TURIDDU 30 ANNI DOPO (di Guido Gerosa, Storia ... - Misteri d'Italia

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08.06.2013 Views

Il bandito Giuliano Salvatore Giuliano e la sua banda TURIDDU 30 ANNI DOPO Un prezioso articolo apparso su Storia illustrata alla vigilia del 1980, a quasi trent’anni dalla morte del bandito Salvatore Giuliano di Guido Gerosa «Di sicuro c'è solo che è morto». È il titolo più famoso nella storia del giornalismo italiano e apparve sull'Europeo nel luglio del 1950, in testa alla grande inchiesta di Tommaso Besozzi che, immediatamente dopo il fatto, contestava la versione ufficiale dei carabinieri sulla fine di Giuliano (il sommario, con un soprassalto di cautela, giustificava: «I meriti dei carabinieri sarebbero gli stessi anche se la versione ufficiale non fosse vera»). Ebbene, a quasi trent'anni di distanza da quel mistero d'Italia, su Giuliano di sicuro si sa ancora soltanto che è morto. È ora quindi di riaprire il dossier su tutta intera la vicenda, anche se ci accorgeremo, sconsolatamente, che i lati misteriosi e insoluti sono innumerevoli. Con quali appoggi autorevoli e complicità il ventenne picciotto di Montelepre assurse a simbolo del banditismo italiano e fece mobilitare un esercito di carabinieri incaricato di braccarlo? Quale sottile intreccio di rapporti mafia-po1itica-criminalità comune trovò il suo sbocco naturale nelle gesta della banda di Turiddu? La forsennata campagna di sangue che a un certo momento Giuliano scatenò contro i partiti della sinistra era dovuta a un suo feroce anticomunismo nativo o alle fredde strategie dei suoi mandanti? Perché, a partire da un' Ora X la mafia abbandonò al suo destino il «re di Montelepre» e anzi collaborò con i carabinieri dei colonnelli Luca e Paolantonio per distruggerlo? E vi era una ragione reale di montare quella grottesca messinscena che il fiuto infallibile di Besozzi smontò dalle prime battute? Sono interrogativi molto complessi, ai quali è difficile rispondere sommariamente. Ma l'esame di alcuni aspetti, anche minori, della vicenda Giuliano ci consentirà di mettere in luce delle connessioni che fanno meditare.

Il ban<strong>di</strong>to Giuliano<br />

Salvatore Giuliano e la sua banda<br />

<strong>TURIDDU</strong> <strong>30</strong> <strong>ANNI</strong> <strong>DOPO</strong><br />

Un prezioso articolo apparso su <strong>Storia</strong> illustrata alla<br />

vigilia del 1980, a quasi trent’anni dalla morte<br />

del ban<strong>di</strong>to Salvatore Giuliano<br />

<strong>di</strong> <strong>Guido</strong> <strong>Gerosa</strong><br />

«Di sicuro c'è solo che è morto».<br />

È il titolo più famoso nella storia del giornalismo italiano e apparve<br />

sull'Europeo nel luglio del 1950, in testa alla grande inchiesta <strong>di</strong> Tommaso<br />

Besozzi che, imme<strong>di</strong>atamente dopo il fatto, contestava la versione ufficiale<br />

dei carabinieri sulla fine <strong>di</strong> Giuliano (il sommario, con un soprassalto <strong>di</strong><br />

cautela, giustificava: «I meriti dei carabinieri sarebbero gli stessi anche se la<br />

versione ufficiale non fosse vera»). Ebbene, a quasi trent'anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da quel<br />

mistero <strong>d'Italia</strong>, su Giuliano <strong>di</strong> sicuro si sa ancora soltanto che è morto.<br />

È ora quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> riaprire il dossier su tutta intera la vicenda, anche se ci<br />

accorgeremo, sconsolatamente, che i lati misteriosi e insoluti sono<br />

innumerevoli.<br />

Con quali appoggi autorevoli e complicità il ventenne picciotto <strong>di</strong><br />

Montelepre assurse a simbolo del ban<strong>di</strong>tismo italiano e fece mobilitare un<br />

esercito <strong>di</strong> carabinieri incaricato <strong>di</strong> braccarlo?<br />

Quale sottile intreccio <strong>di</strong> rapporti mafia-po1itica-criminalità comune trovò il<br />

suo sbocco naturale nelle gesta della banda <strong>di</strong> Turiddu?<br />

La forsennata campagna <strong>di</strong> sangue che a un certo momento Giuliano scatenò<br />

contro i partiti della sinistra era dovuta a un suo feroce anticomunismo<br />

nativo o alle fredde strategie dei suoi mandanti?<br />

Perché, a partire da un' Ora X la mafia abbandonò al suo destino il «re <strong>di</strong><br />

Montelepre» e anzi collaborò con i carabinieri dei colonnelli Luca e<br />

Paolantonio per <strong>di</strong>struggerlo?<br />

E vi era una ragione reale <strong>di</strong> montare quella grottesca messinscena che il<br />

fiuto infallibile <strong>di</strong> Besozzi smontò dalle prime battute?<br />

Sono interrogativi molto complessi, ai quali è <strong>di</strong>fficile rispondere<br />

sommariamente. Ma l'esame <strong>di</strong> alcuni aspetti, anche minori, della vicenda<br />

Giuliano ci consentirà <strong>di</strong> mettere in luce delle connessioni che fanno<br />

me<strong>di</strong>tare.


Il cadavere <strong>di</strong> Salvatore Giuliano appena ricomposto<br />

Salvatore Giuliano era il quarto figlio <strong>di</strong> una famiglia che, secondo gli<br />

standard del Sud inizio secolo, può <strong>di</strong>rsi poco numerosa. Il padre emigrò a<br />

Brooklyn, vivendovi come carrettiere, nel 1904, ma dopo un ventennio<br />

giu<strong>di</strong>cò maturo il momento per tornare a casa e s'imbarcò alla volta della<br />

Sicilia con la moglie Maria Lombardo, che da quattro mesi si portava in<br />

grembo Turiddu, e con gli altri tre figli. Così a Giuliano, che non la vide mai,<br />

rimase in tutta la sua breve vita una nostalgia lancinante dell'America<br />

smisurata.<br />

Il futuro «re» nacque a Montelepre il 16 novembre 1922, il giorno stesso in cui<br />

Mussolini pronunciava a Montecitorio il <strong>di</strong>scorso dell'«aula sorda e grigia». Lo<br />

stesso Mussolini qualche anno dopo avrebbe condotto, nell'isola <strong>di</strong> Giuliano,<br />

la furibonda repressione del prefetto Mori, ma nel momento in cui egli<br />

<strong>di</strong>veniva capo del governo la Sicilia aveva un sinistro primato del crimine: vi<br />

avveniva un terzo degli omici<strong>di</strong> compiuti in tutta Italia. Nel 1922 furono<br />

registrati 6.278 assassini in tutta la penisola, e la Sicilia contribuì al pedaggio<br />

