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Atti della quarta edizione del convegno letterario ADI-SD<br />

a cura di Barbara Peroni<br />

3


4<br />

progetto grafico www.mite<strong>in</strong>transigente.it<br />

f<strong>in</strong>ito di stampare aprile 2007


Indice<br />

Presentazione: Le ragioni di un convegno p. 9<br />

GIULIANA NUVOLI, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Dante e l’Islam p. 13<br />

AHMAD VINCENZO, Scrittore<br />

San Francesco e il Sultano, l’Occidente e l’Islam p.28<br />

EMANUELE ZINATO, Università degli Studi di Padova<br />

Sui limiti della critica postcoloniale. L’Altro <strong>in</strong> Tasso, Par<strong>in</strong>i e Primo Levi p.34<br />

CLAUDIO MILANINI, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Utopia e realtà nelle “Città <strong>in</strong>visibili” di Italo Calv<strong>in</strong>o p.39<br />

NICOLA GARDINI, Università degli Studi di Palermo<br />

Uno sguardo <strong>da</strong> Caprona: Pascoli e le terre d’oltremare p.56<br />

GIANNI TURCHETTA, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Il poeta, il vagabondo, l’emigrante: i viaggi di D<strong>in</strong>o Campana p.70<br />

EMILIA PERASSI, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Carlo Emilio Gad<strong>da</strong> tra Spagna e America Lat<strong>in</strong>a p.83<br />

ELISA BIANCHI, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Stranieri a <strong>Milano</strong> p.95<br />

CARMINE ABATE, Scrittore<br />

Scrivere l’altro: <strong>da</strong>l “Muro dei muri” al “Mosaico del tempo grande” p.107<br />

MARTINO MARAZZI, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

«Azzorrait»: microscopie della l<strong>in</strong>gua italiana <strong>in</strong> emigrazione p.110<br />

BRUNO PISCHEDDA, Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Dalle Langhe al Middle West.<br />

C<strong>in</strong>que riflessioni su Pavese ed il mito americano p.120<br />

PAP KHOUMA, Scrittore<br />

“El Ghibli”: la scrittura degli emigranti p.129<br />

ROMANO LUPERINI, Università degli Studi di Siena<br />

L’<strong>in</strong>contro con l’altro: Svevo, Tozzi, Kafka, Pirandello p.135<br />

PAOLO GIOVANNETTI, Università IULM - <strong>Milano</strong><br />

Il nero, lo slavo, il greco: alterità nel Romanticismo italiano. p.144<br />

7


Presentazione:<br />

Le ragioni di un convegno<br />

BARBARA PERONI<br />

Direttivo nazionale ADI-SD<br />

Apriamo i lavori del IV convegno promosso <strong>da</strong>ll’ADI-SD a <strong>Milano</strong>: due giorni<br />

nell’Aula Magna di questa bella università milanese.<br />

Il mio primo r<strong>in</strong>graziamento va al Magnifico Rettore, professor Enrico Decleva, per<br />

l’ospitalità offertaci.<br />

Siamo al IV convegno milanese della sezione di<strong>da</strong>ttica dell’ADI.<br />

Quattro anni fa, con un po’ di ironia verso la nostra città, l’avevamo battezzato “<strong>Milano</strong><br />

<strong>da</strong> <strong>leggere</strong>”, poi <strong>da</strong> quel primo <strong>in</strong>contro “<strong>Milano</strong>” ha preso forza e forma,ed è<br />

diventata <strong>una</strong> tematica portante, un appuntamento annuale aperto ai mille argomenti<br />

proposti <strong>da</strong>lla letteratura.<br />

Non nascondo che ne sono molto contenta. Anche la tempestiva pubblicazione delle<br />

relazioni ha avuto un buon riscontro tra docenti e gli alunni dell’ultimo anno delle<br />

superiori e ha contribuito a radicare l’esperienza.<br />

La prima a credere nel nostro lavoro è stata la Direzione Regionale, ci ha appoggiato<br />

e sempre sostenuto.<br />

Anzi mi piace dire che il direttore uscente, M.Dutto, ha man<strong>da</strong>to un affettuoso saluto<br />

e-mail per complimentarsi con l’ADI che ha saputo “con lungimiranza creare a <strong>Milano</strong><br />

occasioni di riflessione e di crescita per docenti e studenti delle scuole lombarde”, si<br />

dice molto <strong>in</strong>teressato al tema, difficile ed <strong>in</strong>esplorato, affrontato quest’anno. Ha gia<br />

prenotato gli Atti. Lo r<strong>in</strong>graziamo ancora e gli facciamo i nostri migliori auguri per il<br />

suo nuovo <strong>in</strong>carico a Roma.<br />

Quest’anno anche la Prov<strong>in</strong>cia ha apprezzato la nostra proposta culturale e ha deciso<br />

di collaborare alla realizzazione dell’evento. R<strong>in</strong>graziamo, dunque, per il generoso<br />

contributo il Settore Cultura della Prov<strong>in</strong>cia di <strong>Milano</strong>.<br />

Inf<strong>in</strong>e, non certo ultima per valore, r<strong>in</strong>graziamo la scuola di specializzazione per<br />

l’<strong>in</strong>segnamento secon<strong>da</strong>rio, le SILSIS-MI.<br />

Il professor Claudio Citr<strong>in</strong>i, Direttore Scuola Interuniversitaria Lombar<strong>da</strong> di Specializzazione<br />

per l’Insegnamento Secon<strong>da</strong>rio, e la professoressa Giuliana Alb<strong>in</strong>i, Vi-<br />

9


10<br />

cedirettore e coord<strong>in</strong>atore dell’<strong>in</strong>dirizzo l<strong>in</strong>guistico-letterario, appoggiando e contribuendo<br />

f<strong>in</strong>anziariamente alla realizzazione delle due giornate e alla stampa degli atti,<br />

hanno sottol<strong>in</strong>eato l’importanza del raccordo tra la comunità scientifica e il mondo<br />

della scuola.<br />

Questi r<strong>in</strong>graziamenti, assolutamente lungi <strong>da</strong> piaggeria, mi sembrano offrire la<br />

dimostrazione che la sfi<strong>da</strong> di imparare a <strong>in</strong>segnare, oggetto della discussione <strong>in</strong> questa<br />

aula, sia stata condivisa e accettata <strong>da</strong> parte delle autorità.<br />

Il momento di riflessione sui temi fon<strong>da</strong>nti nella formazione degli <strong>in</strong>segnanti e nella<br />

loro crescita culturale si è an<strong>da</strong>to rafforzando. In questi due giorni si cercherà di affrontare<br />

lo sp<strong>in</strong>oso problema di come la metodologia va<strong>da</strong> coniugata con i contenuti.<br />

Molti soci conoscono bene questi propositi dell’associazione.<br />

Siamo proprio nati nel febbraio del 2001<br />

• Per rappresentare gli <strong>in</strong>segnanti di italiano di ogni ord<strong>in</strong>e e grado;<br />

• Per stabilire un rapporto organico e un <strong>in</strong>terscambio permanente di riflessione<br />

e di esperienze tra ricerca universitaria <strong>in</strong> ambito di di<strong>da</strong>ttica<br />

dell’italiano (l<strong>in</strong>gua e letteratura) e scuola;<br />

• Per partecipare attivamente e criticamente ai processi di <strong>in</strong>novazione del<br />

sistema scolastico con riferimento specifico alle problematiche dell’educazione<br />

l<strong>in</strong>guistica e dell’educazione letteraria;<br />

• Per predisporre un’istanza di coord<strong>in</strong>amento e uno strumento di cooperazione<br />

per la realizzazione di progetti e di esperienze di aggiornamento e<br />

di formazione permanente degli <strong>in</strong>segnanti;<br />

• Per predisporre progetti di cont<strong>in</strong>uità tra scuola e formazione superiore,<br />

anche nell’ambito delle scuole di specializzazione per <strong>in</strong>segnanti.<br />

Spero che molti altri docenti condivi<strong>da</strong>no questo disegno, dunque si assoc<strong>in</strong>o e<br />

partecip<strong>in</strong>o attivamente agli scambi culturali che cerchiamo di creare <strong>in</strong> molte città<br />

italiane. L’ambizione dell’ADI è di co<strong>in</strong>volgere tutti i professori di materie letterarie<br />

che lavorano nella scuola, sia <strong>da</strong> tanto che <strong>da</strong> poco tempo, per creare un terreno comune<br />

di esperienze e problematiche condivise.<br />

Tutti gli anni abbiamo proposto <strong>una</strong> tematica che ci sembrava essere un tassello<br />

utile per l’aggiornamento discipl<strong>in</strong>are e per la riflessione di <strong>in</strong>terpretazioni critiche e<br />

<strong>in</strong>cremento di percorsi di<strong>da</strong>ttici. Utilità è forse un brutto term<strong>in</strong>e, molto commerciale,<br />

ma rende l’idea della nostra ricerca di argomenti che <strong>da</strong> un lato siano attuali, dunque<br />

si aprano all’<strong>in</strong>teresse del quotidiano e co<strong>in</strong>volgano l’alunno nella f<strong>in</strong> troppo ricercata<br />

“motivazione”, <strong>da</strong>ll’altro propongano testi letterari <strong>da</strong> conoscere, dibattere, criticare,di<br />

valore riconosciuto. “Utilità”, dunque, perchè ognuno possa giocare sulla molteplicità<br />

dei piani di lettura, usare diversi percorsi, ritagliare delle pag<strong>in</strong>e secondo i propri<br />

obiettivi e i propri dest<strong>in</strong>atari, conv<strong>in</strong>ti che:


“Il valore formativo dell’educazione letteraria che, <strong>in</strong>sistendo sulla letteratura<br />

come punto di <strong>in</strong>contro fra il passato e il presente, la storia materiale e<br />

l’immag<strong>in</strong>ario, il cosciente e il rimosso dell’esperienza esistenziale e culturale,<br />

fra noi e gli “Altri”, sviluppi le capacità cognitive, immag<strong>in</strong>ative e critiche<br />

dei giovani”.<br />

(Dal documento approvato al convegno ADI di Monopoli del settembre<br />

2006)<br />

Quest’anno “<strong>Milano</strong> <strong>da</strong> <strong>leggere</strong>” si decl<strong>in</strong>a nel <strong>leggere</strong> “l’altro”: <strong>Milano</strong> è la città<br />

simbolo dell’emigrazione, l’esempio per cogliere la relazione tra culture diverse.<br />

Leggere l’altro ci è sembrato il messaggio per conoscere ciò che si ritiene lontano, per<br />

far cadere i veli del pregiudizio, per congiungere le lontananze, per coprire le distanze.<br />

La scuola è un osservatorio privilegiato per il riconoscimento dell’altro come risorsa<br />

e ricchezza di possibilità. Problematizzare l’<strong>in</strong>contro tra culture e <strong>da</strong>re spessore alla<br />

riflessione che tutti gli <strong>in</strong>contri comportano ci è parso un modo concreto per coniugare<br />

le pratiche educative con la <strong>in</strong>esauribile fonte della letteratura.<br />

Abbiamo scelto due percorsi: uno di taglio più letterario, l’altro più “umano”.<br />

Il primo parla di grandi classici e mostra alcune delle strade che il pensiero letterario<br />

ha aperto per <strong>leggere</strong> l’altro e il mondo, non escludendo un altro che genera turbamento<br />

e difficoltà. Si vuole dimostrare che sono esistiti sempre mondi lontani che la<br />

letteratura ha esam<strong>in</strong>ato, e “ci ha <strong>in</strong>vitato a non temere la distanza, la diversità, la complessità.”<br />

Penso alle relazioni su Vittor<strong>in</strong>i o Pavese che hanno guar<strong>da</strong>to all’America<br />

più di 50 anni fa, a Pascoli che ha <strong>in</strong>ventato nuove parole per parlare di immigrazione,<br />

ma anche a un altro non diverso etnicamente ma solo “diverso” <strong>da</strong> noi, “altro”, <strong>in</strong>conoscibile,<br />

perturbante...Cerchiamo di <strong>leggere</strong> <strong>una</strong> cultura decl<strong>in</strong>ata al plurale.<br />

Per <strong>da</strong>re un contributo a <strong>una</strong> problematica attuale e alquanto <strong>in</strong>trigante abbiamo<br />

pensato di <strong>in</strong>vitare degli scrittori che <strong>in</strong> modo particolare si sono occupati di immigrazione,<br />

hanno vissuto l’immigrazione o hanno parlato di altre culture. Questa è la<br />

secon<strong>da</strong> stra<strong>da</strong> per “attualizzare” e sviluppare <strong>in</strong> modo concreto l’<strong>in</strong>contro con l’altro<br />

e problematizzarlo nelle nostre classi.<br />

Dunque buon lavoro e grazie ancora a tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione<br />

di queste due giornate.<br />

Presiederà la prima sessione il Professor Francesco Spera, qui <strong>in</strong> rappresentanza<br />

del Magnifico Rettore.<br />

Nel r<strong>in</strong>graziarlo, ricordo che è membro presso la Giunta e il Comitato delle Silsis lombarde<br />

e membro del Direttivo ADI.<br />

11


12<br />

CLAUDIO CITRINI<br />

Direttore Scuola Interuniversitaria Lombar<strong>da</strong><br />

di Specializzazione per l’Insegnamento Secon<strong>da</strong>rio<br />

Sezione di <strong>Milano</strong> (SILSIS-MI)<br />

Nonostante gli impegni ci costr<strong>in</strong>gano spesso a ritmi frenetici e poco a<strong>da</strong>tti alla<br />

meditazione, o forse proprio per questo, la lettura e l’ascolto sono momenti <strong>in</strong>dispensabili<br />

nella vita, pena la perdita di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite ricchezze del cuore e dello spirito. Ecco<br />

perché ho cercato di ritagliare un po’ di tempo per assistere ad almeno un paio delle<br />

relazioni di questo convegno “<strong>Milano</strong> la <strong>leggere</strong>”. Il tema di quest’anno, “Leggere<br />

l’altro” era particolarmente <strong>in</strong>trigante, perché costr<strong>in</strong>ge a rivedere i propri paradigmi,<br />

i metri di giudizio, per confrontarsi con l’altro su un piano di reciproca attenzione. Studiare<br />

l’altro è un modo molto efficace per studiare se stessi: non si può dist<strong>in</strong>guere sé<br />

<strong>da</strong>ll’altro se non ci si conosce a fondo, e non ci si può conoscere se non ci si confronta<br />

con qualcuno o qualcosa che si ponga come term<strong>in</strong>e di paragone.<br />

Particolarmente attraente per un appassionato di Dante come me era la conferenza<br />

di Giuliana Nuvoli, che ho ascoltato con grande piacere assieme a quella, altrettanto<br />

stimolante nella sua totale diversità, di Ahmad V<strong>in</strong>cenzo. Esse an<strong>da</strong>vano a scavare<br />

nelle radici di quell’<strong>in</strong>contro-scontro di culture che ha segnato più di mille anni della<br />

nostra storia, dimostrando come anche le più forti contrapposizioni e <strong>in</strong>comprensioni<br />

sono v<strong>in</strong>te <strong>da</strong>ll’<strong>in</strong>teresse e <strong>da</strong>l rispetto e non possono evitare nel lungo periodo <strong>una</strong><br />

osmosi di valori e di conoscenze che permea numerosi aspetti della moderna civiltà.<br />

Anche le altre relazioni di questo convegno portano luce su tante sfaccettature della<br />

letteratura italiana, e possono servire <strong>da</strong> stimolo per docenti e studenti appassionati,<br />

che vi troveranno materiale e metodi per approfondire, per comprendere e imparare a<br />

comprendere: un’occasione dunque per rendere più vivo e appassionato lo studio degli<br />

autori classici e moderni, <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea dunque con la vocazione della Scuola di Specializzazione,<br />

che mira a formare docenti non solo competenti, ma anche capaci di rendere<br />

la loro materia occasione di arricchimento spirituale oltre che di conoscenze tecniche.<br />

Come ammoniva Hermann Hesse, “Lettura senza amore, sapere senza reverenza,<br />

cultura senza cuore sono fra i peggiori peccati che si possano commettere contro lo<br />

spirito.” Con questa conv<strong>in</strong>zione, il sostegno della Scuola alla stampa di questo libretto<br />

mira anche a permetterne la diffusione fra gli <strong>in</strong>segnanti, <strong>in</strong> particolare come<br />

omaggio ai nostri docenti supervisori e accoglienti, che assolvono il delicato compito<br />

di collegare la teoria dell’<strong>in</strong>segnamento universitario con la pratica esperienza della<br />

scuola contemporanea.


GIULIANA NUVOLI<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Dante e l’Islam<br />

Per millenni il Mediterraneo è stato il luogo nel quale popoli, l<strong>in</strong>gue, culture e<br />

credenze si sono <strong>in</strong>contrate e scontrate con profitto reciproco. La stra<strong>da</strong> maestra verso<br />

l’Oriente la apre san Girolamo 1 , creando la mappa dei luoghi <strong>da</strong> visitare <strong>in</strong> Terrasanta,<br />

<strong>in</strong> un it<strong>in</strong>erario relativamente sicuro, che attira folle sempre più grandi di pellegr<strong>in</strong>i. E<br />

non sono <strong>in</strong> pochi a restare: <strong>in</strong> particolare tra il IX e l’XI secolo ci troviamo di fronte a<br />

flussi migratori di disperati, nobili spiantati e avventurieri, che cercano <strong>una</strong> migliore<br />

qualità di vita. Perché l’Oriente – <strong>in</strong> questi secoli – è più ricco e più colto.<br />

A fronte di un Carlo Magno che a malapena sa <strong>leggere</strong>, c’è il raff<strong>in</strong>ato califfo Harun<br />

al Rashid 2 , il cui periodo di governo è considerato il più splendido della storia<br />

islamica. E, mentre l’Occidente cristiano, come scrive Rodolfo il Glabro 3 , com<strong>in</strong>cia<br />

a costruire basiliche <strong>in</strong> numero tale che «si sarebbe detto che il mondo, come scrollandosi<br />

e liberandosi <strong>da</strong>lla vecchiaia (…) si riveste di un fulgido manto di chiese»,<br />

l’Oriente musulmano impara a fabbricare la carta (793), scopre i segreti della chimica<br />

(800 ca.), codifica l’astrologia (810 ca.) costruisce osservatori astronomici (829),<br />

studia l’ottica e l’acustica (850 ca.), <strong>in</strong><strong>da</strong>ga la precessione degli equ<strong>in</strong>ozi (900 ca.), si<br />

occupa di medic<strong>in</strong>a (915 ca.), dà <strong>in</strong>izio alla storiografia (950 ca.), elabora i fon<strong>da</strong>menti<br />

della trigonometria (990 ca.) e, nell’anno Mille, un medico, conosciuto <strong>in</strong> Occidente<br />

col nome di Abulcasis o Albucasis 4 , scrive <strong>una</strong> vasta enciclopedia medica <strong>in</strong> trenta<br />

volumi tradotta <strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o <strong>da</strong> Gerardo <strong>da</strong> Cremona, che costitusce per secoli il miglior<br />

1. Sofronio Eusebio Girolamo (Stridone, Dalmazia 347 - Betlemme settembre 420). Per gli<br />

it<strong>in</strong>erari verso e nella Terra Santa, cfr: John Wilk<strong>in</strong>son, Jerusalem pilgrims before the Crusades,<br />

Warm<strong>in</strong>ster, Aris &Phillips Ltd., 1977; Jean Richiard, Croisée, missionaires et voyageurs<br />

les perspectives orientales du monde lat<strong>in</strong> medieval, London, Variorum Repr<strong>in</strong>ts, 1983; Franca<br />

Mian, Gerusalemme città santa. Oriente e pellegr<strong>in</strong>i d’Oriente (secc. I-IX/XI), Rim<strong>in</strong>i, Il<br />

Cerchio, 1988.<br />

2. Hārūn al-Rashīd (766 - 809) fu il qu<strong>in</strong>to e più famoso della d<strong>in</strong>astia Abbasside di Bag<strong>da</strong>d.<br />

Governò <strong>da</strong>l 786 all’809; la sua fama è immortalata, fra l’altro, ne Le mille e <strong>una</strong> notte.<br />

Per i suoi rapporti con l’Occidente e, <strong>in</strong> particolare con Carlo Magno, cfr. Giosuè Musca, Carlo<br />

Magno e Harun Al-Rashid, Bari, edizioni De<strong>da</strong>lo, 1996.<br />

3. Rodolfo il Glabro ( 985 – 1047). Monaco cluniacense, fu allievo di Guglielmo <strong>da</strong> Volpiano<br />

13


14<br />

testo di chirurgia e di tecnica operatoria.<br />

Poi arrivano le crociate, uno scempio lungo due secoli (1095- 1291) 5 . Le armi falliscono<br />

l’obiettivo di riconquistare Gerusalemme e addomesticare l’Islam, ma <strong>da</strong>nno<br />

vita al tentativo di mettere <strong>in</strong> atto <strong>una</strong> conversione pacifica: ed ecco che francescani e<br />

domenicani si mettono studiare a fondo la l<strong>in</strong>gua e la cultura araba, per condurre con<br />

successo la loro catechesi.<br />

Fra coloro che si sp<strong>in</strong>gono oltremare c’è Francesco d’Assisi 6 è <strong>da</strong> questo pertugio<br />

affatto ortodosso, che entreremo nel mondo dei rapporti fra Dante e l’Islam.<br />

Nel 1219, dopo due tentativi an<strong>da</strong>ti a vuoto (nel 1211 e nel 1213), Francesco parte<br />

con frate Illum<strong>in</strong>ato per la Siria, avendo frate Elia come m<strong>in</strong>istro 7 . Siamo al volgere<br />

della qu<strong>in</strong>ta crociata e a Damietta, dove giunge, convivono <strong>in</strong> <strong>una</strong> tregua provvisoria<br />

arabi e cristiani.<br />

Scrive Dante (Par. XI, 100-105):<br />

E poi che, per la sete del martìro,<br />

nella presenza del Sol<strong>da</strong>n superba<br />

predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro,<br />

e per trovare a conversione acerba<br />

troppo la gente, per non stare <strong>in</strong><strong>da</strong>rno,<br />

redissi al frutto dell’italica erba.<br />

Dante ci racconta che Francesco va alla splendi<strong>da</strong> (superba) corte del Sol<strong>da</strong>no, che<br />

trova la gente impreparata ad accogliere la parola di Cristo e torna <strong>in</strong> Italia. Viaggio<br />

<strong>in</strong>utile? Pericoloso? No. Avversato? Sì: <strong>da</strong>lle autorità ecclesiastiche.<br />

Giacomo <strong>da</strong> Vitry nella VI epistola ad familiares, narra che Francesco<br />

uomo semplice e illetterato, ma caro a Dio e agli uom<strong>in</strong>i, venuto nell’esercito<br />

cristiano, accampato <strong>da</strong>vanti a Damiata, <strong>in</strong> terra d’Egitto, volle recarsi<br />

<strong>in</strong>trepido e munito solo dello scudo della fede, nell’accampamento del sultano<br />

d’Egitto. Ai saraceni che l’avevano fatto prigioniero lungo il tragitto, egli ripeteva:<br />

“Sono cristiano: conducetemi <strong>da</strong>l vostro signore”.<br />

Francesco viene ricevuto con cortesia <strong>da</strong> Mâlik al-Kâmil (nipote del Salad<strong>in</strong>o) che<br />

si dimostra persona aperta alla reciprocità del dialogo (Assisi conserva ancora i doni<br />

4. Il suo vero nome era Abu’l-Qasim az Zahrawi-Kalaf ibn-‘Abbas at Tasrif (vissuto tra 936-<br />

1009/13); fu importante – tra l’altro - per osservazioni orig<strong>in</strong>ali sulle malattie dell’orecchio e<br />

della gola, e sulla relativa tecnica operatoria.<br />

5. Le crociate avvengono nei seguenti anni: I 1095-1142; II 144-1187; III 1187- 1197; IV<br />

1202- 1204; V 1217- 1221; VI 1225 -1247; VII 1248 – 1269; VIII 1270 – 1291.<br />

6. Assisi 1182-1226.<br />

7. Lo seguì subito dopo un gruppo di c<strong>in</strong>que frati che, partiti <strong>da</strong>l Portogallo, sarebbero poi<br />

stati martirizzati a Marrakech.


offerti a Francesco) e che, come racconta ancora Giacomo <strong>da</strong> Vitry, «per alcuni giorni<br />

ascoltava con grandissima attenzione lui che predicava la fede di Cristo» alla corte e<br />

a lui medesimo. 8<br />

Francesco già nella prima stesura della Regola <strong>in</strong>serisce un capitolo specifico relativo<br />

ai frati che «per div<strong>in</strong>a ispirazione vorranno an<strong>da</strong>re fra i Saraceni e altri <strong>in</strong>fedeli».<br />

Essi dovranno essere presenza e segno discreto all’<strong>in</strong>terno di un contesto culturale e<br />

religioso completamente diverso («non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni<br />

creatura umana per amore di Dio e confess<strong>in</strong>o di essere cristiani»); e la loro esistenza<br />

evangelica dovrà avere la forma della fraternità “cortese”. Francesco man<strong>da</strong> i suoi frati<br />

<strong>in</strong>ter Saracenos a condizione che non si comport<strong>in</strong>o come stranieri, ma che vivano con<br />

e come la gente. I documenti papali, quando parlavano dei musulmani, li chiamavano<br />

“cani” o “gente cattiva”; egli è <strong>in</strong>vece conv<strong>in</strong>to che il dialogo sia possibile solo nel<br />

rispetto dell’altro.<br />

Francesco ha <strong>una</strong> mano tesa a Oriente, verso l’Islam e l’altra a Occidente, alla Provenza<br />

dove erano <strong>in</strong> molti a condividere le sue nozze mistiche con la Povertà: i poveri<br />

di Lione, i seguaci di Pietro Valdo, i Catari, i Patar<strong>in</strong>i, gli Albigesi. Proprio quella<br />

Provenza cui erano arrivati, risalendo <strong>da</strong> sud-ovest, gli Arabi.<br />

Le traduzioni<br />

Per trasmettere e diffondere il sapere è necessaria la conoscenza della l<strong>in</strong>gua del<br />

dest<strong>in</strong>atario: i predicatori hanno bisogno di impararla, mentre gli studiosi possono<br />

avvalersi di traduzioni, a patto che esse rispecch<strong>in</strong>o fedelmente l’orig<strong>in</strong>ale.<br />

Antesignano della moderna traduzione (quella letterale del testo) è Sever<strong>in</strong>o Boezio,<br />

dopo il quale essa diventa la norma per le opere scientifiche e filosofiche. Il desiderio<br />

di Boezio di un “trasferimento del sapere” (translatio studii) <strong>da</strong>l greco al lat<strong>in</strong>o nel<br />

sesto secolo, non si realizzò per la sua morte precoce e <strong>da</strong>lla mancanza di successori<br />

immediati: ma la sua aspirazione venne ripresa e ampiamente soddisfatta a partire<br />

proprio <strong>da</strong>l IX secolo. In Europa si torna a <strong>leggere</strong> Aristotele e Platone grazie alle traduzioni<br />

che ne fecero i musulmani, soprattutto tra l’800 e il 900, presso la Casa della<br />

scienza voluta <strong>da</strong>l Califfo Al Ma’amun a Bag<strong>da</strong>d. Portati verso Oriente <strong>da</strong>lle armate<br />

di Alessandro il Grande o <strong>da</strong> sette cristiane come i Nestoriani, i testi dell’ellenismo<br />

furono conosciuti prima nella loro versione siriaca o persiana, qu<strong>in</strong>di tradotti <strong>in</strong> arabo,<br />

la l<strong>in</strong>gua di un popolo che si estendeva <strong>da</strong>ll’Iran all’An<strong>da</strong>lusia. Ma i musulmani non<br />

erano semplici conservatori del sapere greco: furono geniali lettori e traduttori che,<br />

entrando <strong>in</strong> contatto anche con la scienza <strong>in</strong>diana e c<strong>in</strong>ese, elaborarono <strong>una</strong> scienza<br />

nuova, con un forte taglio sperimentale.<br />

Se consideriamo la cultura dell’Europa e del Mediterraneo negli ultimi duemila<br />

anni, possiamo <strong>in</strong>dividuare tre momenti nevralgici:<br />

8. “Per dies aliquot ipsum sibi et suis Christi fidem praedicantem attentissime audivit”. L’<strong>in</strong>contro,<br />

riportato <strong>da</strong> numerose fonti francescane, ha lasciato tracce prima nel capitolo 16 della<br />

