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illuminazione e microclima - Istituto Tecnico per Geometri "Guarino ...

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PERCORSO FORMATIVO<br />

DESTINATO A RESPONSABILI E ADDETTI<br />

DEI SERVIZI DI PREVENZIONE E<br />

PROTEZIONE<br />

MODULO B<br />

Macrosettore 3<br />

Unità didattica B3.3.2<br />

MAATTEERRI IAALLEE DDI IDDAATTTTI ICCOO AADD UUSSOO DDEEI I PPAARRTTEECCI<br />

IPPAANNTTI I<br />

IILLUMIINAZIIONE<br />

L<br />

MIICROCLIMA<br />

I<br />

Dirreezzionee i i Ceent trral le e Prreevveenzzi ionee<br />

Pol lo Forrmat ti ivvo Ceent trral lee


INDICE<br />

ILLUMINAZIONE....................................................................................................................... 3<br />

1. Illuminazione di cantiere ..................................................................................................... 3<br />

1.1 Grandezze fotometriche................................................................................................................3<br />

2 Requisiti illuminotecnici dei luoghi di lavoro .................................................................... 8<br />

2.1 Distribuzione delle luminanze. .....................................................................................................8<br />

2.2 Illuminamento...............................................................................................................................9<br />

2.3 Abbagliamento............................................................................................................................10<br />

2.4 Fattore di manutenzione..............................................................................................................11<br />

3 L’<strong>illuminazione</strong> nei cantieri .............................................................................................. 12<br />

3.1 Illuminazione ordinaria...............................................................................................................12<br />

3.2 Illuminazione di sicurezza ..........................................................................................................15<br />

MICROCLIMA .......................................................................................................................... 19<br />

4. Microclima.......................................................................................................................... 19<br />

4.1 Il bilancio termico dell’organismo..............................................................................................19<br />

4.2 Comfort climatico e stress da caldo e da freddo ........................................................................21<br />

4.3 Riferimenti legislativi e norme tecniche .....................................................................................22<br />

4.4 Gli ambienti moderati .................................................................................................................25<br />

4.5 Gli ambienti severi freddi. ..........................................................................................................29<br />

4.6 Gli ambienti severi caldi .............................................................................................................37<br />

5. Misure di prevenzione e protezione.................................................................................. 41<br />

5.1 Misure organizzative...................................................................................................................41<br />

5.2 Alimentazione.............................................................................................................................41<br />

5.3 Misure di protezione collettiva ...................................................................................................42<br />

5.4 Dispositivi individuali di protezione...........................................................................................43<br />

6. Misura e calcolo del comfort termico............................................................................... 44<br />

6.1 Premessa .....................................................................................................................................44<br />

6.2 Misura dei parametri fisici..........................................................................................................44<br />

6.3 Strategie di misura ......................................................................................................................45<br />

6.4 Stima dei parametri soggettivi ....................................................................................................45<br />

7. Norme e bibliografia. ......................................................................................................... 49<br />

7.1 Norme di riferimento ..................................................................................................................49<br />

7.2 Bibliografia .................................................................................................................................49<br />

2


ILLUMINAZIONE<br />

1. Illuminazione di cantiere<br />

L’<strong>illuminazione</strong>, unitamente ad altri fattori ambientali, assume nelle aree di cantiere una estrema<br />

importanza; aree di lavoro ben illuminate contribuiscono attivamente alla prevenzione infortuni<br />

oltre a favorire lo stato di benessere individuale e l’incremento della produttività.<br />

In gran parte delle lavorazioni di cantiere, svolte abitualmente in presenza di luce naturale, può<br />

non essere richiesta l’<strong>illuminazione</strong> artificiale, necessaria invece in cantieri con cicli di<br />

lavorazioni continui o di durata abitualmente su<strong>per</strong>iore a quella diurna, <strong>per</strong> attività in gallerie, in<br />

locali interrati o in altri ambienti generalmente bui.<br />

In questi casi bisogna fornire una <strong>illuminazione</strong> artificiale che garantisca un livello di<br />

illuminamento adeguato qualitativamente e quantitativamente alle lavorazioni da eseguire,<br />

rispettando le norme di sicurezza relative all’esecuzione di impianti elettrici nei cantieri. Le<br />

caratteristiche dell’impianto di <strong>illuminazione</strong> devono essere riportate nel piano di sicurezza.<br />

Prima di analizzare l’<strong>illuminazione</strong> di un’area di cantiere, è necessario illustrare le principali<br />

grandezze illuminotecniche che incidono sulla qualità dell’<strong>illuminazione</strong> di un ambiente di<br />

lavoro.<br />

Figura 1 – Area di cantiere interna dove è necessaria una <strong>illuminazione</strong> artificiale.<br />

1.1 Grandezze fotometriche<br />

L’ambiente luminoso può essere caratterizzato, dal punto di vista tecnico, dalle seguenti<br />

grandezze:<br />

- flusso luminoso Φ : è la potenza luminosa emessa da una sorgente; si misura in lumen (lm). Il<br />

flusso luminoso rappresenta la quantità di luce emessa da una sorgente nell’unità di tempo; è una<br />

grandezza utile <strong>per</strong> descrivere e confrontare le lampade.<br />

Il flusso non dà alcuna informazione sulla qualità della luce, né sulla sua distribuzione nello<br />

spazio. Dalla lettura del flusso, dunque, non riusciamo a capire di che tipo è la luce emessa dalla<br />

lampada, né in quale direzione viene proiettata.<br />

L'ordine di grandezza dei flussi delle lampade varia da poche centinaia di lumen (<strong>per</strong> le lampade<br />

ad incandescenza di bassa potenza) a diverse decine di migliaia di lumen (<strong>per</strong> le lampade a<br />

scarica).<br />

- efficienza luminosa: è il rapporto esistente tra il flusso luminoso emesso da una fonte luminosa<br />

(Lumen) diviso la potenza elettrica assorbita, espressa in watt.<br />

Esprime quindi il rendimento di una lampada o di un apparecchio illuminante; l'unità di misura è<br />

il Lumen/Watt.<br />

3


L'efficienza di una lampadina ad incandescenza si aggira intorno ai 14 lumen/watt. Se la<br />

lampadina è alogena può arrivare fino ai 20 lumen/watt, mentre arriva fino a 60 nelle lampadine<br />

fluorescenti a risparmio energetico.<br />

- intensità luminosa I: esprime il flusso luminoso di una sorgente in una specifica direzione, <strong>per</strong><br />

unità di angolo solido (Φ/Ω), ed è espressa in candele (= lumen/steradiante).<br />

Lo steradiante è l'unità di misura <strong>per</strong> l'angolo solido, il corrispondente tridimensionale del<br />

radiante<br />

In pratica l’intensità luminosa non è altro che la densità di flusso luminoso in una direzione.<br />

Per esprimerla, non è sufficiente indicare solo una quantità (un numero). Occorre anche indicare<br />

una direzione associata a quel numero.<br />

Dunque, ha senso parlare di intensità solo se la si associa ad una direzione. In illuminotecnica, la<br />

direzione è espressa dall'angolo rispetto alla verticale di una sorgente.<br />

L'intensità, dunque, non ci dice solo quanta luce esce da una sorgente, ma soprattutto dove è<br />

diretta. Per questo motivo, l'intensità è una grandezza utile <strong>per</strong> caratterizzare i corpi illuminanti.<br />

L’intensità luminosa prodotta da un apparecchio illuminante (proiettore, lampada ecc…) varia<br />

infatti in base alla direzione nella quale viene misurata.<br />

Per caratterizzare in modo completo un apparecchio, bisogna quindi avere una visione precisa<br />

delle intensità uscenti in tutte le direzioni. Bisognerebbe, in altre parole, disporre di una tabella,<br />

che ci dica <strong>per</strong> ogni direzione il valore dl intensità.<br />

Molto più efficacemente si usano, in illuminotecnica, delle rappresentazioni dette curve<br />

fotometriche, che esprimono, in forma grafica, i valori di intensità associati ad ogni direzione.<br />

Sapendo qual è la direzione che ci interessa, possiamo leggere sul grafico il valore di intensità: un<br />

semplice disegno sostituisce dunque una intera tabella.<br />

Ogni apparecchio illuminante ha la sua curva fotometrica caratteristica. L'origine del diagramma<br />

polare rappresenta il punto in cui è situato il corpo illuminante e l'asse di riferimento è<br />

rappresentato dalla verticale dell'apparecchio.<br />

Per leggere sul grafico i valori di intensità associati ad ogni direzione, si procede in questo modo:<br />

- si individua l'angolo che ci interessa, si traccia il raggio uscente dall'origine in quella direzione;<br />

- si trova il punto di intersezione fra il raggio uscente e il grafico della curva fotometrica;<br />

- si misura la distanza tra questo punto e l'origine.<br />

Questa misura, rapportata alla scala della curva, rappresenta l'intensità dell'apparecchio <strong>per</strong> 1'<br />

angolo cercato. Essa è facilmente leggibile sulla scala graduata riportata in corrispondenza dei<br />

cerchi concentrici intorno all'origine.<br />

A seconda della natura degli ambienti da illuminare, l’apparecchio illuminante può avere una<br />

emissione della luce diretta, indiretta e diffusa.<br />

L'emissione diretta si ha quando l'apparecchio emette tutto il suo flusso direttamente verso la<br />

su<strong>per</strong>ficie da illuminare. La curva fotometrica è in questo caso interamente contenuta nel<br />

semipiano polare inferiore.<br />

L'emissione indiretta si ha quando il flusso luminoso viene indirizzato verso il soffitto, e da<br />

questo riflesso verso la su<strong>per</strong>ficie da illuminare. Gli apparecchi illuminanti a luce indiretta<br />

vengono spesso detti "uplighter". La curva fotometrica è in questo caso interamente contenuta<br />

nella metà su<strong>per</strong>iore del piano polare.<br />

Le emissioni semi-diretta, diretta-indiretta e semi indiretta si hanno quando sono presenti (con<br />

diversa rilevanza) sia la componente diretta che quella indiretta.<br />

4


Nell'emissione diffusa, il flusso si distribuisce in modo pressoché uniforme in tutte le direzioni.<br />

Figura 2 – principali curve fotometriche di un apparecchio illuminante<br />

- illuminamento E: con riferimento ad una su<strong>per</strong>ficie illuminata, esprime il flusso luminoso che<br />

raggiunge l’unità di tale su<strong>per</strong>ficie. Si esprime in lux (= lumen/mq).<br />

Un lux corrisponde quindi ad un flusso di un lumen distribuito su una su<strong>per</strong>ficie di un metro<br />

quadro.<br />

Poiché la luce è la forma di energia che consente la visione, l'illuminamento è la grandezza che<br />

esprime quanto agevolmente l'occhio può vedere.<br />

Ad illuminamenti più elevati corrispondono funzioni visive più agevolate. Ad esempio, mentre in<br />

un magazzino sono sufficienti poche decine di lux, <strong>per</strong> eseguire lavori di precisione possono<br />

essere necessarie anche alcune migliaia di lux.<br />

- luminanza L: esprime l’intensità luminosa prodotta o riflessa da una su<strong>per</strong>ficie in rapporto<br />

all’area di tale su<strong>per</strong>ficie così com’è vista dall’osservatore; si esprime in candele/mq.<br />

La luminanza delle su<strong>per</strong>fici contenute nel campo visivo è direttamente collegata sia ai fenomeni<br />

di abbagliamento che alla possibilità di <strong>per</strong>cepire distintamente gli oggetti osservati.<br />

Si definisce:<br />

- rapporto di luminanza: L2/L1 rapporto tra la luminanza L2 di un oggetto e la<br />

luminanza del suo fondo L1; esso è correlato agli effetti di abbagliamento.<br />

− fattore di contrasto: (L2 - L1 ) / L1 ( rapporto della differenza di luminanza di un<br />

oggetto e del suo fondo e la luminanza del fondo stesso); esso risulta correlabile al grado di<br />

visibilità degli oggetti.<br />

- tem<strong>per</strong>atura di colore (colore della luce): è espressa in gradi Kelvin (K); indica il colore<br />

apparente della luce emessa.<br />

La tem<strong>per</strong>atura di colore della radiazione emessa da una lampada corrisponde al valore della<br />

tem<strong>per</strong>atura (espressa in gradi Kelvin) alla quale si deve portare il corpo nero <strong>per</strong>ché emetta una<br />

radiazione di colore uguale.<br />

Si riporta di seguito a titolo di orientamento la tem<strong>per</strong>atura di colore di alcune sorgenti naturali:<br />

• luna: 4.100K;<br />

• sole a mezzogiorno (estate): 5.300K - 5.800K;<br />

• cielo co<strong>per</strong>to: 6.400K - 6.900K;<br />

• cielo sereno: 10.000K - 25.000K.<br />

5


Dal punto di vista psicologico esiste una stretta relazione tra la tonalità della luce ed il comfort<br />

ambientale.<br />

Tabella 1 – norma UNI 12464 – gruppi di appartenenza di colore delle lampade<br />

Ad esempio in locali ove siano previsti valori di illuminamento piuttosto modesti è consigliabile<br />

installare lampade che emettano luce a tonalità calda piuttosto che neutra o fredda. Si veda al<br />

riguardo il diagramma di Kruithof di cui alla figura riportata di seguito<br />

Figura 3 – diagramma di Kruithof<br />

- indice generale di resa cromatica (Ra): indica la capacità di una sorgente luminosa di<br />

restituire fedelmente il colore dell’oggetto o della su<strong>per</strong>ficie illuminata. È un numero variabile da<br />

0 a 100.<br />

L'indice di resa cromatica viene definito:<br />

- di grado 1A (ottimo) se Ra compreso tra 90 e 100;<br />

- di grado 1B (molto buono) se Ra compreso tra 80 e 89;<br />

- di grado 2A (buono) se Ra compreso tra 70 e 79;<br />

- di grado 2B (discreto) se Ra compreso tra 60 e 69;<br />

- di grado 3 (sufficiente) se Ra compreso tra 40 e 59;<br />

- scarso se Ra inferiore a 40.<br />

tipi di sorgente<br />

luminosa<br />

Ra<br />

Temp. Colore<br />

(K)<br />

Efficienza<br />

(lm/W)<br />

Durata media<br />

(h)<br />

Incandescenza 100 2700 8÷19 1000<br />

ad alogeni 100 2900÷3200 13÷25 1000÷4000<br />

fluorescente lineare 65÷98 2700÷6300 50÷90 12000<br />

fluorescente compatta 85÷98 2700÷5400 50÷60 5000<br />

L.E.D. 60÷80 3200-5600 ~ 40 100.000<br />

6


- la sensibilità dell’occhio umano: - l'occhio umano valuta in misura diversa l'intensità<br />

corrispondente alle varie lunghezze d'onda ed è <strong>per</strong> questo che uguali quantità di energia<br />

raggiante di differenti lunghezze d'onda non provocano un'impressione luminosa di uguale<br />

intensità. Se, ad esempio, si considerano uguali quantità di energia <strong>per</strong> tutte le varie lunghezze<br />

d'onda e si paragona l'intensità dell'impressione luminosa ricevuta, si constata che alla radiazione<br />

giallo verde (lunghezza d'onda pari a 555nm), corrisponde l'impressione luminosa più intensa<br />

mentre le radiazioni rosse e violette determinano un'impressione molto più debole. A seguito di<br />

es<strong>per</strong>imenti effettuati su un gran numero di <strong>per</strong>sone è stato possibile rappresentare graficamente<br />

(figura 4)la sensibilità spettrale relativa dell'occhio umano. La sensibilità dell'occhio alla<br />

radiazione giallo verde è stata considerata come pari al 100% ed a tale lunghezza d'onda<br />

corrisponde un fattore di sensibilità visiva uguale ad uno. La sensibilità a tutte le altre lunghezze<br />

d'onda può essere espressa in rapporto a questa sensibilità massima. Così, ad esempio, il fattore di<br />

sensibilità dell'occhio <strong>per</strong> la radiazione di colore arancio (corrispondente ad una lunghezza d'onda<br />

di 600 nm) è di 0,63.<br />

Figura 4 – Schema della sensibilità spettrale dell’occhio umano<br />

Pertanto, all’interno di un’area di cantiere, affinché oggetti che possono costituire un <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong><br />

i lavoratori siano facilmente visibili, devono avere colori vicini il più possibile a quelli <strong>per</strong> cui si<br />

ha la sensibilità massima.<br />

7


2 Requisiti illuminotecnici dei luoghi di lavoro<br />

I requisiti illuminotecnici vengono determinati dalla soddisfazione delle seguenti tre esigenze<br />

fondamentali:<br />

- il comfort visivo: la sensazione di benessere <strong>per</strong>cepita dai lavoratori contribuisce indirettamente<br />

anche a ottenere alti livelli di produttività;<br />

- la prestazione visiva: i lavoratori sono in grado di svolgere i loro compiti visivi anche in<br />

circostanze difficili e protratti nel tempo;<br />

- la sicurezza.<br />

La prestazione visiva all’interno di un luogo di lavoro è condizionata dalle capacità visive del<br />

soggetto, dalle caratteristiche del compito visivo e dalle caratteristiche dell’ambiente.<br />

