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pre <strong>in</strong>combente, e che, non a caso, quando avrà il sopravvento gl’impedirà di scrivere.<br />

Il fatto è che il mito Campana non è un fenomeno isolato, ma è <strong>una</strong> manifestazione,<br />

o (lasciatemelo dire…) un s<strong>in</strong>tomo di un’articolazione profon<strong>da</strong> del nostro reale, del<br />

nostro immag<strong>in</strong>ario e del nostro sapere, che organizzano la deformazione leggen<strong>da</strong>ria<br />

secondo paradigmi radicati molto <strong>in</strong> profondità nella cultura dell’Occidente, tutta<br />

impegnata ad allontanare e tenere a ba<strong>da</strong> la figura del “folle”: <strong>una</strong> figura seducente e<br />

temibile, forse anche perché, come ci ha <strong>in</strong>segnato Freud, è già dentro di noi, e s’<strong>in</strong>filtra<br />

dovunque, nelle nostre piccole e meno piccole nevrosi, e non solo.<br />

Genio e follia nell’Occidente moderno<br />

Al di là dunque del mito specifico, e della più generale costellazione di narrazioni<br />

leggen<strong>da</strong>rie sul genio pazzo, c’è <strong>in</strong>somma <strong>una</strong> realtà di grande rilevanza storico-sociale,<br />

che è poi anche <strong>una</strong> storia <strong>in</strong> gran parte ancora <strong>da</strong> scrivere: la storia del rapporto che<br />

si determ<strong>in</strong>a nell’Occidente moderno, a partire <strong>da</strong>gli anni della Rivoluzione francese e<br />

del Romanticismo, su su f<strong>in</strong>o al Decadentismo e alle Avanguardie, fra l’<strong>in</strong>tellettuale e<br />

la follia. Non ci vuole molto impegno per ricor<strong>da</strong>rsi degli <strong>in</strong>numerevoli filosofi, poeti<br />

e artisti tutti più o meno conclamatamene “pazzi”: Nerval e Hölderl<strong>in</strong>, Maupassant e<br />

Nietzsche, Van Gogh e Ligabue, Althusser e Artaud, e certo l’elenco potrebbe cont<strong>in</strong>uare<br />

molto a lungo. Guar<strong>da</strong> caso, appena poco meno numerosi sono i filosofi, poeti e<br />

artisti vagabondi, <strong>da</strong> Rimbaud a Cendrars, alla folla dei “bums” della tradizione americana.<br />

E forse ancora più numerose sono le morti precoci, qualche volta misteriose:<br />

Keats, Shelley, Byron, Novalis, Lautréamont.<br />

Nel caso di Campana, bisognerebbe poi aggiungervi anche le tragedie della sua<br />

(straord<strong>in</strong>aria) generazione poetica, italiana e non solo: che è poi la generazione dell’età<br />

dell’espressionismo e della Grande Guerra. A ben vedere, la tragedia di Campana<br />

non è per nulla isolata: tutto il periodo <strong>da</strong>l 1905 al 1915 è <strong>in</strong>fatti segnato <strong>da</strong><br />

un’impressionante serie di morti precoci, e di vicende esistenziali segnate <strong>da</strong> violenti<br />

traumi. Se Slataper, Giani Stuparich, Serra, Boccioni muoiono <strong>in</strong> guerra, altri muoiono<br />

precocemente di malattia: a com<strong>in</strong>ciare <strong>da</strong>i tisici Gozzano, Corazz<strong>in</strong>i, Bo<strong>in</strong>e, per<br />

cont<strong>in</strong>uare con Federigo Tozzi, morto di spagnola nel 1920, a poco più di trent’anni.<br />

Ma è la medesima violenza della storia, cioè non solo delle d<strong>in</strong>amiche culturali, ma<br />

anche dell’economia e della società, che entra <strong>in</strong> gioco anche <strong>in</strong> molti altri casi, se si<br />

vuole atipici. Penso, per esempio, alla terribile crisi prima nervosa poi religiosa di<br />

Clemente Rebora, che lo porterà <strong>da</strong>ll’orlo della follia alla conversione e ai voti come<br />

frate rosm<strong>in</strong>iano. Ma ancor più a Carlo Michelstaedter, che, nel 1910, scrive la sua<br />

tesi di laurea, La persuasione e la retorica, dimostrando (un po’ come il Kirillov dei<br />

Demoni di Dostoevskij), che vivere è <strong>una</strong> vigliaccheria, e che solo la morte consente<br />

all’uomo <strong>una</strong> vera autoaffermazione: consegnata la tesi, con <strong>una</strong> coerenza ideologica<br />

che, giust’appunto, rasenta la follia, si ammazza.<br />

Il fatto è che è la moderna società capitalistica a costruire un rapporto profondo<br />

tra il lavoro <strong>in</strong>tellettuale e la follia, perché (<strong>in</strong> <strong>una</strong> parola) marg<strong>in</strong>alizza il lavoro <strong>in</strong>tellettuale,<br />

lo priva di un antichissimo prestigio, <strong>in</strong>card<strong>in</strong>ato sulla figura tradizionale<br />

dell’<strong>in</strong>tellettuale umanistico, per proiettarlo senza rete nell’universo dell’economicità;<br />

così, proprio mentre la nascita dei diritti d’autore e dell’<strong>in</strong>dustria culturale offrono<br />

nuove <strong>in</strong>edite possibilità di gua<strong>da</strong>gno e di affermazione, lo scrittore si ritrova, traumaticamente,<br />

a perdere la propria aureola (come esemplarmente simboleggiato <strong>in</strong> un<br />

geniale Poème en prose di Baudelaire, <strong>in</strong>titolato appunto Perte d’auréole). Ma, al di là

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