Regola non bollata (del 1221) e successivamente, anche se con m<strong>in</strong>ore efficacia, nel capitolo 12<br />

della Bollata (1223). A ogni modo già nel XII secolo il rabb<strong>in</strong>o Beniam<strong>in</strong>o di Tutela, nei suoi<br />

It<strong>in</strong>eraria, ci aveva lasciato testimonianza degli amichevoli rapporti tra cristiani e musulmani,<br />

descrivendo con dovizia di particolari sia contatti di tipo commerciale (Montpellier, Costant<strong>in</strong>opoli,<br />

Alessandria), che semplici ambascerie presso le corti del levante.<br />

15


16<br />

1. il primo si verifica nel IX secolo, ed è relativo all’importazione di opere scientifiche<br />

<strong>in</strong> Bag<strong>da</strong>d;<br />

2. il secondo è relativo alla traduzione di testi scientifici <strong>da</strong>l greco all’arabo nel<br />

dodicesimo e nel tredicesimo secolo, con un percorso <strong>in</strong>verso e pressoché speculare<br />

al precedente;<br />

3. il terzo è relativo alla rivoluzione scientifica nell’Europa del XVII secolo.<br />

Ovviamente, <strong>in</strong> questa sede ci <strong>in</strong>teressa il secondo.<br />

C’erano tre aree pr<strong>in</strong>cipali <strong>in</strong> cui i lat<strong>in</strong>i venivano considerati particolarmente carenti:<br />

- la prima era la matematica (e <strong>in</strong> particolare la geometria) e l’astronomia. Queste<br />

erano due delle sette arti liberali che avevano formato la struttura dell’educazione 9 ,<br />

mentre le altre c<strong>in</strong>que arti liberali erano ben rappresentate, soprattutto grazie alle traduzioni<br />

di Boezio, che aveva cercato di offrire ai lettori lat<strong>in</strong>i un curriculum completo<br />

di studi greci. 10<br />

- La secon<strong>da</strong> area era la fisica. In questo caso abbiamo a che vedere con <strong>una</strong> materia<br />

che non faceva parte delle sette arti liberali, ma che era entrata nel curriculum filosofico<br />

nell’antica Alessandria, e che cont<strong>in</strong>uava a essere <strong>in</strong>segnata nel mondo islamico,<br />

<strong>in</strong> particolare a Bisanzio.<br />

- La terza area lacunosa era la medic<strong>in</strong>a. In questa materia il maestro era stato<br />

Galeno: ma i lat<strong>in</strong>i si trovano di fronte i risultati di <strong>una</strong> traduzione di studio che aveva<br />

assorbito nuovi elementi <strong>da</strong> altre culture (<strong>in</strong> particolare <strong>da</strong> quelle <strong>in</strong>diana e persiana)<br />

sviluppando e modificando il sapere degli antichi.<br />

Il movimento di traduzione prende il via dopo la riconquista di Toledo, il cuore<br />

della Spagna islamica (1085), l’occupazione normanna della Sicilia, con la sua popolazione<br />

greca e di l<strong>in</strong>gua araba (1072–91), e la caduta di Antiochia che aveva rivelato le<br />

culture islamica e greca del Mediterraneo orientale (1098).<br />

9. Il pioniere del movimento di traduzione del dodicesimo secolo, Adelardo di Bath (ca.<br />

1080- 1160), dedicò un testo alla descrizione delle sette arti liberali (il suo De Eodem et Diverso),<br />

e realizzò anche la prima traduzione degli Elementi di Euclide <strong>da</strong>ll’arabo.<br />

Stefano il filosofo, lavorando ad Antiochia all’<strong>in</strong>izio del XII secolo, denunciava la scarsa conoscenza<br />

della geometria tra i lat<strong>in</strong>i, e Giovanni di Salisbury (1110 ca. – Chartres 1180) pensava<br />

che l’unico luogo dove lo studio era stato fiorente fosse la Spagna (islamica).<br />

10. Sever<strong>in</strong>o Boezio (Roma 480 – Pavia 524). Per quanto riguar<strong>da</strong> l’astronomia, <strong>in</strong> particolare,<br />

non è sopravvissuta ness<strong>una</strong> traduzione di Boezio, ma i lat<strong>in</strong>i erano consapevoli che il più<br />

importante testo greco fosse l’Almagesto di Tolomeo, ed è proprio per questo libro che si dice<br />

che Gerardo <strong>da</strong> Cremona si recasse a Toledo. Per la geometria Boezio aveva tradotto solo <strong>una</strong><br />

piccola parte degli Elementi di Euclide. Per i traduttori che <strong>in</strong>tendessero rifon<strong>da</strong>re lo studio di<br />

Euclide, Tolomeo, Aristotele e Galeno era necessario ricorrere ai centri del sapere greci e arabi.<br />

I greci bizant<strong>in</strong>i avevano preservato i testi antichi senza sostanziali alterazioni. Tra i greci,<br />

perciò, i Lat<strong>in</strong>i cercavano e potevano trovare le loro copie dell’Almagesto di Tolomeo, dei Libri<br />

naturales di Aristotele, e delle opere di Galeno.


Nel 1140, l’ultimo discendente dei Banu Hud 11 , Abu Jafar Amad III ayf al-Dawla,<br />

permuta la sua proprietà di Rue<strong>da</strong> de Jalón con <strong>una</strong> casa nel quartiere della cattedrale<br />

di Toledo. Il quartiere della cattedrale e il quartiere franco ad esso adiacente, sono i<br />

soli distretti <strong>in</strong> cui gli stranieri e il sapere lat<strong>in</strong>o siano dom<strong>in</strong>anti, così prende l’avvio<br />

<strong>una</strong> <strong>in</strong>tensa traduzione delle opere di autorità greche e arabe <strong>da</strong>ll’arabo. Stiamo parlando<br />

di <strong>una</strong> causa prossima, naturalmente, perché ci troviamo di fronte non tanto<br />

a un trasferimento di sapere, quanto piuttosto a un sapere che pretende di essere <strong>in</strong>ternazionale,<br />

secondo l’immag<strong>in</strong>e utilizzata <strong>da</strong> Adelardo di Bath, nelle Quaestiones<br />

naturales: il mondo è come un corpo <strong>in</strong> cui alle differenti parti sono state assegnate<br />

funzioni diverse; così parti del mondo diverse sono ricche <strong>in</strong> discipl<strong>in</strong>e differenti e ciò<br />

«che l’anima (del mondo) è <strong>in</strong>capace di provocare <strong>in</strong> <strong>una</strong> s<strong>in</strong>gola zona del mondo, la<br />

genera nella sua totalità».<br />

Nella prima metà del XIII secolo (e <strong>in</strong> particolare fra il 1225 e il 1250) gli scambi<br />

eruditi si <strong>in</strong>tensificano, e i mondi ebraico e islamico condividono con la cristianità un<br />

sapere comune sulla scienza e sulla filosofia; si forma, <strong>in</strong> altre parole, <strong>una</strong> comunità<br />

di studiosi che trascende i conf<strong>in</strong>i politici e l<strong>in</strong>guistici, un fenomeno dovuto, senza<br />

dubbio, anche al successo dei traduttori che <strong>in</strong>nalzano il sapere scientifico dei s<strong>in</strong>goli<br />

gruppi l<strong>in</strong>guistici, s<strong>in</strong>o a far loro raggiungere lo stesso livello di eccellenza. 12<br />

Con la morte di Federico II (1250), lo stupor mundi, splendido rappresentante della<br />

s<strong>in</strong>tesi fra cultura musulmana e cristiana, il testimone passa idealmente a un altro<br />

Staufen, per parte di madre, Alfonso X il Savio, che sale al trono nel 1252, due anni<br />

dopo. Re di Castiglia e di Leon, Alfonso tenta <strong>una</strong> cultura di s<strong>in</strong>tesi nella quale entrano<br />

alla pari, <strong>in</strong>gredienti musulmani, cristiani ed ebrei. Toledo, nel frattempo, resta<br />

luogo di attrazione irresistibile per studiosi, e la corte di Alfonso luogo d’<strong>in</strong>contro di<br />

<strong>in</strong>tellettuali cosmopoliti.<br />

Alla corte di Alfonso, alla f<strong>in</strong>e degli anni C<strong>in</strong>quanta, arriva anche Brunetto Lat<strong>in</strong>i,<br />

che soggiorna a lungo a Oviedo (Castiglia), e lì <strong>in</strong>trattiene stretti rapporti con <strong>in</strong>tellettuali<br />

e traduttori, tra i quali c’è Bonaventura <strong>da</strong> Siena, il traduttore del Liber Scalae<br />

Maometti. E’ <strong>da</strong> dimostrare che sia stato <strong>in</strong>viato <strong>da</strong>i suoi compatrioti ad Alfonso X re<br />

di Castiglia, perché venisse <strong>in</strong> aiuto dei Guelfi <strong>in</strong> Italia; comunque la sua famiglia è<br />

costretta all’esilio e, nel 1260, bandita <strong>da</strong> Firenze. Brunetto si rifugia <strong>in</strong> Francia, dove<br />

dimora per sette anni tra Montpellier e Parigi, coltivando le lettere e <strong>in</strong>trattenendo, con<br />

gli uom<strong>in</strong>i più dist<strong>in</strong>ti di questa città, relazioni di viva amicizia.<br />

Poi, nel 1273, rientra <strong>in</strong> Firenze e qui <strong>in</strong>contra l’adolescente Dante. Brunetto è maestro<br />

di grande fasc<strong>in</strong>o che reca con sé sapere e testi di varia e stratificata derivazione.<br />

Quali Dante conosce? Difficile a dirsi, al di fuori di testi ch’egli esplicitamente <strong>in</strong>dica<br />

di aver letto. Come fare allora per districarsi nel mare delle possibili fonti, nella vastità<br />

11. I Banu Hud furono <strong>una</strong> d<strong>in</strong>astia locale di emiri che governarono Llei<strong>da</strong>, Saragossa e altre<br />

città <strong>da</strong>l 1039 al 1110. ; e il 7 marzo 1277 viene reso pubblico il decreto, risultato di un’<strong>in</strong>felice<br />

<strong>in</strong>iziativa del solito vescovo<br />

12. Cfr. Charles Burnett, Medio Evo, quando l’Occidente voleva imparare <strong>da</strong>ll’Oriente. Relazione<br />

tenuta <strong>in</strong> occasione della conferenza Al di là di Orientalismo e Occidentalismo, organizzata<br />

<strong>da</strong> Reset-Dialogues on Civilizations al Cairo d’ Egitto, <strong>da</strong>l 4 al 6 marzo 2006.<br />

17


28<br />

AHMAD VINCENZO<br />

Scrittore<br />

San Francesco e il Sultano,<br />

l’Occidente e l’Islam<br />

Ancora oggi non è <strong>in</strong>frequente sentire ripetere il vecchio pregiudizio <strong>in</strong> base al quale<br />

il Medioevo sarebbe un’epoca oscura, triste e violenta, cui si contrapporrebbe quella<br />

moderna che al contrario sarebbe pacifica, lum<strong>in</strong>osa e felice. A parte la discutibile<br />

storicità di tali giudizi, mi sono spesso <strong>in</strong>terrogato sulle cause che li hanno prodotti,<br />

sul perché si sia arrivati a <strong>da</strong>re un connotato così arbitrario a <strong>una</strong> lunga epoca della<br />

nostra storia, su come mai gli stessi storici mostr<strong>in</strong>o spesso <strong>una</strong> più o meno accentuata<br />

diffidenza verso i fatti e la mentalità che hanno contraddist<strong>in</strong>to i protagonisti medievali,<br />

riservando un atteggiamento decisamente più clemente e comprensivo verso quelli<br />

delle epoche successive, che avrebbero costituito, rispetto al Medioevo, un R<strong>in</strong>ascimento.<br />

Non mancano, è vero, autorevoli eccezioni anche <strong>in</strong> ambito accademico, come<br />

quella di Charles Hask<strong>in</strong>s, che già nel 1927 considerava piuttosto “Il R<strong>in</strong>ascimento del<br />

XII secolo”, titolo di un’opera divenuta classica. Tuttavia, molte opere che avrebbero<br />

potuto stimolare <strong>una</strong> migliore comprensione del Medioevo e dei suoi protagonisti sono<br />

state a lungo trascurate o lo sono ancora, come quella, per esempio, del sacerdote spagnolo<br />

Miguel As<strong>in</strong> Palacios sui rapporti tra Dante e il mondo islamico oppure quella<br />

del metafisico francese René Guénon sulla scienza sacra e la metafisica.<br />

Tali pregiudizi costituiscono <strong>una</strong> vera e propria miopia <strong>in</strong>tellettuale che impedisce<br />

di vedere le cose lontane, mettendo a fuoco solo quelle vic<strong>in</strong>e. Quello che viene a mancare<br />

è la chiarezza su alcuni aspetti della storia, che possono essere molto illum<strong>in</strong>anti<br />

per la comprensione del mondo attuale, arrivando s<strong>in</strong>o a cogliere s<strong>in</strong>golari analogie tra<br />

la nostra epoca e quella medievale. Certo, è sempre possibile r<strong>in</strong>tracciare parallelismi<br />

tra particolari momenti della storia, laddove personaggi e situazioni del passato pos-<br />

NOTA BIOGRAFICA<br />

Ahmad ‘Abd al Waliyy V<strong>in</strong>cenzo è nato a Napoli nel 1961. F<strong>in</strong> <strong>da</strong> giovane si è dedicato allo<br />

studio delle scienze religiose. Nel 1990 ha aderito all’Islam e negli anni successivi è stato tra<br />

i fon<strong>da</strong>tori della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) italiana, per la quale si occupa del<br />

riconoscimento dei diritti dei musulmani italiani: attualmente ne è il direttore per la cultura.<br />

Insegna all’Università Federico II di Napoli e le sue lezioni sono state raccolte nel saggio Islam,<br />

l’altra civiltà (Mon<strong>da</strong>dori, 2002). Dal 2001 dirige la rivista italo-francese “Il Messaggio–Le<br />

Message” dedicata all’<strong>in</strong>tellettualità sacra. Dal 2007 è consulente del Senato per il dialogo<br />

<strong>in</strong>terreligioso e <strong>in</strong>terculturale.<br />

Nel marzo del 2005 ha pubblicato per l’editore Salani il romanzo Il libro disceso <strong>da</strong>l Cielo.


sono essere usati per tratteggiare i caratteri di uom<strong>in</strong>i contemporanei, soprattutto <strong>in</strong><br />

situazioni <strong>in</strong> cui non è facile farne <strong>una</strong> critica diretta, come fa, per esempio, uno scrittore<br />

egiziano come Gamal Ghitani, che nel dip<strong>in</strong>gere il protagonista di Zayni Barakat,<br />

ambientato nel Cairo del XVI secolo, gli conferisce i tratti dell’ultimo Nasser. Tuttavia,<br />

se si considerano i rapporti tra il mondo occidentale e quello islamico, l’analogia<br />

tra Medioevo ed epoca contemporanea risulta particolarmente appropriata. Leggere il<br />

Medioevo ha qu<strong>in</strong>di il valore di “<strong>leggere</strong> l’altro”, per citare il felice titolo del convegno<br />

organizzato quest’anno <strong>da</strong>ll’Associazione degli Italianisti, o piuttosto di <strong>leggere</strong> <strong>una</strong><br />

realtà analoga <strong>da</strong> un differente punto di vista.<br />

Il Medioevo cristiano, così come l’epoca classica islamica, sono cresciuti sulle ceneri<br />

dei grandi imperi del passato: rispettivamente l’Impero romano e quello persiano.<br />

Parallelamente, nella nostra epoca si assiste all’agonia di quello che è stata la grande<br />

costruzione moderna, il grande Impero: lo Stato centralizzato. Nell’epoca immediatamente<br />

precedente la nostra, il vero Impero sono state le nazioni coloniali, la cui storia<br />

ha segnato il volto del pianeta per quasi c<strong>in</strong>que secoli, <strong>da</strong>lla scoperta dell’America al<br />

XX secolo. Durante questo periodo, quasi l’<strong>in</strong>tera superficie terrestre è stata conquistata<br />

<strong>da</strong> un gruppo di nazioni che hanno messo a punto un immenso Impero coloniale.<br />

Dopo un lungo periodo, tra la conquista delle Americhe e la secon<strong>da</strong> Guerra Mondiale,<br />

questo l’Impero che è entrato <strong>in</strong> crisi e la sua f<strong>in</strong>e ha segnato l’<strong>in</strong>izio di un’epoca<br />

diversa: la nostra.<br />

Nel Medioevo si è venuto a del<strong>in</strong>eare un mondo <strong>in</strong> cui non vi era più un unico<br />

centro, politico, religioso, culturale, ma un <strong>in</strong>sieme di centri di vario tipo, <strong>una</strong> pluralità<br />

di punti di riferimenti. Se si pensa solo all’ambito del diritto, la legge romana<br />

cadde quasi <strong>in</strong> disuso, affiancata e sostituita <strong>da</strong> <strong>una</strong> molteplicità di diritti barbarici e<br />

di consuetud<strong>in</strong>i locali. Pur con le dovute differenze, anche oggi ci troviamo di fronte<br />

allo stesso problema di <strong>una</strong> società globalizzata, dove gli Stati nazionali sono <strong>in</strong> crisi,<br />

dove mancano punti di riferimento e la stessa centralità e unicità dell’ord<strong>in</strong>amento<br />

giuridico viene messa <strong>in</strong> discussione. Lobby economiche, gruppi politici e s<strong>in</strong><strong>da</strong>cali,<br />

comunità confessionali, quando non le stesse organizzazioni crim<strong>in</strong>ali, si muovono<br />

con sempre maggiore dis<strong>in</strong>voltura all’<strong>in</strong>terno di uno Stato che non riesce o non vuole<br />

più avere quel carattere unitario espresso <strong>da</strong> Hegel e <strong>da</strong>i teorici dello Stato nazione. Il<br />

mondo contemporaneo deve fare i conti con <strong>una</strong> pluralità e <strong>una</strong> complessità di soggetti,<br />

di <strong>in</strong>terlocutori, di centri di produzione politica e culturale, come non accadeva <strong>da</strong><br />

molto tempo. Le conseguenze sono notevole e, a volte, <strong>in</strong>quietanti. Non vi è più <strong>una</strong><br />

sola fonte di diritto, ma non vi è nemmeno <strong>una</strong> sola tradizione educativa, culturale,<br />

religiosa. Per molti, <strong>una</strong> situazione difficile di gestire e nella quale è facile scivolare<br />

nella barbarie.<br />

Da un punto di vista religioso, <strong>in</strong>vece, la f<strong>in</strong>e del nazionalismo corrisponde all’apertura<br />

dell’Europa alle altre religioni e, particolarmente all’Islam. La scoperta dell’America<br />

e l’<strong>in</strong>izio del colonialismo corrispondono, <strong>in</strong>fatti, alla cacciata degli ebrei <strong>da</strong>lla<br />

Spagna, nel 1492, <strong>in</strong>sieme a quella dei musulmani. Con essi l’Europa perdeva l’apertura<br />

sull’Oriente, la facilità di relazione e di mediazione con gli altri popoli, rispetto<br />

ai quali si procedeva piuttosto alla occupazione coloniale, basata sullo sfruttamento<br />

economico e sulla sostanziale <strong>in</strong>comprensione religiosa e culturale. Solo <strong>in</strong> epoca<br />

contemporanea, quella barriera <strong>in</strong>visibile ha com<strong>in</strong>ciato a vacillare, sia pure sotto la<br />

sp<strong>in</strong>ta di flussi migratori <strong>in</strong>arrestabili. La globalizzazione, apparentemente scoperta<br />

solo di recente, <strong>in</strong> realtà sembra essere la riproposizione <strong>in</strong> chiave contemporanea del<br />

29


34<br />

EMANUELE ZINATO<br />

Università degli Studi di Padova<br />

Sui limiti della critica postcoloniale.<br />

L’Altro <strong>in</strong> Tasso, Par<strong>in</strong>i, Primo Levi<br />

I. Com’è noto, la questione della revisione del canone, dibattuta di recente anche<br />

<strong>in</strong> sede di<strong>da</strong>ttica, è stata avviata <strong>da</strong>gli studi postcoloniali e di genere secondo i quali<br />

la letteratura, considerata <strong>una</strong> parte della cultura, è vista foucaultianamente come<br />

<strong>una</strong> grammatica del potere occidentale o maschile, come documento di un paradigma<br />

ideologico dom<strong>in</strong>ante e repressivo.<br />

La scuola, nel contesto delle grandi migrazioni e dei conflitti del mondo globalizzato,<br />

non può certo fare come lo struzzo e evitare il confronto con questa prospettiva, che<br />

mette radicalmente <strong>in</strong> discussione il peso specifico di ogni s<strong>in</strong>golo autore canonico,<br />

oltre che quello degli strumenti utilizzati per “spiegarlo”, valutarlo e <strong>in</strong>terpretarlo.<br />

Pur senza bl<strong>in</strong><strong>da</strong>rsi nello splendore non durevole delle nostre tradizioni, occorre<br />

tuttavia saper valutare, <strong>in</strong>sieme alla sua impresc<strong>in</strong>dibile carica critica, il limite e il rischio<br />

di questa corrente teorica e delle sue “ricadute” di<strong>da</strong>ttiche. La categoria di studi<br />

postcoloniali condivide – nella sua stessa formulazione prefissoide - l’orizzonte dei<br />

post , vale a dire il presupposto di essere oltre (la f<strong>in</strong>e della storia, e delle ideologie).<br />

E’ nata a opera di studiosi di letterature comparate e di storici della mentalità, espatriati<br />

<strong>da</strong> paesi ex coloniali (<strong>da</strong>ll’India all’Inghilterra, <strong>da</strong>ll’Africa e <strong>da</strong>l Medio Oriente<br />

agli Stati Uniti). I più rilevanti sono Edward Said, palest<strong>in</strong>ese, Homi Babha e Gayatri<br />

Spivak, <strong>in</strong>diani, che hanno vissuto <strong>in</strong> gioventù l’apogeo e il fallimento dei grandi movimenti<br />

di liberazione nazionale e che dunque hanno cercato di superare il marxismo<br />

terzomondista con apporti eterogenei (poststrutturalismo, Foucault, Derri<strong>da</strong>, r<strong>in</strong>ascita<br />

gramsciana nel nuovo storicismo ). Hanno complicato <strong>in</strong>somma la prospettiva della<br />

lotta di classe con le nozioni di soggettività, differenza, alterità. Said, com’è noto, ha<br />

chiamato orientalismo il modo <strong>in</strong> cui l’Occidente ha costruito l’immag<strong>in</strong>e dell’Altro,<br />

un’immag<strong>in</strong>e che rafforza i pregiudizi e collabora con le strategie di dom<strong>in</strong>io politioeconomico.Trapiantate<br />

nei campus americani, queste prospettive hanno conosciuto<br />

<strong>una</strong> ricezione adialettica, spencolata su due poli: apologia o rifiuto.<br />

In un recente articolo sul “Manifesto” Remo Ceserani ha a esempio raccontato lo<br />

sconcerto di <strong>una</strong> <strong>in</strong>segnante francesista e femm<strong>in</strong>ista americana <strong>da</strong>vanti alle richieste<br />

banalizzanti delle sue studentesse del ceto medio bianco. Nelle università americane,


<strong>in</strong> cui <strong>da</strong> due decenni si pratica la prospettiva degli studies, gli studenti si aspettano<br />

ormai solo letture di testi che riflettano <strong>in</strong> modo semplicistico e immediato situazioni<br />

di repressione etnica o sessuale. Ne deriva <strong>da</strong> un lato <strong>una</strong> tentazione liqui<strong>da</strong>toria, non<br />

diversa <strong>da</strong> quella che circolava nel nostro ‘68 a proposito della letteratura, rifiutata<br />

<strong>da</strong>gli operaisti <strong>in</strong> nome della saggistica politica e della prassi. Dall’altro canto, il multiculturalismo,<br />

con il conseguente meticciato, è visto euforicamente come grande occasione<br />

di libertà comunicativa. Tale opzione ideologica presuppone che il crogiolo, il<br />

mescolamento siano agenti di liberazione <strong>da</strong>l fardello del Logos occidentale, fenomeni<br />

di fuoriuscita <strong>da</strong>lle ipoteche delle funebri ideologie novecentesche. Il mercato globale,<br />

spostando <strong>in</strong>teri popoli e ridisegnandone l’identità, implicitamente eguaglierebbe, democratizzerebbe,<br />

distruggendo v<strong>in</strong>coli tribali oppressivi, fanatismi e totalitarismi.<br />

II. Il fatto è che il mercato non un’alternativa all’ideologia: è a sua volta un’ideologia,<br />

e <strong>da</strong>tata quasi trecento anni. Presuppone <strong>in</strong>fatti che l’universale umano non sia<br />

altro che il solipsismo mercantile. L’uomo sarebbe, a ogni latitud<strong>in</strong>e, un animale squisitamente<br />

azien<strong>da</strong>le, naturalmente disposto alla competizione e allo scambio, alla lotta<br />

<strong>da</strong>rw<strong>in</strong>iana e hobbesiana di tutti contro tutti. Inutile proporre degli <strong>in</strong>naturali v<strong>in</strong>coli<br />

soli<strong>da</strong>li: si arriva sempre e comunque al Gulag.<br />

In questa condizione, la funzione critica e complessiva dell’<strong>in</strong>tellettuale, e dell’<strong>in</strong>segnante,<br />

ridotti a “operatori culturali” o <strong>in</strong>trattenitori, non più <strong>in</strong> grado di parlare a<br />

<strong>una</strong> qualche comunità, sembra del tutto desueta.<br />

La letteratura, caparbiamente ambigua, ha tuttavia <strong>una</strong> sua specificità: trattata <strong>da</strong>i<br />

postcolonial studies come uno dei discorsi del dom<strong>in</strong>io, è <strong>in</strong>vece uno dei pochi “discorsi”<br />

capaci di svelare il volto tendenzioso dell’ odierno “pensiero unico”.<br />

Credo occorra <strong>in</strong>somma evitare la tentazione di far uscire la letteratura <strong>da</strong>l ghetto<br />

<strong>in</strong> cui si trova spacciandola di<strong>da</strong>tticamente per <strong>una</strong> forma di pacificazione dell’immag<strong>in</strong>ario<br />

col mondo, di educazione e allenamento al gioco della complessità multiculturale,<br />

estirpandone la radice <strong>in</strong>docile, tragica, aporetica, irriducibile. E’ proprio il<br />

riconoscimento della sua paradossale specificità che può oggi riattivare <strong>una</strong> funzione<br />

m<strong>in</strong>ima ma vitale della letteratura e del lavoro <strong>in</strong>telettuale.<br />

E’ un <strong>in</strong>tellettuale critico come Bourdieu che ha opposto alla tuttologia culturalista<br />

un paradossale corporativismo dell’universale. L’<strong>in</strong>tellettuale capace di smascherare<br />

la natura ideologica dell’attuale pensiero unico non co<strong>in</strong>cide con il tuttologo culturalista<br />

ma con uno “specialista paradossale”, <strong>in</strong> grado di salvaguar<strong>da</strong>re criticamente – nel<br />

frullatore del market<strong>in</strong>g - la specificità dei propri saperi.<br />

III. Ipotizziamo ora la costruzione di un percorso di<strong>da</strong>ttico, a<strong>da</strong>tto al penultimo<br />

o all’ultimo anno dei licei, sul tema dell’Altro. Occorre partire <strong>da</strong>lla necessità di<br />

evitare le banalizzazioni: l’alterità oggi di mo<strong>da</strong> spesso ipostatizza la situazione dello<br />

straniero, dell’esule, del migrante.<br />

L’imperartivo dell’educazione <strong>in</strong>terculturale spesso porta a eguagliare situazioni<br />

contestuali lontanissime. Occorre <strong>in</strong>vece <strong>in</strong>nanzitutto storicizzare. L’<strong>in</strong>dividuazione<br />

di cesure è un momento-chiave nell’opera dell’<strong>in</strong>terprete-storiografo e anche del docente:<br />

<strong>una</strong> storia che dia conto dell’Alterità, potrà partire a esempio <strong>da</strong>l C<strong>in</strong>que-Seicento<br />

come esordio della modernità, all’<strong>in</strong>segna del relativismo e della differenza<br />

<strong>da</strong>vanti al problema di assimilare altri popoli e altri spazi entro la filosofia della storia<br />

35


36<br />

occidentale. Così come la Grecia antica prese coscienza di sé e della propria relatività<br />

nello scontro coi persiani, l’Europa moderna prese coscienza di sé e <strong>in</strong>sieme della<br />

relatività, con la scoperta dell’America e con l’avvio imperialistico dell’unificazione<br />

planetaria. (Cfr. F. Orlando , L’Altro che è <strong>in</strong> noi, Lezione Sapegno 1996, Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri,<br />

1996).<br />

Prendiamo <strong>in</strong> esame tre testi, lontanissimi tra loro, dislocati fra C<strong>in</strong>que e Novecento.<br />

Appartenenti cioè a diversi momenti della storia della colonizzazione del mondo.<br />

Tutti e tre tematizzano la scoperta dell’America come momento chiave dell’<strong>in</strong>contro<br />

con l’altro non occidentale.<br />

Tasso, nella Gerusalemme liberata, bolla come empia e mostruosa l’alterità amer<strong>in</strong><strong>da</strong>,<br />

proseguendo <strong>una</strong> tradizione che <strong>da</strong> Pl<strong>in</strong>io e <strong>da</strong>l Romanzo d’Alessandro arriva<br />

f<strong>in</strong>o a Ariosto. E’ la tradizione del selvaggio come “cannibale”, che troverà larga eco<br />

nel Caliban shakespeariano (ne La Tempesta), e che è all’orig<strong>in</strong>e della stessa imposizione<br />

del nome alle Nuone Terre: Caraibi. A un livello secondo, tuttavia, Tasso dà voce<br />

suo malgrado, – <strong>in</strong> negativo – all’<strong>in</strong>tero rimosso “corporeo” occidentale.<br />

Gli soggiunse colei: - Diverse bande<br />

diversi han riti ed abiti e favelle:<br />

altri adora le belve, altro la grande<br />

comune madre, il sole altri e le stelle;<br />

v’è chi d’abom<strong>in</strong>evoli vivande<br />

le mense <strong>in</strong>gombra scelerate e felle.<br />

E’ n somma ognun che ‘n qua <strong>da</strong> Calpe siede<br />

barbaro è di costume, empio di fede.<br />

(T. Tasso, Gerusalemme liberata, XV, ott. 28)<br />

Par<strong>in</strong>i nel Matt<strong>in</strong>o, mediante l’ironia, al contrario di Tasso, denuncia, come avevano<br />

fatto Las Casas e Montaigne, lo sterm<strong>in</strong>io degli <strong>in</strong>dios e polemizza contro l’ozio<br />

e i privilegi dell’aristocrazia. A un livello secondo, però, forse ammira l’epopea della<br />

conquista (secondo Chateaubriand, l’unica a star alla pari con quella antica) – così<br />

come non sa del tutto reprimere l’appetibilità edonistica dei lussi dell’Antico regime.<br />

S’oggi ti giova<br />

porger dolci allo stomaco fomento,<br />

sì che con legge il natural calore<br />

v’ar<strong>da</strong> temprato, e al digerir ti vaglia,<br />

scegli ‘l brun cioccolatte, onde tributo<br />

ti dà il Guatimaltese e il Caribbèo<br />

c’ha di barbare penne avvolto il cr<strong>in</strong>e:<br />

ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,<br />

o troppo <strong>in</strong>torno a le vezzose membra<br />

adipe cresce, de’ tuoi labbri onora<br />

la nettarea bevan<strong>da</strong> ove abbronzato<br />

fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo<br />

giunto, e <strong>da</strong> Moca che di mille navi<br />

popolata mai sempre <strong>in</strong>superbisce.