<strong>di</strong> sangue con 1920 (nella sola Palermo se ne verificarono 1.557, e il <strong>di</strong>stretto<br />

palermitano <strong>di</strong>ede un totale <strong>di</strong> 2.365 fra rapine, sequestri, estorsioni, contro<br />

un totale italiano <strong>di</strong> 8.847).<br />

Giuliano è un esempio abbastanza calzante delle teorie secondo cui a monte<br />

della delinquenza c'è l'oppressione sociale. Abituato ai soprusi e agli<br />

sfruttamenti dei piccoli padroni, sui vent'anni, nella Sicilia della guerra, del<br />

fascismo in crisi, dell'invasione, cominciò ad arrangiarsi con i traffici, gli<br />

intrallazzi, la borsa nera.<br />

Il passaggio degli eserciti alleati rovesciò sulla Sicilia ogni sorta <strong>di</strong> capi<br />

mafiosi, oriun<strong>di</strong> che negli Stati Uniti avevano aiutato i coman<strong>di</strong> militari a


procurarsi in anticipo le carte topografiche della Sicilia e ad assicurarsi gli<br />

appoggi che garantivano una celere conquista. Esiste una celebre foto in cui il<br />

braccio destro <strong>di</strong> Lucky Luciano, Vito Genovese, nell'uniforme dell'esercito<br />

degli Stati Uniti, tiene la mano paternamente sulle spalle del giovane<br />

Giuliano. Quasi ad in<strong>di</strong>care una riconosciuta primogenitura.<br />

L'avvenimento che doveva decidere la sorte <strong>di</strong> Turiddu si verifica il 2<br />

settembre 1943, un giorno prima della firma dell'armistizio, tra gli ulivi <strong>di</strong><br />

Cassibile. Su una cavalcatura macilenta, portando quattro forme <strong>di</strong> cacio e<br />

del grano per la borsa nera, Giuliano si trova a transitare da Quarto Molino,<br />

vicino a San Giuseppe Jato, e incrocia una pattuglia <strong>di</strong> carabinieri. I militi gli<br />

vedono il cacio e il grano, s’insospettiscono, gli or<strong>di</strong>nano <strong>di</strong> seguirli in<br />

caserma. II giovane <strong>di</strong>rà sempre che si sarebbe sentito «<strong>di</strong>sonorato» se avesse<br />

dovuto varcare la soglia dell'alloggio dei carabinieri: prima che possano<br />

fermarlo, spicca un balzo e tenta la fuga. Un carabiniere gli scarica l'arma<br />

nella pancia. Giuliano sosterrà che, all'avvertire quella gran frustata calda nel<br />

ventre, ebbe la sensazione <strong>di</strong> star per morire: e volle trovare compagnia per<br />

l'ultimo viaggio. Così da pochi metri consumò un caricatore contro il<br />

carabiniere. Questi morì più tar<strong>di</strong> in ospedale: la «<strong>di</strong>sgrazia», come la sorella<br />

Mariannina chiamerà quell’episo<strong>di</strong>o, segnò per sempre il destino <strong>di</strong> Giuliano.<br />

Comincia la latitanza sui monti nel corso della quale il ban<strong>di</strong>to amerà farsi<br />

ritrarre con il binocolo a tracolla e con un fascio <strong>di</strong> carte topografiche davanti,<br />

come un generale che prepari la battaglia. Era sensibilissimo ai connotati<br />

romantici che potessero impressionare l'immaginazione popolare.<br />

Al giornalista Jacopo Rizza, che lo intervistò per Oggi, mostrò la sfarzosa<br />

fibbia della sua cintura, un gingillo degno <strong>di</strong> Sandokan: vi figuravano una<br />

stella, un'aquila e un leone. «È il mio stemma», spiegò orgogliosamente il<br />

ban<strong>di</strong>to. «La stella è la fortuna, l'aquila è l'intelligenza, il leone è la forza».<br />

Il trono <strong>di</strong> sangue <strong>di</strong> Giuliano si resse soprattutto sulla fitta cortina <strong>di</strong> omertà<br />

che lo proteggeva. «I conta<strong>di</strong>ni siciliani», <strong>di</strong>ceva il suo luogotenente Gaspare<br />

Pisciotta, «non sanno mai nulla, non vedono mai nulla. Hanno lo sguardo conficcato<br />

nella terra che arano. Nessun poliziotto potrà mai strappare da loro alcuna<br />

in<strong>di</strong>cazione». Ma nonostante quella devota protezione, la madre <strong>di</strong> Giuliano,<br />

quando lo vedeva rincasare furtivo e abbracciarla, lo supplicava: «Guardati<br />

pure dall'aria, figghiu, non ti fidare». Per questo il fuorilegge non dormiva mai<br />

due volte nello stesso posto e si circondò <strong>di</strong> uomini, che, fin quando non si<br />

ersero contro <strong>di</strong> lui nemici a tutta prova, gli furono fedelissimi.<br />

La leggenda vigoreggiata intorno alla figura <strong>di</strong> Giuliano fa <strong>di</strong>menticare, a<br />

volte, ch'egli visse tutta la sua grande avventura da giovanissimo. La<br />

stagione della collera si svolse nei sette anni <strong>di</strong> fuoco dal 1943 al 1950:<br />

quando scaricò la pistola sul carabiniere, isolandosi così dal consorzio<br />

sociale, Turiddu aveva ventun anni; quando fu deposto cadavere nel cortile


dell'avvocaticchio De Maria a Castelvetrano, ne aveva ventotto. Come potè<br />

assurgere in così breve tempo a tanta potenza?<br />

Anzitutto, la sua crescita va collocata storicamente in un periodo nel quale<br />

nell'isola si era prodotto il più totale vuoto <strong>di</strong> potere. Gli Americani non si<br />

preoccupavano affatto <strong>di</strong> restaurare la legalità: gli faceva comodo che chi<br />

poteva aiutarli e servirli non fosse molestato.<br />

C'è un episo<strong>di</strong>o molto in<strong>di</strong>cativo in proposito: un giorno del 1944 i ban<strong>di</strong>ti<br />

svaligiarono un albergo a Palermo. I carabinieri, subito avvisati, riuscirono a<br />

bloccarli e a recuperare la refurtiva; ma un momento dopo ecco profilarsi la<br />

spe<strong>di</strong>zione punitiva della Military Police, gli americani che arrivarono,<br />

bastonarono i carabinieri e restituirono la refurtiva ai ban<strong>di</strong>ti. Si trattava <strong>di</strong><br />

un clan mafioso che era legato solidamente all'autorità militare <strong>di</strong><br />

occupazione e perciò godeva dell'immunità assoluta.<br />

Per uomini senza scrupoli, questa anarchia legalizzata era l'occasione d'oro<br />

per esercitare il dominio incontrastato. Giuliano si trovò ben presto a<br />

cavalcare la tigre del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne politico che si era instaurato nella Sicilia del<br />

post-fascismo. Nel 1947 affiderà a un giornalista americano, un uomo dei<br />

servizi segreti, la famosa lettera per il presidente Truman: «II nostro sogno è <strong>di</strong><br />

staccare la Sicilia dall'Italia e poi <strong>di</strong> annetterla agli Stati Uniti».<br />

