br />

il fascino di un’anima<br />

gemella che ci parla<br />

da un’epoca lontana.<br />

Ultima, poiché non<br />

terminata, è da considerarsi<br />

la Presentazione<br />

di Gesù al tempio<br />

(Tela cm. 170x135).<br />

La composizione si<br />

scinde in due zone:<br />

in alto, la prospettiva<br />

di un coro sopraelevato;<br />

nella metà inferiore,<br />

figure disposte<br />

ad un tavolo coperto<br />

di un panno bianco.<br />

Di seguito a sinistra,<br />

Simeone alza le mani<br />

esultante, mentre la<br />

Vergine genuflessa gli<br />

presenta il Bambino,<br />

seguita da un gruppo<br />

di donne; a destra,<br />

una fila di uomini<br />

controbilancia le donne<br />

del lato opposto;<br />

al centro, due accoliti<br />

e Sant’Anna. Simeone<br />

e Sant’Anna hanno<br />

l’aspetto scheletrico e<br />

cadente, la fisionomia<br />

sdentata e dilavata di coloro sui quali gli anni<br />

pesano gravemente: e tuttavia nei loro occhi, in<br />

ogni piega dei loro volti, è un’espressione di appagamento<br />

nella forma la più esultante che esso<br />

può assumere in corpi di così tarda età.<br />

L’attenzione emotiva dinanzi a un evento che<br />

tutti gli astanti riconoscono ultraterreno si rispecchia<br />

in ogni viso e diversamente in ciascuno.<br />

Il Lotto non ci ha mai dato un’opera più<br />

meravigliosa, dal punto di vista psicologico; ed<br />

altrettanto si può dire della sua materia pittorica,<br />

usata con una modernità che richiama certi<br />

modi degli impressionisti.<br />

Il giovane alle spalle di Sant’Anna, per esempio,<br />

con due chiazze rosse che indicavano le gote, riflettendo<br />

il rosso della sopraveste e armonizzandosi<br />

totalmente con esso, è singolarmente simile<br />

a una figura nella Danza Spagnola Di Manet, già<br />

Durand Ruel. La tonalità generale e il disegno<br />

suggeriscono invece Degas.<br />

È, insomma, uno dei capolavori del Lotto, e forse<br />

una <strong>delle</strong> pitture più “moderne” dipinte da un<br />

pittore del Rinascimento.<br />

Così termina la lunga carriera del nostro artista.<br />

Il 14 marzo 1556 il registro della Santa<br />

Casa segnava ancora il prezzo di colori e pennelli<br />

fatti venire da Venezia per “Lorenzo Lotto,<br />

pittore oblato”: nell’autunno di quell’anno, il<br />

pittore oblato si spegneva (cfr. Gianuizzi, Nuova<br />

Rivista Misena 1894).<br />

È una coincidenza curiosa, che il Lotto abbia finito<br />

la sua carriera là dove l’aveva cominciata.<br />

Le opere della sua giovinezza si trovano a Recanati,<br />

le opere della sua vecchiaia sono custodite<br />

a Loreto. Non solo, ma durante l’intera sua vita<br />

egli mantenne rapporti con la Marca di Ancona,<br />

visitandola di tanto in tanto e inviandovi le sue<br />

tele. Anche in questo egli si ricollega alla scuola<br />

dei muranesi, che ai paesi della costiera adriatica<br />

fornivano le opere d’arte, come i loro concittadini<br />

veneziani le mercanzie.<br />

44/45 44/


dittico<br />

46 46non<br />

ha ancor trovato, né in vita né in morte, il tempo che si<br />

adegui al mondo <strong>delle</strong> sue immaginazioni, della sua lingua;<br />