Certo fu d’uopo, che <strong>da</strong>l prisco seggio<br />

Uscisse un Regno, e con ardite vele<br />

fra straniere procelle e novi mostri<br />

e teme e rischi ed <strong>in</strong>umane fami<br />

superasse i conf<strong>in</strong>, per lunga etade<br />

<strong>in</strong>violati ancora: e ben fu dritto<br />

se Cortes, e Pizzarro umano sangue<br />

non istimar quel che’oltre Oceano<br />

scorrea le umane membra, onde tonando<br />

e fulm<strong>in</strong>ando, alf<strong>in</strong> spietatamente<br />

balzaron giù <strong>da</strong>’ loro aviti troni<br />

re Messicani e generosi Incassi,<br />

poiché nuove così venner delizie,<br />

o gemma degli eroi, al tuo palato.<br />

(G. Par<strong>in</strong>i, Il Matt<strong>in</strong>o, vv. 130-157)<br />

La poesia di Primo Levi Huayna Hapac (<strong>in</strong> Ad ora <strong>in</strong>certa, 1983) <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, apparentemente<br />

denunzia lo sterm<strong>in</strong>io degli <strong>in</strong>dios (visto come <strong>una</strong> sorta di preannuncio<br />

dei campi di annientamento), <strong>da</strong>ndo voce a un imperatore Inca sconfitto, mediante<br />

<strong>una</strong> maledizione biblica e <strong>una</strong> profezia di distruzione. L’avidità dell’oro <strong>in</strong>oculerà un<br />

veleno nel seno stesso dell’occidente, là dove l’uomo bianco tiene <strong>in</strong> culla i suoi mostri.<br />

Ma le metafore biologiche del mostro <strong>in</strong> culla e della contam<strong>in</strong>azione <strong>in</strong>oculata,<br />

r<strong>in</strong>viano al fondo notturno del pur controllatissimo Levi (le pulsioni animali, la cecità<br />

biologica della materia). La maledizione leviana riguar<strong>da</strong> <strong>in</strong>somma non solo la parte<br />

occidentale del mondo ma, leopardianamente, l’univeralità dell’<strong>in</strong>tero genere umano<br />

e i suoi limiti oscuri.<br />

HUAYNA HAPAC<br />

Guai a te, messaggero, se menti al tuo vecchio sovrano.<br />

Non esistono barche come quelle che tu descrivi,<br />

Più grandi della mia reggia, sosp<strong>in</strong>te <strong>da</strong>lla tempesta.<br />

Non esistono questi draghi di cui tu deliri,<br />

Corazzati di bronzo, folgoranti, <strong>da</strong>i piedi d’argento.<br />

I tuoi guerrieri barbuti non ci sono. Sono fantasmi.<br />

Li ha f<strong>in</strong>ti la tua mente, nella veglia o nel sonno,<br />

O forse li ha man<strong>da</strong>ti per <strong>in</strong>gannarti un dio:<br />

Questa avviene sovente nei tempi calamitosi<br />

Quando le antiche certezze perdono i loro contorni,<br />

Si negano le virtù, la fede si discolora.<br />

La peste rossa non viene <strong>da</strong> loro: C’era già prima,<br />

Non è un portento, non è un presagio nefasto.<br />

Non ti voglio ascoltare. Rad<strong>una</strong> i tuoi servi e parti,<br />

Discendi per la valle, accorri sulla pianura;<br />

Interponi il tuo scettro tra i fratellastri nemici<br />

37


CLAUDIO MILANINI<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Utopia e realtà nelle Città <strong>in</strong>visibili<br />

di Italo Calv<strong>in</strong>o<br />

Premessa<br />

F<strong>in</strong> <strong>da</strong>l 1972, f<strong>in</strong> <strong>da</strong> quando cioè vennero pubblicate per la prima volta, Le città<br />

<strong>in</strong>visibili sono state oggetto di <strong>in</strong>terpretazioni plurime e di giudizi divergenti. La<br />

letteratura critica è poi man mano cresciuta <strong>in</strong> modo esponenziale 1 , cont<strong>in</strong>uando ad<br />

arricchirsi di voci tutt’altro che concordi. Ciò è dovuto senza dubbio alla densità del<br />

libro, che - pur avendo <strong>una</strong> mole alquanto smilza ed esibendo per di più parecchi fogli<br />

bianchi o largamente bianchi - offre ai lettori <strong>una</strong> grande quantità di suggestioni; ma <strong>in</strong><br />

parte discende anche <strong>da</strong>lla suo anomalo statuto di opera ambiguamente “sapienziale”:<br />

Le città <strong>in</strong>visibili sono <strong>in</strong>card<strong>in</strong>ate su emblemi non sempre agevolmente decifrabili e<br />

al tempo stesso sono <strong>in</strong>nervate <strong>da</strong> aforismi e <strong>da</strong> passi di <strong>in</strong>dole argomentativa che assumono<br />

pieno valore solo <strong>da</strong>ll’orizzonte complessivo <strong>in</strong> cui s’<strong>in</strong>quadrano.<br />

Riassumere il dibattito che si è venuto sviluppando su questo libro richiederebbe,<br />

di per sé, un lungo ciclo di lezioni; e ancor più tempo occorrerebbe per un esame<br />

analitico del testo, che comprende c<strong>in</strong>quantac<strong>in</strong>que schede stampate <strong>in</strong> tondo dedicate<br />

alla descrizione di altrettante città, oltre a diciotto brani di carattere prevalentemente<br />

dialogico stampati <strong>in</strong> corsivo: e questi ultimi, equamente divisi tra brani <strong>in</strong>troduttivi<br />

e brani conclusivi dei nove capitoli <strong>in</strong> cui sono distribuite le schede descrittive, formano<br />

nel loro <strong>in</strong>sieme <strong>una</strong> cornice segmentata ma non meno importante delle schede<br />

medesime.<br />

In questa sede mi limiterò ad accennare ad alcuni aspetti fon<strong>da</strong>mentali dell’opera.<br />

Della struttura complessiva – posta <strong>in</strong> rilievo <strong>da</strong>ll’autore stesso tramite l’anticipazione<br />

di un <strong>in</strong>dice che occupa ben quattro pag<strong>in</strong>e – basti per ora aver ricor<strong>da</strong>to quel tanto che<br />

è necessario perché anche chi non ha letto il libro abbia chiaro <strong>in</strong> qual senso userò la<br />

parole “corsivo” e “tondo”.<br />

Sulla soglia del testo: Marco e Kublai<br />

Poiché nelle Città <strong>in</strong>visibili non c’è, come nel Decameron, né un Proemio né <strong>una</strong><br />

1. Per la bibliografia della critica r<strong>in</strong>vio a Domenico Scarpa, Bibliografia ragionata sulle<br />

“Città <strong>in</strong>visibili”, <strong>in</strong> La visione dell’<strong>in</strong>visibile. Saggi e materiali su “Le città <strong>in</strong>visibili” di Italo<br />

Calv<strong>in</strong>o, a cura di Mario Barenghi, Gianni Canova, Bruno Falcetto, Mon<strong>da</strong>dori-Electa, <strong>Milano</strong><br />

2002, pp. 226-243.<br />

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Conclusione dell’autore (non c’è <strong>in</strong>somma <strong>una</strong> super-cornice), l’<strong>in</strong>cipit e l’explicit di<br />

tutto il libro co<strong>in</strong>cidono con il corsivo che apre il primo capitolo e con il corsivo posto<br />

a chiusura del nono capitolo. Questi due corsivi hanno <strong>in</strong>somma <strong>una</strong> doppia valenza.<br />

E’ qui del resto che ci vengono offerte alcune chiavi di lettura privilegiate: qui il testo<br />

esibisce <strong>in</strong> modo più esplicito di quanto non avvenga altrove il modo <strong>in</strong> cui si rapporta<br />

con la tradizione.<br />

Il corsivo <strong>in</strong>iziale occupa <strong>una</strong> pag<strong>in</strong>a, o poco più (dipende <strong>da</strong>ll’edizione di cui ci<br />

serviamo) 2 , e subito lascia <strong>in</strong>tendere almeno due cose. La prima: Calv<strong>in</strong>o ha tratto<br />

ispirazione <strong>da</strong> un antico resoconto di viaggi, <strong>da</strong> quel Divisament dou monde (il<br />

Milione, nella re<strong>da</strong>zione toscana) che nacque nel 1298 <strong>da</strong>ll’<strong>in</strong>contro <strong>in</strong> <strong>una</strong> prigione<br />

genovese tra il viaggiatore veneziano Marco Polo e il romanziere Rustichello <strong>da</strong> Pisa.<br />

La secon<strong>da</strong>: non siamo di fronte a un rifacimento, ma a <strong>una</strong> ri-creazione assai libera,<br />

addirittura temeraria: i personaggi stessi che ci vengono presentati come protagonisti,<br />

Marco Polo e Kublai Kan, esibiscono f<strong>in</strong> <strong>da</strong>l pr<strong>in</strong>cipio tratti psicologici assai diversi<br />

<strong>da</strong> quelli orig<strong>in</strong>ali 3 . In altri term<strong>in</strong>i: risulta evidente che il ricorso al remake e i r<strong>in</strong>vii<br />

<strong>in</strong>tertestuali al Divisament dou monde avranno nel libro di Calv<strong>in</strong>o un peso del tutto<br />

secon<strong>da</strong>rio. Proseguendo nella lettura verificheremo d’altronde come i viaggi rievocati<br />

nelle Città <strong>in</strong>visibili si compiano più nella dimensione del tempo che <strong>in</strong> quella dello<br />

spazio.<br />

Ma questa pag<strong>in</strong>a d’apertura appare s<strong>in</strong>golare anche per altri aspetti. E’ occupata<br />

<strong>in</strong>fatti <strong>da</strong> tre soli periodi: brevissimi il primo e l’ultimo, <strong>in</strong> terza persona; <strong>in</strong>solitamente<br />

ampio (più di venti righe) quello centrale, <strong>in</strong> prima persona plurale.<br />

I periodi <strong>in</strong> terza persona richiamano la nostra attenzione sul fatto che stiamo per <strong>leggere</strong><br />

un racconto di secondo grado, che il testo di Calv<strong>in</strong>o si configurerà <strong>in</strong> massima<br />

parte come registrazione dei discorsi posti sulle labbra di protagonisti-narratori, e <strong>in</strong><br />

particolare sulle labbra di Marco Polo:<br />

Non è detto che Kublai Kan cre<strong>da</strong> a tutto quel che dice Marco Polo quando<br />

gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei<br />

tartari cont<strong>in</strong>ua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione<br />

che ogni altro suo messo o esploratore. […] Solo nei resoconti di Marco<br />

Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri dest<strong>in</strong>ate<br />

a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile <strong>da</strong> sfuggire al morso delle<br />

termiti. (RRII, 361)<br />

Questi due periodi ci offrono <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong>dicazioni che riguar<strong>da</strong>no i meccanismi e il<br />

significato dell’<strong>in</strong>venzione letteraria <strong>in</strong> quanto tale. Ci viene <strong>in</strong>fatti immediatamente<br />

segnalato come la stessa narrazione orig<strong>in</strong>aria non sia pienamente credibile (“Non<br />

è detto che Kublai Kan cre<strong>da</strong> a tutto quel che…”); eppure a questa narrazione viene<br />

2. Tutte le citazioni <strong>da</strong>lle Città <strong>in</strong>visibili sono tratte <strong>da</strong>l volume: Italo Calv<strong>in</strong>o, Romanzi e<br />

racconti, edizione diretta <strong>da</strong> Claudio Milan<strong>in</strong>i, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, vol.<br />

II, Mon<strong>da</strong>dori, <strong>Milano</strong> 1992 (= RRII).<br />

3. Sulla re<strong>in</strong>venzione calv<strong>in</strong>iana dei personaggi di Marco e Kublai si ve<strong>da</strong> la nota di Mario<br />

Barenghi <strong>in</strong> Romanzi e racconti cit., pp. 1364-1365. Sulla persistenza di temi e stilemi tipici<br />

del Milione si ve<strong>da</strong> Francesca Bernard<strong>in</strong>i Napoletano, I segni nuovi di Italo Calv<strong>in</strong>o, Bulzoni,<br />

Roma 1977, p. 170 sgg.


attribuito un potere rivelatore che i discorsi fedelmente documentari non possiedono<br />

(“Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere…”). Calv<strong>in</strong>o ci<br />

<strong>in</strong>vita <strong>in</strong>somma a tenere conto dello statuto paradossale della fiction (di ogni buona<br />

fiction, compresa quella che abbiamo fra le mani); ci ricor<strong>da</strong> che la comunicazione<br />

artistica si fon<strong>da</strong> su un tipo di fiducia tra autore e fruitore diversa <strong>da</strong> quella che regola<br />

le relazioni <strong>in</strong>terpersonali nella vita quotidiana. La fiction presuppone nel lettore quell’atteggiamento<br />

che Samuel Coleridge def<strong>in</strong>ì “suspension of disbelief”; ed è grazie a<br />

questa sospensione dell’<strong>in</strong>credulità che possiamo scoprire delle verità <strong>in</strong> opere che<br />

si situano dichiaratamente nel campo del meraviglioso e dell’<strong>in</strong>credibile. La fiction<br />

non è racconto di fatti reali (non è faction, per dirla con un neologismo coniato <strong>da</strong>i<br />

narratologi americani), ma proprio per questo è <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>segnarci a guar<strong>da</strong>re il<br />

mondo <strong>da</strong> <strong>una</strong> nuova prospettiva, ci fa scoprire aspetti dell’esistenza che altrimenti ci<br />

rimarrebbero ignoti.<br />

Il periodo centrale è <strong>in</strong>teramente dedicato a illustrare lo stato d’animo di Kublai,<br />

giunto al culm<strong>in</strong>e dei propri successi ma dom<strong>in</strong>ato <strong>in</strong>ternamente <strong>da</strong> un senso di vuoto,<br />

<strong>da</strong>l timore che tutte le sue conquiste siano <strong>in</strong> realtà <strong>in</strong>utili. Emerge il Leitmotiv dello<br />

smarrimento, dello sfacelo, della corruzione, dell’impotenza ad agire:<br />

Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per<br />

l’ampiezza sterm<strong>in</strong>ata dei territori che abbiamo conquistato, alla mal<strong>in</strong>conia<br />

e al sollievo di sapere che presto r<strong>in</strong>unceremo a conoscerli e a comprenderli;<br />

un senso come di vuoto che ci prende <strong>una</strong> sera con gli odori degli elefanti<br />

dopo la pioggia e della cenere di san<strong>da</strong>lo che si raffred<strong>da</strong> nei bracieri; <strong>una</strong><br />

vertig<strong>in</strong>e che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei<br />

planisferi […] è il momento disperato <strong>in</strong> cui si scopre che quest’impero che ci<br />

era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza f<strong>in</strong>e né forma,<br />

che la sua corruzione è troppo <strong>in</strong>cancrenita perché il nostro scettro possa<br />

mettevi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro<br />

lunga rov<strong>in</strong>a. (Il neretto è mio)<br />

Il passaggio alla prima persona plurale adombra un’irruzione dell’autore reale e<br />

mira nello stesso tempo a co<strong>in</strong>volgere i dest<strong>in</strong>atari effettivi. Calv<strong>in</strong>o, abbassando per<br />

un attimo la maschera dei narratori <strong>in</strong>tradiegetici dietro cui si cela (Marco e Kublai),<br />

lascia sentire direttamente la sua voce. Così facendo, co<strong>in</strong>volge tutti <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>in</strong> <strong>una</strong> riflessione<br />

di carattere generale, chiama <strong>in</strong> gioco dei soggetti concreti, col loro bagaglio<br />

di esperienze personali (<strong>in</strong> tutto il libro, il ricorso a un “noi” consimile si <strong>in</strong>contrerà<br />

solo un’altra volta, nell’ambito del tondo dedicato a Zemrude:<br />

Per tutti presto o tardi viene il giorno <strong>in</strong> cui abbassiamo lo sguardo lungo i<br />

tubi delle gron<strong>da</strong>ie e non riusciamo più a staccarlo <strong>da</strong>l selciato. Il caso <strong>in</strong>verso<br />

non è escluso, ma è più raro: perciò cont<strong>in</strong>uiamo a girare per le vie […] (RRII,<br />

412).<br />

Questo appello a <strong>una</strong> lettura partecipe rimane calato peraltro <strong>in</strong> contesto contrassegnato<br />

<strong>da</strong> <strong>una</strong> nutrita serie di immag<strong>in</strong>i esotiche e preziose: gli elefanti, la cenere di<br />

san<strong>da</strong>lo, i bracieri, poi (nelle righe che per brevità non ho citato) la ceralacca dei sigilli<br />

di re “mai sentiti nom<strong>in</strong>are”, i gusci di testugg<strong>in</strong>e… Il richiamo a un “noi” ord<strong>in</strong>ario,<br />

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42<br />

all’esperienza universale, non fa venir meno la ricerca di effetti di straniamento. E’ un<br />

po’ come se Calv<strong>in</strong>o ci dicesse: non dovete dimenticare che anche per il mio libro vale<br />

la massima “de te fabula narratur”, però sappiate che proprio per poter parlare di ciò<br />

che ci sta a cuore devo servirmi di uno schermo, devo proiettare su uno sfondo lontano<br />

le attese e gli <strong>in</strong>cubi del presente.<br />

Al term<strong>in</strong>e del corsivo che apre il secondo capitolo <strong>leggere</strong>mo:<br />

L’altrove è uno specchio <strong>in</strong> negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è<br />

suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà (RRII, 379).<br />

E’ <strong>una</strong> frase-chiave, come ha ben visto Belpoliti 4 , <strong>una</strong> frase che ha valore autoriflessivo,<br />

che spiega molto dell’operazione compiuta <strong>da</strong> Calv<strong>in</strong>o. Le Città <strong>in</strong>visibili ci<br />

pongono d<strong>in</strong>anzi un “altrove”, e questo altrove è uno specchio, cioè <strong>una</strong> superficie che<br />

riproduce pur sempre aspetti della realtà effettuale. Ma è uno specchio “<strong>in</strong> negativo”,<br />

uno sorta di specchio magico: è uno specchio che ci restituisce aspetti della realtà che<br />

non sono <strong>in</strong> luce, ma <strong>in</strong> ombra, che mostra anche e soprattutto ciò che normalmente<br />

non vediamo. Lo sguardo di Marco e di Kublai, di due stranieri che parleranno di città<br />

straniere, sarà dunque il mezzo privilegiato attraverso cui si tenterà di recuperare<br />

quella distanza - quella prospettiva “altra”, per riprendere il term<strong>in</strong>e che contraddist<strong>in</strong>gue<br />

il titolo di questo convegno - che sola può permetterci di non restare sopraffatti <strong>da</strong>i<br />

mille impicci delle <strong>in</strong>combenze spicciole.<br />

Quanto all’impero che viene nom<strong>in</strong>ato nel corsivo-prefazione, e nell’ambito del<br />

quale cont<strong>in</strong>ueranno a dialogare i protagonisti-narratori: si tratta, con ogni evidenza,<br />

di <strong>una</strong> metafora. L’impero sterm<strong>in</strong>ato di Kublai è <strong>in</strong> primo luogo figura del “villaggio<br />

globale” di cui tutti facciamo parte. Ma le metafore, si sa, hanno spesso un significato<br />

polivalente. L’impero di Kubai è anche figura del modesto e tuttavia prezioso regno<br />

personale che ciascuno di noi ritiene di aver conquistato: <strong>una</strong> famiglia, <strong>una</strong> casa, <strong>una</strong><br />

carriera (se siamo stati fort<strong>una</strong>ti), magari anche soltanto un patrimonio di esperienze<br />

faticosamente accumulate, che sentiamo come propriamente nostre. Ma ecco che a un<br />

certo punto della nostra vita, quando l’età non è più verde, tutto ciò ci appare vano, <strong>in</strong>soddisfacente,<br />

privo di senso, pericolante… Non va dimenticato, del resto, che quando<br />

com<strong>in</strong>ciò a scrivere le Città <strong>in</strong>visibili Calv<strong>in</strong>o an<strong>da</strong>va avvic<strong>in</strong>andosi ai c<strong>in</strong>quant’anni,<br />

e che il suo giudizio sulle profonde trasformazioni che la società aveva subito nell’ultimo<br />

decennio era tutt’altro che positivo.<br />

L’<strong>in</strong>sistenza poi sul motivo dello “sfacelo senza f<strong>in</strong>e né forma” va posta <strong>in</strong> rapporto<br />

con il modo <strong>in</strong> cui Calv<strong>in</strong>o percepiva la crisi della civiltà moderna. E qui va rammentato<br />

come anche nei suoi scritti saggistici egli avesse sempre mostrato di non condividere<br />

affatto i timori di Max Weber, che nelle pag<strong>in</strong>e conclusive del suo libro Etica del<br />

protestantesimo e formazione del capitalismo aveva paventato per il futuro <strong>una</strong> sorta<br />

di “impietramento nella meccanizzazione”; e ancor meno aveva accettato le diagnosi<br />

di Horkheimer e Adorno, secondo le quali l’alienazione contemporanea discenderebbe<br />

<strong>da</strong> un sistema troppo rigi<strong>da</strong>mente f<strong>in</strong>alizzato e rispondente a regole pervasive <strong>in</strong> grado<br />

di riassorbire ogni forma di dissenso. Non per nulla, nel presentare sotto il titolo Una<br />

pietra sopra i suoi più importanti “discorsi di letteratura e società”, Calv<strong>in</strong>o polemiz-<br />

4. Cfr. Marco Belpoliti, Settanta, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o 2001, p. 188.


zerà contro <strong>una</strong> società che “si manifesta come collasso, come frana, come cancrena<br />

(o, nelle sue apparenze meno catastrofiche, come vita alla giornata)” 5 . Per Calv<strong>in</strong>o,<br />

noi saremmo nella condizione di chi si aggira fra sabbie mobili o macerie, piuttosto<br />

che simili a prigionieri colpevoli di essersi fabbricati con le proprie mani <strong>una</strong> perfetta<br />

gabbia d’acciaio. Insomma, la nostra società soffrirebbe non di un eccesso, ma di un<br />

difetto di razionalità.<br />

Ma chi sono Marco Polo e Kublai Kan, chi e che cosa raffigurano? Incarnano <strong>in</strong>nanzi<br />

tutto due diversi approcci cognitivi alla realtà, pr<strong>in</strong>cipalmente empirico e <strong>in</strong>duttivo<br />

nel caso di Marco, fon<strong>da</strong>mentalmente deduttivo nel caso di Kublai. Due posizioni<br />

conoscitive, come già quelle impersonate <strong>da</strong>ll’Abate Faria e <strong>da</strong> Edmond Dantès<br />

nell’ultimo racconto di Ti con zero; sennonché va aggiunto che i protagonisti delle<br />

Città <strong>in</strong>visibili non sono alieni <strong>da</strong>llo scambiarsi le parti proprio per ciò che concerne<br />

il modo di porsi d<strong>in</strong>anzi al reale. Certo, il viaggiatore Marco si richiama più spesso<br />

all’esperienza diretta, mentre l’imperatore, conf<strong>in</strong>ato all’<strong>in</strong>terno delle sue regge e dei<br />

suoi giard<strong>in</strong>i, appare soprattutto <strong>in</strong>tento a elaborare riflessioni d’ord<strong>in</strong>e generale sulla<br />

base dei messaggi che gli vengono recati. Tuttavia il loro atteggiamento mentale non<br />

è costante; non per nulla, nel corsivo d’apertura dell’ultimo capitolo, <strong>leggere</strong>mo: “Chi<br />

coman<strong>da</strong> al racconto non è la voce: è l’orecchio” (RRII, 473). Va <strong>in</strong>oltre sottol<strong>in</strong>eato<br />

come, al di là di ogni scambio di ruoli, tra le due posizioni conoscitive rappresentate<br />

<strong>da</strong> Marco e Kublai non si dia s<strong>in</strong>tesi: il pessimismo del libro ha un fon<strong>da</strong>mento epistemologico,<br />

poggia sul riconoscimento della vanità di ogni pretesa di padroneggiare<br />

verità def<strong>in</strong>itive.<br />

Su un piano “autobiografico” (sul piano – s’<strong>in</strong>tende - di un autobiografismo molto<br />

velato), nella coppia formata <strong>da</strong>l viaggiatore e <strong>da</strong>ll’imperatore costretto a <strong>una</strong> fisica<br />

immobilità possiamo scorgere <strong>una</strong> proiezione della consapevolezza con cui Calv<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong>terpretava la propria doppia condizione di uomo e di scrittore, di persona che viveva<br />

nel mondo e di persona che poi, per scrivere, passava lunghe ore conf<strong>in</strong>ato nel proprio<br />

studio. E ancora: nella diffrazione di sé <strong>in</strong> due dist<strong>in</strong>ti protagonisti si riflette il duplice<br />

percorso di un uomo che aveva <strong>da</strong>pprima partecipato pienamente alla lotta politica e<br />

poi, dopo la crisi del 1956, se ne era man mano allontanato, pur cont<strong>in</strong>uando a seguire<br />

con passione le pubbliche vicende.<br />

Non sarà superfluo, a questo proposito, citare <strong>una</strong> dichiarazione di Calv<strong>in</strong>o sulle<br />

sue orig<strong>in</strong>i:<br />

I liguri sono di due categorie: quelli attaccati ai propri luoghi come patelle<br />

allo scoglio che non riusciresti mai a spostarli; e quelli che per casa hanno il<br />

mondo e dovunque siano si trovano come a casa loro. Ma anche i secondi […]<br />

tornano regolarmente a casa loro 6 .<br />

A ben guar<strong>da</strong>re, anche questo discorso sui liguri di mare e sui liguri di scoglio ha<br />

valore simbolico. Riguar<strong>da</strong> non solo l’autore (che amava viaggiare e però passava gran<br />

parte del suo tempo standosene attaccato come <strong>una</strong> patella a <strong>una</strong> scrivania), ma un po’<br />