L’<strong>illuminazione</strong> di un ambiente deve fornire condizioni ottimali <strong>per</strong> lo svolgimento del compito<br />

visivo richiesto, anche quando si distoglie lo sguardo dal compito.<br />

La norma UNI EN 12464 (parte prima <strong>per</strong> gli ambienti interni e parte seconda <strong>per</strong> quelli esterni)<br />

specifica i requisiti illuminotecnici <strong>per</strong> i posti di lavoro che corrispondono alle esigenze di<br />

comfort visivo e di prestazione visiva.<br />

I parametri che caratterizzano un ambiente di lavoro sono seguenti:<br />

2.1 Distribuzione delle luminanze.<br />

La distribuzione delle luminanze influenza l’impegno dell’apparato visivo. Ogni volta che<br />

l’occhio passa dalla focalizzazione di un oggetto ad un altro con diversa luminanza, deve<br />

adattarsi alla luminanza del nuovo campo visivo.<br />

L’affaticamento dell’apparato visivo è tanto maggiore quanto maggiori sono le differenze di<br />

luminanza; contrasti di luminanza elevati possono provocare abbagliamento.<br />

Viceversa, luminanze e contrasti di luminanza troppo bassi possono influenzare le condizioni di<br />

visibilità e dare luogo ad un ambiente di lavoro monotono e non stimolante.<br />

La distribuzione delle luminanze dipende dal fattore di riflessione e da come sono illuminate le<br />

varie su<strong>per</strong>fici dell’ambiente di lavoro.<br />

Una luminanza di adattamento nel campo visivo ben bilanciata è necessaria <strong>per</strong> aumentare:<br />

- l'acuità visiva (nitidezza della visione);<br />

- la sensibilità al contrasto (discriminazione di piccole differenze di luminanza);<br />

- l'efficienza delle funzioni oculari (quali accomodamento, convergenza, contrazione pupillare,<br />

movimenti oculari, ecc.).<br />

La distribuzione delle luminanze nel campo visivo influenza anche il comfort visivo.<br />

Conseguentemente si dovrebbe evitare quanto segue:<br />

- luminanze troppo elevate che potrebbero provocare abbagliamento;<br />

- contrasti di luminanza troppo elevati che causerebbero affaticamento a causa delle costanti<br />

variazioni di adattamento oculare;<br />

- luminanze troppo basse e contrasti di luminanza troppo bassi che darebbero luogo ad un<br />

ambiente di lavoro monotono e non stimolante.<br />

Le luminanze di tutte le su<strong>per</strong>fici sono determinate dal fattore di riflessione e dall'illuminamento<br />

delle su<strong>per</strong>fici stesse.<br />

8


2.2 Illuminamento<br />

La quantità di luce che raggiunge le su<strong>per</strong>fici influenza notevolmente la <strong>per</strong>cezione visiva.<br />

Un illuminamento troppo basso o troppo alto posso rendere difficoltosa la visione. Gli<br />

illuminamenti imposti dalle norme variano da qualche decina a qualche migliaia di lux.<br />

L’illuminamento dell’ambiente va correlato a quello presente nella zona del compito visivo e<br />

non deve presentare eccessive disuniformità all’interno del locale o tra ambienti comunicanti<br />

poiché il passaggio da zone scarsamente illuminate a zone illuminate può determinare<br />

abbagliamento o, nel passaggio inverso, creare difficoltà di adattamento visivo.<br />

La norma UNI EN 12464, al punto 5, impone dei valori minimi <strong>per</strong> l’illuminamento medio<br />

mantenuto Em, misurato nella zona di lavoro sede del compito visivo.<br />

La stessa norma impone di aumentare l'illuminamento mantenuto richiesto quando:<br />

- il compito visivo è critico;<br />

- gli errori sono costosi da correggere;<br />

- sono molto importanti accuratezza o alta produttività;<br />

- le capacità visive del lavoratore sono inferiori al normale;<br />

- i dettagli del compito sono eccezionalmente piccoli o con basso contrasto;<br />

- il compito deve essere svolto <strong>per</strong> tempi eccezionalmente lunghi;<br />

- il lavoro o il compito visivo sono in movimento;<br />

Si può invece ridurre l'illuminamento mantenuto richiesto quando:<br />

- i dettagli del compito sono eccezionalmente grandi o con contrasto particolarmente elevato;<br />

- il compito deve essere svolto <strong>per</strong> un tempo eccezionalmente breve.<br />

In ambienti interni, in zone occupate in continuazione, l'illuminamento mantenuto non deve<br />

essere minore di 200 lx.<br />

Figura 4 – area del compito visivo - (fonte www.zuntobelstaff.it)<br />

La norma impone inoltre di valutare l'illuminamento delle zone immediatamente circostanti<br />

che deve essere correlato all'illuminamento della zona del compito in modo tale da fornire una<br />

distribuzione delle luminanze ben equilibrate nel campo visivo.<br />

Variazioni troppo elevate dell'illuminamento attorno alla zona del compito, possono provocare<br />

affaticamento visivo e abbagliamento molesto.<br />

9


L'illuminamento delle zone immediatamente circostanti può essere più basso di quello del<br />

compito ma non deve essere minore dei valori indicati nel seguente prospetto:<br />

AMBIENTI INTERNI (UNI 12646-1)<br />

Illuminamento del compito<br />

Illuminamento delle zone<br />

immediatamente circostanti<br />

Lx Lx<br />

≥ 750 500<br />

500 300<br />

300 200<br />

≤ 200 Ecompito<br />

Uniformità: ≥ 0,7 Uniformità: ≥ 0,5<br />

Tabella 2 – norma UNI 12464-1 - livelli di <strong>illuminazione</strong> nelle zone circostanti a quelle del compito visivo<br />

AMBIENTI ESTERNI (UNI 12646-2)<br />

Illuminamento dell’area di lavoro Illuminamento dell’area circostante<br />

Lx Lx<br />

≥ 500 100<br />

300 75<br />

200 50<br />

150 30<br />


<strong>illuminazione</strong> misurate nella direzione dell’occhio dell’osservatore. Il valore ottenuto non deve<br />

essere maggiore ai i valori limite stabiliti dalle rispettive norme, <strong>per</strong> ogni specifico ambiente<br />

(interno o esterno), compito o attività visiva.<br />

Anche l’abbagliamento di tipo riflesso può alterare le condizioni di visibilità del compito; <strong>per</strong><br />

ridurre i problemi causati da tali riflessioni è possibile adottare le seguenti misure:<br />

- sistemazione adeguata degli apparecchi di <strong>illuminazione</strong> e dei posti di lavoro;<br />

- adozione di opportune finiture delle su<strong>per</strong>fici;<br />

- riduzione della luminanza degli apparecchi di <strong>illuminazione</strong>;<br />

- aumento dell’area luminosa dell’apparecchio di <strong>illuminazione</strong>;<br />

- pareti e soffitti chiari (<strong>per</strong> ambienti interni).<br />

2.4 Fattore di manutenzione<br />

Nel valutare l’<strong>illuminazione</strong> di un ambiente di lavoro bisogna tener conto del fattore di<br />

manutenzione che dipende dall'apparecchio d'<strong>illuminazione</strong> presente, dall'ambiente circostante ed<br />

dal programma di manutenzione.<br />

È necessario <strong>per</strong>tanto preparare un programma di manutenzione completo che comprende la<br />

frequenza del ricambio delle lampade, gli intervalli di pulizia degli apparecchi d'<strong>illuminazione</strong>,<br />

del locale ed il metodo di pulizia più adeguato.<br />

Come è possibile notare dal grafico seguente, quando non si interviene con <strong>per</strong>iodici interventi di<br />

manutenzione, il flusso luminoso di una lampada (ed il conseguente illuminamento), si può<br />

ridurre negli anni anche del 60%; viceversa, con interventi di manutenzione <strong>per</strong>iodica e<br />

programmata, la <strong>per</strong>dita di flusso luminoso al termine della vita di una lampada può essere<br />

contenuta al di sotto del 20%.<br />

Figura 5 – influenza della manutenzione di un apparecchio illuminante sul flusso luminoso<br />

(fonte www.zuntobelstaff.it)<br />

11


3 L’<strong>illuminazione</strong> nei cantieri<br />

3.1 Illuminazione ordinaria<br />

La guida CIE 1 S 015/E del 2005 e la tabella 5.3 contenuta nella norma UNI 12464-2<br />

(Illuminazione dei posti di lavoro – posti di lavoro in esterno) del gennaio 2008 prevedono, <strong>per</strong> le<br />

aree di cantiere, il rispetto dei seguenti valori minimi dei seguenti parametri illuminotecnici:<br />

Area, attività o lavorazioni Ē m (lx) Uo GRL Ra<br />

Zone di scavo, carico e rimozione 20 0,25 55 20<br />

Aree di costruzione, posa di tubazioni,<br />

attività di trasporto, stoccaggio ecc..<br />

50 0,40 50 20<br />

Montaggio di elementi strutturali, posa di<br />

condutture elettriche, strutture in legno ecc…<br />

100 0,40 45 40<br />

Lavori difficoltosi quali giunzione di<br />

elementi, cablaggio lettrico ecc..<br />

200 0,50 45 40<br />

Tabella 4 – norma UNI 12464-2 – valori illuminotecnici minimi <strong>per</strong> aree di cantiere<br />

dove:<br />

Ē m : è il valore minimo dell’illuminamento (espresso il lux) della su<strong>per</strong>ficie di riferimento,<br />

misurabile tramite un luxmetro;<br />

Uo : esprime il valore minimo dell’uniformità dell’illuminamento, rapporto tra<br />

l’illuminamento minimo e quello medio nell’area di lavoro;<br />

GRL : è il valore limite dell’indice di abbagliamento calcolato mediante la formula indicata al<br />

punto 4.4.1 della norma UNI 12464-2;<br />

: è il minimo valore di resa del colore, funzione delle lampade utilizzate.<br />

Ra<br />

La norma CEI 64-17 (Guida all’esecuzione degli impianti elettrici nei cantieri), distingue tre tipi<br />

di <strong>illuminazione</strong>:<br />

• impianti fissi;<br />

• impianti trasportabili;<br />

• impianti portatili.<br />

• Impianti fissi di <strong>illuminazione</strong><br />

Questi impianti devono avere le stesse caratteristiche degli impianti elettrici di cantiere, in<br />

particolare bisogna porre attenzione al grado di protezione che, secondo la guida CEI 64-17, in<br />

un ambiente normale deve essere almeno IP 44.<br />

1 CIE: International Commission on Illumination<br />

12


Figura 6: impianto fisso di <strong>illuminazione</strong> - torre alimentata da gruppo elettrogeno<br />

Gli apparecchi di <strong>illuminazione</strong> non devono creare zone di ombra o risultare d’intralcio e devono<br />

essere protetti contro gli urti accidentali.<br />

Inoltre, è necessario verificare con attenzione che gli apparecchi di <strong>illuminazione</strong>, in particolare i<br />

proiettori, non siano causa di abbagliamento; quelli fissi possono essere installati su pali, sul<br />

traliccio della gru o in altre posizioni elevate (v.di figure 6-7).<br />

È opportuno inoltre verificare che, <strong>per</strong> lavorazioni che prevedono il transito di lavoratori da<br />

ambienti chiusi ad ambienti all’a<strong>per</strong>to e viceversa, non ci siano rischi dovuti a possibili fenomeni<br />

di abbagliamento, causati da livelli di illuminamento molti differenti tra l’ambiente interno<br />

(illuminato artificialmente) ed quello esterno(illuminato naturalmente).<br />

Figura 7 : apparecchi di <strong>illuminazione</strong> del cantiere installati sulla gru<br />

(fonte tuttonormel: impianti a norme CEI – cantieri edili)<br />

• Impianti di <strong>illuminazione</strong> trasportabili<br />

Tali apparecchi vengono utilizzati <strong>per</strong> illuminare parti della costruzione in fase di finitura:<br />

generalmente si utilizzano a questo scopo proiettori dotati di lampade alogene, installati su<br />

appositi sostegni (treppiedi, cavalletti, ecc.); questi apparecchi funzionano in posizione fissa e<br />

devono essere trasportati solo dopo aver disattivato l’alimentazione.<br />

Gli apparecchi di <strong>illuminazione</strong> trasportabili (si vedano le figure 2 e 3) possono essere alimentati<br />

a 230 V direttamente dalla rete, oppure a 24 V tramite trasformatore di sicurezza (SELV); le<br />

lampade utilizzate nei luoghi conduttori ristretti devono essere alimentate a bassa tensione di<br />

sicurezza.<br />

13


Figura 8 : apparecchi di <strong>illuminazione</strong> trasportabili<br />

Essendo comunque a portata di mano durante il loro funzionamento, le lampade devono essere<br />

protette da appositi vetri.<br />

A causa delle lavorazioni in corso, possono essere esposte a spruzzi; è’ consigliabile un grado di<br />

protezione minimo IP 55 e l’utilizzo di apparecchi di <strong>illuminazione</strong> con isolamento di classe II.<br />

I cavi di alimentazione (essendo l’apparecchio mobile) devono essere adatti alla posa mobile,<br />

quindi H07RN-F o equivalenti.<br />

Figura 9 : <strong>illuminazione</strong> del luogo di lavoro con apparecchio trasportabile<br />

(fonte tuttonormel: impianti a norme CEI – cantieri edili)<br />

• Lampade portatili<br />

Queste lampade, se utilizzate in luoghi conduttori ristretti, devono essere alimentate mediante<br />

circuiti a bassa tensione di sicurezza (SELV). Le lampade portatili (si veda la figura 4) devono<br />

essere conformi alle norme CEI EN 60598-2-8 e CEI 34-34, avere quindi almeno le seguenti<br />

caratteristiche:<br />

- essere dotate di impugnatura di materiale isolante non igroscopico;<br />

- avere le parti in tensione, o che possono essere messe in tensione in seguito a guasti,<br />

completamente protette in modo da evitare ogni possibilità di contatto accidentale;<br />

- possedere un involucro di vetro o di materiale traslucido a protezione della lampada;<br />

- essere munite di gabbia di protezione, fissata mediante collare esterno all’impugnatura<br />

isolante;<br />

- garantire il <strong>per</strong>fetto isolamento delle parti in tensione dalle parti metalliche eventualmente<br />

fissate all’impugnatura. La guida CEI 64-17 consiglia un grado di protezione di almeno IP 44.<br />

14


-<br />

3.2 Illuminazione di sicurezza<br />

Figura 10 : lampada portatile<br />

Figura 11 : lampade portatili – modalità errata di fissaggio<br />

In un cantiere, quando al mancare dell’<strong>illuminazione</strong> ordinaria possono determinarsi situazioni di<br />

<strong>per</strong>icolo <strong>per</strong> le <strong>per</strong>sone, occorre predisporre una <strong>illuminazione</strong> di sicurezza; tale <strong>illuminazione</strong><br />

dovrà fornire, in assenza dell’<strong>illuminazione</strong> ordinaria, un adeguato livello di sicurezza ai<br />

lavoratori presenti nell’area di lavoro evitando che si verifichino incidenti o situazioni <strong>per</strong>icolose.<br />

L’<strong>illuminazione</strong> di sicurezza dovrà consentire ai lavoratori l’allontanamento dall’area di lavoro in<br />

sicurezza, fornendo condizioni visive adeguate e assicurando che i mezzi antincendio e le<br />

apparecchiature di sicurezza possano essere rapidamente individuati ed utilizzati.<br />

Inoltre dovrà garantire la sicurezza delle <strong>per</strong>sone coinvolte in processi di lavorazione o<br />

situazioni potenzialmente <strong>per</strong>icolose e consentire, <strong>per</strong> la sicurezza degli o<strong>per</strong>atori e degli altri<br />

occupanti dei locali, procedure di arresto adeguate.<br />

È il caso ad esempio di lavorazioni dove gli o<strong>per</strong>ai svolgono, in locali con scarsa <strong>illuminazione</strong><br />

naturale, lavori su piani sopraelevati o con attrezzature in movimento che, in caso di mancanza<br />

dell’<strong>illuminazione</strong> ordinaria, potrebbero costituire un rischio <strong>per</strong> l’o<strong>per</strong>atore (caduta dall’alto,<br />

tagli o abrasioni)..<br />

L’<strong>illuminazione</strong> di sicurezza deve essere attivata non solo in caso di guasto completo<br />

dell’alimentazione dell’<strong>illuminazione</strong> normale, ma anche in caso di guasto localizzato, come ad<br />

esempio in caso di guasto del circuito finale.<br />

15


È opportuno installare degli apparecchi di <strong>illuminazione</strong> di emergenza <strong>per</strong> illuminare le seguenti<br />

aree:<br />

Figura 12 : posizionamento di apparecchio di <strong>illuminazione</strong> di emergenza in aree a rischio<br />

(fonte tuttonormel: impianti a norme CEI – cantieri edili)<br />

- le vie di esodo che conducono a luoghi sicuri o all’a<strong>per</strong>to;<br />

- le aree a rischio di caduta dall’alto;<br />

- i punti o locali di pronto soccorso e le aree dove sono presenti dispositivi antincendio<br />

(estintore, manichette, ecc….);<br />

- locale dove è installato il quadro elettrico principale sul quale potrebbe essere necessario<br />

o<strong>per</strong>are in caso di emergenza,<br />

Nei cantieri l’<strong>illuminazione</strong> di sicurezza è in genere assicurata da apparecchi di <strong>illuminazione</strong><br />

autonomi; l’autonomia minima dovrà essere di 1 ora, salvo durate maggiori previste da<br />

specifiche norme di settore.<br />

Figura 13 : apparecchi di <strong>illuminazione</strong> di emergenza autonomi <strong>per</strong> cantiere<br />

La luce proveniente dagli apparecchi dovrà illuminare ogni ostacolo fino a 2 m di altezza al di<br />

sopra del suolo.<br />

Nel posizionamento dell’apparecchio illuminante bisognerà prendere in considerazione anche il<br />

problema dell’abbagliamento che si manifesta quando si ha una sorgente luminosa molto intensa<br />

con alle spalle una su<strong>per</strong>ficie buia, cioè un elevato contrasto.<br />

