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PRECLUSIONI DI MERITO E PRECLUSIONI ISTRUTTORIE NEL ...

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fissazione di termini a lui rimessa dalla legge (v. ad es. l’art. 81, 2° comma, disp. att.; gli artt. 415,<br />

3° comma, 420, 6°, 8° e ult. comma, e 435, 1° comma, c.p.c.; l’art. 307, 3° comma, ult. parte, c.p.c.;<br />

il nuovo art. 168-bis, 5° comma, c.p.c.). Com’è noto, peraltro, si tratta di norme assai spesso violate,<br />

se non addirittura, in qualche caso, superate dalla prassi, e comunque prive di sanzione, quanto<br />

meno sul piano strettamente processuale (prescindendo, ovviamente, dai possibili riflessi di ordine<br />

disciplinare); anche perché da tutti si ammette che sarebbe assurdo far pagare alle parti il prezzo del<br />

comportamento del giudice.<br />

Del tutto diverso è invece il rilievo delle disposizioni che, avendo sempre come obiettivo la<br />

concentrazione del processo, stabiliscono direttamente dei termini perentori per il compimento di<br />

determinate attività delle parti (si pensi, per il processo del lavoro, all’art. 416, nonché, per il<br />

riformato rito ordinario, agli artt. 38, 40, 2° comma, e ai già menzionati artt. 167 e 269 c.p.c.): in<br />

questo caso, infatti, lo spirare del termine produce direttamente ed immancabilmente la perdita del<br />

potere non esercitato, e dunque può avere effetti ben piu incisivi sul processo e sulla decisione.<br />

Una situazione in un certo senso intermedia, ma ben più frequente dell’ultima testé considerata, si<br />

verifica allorché il termine riguardi un’attività delle parti che dev’essere autorizzata dal giudice e<br />

nel contempo compiuta entro un termine fissato dal giudice stesso. In questi casi, infatti, è ben<br />

possibile che l’istanza di parte, volta ad ottenere la fissazione del termine, sia consentita dalla legge<br />

entro un determinato momento del processo, che segnerebbe la consumazione del relativo potere;<br />

ma è chiaro che, al di fuori di tale ipotesi, e comunque quando l’istanza sia proposta<br />

tempestivamente, nessuna preclusione può scattare in danno delle parti fino a quando il giudice non<br />

abbia provveduto ad assegnare il termine e quest’ultimo non sia decorso.<br />

Nel prosieguo dell’indagine si avrà modo di verificare quali di queste tecniche siano state utilizzate<br />

relativamente alla fase di trattazione del processo. Per intanto mi sembra interessante sottolineare<br />

come, a mio sommesso avviso, proprio una non limpida distinzione fra le suddette tecniche sia alla<br />

base di un ricorrente equivoco circa le caratteristiche del nuovo procedimento dinanzi al giudice di<br />

pace; nel senso che, sebbene a tale procedimento siano pacificamente inapplicabili le disposizioni<br />

riguardanti la fase introduttiva del processo ordinario, e sebbene i novellati artt. 320 e 321 non<br />

discorrano in alcun modo di termini perentori, una parte della dottrina finisce coll’individuarvi un<br />

sistema di preclusioni “implicite” finanche più rigide e repentine di quelle che governerebbero il<br />

processo dinanzi al tribunale (13). Risultato, quest’ultimo, palesemente confliggente con le<br />

caratteristiche di minore complessità e tecnicismo che hanno sempre contraddistinto il<br />

procedimento dinanzi al giudice onorario.<br />

4.2. – Un secondo punto sul quale è opportuno riflettere riguarda l’effettivo valore attribuito dal<br />

legislatore del ‘90 alla concentrazione del processo. La maggior parte dei primi commentatori della<br />

riforma, per il sol fatto che la legge 353/90 ha (re)introdotto un sistema organico di preclusioni, ha<br />

ritenuto logico e doveroso prospettare soluzioni analoghe a quelle che si erano andate consolidando<br />

per il rito del lavoro; rispetto al quale si è soliti affermare, com’è noto, che la disciplina delle<br />

preclusioni “risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo,<br />

in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano” (14), sicché la<br />

sua violazione è rilevabile d’ufficio e non può essere superata, almeno per quel che concerne i limiti<br />

alle domande ed eccezioni nuove (ma non anche, stranamente, per quanto riguarda i limiti alle<br />

richieste istruttorie) (15), neppure dalla non opposizione della parte avversa (16). In altre parole si<br />

potrebbe dire che, tenuto conto degli obiettivi perseguiti dal legislatore del ‘90, la concentrazione<br />

del processo avrebbe assunto un valore strettamente pubblicistico, sottratto, in quanto tale, alla<br />

disponibilità delle parti.<br />

A mio avviso, però, una siffatta conclusione è priva di una base positiva e non trova corrispondenza<br />

neppure nelle intenzioni del legislatore, quali emergono dai lavori preparatorii. Cominciando<br />

proprio da questi ultimi, mi sembra estremamente significativo il passo della Relazione al Senato<br />

(17) in cui si sottolinea che la finalità fondamentale perseguita dalla riforma non è quella di imporre

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