5. Cito <strong>da</strong> Italo Calv<strong>in</strong>o, Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, tomo I, Mon<strong>da</strong>dori,<br />

<strong>Milano</strong> 1995, p. 7.<br />

6. Colloquio con Carlo Bo, <strong>in</strong> Saggi cit., tomo II, p. 2729.<br />

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tutti noi: riguar<strong>da</strong> il nesso che periodicamente s’<strong>in</strong>staura tra il nostro peregr<strong>in</strong>are nel<br />

mare dell’esistenza e il nostro fermarci a riflettere su quale dest<strong>in</strong>o ci atten<strong>da</strong>.<br />

Un f<strong>in</strong>ale doppio<br />

Il corsivo collocato al f<strong>in</strong>e delle le Città <strong>in</strong>visibili term<strong>in</strong>a con <strong>una</strong> sentenza che<br />

secondo molti critici co<strong>in</strong>ciderebbe con “il sugo” (rubo l’espressione a Manzoni) dell’<strong>in</strong>tera<br />

opera. E senza dubbio, fra tutte le massime che s’<strong>in</strong>contrano nel libro, questa<br />

è di gran lunga la più citata. Riesam<strong>in</strong>iamola. Rispondendo a Kublai che sta per abbandonarsi<br />

al più nero sconforto mentre sfoglia nel suo fantastico e ucronico atlante<br />

le carte di città maledette o distopiche (come le bibliche Enoch e Babilonia, o come<br />

la Yahoo di Swift, la Butua di Sade e le città del Brave New World di Huxley), Marco<br />

afferma che ci sono due modi per affrontare “l’<strong>in</strong>ferno che abitiamo tutti i giorni, che<br />

formiamo stando <strong>in</strong>sieme”. Il primo “riesce facile a molti”, e consiste nell’accettare<br />

questo <strong>in</strong>ferno e “diventarne parte f<strong>in</strong>o al punto di non vederlo più”. Il secondo<br />

è rischioso ed esige attenzione e apprendimento cont<strong>in</strong>ui: cercare e saper<br />

riconoscere chi e che cosa, <strong>in</strong> mezzo all’<strong>in</strong>ferno, non è <strong>in</strong>ferno, e farlo<br />

durare e <strong>da</strong>rgli spazio. (RRII, 497; mio il neretto)<br />

E’ s<strong>in</strong> troppo agevole osservare come queste ultimissime righe, collocate quasi già<br />

fuori <strong>da</strong> un libro <strong>in</strong> cui ogni affermazione recisa viene pressoché sempre capovolta o<br />

almeno corretta o attenuata, suon<strong>in</strong>o straord<strong>in</strong>ariamente concitate e commosse. Diversamente<br />

<strong>da</strong> ciò che aveva fatto nel corso di tutta l’opera, l’autore ha qui r<strong>in</strong>unciato<br />

a ogni immag<strong>in</strong>e esotica, a ogni raff<strong>in</strong>atezza lessicale; anche il term<strong>in</strong>e “<strong>in</strong>ferno” è<br />

<strong>una</strong> metafora consueta e consunta, <strong>una</strong> catacresi. Calv<strong>in</strong>o ha volutamente usato parole<br />

comunissime, pers<strong>in</strong>o trite; si è solo preoccupato di imprimere nel periodo, tramite il<br />

ricorso a <strong>una</strong> serie di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti verbali, un massimo di energia s<strong>in</strong>tattica.<br />

Retoricamente, <strong>una</strong> soluzione efficacissima. Ma il contenuto? A conti fatti, siamo<br />

d<strong>in</strong>anzi a un appello etico piuttosto ovvio, a <strong>una</strong> sentenza-esortazione nient’affatto<br />

orig<strong>in</strong>ale. Per rimanere <strong>in</strong> aria ligure, si potrebbe citare, <strong>da</strong>l Lorenzo Benoni di Ruff<strong>in</strong>i,<br />

l’ammonimento rivolto al protagonista - e <strong>in</strong>direttamente a Fantasio-Mazz<strong>in</strong>i e<br />

a tutti i suoi troppo entusiastici seguaci - <strong>da</strong>llo zio Giovanni, un progressista (come<br />

diremmo oggi) dis<strong>in</strong>cantato e moderato:<br />

Bisogna prendere con pazienza il male presente e <strong>da</strong>r tempo al tempo.<br />

Lasciate che ciascuno nel suo piccolo cerchi di farsi migliore e di migliorare<br />

quelli che gli stanno attorno. Qui, soltanto qui, è la pietra angolare della nostra<br />

futura rigenerazione. 7<br />

Ma si potrebbe anche citare, scegliendo nel novero dei libri celeberrimi, l’explicit<br />

del Candide, “il faut cultiver notre jard<strong>in</strong>”. Per questa opera di Voltaire, tra l’altro,<br />

Calv<strong>in</strong>o scrisse nel 1974 <strong>una</strong> prefazione nella quale osservava che questa massima,<br />

posta a sigillo di un libro dove il lavoro appare solo come <strong>da</strong>nnazione e dove i giard<strong>in</strong>i<br />

7. Giovanni Ruff<strong>in</strong>i, Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano, a cura di Mart<strong>in</strong>o<br />

Marazzi, De Ferrari, Genova 2005, pp. 203-204.


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NICOLA GARDINI<br />

Università degli Studi di Palermo<br />

Uno sguardo <strong>da</strong> Caprona:<br />

Pascoli e le terre d’oltremare<br />

Pascoli compose Italy nel 1904. Il testo fu concluso <strong>in</strong> ottobre e subito pubblicato<br />

nella terza edizione dei Primi poemetti, nello stesso 1904. Il poeta si era ispirato a <strong>una</strong><br />

situazione reale. Nel 1903 era giunta a Caprona – il colle tra Barga e Castelvecchio<br />

– <strong>da</strong> C<strong>in</strong>c<strong>in</strong>nati, malata di tisi, Isabella Caproni, figlia di Enrico Caproni. Enrico era, a<br />

sua volta, figlio di Bartolomeo Caproni, fattore di Pascoli, lo Zi’ Meo di un omonimo<br />

poemetto (1906, e poi <strong>in</strong> Nuovi poemetti, 1909). La bamb<strong>in</strong>a, nonostante le cure, morì<br />

il 9 gennaio del 1906, all’età di dodici. Nella poesia, però, ne vediamo la guarigione,<br />

con cui si chiude il racconto, e al suo posto muore, per contagio, la nonna, che nella<br />

realtà scomparve solo nel 1911. Per tutt’e due Pascoli dettò le epigrafi. 1<br />

In Italy, Isabella è diventata Maria (o Molly), e Bartolomeo Taddeo. A Caprona la<br />

bamb<strong>in</strong>a arriva accompagnata <strong>da</strong>llo zio Beppe (o Joe), figlio di Taddeo, e <strong>da</strong>lla zia<br />

Ghita (dim<strong>in</strong>utivo di Margherita, sorella di Beppe).<br />

Qui non potrò dedicarmi a <strong>una</strong> descrizione dettagliata del poemetto e, perciò, mi<br />

limiterò a <strong>una</strong> trattazione sommaria degli aspetti essenziali. Italy è diviso <strong>in</strong> due canti,<br />

di uguale lunghezza, per un totale di 450 versi. Il primo consta di nove strofe di otto<br />

terz<strong>in</strong>e <strong>da</strong>ntesche. Il secondo è composto <strong>da</strong> <strong>una</strong> terz<strong>in</strong>a <strong>in</strong>troduttiva e <strong>da</strong> venti parti<br />

numerate I-XX, di dieci versi ciasc<strong>una</strong>. La nona strofa è eccezionalmente <strong>in</strong> distici<br />

– che però seguono l’ord<strong>in</strong>e rimico delle terz<strong>in</strong>e. Rispondenze, riprese, echi di vario<br />

tipo creano raccordi strutturanti tra le parti. Già questi pochi <strong>da</strong>ti rivelano quanto ambizioso<br />

sia il piano formale del poemetto – che la critica, anche la più benevola, non ha<br />

esitato a def<strong>in</strong>ire “non un capolavoro”. 2 In effetti, <strong>in</strong> Italy Pascoli si dimostra <strong>in</strong>capace<br />

di dom<strong>in</strong>are la materia che si propone di trattare. Troppi e troppo caldi, come vedremo,<br />

1. “O Isabella / fiore nostro nato nell’Ohio / fragile fiore portato al sole d’Italia / che ti guarisse<br />

/ o fanciull<strong>in</strong>a soave / mente di luce cuore d’amore / così rassegnata al tuo precoce martirio!<br />

/ yes dicevi quando ti allontanasti <strong>da</strong>i tuoi / sì dicevi quando partisti per sempre / a dodici anni<br />

/ il nove gennaio del 1906” (<strong>in</strong>teressante anche per l’opposizione tra yes e sì, che è già <strong>in</strong> Italy).<br />

E: “O madre che tanto amasti riamata i tuoi figli / sul letto di morte / cercavi di tra le braccia<br />

di due figlioli / gli altri assenti / cercavi il tuo primogenito / egli attraversava <strong>in</strong>tanto l’oceano /<br />

per rivederti / giunse non c’eri più / o madre! <strong>da</strong>l cielo guar<strong>da</strong> e proteggi / questi tuoi sconsolati<br />

/ nella terra patria nella terra lontana”<br />

2. Emerico Giachery, Il canto dell’Italia ram<strong>in</strong>ga, Barga, Quaderni Pascoliani, 1974, p. 8.


sono gli stimoli che animano i versi. Perfetto è il primo dei due canti, che segue il racconto<br />

senza perdersi, senza affanno, con <strong>una</strong> capacità registica e fotografica <strong>da</strong> grande<br />

artista. Nel secondo, <strong>in</strong>vece, <strong>in</strong>tervengono pensieri e idee apparentemente estranei alla<br />

storia di Molly, e i trapassi <strong>da</strong> questa alle considerazioni generali risultano anacolutici,<br />

forzati, bizzarri, addirittura <strong>in</strong>coerenti, dettati <strong>da</strong> <strong>una</strong> volontà più oratoria che poetica.<br />

In particolare, il prefuturistico <strong>in</strong>no al progresso e al trionfo della tecnologia (<strong>in</strong> xv<br />

e xvi), metaforizzato <strong>da</strong>ll’immag<strong>in</strong>e del fiume che scorre impetuoso verso il mare,<br />

trasformando la materia naturale <strong>in</strong> energia ed elettricità, sembrerebbe <strong>in</strong> evidente<br />

contraddizione con l’elogio della vita semplice che dom<strong>in</strong>a il primo canto. O, almeno,<br />

costituisce <strong>una</strong> brusca <strong>in</strong>terruzione nel flusso del racconto. 3<br />

Soffermiamoci sugli aspetti che più si riferiscono al tema di questo convegno: la<br />

situazione dell’emigrante, l’immag<strong>in</strong>e dell’America, il problema nazionale. Il nucleo<br />

tematico o ideologico del poemetto è il confronto tra chi resta e chi parte, decl<strong>in</strong>ato<br />

<strong>in</strong> <strong>una</strong> serie di contrapposizioni tra l’antico e il nuovo, i vecchi e i giovani, lavoro artigianale<br />

e lavoro <strong>in</strong>dustriale, il mondo agricolo delle fate e quello meccanizzato della<br />

produzione di massa. In questa serie, positivo è immancabilmente il primo term<strong>in</strong>e:<br />

la nonna, e non la bamb<strong>in</strong>a, la tessitura manuale e non quella meccanica. Queste sfere<br />

non comunicano, ma si scontrano ed escludono a vicen<strong>da</strong>. La nonna e la nipot<strong>in</strong>a non<br />

si capiscono; <strong>una</strong> dice “nieva” e l’altra capisce “never” (I, iv-v). È vero che <strong>da</strong> un certo<br />

punto <strong>in</strong> avanti tra le due com<strong>in</strong>cia <strong>una</strong> sorta di comprensione non l<strong>in</strong>guistica, <strong>una</strong><br />

soli<strong>da</strong>rietà tutta umana, ma questa soli<strong>da</strong>rietà, questa vic<strong>in</strong>anza di cuori risulta fatale:<br />

la vecchia muore proprio della malattia della nipote; l’America, <strong>in</strong>carnata <strong>da</strong> Molly,<br />

uccide l’Italia <strong>in</strong>carnata <strong>da</strong>lla nonna. “Die” è il verbo di Molly, ripetuto sette volte<br />

nelle terz<strong>in</strong>e f<strong>in</strong>ali del primo canto; il verbo americano per eccellenza, <strong>in</strong> sarcastica<br />

– e raff<strong>in</strong>ata – rima con “Italy”. La nonna <strong>da</strong>pprima non capisce il verbo, che la timorosa<br />

nipot<strong>in</strong>a pronuncia, ma, poi, aiutata <strong>da</strong>lla mimica della bamb<strong>in</strong>a, ne comprende<br />

il significato e lo traduce: “morire”. E “morire” ridice Molly nella frase di chiusura: la<br />

3. Non escludo, però, - e qui anticipo riflessioni che svilupperò più avanti – che l’immag<strong>in</strong>e<br />

del fiume impetuoso sia metafora anche di qualcos’altro – il che risolverebbe l’apparente contraddizione:<br />

e cioè del movimento del popolo verso l’autorealizzazione. Essenziale, <strong>in</strong>fatti, è la<br />

componente nazionalistica <strong>in</strong> Italy, come cercherò di illustrare nel seguito di questo <strong>in</strong>tervento.<br />

Lo stesso teorico del nazionalismo italiano, Enrico Corrad<strong>in</strong>i, <strong>da</strong>l quale Pascoli fu notevolmente<br />

<strong>in</strong>fluenzato, scrisse: “perché la nazione sia così, e così agisca, bisogna immag<strong>in</strong>are un vigor<br />

di vita che tutta l’attraversi <strong>da</strong>lle orig<strong>in</strong>i al term<strong>in</strong>e, che non è la sua f<strong>in</strong>e, come <strong>una</strong> fiumana che<br />

va impetuosa <strong>da</strong>lla sorgente al mare. E questa è la virtù nazionale” (Enrico Corrad<strong>in</strong>i, Scritti e<br />

discorsi. 1901-1914, a cura di Lucia Strapp<strong>in</strong>i, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, 1980, pp. 94-95). E, a proposito<br />

della tecnologia, lo stesso Corrad<strong>in</strong>i scrisse: “Io penso che si potrebbe dividere la storia del<br />

genere umano <strong>in</strong> tre grandi epoche: l’epoca <strong>in</strong> cui l’uomo fu nudo, solo e <strong>in</strong>erme; l’epoca <strong>in</strong><br />

cui domò ed ebbe alleati pochi animali domestici, come il bue e il cavallo, e poche forze della<br />

natura, come il vento e il fuoco; l’epoca <strong>in</strong> cui f<strong>in</strong>almente <strong>in</strong> cui ha domato ed ha alleati gli<br />

spiriti medesimi di tutte le forze naturali, come il calore e l’elettricità. In questa epoca, <strong>in</strong> cui<br />

noi siamo, il ritmo della vita è straord<strong>in</strong>ariamente violento e fulm<strong>in</strong>eo. È <strong>da</strong>to <strong>da</strong>lle macch<strong>in</strong>e<br />

colossali e terribili del lavoro e della distruzione, che sono qualcosa di mezzo per il loro organismo<br />

vivente, velocità e forza, tra l’uomo e la natura, tra la volontà dell’uomo e le energie della<br />

natura.” (ibidem, p. 65) Per semplificare la lettura di questo <strong>in</strong>tervento, ho deciso di segnalare<br />

nelle note a piè di pag<strong>in</strong>a, a com<strong>in</strong>ciare <strong>da</strong> questa, i punti di contatto del pensiero di Pascoli<br />

con quello di Corrad<strong>in</strong>i. Ma so bene che la questione meriterebbe di essere trattata a parte <strong>in</strong><br />

un diffuso saggio.<br />

57


58<br />

rottura delle barriere l<strong>in</strong>guistiche tra le due significa la rottura delle difese. Pronunciata<br />

anche nella l<strong>in</strong>gua italiana, la morte <strong>in</strong>vade l’asilo domestico della vecchia. Questa,<br />

attraverso la traduzione, com<strong>in</strong>cia appunto a morire.<br />

E morte esprimono gli <strong>in</strong>serti <strong>in</strong> americano e le traslitterazioni: morte della l<strong>in</strong>gua<br />

nativa, morte dell’identità nazionale, morte della tradizione. Non ritengo, come molti<br />

critici, che i forestierismi e le parole <strong>in</strong>glesi siano utilizzati, <strong>in</strong> Italy, naturalisticamente,<br />

mimeticamente. Certo, Pascoli attraverso il non-italiano ci dà anche <strong>una</strong> rappresentazione<br />

“realistica” degli emigranti, ma non è il realismo la sua prima preoccupazione:<br />

l’alloglossia anglofona o anglicizzante, applicata con molta <strong>in</strong>ventiva e con evidente<br />

sfoggio di bravura tecnica, permette al poeta, prima di tutto, di sfruttare il non semantico<br />

della parole (qualunque realtà, per Pascoli, non solo quella dell’emigrante, può<br />

nascere e tornare all’a-logico), la distruzione dei rapporti e delle parentele tra i suoni<br />

e le cose, e così tra le persone e le persone, e tra le persone e i luoghi. Nell’<strong>in</strong>glese di<br />

Italy non parlano tanto i personaggi quanto la stessa poesia, l’artisticità della l<strong>in</strong>gua.<br />

Si pensi solo alla dissem<strong>in</strong>azione dell’aggettivo cheap:<br />

cheap! nella notte, solo <strong>in</strong> mezzo a tanta<br />

gente; cheap! cheap! tra un urlerìo che opprime;<br />

cheap! … F<strong>in</strong>almente un altro odi, che canta … (I, vi)<br />

Qui è l’urlo del figur<strong>in</strong>aio, che risuona per strade di città lontane e mitiche – Chicago,<br />

Baltimora, Atlanta, Troy. Ma è anche il verso degli uccelli – come <strong>una</strong> secon<strong>da</strong><br />

voce, un fantasma sonoro più poetico che preme dietro il fonema della comunicazione<br />

utilitaristica ed evoca dimensioni naturali di superiore dignità. Anche il parlare di<br />

Molly si confonde con le onomatopee degli uccelli (sweet … sweet … <strong>in</strong> II, vii). Lei<br />

stessa è detta “rond<strong>in</strong>ella” (II, viii) ed è paragonata <strong>da</strong>lla nonna a un luì quando canta<br />

(I, iii, 21). E rond<strong>in</strong>i sono gli emigranti (II, viii). L’aggettivo cheap torna più avanti, a<br />

<strong>una</strong> certa distanza, nel secondo canto, e a quel punto non è più che un tic ritmico, un<br />

s<strong>in</strong>ghiozzo della poesia, che ness<strong>una</strong> bocca o becco più pronuncia:<br />

Offrono cheap la roba, cheap le braccia,<br />

<strong>in</strong>differenti al tacito d<strong>in</strong>iego;<br />

e cheap la vita, e tutto cheap … (II, xiii)<br />

E già che stiamo parlando di quest’aggettivo – che significa “a buon mercato” –,<br />

possiamo dire che la mortifera America di Italy è pr<strong>in</strong>cipalmente caratterizzata <strong>da</strong>l<br />

materialismo e <strong>da</strong>l consumo: “pai con fleva” (I, iv, 25), “molti bis<strong>in</strong>i … vende … conta<br />

moneta” (I, v, 13-15), “gua<strong>da</strong>gnar <strong>da</strong>nari” (I, v, 24), “will you buy” (I, vi, 4), “Là, può<br />

comprare, a pochi cents” (I, viii, 8). L’Italia, al contrario, secondo la prospettiva di<br />

Molly, è terra della privazione e della miseria: “bad country, Ioe, your Italy” (I, iii,<br />

25).<br />

*<br />

Di Italy la critica ha messo f<strong>in</strong> <strong>da</strong> subito <strong>in</strong> evidenza lo sperimentalismo l<strong>in</strong>guistico<br />

– di cui io ho messo <strong>in</strong> evidenza solo alcuni momenti. Più di tutto colpiva i primi lettori<br />

l’uso di parole <strong>in</strong>glesi e il gergo degli italoamericani. Ancora colpisce, dopo tutte le<br />

avanguardie, quella pretesa di <strong>in</strong>tegrare i forestierismi nella musica e nel ritmo della


versificazione italiana. Croce, come c’era <strong>da</strong> aspettarsi, con<strong>da</strong>nnò il risultato. 4 Cont<strong>in</strong>i,<br />

altrettanto prevedibilmente, apprezzò proprio il pluril<strong>in</strong>guismo della composizione e<br />

nella sua antologia della letteratura dell’Italia unita, man<strong>da</strong>ndo al diavolo l’unità del<br />

poemetto, <strong>in</strong>serì esclusivamente la lassa più ibri<strong>da</strong>. Questi due atteggiamenti, diversi<br />

ma non opposti, hanno dom<strong>in</strong>ato la critica f<strong>in</strong>o a oggi: <strong>da</strong> <strong>una</strong> parte, il rifiuto e lo<br />

schifo e la preferenza per il Pascoli familiare, il Pascoli “frammentista”, <strong>da</strong>ll’altra <strong>una</strong><br />

misurata, menomante, snobistica curiosità per il mostro. Nei Meridiani curati <strong>da</strong> Cesare<br />

Garboli, per citare un significativo esempio di critica recente, di Italy non troviamo<br />

traccia. Neanche nei classici saggi di Debenedetti.<br />

Per fort<strong>una</strong>, non sono mancati critici che di Italy hanno voluto considerare non<br />

solo la l<strong>in</strong>gua o l’espressione, ma anche il contenuto – se così vogliamo chiamarlo –, e<br />

perciò hanno valutato, s<strong>in</strong>e ira et studio, la poesia nel quadro di un discorso non puramente<br />

stilistico: basti ricor<strong>da</strong>re Giovanni Getto, Giuseppe Nava, Emerico Giachery. 5<br />

Dal contenuto bisogna ripartire per comprendere l’importanza diciamo culturale che<br />

Italy ha nell’opera complessiva di Pascoli e, al tempo stesso, nel quadro della nostra<br />

tormentata, magmatica, a volte vergognosa modernità.<br />

*<br />

Italy – abbiamo visto – parla di emigrazione. Non si tratta di un hapax tematico, né<br />

di un argomento solo occasionale. Riferimenti, immag<strong>in</strong>i e pensieri sull’emigrazione<br />

si trovano sparsi <strong>in</strong> tutta l’opera novecentesca di Pascoli – sia poesie sia discorsi, che<br />

precedono di poco o seguono alla composizione di Italy. Tra le poesie nom<strong>in</strong>eremo, nei<br />

Nuovi poemetti, Pietole (1909), che ha <strong>in</strong> esergo “Sacro all’Italia esule”, come Italy ha<br />

<strong>in</strong> esergo “Sacro all’Italia ram<strong>in</strong>ga”, e con Italy costituisce un ideale dittico, e Gli emigranti<br />

nella l<strong>una</strong> (pubblicato nel 1905 come Emigranti); <strong>in</strong> Odi e <strong>in</strong>ni (1906), Gli eroi<br />

del Sempione e Inno degli emigranti italiani a Dante (che si conclude come Italy con<br />

un “sì”); tra i discorsi, La messa d’oro (1905), L’eroe italico (discorso letto a Mess<strong>in</strong>a<br />

il 2 giugno 1901, nel giorno anniversario della morte di Garibaldi), Italia! (1911), La<br />

grande Proletaria si è mossa (1911), Una festa italica (1906), Una sagra (1900). 6<br />

L’emigrazione, per Pascoli, non è <strong>una</strong> semplice metafora, la proiezione su schermo<br />

nazionale di <strong>una</strong> nevrosi <strong>in</strong>fantile, ma <strong>una</strong> questione centrale, ideologica e politica<br />

– forse la questione più grossa, dopo quella familiare, cui Pascoli si sia mai dedicato.<br />

La messa d’oro, che è di poco posteriore a Italy, denuncia il fenomeno migratorio e il<br />

fallimento dell’alternativa coloniale:<br />

Non è felice la nostra Patria, o padre! Ella è ristretta e povera per i suoi<br />

4. Sia per ragioni stilistiche sia perché non considerava l’emigrazione un fenomeno negativo:<br />

vedi Giovanni Getto, Pascoli e l’America, <strong>in</strong> “Nuova antologia”, settembre-dicembre 1956, p.<br />

175 (il saggio <strong>in</strong>tero va <strong>da</strong> p. 159 a p. 178; poi <strong>in</strong> Carducci e Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1957,<br />

pp. 153-185).<br />

5. Giovanni Getto, Pascoli e l’America, cit.; Giachery, Il canto dell’Italia ram<strong>in</strong>ga, cit.; Giovanni<br />

Pascoli, Poesie, a cura di Giuseppe Nava, M<strong>in</strong>erva Italica, 1971, pp. 134-5.<br />

6. Questi discorsi sono raccolti nel volume Pensieri e discorsi, Bologna, Zanichelli, 1907,<br />

<strong>da</strong> cui citerò; a eccezione, ovviamente, di Italia! e La grande proletaria si è mossa, raccolti <strong>in</strong><br />

Patria e umanità, Bologna, 1913.<br />

59


60<br />

figli; e cercò, al pari delle altre nazioni, ma troppo tardi, altre terre per crearvi<br />

Italie nuove. E trovò il deserto e trovò Dogali e Abba Garima. Trovò la disfatta<br />

dove aveva sognato l’impero, trovò la strage dei suoi giovani eroi dove<br />

aveva disegnato le capanne dei suoi <strong>in</strong>dustri coloni. […] E i figli emigrano a<br />

cent<strong>in</strong>aia di migliaia ogni anno, a fiumane di vite; e queste fiumane vanno a<br />

perdere il nome, il nome d’Italia, nel mare di nazionalità diverse. Ogni anno<br />

le altre nazioni crescono, ogni anno dim<strong>in</strong>uisce la nostra: tanti sono quelli che<br />

partono per non ritornar più: per non ritornar più dove non è pane per loro, e<br />

non fu scuola che suggellasse a loro l’italianità dell’anima …<br />

Sul colonialismo torneremo tra poco. Leggiamo adesso <strong>da</strong>l discorso Una sagra, il<br />

più antico tra quelli che qui <strong>in</strong>teressano:<br />

Migliaia e migliaia di lavoratori ogni anno lasciano la patria. Vanno ad<br />

aprire strade, a forar monti, a tagliar istmi per altri popoli, coltivano anche a<br />

coloro i campi e ba<strong>da</strong>no gli armenti, come gli antichi ergastoli. Altri fanno<br />

men nobili arti, non pochi tendono la mano.<br />

In nessun luogo neanche dove sono <strong>in</strong> gran numero e <strong>da</strong> gran tempo, sono<br />

trattati, oh! no <strong>da</strong>vvero, come meriterebbero i discendenti del più gran popolo<br />

dei tempi antichi e i cittad<strong>in</strong>i d’<strong>una</strong> grande nazione e gli artefici, spesso,<br />

della ricchezza di quelle nazioni nuove. C’è oltre alla nostra Italia, o giovani,<br />

un’Italia errante, che è <strong>da</strong> per tutto e non è <strong>in</strong> nessun luogo, un’Italia faticante,<br />

un’Italia veramente schiava, che spesso riceve oltraggi per giunta al salario,<br />

per la quale spesso tace anche la pietà. O Italia divisa ed errante e faticante e<br />

schiava e oltraggiata e tiranneggiata e derisa e vilipesa, tu sei il nostro rimorso,<br />

perché potevi essere il nostro onore e la nostra ricchezza; e sei, <strong>in</strong>vece, il<br />

dolore e pers<strong>in</strong>o, qualche volta, la vergogna! Sei il nostro rimorso. E <strong>in</strong>tendo<br />

non dell’Italia stato, non della borghesia italiana, ma della Università italiana,<br />

prendendo questa parola come complesso di tutto ciò che s’<strong>in</strong>segna e s’apprende,<br />

d’arte e di dottr<strong>in</strong>a. L’Italia pensante ha tradito la sua sorella povera:<br />

l’Italia lavorante.<br />

Quest’ultimo passo merita <strong>una</strong> certa attenzione. Pascoli qua, schizzato un drammatico<br />

quadro della realtà dell’emigrante, si erge a portavoce dell’<strong>in</strong>tellettualità italiana<br />

e, senza veramente analizzare le responsabilità della classe che si è preso la briga<br />

di rappresentare, esprime un accalorato mea culpa. Forse, però, non siamo <strong>in</strong> presenza<br />

d’altro che un cliché, un topos di marca socialista (non mi risulta che Pascoli abbia<br />

ripreso né tanto meno approfondito l’autocritica altrove). Riflessioni molto simili si<br />

leggono nel bellissimo Sull’oceano di De Amicis, del 1889, che racconta un viaggio<br />

di emigranti verso l’Argent<strong>in</strong>a. Anche lì si tratta di uno sfogo del tutto isolato – di un<br />

passeggero di prima classe che osserva impietosito i festeggiamenti di quelli di terza:<br />