Nella visuale incerta dell'imme<strong>di</strong>ato dopoguerra, la penisola sembrava<br />

destinata a essere assoggettata al comunismo; la Trinacria si sarebbe ribellata<br />

e, guidata da un pittoresco stato maggiore <strong>di</strong> aristocratici, <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti in<br />

uniforme, <strong>di</strong> pezzi da novanta, che in cuor loro si sentivano i Garibal<strong>di</strong> del<br />

ventesimo secolo, avrebbe reclamato l'onore <strong>di</strong> essere la quarantanovesima<br />

stella dell'Unione americana. Giuliano, che era ovviamente uno sprovveduto<br />

in politica, fu probabilmente allettato dalle promesse che gli fecero i capi<br />

separatisti nell'incontro <strong>di</strong> Ponte Sagana. I loro applausi, alla fine del <strong>di</strong>scorso<br />

che rivolse loro, lo riscaldarono.<br />

Era troppo ingenuo per riuscire a rendersi conto della fitta trama <strong>di</strong> interessi,<br />

<strong>di</strong> ambizioni, <strong>di</strong> calcoli <strong>di</strong> potere, che aveva indotto, nel marzo 1945, un<br />

manipolo <strong>di</strong> personaggi <strong>di</strong>versissimi a coalizzarsi per innalzare la ban<strong>di</strong>era<br />

della Sicilia separata. Erano della partita il duca don Guglielmo Paternò <strong>di</strong><br />

Carcaci, feudatario catanese; il barone Stefano La Motta; il barone Giuseppe<br />

Cammarata, proprietario terriero palermitano; il barone Giuseppe Tasca;<br />

Concetto Gallo; Rosario Cacopardo, avvocato <strong>di</strong> Messina.<br />

I finanziamenti non mancavano, date le immense ricchezze dei patrocinatori<br />

dell'impresa: ma occorreva la manodopera criminale, l'arruolamento <strong>di</strong><br />

un'armata <strong>di</strong> mercenari <strong>di</strong>sperati al servizio <strong>di</strong> quell’idea.<br />

I clan più imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong>sponibili erano quelli delle bande Avila e<br />

Giuliano. A chi, nelle prime riunioni dei separatisti, obiettò che era immorale<br />

servirsi <strong>di</strong> quei delinquenti, il patriarca Lucio Tasca, padre del barone


Giuseppe, rispose ironicamente: «Noi dobbiamo associarci i ban<strong>di</strong>ti perché questo<br />

fece anche Garibal<strong>di</strong>».<br />

Giuliano <strong>di</strong>ede appuntamento ai ras del separatismo sulle montagne fra<br />

Monreale e Partinico, a Ponte Sagana. Quando i palermitani arrivarono su<br />

un'auto Bianchi nell'anfiteatro scelto per il convegno, si guardarono intorno<br />

smarriti, credendo <strong>di</strong> essere caduti in trappola. Giuliano aveva scelto uno<br />

spiazzo dominato da rocce alte e <strong>di</strong>etro ogni masso e ogni spuntone <strong>di</strong> roccia<br />

sbucava la canna <strong>di</strong> un fucile. Ma il leader dei ban<strong>di</strong>ti si mostrò <strong>di</strong> buon<br />

umore e conciliante; e sfoggiò una genuina commozione quando i baroni lo<br />

nominarono sul campo colonnello dell'EVIS (Esercito volontario<br />

dell'in<strong>di</strong>pendenza siciliana). Fu ancora più felice quando gli fecero pervenire<br />

tra le montagne un'ottantina <strong>di</strong> uniformi <strong>di</strong> tipo coloniale, decorate da<br />

mostrine rosse e gialle e con il simbolo della Trinacria bene in vista.<br />

La storia del separatismo siciliano <strong>di</strong> quegli anni, o meglio <strong>di</strong> quei mesi, è<br />

ancora tutta da scrivere: e sarebbe bene farlo, anche perché si scoprirebbe che<br />

rivela paralleli inquietanti con il terrorismo e con la criminalità, sia comune<br />

sia politica, <strong>di</strong> questi ultimi anni.<br />

È certo che Turiddu e i suoi padrini si resero imme<strong>di</strong>atamente conto, nel<br />

1945, che il modo più sicuro per finanziare le operazioni <strong>di</strong> eversione politica<br />

era quello <strong>di</strong> sequestrare i gran<strong>di</strong> ricchi dell'isola. E montarono una strategia<br />

alla grande, nella quale i suggeritori furono indubbiamente personaggi <strong>di</strong><br />

molto riguardo nella sfera politica sia locale sia romana, della Roma che stava<br />

ricostruendo allora il suo perenne impero.<br />

Andrea Finocchiaro Aprile e Antonino Varvaro, gli esponenti siciliani del<br />

movimento separatista, che finirono al confino a Ponza, e Concetto Gallo,<br />

uno dei loro bracci secolari, erano pe<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una certa importanza, ma in<br />

fondo sbia<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> fronte all'importanza del grande gioco che si svolgeva sopra<br />

le loro teste. I veri Clausewitz <strong>di</strong> questa strategia del terrore siciliana, che si<br />

rivelò pleonastica e che venne abbandonata non appena le uccisioni dei<br />

sindacalisti <strong>di</strong> sinistra ebbero affievolito lo slancio del movimento operaio<br />

dell'isola e le vittorie elettorali della Democrazia cristiana ebbero <strong>di</strong>segnato il<br />

volto dell'Italia moderata che sarebbe durata per oltre un trentennio, erano<br />

da cercarsi altrove: personaggi <strong>di</strong> grande influenza politica, uomini abituati a<br />

reggere abilmente le fila del gioco del potere tra Roma e Palermo, notabili <strong>di</strong><br />

straor<strong>di</strong>naria statura, protagonisti al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni sospetto e dominanti<br />

nel cielo degli intoccabili.<br />

Giuliano fu, dal 1944 al 1949 circa, lo strumento ideale <strong>di</strong> questo potere. Un<br />

ras della delinquenza temibilissimo, che in un paese governato con veri e<br />

propri meto<strong>di</strong> da dominio coloniale come la Sicilia svolgeva ad<strong>di</strong>rittura una<br />

funzione «governatoriale».


