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42<br />

all’esperienza universale, non fa venir meno la ricerca di effetti di straniamento. E’ un<br />

po’ come se Calv<strong>in</strong>o ci dicesse: non dovete dimenticare che anche per il mio libro vale<br />

la massima “de te fabula narratur”, però sappiate che proprio per poter parlare di ciò<br />

che ci sta a cuore devo servirmi di uno schermo, devo proiettare su uno sfondo lontano<br />

le attese e gli <strong>in</strong>cubi del presente.<br />

Al term<strong>in</strong>e del corsivo che apre il secondo capitolo <strong>leggere</strong>mo:<br />

L’altrove è uno specchio <strong>in</strong> negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è<br />

suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà (RRII, 379).<br />

E’ <strong>una</strong> frase-chiave, come ha ben visto Belpoliti 4 , <strong>una</strong> frase che ha valore autoriflessivo,<br />

che spiega molto dell’operazione compiuta <strong>da</strong> Calv<strong>in</strong>o. Le Città <strong>in</strong>visibili ci<br />

pongono d<strong>in</strong>anzi un “altrove”, e questo altrove è uno specchio, cioè <strong>una</strong> superficie che<br />

riproduce pur sempre aspetti della realtà effettuale. Ma è uno specchio “<strong>in</strong> negativo”,<br />

uno sorta di specchio magico: è uno specchio che ci restituisce aspetti della realtà che<br />

non sono <strong>in</strong> luce, ma <strong>in</strong> ombra, che mostra anche e soprattutto ciò che normalmente<br />

non vediamo. Lo sguardo di Marco e di Kublai, di due stranieri che parleranno di città<br />

straniere, sarà dunque il mezzo privilegiato attraverso cui si tenterà di recuperare<br />

quella distanza - quella prospettiva “altra”, per riprendere il term<strong>in</strong>e che contraddist<strong>in</strong>gue<br />

il titolo di questo convegno - che sola può permetterci di non restare sopraffatti <strong>da</strong>i<br />

mille impicci delle <strong>in</strong>combenze spicciole.<br />

Quanto all’impero che viene nom<strong>in</strong>ato nel corsivo-prefazione, e nell’ambito del<br />

quale cont<strong>in</strong>ueranno a dialogare i protagonisti-narratori: si tratta, con ogni evidenza,<br />

di <strong>una</strong> metafora. L’impero sterm<strong>in</strong>ato di Kublai è <strong>in</strong> primo luogo figura del “villaggio<br />

globale” di cui tutti facciamo parte. Ma le metafore, si sa, hanno spesso un significato<br />

polivalente. L’impero di Kubai è anche figura del modesto e tuttavia prezioso regno<br />

personale che ciascuno di noi ritiene di aver conquistato: <strong>una</strong> famiglia, <strong>una</strong> casa, <strong>una</strong><br />

carriera (se siamo stati fort<strong>una</strong>ti), magari anche soltanto un patrimonio di esperienze<br />

faticosamente accumulate, che sentiamo come propriamente nostre. Ma ecco che a un<br />

certo punto della nostra vita, quando l’età non è più verde, tutto ciò ci appare vano, <strong>in</strong>soddisfacente,<br />

privo di senso, pericolante… Non va dimenticato, del resto, che quando<br />

com<strong>in</strong>ciò a scrivere le Città <strong>in</strong>visibili Calv<strong>in</strong>o an<strong>da</strong>va avvic<strong>in</strong>andosi ai c<strong>in</strong>quant’anni,<br />

e che il suo giudizio sulle profonde trasformazioni che la società aveva subito nell’ultimo<br />

decennio era tutt’altro che positivo.<br />

L’<strong>in</strong>sistenza poi sul motivo dello “sfacelo senza f<strong>in</strong>e né forma” va posta <strong>in</strong> rapporto<br />

con il modo <strong>in</strong> cui Calv<strong>in</strong>o percepiva la crisi della civiltà moderna. E qui va rammentato<br />

come anche nei suoi scritti saggistici egli avesse sempre mostrato di non condividere<br />

affatto i timori di Max Weber, che nelle pag<strong>in</strong>e conclusive del suo libro Etica del<br />

protestantesimo e formazione del capitalismo aveva paventato per il futuro <strong>una</strong> sorta<br />

di “impietramento nella meccanizzazione”; e ancor meno aveva accettato le diagnosi<br />

di Horkheimer e Adorno, secondo le quali l’alienazione contemporanea discenderebbe<br />

<strong>da</strong> un sistema troppo rigi<strong>da</strong>mente f<strong>in</strong>alizzato e rispondente a regole pervasive <strong>in</strong> grado<br />

di riassorbire ogni forma di dissenso. Non per nulla, nel presentare sotto il titolo Una<br />

pietra sopra i suoi più importanti “discorsi di letteratura e società”, Calv<strong>in</strong>o polemiz-<br />

4. Cfr. Marco Belpoliti, Settanta, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o 2001, p. 188.

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