O miseria errante del mio paese, povero sangue spillato <strong>da</strong>lle arterie della<br />

mia patria, miei fratelli laceri, mie sorelle senza pane, figli e padri di sol<strong>da</strong>ti<br />

che han combattuto e che combatteranno per la terra <strong>in</strong> cui non poterono o<br />

non potranno vivere, io non v’ho mai amati, non ho mai sentito come quella<br />

sera che dei vostri patimenti, della diffidenza bieca con cui ci guar<strong>da</strong>te qual-


70<br />

GIANNI TURCHETTA<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Il poeta, il vagabondo, l’emigrante:<br />

i viaggi di D<strong>in</strong>o Campana<br />

Il mito Campana: <strong>una</strong> biografia tormentata e (f<strong>in</strong> troppo) esemplare<br />

Dal punto di vista privilegiato <strong>in</strong> questo <strong>in</strong>contro, se parliamo di D<strong>in</strong>o Campana,<br />

straord<strong>in</strong>ario caso di poeta vagabondo e viaggiatore, <strong>in</strong>contriamo certo l’Altro, <strong>in</strong>teso<br />

come altri luoghi, altre persone, altre culture. Ma, a ben vedere, l’Altro che più ci <strong>in</strong>teressa<br />

con ogni probabilità non è tanto quello che si <strong>in</strong>carna nelle genti e nei luoghi<br />

visitati <strong>da</strong> Campana, quanto Campana stesso. Non è questa la sede per ripercorrere<br />

analiticamente il “mito Campana”. È necessario però sottol<strong>in</strong>eare come, nella storia<br />

della ricezione e dell’<strong>in</strong>terpretazione di questo poeta, la sua relativa eterogeneità, la<br />

difficoltà enigmatica dei suoi testi, la sua sostanziale irriducibilità a ogni scuola poetica<br />

(che poeta è Campana? un espressionista vociano? un carducciano attar<strong>da</strong>to? un<br />

post-simbolista fuori casa e fuori stagione? un quasi <strong>in</strong>credibile proto-ermetico? un<br />

fiancheggiatore delle avanguardie?), sia stata <strong>in</strong>terpretata e trasformata <strong>in</strong> diversità<br />

assoluta, cioè non solo <strong>in</strong> <strong>una</strong> solitud<strong>in</strong>e tragica sul piano della realtà esistenziale,<br />

dolorosamente concreta, ma proiettata addirittura <strong>in</strong> <strong>una</strong> dimensione teologica o ontologica,<br />

come assoluta necessità, solitud<strong>in</strong>e metafisica, mistero <strong>in</strong>dicibile. In questa vicen<strong>da</strong><br />

<strong>in</strong>terpretativa un ruolo decisivo è stato chiaramente giocato <strong>da</strong>i testi, e non solo<br />

<strong>da</strong>lla biografia. Infatti l’enigmaticità e l’<strong>in</strong>tensità emotiva dei Canti Orfici, la loro stessa<br />

<strong>in</strong>compiutezza, così come la correlativa frammentarietà, quelli che erano <strong>in</strong>somma<br />

dei <strong>da</strong>ti filologici, <strong>da</strong> maneggiare con la prudenza e la cautela del rigore scientifico,<br />

sono stati trasformati <strong>in</strong> <strong>una</strong> specie di assoluto, volta a volta esaltante o penalizzante:<br />

a secon<strong>da</strong> che la tesi fosse quella del folle div<strong>in</strong>o, o del demente naïf.<br />

È accaduto così che la storia di Campana, la sua tormentosa vicen<strong>da</strong> biografica, che<br />

raramente si è cercato di ricostruire con <strong>una</strong> qualche pretesa di sistematicità, sia stata<br />

trasformata <strong>in</strong> un racconto esemplare proprio per il suo carattere estremo e s<strong>in</strong>golare.<br />

Così che i (non moltissimi) fatti conosciuti, o creduti tali, sono stati mescolati senza<br />

soluzione di cont<strong>in</strong>uità con la leggen<strong>da</strong>, appunto con quel “mito Campana” al quale<br />

molta critica ha <strong>da</strong>to spesso avallo, e che alla comprensione di Campana, e, quel che<br />

più conta, della sua poesia, ha spesso nuociuto non meno della diffidenza, o dell’aperto<br />

disprezzo, di chi lo riteneva “un pazzo e basta”. Non è del resto difficile capire come<br />

questo sia potuto avvenire. Colpito a qu<strong>in</strong>dici anni <strong>da</strong> un profondo squilibrio psichico,<br />

che lo sp<strong>in</strong>ge a vagabon<strong>da</strong>re cont<strong>in</strong>uamente e che gli procura accessi d’<strong>in</strong>controllabile<br />

furore, più volte r<strong>in</strong>chiuso <strong>in</strong> carcere e <strong>in</strong> ospe<strong>da</strong>li psichiatrici, per anni Campana non


fa altro che viaggiare, sperimentando ogni sorta di mestieri: percorre l’Italia, <strong>in</strong> treno<br />

e a piedi; passa le Alpi e va <strong>in</strong> Svizzera, Francia, Belgio, forse addirittura <strong>in</strong> Russia;<br />

s’imbarca per il Sud-America, percorre l’Argent<strong>in</strong>a, se non anche l’Uruguay; e di nuovo<br />

sbarca, forse ad Anversa, riattraversa l’Europa, torna a Marradi, riparte.<br />

Per campare fa mille mestieri, che a loro volta contribuiscono fatalmente alla leggen<strong>da</strong>.<br />

Nel frattempo, “<strong>in</strong> varii <strong>in</strong>tervalli della sua vita errante”, come ci dice egli<br />

stesso, Campana scrive e riscrive il libro che avrebbe dovuto costituire il significato<br />

ultimo, addirittura la “giustificazione” della sua vita. Quando escono, nel 1914, i Canti<br />

Orfici ottengono qualche importante riconoscimento, ma ciò non offre a Campana<br />

alcun vantaggio materiale, né rompe il suo sostanziale isolamento. Inoltre, come <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> sceneggiatura troppo ben calcolata, a suggellare la vertig<strong>in</strong>osa miscela di psicosi,<br />

vagabon<strong>da</strong>ggio e poesia, si aggiunge l’amore tragico e appassionato con la scrittrice<br />

Sibilla Aleramo, che occupa il periodo fra il 3 agosto 1916 e il 13 settembre 1917<br />

(anche se la loro relazione era di fatto f<strong>in</strong>ita già nel marzo 1917). Come accade quasi<br />

sempre per gli amori impossibili, siamo di fronte a <strong>una</strong> storia tremen<strong>da</strong>, ma proprio<br />

per questo di eccezionale fasc<strong>in</strong>o; così come di eccezionale fasc<strong>in</strong>o è l’epistolario dei<br />

due amanti: vi ritroviamo <strong>in</strong>fatti le tracce di <strong>una</strong> passione assoluta, che non dà scampo,<br />

ma che fa anche emergere <strong>in</strong>esorabilmente la psicosi di Campana, che alterna, <strong>da</strong> un<br />

lato, sensualità travolgente e lacerante tenerezza, e, <strong>da</strong>ll’altro, momenti di aggressività,<br />

di violenza irrefrenabile e immotivata, che si fanno sempre più frequenti, e che<br />

costr<strong>in</strong>gono Sibilla, pur <strong>in</strong>namoratissima, a fuggire. Da questa storia, e <strong>da</strong>l carteggio<br />

Un viaggio chiamato amore, è stato tratto nel 2002 l’omonimo film di Michele Placido,<br />

di modesta qualità artistica, anche se serio e <strong>in</strong>tellettualmente onesto.<br />

Dopo la f<strong>in</strong>e del suo amore con Sibilla, Campana cont<strong>in</strong>ua a vagare, <strong>in</strong> pre<strong>da</strong> a un<br />

turbamento crescente, ossessionato, fra <strong>in</strong>tervalli di lucidità, <strong>da</strong> deliri di persecuzione.<br />

La sua vita civile f<strong>in</strong>isce, di fatto, nel gennaio 1918, quando viene def<strong>in</strong>itivamente<br />

<strong>in</strong>ternato <strong>in</strong> manicomio, dove resterà f<strong>in</strong>o alla morte, avvenuta, probabilmente per<br />

un’<strong>in</strong>fezione setticemica, nel marzo del 1932.<br />

A partire <strong>da</strong> questo scenario, è f<strong>in</strong> troppo facile capire come molti, troppi abbiano<br />

rappresentato la follia di Campana come l’assolutamente “Altro” <strong>da</strong>lla nostra quotidianità<br />

e <strong>da</strong>lla nostra ragione, come qualcosa di fatale ed eroico, e, quel che è peggio,<br />

sostanzialmente <strong>in</strong>dicibile. Vita e poesia di Campana sono stati così fatti apparire<br />

come frammenti e scorie di un fuoco <strong>in</strong>sopportabile, troppo alto e bruciante, che i<br />

“Normali”, cioè noi, avrebbero potuto osservare soltanto <strong>da</strong> lontano, senza poterne<br />

dire granché. Campana è diventato così <strong>una</strong> specie di testimone mistico di <strong>una</strong> verità<br />

<strong>in</strong>dicibile: <strong>una</strong> specie di martire, trasc<strong>in</strong>ato <strong>in</strong>esorabilmente <strong>da</strong> <strong>una</strong> vocazione assoluta<br />

alla poesia, cioè <strong>da</strong>l sogno pericoloso della Poesia assoluta, e di un’esistenza miracolosamente<br />

vocata a <strong>una</strong> co<strong>in</strong>cidenza immediatacon la Vita, con la violenza meravigliosa<br />

e <strong>in</strong>sopportabile del suo fluire, irriducibile a ogni schema, a ogni istituzione, e a ogni<br />

discorso.<br />

La realtà, però, è ben diversa, e sarà meglio tenersela ben stretta: il pazzo Campana<br />

<strong>in</strong>fatti, non è lo strumento <strong>in</strong>consapevole degli dei, ma uno scrittore vero, qualcuno<br />

cioè che sa convogliare la violenza delle emozioni dentro le parole grazie ad un severo<br />

lavoro artigianale, alla pazienza faticosa di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite riscritture. Campana, <strong>in</strong>somma,<br />

non lavora affatto a caso: egli conduce le sue parole, a prezzo di sforzi difficilmente<br />

immag<strong>in</strong>abili, proprio là dove vuole, costruendole, faticosamente (quella fatica che è<br />

forse di ogni poeta che sia degno di chiamarsi tale), sempre <strong>in</strong> gara con la follia sem-<br />

71


72<br />

pre <strong>in</strong>combente, e che, non a caso, quando avrà il sopravvento gl’impedirà di scrivere.<br />

Il fatto è che il mito Campana non è un fenomeno isolato, ma è <strong>una</strong> manifestazione,<br />

o (lasciatemelo dire…) un s<strong>in</strong>tomo di un’articolazione profon<strong>da</strong> del nostro reale, del<br />

nostro immag<strong>in</strong>ario e del nostro sapere, che organizzano la deformazione leggen<strong>da</strong>ria<br />

secondo paradigmi radicati molto <strong>in</strong> profondità nella cultura dell’Occidente, tutta<br />

impegnata ad allontanare e tenere a ba<strong>da</strong> la figura del “folle”: <strong>una</strong> figura seducente e<br />

temibile, forse anche perché, come ci ha <strong>in</strong>segnato Freud, è già dentro di noi, e s’<strong>in</strong>filtra<br />

dovunque, nelle nostre piccole e meno piccole nevrosi, e non solo.<br />

Genio e follia nell’Occidente moderno<br />

Al di là dunque del mito specifico, e della più generale costellazione di narrazioni<br />

leggen<strong>da</strong>rie sul genio pazzo, c’è <strong>in</strong>somma <strong>una</strong> realtà di grande rilevanza storico-sociale,<br />

che è poi anche <strong>una</strong> storia <strong>in</strong> gran parte ancora <strong>da</strong> scrivere: la storia del rapporto che<br />

si determ<strong>in</strong>a nell’Occidente moderno, a partire <strong>da</strong>gli anni della Rivoluzione francese e<br />

del Romanticismo, su su f<strong>in</strong>o al Decadentismo e alle Avanguardie, fra l’<strong>in</strong>tellettuale e<br />

la follia. Non ci vuole molto impegno per ricor<strong>da</strong>rsi degli <strong>in</strong>numerevoli filosofi, poeti<br />

e artisti tutti più o meno conclamatamene “pazzi”: Nerval e Hölderl<strong>in</strong>, Maupassant e<br />

Nietzsche, Van Gogh e Ligabue, Althusser e Artaud, e certo l’elenco potrebbe cont<strong>in</strong>uare<br />

molto a lungo. Guar<strong>da</strong> caso, appena poco meno numerosi sono i filosofi, poeti e<br />

artisti vagabondi, <strong>da</strong> Rimbaud a Cendrars, alla folla dei “bums” della tradizione americana.<br />

E forse ancora più numerose sono le morti precoci, qualche volta misteriose:<br />

Keats, Shelley, Byron, Novalis, Lautréamont.<br />

Nel caso di Campana, bisognerebbe poi aggiungervi anche le tragedie della sua<br />

(straord<strong>in</strong>aria) generazione poetica, italiana e non solo: che è poi la generazione dell’età<br />

dell’espressionismo e della Grande Guerra. A ben vedere, la tragedia di Campana<br />

non è per nulla isolata: tutto il periodo <strong>da</strong>l 1905 al 1915 è <strong>in</strong>fatti segnato <strong>da</strong><br />

un’impressionante serie di morti precoci, e di vicende esistenziali segnate <strong>da</strong> violenti<br />

traumi. Se Slataper, Giani Stuparich, Serra, Boccioni muoiono <strong>in</strong> guerra, altri muoiono<br />

precocemente di malattia: a com<strong>in</strong>ciare <strong>da</strong>i tisici Gozzano, Corazz<strong>in</strong>i, Bo<strong>in</strong>e, per<br />

cont<strong>in</strong>uare con Federigo Tozzi, morto di spagnola nel 1920, a poco più di trent’anni.<br />

Ma è la medesima violenza della storia, cioè non solo delle d<strong>in</strong>amiche culturali, ma<br />

anche dell’economia e della società, che entra <strong>in</strong> gioco anche <strong>in</strong> molti altri casi, se si<br />

vuole atipici. Penso, per esempio, alla terribile crisi prima nervosa poi religiosa di<br />

Clemente Rebora, che lo porterà <strong>da</strong>ll’orlo della follia alla conversione e ai voti come<br />

frate rosm<strong>in</strong>iano. Ma ancor più a Carlo Michelstaedter, che, nel 1910, scrive la sua<br />

tesi di laurea, La persuasione e la retorica, dimostrando (un po’ come il Kirillov dei<br />

Demoni di Dostoevskij), che vivere è <strong>una</strong> vigliaccheria, e che solo la morte consente<br />

all’uomo <strong>una</strong> vera autoaffermazione: consegnata la tesi, con <strong>una</strong> coerenza ideologica<br />

che, giust’appunto, rasenta la follia, si ammazza.<br />

Il fatto è che è la moderna società capitalistica a costruire un rapporto profondo<br />

tra il lavoro <strong>in</strong>tellettuale e la follia, perché (<strong>in</strong> <strong>una</strong> parola) marg<strong>in</strong>alizza il lavoro <strong>in</strong>tellettuale,<br />

lo priva di un antichissimo prestigio, <strong>in</strong>card<strong>in</strong>ato sulla figura tradizionale<br />

dell’<strong>in</strong>tellettuale umanistico, per proiettarlo senza rete nell’universo dell’economicità;<br />

così, proprio mentre la nascita dei diritti d’autore e dell’<strong>in</strong>dustria culturale offrono<br />

nuove <strong>in</strong>edite possibilità di gua<strong>da</strong>gno e di affermazione, lo scrittore si ritrova, traumaticamente,<br />

a perdere la propria aureola (come esemplarmente simboleggiato <strong>in</strong> un<br />

geniale Poème en prose di Baudelaire, <strong>in</strong>titolato appunto Perte d’auréole). Ma, al di là


della condizione <strong>in</strong>tellettuale, l’Occidente capitalistico sradica tutti, perché la civiltà<br />

urbano-capitalistica non esisterebbe neanche senza la distruzione, al tempo stesso,<br />

delle comunità rurali e dei v<strong>in</strong>coli feu<strong>da</strong>li: arcaico fon<strong>da</strong>mento di un certo ruolo dell’<strong>in</strong>tellettuale.<br />

Da questo punto di vista sia il caso Campana, sia le tragedie biografiche<br />

di tanti altri <strong>in</strong>tellettuali, non smettono di parlarci di <strong>una</strong> condizione che è comune a<br />

noi, e che non smette di appartenerci: quella che ci sv<strong>in</strong>cola <strong>da</strong> un ruolo sociale determ<strong>in</strong>ato<br />

per sempre, gettandoci <strong>in</strong> mezzo al rischio di costruire la nostra identità, ma<br />

anche obbligandoci (Sarte direbbe “con<strong>da</strong>nnandoci”) alla nostra libertà.<br />

La dromomania<br />

Alle immag<strong>in</strong>i di alterità del poeta e del folle, Campana, come già ricor<strong>da</strong>to, somma<br />

quell’ulteriore figura di marg<strong>in</strong>alità che è il “vagabondo”: senza fissa dimora, senza<br />

lavoro, quasi sempre perseguito nelle legislazioni occidentali solo per la sua <strong>in</strong>stabilità.<br />

Campana mostra di essere affetto <strong>da</strong> <strong>una</strong> vera e propria s<strong>in</strong>drome psichica, che dà<br />

luogo a <strong>una</strong> <strong>in</strong>coercibile <strong>in</strong>stabilità fisica, con la conseguente impossibilità di resistere<br />

a lungo nello stesso posto: è quel disturbo che la psichiatria positivistica chiamava<br />

“dromomania”. In Campana c’è poi un’analogia profon<strong>da</strong>, a mio avviso evidente, fra il<br />

vagabon<strong>da</strong>ggio, la coazione a partire, l’<strong>in</strong>capacità di vivere fermo <strong>in</strong> un posto, e alcune<br />

delle sue più vistose e drammatiche manifestazioni aggressive: quelle rivolte verso la<br />

madre.<br />

A ben vedere, però, nella famiglia Campana chi <strong>in</strong>augura la coazione a partire, sia<br />

pure <strong>in</strong> forme un po’ meno spettacolari, non è D<strong>in</strong>o, ma proprio la madre, Fanny Luti,<br />

che non di rado, e senza ragioni plausibili, se ne an<strong>da</strong>va di casa, non <strong>da</strong>va segni di vita<br />

per qualche giorno, poi, come se niente fosse, rientrava alla base. Infatti del piccolo,<br />

e anche del piccolissimo D<strong>in</strong>o dovettero spesso prendersi cura due anziane sorelle,<br />

Marianna e Barber<strong>in</strong>a Bianchi, amiche di famiglia. Così che nell’<strong>in</strong>fanzia di Campana<br />

s’<strong>in</strong>serisce come <strong>una</strong> serie di periodici, ripetuti traumi; provvisori, certo, ma pure,<br />

ogni volta, temuti e angosciosi come def<strong>in</strong>itivi. In questo modo il bamb<strong>in</strong>o Campana<br />

ha sperimentato, ripetutamente, <strong>in</strong>sieme la perdita della madre, e la conseguente elaborazione<br />

di lutto, e il suo ritorno, disperatamente desiderato. Non a caso per Campana<br />

i due poli, <strong>in</strong>sc<strong>in</strong>dibili, de “la partenza” e “il ritorno”, e la coazione a ripeterli, sono<br />

diventati <strong>una</strong> costante: nella vita, e anche nella poesia. Ci sarebbe peraltro <strong>da</strong> riflettere<br />

accuratamente sul rapporto fra questa situazione <strong>in</strong>fantile e la psicosi.<br />

Una prima diramazione importante di questo scenario mentale è certo il sentimento<br />

di amore-odio, di ambivalenza emotiva, non solo verso la madre, ma anche verso<br />

Marradi, il proprio paese natale, collocato nell’Appenn<strong>in</strong>o tosco-romagnolo, sulla cosiddetta<br />

Faent<strong>in</strong>a, cioè sulla stra<strong>da</strong> che va <strong>da</strong> Faenza a Firenze. È difficile non associare<br />

all’ambivalenza emotiva verso la madre quella verso la terra d’orig<strong>in</strong>e e verso gli<br />

stessi compaesani: rapporti <strong>in</strong> cui Campana sembra immettere l’angoscia, e la derivata<br />

violenza, della prima, orig<strong>in</strong>aria lacerazione. Ma l’antitesi e la compresenza ossessiva<br />

di partenza e ritorno ricorrono anche al livello dei simboli e delle strutture del testo<br />

letterario: nei Canti orfici non ritroviamo <strong>in</strong>fatti solo la narrazione e il simbolismo del<br />

viaggio, ma anche, più sottilmente, quella che mi piace chiamare la s<strong>in</strong>drome della<br />

passante, naturalmente ricor<strong>da</strong>ndo À une passante di Baudelaire (e la straord<strong>in</strong>aria<br />

analisi che ne fa Benjam<strong>in</strong>). Nei testi di Campana, <strong>in</strong>fatti, a ben guar<strong>da</strong>re, si vede che,<br />

sotto la struttura visibile del viaggio, e anche quando non parla di viaggi, Campana<br />

racconta sempre la stessa cosa, produce un unico movimento, un’unica cellula narra-<br />

73


74<br />

tiva: egli <strong>in</strong>fatti rappresenta ossessivamente un movimento pressoché contemporaneo<br />

di avvic<strong>in</strong>amento alla donna e di allontanamento <strong>da</strong>lla donna; la comparsa della figura<br />

femm<strong>in</strong>ile sembra essere sempre legata alla sua stessa sparizione. In altre parole, e per<br />

dirla ancora con Benjam<strong>in</strong>, la poesia di Campana pare un’ossessiva messa <strong>in</strong> scena<br />

di un’esperienza dello choc. Anche <strong>in</strong> questo caso, non si tratta certo di un trauma<br />

s<strong>in</strong>golare, tutto personale, ma di qualcosa che sta al cuore dell’esperienza stessa della<br />

modernità urbana. Non a caso, <strong>in</strong>oltre, nella poesia di Campana risulta centrale la<br />

figura della prostituta: donna che si “ama” (e Campana <strong>in</strong>siste, ambiguamente, a dire<br />

che, letteralmente, ama le prostitute con cui si accompagna), e che però si perde; <strong>una</strong><br />

figura ulteriormente <strong>in</strong>tensificata e <strong>in</strong>nalzata, per così dire, al quadrato, <strong>da</strong>ll’immag<strong>in</strong>e<br />

della prostituta del porto: dove l’allontanamento pertiene non meno alla professione<br />

della donna che al luogo, tanto più che a Campana ogni città sembra <strong>una</strong> città di mare,<br />

e sembra perciò avere un porto; e naturalmente ogni città appare come <strong>una</strong> donna... e<br />

così via, secondo i vertig<strong>in</strong>osi processi associativi così caratteristici dell’opera campaniana.<br />

Il vagabondo e i suoi viaggi<br />

Per alcuni anni, all’<strong>in</strong>circa <strong>da</strong>ll’estate del 1903 alla tar<strong>da</strong> primavera del 1906, è probabile<br />

che il vagabon<strong>da</strong>ggio di Campana sia rimasto, per così dire, di piccolo cabotaggio<br />

(tenendo poi presente che si svolgeva prevalentemente a piedi), e di portata chilometrica<br />

abbastanza ridotta: limitandosi alla Toscana e all’Emilia-Romagna. Esiste<br />

però <strong>una</strong> testimonianza che va decisamente contro quest’ipotesi. L’ha raccolta Antonio<br />

Corbara, un medico faent<strong>in</strong>o appassionato di letteratura, <strong>in</strong>tervistando la famiglia<br />

Coll<strong>in</strong>a, che a Faenza ospitò spesso Campana:<br />

Il 6 gennaio 1904 la famiglia Coll<strong>in</strong>a si trovò Campana disteso a dormire<br />

sulla soglia esterna della porta di casa, cioè all’addiaccio (la notte aveva nevicato).<br />

D<strong>in</strong>o tornava <strong>da</strong>lla Russia ed era affamato. Vestiva un cappottaccio<br />

di tipo militare russo, appunto color giallo-nocciola, barba <strong>in</strong>colta, di molti<br />

giorni.<br />

Conviene perciò accogliere con molta cautela la testimonianza. D’altro canto il ricordo<br />

dei Coll<strong>in</strong>a restituisce maggiore fon<strong>da</strong>tezza all’accenno campaniano a un viaggio<br />

(semmai posteriore) a Odessa, cui avrebbe fatto seguito un periodo di peregr<strong>in</strong>azione<br />

<strong>in</strong> Russia <strong>in</strong> compagnia di <strong>una</strong> tribù di z<strong>in</strong>gari. Ci sono però parecchie testimonianze<br />

di marradesi che alludono, sia pure con qualche cautela dubitativa, a svariati viaggi di<br />

Campana verso l’est: <strong>in</strong> Russia, e anche <strong>in</strong> Turchia:<br />

Un’altra volta, tra il 1906 il 1908, <strong>in</strong> casa Coll<strong>in</strong>a si faceva come s’è detto,<br />

della musica. Campana giunse e si distese su un letto. Aspettò che f<strong>in</strong>issero<br />

di suonare, poi si levò e disse: «Riprendo il mio viaggio». Pare che an<strong>da</strong>sse a<br />

Costant<strong>in</strong>opoli.<br />

Si tratta però di ipotesi, tutto sommato piuttosto <strong>in</strong>certe, anzi dubbie senz’altro.<br />

Abbiamo però i riscontri precisi di quello che è il primo vero viaggio documentato del<br />

poeta di Marradi. Fra la metà di maggio e la f<strong>in</strong>e di giugno del 1906, mentre camm<strong>in</strong>a<br />

per la stazione ferroviaria di Bologna, Campana decide improvvisamente di partire.