I mafiosi erano rimasti subito impressionati dalla sua baldanza: «Guarda che<br />

picciotto in gamba è questo qua», <strong>di</strong>ssero allorché lo conobbero, come ha riferito<br />

il generale Paolantonio alla Commissione antimafia. Il ban<strong>di</strong>to fu incaricato<br />

<strong>di</strong> spaventare l'isola con i sequestri, le stragi, il terrore destato da un<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne perenne: era un'apparente sovversione, ma in realtà era il modo <strong>di</strong><br />

far trionfare l'antico or<strong>di</strong>ne dei baroni e della mafia sulla rivolta conta<strong>di</strong>na<br />

delineatasi, nonostante tutto, all'indomani dell'invasione alleata. Non a caso i<br />

bersagli pre<strong>di</strong>letti <strong>di</strong> Giuliano furono le Camere del Lavoro, le organizzazioni<br />

legate ai partiti della sinistra, i sindacalisti e il coraggioso deputato comunista<br />

Girolamo Li Causi, strenuo denunciatore della mafia.<br />

La sua opera si rivelò così preziosa che i suoi padrini lo fornirono <strong>di</strong> ogni<br />

cosa <strong>di</strong> cui avesse bisogno. Giuliano poté organizzarsi con ampiezza <strong>di</strong> mezzi<br />

i sequestri, ebbe i sol<strong>di</strong> per le armi e per l'organizzazione, creò campi <strong>di</strong><br />

addestramento <strong>di</strong> tipo militare, organizzò i settori d'intervento e le squadre:<br />

per i materiali, per le armi, per i rapimenti.<br />

All'apogeo della sua potenza, <strong>di</strong>spose d'una banda <strong>di</strong> ottanta uomini, tra i<br />

quali c'erano dei personaggi avventurosi e decisi a tutto: Candela,<br />

Passatempo, Pisciotta, Badalamenti, Pasquale Sciortino, i fratelli Genovese,<br />

Cucinella. Nei sei mesi <strong>di</strong> maggiore attività, i suoi uomini uccisero <strong>di</strong>ciassette<br />

carabinieri e ne ferirono trentacinque.<br />

Negli anni dell'ira Montelepre era <strong>di</strong>ventata l'epicentro <strong>di</strong> una guerriglia<br />

insi<strong>di</strong>osissima. Seimila persone in tutta la zona erano tenute sotto coprifuoco,<br />

che veniva annunciato da un ban<strong>di</strong>tore con rulli <strong>di</strong> tamburo. Sulle strade<br />

polverose <strong>di</strong> quell’angolo <strong>di</strong> Sicilia occidentale ci si muoveva come in un<br />

paese occupato durante una guerra: con perquisizioni, posti <strong>di</strong> blocco,<br />

controlli, arresti. Si vedevano code <strong>di</strong> uomini e donne legati con corde e<br />

catene e fatti sfilare in triste parata, <strong>di</strong> tipo appunto coloniale, lungo la via<br />

Castrense <strong>di</strong> Bella <strong>di</strong> Montalepre, dove sorgeva la casa dei Giuliano.<br />

Uno dei tanti rastrellamenti<br />

nelle campagne attorno a Montelepre


Sembravano tornati gli anni risorgimentali della repressione del ban<strong>di</strong>tismo<br />

nel Sud. Il grosso paese <strong>di</strong> Montelepre era circondato da un esercito <strong>di</strong><br />

carabinieri, polizia, carri armati, artiglierie, il reggimento «Garibal<strong>di</strong>», le<br />

<strong>di</strong>visioni Sassari e Ariete, per sino gli alpini. Una guerriglia da Africa<br />

paesana, che impegnava migliaia <strong>di</strong> uomini e gettava spesso il <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to e<br />

ad<strong>di</strong>rittura il ri<strong>di</strong>colo sullo Stato italiano, impotente <strong>di</strong> fronte a un ban<strong>di</strong>to<br />

che aveva le movenze <strong>di</strong> un Robin Hood con la coppola, che si pretendeva<br />

<strong>di</strong>fensore dei deboli e degli oppressi.<br />

Ancor prima dei «paras» in Algeria, i carabinieri impegnati contro Giuliano<br />

ricorsero all'arma della tortura, con maschere antigas il cui tubo veniva<br />

riempito <strong>di</strong> acqua e sale e che venivano compresse sul viso del <strong>di</strong>sgraziato<br />

sospetto <strong>di</strong> essere un appartenente o un favoreggiatore della banda Giuliano,<br />

come Pasquale Sciortino ha riferito nel 1970 all'Antimafia. Gli interrogatori<br />

venivano inaspriti da una sequela interminabile <strong>di</strong> pugni e calci.<br />

Ammanettati, i prigionieri<br />

Venivano picchiati e spesso<br />

subivano vere e proprie torture<br />

da parte dei carabinieri


Ma Giuliano, nella sua lotta testarda e fanatica, non era da meno. Una volta<br />

gli portarono un ragazzo che era stato scoperto tra le macchie della montagna<br />

mentre osservava i movimenti degli uomini della banda. Il capo lo interrogò,<br />

non riuscì a ottenere nulla da quel giovane che aveva gli occhi fuori dalla<br />

testa per il terrore; alfine, stanco, or<strong>di</strong>nò che si procedesse a formare il<br />

plotone d'esecuzione. Quando il pastorello atterrito fu davanti al manipolo <strong>di</strong><br />

ban<strong>di</strong>ti che spianavano il fucile, Giuliano esclamò a voce altissima: «Io<br />

Salvatore Giuliano ti uccido in nome <strong>di</strong> Dio e del popolo della Sicilia». Sul cadavere<br />

il ban<strong>di</strong>to fece affiggere un cartello: «Così Giuliano tratta le spie».<br />

Così si creava <strong>di</strong> giorno in giorno la leggenda del terribile capobanda. Molte<br />

donne dell'isola, attratte dal fascino romantico del fuorilegge, avrebbero<br />

voluto raggiungerlo in montagna e passare con lui le notti all'ad<strong>di</strong>accio. Ma<br />

Giuliano resisteva loro: si <strong>di</strong>ceva che con immenso ar<strong>di</strong>mento si avventurasse<br />

fino a Palermo, dove in spregio ai carabinieri penetrava in qualche antico<br />

palazzo ed espugnava il letto <strong>di</strong> qualche principessa: nomi <strong>di</strong> nobiltà<br />

auguste, risalenti ai cavalieri Normanni.<br />

Il solo amore che si concesse tra le montagne fu, forse, quello con la<br />

giornalista svedese Maria Cilyacus, che lo raggiunse romanticamente e riuscì<br />

ad intervistarlo.<br />

Nell'introduzione al secondo volume dell'inchiesta della Commissione<br />

Antimafia (1973) si legge: «Giuliano, riuscì a fare, nella sua lunga carriera<br />

criminosa, ben 4<strong>30</strong> vittime, sempre, purtroppo, protetto nell'inaccessibilità del suo<br />

rifugio dalla non malcelata protezione della mafia» . Ma a un certo momento<br />

questa protezione cadde, venne a mancare. Uno degli inquirenti <strong>di</strong> allora ha<br />

ammesso: «Abbiamo preso Giuliano solo quando la mafia lo ha mollato».<br />

Perché la mafia sì fosse schierata a sostegno del ban<strong>di</strong>to, lo abbiamo visto: gli<br />

rendeva servigi troppo preziosi e segnalati. Ma perché lo abbandonò, e da<br />

quale momento preciso? Questo è più <strong>di</strong>fficile a <strong>di</strong>rsi, e i cadaveri <strong>di</strong><br />

quattor<strong>di</strong>ci persone che in un modo o nell'altro stavano fornendo delle chiavi<br />

per capirlo ammoniscono sulla complessità del problema.<br />

Forse la strage <strong>di</strong> Portella delle Ginestre offre qualche in<strong>di</strong>cazione. Il 20 aprile<br />