Un’intensità luminosa troppo elevata da parte degli apparecchi di <strong>illuminazione</strong> può provocare un<br />

effetto disturbante a livello visivo sulle <strong>per</strong>sone in cerca della via di fuga.<br />

Si esamina di seguito i requisiti imposti, <strong>per</strong> gli impianti di <strong>illuminazione</strong> di emergenza, dalla<br />

legislazione nazionale nelle attività previste dal previste <strong>per</strong> nel macrosettore ATECO 3.<br />

16


• Cantieri<br />

L’allegato XIII del D.Lgs. 81/2008 (testo unico sulla sicurezza) contiene le prescrizioni di<br />

sicurezza e di salute <strong>per</strong> la logistica di cantiere; in particolare viene imposto che “i posti di lavoro<br />

devono disporre, nella misura del possibile, di sufficiente luce naturale ed essere dotati di<br />

dispositivi che consentano un'adeguata <strong>illuminazione</strong> artificiale <strong>per</strong> tutelare la sicurezza e la<br />

salute dei lavoratori”.<br />

Per i cantieri di costruzione e di demolizione, il commento all’art. 704.3 della norma CEI 64-<br />

8/7 riporta: “si raccomanda di prevedere <strong>illuminazione</strong> di sicurezza nelle zone particolarmente<br />

scure dei cantieri, come <strong>per</strong> es. nelle parti interne di edifici molto alti o nelle zone destinate a<br />

parcheggio sotterraneo, allo scopo di indicare le vie di uscita nel caso venga a mancare<br />

l’<strong>illuminazione</strong> ordinaria”. La guida CEI 64-17, all’art. 9 precisa ulteriormente la disposizione<br />

affermando che “…l’esigenza di <strong>illuminazione</strong> artificiale nasce solo <strong>per</strong> cantieri con cicli di<br />

lavorazione continui, o comunque di durata abitualmente su<strong>per</strong>iore a quella diurna, o <strong>per</strong> attività<br />

in gallerie, locali interrati e altri ambienti generalmente bui. In questi casi parallelamente alla<br />

esigenza di <strong>illuminazione</strong> artificiale si pone anche l’esigenza di <strong>illuminazione</strong> di sicurezza; non<br />

si pone invece alcuna esigenza d’<strong>illuminazione</strong> di sicurezza quando l’<strong>illuminazione</strong> artificiale è<br />

utilizzata <strong>per</strong> brevi <strong>per</strong>iodi e in aggiunta a quella solare <strong>per</strong> rifiniture, oppure è di ausilio al<br />

presidio notturno del cantiere”.<br />

• Cantieri sotterranei<br />

L’art. 39 del DPR 320/56 afferma: “Quando in prossimità della zona dello scavo, siano stati<br />

accertati forti accumuli di acqua con possibilità di irruzioni violente nel sotterraneo, oppure detti<br />

accumuli siano da presumere in base ai preventivi rilievi geologici o alla vicinanza e ubicazione<br />

di corsi o bacini d'acqua o di vecchi lavori sotterranei abbandonati oppure in base ad indizi<br />

manifestatisi durante la esecuzione dei lavori, devono adottarsi le seguenti misure: …..d) impiego<br />

di mezzi di <strong>illuminazione</strong> elettrica di sicurezza”. Lo stesso DPR 320/56 all’art. 67 dice che “I<br />

lavoratori che accedono al sotterraneo devono essere provvisti di idoneo mezzo di <strong>illuminazione</strong><br />

portatile”. Ricordiamo che Il DPR 320/56 si applica ai lavori eseguiti in sotterraneo <strong>per</strong><br />

costruzione, manutenzione e riparazione di gallerie, caverne, pozzi e o<strong>per</strong>e simili, a qualsiasi<br />

scopo destinati (sono quindi escluse cave, miniere e torbiere). Inoltre, sempre sui cantieri <strong>per</strong><br />

lavoro in sotterraneo, il DM 12/03/59, all’art. 2, dice “Il locale di pronto soccorso, di cui agli<br />

articoli 96, secondo comma e 97 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n.<br />

320, concernente norme <strong>per</strong> la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro in sotterraneo<br />

deve contenere almeno i seguenti presidi medico-chirurgici, apparecchiature e materiali sanitari:<br />

…. Una lampada ad accumulatore <strong>per</strong> <strong>illuminazione</strong> di emergenza”.<br />

• Cave e miniere<br />

Il DPR 128/59 richiama in vari articoli la necessità dell’uso di apparecchi di <strong>illuminazione</strong> di<br />

sicurezza portatili:<br />

- art. 291 “Ogni lampada di sicurezza deve essere munita di un numero di contrassegno”;<br />

- art. 292 “All'uscita dei sotterranei le lampade di sicurezza devono essere restituite al lampista<br />

il quale ne rileva e segnala gli eventuali guasti”;<br />

- art. 479 “Nelle miniere sottoposte a controllo e classifica <strong>per</strong> grisù devono essere fornite e<br />

ado<strong>per</strong>ate <strong>per</strong> l'<strong>illuminazione</strong> individuale lampade di sicurezza elettriche portatili di tipo<br />

riconosciuto idoneo”;<br />

- art. 482 “I locali destinati alla carica delle batterie di accumulatori delle lampade elettriche<br />

portatili devono essere <strong>per</strong>manentemente aerati”.<br />

17


• Uffici<br />

Il D.Min.Int. 22 febbraio 2006 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi <strong>per</strong> la<br />

progettazione, la costruzione e l’esercizio di edifici e/o locali destinati ad uffici” impone che, <strong>per</strong><br />

tali locali, l'alimentazione di sicurezza, <strong>per</strong> gli impianti di <strong>illuminazione</strong>, deve essere<br />

automatica ad interruzione breve (minore o uguale a 0,5 sec.).<br />

Il dispositivo di carica degli accumulatori deve essere di tipo automatico e tale da consentire la<br />

ricarica completa entro 12 ore; l'autonomia minima dovrà essere di 2 ore.<br />

L'impianto di <strong>illuminazione</strong> di sicurezza deve assicurare, lungo le vie di uscita, un livello di<br />

<strong>illuminazione</strong> non inferiore a 5 lux ad 1 m di altezza dal piano di calpestio. Sono ammesse<br />

singole lampade con alimentazione autonoma, purche' assicurino il funzionamento <strong>per</strong> almeno<br />

un'ora.<br />

• Luoghi di lavoro<br />

Il D.Lgs 9 aprile 2008 n.81, nell’allegato IV, al punto 1.10.3, impone che “i luoghi di lavoro nei<br />

quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'<strong>illuminazione</strong><br />

artificiale, devono disporre di un'<strong>illuminazione</strong> di sicurezza di sufficiente intensità”, e, sempre<br />

nello stesso allegato, al punto 1.5.11 richiede che “le vie e le uscite di emergenza che<br />

richiedono un'<strong>illuminazione</strong> devono essere dotate di un'<strong>illuminazione</strong> di sicurezza di<br />

intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell'impianto elettrico”.<br />

Inoltre, al punto 1.10.7 (<strong>illuminazione</strong> sussidiaria) viene stabilito che “Negli stabilimenti e negli<br />

altri luoghi di lavoro devono esistere mezzi di <strong>illuminazione</strong> sussidiaria da impiegare in caso di<br />

necessità. Detti mezzi devono essere tenuti in posti noti al <strong>per</strong>sonale, conservati in costante<br />

efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità del loro impiego.<br />

Quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all’a<strong>per</strong>to in condizioni di oscurità<br />

non sia sicura ed agevole, quando l’abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle<br />

macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio <strong>per</strong> la sicurezza delle <strong>per</strong>sone o degli impianti,<br />

quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili, la <strong>illuminazione</strong><br />

sussidiaria deve essere fornita con mezzi di sicurezza atti ad entrare immediatamente in funzione<br />

in caso di necessità e a garantire una <strong>illuminazione</strong> sufficiente <strong>per</strong> intensità, durata, <strong>per</strong> numero e<br />

distribuzione delle sorgenti luminose, nei luoghi nei quali la mancanza di <strong>illuminazione</strong><br />

costituirebbe <strong>per</strong>icolo.<br />

Se detti mezzi non sono costruiti in modo da entrare automaticamente in funzione, i dispositivi di<br />

accensione devono essere a facile portata di mano e le istruzioni sull’uso dei mezzi stessi devono<br />

essere rese manifeste al <strong>per</strong>sonale mediante appositi avvisi. L’abbandono dei posti di lavoro e<br />

l’uscita all’a<strong>per</strong>to del <strong>per</strong>sonale deve, qualora sia necessario ai fini della sicurezza, essere<br />

disposto prima dell’esaurimento delle fonti della <strong>illuminazione</strong> sussidiaria”.<br />

Anche il DM 10/3/98, nell’allegato III, ai punti 3.12 impone che “le vie di uscita e le uscite di<br />

piano devono essere chiaramente indicate tramite segnaletica conforme alla normativa<br />

vigente”, e al punto 3.13 “tutte le vie di uscita, inclusi anche i <strong>per</strong>corsi esterni, devono essere<br />

adeguatamente illuminati <strong>per</strong> consentire la loro <strong>per</strong>corribilità in sicurezza sino all'uscita su luogo<br />

sicuro. Nelle aree prive di <strong>illuminazione</strong> naturale od utilizzate in assenza di <strong>illuminazione</strong><br />

naturale, deve essere previsto un sistema di <strong>illuminazione</strong> di sicurezza con inserimento<br />

automatico in caso di interruzione dell'alimentazione di rete”, ribadisce la richiesta<br />

dell’<strong>illuminazione</strong> di sicurezza nei luoghi di lavoro.<br />

I luoghi di lavoro sono una categoria trasversale a tutte le altre. Per cui se un certo locale è anche<br />

un luogo di lavoro, ad esso vanno applicate le misure più restrittive tra le disposizioni particolari<br />

del locale in questione e quelle relative ai luoghi di lavoro.<br />

18


MICROCLIMA<br />

4. Microclima<br />

Nell’accezione generale con il termine “<strong>microclima</strong>” si intende una gamma di parametri fisici che<br />

caratterizzano gli ambienti di lavoro. In senso più stretto con questo termine ci si riferisce<br />

esclusivamente alle condizioni climatiche vere e proprie di un determinato ambiente.<br />

I fattori principali che determinano il <strong>microclima</strong> sono la tem<strong>per</strong>atura, l’umidità relativa, la<br />

tem<strong>per</strong>atura radiante e la velocità dell’aria. Sono questi i parametri che modificano la <strong>per</strong>cezione<br />

dell’ambiente in esame da parte degli occupanti ed è sul loro controllo che si indirizzano le<br />

strategie tese al miglioramento del comfort termico.<br />

Le condizioni <strong>microclima</strong>tiche degli ambienti di lavoro possono essere diverse in funzione di:<br />

• ciclo produttivo (produzioni legate a tem<strong>per</strong>ature particolari);<br />

• caratteristiche ambientali (lavori in sotterraneo, in altura ecc.);<br />

• caratteristiche strutturali dei luoghi di lavoro (materiali costruttivi, loro proprietà termiche,<br />

ecc.);<br />

• impianti utilizzati <strong>per</strong> controllare le condizioni climatiche (ventilatori, condizionatori ecc.).<br />

In casi estremi le condizioni <strong>microclima</strong>tiche possono generare un vero e proprio rischio <strong>per</strong> la<br />

salute mentre, nella maggior parte dei casi, tali condizioni modificano solamente il senso di<br />

benessere e il comfort negli ambienti.<br />

Ormai da oltre un decennio la normativa italiana ha esteso il raggio d'azione delle misure di<br />

prevenzione e protezione da adottare negli ambienti di lavoro a tutti i possibili agenti di rischio<br />

ivi presenti. Gli attuali obblighi normativi prevedono la tutela del benessere del lavoratore in<br />

senso globale; in questo modo, accanto agli agenti di rischio di tipo tradizionale, una nuova<br />

attenzione viene posta agli aspetti di tipo cosiddetto "ergonomico"; questi ultimi, seppure nella<br />

maggioranza dei casi non determinano patologie di tipo gravoso, tuttavia influiscono sul<br />

benessere psicofisico del lavoratore.<br />

In tal senso le condizioni <strong>microclima</strong>tiche rappresentano certamente uno dei più importanti fattori<br />

ergonomici, che, se non è tenuto adeguatamente sotto controllo, può determinare un notevole<br />

grado di disagio ai lavoratori.<br />

4.1 Il bilancio termico dell’organismo<br />

Il corpo può essere definito come un sistema contenente un nucleo produttore di calore,<br />

rappresentato da fegato, intestino, cervello, cuore e apparato muscolare, circondato da un<br />

rivestimento di tessuti che lo isolano dall’ambiente esterno. L’organismo umano è tuttavia dotato<br />

di un sistema termoregolatore che consente di mantenere la tem<strong>per</strong>atura interna in un ristretto<br />

intervallo (36°C-37°C), bilanciando i due fattori principali che influenzano la tem<strong>per</strong>atura<br />

corporea:<br />

• il calore metabolico;<br />

• il tasso di <strong>per</strong>dita di calore.<br />

La situazione termica dell’organismo umano può essere schematizzata come un sistema a<strong>per</strong>to<br />

agli scambi di energia verso l’esterno, che avvengono <strong>per</strong> lo più sotto forma di calore entrante o<br />

uscente dall’organismo medesimo.<br />

19


L’equazione di bilancio termico esprime la sommatoria S dei suddetti flussi di calore; in termini<br />

fisici si tratta di una potenza, essendo l’energia riferita all’unità di tempo e di su<strong>per</strong>ficie corporea.<br />

S = M - W ± C ± R ± K ± Cres ± Eres – E<br />

Dove:<br />

M = Calore prodotto dai processi metabolici;<br />

W = cessione di energia meccanica;<br />

C = convezione con l’aria ambiente;<br />

R = irraggiamento rispetto ai corpi che costituiscono l’ambiente;<br />

K = conduzione rispetto ai corpi solidi con cui l’organismo si trova a contatto;<br />

Cres = variazione di tem<strong>per</strong>atura dell’aria respirata;<br />

Eres = variazione di umidità dell’aria respirata;<br />

E = evaporazione a livello della cute, che coinvolge i fenomeni di sudorazione e di<br />

traspirazione insensibile.<br />

I singoli fattori dell’equazione del bilancio termico possono essere passati in rassegna nel<br />

dettaglio <strong>per</strong> comprenderne più a fondo il significato.<br />

M: il calore di tipo metabolico è un fattore legato alla singola <strong>per</strong>sona, dipendente dal<br />

metabolismo basale e dall’attività svolta dall’individuo;<br />

W: è la parte dell’energia prodotta (M) che si trasforma in energia meccanica;<br />

K: è la modalità di scambio calorico che prevede il trasferimento <strong>per</strong> contatto di energia<br />

termica da un mezzo esterno al corpo umano; la direzione del flusso dipenderà<br />

ovviamente dalle tem<strong>per</strong>ature relative del corpo umano e dell’oggetto esterno con cui è<br />

a contatto;<br />

C: se la pelle di una <strong>per</strong>sona ha tem<strong>per</strong>atura più elevata dell’ambiente circostante, l’aria a<br />

contatto con la pelle subirà un processo di riscaldamento dando origine a una corrente<br />

convettiva, con trasmissione di calore dall’individuo all’ambiente. In tal modo si<br />

stabilisce un flusso d’aria attorno al corpo (corrente convettiva), dove l’aria fredda<br />

viene a contatto con la pelle <strong>per</strong> rimpiazzare l’aria calda risalente;<br />

R: tutti gli oggetti con tem<strong>per</strong>atura su<strong>per</strong>iore allo zero assoluto emettono radiazioni<br />

all’infrarosso; ciò vale anche <strong>per</strong> il corpo umano. Se la sua tem<strong>per</strong>atura é maggiore<br />

dell’ambiente circostante si ha una <strong>per</strong>dita di calore <strong>per</strong> effetto della radiazione.<br />

Quando la tem<strong>per</strong>atura dei corpi radianti, presenti nell’ambiente, é maggiore di quella<br />

corporea, si ha un flusso di calore in senso inverso;<br />

E: un altro importante meccanismo di scambio calorico è rappresentato dalla sudorazione,<br />

con la quale il corpo cede all’ambiente parte del suo calore interno. Dal momento che i<br />

tessuti del corpo sono composti in gran parte da acqua, é naturale comprendere<br />

l’efficienza di tale meccanismo. Infatti se la tem<strong>per</strong>atura esterna é più alta di quella del<br />

corpo non può instaurarsi nessuna <strong>per</strong>dita di calore <strong>per</strong> convezione o radiazione,<br />

mentre il raffreddamento corporeo può avvenire attraverso il sistema di<br />

traspirazione/evaporazione;<br />

Cres , Eres sono parametri connessi al processo respiratorio e sono condizionati dalle differenze tra<br />

la tem<strong>per</strong>atura dell’aria esterna e quella dell’aria respirata dall’individuo.<br />

20


Nella maggior parte delle situazioni i termini M, W, C, R, E sono prevalenti rispetto ai restanti.<br />