S’<strong>in</strong>fila così sul primo treno per il nord, con <strong>in</strong> tasca pochi soldi; e, per non spenderli<br />

tutti subito per il biglietto, si nasconde nella toilette. Ci resta f<strong>in</strong>o a <strong>Milano</strong>, dove scende.<br />

Da <strong>Milano</strong> riparte, sempre <strong>in</strong> treno, per Domodossola, dove scende: “i giocattoli<br />

giganteschi delle Alpi” sono ormai a portata di mano, e non lontano è il conf<strong>in</strong>e della<br />

patria odiosamata, per la quale egli nutre i medesimi sentimenti ambivalenti che aveva<br />

verso la madre, verso Marradi, e verso la stessa poesia italiana. Da Domodossola<br />

Campana procede direttamente a piedi: probabilmente risalendo la Val Formazza, f<strong>in</strong>o<br />

al Passo di San Giacomo, di lì raggiungendo <strong>in</strong> seguito il Gottardo. Non sappiamo f<strong>in</strong><br />

dove proseguisse <strong>in</strong> questa sua prima uscita <strong>da</strong>ll’Italia: forse attraversò anche il conf<strong>in</strong>e<br />

francese, e potrebbe essere arrivato addirittura f<strong>in</strong>o a Parigi. Ma potrebbe anche<br />

aver girato quasi solo per la Svizzera, raggiungendo Andermatt, e poi Altdorf (il paese<br />

di Guglielmo Tell), e il lago dei Quattro Cantoni, f<strong>in</strong>o a Lucerna e, oltre, f<strong>in</strong>o a Basilea<br />

e a Berna. Un it<strong>in</strong>erario sicuramente percorso <strong>da</strong> Campana, <strong>in</strong> molte occasioni. Sicuramente<br />

egli valicò le Alpi parecchie volte, sempre o quasi sempre a piedi: «Ho passato<br />

varie volte le Alpi, ho fatto il Gottardo, il Sempione e altri valichi. Viaggiavo a piedi.<br />

An<strong>da</strong>vo sempre <strong>in</strong> viaggio perché non sapevo che fare». Possiamo esser certi che <strong>in</strong><br />

varie occasioni arrivò, un po’ a piedi un po’ <strong>in</strong> treno, f<strong>in</strong>o a Parigi (dove sicuramente<br />

visitò il Louvre).<br />

I viaggi di Campana sono però anche, come non è difficile immag<strong>in</strong>are, costellati <strong>da</strong><br />

molti fermi di polizia, e non di rado <strong>da</strong> vere e proprie <strong>in</strong>carcerazioni. Campana veniva<br />

fermato piuttosto spesso per episodi spiacevoli dovuti alla sua impulsività e irascibilità,<br />

ma anche soltanto per vagabon<strong>da</strong>ggio o per controlli dei documenti, ch’egli peraltro<br />

spesso non aveva, o dimenticava di portare con sé. Non è difficile immag<strong>in</strong>are quale<br />

diffidenza potessero ispirare, ai poliziotti svizzeri, francesi, belgi, italiani, il suo abbigliamento<br />

trasan<strong>da</strong>to, sporco, logoro quando non stracciato, e il suo atteggiamento<br />

assorto, svagato se non assente. D’altro canto, anche e proprio questi arresti dovettero,<br />

di nuovo, contribuire non poco a confermarlo nella sensazione di essere seguito, controllato<br />

ovunque e perseguitato. Anche <strong>da</strong> questo punto di vista, sarebbe opportuno<br />

ri<strong>leggere</strong> con attenzione la vicen<strong>da</strong> di Campana <strong>in</strong> rapporto alla storia delle istituzioni<br />

di repressione e controllo sociale, delle istituzioni totali, come direbbe Foucault.<br />

Non conosciamo con precisione il percorso del primo viaggio di Campana; ma sappiamo<br />

quale ne fu l’esito. Intorno al 20 giugno 1906 <strong>in</strong>fatti D<strong>in</strong>o viene avvistato <strong>da</strong>lle<br />

parti di Locarno. Per circa un mese non si sa più nulla. Poi, l’8 agosto, la Questura<br />

di Firenze avverte il s<strong>in</strong><strong>da</strong>co di Marradi che Campana sta per giungere, munito di<br />

foglio di via, proveniente <strong>da</strong>lla Francia via Bardonecchia. Conseguenza drammatica,<br />

per liberarsi <strong>da</strong>lle preoccupazioni e <strong>da</strong>lle <strong>in</strong>certezze suscitate <strong>da</strong>gl’<strong>in</strong>controllabili vagabon<strong>da</strong>ggi<br />

del figlio, il 5 settembre 1906 i Campana convocano <strong>da</strong>vanti al s<strong>in</strong><strong>da</strong>co<br />

quattro testimoni perché rilasc<strong>in</strong>o dichiarazione giurata che D<strong>in</strong>o ha <strong>da</strong>to chiari segni<br />

di follia:<br />

analogamente doman<strong>da</strong>ti, hanno concordemente risposto:<br />

«Possiamo attestare che Campana D<strong>in</strong>o di Giovanni e di Luti Francesca,<br />

<strong>da</strong> qualche tempo ha <strong>da</strong>to segni di demenza precoce e qu<strong>in</strong>di è necessario<br />

sottoporlo ad <strong>una</strong> cura e toglierlo <strong>da</strong>i pericoli del suo stato impulsivamente<br />

irritabile e per la sua vita errabon<strong>da</strong> che lo potrebbe esporre a gravi pericoli»<br />

E’ il necessario prelim<strong>in</strong>are per il ricovero <strong>in</strong> manicomio, immediatamente esegui-<br />

75


EMILIA PERASSI<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Carlo Emilio Gad<strong>da</strong><br />

tra Spagna e America Lat<strong>in</strong>a<br />

1. Erede della tradizione più illustre del pluril<strong>in</strong>guismo, con Dante e Rabelais<br />

come suggeritori canonici, la prosa di Carlo Emilio Gad<strong>da</strong> porta il marchio <strong>in</strong>confondibile<br />

di uno stile che si espone <strong>in</strong> varietà impensate di registri, <strong>da</strong>ll’italiano colto agli<br />

arcaismi, <strong>da</strong>lle l<strong>in</strong>gue speciali e tecniche alle l<strong>in</strong>gue straniere e ai dialetti. Specie per<br />

quanto riguar<strong>da</strong> quest’ultimo caso, la scrittura del gran lombardo viene a <strong>da</strong>re energia<br />

nuova ad un aspetto essenziale della letteratura italiana: l’unica, sostanzialmente, annota<br />

Cont<strong>in</strong>i, la cui produzione dialettale faccia corpo, <strong>in</strong> modo viscerale, col restante<br />

patrimonio, fondendo gli idioletti regionali-gergali con la l<strong>in</strong>gua nazionale: <strong>in</strong>torno a<br />

Gad<strong>da</strong> si disegna l’Italia l<strong>in</strong>guistica contemporanea, quella dei Pavese, dei Fenoglio,<br />

dei Mastronardi, senza dimenticare la lezione del c<strong>in</strong>ema neorealista, il romagnolo di<br />

Fell<strong>in</strong>i, il romanesco di Roma città aperta, le comunità lombarde di Olmi 1 .<br />

La stilistica ha ampiamente lavorato sui dialetti così come li adopera l’autore. Intenzioni<br />

specifiche tendono ad articolarne l’uso, secondo Lurati: risulta prevalente<br />

l’impiego del milanese e del romanesco; il fiorent<strong>in</strong>o di norma sostiene l’esposizione<br />

autobiografica; il molisano e il napoletano rafforzano la fioritura del personaggio (si<br />

ve<strong>da</strong> l’Ingravallo del Pasticciaccio); il veneziano funziona <strong>da</strong> colorazione pura 2 .<br />

Mi pare di contro che m<strong>in</strong>ore attenzione sia stata rivolta ad un’altra – sebbene imponente-<br />

opzione formale: il ricorso alle l<strong>in</strong>gue straniere, tra le quali risulta prediletto lo<br />

spagnolo. Il suo uso <strong>in</strong>sistito, commenta Stellardi, rivela non solo le competenze di un<br />

traduttore <strong>in</strong>coercibile e magnifico, ma anche più complessi meccanismi di mascheramento<br />

e estraniazione dell’io che scrive dietro la forma lontana della l<strong>in</strong>gua d’altri. 3<br />

Nonostante Gad<strong>da</strong> conosca bene il tedesco, l’<strong>in</strong>glese e il francese, è di fatto per il<br />

castigliano che mostra passione smo<strong>da</strong>ta, la “meravigliosa l<strong>in</strong>gua di Cervantes”, come<br />

la def<strong>in</strong>isce <strong>in</strong> un racconto <strong>da</strong>l titolo e <strong>da</strong>ll’ampio fraseggio <strong>in</strong> spagnolo, “Dom<strong>in</strong>go del<br />

1. G. Cont<strong>in</strong>i, “Introduzione”, <strong>in</strong> C. E. Gad<strong>da</strong>, La cognizione del dolore, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o,<br />

1963, p.18ss.<br />

2. O. Lurati, “Gad<strong>da</strong> testimone di l<strong>in</strong>gua condivisa”, Letteratura italiana contemporanea,<br />

n.9, maggio-agosto 1983, pp.245-246<br />

3. G. Stellari, “Gad<strong>da</strong> tradotto”, Letteratura italiana contemporanea, n.9, maggio-agosto<br />

1983, p. 353<br />

83


84<br />

señorito en escasez” 4 . Ne La cognizione del dolore, la cui ambientazione su<strong>da</strong>mericana<br />

si avvale della costante <strong>in</strong> tessitura di ispanismi, tale predilezione mostra tutta la<br />

sua carica sentimentale. Lo spagnolo è musica dotata di <strong>una</strong> bellezza che redime. Una<br />

precisa <strong>in</strong>dicazione metaforica suggerisce – per “lo stupendo idioma” – il paragone<br />

con la fiamma di uno spirito santo e pacificatore:<br />

Gli erre, come corde di guitarra, vibrarono <strong>in</strong> tutta la loro violenza acerba:<br />

lo stupendo idioma, parecido a <strong>una</strong> luz, a <strong>una</strong> llama, esalava <strong>da</strong>l fremito, <strong>da</strong>l<br />

calore dei labbri. 5<br />

In lettera alla gentile signora Lucia Rodonachi del 27 dicembre 1936 scrive: “Non<br />

conosco il catalano, che sospetto di contiguità con il ligure e con il portoghese, ma<br />

amo molto lo spagnolo” 6 .<br />

Credo che si possano considerare uniche le peculiarità dell’uso dello spagnolo <strong>in</strong><br />

Gad<strong>da</strong>. La letteratura italiana dell’ultimo secolo (tralascio le stagioni precedenti) ha<br />

conosciuto sì tale pratica di <strong>in</strong>nesto l<strong>in</strong>guistico, ma non con l’<strong>in</strong>tensità e ricorrenza del<br />

Nostro, salvo forse il caso di Carlo Coccioli, dove però il ricorso non assume i toni di<br />

spasmo retorico e simbolico presenti <strong>in</strong>vece nell’autore de La cognizione. Ripensando<br />

a braccio ad apparentamenti circostanti, mi vengono <strong>in</strong> mente le poche <strong>in</strong>cursioni <strong>in</strong><br />

spagnolo del Pirandello dei Sei personaggi <strong>in</strong> cerca d’autore (l’italo-spagnolo di Ma<strong>da</strong>ma<br />

Pace) e de Il Fu Mattia Pascal (la buffa parlata della señorita Pepita Pantoga<strong>da</strong><br />

o del giocatore <strong>in</strong>contrato nel cas<strong>in</strong>ò di Nizza). Radi, anche se icastici, suonano gli<br />

occhielli <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua affi<strong>da</strong>ti a El Paso, <strong>in</strong> Uom<strong>in</strong>i e no di Vittoriani. M<strong>in</strong>uscola, benché<br />

potenziata <strong>da</strong>l suo stesso isolamento, l’<strong>in</strong>crostazione nel Calderón di Pasol<strong>in</strong>i. Qui lo<br />

spagnolo, affi<strong>da</strong>to ad un’unica battuta, sigla il compimento del dest<strong>in</strong>o di prigionia<br />

dell’uomo, della con<strong>da</strong>nna a non svegliarsi più <strong>in</strong> altri luoghi, congelata nell’eternità<br />

della pronuncia calderoniana: “Siamo ai tuoi ord<strong>in</strong>i Basilio – recitano i guardiani – chè<br />

sempre / todo, como lo man<strong>da</strong>ste / que<strong>da</strong> efectuado”.<br />

Di gran lunga meno <strong>in</strong>cisive paiono altre occasioni di contam<strong>in</strong>azione fra le due<br />

l<strong>in</strong>gue, come quelle nella Banti di Artemisia o nella Bellonci di Lucrezia Borgia, ove<br />

– osserva Mazzocchi – le formule <strong>in</strong> spagnolo si limitano a decorare i rapporti affettivi<br />

di alcuni dei personaggi 7 . Più vasto l’impegno di Laura Pariani, che a partire <strong>da</strong> La<br />

spa<strong>da</strong> e la l<strong>una</strong>, e passando tra gli altri per Quando Dio ballava il tango o L’uovo di<br />

Gertrud<strong>in</strong>a, <strong>in</strong>treccia le due l<strong>in</strong>gue <strong>in</strong> segno di affetto per le culture del Sud America.<br />

Qualche contatto è anche nelle scene messicane di P<strong>in</strong>o Cacucci o <strong>in</strong> quelle dom<strong>in</strong>icane<br />

di Aldo Nove.<br />

E’ però certamente con la narrativa di Anna Maria Ortese che meglio consuona<br />

la passione ispanica di Gad<strong>da</strong>. Per ambedue, essa trattiene il senso di un mondo este-<br />

4. C. E. Gad<strong>da</strong>, “Dom<strong>in</strong>go del señorito en escasez. Domenica del giov<strong>in</strong> signore di scarsi<br />

mezzi”, <strong>in</strong> ID., Le bizze del capitano <strong>in</strong> congedo e altri racconti, a cura di D. Isella, Adelphi,<br />

<strong>Milano</strong>, 1981, p.52<br />

5. C. E. Gad<strong>da</strong>, La cognizione del dolore, <strong>in</strong> ID., Romanzi e racconti, a cura di R.Ron<strong>da</strong>ndi,<br />

G.Lucch<strong>in</strong>i, E.Manzotti, Garzanti, <strong>Milano</strong>, 1988, vol. I, p.702.<br />

6. C. E. Gad<strong>da</strong>, Lettere a <strong>una</strong> gentile signora, Adelphi, <strong>Milano</strong>, 1983, p.64<br />

7. G. Mazzocchi, “Anna Maria Ortese e l’ispanità”, MLN, vol. 112, january 1997, p.99


ticamente ideale che sottol<strong>in</strong>ea per contrasto il tormento e il dolore di vivere nella<br />

volgarità di quello realmente circostante. Lontanissimi <strong>in</strong> tutto, i due autori mostrano<br />

s<strong>in</strong>tonia <strong>in</strong> alcuni dei pr<strong>in</strong>cipi compositivi che sorreggono le loro rappresentazioni<br />

spagnolesche, specialmente quelli che riguar<strong>da</strong>no la costruzione degli scenari narrativi.<br />

Tanto ne La cognizione come ne Il porto di Toledo, per esempio, restano del tutto<br />

riconoscibili, sotto il travestimento ispanico della topografia, <strong>Milano</strong> e la Brianza <strong>in</strong><br />

Gad<strong>da</strong>, Napoli <strong>in</strong> Ortese. Entrambi gli scrittori usano altresì i riferimenti culturali<br />

iberici per trasporre letterariamente la propria realtà autobiografica: <strong>in</strong> direzione<br />

dell’onirico Anna Maria Ortese, per la quale lo spagnolo è la l<strong>in</strong>gua del sogno, “della<br />

vita irreale” 8 ; verso la parziale rigenerazione della propria identità ferita Carlo Emilio<br />

Gad<strong>da</strong>, che si traveste <strong>in</strong>dossando gli emblemi cavallereschi, moralistici e ascetici<br />

dell’ hi<strong>da</strong>lgo <strong>in</strong> quanto segno della profon<strong>da</strong> eticità attribuita alle espressioni di quella<br />

cultura. Se però nella Ortese lo spagnolo, <strong>in</strong> quanto l<strong>in</strong>gua del sogno, è tutta l<strong>in</strong>gua<br />

dell’io, <strong>in</strong> Gad<strong>da</strong> essa è di contro figura di <strong>una</strong> realtà alla deriva, <strong>in</strong> cui è proprio l’aspirazione<br />

al paradiso che fon<strong>da</strong> la concretezza dell’<strong>in</strong>ferno di esistere.<br />

2. Gad<strong>da</strong> arriva allo spagnolo per caso, catapultato <strong>in</strong> Argent<strong>in</strong>a <strong>da</strong> un contratto<br />

di lavoro come <strong>in</strong>gegnere della Compañía General de Fósforos che lo impegna <strong>da</strong>l<br />

dicembre del 1922 al febbraio del 1924. Si è già detto dell’immediata propensione per<br />

quella l<strong>in</strong>gua. Essa andrà collegandosi con un <strong>in</strong>teresse sempre maggiore per la cultura<br />

spagnola, i cui atteggiamenti spirituali, gli autori esemplari, le figure simboliche<br />

andranno assumendo il valore di proiezioni ideali ove ricoverarsi <strong>da</strong>lle ferite <strong>in</strong>ferte<br />

<strong>da</strong>ll’esperienza di vivere. Di questa cultura, dunque, Gad<strong>da</strong> si approprierà non solo<br />

come materiale di studio o di successivi lavori, ma soprattutto per confezionare e<br />

pubblicare il proprio mito personale. Emblematicamente, un alter ego dell’autore quale<br />

l’Alì Oco de Madrigal di Eros e Priapo confiderà<br />

[…] di aver avuto per modelli narcissici il Corsaro Nero, Dante (a lungo),<br />

“el famoso” Ariosto a lungo, Giulio Cesare, Nicola Dek (cacciatore-.contad<strong>in</strong>o<br />

valacco personaggio de Il castello dei Carpazi di Giulio Verne), più tardi<br />

Cervantes, il più grande degli <strong>in</strong>ventori europei, il monco di Lepanto […]. In<br />

genere subisco il fasc<strong>in</strong>o della signorilità, della vecchia macerazione culturale<br />

della Spagna, della pittura del Caravaggio: dei teologi o delle opere teologiche<br />

spagnole e delle persone magre e alte: preferirei essere don Quijote o Ignacio<br />

de Lodola […]. Anche i miei gusti letterari […] sono potentemente <strong>in</strong>fluenzati<br />

<strong>da</strong> coteste metafore. 9<br />

L’immag<strong>in</strong>e di don Chisciotte, “de complexión recia, seco de carnes, enjuto de rostro”,<br />

suggerisce i term<strong>in</strong>i dell’autoritratto ideale che l’autore propone per sé: ancora<br />

8. Il già citato articolo di Giuseppe Mazzocchi illustra pienamente il percorso e il valore<br />

dell’ispanità nella Ortese.<br />

9. C. E. Gad<strong>da</strong>, Eros e Priapo, <strong>in</strong> ID., Saggi giornali favole e altri scritti, a cura di C.Vela,<br />

G.Gasparri, G.P<strong>in</strong>otti, F.Gavazzeni, D.Isella, M.A. Terzoli, Garzanti, <strong>Milano</strong>, 1992, vol. II,<br />

p.335<br />

85


86<br />

sotto lo pseudononimo di Alì Oco de Madrigal, si descriverà <strong>in</strong>fatti “di volto alquanto<br />

scarno” e “di severa fierezza e gentilezza” 10 .<br />

Nell’ispirare il proprio profilo a quello dell’eroe cervant<strong>in</strong>o, Gad<strong>da</strong> seleziona ed<br />

enfatizza i tratti di un’ispanicità perfetta, ideale. Al tempo stesso istituisce l’identificazione<br />

fra quelli e se stesso, attraverso la reciproca somiglianza. I valori che organizzano<br />

la rappresentazione dell’io personale attraverso la maschera dell’altro letterario, si<br />

manifestano <strong>in</strong> un’iconografia del corpo che è repertorio di caratteri morali: l’altezza,<br />

che è del fisico come dell’animo; la magrezza, segno di ascetismo come lotta contro i<br />

demoni delle “figurazioni non valide”, ovvero delle immag<strong>in</strong>i semplificate della realtà,<br />

laddove essa è complessa, ritorta e d ambigua; la nevrosi, <strong>in</strong>generata <strong>da</strong>llo spirito<br />

cavalleresco, che mette <strong>in</strong> luce l’<strong>in</strong>dignazione e la furia verso <strong>una</strong> società eticamente<br />

poverissima, nella quale Gad<strong>da</strong> non si riconosce e che odia. Nel dicembre del 1932<br />

scriverà alla sorella:<br />

Lo stato dei miei nervi è <strong>in</strong>curabile e dipende sia <strong>da</strong>lle cause passate, sia<br />

<strong>da</strong>lle presenti, che ben conosci: sicchè non c’è nulla <strong>da</strong> fare…la mia disgrazia<br />

è di essere nato e cresciuto <strong>in</strong> mezzo allo sterco della analfabeta borghesia.<br />

Odio sopra ogni cosa il nostro ambiente e tutti coloro che mi hanno annoiato.<br />

Quest’odio e questo disprezzo crescono col tempo, perché col consumarsi degli<br />

anni vedo la enormità del male sofferto e delle <strong>in</strong>giustizie usatemi. 11<br />

Se c’è un valore che la borghesia lombar<strong>da</strong> ha perso è proprio lo spirito cavalleresco.<br />

Da qui la rabbia contro <strong>una</strong> classe che sposa maniere contrarie a quelle dei “signori”.<br />

Le verrà costantemente, aggressivamente rimproverato di non aver saputo conservare<br />

la cultura aristocratica che l’ha preceduta e <strong>da</strong>lla quale discende,. L’ha sostituita con le<br />

sole idee di gua<strong>da</strong>gno, affarismo, possesso: “gli “abom<strong>in</strong>evoli veicoli del male” 12 . La<br />

vendetta possibile è solo quella della penna, che esprime tutto lo sdegno di un autore<br />

“umiliato ed offeso” <strong>da</strong>lla realtà dei “bovi” 13 .<br />

Nella cultura spagnola Gad<strong>da</strong> sembra di contro trovare residui di un mondo congelato<br />

nel bene, capace di ristorarlo e pacificarlo <strong>da</strong>l conflitto col proprio, a costo di<br />

un giudizio generalizzante su di essa, t<strong>in</strong>ta di un arcaismo che <strong>da</strong>l punto di vista psicologico<br />

conviene ma che resta per certi aspetti convenzionale. L’approccio di Gad<strong>da</strong><br />

alla Spagna è però, di fatto, del tutto autoreferenziale, poiché gli consente di trovare<br />

<strong>in</strong> quella letteratura simboli che trascendono <strong>in</strong> mezzi di salvazione: grazie ad essi, è<br />

possibile progettare il viaggio verso un’alterità positiva, con la quale si è f<strong>in</strong>almente <strong>in</strong><br />

consonanza. La sua appropriazione consente di dissimulare la crisi, di lenire la tensione<br />

autodistruttiva, la scissione malata fra l’io e la propria storia,<br />

Terapeutico appare <strong>in</strong> effetti il chisciottismo eroico di Gonzalo ne La cognizione.<br />

Nonostante le successive smentite, gli sforzi di depistaggio del “lettore-segugio”, egli<br />

rimane il cavaliere ideale di <strong>una</strong> solitaria campagna contro la scrittura di bugie, contro<br />

10. C. E. Gad<strong>da</strong>, “Dom<strong>in</strong>go del señorito…”, cit., p.50<br />

11. Lettera alla sorella del 16 dicembre 1932, <strong>in</strong>edita. Cit. <strong>in</strong> C.E.Gad<strong>da</strong>, Lettere alla sorella.<br />

1920-1924, a cura di G.Colombo, nota biografica di C.Viganò, Rosell<strong>in</strong>a Arch<strong>in</strong>to, <strong>Milano</strong>,<br />

1987, p.8<br />

12. C. E. Gad<strong>da</strong>, “Dom<strong>in</strong>go del señorito en escasez…”, cit., p.57<br />

13. C. E. Gad<strong>da</strong>, “Intervista al microfono”, <strong>in</strong> ID., Saggi favole e altri scritti, cit., p.490


ELISA BIANCHI<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Stranieri a <strong>Milano</strong><br />

Uno sguardo d’<strong>in</strong>sieme<br />

Gli immigrati <strong>in</strong> Italia alla f<strong>in</strong>e del 2006 hanno superato i 3 milioni 1 . Dalle stime<br />

fatte <strong>da</strong>lla Caritas si prevede che raddopp<strong>in</strong>o nei prossimi 5 anni. Rispetto agli altri<br />

paesi europei, il numero degli immigrati è all’<strong>in</strong>circa pari a paesi quali la Francia,<br />

Inghilterra, Spagna ma <strong>in</strong> percentuale siamo ancora lontani rispetto ad altri paesi; gli<br />

immigrati sono <strong>in</strong>fatti il 5% circa della popolazione italiana contro il 9% ad esempio<br />

<strong>in</strong> Germania e Austria. Numerosi sono stati i modelli elaborati <strong>da</strong> studiosi di diversi<br />

ambiti discipl<strong>in</strong>ari per tentare di spiegare i movimenti attuali di popolazione; si tende<br />

a dist<strong>in</strong>guere modelli che si rifanno a un livello macro di analisi, che sottol<strong>in</strong>eano<br />

<strong>in</strong> particolare il gioco delle forze economiche <strong>in</strong>ternazionali, dei differenziali demografici,<br />

del rapporto centro e periferia; modelli che si rifanno a <strong>una</strong> analisi micro,<br />

<strong>in</strong>centrata specie sulle motivazioni personali; e ultimamente modelli “<strong>in</strong>termedi”, basati<br />

essenzialmente sulla teoria dei network, sono cioè le reti familiari, amicali, della<br />

comunità che sp<strong>in</strong>gono a muoversi. In realtà nessun modello è esaustivo e ciascuno ha<br />

<strong>una</strong> propria limitata validità. In specie vengono per lo più esclusi gli aspetti legati agli<br />

ord<strong>in</strong>amenti legislativi dei s<strong>in</strong>goli stati che possono impedire ai flussi di entrare; questi<br />

ultimi allora si <strong>in</strong>dirizzano verso altri paesi. Comunque nel cosiddetto “secolo lungo”<br />

(1800-1914) percentualmente si emigrò di più e fummo noi europei a emigrare.<br />

Molti studiosi s<strong>in</strong>tetizzano sostenendo che le motivazioni degli spostamenti odierni<br />

stanno nelle tre D: democrazia, differenziale demografico, differenziale economico;<br />

ma anche questo approccio è semplificatorio e tiene poco conto del fatto che buona<br />

parte delle migrazioni avviene fra paesi <strong>in</strong> via di sviluppo, ad esempio <strong>da</strong>l Laos verso<br />

la Cambogia; <strong>in</strong> Europa uno dei paesi dove si immigra di più è l’Ucra<strong>in</strong>a, chiamata<br />

appunto “la porta fra Londra e la C<strong>in</strong>a”, paese nello stesso tempo con forte emigrazione.<br />

1. Si fa presente che i <strong>da</strong>ti riguar<strong>da</strong>nti gli stranieri <strong>in</strong> Italia e nelle suddivisioni amm<strong>in</strong>istrative<br />

variano a secon<strong>da</strong> della fonte che si considera: Istat, <strong>da</strong>ti della Caritas, M<strong>in</strong>istero dell’Interno,<br />

Regione ecc., non solo per i metodi di rilevazione ma per le differenze temporali nelle<br />

rilevazioni. Qu<strong>in</strong>di il lettore potrebbe trovare cifre diverse, ad esempio rispetto alla presenza<br />

degli stranieri.<br />

95


96<br />

E’ <strong>in</strong>oltre contestabile che rispetto all’Ottocento valgano di più i fattori di espulsione<br />

(push factors) che di attrazione (pull factors) visto che la globalizzazione crea posti<br />

di lavoro poco qualificati nel primo mondo, chiamando i migranti.<br />

Per l’Italia spesso si parla di modello mediterraneo, cioè di <strong>una</strong> tipologia di migrazione<br />

vali<strong>da</strong> anche per Spagna, Portogallo, Grecia (servizi alla famiglia, terziarizzazione<br />

ecc.), diversa <strong>da</strong> quella dei paesi di più vecchia immigrazione dove sono maggiormente<br />

presenti lavoratori nelle <strong>in</strong>dustrie e migranti di sesso maschile. Ma <strong>in</strong> realtà<br />

<strong>in</strong> Italia molti sono gli immigrati che lavorano nell’area della <strong>in</strong>dustria diffusa.<br />

L’immigrazione <strong>da</strong> noi <strong>in</strong>izia con lo shock petrolifero. Il 1974 è l’anno fatale <strong>in</strong> cui<br />

il numero di espatri è <strong>in</strong>feriore di quello di chi entra. Ma <strong>in</strong> realtà non si viene solo per<br />

la chiusura delle frontiere dell’Europa ricca ma per le caratteristiche stesse della nostra<br />

economia e della nostra società <strong>in</strong> generale, per esempio un particolare tipo di welfare<br />

che scarica sulle famiglie la gestione di <strong>una</strong> popolazione sempre più anziana. Oggi<br />

l’immigrazione è radicata nel paese non solo per via dei ricongiungimenti familiari e<br />

della presenza delle seconde generazioni ma perché svolge funzioni <strong>in</strong>dispensabili.<br />

Agli <strong>in</strong>izi l’immigrazione viene ignorata <strong>da</strong>llo Stato; non esiste un sistema capace di<br />

rilevarla. Negli anni l’apparato di controllo si raff<strong>in</strong>a e vengono promulgate 4 leggi<br />

(1986, 1990, 1998, 2002) e 5 sanatorie; lo stesso sistema delle sanatorie è applicato<br />

<strong>in</strong> Spagna e Portogallo. Ciò è <strong>in</strong>dice di <strong>una</strong> mancanza progettuale sul fenomeno<br />

migratorio. La tendenza italiana non è quella di vedere l’immigrato come persona<br />

<strong>in</strong>dispensabile per l’an<strong>da</strong>mento del paese, <strong>in</strong>dividuo <strong>da</strong> <strong>in</strong>tegrare nella società ma<br />

come un soggetto estraneo <strong>da</strong> controllare. L’ultima legge, la cosiddetta Bossi/F<strong>in</strong>i, ne<br />

fa un Gastarbeiter, cioè <strong>una</strong> persona che vale solo <strong>in</strong> quanto vende la sua forza lavoro,<br />

ignorando il fatto che la nostra società è ormai <strong>una</strong> società multietnica. L’agen<strong>da</strong> dell’attuale<br />

governo dovrebbe rivedere <strong>in</strong> senso favorevole all’immigrato le disposizioni<br />

ora vigenti.<br />

Caratteristica della nostra immigrazione è l’altissima differenziazione dei gruppi<br />

etnici presenti, più di 190, quanto più o meno sono i paesi rappresentati all’ONU.<br />

Questo pone ovvi problemi di politiche di <strong>in</strong>corporazione. Vi è <strong>in</strong>oltre <strong>una</strong> presenza<br />

equilibrata fra generi, se si considerano gli immigrati nell’<strong>in</strong>sieme; però spesso un genere<br />

prevale sull’altro <strong>in</strong> maniera netta se si considerano <strong>in</strong>vece i s<strong>in</strong>goli gruppi etnici:<br />

ad esempio i marocch<strong>in</strong>i o i senegalesi sono per lo più maschi; filipp<strong>in</strong>i e peruviani e<br />

migranti <strong>da</strong>ll’Europa dell’Est per lo più femm<strong>in</strong>e. L’immigrazione al femm<strong>in</strong>ile, che è<br />

presente <strong>da</strong> noi s<strong>in</strong> <strong>da</strong>gli <strong>in</strong>izi, si pensi alle eritree e alle capoverdiane, smentisce pertanto<br />

l’ormai classico schema di Bohn<strong>in</strong>g, secondo cui emigrerebbero prima i giovani<br />

maschi; altra dissonanza rispetto allo schema è l’alto livello di istruzione, superiore<br />

a quello della popolazione italiana, <strong>in</strong> particolare tra gli immigrati europei e asiatici;<br />

più basso è il livello di istruzione tra gli africani. Pertanto si verifica il fenomeno del<br />

waste bra<strong>in</strong>, lo spreco dei cervelli; persone con alte qualifiche professionali vengono<br />

impiegate <strong>in</strong> lavori dequalificati.<br />

A oggi ogni 5 europei vi sono 2 asiatici, 2 africani, 1 americano. La grande crescita<br />

degli ultimi anni è <strong>in</strong>fatti dell’Europa orientale. Le etnie più presenti nel nostro paese<br />

sono gli albanesi, i marocch<strong>in</strong>i e i rumeni, ma ci sono notevoli differenze a secon<strong>da</strong><br />

delle aree considerate; ad esempio a <strong>Milano</strong> prevalgono i filipp<strong>in</strong>i e gli egiziani. Gli immigrati<br />

che crescono percentualmente di più negli ultimi anni sono ucra<strong>in</strong>i, mol<strong>da</strong>vi,<br />

equadoregni, tutti gruppi con <strong>una</strong> netta prevalenza di popolazione femm<strong>in</strong>ile (tab.1).<br />

La religione musulmana è la secon<strong>da</strong> dopo la cristiana con un milione di adepti.