1947 c'erano state le elezioni regionali e le forze della sinistra coalizzate nel<br />

Blocco del Popolo avevano ottenuto significative affermazioni nel triangolo<br />

Piana degli Albanesi-San Cipirello-San Giuseppe Jato.<br />

Un certo panico aveva cominciato a <strong>di</strong>ffondersi tra i padroni delle masserie, i<br />

latifon<strong>di</strong>sti, i gran<strong>di</strong> agrari. Il 1° maggio 1947, quasi un ammonimento,<br />

avvenne, nella piana <strong>di</strong> Portella delle Ginestre, dove si stava celebrando la<br />

Festa del Lavoro con molti carretti siciliani e con qualche simbolica ban<strong>di</strong>era<br />

rossa, una delle prime stragi della storia italiana del dopoguerra.


Un testimone, Salvatore Fusco, ha raccontato nel 1975 a Giancarlo Graziosi<br />

della Domenica del Corriere che quel mattino con tre amici stava andando a<br />

caccia nella montagna sopra Portella. Furono fermati e catturati da alcuni<br />

uomini armati che gli ficcarono i fucili contro le reni. Poi arrivò un altro<br />

uomo, ben vestito, con abiti militari, che Fusco riconobbe per Giuliano, e che<br />

dopo averli fatti perquisire domandò loro: «Siete comunisti?». Lo videro<br />

impartire gli or<strong>di</strong>ni per la strage e quin<strong>di</strong> lui stesso si mise alla mitragliatrice<br />

e snocciolò il rosario <strong>di</strong> due lunghi caricatori sulla gente che celebrava la festa<br />

del socialismo. La strage si risolse in un tragico bilancio <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci morti,<br />

ventisei feriti gravi, do<strong>di</strong>ci animali uccisi. Si calcolò che i ban<strong>di</strong>ti che avevano<br />

sparato erano una dozzina e avevano sviluppato una massa <strong>di</strong> fuoco<br />

incre<strong>di</strong>bile.<br />

Chi volle quella strage? È uno dei punti fermi del <strong>di</strong>scorso su Giuliano.<br />

Si sa che Pasquale Sciortino, il «compagno d'armi» e cognato del ban<strong>di</strong>to, pochi<br />

giorni prima dell'ecci<strong>di</strong>o portò a Giliano una lettera che venne letta e subito bruciata.<br />

Il tra<strong>di</strong>tore Pisciotta al processo <strong>di</strong> Viterbo fece tre nomi <strong>di</strong> mandanti: il principe<br />

Giovanni Francesco Alliata e l’onorevole Leone Marchesano, monarchici;<br />

l’onorevole Bernardo Mattarella, grande notabile democristiano. Naturalmente<br />

quando la stampa riprese quei nomi, vi furono smentite, querele, duelli; e i processi<br />

che seguirono scagionarono quei personaggi da ogni responsabilità: anzi,<br />

come <strong>di</strong>ce l'Antimafia, «non è stato possibile rinvenire nemmeno elementi<br />

in<strong>di</strong>zianti». Ma il delitto maturò sicuramente in un clima allucinante. «Fra<br />

Diavolo», al secolo Salvatore Ferreri, un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Giuliano che in realtà<br />

faceva il confidente della polizia, pochi giorni prima <strong>di</strong> Portella avvisò i suoi<br />

amici della Questura che stava maturando qualcosa <strong>di</strong> molto grosso. Era sul<br />

punto <strong>di</strong> andare a fare il suo rapporto quando venne convocato d'urgenza<br />

nella caserma dei carabinieri. La versione ufficiale è che a un certo momento<br />

Ferreri si ribellò a chi lo stava interrogando, tentò <strong>di</strong> saltargli addosso; il<br />

capitano dei carabinieri Gianlombardo allora, per legittima <strong>di</strong>fesa, mise la<br />

mano alla pistola e lo uccise.<br />

Con ogni probabilità, negli ultimi mesi della sua vita Giuliano era <strong>di</strong>ventato<br />

scomodo per tutti e i suoi padrini non sapevano come sbarazzarsene: tanto<br />

che egli pensò molte volte alla fuga nel paese d'origine, gli Stati Uniti, dove<br />

s'illudeva <strong>di</strong> trovare molte coperture. E invece il 5 luglio 1950, alle sei in<br />

punto, arriva al ministero dell'Interno a Roma (era ministro Mario Scelba)<br />

questo <strong>di</strong>spaccio spe<strong>di</strong>to venti minuti prima da Palermo: «Da Castelvetrano<br />

(Trapani) colonnello Luca segnala che ore 3.<strong>30</strong> oggi dopo inseguimento<br />

centro quell'abitato et conflitto sostenuto da squadriglia Centro Forze<br />

Repressione Ban<strong>di</strong>tismo rimaneva ucciso ban<strong>di</strong>to Salvatore Giuliano punto<br />

Nessuna per<strong>di</strong>ta parte nostra punto Cadavere piantonato <strong>di</strong>sposizione


autorità giu<strong>di</strong>ziaria punto Riserva particolari alt Maggiore Latronico<br />

Palermo».<br />

Sulla testa del famoso ban<strong>di</strong>to c'era fino a quel momento una taglia <strong>di</strong> 50<br />

milioni. Ora il suo cadavere stava mutando rapidamente fattezze, nella<br />

decomposizione provocata dalla morte, nel cortile arroventato della casa<br />

dell'«avvocaticchio» Gregorio De Maria, che lo aveva ospitato. Il cadavere del<br />

terrore <strong>di</strong> Montelepre presentava «alcune abrasioni al viso e sei ferite <strong>di</strong> arma<br />

da fuoco calibro 9, tre delle quali trapassanti». La morte era stata<br />

«determinata da imponente emorragia interna, da lesioni bilaterali dei<br />

polmoni e dell'aorta <strong>di</strong>scendente», il corpo era coricato a pancia contro il<br />

suolo, con le ferite nella parte anteriore destra e un enorme grumo <strong>di</strong> sangue<br />

rappreso sulla schiena. Un cronista borbottò subito: «Non avevo, mai visto il<br />

sangue andar su in salita».<br />

Giuliano indossava i pantaloni <strong>di</strong> tela, era senza mutande e portava al <strong>di</strong>to<br />

un anello. Deposti accanto al cadavere c'erano il mitra, la pistola americana, il<br />

tascapane e una banconota, che più tar<strong>di</strong> nessuno seppe <strong>di</strong>re se era da <strong>di</strong>eci o<br />

da cinquanta lire. Nessuna traccia, nella casa, del famoso memoriale in cui<br />