Pertanto l’equazione di bilancio termico si approssima in:<br />

S = M+W+C+R+E<br />

Quando i termini energetici non si bilanciano reciprocamente si determina un accumulo di calore<br />

nell’organismo (S > 0), oppure una dis<strong>per</strong>sione di calore all’esterno (S < 0). Quando S assume<br />

valore nullo, lo stato di bilancio termico può essere considerato in equilibrio. Questo stato,<br />

definito come “omeotermia”, è essenziale <strong>per</strong> lo svolgimento delle varie funzioni dell’organismo,<br />

il quale attiva diversi meccanismi <strong>per</strong> mantenere questa condizione. Il mantenimento dello stato<br />

di omeotermia è utile anche al fine di mantenere un adeguato livello di attenzione da parte del<br />

lavoratore e, di conseguenza, ridurre la probabilità di incidenti e infortuni.<br />

La <strong>per</strong>dita (o l’acquisizione) di calore viene controllata con la vasodilatazione <strong>per</strong>iferica,<br />

riducendo (o aumentando) lo scambio termico tra la circolazione sanguigna e l’ambiente esterno,<br />

con la sudorazione, con i brividi e con la modifica dell’attività metabolica.<br />

4.2 Comfort climatico e stress da caldo e da freddo<br />

Negli ambienti di lavoro possono sussistere una vasta gamma di condizioni climatiche. In tal<br />

senso possono essere individuate due tipologie di ambienti:<br />

• gli ambienti severi;<br />

• gli ambienti moderati.<br />

Nel caso degli ambienti severi, le condizioni climatiche possono compromettere, anche<br />

pesantemente, la salute dei lavoratori. Basti pensare al lavoro svolto di fronte al forno di una<br />

pizzeria o nelle celle frigorifere di un’azienda alimentare: in situazioni come queste il lavoratore<br />

può subire dei danni fisici legati all’inappropriato controllo dell’esposizione a tem<strong>per</strong>ature<br />

estreme.<br />

Lavori pesanti in ambienti severi caldi sottopongono il sistema cardiovascolare a notevoli<br />

condizioni di sforzo, che possono causare il cosiddetto colpo di calore. Questo è causato da una<br />

maggiore richiesta di flusso sanguigno necessario <strong>per</strong> lo svolgimento del lavoro e <strong>per</strong> creare le<br />

condizioni fisiologiche idonee al raffreddamento; la termoregolazione diviene così<br />

progressivamente inefficace, fino a dar origine ad uno stato di collasso generalizzato, i cui<br />

sintomi sono rappresentati da prurito, mal di testa, crampi muscolari e tem<strong>per</strong>atura interna molto<br />

alta. In questi casi si parla di stress termico e la misura dell’esposizione viene effettuata tramite<br />

gli indici specifici come il WGBT (indice di tem<strong>per</strong>atura con bulbo umido e globotermometro,<br />

descritto dalla norma UNI EN 27243:1996), il PHS (stress da calore previsto, descritto da UNI<br />

EN ISO 7933:2005) o altri simili.<br />

Per gli ambienti di tipo severo freddo il rischio è rappresentato dal possibile insorgere di uno<br />

stato di ipotermia, che può determinare anche conseguenze letali. Per la valutazione di queste<br />

situazioni si può fare riferimento alla Norma UNI ENV ISO 11079, che prevede il calcolo<br />

dell’indice IREQ (isolamento richiesto). L’isolamento del vestiario Iclo viene messo quindi in<br />

relazione all’IREQ <strong>per</strong> verificare l’adeguatezza delle protezioni adottate.<br />

Per quanto riguarda i restanti ambienti di lavoro, come gli uffici, le condizioni di tem<strong>per</strong>atura,<br />

umidità e ventilazione, più che mettere a repentaglio l’incolumità del lavoratore, possono alterare<br />

il suo stato di benessere psicofisico, causando, quindi, un disagio che non è un fattore patologico<br />

di <strong>per</strong> sé, ma che porta a una cattiva <strong>per</strong>cezione dell’ambiente e a una riduzione generalizzata<br />

della <strong>per</strong>formance lavorativa. In questi casi gli ambienti si definiscono moderati e la misura delle<br />

condizioni <strong>microclima</strong>tiche si effettua <strong>per</strong> valutare gli indici di comfort termico. Tra gli indici<br />

maggiormente usati <strong>per</strong> questo tipo di indagini ci sono gli indici di Fanger, il PMV (Predicted<br />

21


Mean Vote – Voto Medio Previsto) e il PPD (Predicted Percentage of Disatisfied – Percentuale<br />

Prevista di Insoddisfatti), descritti nella norma UNI EN ISO 7730:2006.<br />

4.3 Riferimenti legislativi e norme tecniche<br />

E’ facile trovare nella normativa vigente, riferimenti ai rischi connessi alle attività in ambienti<br />

indoor. Pochi invece sono i contenuti legislativi <strong>per</strong> quanto concerne i rischi a cui sono esposti<br />

quei lavoratori che o<strong>per</strong>ano in ambienti outdoor. Ciò è dovuto, probabilmente, al numero delle<br />

variabili che entrano in gioco nel lavoro all’a<strong>per</strong>to, che rendono assai difficoltosa la valutazione<br />

dei rischi. Basti pensare alle variabili metereologiche, ai fattori caratteristici dei singoli soggetti,<br />

all’esposizione facoltativa ed extraprofessionale a rischi presenti nel luogo di lavoro (ad esempio<br />

l’esposizione solare).<br />

Il D.Lgs. 81/08, che riprende sostanzialmente il dettato del D.Lgs. 626/94, obbliga il datore di<br />

lavoro alla valutazione di tutti gli agenti di rischio, ma, <strong>per</strong> quanto riguarda il benessere del<br />

lavoratore legato alle condizioni <strong>microclima</strong>tiche dell’ambiente, non vengono fornite indicazioni<br />

di tipo quantitativo sui valori dei parametri <strong>microclima</strong>tici da rispettare.<br />

L’allegato IV sui luoghi di lavoro fornisce indicazioni di massima su aerazione, tem<strong>per</strong>atura e<br />

umidità senza indicazioni numeriche di riferimento:<br />

“1.9.1 Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi<br />

1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e<br />

degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre e in<br />

quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di aerazione;<br />

1.9.1.2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto<br />

funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò<br />

è necessario <strong>per</strong> salvaguardare la salute dei lavoratori.<br />

1.9.2 Tem<strong>per</strong>atura dei locali<br />

1.9.2.1. La tem<strong>per</strong>atura nei locali di lavoro deve essere adeguata all'organismo umano durante il<br />

tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai<br />

lavoratori.<br />

1.9.2.2. Nel giudizio sulla tem<strong>per</strong>atura adeguata <strong>per</strong> i lavoratori si deve tener conto della<br />

influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità ed il movimento dell'aria<br />

concomitanti.<br />

1.9.2.3. La tem<strong>per</strong>atura dei locali di riposo, dei locali <strong>per</strong> il <strong>per</strong>sonale di sorveglianza, dei servizi<br />

igienici, delle mense e dei locali di pronto soccorso deve essere conforme alla destinazione<br />

specifica di questi locali.<br />

1.9.2.4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali da evitare un soleggiamento<br />

eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di<br />

lavoro.<br />

1.9.2.5. Quando non è conveniente modificare la tem<strong>per</strong>atura di tutto l'ambiente, si deve<br />

provvedere alla difesa dei lavoratori contro le tem<strong>per</strong>ature troppo alte o troppo basse mediante<br />

misure tecniche localizzate o mezzi <strong>per</strong>sonali di protezione".<br />

1.9.2.6. Gli apparecchi a fuoco diretto destinati al riscaldamento dell’ambiente nei locali chiusi<br />

di lavoro di cui al precedente articolo, devono essere muniti di condotti di fumo privi di valvole<br />

regolatrici ed avere tiraggio sufficiente <strong>per</strong> evitare la corruzione dell’aria con i prodotti della<br />

combustione, ad eccezione dei casi in cui, <strong>per</strong> l’ampiezza del locale, tale impianto non sia<br />

necessario<br />

1.9.3 Umidità<br />

1.9.3.1. Nei locali chiusi di lavoro delle aziende industriale nei quali l’aria è soggetta ad<br />

inumidirsi notevolmente <strong>per</strong> ragioni di lavoro, si deve evitare, <strong>per</strong> quanto possibile, la<br />

22


formazione della nebbia, mantenendo la tem<strong>per</strong>atura e l’0umidità nei limiti compatibili con le<br />

esigenze tecniche ".<br />

Come si vede il dettato legislativo riguarda gli ambienti chiusi; non vi sono indicazioni specifiche<br />

<strong>per</strong> gli ambienti all’a<strong>per</strong>to; inoltre non sono previsti limiti o parametri numerici da rispettare <strong>per</strong><br />

le condizioni <strong>microclima</strong>tiche degli ambienti di lavoro, ma si ribadisce la necessità di tenere<br />

conto, nelle valutazioni, delle attività lavorative svolte.<br />

Riferimenti legislativi più strettamente attinenti alle attività produttive comprese nel settore 3<br />

della Classificazione Ateco, si ritrovano nel DPR 320/56 e nel DPR 128/59.<br />

Il primo riguarda le “Norme <strong>per</strong> la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in<br />

sotterraneo”; in particolare al Capo V viene trattata la Ventilazione e la Limitazione della<br />

tem<strong>per</strong>atura interna; citiamo, a tal proposito i seguenti articoli:<br />

Art.31: “…..La velocità dell’aria di ventilazione ai posti di lavoro deve essere tale che, in<br />

rapporto alla tem<strong>per</strong>atura dell’aria stessa, non risulti pregiudizievole <strong>per</strong> la salute del<br />

lavoratore.”<br />

Art. 33: “La tem<strong>per</strong>atura dei posti di lavoro sotterranei deve essere contenuta, <strong>per</strong> mezzo della<br />

ventilazione e, se necessario, ricorrendo ad altri mezzi, al di sotto del limite massimo di 30 gradi<br />

centigradi del termometro asciutto o di 25 gradi centigradi del termometro bagnato.<br />

Qualora non sia possibile mantenere la tem<strong>per</strong>atura entro i limiti sopraindicati, il normale<br />

lavoro può essere continuato a condizione che la <strong>per</strong>manenza dei lavoratori in sotterraneo non si<br />

prolunghi oltre le 6 ore al giorno, se la tem<strong>per</strong>atura non su<strong>per</strong>i i 35 gradi centigradi a<br />

termometro asciutto o i 30 gradi centigradi a termometro bagnato.<br />

A tem<strong>per</strong>ature su<strong>per</strong>iori ai limiti indicati al comma precedente sono consentiti soltanto lavori<br />

urgenti di emergenza diretti a scongiurare <strong>per</strong>icoli o lavori relativi ad o<strong>per</strong>azioni di salvataggio.<br />

In tale caso il <strong>per</strong>sonale addetto deve essere impiegato secondo orari e turni adeguati alle<br />

particolari condizioni contingenti.”<br />

Il DPR 128/59 riguarda le “Norme di polizia delle miniere e delle cave”; con riferimento al<br />

<strong>microclima</strong> citiamo alcuni articoli compresi al Titolo VI Ventilazione:<br />

Art. 258: “Tutte le vie ed i cantieri sotterranei cui hanno accesso i lavoratori devono essere<br />

adeguatamente aerati, tenuto conto dei metodi di lavoro impiegati e degli sforzi fisici imposti ai<br />

lavoratori, al fine di garantire, con un margine di sicurezza sufficiente:<br />

a) un’atmosfera in cui le condizioni di lavoro si mantengano adeguate durante l’orario di lavoro;<br />

b) un’atmosfera in cui si riesca a tenere sotto continuo controllo i rischi d’esplosione (1).<br />

Salvo i luoghi <strong>per</strong> i quali è ammessa l'areazione <strong>per</strong> diffusione a termine dell'art. 275 le vie ed i<br />

cantieri non ventilati devono essere resi inaccessibili agli o<strong>per</strong>ai mediante sbarramenti fissi.”<br />

……………<br />

Art. 260: “Le correnti di aria naturali, quando non provvedono efficacemente alle esigenze di cui<br />

al presente titolo, devono essere integrate da correnti attivate da ventilatori meccanici.<br />

Le correnti d'aria principali, attivate da ventilatori, devono essere dirette nel senso prevalente<br />

delle correnti d'aria naturali quando queste non siano trascurabili rispetto a quelle attivate<br />

meccanicamente.<br />

E' ammessa deroga alla norma di cui al comma precedente quando l'ingegnere capo riconosca<br />

che difficoltà tecniche si oppongano e le esigenze della sicurezza lo consentano.”<br />

………………<br />

Art. 261: “La velocità della corrente d'aria, calcolata come media nella sezione più ristretta della<br />

via <strong>per</strong>corsa, non deve su<strong>per</strong>are i 6 m/sec. salvo che nei pozzi sboccanti a giorno, nelle condotte<br />

di areazione e nelle gallerie che non servono normalmente al trasporto dei materiali ed alla<br />

circolazione del <strong>per</strong>sonale.<br />

Con ordine di servizio del direttore deve essere stabilita, <strong>per</strong> l'intero sotterraneo o <strong>per</strong> singoli<br />

scomparti e settori, la velocità minima delle correnti d'aria in base alle caratteristiche del<br />

23


giacimento, alle tem<strong>per</strong>ature ed allo stato igrometrico del sotterraneo, al fine di determinare<br />

soddisfacenti condizioni ambientali di lavoro.<br />

Eccezione fatta <strong>per</strong> i cantieri <strong>per</strong> i quali è consentita l'areazione <strong>per</strong> diffusione, a termini dell'art.<br />

275, la velocità minima delle correnti d'aria non deve essere inferiore a 10 cm/sec.”<br />

Art. 263: “Almeno una volta ogni sei mesi devono essere eseguite misure di portata, di<br />

tem<strong>per</strong>atura e di umidità delle correnti principali, derivate e secondarie di ventilazione e prelevati<br />

campioni dell'atmosfera del sotterraneo da sottoporsi ad analisi <strong>per</strong> gli accertamenti dell'idoneità<br />

di cui all'art. 259.<br />

Le misure ed i prelevamenti sono ripetuti quando siano sopravvenute importanti modifiche o<br />

<strong>per</strong>turbazioni in qualcuno dei circuiti principali della corrente d'aria….”<br />

Art. 281:” Nei cantieri del sotterraneo di una miniera sono consentiti lavori <strong>per</strong> la durata<br />

normale di otto ore, soltanto quando la tem<strong>per</strong>atura dell'aria, misurata nel turno più numeroso<br />

con termometro a bulbo asciutto, non su<strong>per</strong>i i 32° C.<br />

Nei cantieri dove la tem<strong>per</strong>atura dell'aria, misurata nel modo anzidetto, sia compresa fra 32° C e<br />

35° C, la <strong>per</strong>manenza degli o<strong>per</strong>ai deve essere limitata a cinque ore al giorno, salvo che una<br />

ulteriore <strong>per</strong>manenza non si renda necessaria <strong>per</strong> lavori temporanei ai fini della sicurezza. In tale<br />

caso gli o<strong>per</strong>ai non possono rifiutare la loro o<strong>per</strong>a.<br />

La limitazione di lavoro a cinque ore giornaliere è disposta quando la tem<strong>per</strong>atura è stata<br />

riscontrata <strong>per</strong> due giorni di lavoro consecutivi entro i limiti previsti.<br />

Se la tem<strong>per</strong>atura dell'aria misurata nei modi anzidetti su<strong>per</strong>a i 35° C, il <strong>per</strong>sonale può essere<br />

impiegato soltanto <strong>per</strong> fronteggiare situazioni di <strong>per</strong>icolo o <strong>per</strong> altre gravi ragioni.”<br />

Art. 283: “La durata normale di lavoro di otto ore viene ripristinata in un cantiere solo quando si<br />

sia constatato che <strong>per</strong> due giorni lavorativi consecutivi la tem<strong>per</strong>atura sia discesa al di sotto di<br />

32° C, o del corrispondente limite stabilito ai sensi dell'art. 282.”<br />

Art. 285: “In due giorni di lavoro consecutivi di ogni settimana deve essere misurata la<br />

tem<strong>per</strong>atura dell'aria nei vari cantieri di lavoro facendosi uso di termometro a bulbo asciutto o di<br />

altro indicatore riconosciuto idoneo, ed i dati relativi devono essere riportati in registro.<br />

Se si constata in un cantiere una tem<strong>per</strong>atura di 30° C, o più, il rilevamento della tem<strong>per</strong>atura<br />

nello stesso cantiere deve essere eseguito tutti i giorni di lavoro.<br />

Su istanza del direttore, è consentita deroga al disposto di cui al presente articolo, primo comma,<br />

<strong>per</strong> l'intero sotterraneo, o parte di esso, quando l'ingegnere capo abbia riconosciuto che le<br />

tem<strong>per</strong>ature raggiunte siano costantemente discoste e più basse dei limiti di tem<strong>per</strong>atura<br />

considerati all'art. 281, o di quelli eventualmente modificati <strong>per</strong> il disposto dell'art. 282.”<br />

Come si vede anche i sopra citati DPR, seppure riguardanti le attività lavorative specifiche del<br />

settore Ateco n°3, fanno riferimento esclusivamente a lavorazioni svolte in ambienti indoor.<br />

Tuttavia la letteratura scientifica esistente in materia fornisce numerose indicazioni su indici<br />

sintetici di valutazione che, integrando i vari parametri <strong>microclima</strong>tici e quelli legati alle attività<br />

svolte, <strong>per</strong>mettono una definizione dei diversi ambienti, in termini quantitativi, compresi anche<br />

quelli outdoor.<br />

Difficoltà si riscontrano anche sul versante del riconoscimento delle malattie connesse al lavoro<br />

in ambiente esterno; ad esempio le neoplasie cutanee fotoindotte non sono riconosciute, in quanto<br />

tali malattie non sono fra quelle così dette “tabellate” (DPR 336/94); ne deriva che il lavoratore<br />

può accedere alla protezione assicurativa solo con l’onere della prova della causalità.<br />