Tab. 1 Popolazione straniera residente per paese di cittad<strong>in</strong>anza e sesso al 1° gennaio<br />

2004 e al 1° gennaio 2006. Primi 12 paesi (fonte Istat)<br />

1.1.2004 1.1.2006<br />

Cittad<strong>in</strong>anza Totale % F Cittad<strong>in</strong>anza Totale % F<br />

Albania 270.383 42,6 Albania 348.813 43,6<br />

Marocco 253.362 38 Marocco 319.537 39,0<br />

Romania 177.812 51,2 Romania 297.570 51,8<br />

C<strong>in</strong>a 86.738 47,3 C<strong>in</strong>a 127.822 46,6<br />

Filipp<strong>in</strong>e 72.372 60,4 Ucra<strong>in</strong>a 107.118 81,8<br />

Tunisia 68.630 33,3 Filipp<strong>in</strong>e 89.668 59,0<br />

Ucra<strong>in</strong>a 57.971 85,2 Tunisia 83.564 33,7<br />

Serbia e<br />

Montenegro<br />

51.708 44,8<br />

Serbia e<br />

Montenegro<br />

64.070 44,7<br />

Macedonia 51208 39,6 Macedonia 63.245 41,1<br />

Senegal 46.478 15,3 Equador 61.953 61,6<br />

India 44.791 38,7 India 61.847 38,0<br />

Perù 43.009 63,2 Polonia 60.823 72,9<br />

La distribuzione degli immigrati segue lo sviluppo del paese; ve ne sono di più a<br />

Nord e al centro, meno al sud e nelle isole (tab. 2). Sono presenti <strong>in</strong> specie nei distretti<br />

<strong>in</strong>dustriali e dove è forte la piccola impresa. Il servizio alle famiglie lo si trova <strong>in</strong>vece<br />

ovunque, al sud come al nord; lo stesso vale per l’impiego <strong>in</strong> agricoltura ma c’è <strong>una</strong><br />

grossa differenza fra gli <strong>in</strong>diani punjabi impiegati nella zootecnia nella zona di Brescia<br />

o Reggio Emilia e i lavoratori <strong>in</strong> nero che raccolgono i pomodori ad esempio nel<br />

Casertano. La forte presenza di immigrati nel lavoro subord<strong>in</strong>ato nel nord est è <strong>una</strong><br />

caratteristica italiana. Rispetto ad altri paesi mediterranei ma anche di antica immigrazione<br />

l’Italia si dist<strong>in</strong>gue <strong>in</strong>oltre per <strong>una</strong> m<strong>in</strong>ore importanza del modello metropolitano,<br />

cioè <strong>una</strong> forte concentrazione della immigrazione nelle grandi città, anche se<br />

le prov<strong>in</strong>ce di <strong>Milano</strong> e Roma raccolgono <strong>in</strong>sieme <strong>una</strong> percentuale superiore al 20%<br />

del totale degli stranieri. Questa maggiore dispersione sul territorio potrebbe, secondo<br />

alcuni studiosi, essere un bene per evitare episodi come quelli avvenuti recentemente<br />

nella banlieue parig<strong>in</strong>a.<br />

97


98<br />

Tab. 2 Suddivisione degli stranieri per grandi circoscrizioni geografiche (fonte Dossier<br />

Caritas 2006)<br />

totale di cui m<strong>in</strong>ori % dei m<strong>in</strong>ori<br />

% stranieri<br />

sulla pop.<br />

Italiana<br />

Nord 1.806.382 387.139 21,4 6,8<br />

Centro 820.551 133.271 16,2 7,2<br />

Sud 298.021 44.008 14,8 2,1<br />

Isole 110.190 22.065 20,0 1,7<br />

Attualmente <strong>in</strong> Italia si entra per lo più per motivi di lavoro e ricongiungimento familiare;<br />

nei paesi di vecchia immigrazione prevalgono i ricongiungimenti familiare.<br />

L’immigrazione si è sviluppato <strong>in</strong> particolare a partire <strong>da</strong>gli anni ’80 del ’900. Si sono<br />

a poco a poco creati i cosiddetti network o reti etniche; ciò causa <strong>una</strong> forte differenziazione<br />

sul territorio dei vari gruppi etnici a secon<strong>da</strong> delle reti presenti e della loro<br />

forza. Ad esempio gli <strong>in</strong>diani non ci sono a <strong>Milano</strong> dove ci sono <strong>in</strong>vece gli egiziani,<br />

non particolarmente presenti altrove. Questo crea processi di etichettatura: se gli <strong>in</strong>diani<br />

lavorano nella zootecnia è perché sono bravi a tenere gli animali, se i filipp<strong>in</strong>i<br />

lavorano presso le famiglie è perché sono buoni e attenti agli anziani. Oppure si creano<br />

stereotipi negativi quali: gli albanesi sono pericolosi. Ed è difficile rompere gli stereotipi<br />

<strong>una</strong> volta formatisi<br />

I network svolgono funzioni fon<strong>da</strong>mentali <strong>in</strong> mancanza di organismi preposti alla<br />

accoglienza e alla <strong>in</strong>tegrazione. Grazie a essi giungono i parenti, gli amici, gli appartenenti<br />

alla stessa comunità; servono per trovare lavoro e alloggio; forniscono le <strong>in</strong>formazioni<br />

necessarie; suppliscono alla solitud<strong>in</strong>e ecc. I network però sono anche controproducenti<br />

perché possono creare sfruttamento all’<strong>in</strong>terno (superlavoro, <strong>in</strong>duzione alla<br />

prostituzione o all’accattonaggio ecc.) o perché sono nicchie <strong>da</strong> cui è difficile uscire.<br />

Ad esempio per i filipp<strong>in</strong>i, presenti <strong>in</strong> particolare a <strong>Milano</strong>, è arduo trovare un tipo di<br />

lavoro diverso <strong>da</strong> quello domestico, nonostante i buoni titoli di studio.<br />

Specie al nord e al centro si è sviluppata <strong>una</strong> forte imprenditoria etnica, basta vedere<br />

i <strong>da</strong>ti della Camera di Commercio di <strong>Milano</strong> dove risulta che le imprese straniere<br />

aperte nel capoluogo e <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia sono circa il 12% di tutte le imprese <strong>in</strong>dividuali.<br />

Si tratta di ditte che realizzano prodotti e offrono servizi sia per il consumo degli<br />

autoctoni che per gli immigrati. La sp<strong>in</strong>ta a mettersi <strong>in</strong> proprio proviene <strong>da</strong>l desiderio<br />

di uscire <strong>da</strong>l lavoro subord<strong>in</strong>ato non qualificato; sono <strong>in</strong>fatti pochissimi gli stranieri<br />

che ricoprono posti di lavoro <strong>in</strong> cui si richiede <strong>una</strong> specializzazione. E’ il lavoro detto<br />

delle 5 P, precario, pesante, poco considerato socialmente, pericoloso, poco pagato. In<br />

questo caso i network servono per acquisire il capitale <strong>in</strong>iziale per aprire l’impresa;<br />

ma ancora più importante è il capitale sociale, cioè il livello di istruzione, la capacità<br />

di relazionarsi ecc.. Laddove il capitale sociale è basso, è assai più difficile <strong>in</strong>tegrarsi


nel lavoro, come nella scuola, nella società <strong>in</strong> genere.<br />

Dai son<strong>da</strong>ggi recenti gli italiani temono meno che immigrati rub<strong>in</strong>o loro il lavoro;<br />

si teme di più la crim<strong>in</strong>alità ma <strong>in</strong> realtà fra i regolari il tasso di crim<strong>in</strong>alità è bassissimo,<br />

<strong>in</strong>feriore che fra italiani; è tra i clandest<strong>in</strong>i <strong>in</strong> specie che si anni<strong>da</strong> la crim<strong>in</strong>alità.<br />

Il razzismo c’è, esplicito e latente; dove è latente e qu<strong>in</strong>di non si considera l’immigrato<br />

tout court un pericolo o un <strong>in</strong>feriore, lo si teme ad esempio per la possibile concorrenza<br />

nelle graduatorie negli asili o per le case popolari.<br />

Ormai, grazie ai ricongiungimenti familiari, sono presenti le seconde generazioni.<br />

Al 2006 585.000 sono i m<strong>in</strong>ori stranieri <strong>in</strong> Italia; fra questi il 55% è nato qui. La legge<br />

attuale al compimento del diciottesimo anno di età concede con ampio marg<strong>in</strong>e di<br />

discrezionalità la cittad<strong>in</strong>anza italiana ai m<strong>in</strong>ori qui nati; non si tratta qu<strong>in</strong>di di un<br />

diritto acquisito e può accadere che un m<strong>in</strong>ore cresciuto <strong>in</strong> Italia venga riman<strong>da</strong>to <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> “patria” dove non è mai stato. In Lombardia sono 104.000 i m<strong>in</strong>ori; <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di<br />

<strong>Milano</strong> 8 alunni su 100 sono stranieri. Sono ancora cifre basse rispetto ad altri paesi<br />

europei ma <strong>in</strong> fortissima crescita. Le seconde generazioni sono considerate <strong>da</strong>gli studiosi<br />

un campo di analisi specifico. Si teme la cosiddetta assimilazione verso il basso<br />

<strong>in</strong> mancanza di <strong>una</strong> politica di <strong>in</strong>tegrazione; si sottol<strong>in</strong>ea f<strong>in</strong> troppo la formazione di<br />

bande, vedi a <strong>Milano</strong> e Genova i vari articoli apparsi nella cronaca locale sulle bande<br />

giovanili di equadoregni ma anche di filipp<strong>in</strong>i. I giovani vedono che i genitori occupano<br />

posizioni lavorative subalterne; notano la scarsa <strong>in</strong>tegrazione sociale delle famiglie<br />

e sentono che le loro aspettative si realizzeranno più difficilmente di quelle dei coetanei<br />

italiani fra i quali sono cresciuti. A livello <strong>in</strong>dividuale c’è il problema di coniugare<br />

<strong>una</strong> identità plurima; vi è qu<strong>in</strong>di il problema del capitale sociale che varia a secon<strong>da</strong><br />

dei gruppi etnici; più o meno per tutti vi sono scarse risorse materiali, <strong>in</strong> primo luogo<br />

la casa. Ciò causa forti ritardi scolastici, anche perché l’italiano per chi giunge <strong>da</strong> fuori<br />

è <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua quasi sempre sconosciuta. A ciò si contrappone però un forte <strong>in</strong>teresse<br />

dei genitori stranieri nella riuscita scolastica de figli. Anche nell’istruzione si creano<br />

stereotipi; si tende a man<strong>da</strong>re i m<strong>in</strong>ori stranieri, specie i maschi, nelle scuole professionali;<br />

le femm<strong>in</strong>e sembrano più libere di scegliere fra i vari <strong>in</strong>dirizzi. Sulla <strong>in</strong>tegrazione<br />

delle seconde generazioni la nostra società si gioca il futuro e dispiace pertanto vedere<br />

quanto poco si faccia, almeno a livello istituzionale.<br />

Gli stranieri <strong>in</strong> Lombardia<br />

In Lombardia vi sono attualmente più di 700.000 immigrati, senza considerare i<br />

clandest<strong>in</strong>i. E’ pertanto la prima regione italiana <strong>in</strong> fatto di immigrazione. In prov<strong>in</strong>cia<br />

di <strong>Milano</strong> sono più di 334.000, l’ 8,7 della popolazione; nel comune di <strong>Milano</strong><br />

sono 162.169 tra i quali 31.807 m<strong>in</strong>ori; si tratta di circa l’11% della popolazione totale<br />

milanese, ma nel comune di Brescia la percentuale è ancora più elevata. Siamo qu<strong>in</strong>di<br />

a livelli di paesi di vecchia immigrazione. In Lombardia e prov<strong>in</strong>cia di <strong>Milano</strong> prevalgono<br />

di gran lunga gli europei, pur essendo <strong>in</strong> percentuale di meno rispetto alla media<br />

del paese (<strong>in</strong> Italia il 48,8%; <strong>in</strong> Lombardia il 35,9%, <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di <strong>Milano</strong> il 32,6%).<br />

In Lombardia vi sono più africani. In prov<strong>in</strong>cia di <strong>Milano</strong> più asiatici sempre rispetto<br />

al paese.<br />

La Lombardia presenta diversi modelli economici a secon<strong>da</strong> delle prov<strong>in</strong>ce. C’è<br />

il modello metropolitano dell’economia a clessidra di cui parla Saskia Sassen che si<br />

rispecchia <strong>in</strong> <strong>Milano</strong>; <strong>in</strong> questo caso gli immigrati servono per lavori poco qualificati<br />

99


CARMINE ABATE<br />

Scrittore<br />

Scrivere l’altro:<br />

<strong>da</strong>l Muro dei muri<br />

al Mosaico del tempo grande<br />

Per me “scrivere l’altro” vuol dire raccontare pr<strong>in</strong>cipalmente la propria storia, e ora<br />

vi spiegherò perché, partendo <strong>da</strong>lle mie l<strong>in</strong>gue.<br />

La mia madrel<strong>in</strong>gua è l’arbëresh, cioè l’albanese antico. Infatti il mio paese d’orig<strong>in</strong>e,<br />

Carfizzi/Karfici, <strong>in</strong> Calabria, è stato fon<strong>da</strong>to alla f<strong>in</strong>e del Quattrocento <strong>da</strong>i profughi<br />

albanesi che fuggivano <strong>da</strong>lla dom<strong>in</strong>azione ottomana.<br />

F<strong>in</strong>o a sei anni sapevo parlare solo l’arbëresh e anzi ero conv<strong>in</strong>to che l’italiano, la<br />

l<strong>in</strong>gua che avrei imparato a scuola, fosse il napoletano delle canzoni che cantavano i<br />

teatristi <strong>in</strong> piazza, durante i loro spettacoli, e mio padre, ogni matt<strong>in</strong>a, mentre si faceva<br />

la barba. A scuola, come quasi tutti gli arbëreshë, ho poi subìto <strong>una</strong> scolarizzazione<br />

esclusivamente <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua e cultura italiana, cioè litirë, straniera, mentre a casa e con<br />

gli amici, nel vic<strong>in</strong>ato, per le strade del paese cont<strong>in</strong>uavo a parlare quella che noi chiamiamo<br />

gjuha e zemëres, la l<strong>in</strong>gua del cuore. L’altra, la l<strong>in</strong>gua che parlavano i maestri,<br />

prima, i professori poi, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e i <strong>da</strong>tori di lavoro, era gjuha e bukes, la l<strong>in</strong>gua del pane:<br />

importante, certo, ma non radicata dentro come la l<strong>in</strong>gua arbëresh.<br />

La scuola, specialmente quella elementare, l’ho vissuta <strong>da</strong>vvero come un bamb<strong>in</strong>o<br />

straniero che per quattro ore doveva spogliarsi della sua l<strong>in</strong>gua e vestire, con difficoltà<br />

e sofferenza, <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua che gli an<strong>da</strong>va stretta. Oltretutto ero conv<strong>in</strong>to che l’arbëresh<br />

non si potesse scrivere. Come si fa a scrivere hjea, l’ombra, o gjuha, la l<strong>in</strong>gua? Ci<br />

provavo, anche, ma di fronte a <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua ricchissima di fonemi, più dell’italiano che<br />

studiavo a scuola, a nulla valevano i miei tentativi <strong>da</strong> autodi<strong>da</strong>tta.<br />

Insomma, per farla breve, sono cresciuto analfabeta nella mia madrel<strong>in</strong>gua; eppure<br />

NOTA BIOGRAFICA<br />

Carm<strong>in</strong>e Abate è nato nel 1954 a Carfizzi, <strong>una</strong> comunità arbëreshe (italo-albanese) della<br />

Calabria, ed è emigrato <strong>da</strong> giovane <strong>in</strong> Germania. Oggi vive <strong>in</strong> Trent<strong>in</strong>o, dove <strong>in</strong>segna. Ha<br />

esordito nel 1984 <strong>in</strong> Germania con i racconti di Den Koffer und weg! (ediz. ital. ampliata,<br />

Il muro dei muri, 1993; riedito <strong>da</strong> Mon<strong>da</strong>dori nel 2006). Ha pubblicato, tra l’altro, il libro<br />

di poesie Terre di an<strong>da</strong>ta (Argo 1996) e i romanzi Il ballo tondo (Marietti 1991; Fazi 2000;<br />

Mon<strong>da</strong>dori 2005), La moto di Scanderbeg (Fazi 1999), Tra due mari (Mon<strong>da</strong>dori 2002; Oscar<br />

2005) e La festa del ritorno (Mon<strong>da</strong>dori 2004). Degli ultimi due sono stati opzionati i diritti<br />

c<strong>in</strong>ematografici. Il suo romanzo più recente è Il mosaico del tempo grande (Mon<strong>da</strong>dori 2006;<br />

Oscar 2007). I suoi libri, v<strong>in</strong>citori di numerosi premi, sono tradotti <strong>in</strong> molti paesi.<br />

107


108<br />

la scelta, all’<strong>in</strong>izio forzata e poi sempre più consapevole, di scrivere <strong>in</strong> italiano l’ho<br />

vissuta come un sorta di tradimento nei confronti dell’arbëresh. Per questo mi è venuto<br />

spontaneo, nel corso di un’<strong>in</strong>tervista, autodef<strong>in</strong>irmi “transfuga l<strong>in</strong>guistico”, cioè uno<br />

scrittore che scrive <strong>in</strong> <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua diversa <strong>da</strong> quella che ha imparato <strong>da</strong>lla voce della<br />

propria madre, a casa sua. Usare l’italiano non è stato dunque naturale, semplice, liscio,<br />

ma mi ha sempre creato e cont<strong>in</strong>ua a crearmi <strong>una</strong> grande <strong>in</strong>sicurezza di fondo,<br />

che cerco di superare con <strong>una</strong> pignoleria forse esagerata nelle cont<strong>in</strong>ue revisioni dei<br />

miei testi.<br />

Oltretutto la mia situazione l<strong>in</strong>guistica si è complicata - e, <strong>da</strong> altri punti di vista,<br />

arricchita - <strong>da</strong>l fatto che a sedici anni ho messo piede per la prima volta <strong>in</strong> Germania.<br />

E’ qui che ho com<strong>in</strong>ciato a scrivere <strong>in</strong> italiano delle storie “germanesi” - come vengono<br />

chiamati gli emigrati del mio paese, cioè né tedeschi, né arbëreshë, né italiani, ma<br />

firgure ibride, come la l<strong>in</strong>gua che parlano - e ho com<strong>in</strong>ciato a scriverle per un motivo<br />

ben preciso: volevo denunciare l’<strong>in</strong>giustizia della costrizione ad emigrare.<br />

Costr<strong>in</strong>gere qualcuno ad abbandonare la propria terra per an<strong>da</strong>re a vivere altrove era<br />

per me la più grande delle <strong>in</strong>giustizie. E naturalmente parlavo di situazioni vissute<br />

<strong>in</strong> prima persona: a quattro anni avevo visto partire mio padre per la Francia, con un<br />

contratto <strong>in</strong> tasca <strong>da</strong> m<strong>in</strong>atore, e l’anno dopo per la Germania, dove è rimasto ventic<strong>in</strong>que<br />

anni, prima <strong>da</strong> solo, poi con mia madre, mentre io facevo la spola tra Amburgo<br />

e Carfizzi.<br />

Dopo la laurea, a ventun anni, sono stato costretto anch’io a stabilirmi <strong>in</strong> Germania<br />

per motivi di lavoro, e ho vissuto <strong>in</strong> prima persona i problemi del vivere tra più mondi,<br />

cogliendone però anche gli aspetti positivi. Erano gli anni Ottanta e facevo parte della<br />

PoLiKunst, un’associazione pol<strong>in</strong>azionale, che col tempo avrebbe contato su scrittori e<br />

artisti stranieri residenti <strong>in</strong> Germania di ben 17 nazionalità. Ciò che ci accum<strong>una</strong>va era<br />

la voglia di uscire <strong>da</strong>i ghetti culturali della propria nazionalità, cercare nuove strade,<br />

aprirci. Da qui, l’esigenza di usare il tedesco come l<strong>in</strong>gua veicolare, per capirsi tra di<br />

noi, per com<strong>in</strong>ciare a dialogare con i tedeschi, con lo scopo dichiarato di superare i<br />

pregiudizi reciproci e gettare le basi di <strong>una</strong> letteratura multiculturale.<br />

E’ <strong>in</strong> tale contesto multiculturale che è nato il mio primo libro di racconti pubblicati<br />

<strong>in</strong> tedesco nel 1984, col titolo di Den Koffer und weg! (uscito <strong>in</strong> Italia nel 1993 e poi<br />

<strong>in</strong> un’edizione riveduta negli Oscar Mon<strong>da</strong>dori, nel 2006). Dunque, come narratore ho<br />

esordito <strong>in</strong> Germania, dove ho cont<strong>in</strong>uato a pubblicare tutti i miei libri; solo nel 1991<br />

è uscito <strong>da</strong> Marietti il mio primo romanzo <strong>in</strong> Italia, Il ballo tondo (ora negli Oscar<br />

Mon<strong>da</strong>dori, 2005), ma non credo <strong>in</strong> un tipico italiano <strong>da</strong> tipico scrittore italiano.<br />

Del resto, le storie che mi ronzano <strong>in</strong> testa le sento <strong>in</strong> <strong>una</strong> Babele di l<strong>in</strong>gue: l’arbëresh,<br />

che è la l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong> cui penso e sogno, l’italiano della mia scolarizzazione, il<br />

calabrese, il tedesco, il germanese, cioè la l<strong>in</strong>gua ibri<strong>da</strong> degli emigrati; e poi le parole<br />

e i modi di dire dei tanti luoghi <strong>in</strong> cui ho vissuto. Perciò sono costretto, di storia <strong>in</strong><br />

storia, a re<strong>in</strong>ventare <strong>una</strong> mia l<strong>in</strong>gua, stando attento a non perdere la musicalità delle<br />

l<strong>in</strong>gue e delle storie che ho dentro. Ad esempio, quando nel Mosaico del tempo grande<br />

(Mon<strong>da</strong>dori 2006, Oscar 2007) racconta la madre o il padre del protagonista a volte<br />

lascio term<strong>in</strong>i arbëreshe o calabresi o li italianizzo, li contam<strong>in</strong>o, pur di non spezzare<br />

il loro flusso ritmico, la loro musica. Del resto, viviamo <strong>in</strong> società multiculturali <strong>in</strong> cui<br />

le l<strong>in</strong>gue saranno sempre di più il risultato di <strong>una</strong> contam<strong>in</strong>azione.<br />

Nel Ballo tondo, oltre alla contam<strong>in</strong>azione l<strong>in</strong>guistica, ho imboccato anche un’altra<br />

stra<strong>da</strong>: ho lasciato <strong>in</strong> arbëresh non solo s<strong>in</strong>gole parole ma <strong>in</strong>tere frasi che mi venivano


110<br />

MARTINO MARAZZI<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

«Azzorrait»: microscopie<br />

della l<strong>in</strong>gua italiana<br />

<strong>in</strong> emigrazione<br />

Scrivendo <strong>da</strong> un remoto angolo delle campagne meridionali nell’autunno 1879, uno<br />

dei più lucidi protagonisti dell’Italia liberale, Giust<strong>in</strong>o Fort<strong>una</strong>to, portava all’attenzione<br />

un fatto s<strong>in</strong>golare, che assume, di anno <strong>in</strong> anno, proporzioni sempre maggiori:<br />

un fatto, che rivelando all’osservatore <strong>una</strong> piaga misteriosa della vita<br />

così poco studiata dei nostri contad<strong>in</strong>i napoletani, scopre come un <strong>in</strong>dizio di<br />

pericoli punto lontani, come un fenomeno di oscura malattia sociale, come un<br />

enigma pauroso del nostro avvenire; ché <strong>da</strong> per tutto mi par di sentire negl’<strong>in</strong>fimi<br />

strati sociali un cupo rombo quasi di vic<strong>in</strong>o tremuoto, un tuono sordo<br />

quasi di imm<strong>in</strong>ente tempesta. 1<br />

Nelle campagne e lungo tutto l’Appenn<strong>in</strong>o, <strong>da</strong>gli Abruzzi alla Sicilia, com<strong>in</strong>ciava<br />

il silenzioso esodo di <strong>una</strong> parte consistente del popolo meridionale (e non solo). Mi<br />

<strong>in</strong>teressa, quest’oggi, tracciare un breve percorso l<strong>in</strong>guistico-letterario che, attraverso<br />

alcune scelte testimonianze, ci aiuti ad avvic<strong>in</strong>arci e a decifrare quel «cupo rombo»<br />

nelle sue varie metamorfosi.<br />

L’emigrato, <strong>in</strong>fatti, è un “misterioso enigma” per i suoi più fort<strong>una</strong>ti concittad<strong>in</strong>i,<br />

per coloro che restano; ma <strong>in</strong> lui l’esperienza di <strong>una</strong> vita altrove diventa acquisizione<br />

di consapevolezza di un’alterità che def<strong>in</strong>irei b<strong>in</strong>oculare o stereofonica, poiché riguar<strong>da</strong><br />

sé stesso e l’altro. Per l’emigrato, l’altro è contemporaneamente fuori e dentro.<br />

