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PRECLUSIONI DI MERITO E PRECLUSIONI ISTRUTTORIE NEL ...

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(35). Ciò che è importante sottolineare, tuttavia, è che questo tradizionale orientamento è stato per<br />

lo più ribadito pure in relazione al rito del lavoro, sebbene l’art. 416, 2° comma, c.p.c., con una<br />

formulazione ben più perentoria rispetto a quella del nuovo art. 167, faccia obbligo al convenuto, tra<br />

l’altro, di “prendere posizione [nella memoria difensiva] in maniera precisa e non limitata ad una<br />

generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda” (36); sicché<br />

appare quanto meno improbabile ch’esso venga rivisitato e radicalmente modificato rispetto al<br />

nuovo rito ordinario.<br />

Ragionando in concreto, d’altronde, a me pare che, per conseguire gli obiettivi ed i vantaggi<br />

poc’anzi indicati, sarebbe già più che sufficiente ammettere che dagli artt. 167, 1° comma, e 416, 3°<br />

comma, c.p.c. può oggi desumersi, in via sistematica, la positiva introduzione di un vero e proprio<br />

onere di contestazione (o, se si preferisce, di “dichiararsi”); senza dover pure dimostrare – mèta a<br />

mio avviso assai più impervia – che sussista un termine, più o meno rigido, per assolvere<br />

quell’onere. Dal punto di vista pratico, infatti, una volta stabilito che anche il mero silenzio serbato<br />

da una parte (costituita) di fronte alle avverse allegazioni rende pacifici i fatti oggetto di tali<br />

allegazioni, escludendoli dunque dal thema probandum, l’eventualità di una contestazione<br />

successiva [eventualità di per sé piuttosto remota, laddove il giudice abbia sfruttato nel migliore dei<br />

modi l’interrogatorio libero previsto dal nuovo art. 183 c.p.c.], che intervenga in un momento in cui<br />

non siano più ammesse ulteriori richieste istruttorie, per un verso puo essere sanzionata, se<br />

ingiustificata, attraverso un’opportuna valutazione di tale comportamento processuale, ai sensi<br />

dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. (37), e per altro verso può comunque trovare un adeguato rimedio<br />

nella rimessione in termini a norma dell’art. 184-bis (v. infra il § 9).<br />

8. – Dopo aver parlato di preclusioni assai dubbie, è venuto finalmente il momento di esaminare<br />

quelle previste in modo più o meno esplicito dagli artt. 183 e 184, soprattutto per stabilire in quale<br />

momento della trattazione della causa esse più precisamente operino.<br />

Appurato, infatti, che l’unitarietà dell’udienza disciplinata nell’art. 183 rappresenta un valore<br />

tendenziale, ma nient’affatto cogente, è chiaro che il problema testé prospettato non può tollerare<br />

soluzioni generalizzanti oppure fondate su un criterio meramente cronologico (che faccia in ogni<br />

caso riferimento, cioè, alla “prima” udienza di trattazione), ma dev’essere affrontato tenendo conto<br />

del concreto svolgimento dell’attività di trattazione, secondo uno schema progressivo, in parte<br />

desumibile dalle stesse norme in esame, che si articola attraverso l’interrogatorio libero delle parti e<br />

il tentativo di conciliazione, la segnalazione e la trattazione delle questioni rilevabili d’ufficio, la<br />

definizione del thema decidendum e del thema probandum, ed infine l’esame delle richieste<br />

istruttorie delle parti. Mi rendo conto che la ricostruzione che mi accingo a prospettare può apparire<br />

per qualche aspetto ed in qualche misura arbitraria o comunque opinabile. E tuttavia a me pare<br />

ch’essa per un verso sia imposta dalle esigenze obiettive dianzi illustrate, e per altro verso sia<br />

autorizzata da una certa reticenza del legislatore; il quale discorre sì di termini “perentori”<br />

assegnabili dal giudice, ma non stabilisce espressamente fino a quale momento le parti possano<br />

farne istanza (38).<br />

Fatta questa doverosa premessa, un primo punto da tener fermo mi sembra il seguente: poiché<br />

l’interrogatorio libero delle parti rappresenta, per espressa indicazione del legislatore, il primo e<br />

fondamentale tassello dell’attività di trattazione della causa, non è pensabile che le attività<br />

contemplate dagli ultimi due commi dell’art. 183 e dall’art. 184 possano rimanere precluse allorché<br />

la “prima” udienza di trattazione si sia risolta, per una qualunque delle ragioni esemplificativamente<br />

indicate nel precedente § 5, in un’udienza di mero rinvio (ragioni tra le quali va compresa, a mio<br />

avviso, anche la concorde richiesta delle parti), senza che la trattazione medesima abbia avuto<br />

neppure inizio. Tale principio, del resto, è stato fino ad oggi più volte ribadito, per il rito ordinario,<br />

in relazione alla preclusione prevista, quanto alla chiamata in causa di un terzo, dal previgente art.<br />

269 c.p.c.; essendosi per l’appunto riconosciuto che il riferimento alla “prima udienza”, ivi<br />

contenuto, doveva intendersi non in senso meramente cronologico, bensì come indicativo della fase

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