In particolare dalle statistiche Inail non risultano riconoscimenti relativi a denuncie di infortunio<br />

o di malattie professionale direttamente correlabili a fattori <strong>microclima</strong>tici.<br />

24


Tuttavia è indubbio che tali fattori costituiscano delle concause, più o meno importanti, nella<br />

genesi di alcune patologie.<br />

E’ ad esempio importante considerare il <strong>microclima</strong> nei lavori all’a<strong>per</strong>to nell’ambito della<br />

movimentazione manuale dei carichi. Infatti, il disco della colonna vertebrale quando è<br />

schiacciato (durante una movimentazione) non si può nutrire, ed utilizza quindi delle riserve.<br />

In un ambiente <strong>microclima</strong>tico sfavorevole (troppo caldo o troppo freddo) si determina una<br />

carenza di nutrimento generale nell’organismo umano. Avviene quindi una ridistribuzione<br />

funzionale del circolo sanguigno a favore degli organi vitali (cuore, cervello...) ed a sfavore<br />

dei dischi della colonna, che quindi sono più suscettibili ad un eventuale danno.<br />

I lavoratori esposti a tem<strong>per</strong>ature sotto i 25°C sono maggiormente soggetti al rischio di<br />

sindrome del tunnel carpale. Infatti, a tali tem<strong>per</strong>ature si avverte un abbassamento della<br />

sensibilità e della forza motoria della mano, e ciò porta a sopravvalutare l’energia necessaria<br />

<strong>per</strong> compiere un movimento. L’uso incongruo delle mani favorisce, di conseguenza, il<br />

sopravvenire della patologia da tunnel carpale.<br />

4.4 Gli ambienti moderati<br />

Gli ambienti moderati presentano condizioni <strong>microclima</strong>tiche sostanzialmente omogenee; ciò<br />

significa che le grandezze fondamentali legate all’ambiente (Ta, Tr, U%, Va) presentano<br />

oscillazioni relativamente contenute. Inoltre, specie <strong>per</strong> quanto riguarda la tem<strong>per</strong>atura, non si<br />

riscontrano quei valori estremi, tipici degli ambienti severi (caldi e freddi).<br />

Ciò consente l’intervento, in maniera efficace, del sistema di termoregolazione; infatti, in<br />

presenza di condizioni <strong>microclima</strong>tiche di discomfort, l’organismo reagisce attivando quei<br />

meccanismi, descritti in precedenza, utili a ripristinare l’equilibrio termico, e quindi la condizione<br />

di omeotermia.<br />

Pertanto negli ambienti moderati il <strong>microclima</strong> non costituisce di <strong>per</strong> sé un vero e proprio rischio<br />

<strong>per</strong> la salute degli occupanti, bensì rappresenta un’importante fattore, tra quelli di tipo<br />

ergonomico, che influisce sul benessere psicofisico dei lavoratori e, di conseguenza, sull’efficacia<br />

della <strong>per</strong>formance lavorativa.<br />

Nel caso della valutazione di questi ambienti gli indici utilizzati, come accennato in precedenza,<br />

sono il PMV e il PPD così come descritto nella norma UNI EN ISO 7730:2006.<br />

• La valutazione del rischio in ambienti moderati<br />

Il PMV e il PPD<br />

Il valore PMV, che esprime il livello di gradimento del soggetto rispetto all’ambiente, è dato<br />

dalla seguente equazione (P.O. Fanger):<br />

PMV = CT (0,303e - 0,036 M + 0,0275)<br />

dove CT rappresenta il carico termico determinato<br />

dalla differenza tra la potenza termica ceduta da<br />

un individuo all’ambiente e quella scambiata dallo<br />

stesso in condizioni omeoterme.<br />

Il PPD è un parametro empirico che esprime la<br />

<strong>per</strong>centuale dei lavoratori che, nelle condizioni<br />

rilevate, si dichiarano insoddisfatti rispetto<br />

all’ambiente esaminato.<br />

La <strong>per</strong>centuale prevedibile di insoddisfatti è<br />

correlata al valore di PMV dall’equazione:<br />

PPD =100 – 95 e<br />

-(0,03353 PMV^4 + 0,2179 PMV^2)<br />

25<br />

%<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

PPD<br />

-2 -1 0 1 2<br />

PMV<br />

Figura. 1 - Andamento del PPD al variare del<br />

PMV


la cui rappresentazione grafica è riportata nella figura 1.<br />

Si può notare come in condizioni di PMV=0 il valore del PPD è eguale al 5%; ciò sta a<br />

significare che anche nelle condizioni ottimali dal punto di vista del comfort termico esiste una<br />

piccola popolazione di soggetti che giudica comunque insoddisfacenti le condizioni<br />

<strong>microclima</strong>tiche dell’ambiente. Ciò è dovuto al fatto che la <strong>per</strong>cezione dell’ambiente termico<br />

dipende anche dalla diversa sensibilità individuale che è legata vari fattori tra cui il sesso, l’età,<br />

l’origine geografica ecc.<br />

Nella tabella 1 viene inoltre rappresentato il campo di variabilità dell’indice PMV-PPD con la<br />

relativa valutazione dell’ambiente termico.<br />

PMV<br />

(voto medio<br />

previsto)<br />

PPD %<br />

(<strong>per</strong>centuale<br />

insoddisfatti)<br />

Valutazione dell’ambiente termico<br />

+3 100 % Molto caldo<br />

+2 75,7 % Caldo<br />

+1 26,4 % Leggermente caldo<br />

+0,0 5 % Neutro<br />

- 1 26,8 % Fresco<br />

- 2 76,4 % Freddo<br />

- 3 100 % Molto freddo<br />

Tabella 1 - campo di variabilità del PMV-PPD e valutazione dell’ambiente termico.<br />

Non è possibile utilizzare gli indici di valutazione PMV e PPD in tutte le condizioni lavorative;<br />

infatti questi indici sono applicabili quando i parametri M, Icl, ta e Var sono compresi negli<br />

intervalli indicati in tabella 2. Occorre inoltre considerare che l’indice PMV dovrebbe essere<br />

utilizzato solo <strong>per</strong> valori compresi tra –2 e +2.<br />

M Compreso tra 46 e 232 W/m 2 (da 0,8 a 4<br />

met)<br />

Icl Compreso tra = da 0 e 0,310 m 2 °C/W (da<br />

0 a 2 clo)<br />

ta Compreso tra 10 e 30 °C<br />

Compreso tra 0 e 1 m/s<br />

Var<br />

Tabella 2 - Limiti di applicabilità del criterio PMV-PPD secondo la UNI EN ISO 7730:2006.<br />

• Indici <strong>per</strong> il discomfort localizzato<br />

Il PMV e il PPD rappresentano una valutazione globale dell’ambiente <strong>microclima</strong>tico. Tuttavia si<br />

possono verificare delle situazioni di discomfort localizzato che vanno riferite a porzioni<br />

specifiche del corpo umano.<br />

Per una valutazione più dettagliata del benessere sarà <strong>per</strong>tanto opportuno determinare ulteriori<br />

indici di benessere legati alla presenza di:<br />

• Correnti d’aria;<br />

• gradienti verticali di tem<strong>per</strong>atura;<br />

• pavimenti con tem<strong>per</strong>atura eccessivamente alta o bassa;<br />

• asimmetria radiante.<br />

26


Questi fattori di discomfort sono illustrati dalla citata norma 7730 mediante gli appositi indici di<br />

seguito elencati.<br />

Il DR (Draft Risk) esprime la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti da corrente d’aria e viene calcolato con<br />

una relazione che prevede la misura e l’elaborazione della tem<strong>per</strong>atura media e della velocità<br />

dell’aria nell’ambiente considerato.<br />

Il PDa esprime la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti in funzione della differenza tra la tem<strong>per</strong>atura<br />

dell’aria al livello della testa e quella al livello delle caviglie <strong>per</strong> una <strong>per</strong>sona seduta (misure<br />

rilevate rispettivamente a 1,1 e 0,1 m dal pavimento). La relazione tra la <strong>per</strong>centuale di<br />

insoddisfatti e la differenza di tem<strong>per</strong>atura è illustrata nel grafico della figura 2 (ripresa dalla<br />

norma 7730:2006).<br />

Fig. 2 - Percentuale di insoddisfatti in funzione della differenza verticale di tem<strong>per</strong>atura<br />

Il PDp esprime la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti in funzione della tem<strong>per</strong>atura del pavimento e si<br />

determina con una funzione che prevede la sola misura della suddetta tem<strong>per</strong>atura. La relazione<br />

tra la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti e la tem<strong>per</strong>atura del pavimento è illustrata nel grafico della<br />

figura 3 (ripresa dalla norma 7730:2006).<br />

Fig.3 - Percentuale di insoddisfatti in funzione della tem<strong>per</strong>atura del pavimento.<br />

Il PDr esprime, infine, la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti in funzione delle differenze tra le<br />

tem<strong>per</strong>ature radianti piane delle diverse su<strong>per</strong>fici dell’ambiente. Le relazioni che legano le<br />

diverse asimmetrie radianti alla la <strong>per</strong>centuale di insoddisfatti sono illustrate nel grafico della<br />

figura 4 (ripresa dalla norma 7730:2006).<br />

27


Fig.4 - Percentuale di insoddisfatti in funzione della asimmetria radiante<br />

• Valori limite di soglia degli indici <strong>microclima</strong>tici<br />

Per quanto riguarda gli ambienti moderati in linea generale non esistono riferimenti di legge sul<br />

rispetto di determinati valori degli indici PMV e PPD. In mancanza di tali limiti si fa riferimento<br />

alla normativa tecnica nazionale e internazionale emanata dagli organismi di standardizzazione e<br />

unificazione. Per il <strong>microclima</strong> la norma più autorevole (e più applicata) è la citata UNI EN ISO<br />

7730.<br />

La suddetta norma indica quali ottimali i valori di PMV compresi tra +0.5 e –0.5, a cui<br />

corrisponde una <strong>per</strong>centuale massima di insoddisfatti pari al 10%. Più in particolare la norma ISO<br />

7730/2006 prevede la suddivisione degli ambienti in tre tipologie ai quali vanno applicati<br />

differenti valori di accettabilità in funzione della loro diversa fruizione. Nella tabella 3 vengono<br />

riportati i suddetti valori sia <strong>per</strong> la valutazione del comfort globale (PMV - PPD) sia <strong>per</strong> quanto<br />

riguarda la valutazione del discomfort localizzato.<br />

Categoria Stato termico complessivo Discomfort localizzato<br />

di<br />

ambiente<br />

PPD % PMV DR % PDa % PDp % PDr %<br />

A < 6 -0,2 < PMV <<br />

0,2<br />

< 10 < 3 < 10 < 5<br />

B < 10 -0,5 < PMV <<br />

0,5<br />

< 20 < 5 < 10 < 5<br />

C < 15 -0,7 < PMV <<br />

0,7<br />

< 30 < 10 < 15 < 10<br />

Tabella 3 - campo di variabilità del PMV-PPD e valutazione dell’ambiente termico.<br />

28


4.5 Gli ambienti severi freddi.<br />

L’esposizione dei lavoratori agli ambienti termici severi freddi, non è infrequente nelle<br />

lavorazioni edili e in quelle proprie dell’attività estrattiva; in tali condizioni ambientali il corpo<br />

umano reagisce, agli effetti del freddo, inizialmente attraverso la riduzione delle dis<strong>per</strong>sioni di<br />

calore (vasocostrizione) e con una produzione di ulteriore calore (aumento del tono muscolare,<br />

brividi, attività muscolare.), se l’esposizione si prolunga si attiva un ulteriore meccanismo di<br />

difesa dal freddo, la "termogenesi chimica" che consiste nella produzione di calore mediata dalla<br />

produzione di adrenalina, tiroxina e noradrenalina.<br />

Oltrepassati determinati valori assieme alle reazioni metaboliche su ricordate, si evidenziano<br />

progressivamente manifestazioni patologiche anche gravi quali sindromi da assideramento<br />

(ipotermia) e principi di congelamento delle estremità, con degenerazioni gravi. È evidente come<br />

sia necessario evitare assolutamente di arrivare a queste condizioni che possono avere<br />

conseguenze invalidanti <strong>per</strong>manenti o addirittura fatali.<br />

L’esposizione prolungata può condurre al congelamento dei tessuti di parti su<strong>per</strong>ficiali del corpo<br />

che determina l’alterazione della concentrazione dei sali contenuti nei liquidi e delle componenti<br />

fosfolipidiche delle membrane; questo evento implica una riduzione progressiva della<br />

circolazione sanguigna fino al manifestarsi di fenomeni degenerativi che possono esitare in<br />

cancrena.<br />

L'abbassamento della tem<strong>per</strong>atura del nucleo corporeo, ossia l’ipotermia, va quindi evitata avendo<br />

cura di mantenere la tem<strong>per</strong>atura corporea interna al di sopra di 36°C, viceversa tem<strong>per</strong>ature<br />

corporee interne inferiori ai 36°C hanno come conseguenza l’obnubilamento del sistema nervoso<br />

centrale con sonnolenza, riduzione della vigilanza e della capacità decisionale e possono condurre<br />

alla <strong>per</strong>dita di coscienza ed al coma.<br />

La tabella riportata di seguito classifica le reazioni metaboliche e comportamentali al diminuire<br />

della tem<strong>per</strong>atura ambientale.<br />

Tem<strong>per</strong>atura<br />

interna °C<br />

Sintomi clinici<br />

37,6 Tem<strong>per</strong>atura interna "normale"<br />

37,0 Tem<strong>per</strong>atura orale "normale"<br />

36,0 II metabolismo basale aumenta nel tentativo di compensare la cessione di calore<br />

35,0 Massima intensità dei brividi-dolori alle estremità-<br />

INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE ESPOSIZIONE<br />

34,0 Vittima pienamente cosciente, pressione arteriosa normale<br />

33,0 Ipotermia grave al di sotto di questa tem<strong>per</strong>atura<br />

32,0-31,0 Obnubilamento della coscienza; pressione sanguigna difficilmente rilevabile; pupille<br />

dilatate ma reattive alla luce; i brividi cessano<br />

30,0-29,0 Perdita progressiva di coscienza; incrementata rigidità muscolare; polso e pressione<br />

sanguigna difficili da rilevare; diminuisce la frequenza respiratoria<br />

28,0 Possibile fibrillazione ventricolare da irritabilità miocardia<br />

27,0 La motilità volontaria cessa; pupille non reattive alla luce; riflessi su<strong>per</strong>ficiali e profondi<br />

assenti<br />

26,0 Vittima raramente cosciente<br />

25,0 Possibilità di fibrillazione ventricolare spontanea<br />

24,0 Edema polmonare<br />

22,0-21,0 Rischio massimo di fibrillazione ventricolare<br />

20,0 Arresto cardiaco<br />

18,0 Grado massimo di ipotermia accidentale alla quale il paziente può sopravvivere<br />

17,0 Elettroencefalogramma isoelettrico<br />

9,0 Grado massimo di ipotermia <strong>per</strong> raffreddamento artificiale a cui il paziente può<br />

sopravvivere<br />

Tabella 4: tem<strong>per</strong>atura interna (rettale) reazioni metaboliche e comportamentali -<br />

(da American Family Physician. Genn. 1982)<br />

29


I limiti di sicurezza cui riferirsi <strong>per</strong> valutare, prevenire e ridurre il rischio sono riassumibili in:<br />

• evitare un abbassamento della tem<strong>per</strong>atura corporea al di sotto di 36°C;<br />

• tutelare le estremità corporee contro il danno da freddo ( mani, piedi, testa);<br />

• definire il limite massimo occasionale di una singola esposizione agli agenti ambientali,<br />

della tem<strong>per</strong>atura corporea, che non deve scendere oltre i 35°C.<br />

Va inoltre ricordato come alcuni gruppi di popolazione necessitano di cautele specifiche essendo<br />

più vulnerabili ai rischi dell’esposizione al freddo, in particolare: i lavoratori più anziani, quelli<br />

con problemi circolatori, i neo assunti, i lavoratori in terapia farmacologia,le lavoratrici in<br />

gravidanza; tutte queste tipologie di lavoratori andrebbero cautelativamente escluse da<br />

esposizioni a climi severi freddi, salvo diverse e motivate valutazioni.<br />

• La valutazione del rischio in ambienti severi freddi.<br />

Le condizioni ambientali in cui si svolgono alcune lavorazioni sono tali da non <strong>per</strong>mettere di<br />

essere variate; ci si trova ad esempio a dover svolgere lavori all’a<strong>per</strong>to in inverno, a latitudini o<br />

altitudini particolari, turni di lavoro notturni, lavorazioni in ambienti particolari come le gallerie,<br />

ecc. bisogna quindi regolare le condizioni organizzative in modo da ridurre i rischi da freddo,<br />

viceversa non essendo questo sufficiente bisognerà ricorrere all’individuazione e all’uso di DPI<br />

adeguati.<br />

E’ quindi indispensabile valutare lo stress da freddo sia in termini di raffreddamento generale<br />

del corpo che di raffreddamento locale di singole parti quali le estremità, capo, braccia e gambe.<br />

A tal fine un fondamentale riferimento è costituito dalla norma UNI ENV ISO 11079-2001<br />

“Valutazione degli ambienti freddi, determinazione dell’isolamento richiesto dagli indumenti<br />