Giuliano aveva annotato con il puntiglio dell' auto<strong>di</strong>datta le istruzioni dei<br />

suoi misteriosi, mandanti, o delle centinaia <strong>di</strong> documenti nei quali <strong>di</strong>ceva<br />

consistere la sua <strong>di</strong>fesa. Fu recuperato un elenco <strong>di</strong> nomi, e l'allora colonnello<br />

Paolantonio, grande protagonista <strong>di</strong> quell'operazione, sperava che si<br />

cominciasse subito a mettere le mani su <strong>di</strong> loro. «Ma appena morto<br />

Giuliano», egli ha poi raccontato all'Antimafia, durante la seduta del 22<br />

ottobre 1969, «ci <strong>di</strong>spersero rapidamente, <strong>di</strong>cendoci che il ban<strong>di</strong>tismo era<br />

finito».<br />

Il capitano dei carabinieri Antonio Perenze avanzò la versione ufficiale. Un<br />

confidente aveva portato i militi a Castelvetrano sulle orme <strong>di</strong> Giuliano ed<br />

essi, in<strong>di</strong>viduatolo, avevano impegnato con il ban<strong>di</strong>to una sparatoria <strong>di</strong> tre<br />

quarti d'ora. Il re <strong>di</strong> Montelepre aveva scaricato un intero caricatore <strong>di</strong> mitra -<br />

40 colpi - e al do<strong>di</strong>cesimo colpo del secondo caricatore l'arma si era<br />

inceppata. I carabinieri avevano esploso 211 colpi. Una vera sfida all'OK<br />

Corral. Giuliano era balzato dentro il cortile <strong>di</strong> De Maria e là Perenze gli<br />

aveva sparato l'ultimo colpo, che lo aveva fatto crollare pancia in giù. Questa<br />

versione era ancora calda che Tommaso Besozzi, uno dei più gran<strong>di</strong><br />

giornalisti <strong>di</strong> cronaca vissuti in Italia, la smontava, telefonando i suoi dubbi<br />

al suo giornale «L'Europeo». Alessandro Minar<strong>di</strong>, il redattore capo che<br />

sostituiva il famoso <strong>di</strong>rettore Arrigo Benedetti, in quei giorni a Parigi, vi<br />

prepose il titolo che è rimasto gloriosamente nella storia del giornalismo<br />

italiano: «Di sicuro c'è solo che è morto». Besozzi <strong>di</strong>struggeva punto per<br />

punto le tesi dei carabinieri. Come mai la gente che dormiva con le finestre<br />

spalancate nel luglio torrido <strong>di</strong> Castelvetrano non aveva sentito


quell'alluvione <strong>di</strong> spari? Perché non si trovava neppure un testimone <strong>di</strong><br />

quella rocambolesca sparatoria western? Besozzi azzardò per primo, poco<br />

dopo, la versione più probabile della fine <strong>di</strong> Giuliano, che però a sua volta<br />

non è affatto sicura. Il ban<strong>di</strong>to era trapassato dal sonno alla morte senza<br />

accorgersene. Nella casa <strong>di</strong> De Maria egli dormiva pancia in giù,<br />

proteggendosi la testa con le mani, e questo spiegherebbe la posizione del<br />

suo corpo nel cortile: chi lo uccise lo avrebbe poi trasportato là, adagiandolo<br />

al suolo nella stessa posizione in cui la morte lo aveva colto.<br />

Secondo Besozzi, era stato Pisciotta a uccidere. Il ban<strong>di</strong>to era terrorizzato dal<br />

cugino, perciò gli aveva fatto sciogliere un narcotico nel caffè. Quando lo<br />

vide immoto come un macigno, gli si avvicinò, tremando verga a verga, e gli<br />

scaricò una pallottola contro la nuca. Ma la mano oscillava e il proiettile si<br />

conficcò nella spalla. Con il secondo lo ferì all'ascella, poi infierì sul cadavere<br />

e fuggì <strong>di</strong>sperato nella notte, reggendo in mano i pantaloni ammorbati e<br />

fetenti perché se l'era fatta addosso. Lo accolse una «1100» dei carabinieri,<br />

che fissarono l'assassino con occhi carichi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo e presero a gran<br />

carriera la via <strong>di</strong> Palermo. E questa sarebbe stata la vera morte <strong>di</strong> Giuliano.<br />

Trent'anni dopo, questa versione, raccontata nel libro oggi introvabile <strong>di</strong><br />

Tommaso Besozzi, regge ancora? Sì e no. Giuliano era stato scaricato dalla<br />

mafia e vi è perciò l'ipotesi che sia stato qualche personaggio della mafia, e<br />

non il tra<strong>di</strong>tore Pisciotta, ad assumersi l'onore dell'esecuzione. Contro questa<br />

possibilità stanno le numerose descrizioni dell'approccio <strong>di</strong> Pisciotta ai<br />

carabinieri e dei suoi maneggi per eliminare il cugino: che si ricavano<br />

soprattutto dai racconti del maresciallo Lo Bianco, uno dei massimi<br />

protagonisti - con Luca, Paolantonio, Perenze -dell'operazione. C'è anche la<br />

possibilità che Giuliano non sia stato ucciso a Castelvetrano bensì a<br />

Monreale. Il cadavere sarebbe stato introdotto nel baule <strong>di</strong> una macchina e<br />

portato sino al cortile <strong>di</strong> De Maria, per la grande mistificazione. Pisciotta al<br />

processo <strong>di</strong> Viterbo si attribuì la paternità del delitto. Ammise <strong>di</strong> avere<br />

assassinato l'amico nel modo ricostruito da Besozzi. Perenze avrebbe attuato<br />

poi la messinscena, sparando una raffica <strong>di</strong> mitra su un cadavere.<br />

Ma in mezzo a tante bugie, è il caso <strong>di</strong> credere a Pisciotta? Il ban<strong>di</strong>to spiegò a<br />

Viterbo <strong>di</strong> essere terrorizzato da una santissima trinità, onnipotente in Sicilia<br />

e incre<strong>di</strong>bilmente unita: mafia, polizia e ban<strong>di</strong>ti. Pisciotta aveva paura della<br />

vendetta <strong>di</strong> quella Trimurti: infatti il 9 febbraio 1954 fu avvelenato nel carcere<br />

dell'Ucciardone a Palermo, uno dei quattor<strong>di</strong>ci morti <strong>di</strong> una catena<br />

incre<strong>di</strong>bile.<br />

Quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> sicuro c'è ancora solo che Giuliano è morto. Tutto il resto - il<br />

legame Giuliano-separatisti-mafia; il rapporto mafia-politica-ban<strong>di</strong>tismo; i<br />

nomi degli uomini politici che furono i veri mandanti della strage <strong>di</strong> Portella<br />

delle Ginestre; la meccanica esatta della morte <strong>di</strong> Salvatore Giuliano e il


