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PRECLUSIONI DI MERITO E PRECLUSIONI ISTRUTTORIE NEL ...

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“alle parti una accelerazione dell’iter processuale non richiesta”, bensì, piuttosto, quella di<br />

“consentire alla parte che abbia interesse ad una sollecita decisione sul merito di ottenerla,<br />

sventando ogni tattica dilatoria dell’avversario o l’eventuale inerzia del giudice” (18). Sul piano più<br />

strettamente positivo, d’altronde, quest’affermazione di principio trova riscontro e perfetta<br />

corrispondenza nella mancata riproduzione del divieto delle udienze di mero rinvio, già adottato per<br />

il processo del lavoro con l’ult. comma dell’art. 420 c.p.c.. Questa omissione, certamente non<br />

involontaria, sta a testimoniare che ciò che stava a cuore al legislatore non era assicurare la<br />

concentrazione del processo a qualunque costo e pure prescindendo dalla volontà delle parti, ma<br />

solo offrire una tutela processuale più efficiente e razionale alla parte che intendesse realmente<br />

approfittarne.<br />

Se a ciò si aggiunge, poi, che le preclusioni introdotte nel rito ordinario sono [ed erano, si badi, già<br />

prima che i più recenti decreti-legge ne ridimensionassero ulteriormente il rigore] di gran lunga più<br />

graduali ed elastiche di quelle sperimentate nel processo del lavoro, mi par lecito concludere che la<br />

riforma del ‘90 non implica alcun mutamento di rotta rispetto al tradizionale orientamento secondo<br />

cui, nel processo ordinario di primo grado, la violazione delle preclusioni (fino ad oggi prospettabile<br />

essenzialmente in relazione alla proposizione di domande nuove o riconvenzionali) ha carattere<br />

relativo (19) e resta dunque sanata, a seconda dell’opinione che si ritenga preferibile, in seguito alla<br />

mancata opposizione (20) oppure in seguito all’effettiva accettazione del contraddittorio<br />

proveniente dalle altre parti (21).<br />

In altre parole, se è vero che le preclusioni non tutelano esclusivamente il diritto di difesa dei<br />

litiganti, bensì mirano ad assicurare un più ordinato e razionale svolgimento del processo, ciò non<br />

toglie che siffatto obiettivo – immanente, si badi, a qualunque ordinamento processuale (e dunque<br />

anche al rito ordinario ante riforma) – sia pur sempre perseguito nel prevalente interesse delle parti<br />

(o almeno della parte che al processo ha dato vita), e pertanto, lungi dall’elevarsi a principio di<br />

ordine pubblico, debba intendersi, in assenza di contrarie indicazioni positive, tendenzialmente<br />

disponibile dalle parti medesime (22).<br />

Questa conclusione, già provvista di un autonomo rilievo rispetto per l’appunto al regime delle<br />

preclusioni di cui ci si sta occupando, tornerà particolarmente utile per valutare l’effettiva rigidità<br />

dello schema di trattazione della causa delineato negli artt. 180, 183 e 184 c.p.c.<br />

5. – A mio avviso, infatti, la premessa fondamentale dalla quale occorre muovere è che, sebbene<br />

l’art. 183 (cui è strettamente collegato il successivo art. 184) faccia espresso riferimento alla “prima<br />

udienza di trattazione”, lasciando in tal modo intendere che questa prima udienza dovrebbe<br />

tendenzialmente esaurire tutta l’attività di trattazione e contestualmente aprire la strada finanche alle<br />

deduzioni istruttorie di cui all’art. 184, ciò non esclude affatto, però, che le attività da tale norma<br />

contemplate possano legittimamente snodarsi attraverso una pluralità di udienze di trattazione,<br />

anche al di fuori delle ipotesi espressamente considerate dal legislatore; né significa, comunque, che<br />

le attività consentite alle parti dagli artt. 183 e 184 restino in ogni caso precluse, rispettivamente,<br />

dopo la prima o dopo la seconda udienza.<br />

Cominciando dalla prima questione, che in un certo senso appare pregiudiziale, io non vedo motivi<br />

per negare, alla luce di quanto osservato nel precedente § 4.2 circa i limiti del principio di<br />

concentrazione, neppure la piena legittimità di “pause”, e dunque di rinvii della prima udienza,<br />

determinate dalla mera volontà concorde delle parti.<br />

A prescindere da questa eventualità, comunque, è fin troppo facile prospettarsi infinite situazioni in<br />

cui la concentrazione del processo – nella specie la tendenziale unitarieta dell’udienza disciplinata<br />

nell’art. 183 – dovrà cedere il passo ad esigenze obiettive del contraddittorio o di altra natura, tali da<br />

rendere inevitabile il frazionamento della trattazione, e più precisamente delle attività contemplate<br />

dagli artt. 183 e 184, in più udienze (23). Si pensi, in primo luogo, ai molti casi in cui, anche in<br />

relazione al numero di cause “nuove” chiamate alla medesima udienza, risulterà semplicemente<br />

impossibile esaurire le suddette attività in un’unica udienza; magari perché, data la particolare

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