IREQ”. Il metodo di analisi e calcolo in essa contenuto <strong>per</strong>mette di determinare il raffreddamento<br />

generale corporeo, attraverso il calcolo dello scambio di energia termica tra il corpo e l'ambiente,<br />

comparato con l'isolamento termico dell'abbigliamento richiesto (IREQ) <strong>per</strong> mantenere<br />

l'equilibrio termico.<br />

Per il raffreddamento locale sono utilizzati diversi altri metodi.<br />

La norma UNI ENV ISO 11079-:2001 può essere applicata ad esposizioni continue, intermittenti<br />

o occasionali, ed a lavori al chiuso e all’a<strong>per</strong>to, ma comunque in condizioni di clima severo<br />

freddo.<br />

Per determinare il bilancio dell’energia termica del corpo i fattori determinanti sono:<br />

• le proprietà termiche dell'abbigliamento,<br />

• il metabolismo energetico<br />

• le caratteristiche fisiche dell'ambiente.<br />

La norma <strong>per</strong>mette di calcolare l’isolamento richiesto al vestiario al fine di o<strong>per</strong>are in condizioni<br />

ambientali altrimenti proibitive e <strong>per</strong>mette di determinare il tempo lavorativo massimo, il tempo<br />

di riposo necessario al recu<strong>per</strong>o fisico in caso di cicli di esposizione, considerando diversi livelli<br />

di metabolismo e <strong>per</strong> diverse velocità dell’aria, fattore che, come noto, influenza<br />

proporzionalmente al suo aumentare la dis<strong>per</strong>sione termica corporea.<br />

Il metodo comprende le seguenti fasi:<br />

• misurazione dei parametri <strong>microclima</strong>tici dell'ambiente;<br />

• determinazione del livello di attività (tasso metabolico);<br />

• calcolo dell'isolamento termico dell'abbigliamento richiesto (IREQ);<br />

• confronto con l'isolamento termico fornito dall'abbigliamento disponibile;<br />

• valutazione delle condizioni di equilibrio termico e calcolo della durata massima di<br />

esposizione raccomandata (DLE).<br />

30


Figura 5 : Schema di valutazione celle condizioni o<strong>per</strong>ative in ambienti severi freddi, lavori all’a<strong>per</strong>to.<br />

Il valore di IREQ (Required clothing insulation index) dovuto ad Holmer (1984) e riportato nella<br />

ISO 11079 del 2001 è una misura dello stress termico determinato dagli effetti combinati<br />

dell'energia metabolica e dello scambio termico con l'ambiente, <strong>per</strong> un assegnato livello di<br />

attività, ad esempio quanto più grande è il potere raffreddante dell'ambiente, tanto più elevato è il<br />

valore di IREQ, ma <strong>per</strong> contro si riduce se ad esempio crescere l’energia metabolica da dissipare<br />

a causa del tipo di attività e del livello metabolico corrispondente.<br />

IREQ = tsk – tcl<br />

M-W– E res – Cres – E–<br />

Cres energia termica scambiata <strong>per</strong> convezione nella respirazione, in watt <strong>per</strong> metro quadro<br />

(W/m2)<br />

E energia termica scambiata <strong>per</strong> evaporazione del sudore, in watt <strong>per</strong> metro quadro (W/m2)<br />

Eres energia termica scambiata <strong>per</strong> evaporazione nella respirazione, in watt <strong>per</strong> metro quadro<br />

(W/m2)<br />

t cl tem<strong>per</strong>atura su<strong>per</strong>ficiale dell'indumento, in gradi celsius (°C)<br />

tsk tem<strong>per</strong>atura media della pelle, in gradi celsius (°C)<br />

M metabolismo energetico, in watt <strong>per</strong> metro quadro (W/m2)<br />

W potenza meccanica scambiata fra corpo e ambiente, in watt <strong>per</strong> metro quadro (W/m2)<br />

31


L'equilibrio termico può essere raggiunto a diversi livelli di strain termoregolatorio, definito in<br />

termini di tem<strong>per</strong>atura media della pelle, sudorazione (<strong>per</strong>centuale di pelle bagnata) e variazione<br />

dell'energia termica corporea.<br />

Vengono definiti due livelli di strain fisiologico:<br />

a) L'IREQmin definisce l'isolamento termico minimo necessario <strong>per</strong> mantenere il corpo in<br />

equilibrio termico ad un livello di tem<strong>per</strong>atura media corporea più basso del normale e<br />

rappresenta il più alto livello di strain fisiologico al quale l'uomo può essere sottoposto in<br />

condizioni lavorative.<br />

b) L'IREQ neutro è definito come l'isolamento termico necessario <strong>per</strong> mantenere condizioni di<br />

neutralità termica (tem<strong>per</strong>atura corporea di 37°C, con l'equilibrio termico mantenuto ad un livello<br />

normale di tem<strong>per</strong>atura media corporea, corrisponde ad un raffreddamento minimo o nullo del<br />

corpo umano.<br />

Dal confronto tra IREQmin, IREQNeutral con l’isolamento termico Icl effettivamente garantito<br />

dall’abbigliamento utilizzato, si possono verificare tre diverse situazioni:<br />

• Icl < IREQmin implica protezione insufficiente, e conseguente rischio di ipotermia;<br />

• Icl > IREQneutral implica i<strong>per</strong>-protezione, e conseguente rischio di sudorazione, che, in<br />

presenza di un ambiente esterno rigido, può produrre effetti nocivi;<br />

• IREQneutral > Icl > IREQmin definisce l’intervallo di accettabilità, garantendo<br />

condizioni comprese tra una sensazione soggettiva di freddo e la neutralià termica<br />

Figura 6 - confronto tra IREQneutral e IREQmin <strong>per</strong> tre valori di metabolismo energetico.<br />

32


• Durata limite di esposizione<br />

In ambienti severi freddi, quando il valore dell'isolamento termico dell'abbigliamento risultante<br />

(Iclr) è minore dell'isolamento termico richiesto calcolato (IREQ), l'esposizione deve essere<br />

limitata nel tempo.<br />

Al fine di impedire il raffreddamento progressivo del corpo si può accettare una certa riduzione<br />

del contenuto di energia termica del corpo (Q) <strong>per</strong> brevi <strong>per</strong>iodi. La durata limite di esposizione<br />

al freddo (DLE) è definibile come il tempo di esposizione massimo raccomandato con<br />

abbigliamento disponibile o selezionato.<br />

Figura 7 - Digramma del tempo massimo DLE di esposizione <strong>per</strong> quattro livelli di isolamento<br />

dell’abbigliamento <strong>per</strong> un lavoro leggero con 115W/m2.<br />

L’esposizione ad ambienti severi freddi risulta limitata ad una durata massima pari a:<br />

DLE = Qlim / S<br />

dove Qlim è la massima <strong>per</strong>dita di energia tollerabile senza serie conseguenze, pari a 40 Wh/m2,<br />

ed S è lo squilibrio energetico (ovvero il raffreddamento subito dall’organismo) <strong>per</strong> una specifica<br />

attività metabolica.<br />

Il DLE può essere calcolato <strong>per</strong> entrambi i livelli di strain utilizzando, IREQmin e IREQneutro,<br />

con le relative differenze, l’importante <strong>per</strong>ò è considerare e organizzare le fasi di lavoro<br />

prevedendo un tempo di recu<strong>per</strong>o (recovery time) che serve a ristabilire le condizioni di neutralità<br />

termica dell’individuo ed è calcolabile con la formula:<br />

RT= Qlim/S ', (dove S ' è l'accumulo di energia termica positivo )<br />

Il calcolo sia dei valori IREQmin ed IREQneutral, , può venire eseguito on-line all’indirizzo:<br />

http://www.medlavoro.medicina.unimib.it/devito/IREQ2002alfa.html.<br />

• Il raffreddamento locale e il wind-chill<br />

L’indice di rischio locale IREQ, aggiuntivo rispetto all’indice “globale” IREQ, viene utilizzato<br />

<strong>per</strong> valutare e proteggere il soggetto esposto dalle conseguenze di un eccessivo raffreddamento<br />

delle estremità del corpo, delle mani, dei piedi e della testa che sono caratterizzati da un rapporto<br />

su<strong>per</strong>ficie/volume alto e che quindi risultano particolarmente esposte al raffreddamento di tipo<br />

convettivo dovuto alla azione contemporanea del vento e della bassa tem<strong>per</strong>atura.<br />

L’esposizione a basse tem<strong>per</strong>ature di produce effetti gravi quali:<br />

- il morso da freddo che consiste nel congelamento dei liquidi corporei, caratteristica la macchia<br />

bianca sulla cute;<br />

33


- il così detto piede da trincea o da immersione causato da ridotto flusso di sangue, che determina<br />

una neuropatia <strong>per</strong>iferica grave,<br />

- l’ustione da freddo dovuta al contatto della cute con su<strong>per</strong>fici particolarmente fredde.<br />

Il raffreddamento locale causato da convezione, irraggiamento o conduzione non dovrebbe<br />

comportare <strong>per</strong> la pelle delle mani tem<strong>per</strong>ature minori di 15 °C in condizione di alto strain da<br />

freddo ed ai 24 °C nel caso di basso livello dello strain; in queste condizioni, le tem<strong>per</strong>ature delle<br />

punte delle dita possono essere di parecchi gradi più basse.<br />

Per tem<strong>per</strong>ature minori di -40 °C, soprattutto in presenza di alti livelli del metabolismo energetico<br />

e di vento forte, può essere richiesta una protezione <strong>per</strong> le vie respiratorie e <strong>per</strong> la vista.<br />

Il raffreddamento da vento (wind-chill), che si può incontrare negli ambienti climatici freddi<br />

a<strong>per</strong>ti, produce un effetto di freddo che la tabella che segue ragguaglia alle condizioni di assenza<br />

di vento.<br />

In queste condizioni di wind-chill, le estremità corporee possono essere esposte ad un<br />

raffreddamento eccessivo; questa circostanza è denominata “chilling tem<strong>per</strong>ature” (tem<strong>per</strong>atura<br />

di raffreddamento) ed è pari a:<br />

Tch = 33 – WCI/25,5<br />

dove WCI (wind chill index) è un parametro dipendente dalla tem<strong>per</strong>atura e dalla velocità<br />

dell’aria ed esprime l’entità della potenza termica <strong>per</strong> unità di su<strong>per</strong>ficie <strong>per</strong>duta dall’organismo<br />

in funzione della tem<strong>per</strong>atura e della velocità del vento; tale parametro può essere calcolato con<br />

la seguente formula:<br />

WCI = 1,16 x (10,45 + 10 √va – va ) (33 – ta)<br />

WCI (W/m 2 ) Tch (°C) EFFETTO<br />

1200 -14 Freddo intenso<br />

1400 -22 Limite del congelamento<br />

1600<br />

1800<br />

2000<br />

2200<br />

2400<br />

2600<br />

-30<br />

-38<br />

-43<br />

-45<br />

-61<br />

-69<br />

Congelamento dopo 1 ora<br />

Congelamento dopo 1 minuto<br />

Congelamento dopo 30 secondi<br />

Tabella 5 : WCI - Tch effetti su parti del corpo esposte direttamente<br />

34


Velocità<br />

del vento<br />

Tem<strong>per</strong>atura misurata t a<br />

(m/s)<br />

v a 0°C -5°C -10°C -15°C -20°C -25°C -30°C -35°C -40°C -45°C -50°C<br />

1.8 0 -5 -10 -15 -20 -25 -30 -35 -40 -45 50<br />

2 -1 -6 -11 -16 -21 -27 -32 -37 -42 -47 -52<br />

3 -4 -10 -15 -21 -27 -32 -38 -44 -49 -55 -60<br />

5 -9 -15 -21 -28 -34 -40 -47 -53 -59 -66 -72<br />

8 -13 -20 -27 -34 -41 -48 -55 -62 -69 -76 -83<br />

11 -16 -23 -31 -38 -46 -53 -60 -68 -75 -83 -90<br />

15 -18 -26 -34 -42 -49 -57 -65 -73 -80 -88 -96<br />

20 -20 -28 -36 -44 -52 -60 -66 -76 -84 -92 -100<br />

Tabella 6: Tch in funzione della tem<strong>per</strong>atura attuale t a e della velocità del vento v a<br />

Si segnala inoltre quanto indicato dalla norma DIN 33403-5, che valuta le condizioni ambientali<br />

sulla base della tem<strong>per</strong>atura esterna, suddividendo il campo delle tem<strong>per</strong>ature negative in 5<br />

intervalli di freddo, con l’osservazione che la zona del freddo inizia già a tem<strong>per</strong>ature inferiori a<br />

16°C.<br />

• Intervallo di freddo I (intervallo del fresco: tra + 15°C e +10°C)<br />

• Intervallo di freddo II (intervallo di freddo leggero: tra + 10° e -5°C).<br />

• intervallo di freddo III (= intervallo freddo: –5°C fi no a –18°C)<br />

• intervallo di freddo IV (= intervallo di grande freddo: –18°C fi no a –30°C)<br />

• intervallo di freddo V (=intervallo di grandissimo freddo: inferiore a –30°C)<br />

Il tempo di esposizione critico si raggiunge quando la tem<strong>per</strong>atura media della pelle<br />

scende sotto i 30°C. In nessuna parte del corpo, la tem<strong>per</strong>atura della pelle deve<br />

scendere sotto +12°C.<br />

Intervallo<br />

di freddo<br />

Tem<strong>per</strong>atura<br />

dell’aria<br />

Tempo massimo<br />

di esposizione<br />

ininterrotta al<br />

freddo (min)<br />

Tempo di<br />

riscaldamento<br />

raccomandato in<br />

% del tempo di<br />

esposizione al<br />

freddo<br />

Tempo di<br />

riscaldamento<br />

(min)<br />

I Da +15 a +10 150 5 10<br />

II Sotto +10 fino a -5 150 5 10<br />

III Sotto -5 fino a -18 90 20 15<br />

IV Sotto -18 fino a -30 90 30 30<br />

V Sotto -30 60 100 60<br />

Tabella 7 : tempi di esposizione al freddo e tempi di riscaldamento (da DIN 33403-5, Climate<br />

at the workplace and its environments)<br />

35


Oltre alle norme Din si riporta la tabella di misurazione dell’effetto del freddo tratta dal sito<br />

www.nimbus.it e la tabella di definizione dei campi di valori individuabili con la velocità del<br />

vento in km/h.<br />

Tabella 8 : misurazione dell’effetto del freddo<br />

36


4.6 Gli ambienti severi caldi<br />

Negli ambienti severi caldi si verifica l’innalzamento della tem<strong>per</strong>atura del nucleo corporeo, di<br />

conseguenza il sistema termoregolatore attiva una serie di meccanismi <strong>per</strong> dissipare l’eccesso di<br />

calore (vasodilatazione, sudorazione etc...).<br />

Quando tali meccanismi non sono sufficienti <strong>per</strong> garantire lo stato di Omeotermia, si possono<br />

avere disturbi patologici più o meno gravi determinati da disordini dovuti alla instabilità del<br />

sistema cardio-circolatorio e squilibri elettrolitici, con conseguenze talvolta <strong>per</strong>sino fatali.<br />

Il rischio maggiore è rappresentato dal colpo di calore. Quest’ultimo è dovuto a diversi fattori,<br />

quali l’elevata tem<strong>per</strong>atura ambientale, l’acclimatazione inadeguata, nonché a fattori legati<br />

strettamente alle caratteristiche individuali.<br />

Il colpo di calore si manifesta improvvisamente con cefalea, vertigini, astenia, disturbi<br />

addominali e può portare al delirio. Quando tale tem<strong>per</strong>atura sale sopra i 42 °C circa, numerosi<br />

organi possono essere danneggiati e si può arrivare alla morte nel 15-25% dei casi.<br />

Altre patologie legate ad una prolungata esposizione al caldo sono le seguenti.<br />

- Crampi da calore: dovuti a una sudorazione abbondante e prolungata che porta a una <strong>per</strong>dita di<br />

sali minerali (deficit ionico).<br />

- Disidratazione: legata a <strong>per</strong>dite di liquidi con la sudorazione e ad un insufficiente reintegro.<br />

- Esaurimento da calore: subentra in genere dopo un lungo <strong>per</strong>iodo di immobilità in ambiente<br />

caldo oppure alla cessazione di un lavoro faticoso e prolungato in ambiente caldo. E’ dovuto a<br />

insufficienza o collasso circolatorio che può tradursi anche in una breve <strong>per</strong>dita di coscienza. Se<br />

non trattato, può portare al colpo di calore.<br />

I fenomeni sopradescritti, nel lavoro all’a<strong>per</strong>to, hanno rilevanza soprattutto nel <strong>per</strong>iodo estivo,<br />

ovvero nei giorni così detti di canicola. In tale condizione climatica l’organismo è fortemente<br />

sollecitato, in particolar modo se il tasso di umidità è molto elevato. Ma l’eccesso di calore in un<br />

ambiente di lavoro può essere anche conseguenza di particolari lavorazioni o uso di attrezzature<br />

di lavoro (es: stesura di manti im<strong>per</strong>meabili o stradali).<br />

Un’altro fenomeno di cui occorre tener conto quando l’irraggiamento solare è molto intenso, e<br />

quindi soprattutto in estate, è la presenza di ozono nell’atmosfera.<br />

L'ozono è un gas dall'odore caratteristico, le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno.<br />