«tra<strong>di</strong>mento» che portò alla sua sconfitta, sono ancora tenacemente avvolti<br />

nelle nebbie, come tanti altri misteri della recente storia <strong>d'Italia</strong>.<br />

Frank Mannino per esempio, uno degli uomini <strong>di</strong> Giuliano liberati da poco,<br />

sostiene che il ban<strong>di</strong>to fu ucciso dalla mafia e non da Pisciotta. L'antico<br />

fuorilegge, rilasciato dopo quasi trent'anni, non ha voluto tornare in Sicilia<br />

ma ha scelto Genova come sua sede. Di chi ha paura, a tanta <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />

tempo? Probabilmente degli stessi uomini che hanno operato, nel trentennio,<br />

l'ecatombe <strong>di</strong> quattor<strong>di</strong>ci testimoni.<br />

Anche questa è una storia <strong>di</strong> enorme interesse e <strong>di</strong> agghiacciante attualità.<br />

Una catena ininterrotta <strong>di</strong> strane morti e <strong>di</strong> oscure vendette si snoda lungo<br />

tutto questo trentennio e ha colpito un fitto gruppo <strong>di</strong> persone <strong>di</strong> cui si può<br />

ragionevolmente ritenere che conoscessero le responsabilità sulla fine <strong>di</strong><br />

Giuliano.<br />

Il 4 marzo 1952 morì improvvisamente l'ispettore <strong>di</strong> P.S. Ciro Ver<strong>di</strong>ani e sul<br />

suo cadavere non venne mai eseguita l'autopsia. Ver<strong>di</strong>ani aveva stabilito un<br />

buon contatto con i Miceli, personaggi legati alla mafia <strong>di</strong> Monreale: erano<br />

stati loro a convincere Giuliano a trasferirsi da Montelepre a Castelvetrano.<br />

L'8 agosto 1952 i carabinieri scovarono e uccisero, in un conflitto a fuoco nelle<br />

campagne del Trapanese, Salvatore Passatempo detto «il boia», un uomo che<br />

era stato molto vicino a Giuliano.<br />

Il 9 febbraio 1954 Gaspare Pisciotta, dopo aver sorbito una tazzina <strong>di</strong> caffè,<br />

morì tra orribili spasimi nel carcere dell’Ucciardone. Vennero incriminati il<br />

suo stesso padre Salvatore, la guar<strong>di</strong>a carceraria Ignazio Salvaggio e il<br />

detenuto Filippo Riolo, ma furono prosciolti prima ancora <strong>di</strong> arrivare al<br />

processo.<br />

Il 3 marzo 1954 era carnevale a Palermo. Otto detenuti celebrarono gaiamente<br />

la festa con cibi mandati loro all’Ucciardone dai fratelli Genovese, «big» della<br />

banda Giuliano. Ad un tratto Angelo Russo, dopo aver tracannato un<br />

bicchiere <strong>di</strong> vino, crollò al suolo, mostrando gli stessi sintomi <strong>di</strong> Pisciotta.<br />

Dieci minuti dopo moriva in infermeria, mentre tutti i suoi compagni<br />

vomitavano <strong>di</strong>speratamente il cibo ingoiato.<br />

Nel 1955 morì in circostanze misteriose anche l'avvocato Geloso Cusumano,<br />

<strong>di</strong> cui al processo <strong>di</strong> Viterbo si era detto che aveva portato a Giuliano,<br />

come ambasciatore, le volontà dei «mandanti» della strage <strong>di</strong> Portella.<br />

Il 20 settembre 1960 fu assassinato con nove colpi <strong>di</strong> pistola, mentre<br />

rincasava, Nitto Minasola <strong>di</strong> Monreale: si era trasferito a San Giuseppe Jato<br />

perché là sperava <strong>di</strong> sfuggire alla vendetta. Secondo molte testimonianze,<br />

aveva messo in contatto Pisciotta con i carabinieri e aveva fatto cadere in<br />

trappola anche Mannino, Badalamenti, Madonia. Filippo Riolo, il detenuto<br />

che era stato incriminato per la morte <strong>di</strong> Pisciotta, si aggiunse alla tragica<br />

lista il 29 luglio 1961, fulminato da una scarica <strong>di</strong> pallettoni proprio mentre si


trovava sulla soglia <strong>di</strong> casa. Da non collegare con questa catena <strong>di</strong> morti<br />

misteriose sembra quella, avvenuta per causa naturale, cioè infarto, il 4 luglio<br />

1967, curiosamente a 17 anni esatti dalla sua massima operazione militare,<br />

del generale Ugo Luca, l'architetto della fine del ban<strong>di</strong>to Giuliano. Dopo il<br />

successo della sua azione, si era ritirato in pensione e aveva l'hobby <strong>di</strong><br />

collezionare orologi.<br />

Il 5 maggio 1971 venne assassinato il procuratore della Repubblica <strong>di</strong><br />

Palermo, Pietro Scaglione: con una raffica <strong>di</strong> mitra, mentre percorreva in auto<br />

una via della capitale siciliana. Scaglione era forse depositario <strong>di</strong> un segreto.<br />

Pisciotta lo aveva chiamato nella sua cella pochi giorni prima <strong>di</strong> morire, e gli<br />

aveva forse confidato molte cose sui mandanti <strong>di</strong> Portella e sul ricamo tra<br />

mafia e politica.<br />

Il 26 <strong>di</strong>cembre 1974 vennero massacrati a raffiche <strong>di</strong> mitra Giuseppe Gulino<br />

<strong>di</strong> 71 anni, l'armiere della banda Giuliano, e la moglie Antonina.<br />

Angelo Genovese era uno dei tre famosi fratelli che avevano seguito Giuliano<br />

alla macchia: fu trucidato a colpi <strong>di</strong> lupara sul monte Sagana, teatro delle<br />

gesta del re <strong>di</strong> Montelepre, mentre i suoi fratelli Giuseppe e Giovanni,<br />

ergastolani, avevano già avuto restituita la libertà.<br />

Il 25 maggio 1975 venne ucciso a Palermo Filippo Fazzone; e, nel <strong>di</strong>cembre,<br />

Remo Corrao <strong>di</strong> Corleone, esponenti della banda che erano stati coinvolti nei<br />

sequestri <strong>di</strong> persona che servivano a finanziare l'esercito <strong>di</strong> Giuliano.<br />

L’incre<strong>di</strong>bile lista è completata da Benedetto Pecoraro, assassinato il 28 aprile<br />

1978, e da Vito Sciortino, che lo segue due giorni dopo.<br />

Da questa catena <strong>di</strong> delitti si ricava facilmente che esistono segreti<br />

gelosamente custo<strong>di</strong>ti su quella storia <strong>di</strong> trent'anni fa e che ogni piccolo<br />

spiraglio aperto anche incautamente su quella verità nascosta può costare la<br />

vita dì un uomo. Oppure ci sono vendette che maturano lentamente sotto le<br />

ceneri. «A volte si può essere uccisi per sgarri fatti trent'anni fa», ha detto<br />

