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96 E’ inoltre contestabile che rispetto all’Ottocento valgano di più i fattori di espulsione (push factors) che di attrazione (pull factors) visto che la globalizzazione crea posti di lavoro poco qualificati nel primo mondo, chiamando i migranti. Per l’Italia spesso si parla di modello mediterraneo, cioè di una tipologia di migrazione valida anche per Spagna, Portogallo, Grecia (servizi alla famiglia, terziarizzazione ecc.), diversa da quella dei paesi di più vecchia immigrazione dove sono maggiormente presenti lavoratori nelle industrie e migranti di sesso maschile. Ma in realtà in Italia molti sono gli immigrati che lavorano nell’area della industria diffusa. L’immigrazione da noi inizia con lo shock petrolifero. Il 1974 è l’anno fatale in cui il numero di espatri è inferiore di quello di chi entra. Ma in realtà non si viene solo per la chiusura delle frontiere dell’Europa ricca ma per le caratteristiche stesse della nostra economia e della nostra società in generale, per esempio un particolare tipo di welfare che scarica sulle famiglie la gestione di una popolazione sempre più anziana. Oggi l’immigrazione è radicata nel paese non solo per via dei ricongiungimenti familiari e della presenza delle seconde generazioni ma perché svolge funzioni indispensabili. Agli inizi l’immigrazione viene ignorata dallo Stato; non esiste un sistema capace di rilevarla. Negli anni l’apparato di controllo si raffina e vengono promulgate 4 leggi (1986, 1990, 1998, 2002) e 5 sanatorie; lo stesso sistema delle sanatorie è applicato in Spagna e Portogallo. Ciò è indice di una mancanza progettuale sul fenomeno migratorio. La tendenza italiana non è quella di vedere l’immigrato come persona indispensabile per l’andamento del paese, individuo da integrare nella società ma come un soggetto estraneo da controllare. L’ultima legge, la cosiddetta Bossi/Fini, ne fa un Gastarbeiter, cioè una persona che vale solo in quanto vende la sua forza lavoro, ignorando il fatto che la nostra società è ormai una società multietnica. L’agenda dell’attuale governo dovrebbe rivedere in senso favorevole all’immigrato le disposizioni ora vigenti. Caratteristica della nostra immigrazione è l’altissima differenziazione dei gruppi etnici presenti, più di 190, quanto più o meno sono i paesi rappresentati all’ONU. Questo pone ovvi problemi di politiche di incorporazione. Vi è inoltre una presenza equilibrata fra generi, se si considerano gli immigrati nell’insieme; però spesso un genere prevale sull’altro in maniera netta se si considerano invece i singoli gruppi etnici: ad esempio i marocchini o i senegalesi sono per lo più maschi; filippini e peruviani e migranti dall’Europa dell’Est per lo più femmine. L’immigrazione al femminile, che è presente da noi sin dagli inizi, si pensi alle eritree e alle capoverdiane, smentisce pertanto l’ormai classico schema di Bohning, secondo cui emigrerebbero prima i giovani maschi; altra dissonanza rispetto allo schema è l’alto livello di istruzione, superiore a quello della popolazione italiana, in particolare tra gli immigrati europei e asiatici; più basso è il livello di istruzione tra gli africani. Pertanto si verifica il fenomeno del waste brain, lo spreco dei cervelli; persone con alte qualifiche professionali vengono impiegate in lavori dequalificati. A oggi ogni 5 europei vi sono 2 asiatici, 2 africani, 1 americano. La grande crescita degli ultimi anni è infatti dell’Europa orientale. Le etnie più presenti nel nostro paese sono gli albanesi, i marocchini e i rumeni, ma ci sono notevoli differenze a seconda delle aree considerate; ad esempio a Milano prevalgono i filippini e gli egiziani. Gli immigrati che crescono percentualmente di più negli ultimi anni sono ucraini, moldavi, equadoregni, tutti gruppi con una netta prevalenza di popolazione femminile (tab.1). La religione musulmana è la seconda dopo la cristiana con un milione di adepti.
Tab. 1 Popolazione straniera residente per paese di cittadinanza e sesso al 1° gennaio 2004 e al 1° gennaio 2006. Primi 12 paesi (fonte Istat) 1.1.2004 1.1.2006 Cittadinanza Totale % F Cittadinanza Totale % F Albania 270.383 42,6 Albania 348.813 43,6 Marocco 253.362 38 Marocco 319.537 39,0 Romania 177.812 51,2 Romania 297.570 51,8 Cina 86.738 47,3 Cina 127.822 46,6 Filippine 72.372 60,4 Ucraina 107.118 81,8 Tunisia 68.630 33,3 Filippine 89.668 59,0 Ucraina 57.971 85,2 Tunisia 83.564 33,7 Serbia e Montenegro 51.708 44,8 Serbia e Montenegro 64.070 44,7 Macedonia 51208 39,6 Macedonia 63.245 41,1 Senegal 46.478 15,3 Equador 61.953 61,6 India 44.791 38,7 India 61.847 38,0 Perù 43.009 63,2 Polonia 60.823 72,9 La distribuzione degli immigrati segue lo sviluppo del paese; ve ne sono di più a Nord e al centro, meno al sud e nelle isole (tab. 2). Sono presenti in specie nei distretti industriali e dove è forte la piccola impresa. Il servizio alle famiglie lo si trova invece ovunque, al sud come al nord; lo stesso vale per l’impiego in agricoltura ma c’è una grossa differenza fra gli indiani punjabi impiegati nella zootecnia nella zona di Brescia o Reggio Emilia e i lavoratori in nero che raccolgono i pomodori ad esempio nel Casertano. La forte presenza di immigrati nel lavoro subordinato nel nord est è una caratteristica italiana. Rispetto ad altri paesi mediterranei ma anche di antica immigrazione l’Italia si distingue inoltre per una minore importanza del modello metropolitano, cioè una forte concentrazione della immigrazione nelle grandi città, anche se le province di Milano e Roma raccolgono insieme una percentuale superiore al 20% del totale degli stranieri. Questa maggiore dispersione sul territorio potrebbe, secondo alcuni studiosi, essere un bene per evitare episodi come quelli avvenuti recentemente nella banlieue parigina. 97
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