Se da una parte esso è un gas essenziale alla vita sulla Terra, <strong>per</strong> via della sua capacità di<br />

assorbire la luce ultravioletta, dall’altra esso è anche altamente velenoso <strong>per</strong> gli esseri viventi. I<br />

valori più alti di ozono si registrano nel tardo pomeriggio, fra le 16.00 e le 18.00. Particolarmente<br />

nocivo è l’ozono che si forma in prossimità del suolo, il quale può avere l’effetto di un gas<br />

irritante. Fra gli altri problemi che può causare una prolungata esposizione ad elevate<br />

concentrazioni di ozono, troviamo:<br />

- bruciore agli occhi;<br />

- irritazioni della gola;<br />

- irritazioni della faringe;<br />

- insufficienza respiratoria;<br />

- mal di testa.<br />

Se da una parte è importante considerare fattori oggettivi come tem<strong>per</strong>atura dell’aria, umidità<br />

relativa, ozono, dall’altra è importante tener conto dei fattori che variano da soggetto a soggetto:<br />

isolamento termico del vestiario, tipo di dieta, tipo di attività, assunzione di farmaci, attività<br />

metabolica, tipologia corporea (l’obesità o la magrezza riducono la tolleranza al caldo) , età (la<br />

tolleranza al caldo diminuisce con l’età), sesso (le donne soffrono il caldo più degli uomini).<br />

Occorre inoltre tenere in considerazione le cosiddette ondate di calore, che si verificano a fine<br />

primavera o all’inizio dell’estate. Infatti il rischio, in questi casi è più elevato in ragione del fatto<br />

che il fisico non ha avuto il tempo di acclimatarsi al caldo. L’acclimatazione completa richiede<br />

dagli 8 ai 12 giorni e scompare dopo 8 giorni.<br />

37


• La valutazione del rischio in ambienti severi caldi<br />

Quando nelle attività lavorative si prevede caldo intenso, occorre innanzitutto verificare le<br />

previsioni e le condizioni meteorologiche, al fine di valutare il rischio, considerando in<br />

particolare la tem<strong>per</strong>atura dell’aria e l’umidità relativa. Devono sempre essere considerate a<br />

rischio quelle giornate in cui si prevede che la tem<strong>per</strong>atura all’ombra su<strong>per</strong>i i 30° e/o l’umidità<br />

relativa sia su<strong>per</strong>iore al 70%.<br />

Il rischio aumenta quando la tem<strong>per</strong>atura notturna rimane al di sopra dei 25°, <strong>per</strong>ché ciò non<br />

favorisce un recu<strong>per</strong>o dell’organismo e determina una cattiva qualità del sonno.<br />

E’ utile verificare anche i dati sulle previsioni di presenza di ozono nell’atmosfera.<br />

O3 (µg/m 3 ) Valore massimo giornaliero<br />

n. disp. 0-120 120-180 180-240 >240<br />

Figura 8 : Previsioni Ozono (http://www.arpa.emr.it/aria/ozono)<br />

Una stima del rischio da stress calorico, può essere effettuata mediante l’indice di valutazione<br />

WGBT (wet bulbe globe tem<strong>per</strong>ature ISO 7243, UNI EN 27243:1996 )<br />

Il WBGT è un indice che valuta l’accettabilità delle condizioni che provocano un aumento di<br />

tem<strong>per</strong>atura al massimo a 38°C. I valori limite sono tabulati in funzione della classe metabolica e<br />

dell’acclimatazione. Il calcolo si basa sulla tem<strong>per</strong>atura del globo nero standard tg, (che dipende<br />

dalla tem<strong>per</strong>atura radiante e dalla tem<strong>per</strong>atura e velocità dell’aria), nonché dalla tem<strong>per</strong>atura del<br />

bulbo umido a ventilazione naturale tnw (che dipende dalla tem<strong>per</strong>atura e velocità dell’aria e<br />

dall’umidità relativa).<br />

Il WBGT può essere calcolato sia <strong>per</strong> ambienti esterni, quindi esposti direttamente alla radiazione<br />

solare, che <strong>per</strong> ambienti interni, rispettivamente secondo le seguenti formule:<br />

WBGT = 0,7 tnw + 0,2 tg + 0,1 ta (ambienti esterni)<br />

WBGT = 0,7 tnw + 0,3 tg (ambienti interni)<br />

Dove:<br />

ta = tem<strong>per</strong>atura dell’aria<br />

tnw = tem<strong>per</strong>atura di bulbo umido a ventilazione naturale<br />

tg = tem<strong>per</strong>atura del globotermometro<br />

Per valutare il rischio da stress calorico è necessario che i risultati del calcolo derivante dalle<br />

espressioni sopra indicate siano confrontati con i “valori limite”, quelli cioè oltre i quali<br />

l’individuo può ritenersi esposto al rischio da stress calorico.<br />

Questi valori limite sono diversi in dipendenza di due fattori:<br />

-Attività metabolica del soggetto;<br />

-Grado di acclimatazione del soggetto.<br />

38


L’attività metabolica è chiaramente legata all’attività fisica svolta dal soggetto. In tal senso più<br />

questa è elevata, più il valore limite del WBGT sarà basso, dato che si determina una maggiore<br />

produzione di calore interno.<br />

L’acclimatazione esprime invece una maggior attitudine del soggetto a sopportare un clima<br />

sfavorevole. In tal senso un individuo si può ritenere acclimatato dopo lo svolgimento di un<br />

attività lavorativa in un ambiente di lavoro <strong>per</strong> un tempo diverso a seconda dei casi.<br />

E’ chiaro inoltre che i valori limite di riferimento del WBGT diminuiscono se nell’attività<br />

lavorativa sono inserite pause progressivamente più lunghe. Questo fattore incide tanto più<br />

quanto più l’attività metabolica è gravosa. Per attività metaboliche leggere il limite è<br />

univocamente fissato a 33° C.<br />

Qualora si riscontrino situazioni di rischio, nelle quali i valori limite del WBGT, presi come<br />

riferimento, vengono su<strong>per</strong>ati, è consigliabile di effettuare una valutazione ulteriore utilizzando<br />

l’indice di riferimento PHS (Predicted Heat Strain).<br />

Quest’ultimo, contenuto nella norma tecnica UNI EN ISO 7933:2005, consente di valutare il<br />

rischio da stress calorico in modo più dettagliato ed affidabile.<br />

L’applicazione dell’indice PHS prevede una rielaborazione dell’equazione di bilancio termico,<br />

tenendo conto del ruolo importante, in ambienti severi caldi, della sudorazione. Viene in<br />

particolare preso in considerazione il fattore “dSeq” che corrisponde alla potenza termica<br />

associata all’incremento della tem<strong>per</strong>atura del nucleo corporeo.<br />

L’equazione di bilancio termico diventa:<br />

Ereq = M – W – CRES – ERES – C – R - dSeq<br />

dove “Ereq” è la potenza termica che risulta necessario dissipare <strong>per</strong> sudorazione, ai fini del<br />

raggiungimento della neutralità termica.<br />

La Valutazione dell’accettabilità o inaccettabilità dell’ambiente termico in esame viene effettuata<br />

confrontando i seguenti indici sintetici con i rispettivi valori limite:<br />

SWreq: potenza termica dissipabile <strong>per</strong> sudorazione nell’unità di tempo;<br />

wreq : frazione di pelle dalla quale può realisticamente fatto evaporare il sudore;<br />

D: <strong>per</strong>dita d’acqua;<br />

Tre: tem<strong>per</strong>atura rettale<br />

I valori limite variano, <strong>per</strong> i primi due, a seconda se i lavoratori sono o no acclimatati, gli altri due<br />

a seconda della possibilità di accesso a liquidi.<br />

Il calcolo degli indici sopra menzionati può essere effettuato utilizzando appositi software. E’<br />

soprattutto agendo sulla durata e numero delle pause dal lavoro che è possibile rientrare nei valori<br />

limiti.<br />

39


Va infine ricordato che l’affidabilità del metodo PHS è verificata solo all’interno dei seguenti<br />

parametri:<br />

L’applicazione dei metodi di valutazione sopra esposti necessità di particolari competenze<br />

professionali, ed inoltre gli strumenti di rilevazione sono molto onerosi, in particolare <strong>per</strong> le<br />

piccole imprese.<br />

Un metodo semplice è stato studiato dalla AUSL di Forlì e proposto anche dall’<strong>Istituto</strong><br />

Nazionale Francese <strong>per</strong> la Ricerca sulla Sicurezza. Esso si basa sulla rilevazione dei due<br />

parametri: tem<strong>per</strong>atura dell’aria e umidità relativa. Viene quindi utilizzato un diagramma “Carta<br />

dell’indice di calore” che contiene i possibili livelli di tem<strong>per</strong>atura dell’aria e umidità relativa.<br />

L’indice, riferito ad una determinata situazione lavorativa, si ottiene incrociando la verticale<br />

passante <strong>per</strong> la tem<strong>per</strong>atura dell’aria, misurata all’ombra nelle immediate vicinanze del posto di<br />

lavoro mediante un semplice termometro, con l’orizzontale passante <strong>per</strong> la <strong>per</strong>centuale di umidità<br />

relativa, misurata con un igrometro. Per valori intermedi di tem<strong>per</strong>atura ed umidità relativa si<br />

utilizzeranno indici intermedi.<br />

Il valore dell’indice ricavato dalla carta va confrontato con la tabella seguente, che riassume i<br />

possibili effetti negativi, di gravità via via più elevata, che si possono prevedere nella situazione<br />

considerata. Questi indici sono validi <strong>per</strong> lavoro all’ombra e con vento leggero. In caso di lavoro<br />

al sole l’indice letto in tabella va aumentato di 15.<br />

Heat Index Disturbi possibili <strong>per</strong> esposizione prolungata a calore e/o a fatica fisica<br />

intensa<br />

da 80 a 90 Fatica<br />

da 90 a 104 Colpo di sole, crampi muscolari, esaurimento fisico<br />

da 105 a 129 Esaurimento fisico, colpo di calore possibile<br />

130 e più Rischio elevato di colpo di calore/ colpo di sole<br />

40


5. Misure di prevenzione e protezione<br />

5.1 Misure organizzative<br />

Ai fini dell’esposizione ad alte tem<strong>per</strong>ature occorre articolare il turno di lavoro in maniera tale da<br />

evitare di lavorare nelle ore dalle 11,00 alle 15,00 (12,00 – 16,00 con l’ora legale), quando gli UV<br />

sono più intensi e la tem<strong>per</strong>atura ambientale è più elevata; in tali ore si devono privilegiare<br />

compiti che si svolgono in ambienti co<strong>per</strong>ti, fissi o provvisionali. Spostare gli orari di lavoro,<br />

sfruttando le prime ore del mattino, può essere una soluzione <strong>per</strong> evitare l’esposizione ai raggi<br />

UV e alla canicola. Occorre inoltre prevedere una rotazione dei compiti lavorativi alternando<br />

all’interno del turno di lavoro attività all’a<strong>per</strong>to e al chiuso, e attività al sole con attività<br />

all’ombra. Al di sopra dei 30°C, ogni ora, è bene effettuare una pausa di almeno 5 minuti in un<br />

luogo fresco ed ombreggiato. Quando si su<strong>per</strong>ano i 35°C, o i 32°C in caso di clima afoso (umidità<br />

relativa su<strong>per</strong>iore a 75%) occorre incrementare la pausa a 15 minuti ogni ora.<br />

In generale occorre comunque realizzare una progressiva acclimatazione <strong>per</strong> le esposizioni<br />

sistematiche alle alte tem<strong>per</strong>ature.<br />

Durante l’orario di picco di ozono, a fine pomeriggio (16.00 – 18.00) bisogna evitare lavori<br />

particolarmente pesanti.<br />

E’ obbligatorio fornire ai lavoratori tutte le informazioni sul rischio, sui possibili danni e sulla<br />

loro gravità, sui sintomi di allarme, sulle misure di prevenzione adottate e sui comportamenti di<br />

salvaguardia da tenere.<br />

In tutte le lavorazioni in cui è stato valutato un rischio di stress da calore è sempre obbligatoria la<br />

sorveglianza sanitaria.<br />

5.2 Alimentazione<br />

Quando si lavora a tem<strong>per</strong>ature comprese fra i 25°C e i 30°C occorre assumere liquidi in quantità<br />

sufficiente, in modo da reintegrare quanto <strong>per</strong>so con la sudorazione. Preferibilmente acqua<br />

potabile o tè leggermente dolce, evitando bevande alcoliche o zuccherate. Al di sopra dei 35°C<br />

(o anche meno in presenza di afa) è bene assumere minimo 3-5 decilitri di acqua 2-3 volte ogni<br />

ora. I liquidi vanno assunti prima che si faccia sentire la sete. La somministrazione di acqua deve<br />

essere accompagnata da quella dei sali minerali <strong>per</strong>si con la sudorazione, in particolare sodio e<br />

potassio.<br />

Durante le giornate più fredde si consiglia di somministrare ai lavoratori razioni molto<br />

energetiche, aumentando il contenuto di concentrati e limitando la quantità di fibre. Quest’ultime,<br />

infatti, alle basse tem<strong>per</strong>ature, tendono a diminuire la digeribilità e, quindi, il valore nutrizionale<br />

dei cibi. Al contrario di come spesso si crede, bisogna inoltre evitare di bere alcolici. Questi<br />

infatti favoriscono l’abbassamento della tem<strong>per</strong>atura corporea, inducendo ipoglicemia, e<br />

favoriscono la vasodilatazione e quindi la cessione di tem<strong>per</strong>atura all’esterno (contrastando il<br />

meccanismo di difesa dal freddo dell’organismo). Sono quindi da preferire bevande<br />

vasocostrittrici come il caffè.<br />

41


5.3 Misure di protezione collettiva<br />

Nei mesi caldi, <strong>per</strong> i lavoratori che devono sostare a lungo all’a<strong>per</strong>to, occorre che il datore di<br />

lavoro fornisca strutture e dispositivi <strong>per</strong> ottenere zone d’ombra e ridurre l’esposizione alle<br />

radiazioni solari. Ciò è attuabile creando schermature <strong>per</strong> mezzo di co<strong>per</strong>ture provvisionali in<br />

legno, in teli o preferibilmente metalliche. I pannelli rivestiti di materiali metallici infatti<br />

aumentano le proprietà riflettenti della co<strong>per</strong>tura.<br />

Figura 9 : Tettoia da cantiere<br />

Per i lavori che prevedono spostamenti esistono sul mercato strutture portatili simili ad<br />

ombrelloni, che il lavoratore sposta a seconda delle sue esigenze. Occorre inoltre prevedere degli<br />

spazi co<strong>per</strong>ti, ombreggiati in estate e riscaldati in inverno, dove i lavoratori possono effettuare<br />

delle pause o consumare i pasti. Un altro strumento di ausilio <strong>per</strong> la mitigazione degli effetti degli<br />

ambienti molto freddi è la predisposizione di un sistema di riscaldamento (ad es. un impianto di<br />

riscaldamento mobile o radiatori infra-rossi), in questo caso, bisogna assicurarsi che siano<br />

utilizzati apparecchi a combustione senza evacuazione di gas verso l’esterno (rischio di<br />

intossicazione da monossido di carbonio), occorre inoltre organizzare il lavoro in modo tale che<br />

un lavoratore non si ritrovi mai senza un sistema di sorveglianza in un ambiente freddo e<br />

predisporre inoltre misure di pronto soccorso. E’ necessario prevedere nell’area di lavoro una<br />

fonte di acqua potabile diretta.<br />

Figura 10 : Stufe a raggi infrarossi <strong>per</strong> esterni<br />

Nell’ambito delle misure collettive di protezione occorre considerare, in aggiunta a quelle relative<br />

al controllo ambientale, anche quelle necessarie alla tutela dei lavoratori in caso di piogge,<br />

infiltrazioni, gelo ed altri eventi <strong>per</strong> i quali sia possibile temere frane o scoscendimenti del terreno<br />

che costituisce l’area di lavoro. In questi casi deve essere provveduto all’armatura o al<br />

consolidamento del terreno (art. 118 del D.Lgs. 81/2008).<br />

42


5.4 Dispositivi individuali di protezione<br />

Il D.Lgs. 81/2008 all’allegato IV dispone che: “quando non conviene modificare la tem<strong>per</strong>atura<br />

di tutto l’ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le tem<strong>per</strong>ature troppo<br />

alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi <strong>per</strong>sonali di protezione”.<br />

All’allegato VII, nell’elenco delle attività <strong>per</strong> i quali può rendersi necessario mettere a<br />

disposizione attrezzature di protezione individuale, sono considerati anche gli indumenti di<br />

protezione contro le intem<strong>per</strong>ie relativamente ai lavori edili all'a<strong>per</strong>to con clima piovoso e freddo.<br />