e che gli è toccato, per esprimersi, venire a compromessi<br />

coll’età sua, farsi capire un po’ alla muta, in parte concedendo<br />

troppo, in parte troppo azzardando, e qualche volta<br />

tradendo se stesso: sacrificio di cui nessuno gli sarà grato<br />

perché l’avrà compiuto così di malanimo da ingenerare,<br />

anche negli altri, freddezza e diffidenza. Tanto più dura,<br />

questa sorte, quando a un tale artista tocchino compagni e<br />

coetanei di eccelsa statura, anche se non superiore alla sua,<br />

ma di qualità che meglio rispondono a quel che il secolo richiedeva:<br />

attestazioni di forza, lucidezza armonia supreme:<br />

in somma celebrazioni. Il meglio che gli potrà capitare sarà<br />

d’esser valutato un minore, un poco strambo: tenuto quasi<br />

in quarantena finché non arrivi il tempo ch’era fatto per<br />

lui. Non diremo che l’età nostra sia proprio fatta per Lorenzo<br />

Lotto, non ancora riconosciuto, come dovrebbe, uno dei<br />

46<br />

massimi fra i pittori italiani e anche non italiani: ma essa<br />

è di gran lunga la più propizia, almeno in sede di esegesi,<br />

alla rivalutazione di quello che egli fu ed è, tuttora, per la<br />

pittura: rivalutazione condizionata da un distacco, niente<br />

affatto irriverente d’altronde, ne freddo, dalle norme prevalenti<br />

nel tempo che gli toccò di vivere. Norme che presero il<br />

nome di Giorgione, di Tiziano, di Raffaello, di Michelangelo:<br />

caduti, dopo il consenso e l’esaltazione portentosi di cui godettero<br />

da vivi, in mano a preromantici e romantici che ne<br />

fecero quei miti che ognun sa. Ritrovare un uomo, anche un<br />

grand’uomo, fra tali miti, non è cosa facile neanche oggi.<br />

Pure ci sembra che valga la pena tentarlo. […]<br />

È difficile discriminare se più nuoccia alla fama di un artista<br />

essere dimenticato che mal conosciuto: e viene voglia di 46È 46essere<br />

46decidere decidere che se un grande spirito potesse scegliere, prefe<br />

rirebbe il silenzio alle mezze parole. Le mezze parole della<br />

critica e della storia significano spesso che quel tale artista<br />

anna banti<br />

Molto il Lotto deve aver dipinto, meditato e sofferto,<br />

nei suoi tre anni di Roma, per mostrarsi nel<br />

‘12, così mutato da quel che era, e certo egli non<br />

rivide Venezia e Treviso, prima di trasportarsi daccapo<br />

nelle <strong>Marche</strong>: a meno che non ci tenesse gli<br />

occhi serrati apposta. Una conca di paese più macerata<br />

che soffusa di serenità, un solo alberuccio<br />

esile e, al sommo di una collina calva, le tre croci,<br />

la Croce. In primo piano, un sommesso echeggiare<br />

di ritmi intorno al corpo del Signore. Pieghe semplici,<br />

preordinate, e una gran cura di evitare ogni<br />

sorpresa di lume, ogni gioco d’ombra troppo divertiti.<br />

Nei volti, come l’intenzione di conformarsi<br />

a una norma d’insipidezza cui fanno eccezione<br />

moduli di Raffaello e anche di Leonardo, come si<br />

vede nel San Giovanni. I gesti moderati: e appena<br />

s’aprono, nell’aria, le mani dell’Addolorata e di<br />

una Maria. La lezione della Deposizione raffaellesca,<br />

alla Borghese, si è stranamente convertita in<br />

meditazione morale che conclude in castigatezza<br />

brulla, in negazione della pittura come Lotto la<br />

pratica e la ama. Infine, sul cielo, che un’ombra<br />

leggera flette e incurva, viene inserita una divagazione<br />

che sembra permessa da un editto di<br />

quaresima: quattro angiolini slegati e senza ruzzo<br />

a sorreggere la nuvola col monogramma del<br />

Cristo: di un’emblematica la più disadorna, la più<br />

deserta di compiacenze, che nel primo ventennio<br />

del Cinquecento potesse concepirsi.<br />

Così raumiliata e nuda, la Deposizione di Jesi è<br />

il punto d’arrivo, il testo<br />

purgato che il Lotto<br />

si proponeva dopo le<br />

esperienze romane e a<br />

cui tien fede dipingendo,<br />

subito dopo, il San Vincenzo<br />

in gloria di Recanati.<br />

Era, forse, un modo<br />

di trovare pace fuori di<br />

sé, di aderire a una norma<br />

esterna che dovette<br />

sembrargli, per così dire,<br />

“cattolica” del fasto veneziano<br />

e dei propri estri<br />

lombardi. […]<br />

47

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