Boris Giuliano, capo della Mobile <strong>di</strong> Palermo, ad Adriano Baglivo, un<br />

giornalista del «Corriere della Sera» che ha condotto una documentatissima<br />

inchiesta su questa allucinante sinfonia per un massacro. Ci sono uomini che<br />

sanno certamente, sia dalla parte della legge sia da quella della banda<br />

Giuliano, ma le bocche sono sigillate, com'è nella migliore tra<strong>di</strong>zione.<br />

Giuseppe Genovese, l'uomo che nel 1945 fece incontrare Giuliano con i capi<br />

del separatismo a Sagana, è uscito <strong>di</strong> carcere nel 1966, dopo <strong>di</strong>ciassette anni, e<br />

non ha mai aperto bocca. Gestisce una grossa azienda zootecnica vicino a<br />

Partinico. A chi gli chiede cosa fosse andato a fare Turiddu da Concetto<br />

Gallo, dal duca <strong>di</strong> Carcaci e dal barone La Motta, risponde sorridendo:<br />

«Giuliano venne a Sagana per avere cibo, pane e formaggio. Non dovevano<br />

darglielo? Scortesia sarebbe stata». E non va più in là. Tacciono tutti<br />

appassionatamente : Francesco Tinercia «bastarduni»; Giuseppe Di Misa «lu


figghiu <strong>di</strong> lu zù Michelangelo»; Domenico Di Pretti, che con i fratelli<br />

Cucinella e Vincenzo Sapienza assaltò la sezione comunista <strong>di</strong> Borgetto e che<br />

ora fa il pastore a Montelepre, in mezzo a molta miseria. Francesco Paolo<br />

Motisi appena uscito dal carcere si è trasferito a Genova, sede pre<strong>di</strong>letta da<br />

molti <strong>di</strong> questi ex protagonisti. Francesco Abbate è nella Legione straniera.<br />

Vito Mazzola, già cassiere della banda, che ebbe spesso Giuliano ospite in<br />

casa sua, celato in un rifugio occultato da cacche <strong>di</strong> animali, è uno dei pastori<br />

più ricchi <strong>di</strong> Montelepre. È considerato uno dei massimi testimoni sul fatto<br />

che a Cippi, a fine aprile 1947, si svolse una riunione tra Giuliano, Antonino<br />

Terranova, Frank Mannino, i fratelli Genovese, Pisciotta, Sciortino e<br />

Badalamenti e che in quell'occasione Giuliano <strong>di</strong>sse agli amici che bisognava<br />

svolgere «l'incarico» <strong>di</strong> Portella delle Ginestre. Né si sbottonano Giacomo<br />

Lombardo, il cugino <strong>di</strong> Giuliano, che con la moglie gestisce un negozio <strong>di</strong><br />

alimentari a Palermo, o l'avvocaticchio <strong>di</strong> Castelvetrano, Gregorio De Maria,<br />

che ospitò il ban<strong>di</strong>to per sei mesi nella sua casa ma che sostiene <strong>di</strong> avere<br />

scambiato con lui ogni giorno solo poche parole sui cibi che desiderava per i<br />

pasti. De Maria sottolinea fatalisticamente: «Sono stato vittima della mafia,<br />

alla quale non si può <strong>di</strong>subbi<strong>di</strong>re pena la morte».<br />

Questa presenza oscura e incombente e allucinante della mafia è il leit motiv<br />

della leggenda <strong>di</strong> Giuliano, viva e incomprensibile dopo trent'anni. È la mafia<br />

che cuce le bocche a triplo filo, che sigilla i cuori in un segreto che perdura<br />

oltre la morte. Pino Maretta, l'uomo che forse convinse Giuliano ad andare a<br />

Castelvetrano, scuote la testa: «Avrei tante cose da <strong>di</strong>re, ma finiranno con me<br />

nella tomba». Lui e Ignazio Miceli e Domenico Albano e Nitto Minasela<br />

ebbero probabilmente un ruolo'1 nel mandare il re <strong>di</strong> Montelepre in contro<br />

al suo destino. Ma nessuno <strong>di</strong> essi può parlare. Patti <strong>di</strong> sangue conclusi<br />

trent'anni fa legano questi uomini a una in<strong>di</strong>ssolubile fedeltà. Si sa che<br />

l'allora colonnello Luca aveva arrestato Pino Maretta e lo rilasciò solo quando<br />

questi gli fece «la promessa <strong>di</strong> procurargli cose buone». Giuseppe Cucinella,<br />

scarcerato dopo 23 anni, <strong>di</strong>ce: «Non parliamo del passato, sono solo un<br />

malato». Pietro Lo Bello, panettiere del forno <strong>di</strong> Castelvetrano vicino alla casa<br />

del De Maria, ringrazia ancora oggi dopo trent'anni il cielo, che suggerì a lui<br />

e ai suoi due garzoni <strong>di</strong> non farsi vedere quando sentì trambusto quella<br />

notte. «Se avessi; guardato dentro; quel cortile, forse mi avrebbero ucciso».Il<br />

capitano Perenze ha vissuto in questi ultimi anni a Portici, facendo il<br />

consulente <strong>di</strong> un centro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> religiosi: recentemente si è spostato spesso<br />

tra Napoli e Bari. È fedele anche lui al giuramento del silenzio. Il generale<br />

Paolantonio ha parlato solo con l'Antimafia, ma si fa strada sempre <strong>di</strong> più la<br />

convinzione che nell'Operazione Giuliano egli sia stato il numero uno, ancora<br />

più importante <strong>di</strong> Luca: è un valoroso militare, che si è fatto le ossa in Africa,<br />

è molto astuto e avrebbe infinite cose da raccontare. Ma probabilmente anche


lui porterà il suo segreto nella tomba. Il maresciallo Bicchicchi, dopo varie<br />

peripezie, è approdato a Bergamo e si limita a sorridere dall'alto <strong>di</strong> un viso<br />

arguto e intelligente. «Come fate a pensare», <strong>di</strong>ce, «chele gesta <strong>di</strong> Giuliano<br />

fossero state montate dalla mafia contro le sinistre se tutti gli avvocati degli<br />

uomini della banda Giuliano erano famosi comunisti?».<br />

Accomuna i protagonisti della fine <strong>di</strong> Giuliano un solo tenacissimo<br />

giuramento firmato col sangue. Chi fa torto alla parola data, sia dalla parte<br />

della legge o sia da quella della macchia, sia Fra Diavolo o Javert, sia Robin<br />

Hood o il carabiniere, paga trasformandosi in «cadavere eccellente». E la<br />

prospettiva non piace a nessuno. Perché su tutti i superstiti e sopravvissuti <strong>di</strong><br />

questo mistero <strong>d'Italia</strong> insoluto da trent'anni pesa la male<strong>di</strong>zione del faraone<br />

con la coppola, dell'incre<strong>di</strong>bile Turiddu che, anche lui, si è portato i suoi<br />

segreti nella bara.<br />

Fonte: <strong>Storia</strong> Illustrata, aprile 1979

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