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PRECLUSIONI DI MERITO E PRECLUSIONI ISTRUTTORIE NEL ...

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Mette conto di sottolineare, poi, che la nozione di fatto secondario non appare del tutto univoca,<br />

tenuto conto che non di rado la dottrina definisce come secondari i fatti che, pur non essendo<br />

propriamente estranei alla fattispecie dedotta in giudizio a fondamento della domanda o della<br />

eccezione, non concorrono, in ragione della loro marginalità, ad identificare la domanda o<br />

l’eccezione medesima, rappresentando dei meri “elementi di contorno” (30). Ai nostri fini è<br />

sufficiente rilevare che, alla luce di un tale criterio distintivo, essenzialmente quantitativo, la<br />

contrapposizione tra fatti principali e fatti secondari finisce per corrispondere a quella tra<br />

modificazione in senso lato (comprensiva della mutatio e della emendatio), da un lato, e mera<br />

“precisazione” delle domande e delle eccezioni, dall’altro. Sicché il problema dell’allegazione di<br />

tali fatti secondari appare intimamente connesso a quello concernente i limiti temporali della<br />

suddetta “precisazione” (v. infra il § 8.1).<br />

Vi sono, per finire, altri fatti la cui allegazione, pur implicando la modificazione di domande o<br />

eccezioni (in senso stretto), sfugge per diverse ragioni alle preclusioni contemplate dall’art. 183. Di<br />

essi mi occuperò più avanti, con riferimento alla rimessione in termini ex art. 184-bis.<br />

7. – Per esaurire l’analisi delle preclusioni più discusse ed opinabili, mi sembra indispensabile una<br />

breve digressione relativamente ad una disposizione che, pur riguardando direttamente la fase<br />

introduttiva del processo, che esula dall’oggetto della mia relazione, potrebbe avere – e secondo<br />

alcuni autori, infatti, ha – un ruolo di primissimo piano nella ricostruzione del complessivo sistema<br />

di preclusioni introdotto dalla riforma.<br />

Mi riferisco, come si sarà forse intuito, al 1° comma dell’art. 167, il quale fa obbligo al convenuto<br />

di “proporre [nella comparsa di risposta] tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti<br />

dall’attore a fondamento della domanda”. Questa disposizione, estrapolata dal contesto normativo,<br />

potrebbe far pensare che il legislatore abbia inteso (sia pure con una tecnica non certo felice, poiché<br />

il problema non si pone, ovviamente, per il solo convenuto, né tantomeno per la sola comparsa di<br />

risposta) introdurre anche nel nostro ordinamento quell’onere di contestazione che molti altri<br />

ordinamenti processuali conoscono da lungo tempo (31), escludendo, nel contempo, il c.d. “diritto<br />

di tacere” di fronte alle avverse allegazioni; e così essa è stata intesa, infatti, da una parte dei primi<br />

commentatori della legge n. 353/90, i quali conseguentemente, ancora una volta nel nome di un<br />

tendenziale confinamento delle allegazioni in fatto nella fase preparatoria della causa, negano pure<br />

(salva la rimessione in termini) la possibilità di contestazioni successive alla prima udienza (di<br />

trattazione), finendo per individuare un’altra preclusione che la legge non prevede (32).<br />

A mio avviso una siffatta innovazione, opportunamente modulata (attraverso una più puntuale<br />

specificazione dei comportamenti in cui deve tradurrsi la contestazione) e limitata ai processi aventi<br />

ad oggetto diritti disponibili, sarebbe stata da accogliere col massimo favore, poiché, consentendo<br />

una più chiara ed immediata selezione dei fatti da provare, avrebbe contribuito in misura<br />

determinante a realizzare una vera fase preparatoria del processo, e nel contempo a consentirne<br />

quella più netta separazione dalla fase stricto sensu istruttoria che lo stesso legislatore<br />

dichiaratamente si proponeva. Allo stato, però, mi sembra piuttosto difficile approdare a questo pur<br />

auspicabile risultato – che si tradurrebbe nell’introduzione di una preclusione “implicita” ben più<br />

incisiva di quelle contro le quali, a torto o a ragione, è insorta l’avvocatura – muovendo dall’art.<br />

167. È il caso di ricordare, a tal proposito, che la giurisprudenza di gran lunga prevalente, sulla scia<br />

di autorevole dottrina (33), ha sempre ritenuto, fino ad oggi, che, per aversi “non contestazione”,<br />

con l’effetto di escludere il fatto non contestato dal thema probandum, non fosse sufficiente il mero<br />

silenzio di una parte (pur costituita) circa i fatti allegati ex adverso, ma fosse necessario, invece, che<br />

la parte stessa ammettesse esplicitamente tali fatti, oppure impostasse la propria difesa su argomenti<br />

logicamente inconciliabili con il disconoscimento dei medesimi (c.d. ammissione implicita) (34).<br />

L’unico temperamento, peraltro non trascurabile, è stato spesso individuato sul piano probatorio,<br />

riconoscendo la possibilità di trarre elementi di prova dal silenzio o, più in generale, dal<br />

comportamento processuale della parte destinataria delle allegazioni non (espressamente) contestate

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