Nelle stagioni calde occorre munirsi di un appropriato copricapo. La testa, infatti, cede molto<br />

calore all’ambiente. E’ opportuno, in inverno, avere a disposizione nell’area di lavoro co<strong>per</strong>te o<br />

termoco<strong>per</strong>te.<br />

Berretto imbottito Occhiali Stivali antifreddo<br />

Figura 10 : Stufe a raggi infrarossi <strong>per</strong> esterni<br />

La mitigazione degli effetti degli ambienti severi freddi è in parte affidata alla disponibilità di<br />

adeguati DPI in particolare agli indumenti che sulla base di requisiti certificati sono in grado di<br />

proteggere degli effetti dei fattori climatici.<br />

La capacità dì proteggere dal freddo di un DPI è legata essenzialmente al valore di isolamento<br />

termico e in secondo luogo al valore di <strong>per</strong>meabilità all'aria e al vapore. Per ambienti severi<br />

freddi la norma UNI EN 342:2004 fornisce una classificazione dei capi mediante l'indicazione sul<br />

pittogramma del valore di isolamento termico e dei valori di <strong>per</strong>meabilità all'aria e al vapore<br />

misurati.<br />

La scelta DPI verrà quindi fatta ricavando l'isolamento termico necessario, come individuato<br />

dalla procedura contenuta nella norma tecnica UNI EN ISO 11079:2001, ovvero in base alla<br />

tem<strong>per</strong>atura ambiente, alla velocità dell'aria, all'impegno metabolico associato alla attività svolta<br />

e al tempo di <strong>per</strong>manenza.<br />

La norma UNI EN 511:1995 fornisce la classificazione dei guanti resistenti al freddo secondo un<br />

codice a tre cifre associato al pittogramma che indica la <strong>per</strong>meabilità all'acqua al freddo da<br />

contatto e al freddo convettivo.<br />

43


6. Misura e calcolo del comfort termico<br />

6.1 Premessa<br />

In generale la situazione termica dell’organismo può essere studiata misurando e/o stimando<br />

parametri di tipo oggettivo e soggettivo.<br />

I parametri oggettivi sono rappresentati dalle grandezze fondamentali legate all’ambiente,<br />

ovvero:<br />

• tem<strong>per</strong>atura dell’aria (Ta);<br />

• tem<strong>per</strong>atura media radiante (Tr);<br />

• umidità relativa (U%);<br />

• velocità dell’aria (Va).<br />

I parametri correlati al soggetto sono costituiti da:<br />

• dispendio energetico metabolico (M);<br />

• resistenza termica del vestiario (Iclo);<br />

• rendimento meccanico del lavoro svolto (η).<br />

6.2 Misura dei parametri fisici<br />

Le grandezze <strong>per</strong> le valutazioni <strong>microclima</strong>tiche si dividono in fondamentali e derivate. Le prime,<br />

come l’umidità relativa e la velocità dell’aria, sono indipendenti dalle caratteristiche proprie delle<br />

sonde utilizzate <strong>per</strong> la misura mentre le seconde, come la tem<strong>per</strong>atura del globo nero<br />

(globotermometro), dipendono dalle caratteristiche delle sonde stesse.<br />

Per la rilevazione dei dati <strong>microclima</strong>tici si utilizzano centraline dotate di un numero variabile di<br />

ingressi con memoria, ai quali vengono collegati i sensori <strong>per</strong> la misura delle grandezze<br />

fondamentali. Per il calcolo del PMV PPD tali grandezze sono:<br />

• tem<strong>per</strong>atura dell’aria (Ta);<br />

• tem<strong>per</strong>atura media radiante (Tr);<br />

• umidità relativa(U%);<br />

• velocità dell’aria (Va).<br />

A tale scopo i sensori utilizzati sono:<br />

• Sonda termometrica a bulbo umido a ventilazione naturale (fornisce la tem<strong>per</strong>atura dell’aria<br />

in condizioni naturali);<br />

• Sonda psicrometrica a ventilazione forzata con serbatoio di acqua distillata (fornisce<br />

Tem<strong>per</strong>atura secca ed umida, Umidità relativa, Punto di rugiada);<br />

• Sonda globotermometrica in rame nero opaco (fornisce il valore della tem<strong>per</strong>atura del globo<br />

dalla quale si ricava tramite apposita relazione la tem<strong>per</strong>atura media radiante);<br />

• Sonda anemometrica portatile a filo caldo (fornisce la velocità dell’aria).<br />

44


A queste sonde di base, se ne possono aggiungere altre, <strong>per</strong> determinare gli indici relativi al<br />

discomfort localizzato; a tale scopo è necessario misurare le seguenti grandezze:<br />

• Tem<strong>per</strong>atura del pavimento;<br />

• Tem<strong>per</strong>atura radiante piana (nelle diverse direzioni);<br />

• Turbolenza dell’aria;<br />

• Tem<strong>per</strong>atura dell’aria al livello delle caviglie e della testa del soggetto.<br />

• Le specifiche tecniche relative agli strumenti di misura delle grandezze di cui sopra sono<br />

dettate nella norma tecnica UNI EN ISO 7726/2002. Ci sono in commercio diversi tipi di<br />

software <strong>per</strong> l’elaborazione dei dati <strong>microclima</strong>tici e il calcolo degli indici di valutazione.<br />

Naturalmente tali prodotti informatici vanno utilizzati tenendo conto dei limiti intrinseci dei<br />

suddetti indici e del significato reale di ogni parametro misurato.<br />

6.3 Strategie di misura<br />

Al fine di ottimizzare i tempi di campionamento e l’efficacia dello stesso è consigliabile<br />

effettuare un sopralluogo preliminare negli ambienti da monitorare in modo da individuare i<br />

parametri che possono avere influenza sul comfort degli occupanti. In particolare prima di<br />

procedere alle misure si consiglia di verificare:<br />

• l’esposizione degli ambienti rispetto al sole;<br />

• l’eventuale presenza di sorgenti radianti (stufe, fonti di riscaldamento localizzato ecc.);<br />

• la tipologia dell’attività lavorativa effettivamente svolta;<br />

• la tipologia degli impianti di termoventilaizone e loro stato di manutenzione;<br />

• la presenza di eventuali disomogeneità temporali che possano influire sulle condizioni<br />

<strong>microclima</strong>tiche (diverso utilizzo degli impianti nei giorni della settimana, peculiarità<br />

stagionali ecc.).<br />

Prima di effettuare ogni singola misura è necessario attendere un <strong>per</strong>iodo di tempo adeguato,<br />

onde tenere conto del tempo di risposta del globotermometro. Solitamente questo <strong>per</strong>iodo<br />

corrisponde a 20 minuti, tempo necessario affinché la tem<strong>per</strong>atura dell’involucro sferico, dell’aria<br />

contenutavi e della sonda termometrica interna abbiano lo stesso valore. E’ necessario comunque<br />

verificare questo tempo di attesa con le istruzioni fornite con la strumentazione utilizzata.<br />

La durata delle misurazioni deve essere tale che i valori ricavati abbiamo una significatività dal<br />

punto di vista statistico e siano quindi rappresentativi delle condizioni dell’ambiente monitorato.<br />

Bisogna inoltre tenere conto della variabilità giornaliera e stagionale delle condizioni<br />

<strong>microclima</strong>tiche; in prima approssimazione è consigliabile verificare le condizioni estreme (estate<br />

e inverno, si veda a tal proposito anche l’allegato H della norma 7730:2006).<br />

6.4 Stima dei parametri soggettivi<br />

Per poter ricavare un quadro quanto più verosimile della situazione <strong>microclima</strong>tica all’interno<br />

degli ambienti lavorativi è necessario determinare, con la maggiore precisione possibile, i valori<br />

dei parametri decisionali necessari alla valutazione, e cioè il dispendio metabolico, l’isolamento<br />

termico dovuto al vestiario ed il rendimento meccanico, la cui corretta determinazione è<br />

fondamentale <strong>per</strong> ottenere risultati realmente descrittivi del fenomeno in questione.<br />

• Tasso metabolico<br />

Tra i parametri soggettivi che concorrono a determinare lo stato di benessere termico di una<br />

<strong>per</strong>sona, il dispendio metabolico (ovvero la quantità totale di energia prodotta dall’organismo)<br />

45


appresenta uno dei parametri basilari della valutazione. Il tasso metabolico viene determinato sia<br />

con metodi diretti, ad esempio misurando il quantitativo di ossigeno consumato, oppure indiretti,<br />

basati sull’uso di prospetti di riferimento. Nei metodi di tipo indiretto la semplicità<br />

dell’applicazione è accompagnata tuttavia ad un certo margine di imprecisione, strettamente<br />

correlato all’es<strong>per</strong>ienza di chi effettua la valutazione vera e propria; nella tabella 9, ripresa dalla<br />

norma UNI EN ISO 8996:2005, sono elencati i diversi metodi di determinazione del MET, la loro<br />

precisione e il loro livello di accuratezza.<br />

Livello Metodo Precisione<br />

A. Classificazione <strong>per</strong><br />

tipo di occupazione<br />

I<br />

Controllo B. Uso di tavole <strong>per</strong><br />

differenti categorie<br />

II<br />

Osservazione<br />

III<br />

Analisi<br />

IV<br />

Valutazione di<br />

es<strong>per</strong>ti<br />

metaboliche<br />

A. Uso di prospetti <strong>per</strong><br />

la stima dell’energia<br />

metabolica a partire<br />

dalle componenti<br />

dell’attività<br />

B. Uso di tavole relative<br />

a specifiche attività<br />

Uso della frequenza<br />

cardiaca sotto<br />

condizioni definite<br />

A Misurazione del<br />

consumo di ossigeno<br />

B Metodo dell’acqua<br />

con doppia etichetta<br />

C. Calorimetria diretta<br />

Informazioni<br />

approssimative con<br />

probabilità di errore<br />

molto elevata<br />

Elevata probabilità<br />

di errore<br />

Precisione ±20%<br />

Media probabilità di<br />

errore<br />

Precisione + 10%<br />

Probabilità di errore<br />

entro i limiti della<br />

precisione della<br />

misura o dell’analisi<br />

dei tempi<br />

Precisione ±5%<br />

Tabella 9 : Metodi <strong>per</strong> la determinazione del dispendio metabolico<br />

Ispezione del posto di<br />

lavoro<br />

Non necessaria<br />

Informazioni<br />

sull’attrezzatura tecnica e<br />

l’organizzazione del lavoro<br />

Necessaria l’analisi dei<br />

tempi<br />

Non necessaria<br />

Necessaria l’analisi dei<br />

tempi<br />

Non necessaria; devono<br />

essere valutate le attività<br />

connesse al riposo<br />

Il metodo richiede un<br />

minimo di 7 giorni<br />

Non necessaria<br />

In una valutazione <strong>microclima</strong>tica accurata occorre quindi analizzare i dati assumendo una<br />

“figura metabolica” rappresentativa delle attività della mansione indagata attribuendo a questa<br />

figura “tipo” un appropriato dispendio metabolico.<br />

Nella valutazione più generica (ad esempio quella di livello Ia della tabella 9) il Met della<br />

mansione indagata viene determinato attribuendo il valore del dispendio metabolico sulla base di<br />

prospetti riferiti alle diverse lavorazioni. Un esempio di tali prospetti è riportato in tabella 10<br />

(norma 8996:2005), in riferimento alle attività di ufficio.<br />

46


Tipo di attività W/m 2<br />

MET*<br />

Lavoro sedentario 55-65 0,9-1,1<br />

Lavoro impiegatizio 65-100 1,1-1,7<br />

Portiere 80-115 1,4-2,0<br />

Tabella 10 : Stralcio del prospetto <strong>per</strong> l’attribuzione del MET alle diverse mansioni lavorative.<br />

1 Met = 50 Kcal/h m 2 = 58 W/m 2 .<br />

Nella valutazione di tipo IIA di cui alla tabella 1, viene considerato nel dettaglio il contributo di<br />

ogni singola componente di una attività lavorativa (postura, energia metabolica basale, tipo di<br />

attività, movimento del corpo, ecc.). Tale metodologia è indicata <strong>per</strong> le attività di tipo<br />

prevalentemente ripetitivo.<br />

Nel caso delle attività di ufficio si può assumere un valore di Met pari a circa 2,0, così come<br />

risulta dalla tabella 11 dove è riportato un esempio di determinazione del MET con questo<br />

metodo <strong>per</strong> questo tipo di attività.<br />

W/m 2<br />

MET*<br />

Energia metabolica basale 45 0.77<br />

Energia metabolica <strong>per</strong> la postura (seduto) 0 0<br />

Energia metabolica <strong>per</strong> l'attività (Lavoro leggero con<br />

le mani)<br />

70 1.21<br />

Energia metabolica <strong>per</strong> lo spostamento 0 0<br />

Totale dispendio metabolico 115 1.98<br />

Tabella 11 : Esempio di applicazione del metodo IIA <strong>per</strong> la determinazione del Met.<br />

1 Met = 50 Kcal/h m 2 = 58 W/m 2 .<br />

Quando si usa un metodo come quello sopra descritto occorre comunque valutare le pause<br />

lavorative e, nel caso di attività lavorative disomogenee, effettuare una media ponderata in<br />

funzione del tempo impiegato <strong>per</strong> le diverse attività.<br />

• Rendimento meccanico (η)<br />

Durante l’attività lavorativa una gran parte dell’energia metabolica viene trasformata in calore,<br />

mentre solo una frazione minima viene convertita in energia meccanica (lavoro utile).<br />

Anche <strong>per</strong> la determinazione di questo parametro si può fare riferimento a diversi metodi di<br />

valutazione che <strong>per</strong>mettono di attribuire il corretto valore di η alle diverse tipologie di<br />

lavorazioni. Ai fini della valutazione del benessere termico questo parametro assume importanza<br />

<strong>per</strong> lavorazioni molto pesanti nelle quali l’energia meccanica in gioco assume valori significativi.<br />

Il campo di variabilità di questa energia oscilla tra lo 0% e il 25% dell’attività metabolica. Nel<br />

caso di lavori sedentari, come i lavori di ufficio, si può attribuire un rendimento meccanico pari<br />

allo 0 %.<br />

• Isolamento termico (Iclo)<br />

Nell’analisi dei dati <strong>microclima</strong>tici è di fondamentale importanza stimare correttamente<br />

l’isolamento termico dovuto al vestiario.<br />

Durante i rilievi è <strong>per</strong>tanto necessario prendere nota del vestiario indossato dai diversi addetti al<br />

fine di valutarne successivamente il contributo all’isolamento termico. Da appositi prospetti<br />

presenti nelle norme ISO (UNI EN ISO 7730; EN ISO 9920) si ricavano i valori tipici<br />

dell’isolamento dei singoli capi di abbigliamento misurati in CLO; va sottolineata l’importanza di<br />

47


identificare anche il tipo di tessuto, che di <strong>per</strong> sé influenza notevolmente il grado di isolamento.<br />

Nella tabella 12 si riporta un esempio di calcolo del suddetto indice <strong>per</strong> un impiegato di ufficio.<br />

Capi di abbigliamento CLO<br />

Giacca leggera 0,25<br />

Camicia leggera a maniche lunghe 0,20<br />

Pantaloni lunghi 0,25<br />

Calzini 0,02<br />

Mutande 0,03<br />

Scarpe chiuse 0,04<br />

Totale 0,79<br />

Tabella 12: Esempio di calcolo <strong>per</strong> la determinazione dell’indice CLO <strong>per</strong> un impiegato in ambiente di<br />

ufficio.<br />

1 clo= 155 m 2 °C/W = 0,180 m 2 °C h/Kcal.<br />

Nelle valutazioni estese a lunghi <strong>per</strong>iodi di tempo occorre naturalmente considerare almeno due<br />

valori relativi alla stagione invernale ed a quella estiva. Le conclusioni e le valutazioni del caso<br />

andranno quindi riferite ai diversi <strong>per</strong>iodi considerati.<br />

48


7. Norme e bibliografia.<br />

7.1 Norme di riferimento<br />

Norma DIN 33403-5, Climate at the workplace and its environments - Part 5: Ergonomic design<br />

of cold workplaces<br />

Norma ISO/TR 11079: 1993: Evaluation des ambiances froides – Détermination de l’isolement<br />

thermique des vêtements<br />

Norma EN ISO 15743: 2005: Ergonomics of the thermal environment - Cold workplaces - Risk<br />

assessment and management<br />

ISO 7243: 1989 Hot environments -- Estimation of the heat stress on working man, based on the<br />

WBGT-index (wet bulb globe tem<strong>per</strong>ature).<br />

UNI EN ISO 7933:2005 Ergonomia dell'ambiente termico - Determinazione analitica ed<br />

interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica<br />

prevedibile.<br />

7.2 Bibliografia<br />

Tuttonormel – Impianti a norme CEI- Cantieri Edili – Novembre 2007;<br />

Tuttonormel – Impianti a norme CEI- Illuminazione di sicurezza – Marzo 2000;<br />

Norma CEI 64-17 – Guida all’esecuzione degli impianti elettrici nei cantieri . febbraio 2002.<br />

Norma UNI 12464-2 – Illuminazione dei posti di lavoro – Parte 2 – posti di lavoro in esterno –<br />

gennaio 2008.<br />

Norma UNI 12464-1 – Illuminazione dei posti di lavoro – Parte 1 – posti di lavoro in interni –<br />

ottobre 2004.<br />

Microclima aerazione <strong>illuminazione</strong> nei luoghi di lavoro - Linee guida Ispesl - (giugno 2006).<br />

SECO - Ordinanza n°3 concernente la legge sul lavoro - Art. 21 “Lavoro nei locali non riscaldati<br />

o all'a<strong>per</strong>to”. (aprile 2007).<br />

SUVA pro , Divisione medicina del lavoro, “Lista di controllo <strong>per</strong>icoli invernali”.<br />

(Lucerna, 2004).<br />

Microclima – G. Molteni, G. De Vito, P.L. Zambelli dal sito http//www.medlavoro.medicina.unimib.it<br />

SUVA, Divisione medicina del lavoro, “Fact scheet calore”. Lucerna, 2006.<br />

O. Nicolini, P. Cataletti, A.Peretti “Rischi fisici negli ambienti di lavoro” vol. 2. Modena, 2006.<br />

AUSL Forlì, Dipartimento di sanità pubblica, U.O. Prevenzione e sicurezza negli ambienti di<br />

lavoro “ Ondate di calore ed attività lavorative in esterno” , Forlì, 2006.<br />

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