Inizio presentando due casi-limite:<br />

Carissimo Professor Ghisleri.<br />

Senza dubbio proverete un senso di sorpresa, nel ricevere questa mia. Son<br />

passati molti mesi <strong>da</strong>cchè vi scrissi l’ultima volta, e voi forse, crederete, ch’io<br />

sia passato nel mondo dell’ignoto, o che come spesse volte succede io vi abbia<br />

del tutto dimenticato. Come vedete, non mi sono dimenticato di voi. Le vicissitud<strong>in</strong>i<br />

di <strong>una</strong> vita errabon<strong>da</strong>, <strong>in</strong>stabile e piena di peripezie, hanno fatto sì,<br />

1. Cito <strong>da</strong> Giust<strong>in</strong>o Fort<strong>una</strong>to, Corrispondenze napoletane, ECIG, Genova 1993, p. 85.


che mi son trovato costretto, ad <strong>in</strong>terrompere il filo di <strong>una</strong> corrispondenza, la<br />

quale mi sarebbe riuscita oltremodo gradita. Giorni sono trovandomi a Philadelphia,<br />

seppi <strong>da</strong>l mio amico Emanuele Perotta, della vostra visita, nella città<br />

dei quaccheri, durante l’esposizione di Chicago, ed <strong>in</strong>vero, soffrii al pensiero,<br />

che il fato non volle ch’io mi trovassi colà, negandomi così il piacere di fare<br />

la vostra conoscenza personale. Avrei amato, grandemente, d’<strong>in</strong>contrarvi: di<br />

sentire quali fossero le vostre op<strong>in</strong>ioni sugli Stati Uniti, osservati, non attraverso<br />

le lenti più o meno illusorie, dello storiografo, ma sebbene di persona;<br />

avrei desiderato sentire se gli antichi giudizii miei, nel ‘Cuore e Critica’ sulle<br />

colonie italiane d’America, ebbero <strong>una</strong> conferma od <strong>una</strong> smentita, <strong>da</strong>lle vostre<br />

osservazioni personali. Forse avrete pubblicato qualche lavoro sull’argomento,<br />

ed <strong>in</strong> tal caso, potreste <strong>in</strong>viarmene copia. Dal 1892 <strong>in</strong> poi, vivo qui nella Virg<strong>in</strong>ia,<br />

al contatto di due razze antagoniste, l’anglo-sassone e l’afro-americana;<br />

vivo solo isolato, vegetando direi quasi, e non mi arriva mai nè un giornale, nè<br />

un libbro [sic], che mi parli, della mia terra natale, di quella terra abbandonata<br />

<strong>da</strong> lunghissimi anni, ma pur sempre cara, pur sempre amata. Quasi, quasi<br />

sento di dimenticarne perf<strong>in</strong>o la l<strong>in</strong>gua. Se non vi è di troppo disturbo, vi pregherei,<br />

<strong>in</strong>viarmi <strong>una</strong> lista, di periodici, politico-sociali-letterari, che cercherei<br />

abbonarmi, e forse, mi sentirei sp<strong>in</strong>to nelle ore di ozio, a scrivere qualcosa, il<br />

che mi sarebbe di grande giovamento, nel mantenermi al corrente della favella<br />

della mia <strong>in</strong>fanzia. Oh! quanto è dura la vita dell’esiliato pari mio! Quante<br />

volte mi sento sp<strong>in</strong>to ad abbandonare la probabilità di un brillante avvenire,<br />

per far ritorno alla terra natale, ove forse la vita sarebbe meno attristata <strong>da</strong>i<br />

dis<strong>in</strong>ganni. E voi, buono e caro amico, come ve la passate? Pubblicate tuttora<br />

la vostra Geografia per Tutti? La “Critica Sociale” del Turati è ancora <strong>in</strong> vita?<br />

Scrivetemi appena lo potrete, e se avete qualche libro, <strong>da</strong> <strong>in</strong>viarmi, man<strong>da</strong>temelo,<br />

che forse varrà a ri<strong>da</strong>rmi, la forza a combattere, questa struggle for<br />

life, varrà a farmi rivivere nell’ideale del passato, salvandomi, <strong>da</strong>ll’<strong>in</strong>cruente<br />

scetticismo, che mi sp<strong>in</strong>ge nella vorag<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>azione.<br />

Indirizzo:<br />

P.O. Box 87 Norfolk Va<br />

Vostro per sempre<br />

Louis Casabona<br />

In questa lettera del 1895 2 , ad esempio, si può probabilmente <strong>in</strong>dividuare, tra tante<br />

altre cose, uno dei primissimi usi nella l<strong>in</strong>gua italiana dell’aggettivo afro-americano<br />

3 .<br />

Come mai quel vocabolo facesse la sua comparsa, alla f<strong>in</strong>e dell’Ottocento, nel Sud<br />

degli Stati Uniti, è abbastanza ovvio, sia l<strong>in</strong>guisticamente che sociologicamente. Quello<br />

che a noi oggi suona quasi come un lapsus del codice politicamente corretto trova<br />

2. Lettera di Louis Casabona ad Arcangelo Ghisleri del 21 gennaio 1895, <strong>in</strong> Civiche Raccolte<br />

Storiche di <strong>Milano</strong>, Epistolario Ghisleri, Cartella 6, busta 1895, n. 8. Conservo naturalmente<br />

grafia e punteggiatura dell’orig<strong>in</strong>ale.<br />

3. Ne parlo più approfonditamente <strong>in</strong> Preistoria e storia di afro-americano, «Studi di lessicografia<br />

italiana», <strong>in</strong> corso di stampa.<br />

111


112<br />

<strong>in</strong>vece <strong>una</strong> spiegazione molto più immediata e importante nel contesto che circon<strong>da</strong><br />

quella comunicazione privata, sfuggita al cest<strong>in</strong>o della storia.<br />

Sappiamo benissimo che <strong>in</strong> patria, e anche <strong>in</strong> emigrazione, si cont<strong>in</strong>uerà ancora a<br />

usare tranquillamente, per lunghissimi decenni, l’aggettivo negro – e sia pure con varie<br />

sfumature: ne è testimone la pag<strong>in</strong>a d’apertura di Lessico famigliare:<br />

“Un negro” era, per mio padre, chi aveva modi goffi, impacciati e timidi,<br />

chi si vestiva <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>appropriato, chi non sapeva an<strong>da</strong>re <strong>in</strong> montagna, chi<br />

non sapeva le l<strong>in</strong>gue straniere./ Ogni atto o gesto nostro che stimava <strong>in</strong>appropriato,<br />

veniva def<strong>in</strong>ito <strong>da</strong> lui “<strong>una</strong> negrigura”. – Non siate dei negri! Non fate<br />

delle negrigure! – ci gri<strong>da</strong>va cont<strong>in</strong>uamente. 4<br />

Naturalmente l’ironia, anche la più affettuosa e famigliare, è quanto di meno neutrale<br />

si possa usare <strong>in</strong> ambito l<strong>in</strong>guistico: e qui, spiegare che cosa ci sia dietro quell’uso<br />

connotato ci porterebbe lontano: sarà per un’altra volta. Questa, appunto, è la l<strong>in</strong>guamadre,<br />

la l<strong>in</strong>gua della famiglia: ma l’emigrato ha l’opportunità (che può anche – a<br />

secon<strong>da</strong> dei contesti e delle s<strong>in</strong>gole scelte – restare lettera morta) di sv<strong>in</strong>colarsi almeno<br />

<strong>in</strong> parte <strong>da</strong>lla forma mentis che è tutt’uno con l’appartenenza-residenza nella madrepatria;<br />

<strong>in</strong> tal caso conia nuove parole, amplia la sfera semantica <strong>in</strong> seguito al suo <strong>in</strong>contro-scontro<br />

con <strong>una</strong> nuova realtà. Il nuovo vocabolo è qu<strong>in</strong>di sì, senz’altro, un calco<br />

<strong>da</strong>ll’<strong>in</strong>glese statunitense, ma segnala la funzione onomaturgica dell’emigrazione: l’italiano,<br />

nel doppio senso di l<strong>in</strong>gua e di soggetto che quella l<strong>in</strong>gua la parla, si trasforma e<br />

crea nuove parole: attraverso l’<strong>in</strong>contro con l’altro, diventa esso stesso altro, sia pure a<br />

livello molecolare. È questa diversità dell’emigrato che rende tanto difficile, per chi resta,<br />

comprendere sia chi se n’è an<strong>da</strong>to che, oggi, chi arriva <strong>da</strong> un’altra cultura. I primi<br />

osservatori della Grande Emigrazione - gli <strong>in</strong>tellettuali, i funzionari della Farnes<strong>in</strong>a<br />

e di altre istituzioni dell’Italia ufficiale - hanno sempre sottol<strong>in</strong>eato questa difficoltà a<br />

capire che cosa dicessero, e qu<strong>in</strong>di chi fossero, gli emigrati italiani: spesso coprendoli<br />

di scherno. In fondo, penso che sia lo stesso problema che ancora oggi ferma ad esempio<br />

un regista certamente notevole e ottimamente <strong>in</strong>tenzionato come Crialese quando<br />

ci porta nel Nuovo Mondo: tranne, appunto, fermarsi sulla sua soglia senza attraversarla:<br />

<strong>una</strong> scelta precisa, ma anche, forse, il riconoscimento di <strong>una</strong> divaricazione che<br />

non si è preparati ad affrontare. Eppure, che cosa succede dopo l’arrivo?<br />

Le novità, peraltro, non sono poi neppure solo quelle, pur enormi, della differenza<br />

razziale e del colore della pelle. Nella lettera di Casabona, prima ancora che la spia<br />

di <strong>una</strong> consapevolezza etnica, quel semplice aggettivo è uno dei tanti modi di venire<br />

a capo, di descrivere, un tessuto di esperienze quotidiane <strong>in</strong> cui letteralmente tutto è<br />

diverso.<br />

La radicalità di questa condizione ha <strong>da</strong>to vita alle soluzioni più diverse. E vengo al<br />

secondo esempio o caso-limite. La presenza di <strong>una</strong> forte comunità “coloniale” può ad<br />

esempio ricreare un coerente tessuto sociale e comunicativo che stimola ad <strong>una</strong> forte<br />

riaffermazione della propria identità, proclamata orgogliosamente mediante il ricorso<br />

esibito alla l<strong>in</strong>gua della tradizione.<br />

Si ve<strong>da</strong> ad esempio come il milanese Cesare Crespi, <strong>in</strong>stancabile giornalista di San<br />

Francisco, scelga di parlare dell’evento <strong>in</strong> assoluto più devastante della storia califor-<br />

4. Natalia G<strong>in</strong>zburg, Lessico famigliare, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o 1963, pp. 9-10.


niana, il terremoto della primavera 1906: grazie alla sorvegliata altezza dello stile, la<br />

descrizione si trasforma <strong>in</strong> un breve volger di frasi <strong>in</strong> memorabile narrazione, con un<br />

passo e un pathos quasi manzoniani:<br />

La notte del giorno successivo io giungevo, dopo <strong>una</strong> marcia forzata di<br />

52 miglia, sui colli che fiancheggiano i giard<strong>in</strong>i pubblici del Golden Gate…<br />

D’improvviso, malgrado l’ansietà per i miei cari che agiva <strong>da</strong> pungolo, mi<br />

fermai sui due piedi e stetti a lungo immobile, coll’animo compreso d’alta<br />

meraviglia e spaventato ad un tempo.<br />

La valle sottoposta era valle di fuoco, valle d’<strong>in</strong>ferno. L’occhio non poteva<br />

misurarne l’estensione; ma ovunque giungeva, erano eruzioni repent<strong>in</strong>e,<br />

quà azzurognole, là rossastre, bianchissime ed abbarbaglianti altrove; eran<br />

fiamme che procedevano serrate, a schiere, quasi a distruzione premeditata<br />

e sapiente. E, nereggianti tra i bagliori, scheletri di edifici ritti, <strong>da</strong>lle cui f<strong>in</strong>estre,<br />

ridotte a semplici aperture, traguar<strong>da</strong>va l’<strong>in</strong>cendio. Ammassi vorticosi<br />

di fumo denso salivano lentamente al cielo, si espandevano, lo coprivano<br />

tutto; sotto, un turb<strong>in</strong>io di sc<strong>in</strong>tille, di carboni, di cenere piovente e un calore<br />

s<strong>in</strong>istro che <strong>in</strong>aridiva gli occhi e la gola. Ad ora ad ora, come se quelle furie<br />

avessero voce, correva per l’aria ed echeggiava, via pei colli, il rombo della<br />

d<strong>in</strong>amite. Succedeva, <strong>in</strong> questo o quel punto, l’illusoria oscurità prodotta <strong>da</strong>lla<br />

concussione, il subito slancio delle fiamme sulle nuove rov<strong>in</strong>e, il raddoppiare<br />

della rabbia divoratrice. Anche quel mezzo disperato si mostrava impotente a<br />

circoscrivere la catastrofe . 5<br />

Qui c’è <strong>da</strong> un lato addirittura un’<strong>in</strong>tera città, un’<strong>in</strong>tera società fissata nel tempo e<br />

nello spazio <strong>da</strong>lla catastrofe; <strong>da</strong>ll’altro <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua che punta tutto sulla conservazione,<br />

sull’elegante mantenimento delle proprie caratteristiche orig<strong>in</strong>arie: il che ci mostra sia<br />

il peso e il credito che la tradizione l<strong>in</strong>guistico-letteraria ha sempre avuto nella cultura<br />

italiana (compresa, qu<strong>in</strong>di, la cultura dei nostri emigrati), sia, anche, nello specifico,<br />

l’<strong>in</strong>sularità nella quale alle “colonie” era consentito vivere all’<strong>in</strong>terno del cosiddetto<br />

melt<strong>in</strong>g pot americano. Nulla è rimasto com’era, né il presente né il passato: tutto è an<strong>da</strong>to<br />

distrutto, eppure la l<strong>in</strong>gua dell’emigrazione, quasi per ipercompensazione, mette<br />

<strong>in</strong> mostra <strong>una</strong> sua solenne eleganza.<br />

È un caso eccessivo, se si vuole. Ma il fatto è che la dimensione l<strong>in</strong>guistica, essendo<br />

condivisa <strong>da</strong> tutti gli emigrati - analfabeti o meno, parlanti o scriventi - non solo è<br />

<strong>una</strong> di quelle più dense e ricche di senso <strong>in</strong> sé e per sé, ma è anche comprensibilmente<br />

uno degli ambiti più sensibili e delicati della grande trasformazione che si viene lentamente<br />

a creare. Così come la pronuncia resta sempre <strong>una</strong> delle nostre più <strong>in</strong>fallibili<br />

carte d’identità, allo stesso modo, dietro la scelta di semplici parole possiamo <strong>leggere</strong>,<br />

<strong>in</strong> filigrana, un <strong>in</strong>tero mondo diviso <strong>in</strong> due, al tempo stesso elementare e complesso,<br />

universale e particolare.<br />

Proviamo ora ad effettuare un paio di son<strong>da</strong>ggi microscopici su particelle elemen-<br />

5. Cesare Crespi, San Francisco e la Sua Catastrofe, San Francisco, Tipografia Internazionale<br />

1906, pp. 18-19.<br />

113


120<br />

BRUNO PISCHEDDA<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Dalle Langhe al Middle West.<br />

C<strong>in</strong>que riflessioni su Pavese e il mito americano<br />

In <strong>una</strong> vita non lunga come quella di Cesare Pavese, morto suici<strong>da</strong> all’età di 42 anni,<br />

il periodo dell’americanismo militante si può dire co<strong>in</strong>ci<strong>da</strong> con la sua stessa attività<br />

di scrittore e di funzionario editoriale, di traduttore, di saggista. I primi e più concreti<br />

segni di entusiasmo per le opere d’oltreoceano risalgono al 1929, quando avvia un rapporto<br />

epistolare con Antonio Chiumiatto, giovane musicologo del Wiscons<strong>in</strong>, <strong>in</strong>solitamente<br />

prodigo di libri e di consigli l<strong>in</strong>guistici. Pochi mesi dopo, non senza resistenze e<br />

contrasti di vedute, Pavese discute a Tor<strong>in</strong>o la tesi di laurea su Whitman; a questo fatto<br />

decisivo eppure sottovalutato nelle lettere agli amici fanno seguito due determ<strong>in</strong>azioni<br />

convergenti: il progetto, poi abortito, di ottenere tramite Giuseppe Prezzol<strong>in</strong>i <strong>una</strong> borsa<br />

di studio presso la Columbia University di New York, e la collaborazione con Arrigo<br />

Cajumi, animatore <strong>in</strong>sieme a Cesare De Lollis e Ferd<strong>in</strong>ando Neri di <strong>una</strong> longeva<br />

e prestigiosa rivista come “La Cultura”. Qui, nel novembre del 1930, appare un esteso<br />

lavoro critico sull’opera di S<strong>in</strong>clair Lewis, <strong>in</strong> proc<strong>in</strong>to di ottenere il Premio Nobel e<br />

vera fonte, per il nostro autore, di <strong>una</strong> <strong>in</strong>iziale notorietà tra gli specialisti della materia.<br />

Tanta passione e tanta cura <strong>in</strong>tellettuale trovano però un limite severo nell’immediato<br />

dopoguerra, e più precisamente nel 1947, <strong>da</strong>ta <strong>in</strong> cui egli rimprovera alla patria di Truman<br />

e Eisenhauer, “per quanti grattacieli e automobili e sol<strong>da</strong>ti” possa vantare, di non<br />

essere ormai all’avanguardia di alcun moto spirituale e letterario; anzi di rischiare, nei<br />

mesi <strong>in</strong> cui si apre il drammatico confronto con l’Urss, <strong>una</strong> netta <strong>in</strong>voluzione di tipo<br />

antidemocratico, un arroccamento a difesa dei propri <strong>in</strong>teressi di potenza, e “sia pure<br />

nel nome delle sue tradizioni migliori” 1 .<br />

Entro tali marg<strong>in</strong>i cronologici – un ventennio circa – prende forma un personalissimo<br />

canone di gusto, composto di <strong>una</strong> dec<strong>in</strong>a scarsa di autori e di titoli che non sembra<br />

<strong>in</strong>utile richiamare <strong>in</strong> avvio di discorso: Herman Melville di Moby Dick, Walt Whitman<br />

di Foglie d’erba, Edgar Lee Masters di Antologia di Spoon River, S<strong>in</strong>clair Lewis di<br />

Babbit e di Il nostro signor Wrenn, O. Henry per le novelle, Sherwood Anderson per<br />

Riso nero, John Dos Passos di Mahnattan Transfer e Il 42 0 parallelo, John Ste<strong>in</strong>be-<br />

1. Ieri e oggi, apparso su “l’Unità” <strong>in</strong> edizione tor<strong>in</strong>ese il giorno 3 agosto 1947, e poi ripreso<br />

nel volume postumo La letteratura americana e altri saggi (1951), <strong>Milano</strong>, il Saggiatore, 1978,<br />

p. 190.


ck di Uom<strong>in</strong>i e topi. Altri nomi, come Theodor Dreiser, William Faulkner, Gertrude<br />

Ste<strong>in</strong>, vale a dire Una tragedia americana, Santuario e Autobiografia di Alice Toklas,<br />

entrarono significativamente nel suo campo visivo, senza suscitare tuttavia <strong>una</strong> piena<br />

adesione critica; altri ancora, come T.S. Eliot, Carl Sandburg, Ersk<strong>in</strong>e Caldwell,<br />

Eugene O’Neill, William Saroyan, James Ca<strong>in</strong> e soprattutto Scott Fitzgerald e Ernest<br />

Hem<strong>in</strong>gway non vi compaiono se non sullo sfondo.<br />

Un canone è per sua natura selettivo, e <strong>in</strong> quanto a Pavese – costretto a conoscenze<br />

saltuarie, di secon<strong>da</strong> mano – anche occasionalmente selettivo. Sulla scorta degli autori<br />

detti, egli propose <strong>in</strong> ogni caso <strong>una</strong> somma di motivi letterari e di immag<strong>in</strong>i seducenti<br />

presto cristallizzatisi <strong>in</strong> un mito: il mito americano, sorta di altrove utopico, per metà<br />

reale e per metà fantastico, a cui guar<strong>da</strong>re <strong>in</strong> spirito di emulazione, di simpatia fraterna,<br />

fuori e contro la precettistica che il regime fascista e la più parte degli accademici<br />

di professione stavano allestendo per i lettori contemporanei.<br />

Non fu il solo, si capisce, a cogliere le novità espressive che fermentavano di là<br />

<strong>da</strong>ll’oceano. Accanto a lui possiamo collocare coetanei o quasi coetanei come Elio<br />

Vittor<strong>in</strong>i e Giaime P<strong>in</strong>tor; umanisti più conservatori come Emilio Cecchi (America<br />

amara è del 1940), giovanissimi pellegr<strong>in</strong>i <strong>in</strong>tellettuali come Mario Sol<strong>da</strong>ti (America<br />

primo amore è del 1935); espatriati politici del rango di Giuseppe Antonio Borgese<br />

(i cui reportage vengono raccolti <strong>in</strong> volume nel 1936 con titolo Atlante americano);<br />

s<strong>in</strong>o a figure <strong>in</strong> ombra e tuttavia degne di memoria come Alessandra Scalero, tra le<br />

prime a tradurre opere statunitensi per conto delle edizioni Modernissima, Corbaccio,<br />

Frass<strong>in</strong>elli 2 . Il mito americano cólto, segmento apicale di un più diffuso fervore per<br />

la musica, il c<strong>in</strong>ema, i fumetti made <strong>in</strong> USA, fu il prodotto di personalità plurime e<br />

molto caratterizzate 3 . Pavese, <strong>da</strong> parte sua, vi recò alcune riflessioni specifiche, che <strong>in</strong><br />

spirito di brevità possiamo ricondurre a c<strong>in</strong>que punti o temi salienti.<br />

1. Natura autoctona di <strong>una</strong> tradizione<br />

– Il conv<strong>in</strong>cimento, anzitutto, di essere di fronte a <strong>una</strong> tradizione composita ma <strong>in</strong>dipendente,<br />

autoctona. Al contrario di studiosi illustri come Cecchi, Carlo L<strong>in</strong>ati, Mario<br />

Praz, egli si rifiuta di considerare i capisaldi della prosa e della poesia americana<br />

otto-novecentesca <strong>in</strong> quanto espressione volgarizzata dei modelli anglosassoni maggiori.<br />

Almeno f<strong>in</strong>o al 1946, quando legge e recensisce American Renaissance di F.O.<br />

Matthiessen, lo seduce anzi l’idea di <strong>una</strong> produzione verg<strong>in</strong>e e d<strong>in</strong>amica, allo stato<br />

nascente, ricca di tutti i possibili; un’idea – è però il caso di aggiungere – che a conati<br />

di progressismo speranzoso, vitale e spregiudicato, unisce senza requie ossessioni di<br />

tipo tellurico, oscuramente barbarico. La letteratura statunitense, e <strong>in</strong> special modo<br />

quella tra le due guerre, gli appare l’unica <strong>in</strong> grado di “adeguare ad un mondo vertig<strong>in</strong>osamente<br />

trasformato gli antichi sensi e le antiche parole dell’uomo” 4 ; ha <strong>in</strong>somma<br />

2. Rispettivamente: S. Lewis, Babbit, 1930; J. Dos Passos, New York, ovverossia Mahnattan<br />

Transfer, 1932; E. O’Neill, Drammi del mare, stesso anno (ma sulla figura di A. Scalero mancano<br />

a tutt’oggi monografie adeguate).<br />

3. Un primo studio organico è quello di D. Fernandez, Il mito dell’America negli <strong>in</strong>tellettuali<br />

italiani, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia editore, 1969; gli ha fatto seguito, secondo un<br />

arco temporale più ampio e più ricco di riferimenti, M. Marazzi: Little America. Gli Stati Uniti<br />

e gli scrittori italiani del Novecento (con prefazione di F. Durante), <strong>Milano</strong>, Marcos y Marcos,<br />

1997.<br />

4. La letteratura americana e altri saggi, cit., p. 189.<br />

121


122<br />

il pregio del nuovo e <strong>in</strong>sieme dell’orig<strong>in</strong>ario, consente il fremito dei primordi assicurando<br />

al contempo il piacere della freschezza sorgiva, secondo un nodo di modernità<br />

necessaria e di passato ancestrale che non troverà mai vero scioglimento.<br />

Erano del resto le riviste fasciste del periodo e gli umanisti più severi a proiettare<br />

sull’America di Hoover e di Roosevelt <strong>una</strong> luce di primitivismo caduco, tecnologicamente<br />

potente ma immaturo, spoglio di consuetud<strong>in</strong>i traman<strong>da</strong>te: pregiudizi che<br />

dovevano convergere, dopo la grande crisi del 1929, nell’immag<strong>in</strong>e del gigante con<br />

i piedi di argilla 5 . Pavese sembra accettare questo piano di discorso, che <strong>in</strong> realtà lo<br />

sollecita nel profondo; per ribaltarlo tuttavia <strong>in</strong> chiave apologetica. È proprio l’assenza<br />

di gravami tradizionali, di precetti <strong>in</strong>valsi, di <strong>in</strong>erzie ereditarie, a suscitare il suo<br />

<strong>in</strong>teresse per la letteratura statunitense. Il mito di cui si fa <strong>in</strong>terprete, deriva non già<br />

<strong>da</strong> un mero rifiuto anticlassicista, come era stato per il primo romanticismo europeo,<br />

ossianico, goticheggiante, ma <strong>da</strong>lla conv<strong>in</strong>zione più radicale che esso possa generarsi<br />

senza presupposti di cultura. Troppo facile, dunque, deprecare la rudezza <strong>in</strong>sipi<strong>da</strong><br />

e il materialismo deteriore di cui appare <strong>in</strong>trisa la compag<strong>in</strong>e nor<strong>da</strong>mericana. Agli<br />

ideologi di regime, così come ai tutori di un umanesimo imperituro, Pavese risponde<br />

<strong>in</strong> modo affermativo: – l’America patisce un deficit di sviluppo estetico e <strong>in</strong>tellettuale?<br />

Si mostra ancora al di qua degli stan<strong>da</strong>rd artistici europei? Certamente, perché è<br />

soprattutto natura –. Ma nell’immediatezza tumultuante delle sue opere d’<strong>in</strong>gegno,<br />

lascia anche <strong>in</strong>tendere il langhigiano, sta la capacità rara di <strong>in</strong>serire i gesti e le passioni<br />

primarie della specie uomo entro istituti di socialità più avanzata.<br />

2. Sorgere di un volgare letterario<br />

Inutile ribadire <strong>in</strong> questa sede i rischi di irrazionalismo, di fasc<strong>in</strong>azione regressiva<br />

a cui si espone un simile atteggiamento. Più proficuo è osservare come l’a-nalisi pavesiana<br />

sappia sp<strong>in</strong>gersi s<strong>in</strong>o agli aspetti m<strong>in</strong>uti, stilistici e retorici, del corpus selezionato.<br />

Gli autori statunitensi delle ultime leve di tanto catturano la sua attenzione,<br />

<strong>in</strong> quanto protagonisti di un s<strong>in</strong>golare impasto di l<strong>in</strong>gua d’uso e di umori gergali, di<br />

codici ristretti, relativi ai mestieri e agli ambiti bassi oggetto di racconto. Notevole è<br />

qui lo sforzo di dist<strong>in</strong>guere: volgare letterario americano e slang espressionista non<br />

sono affatto <strong>una</strong> medesima cosa. L’uno rappresenta “il gran corpo l<strong>in</strong>guistico parlato<br />

nell’Unione”, ormai estraneo per trafila secolare all’<strong>in</strong>glese aulico dei padri fon<strong>da</strong>tori;<br />

l’altro è “<strong>una</strong> creazione cosciente”, un artificio sapidissimo e idiolettico tramite cui si<br />

esprimono i parlanti nel loro particolarismo <strong>in</strong>confondibile 6 .<br />

Ciò che ne deriva, come ha ben visto Calv<strong>in</strong>o nella prefazione non firmata a La letteratura<br />

americana e altri saggi, è bensì <strong>una</strong> modellistica lontana anni luce <strong>da</strong>lla prosa<br />

d’arte e <strong>da</strong>lla voga ermetica nostrana; ma – va detto pure – altrettanto distante <strong>da</strong>lle<br />

complicazioni cerebrali del modernismo anglofrancese. Il nostro autore sarà pure un<br />

capostipite della couche neodecadente italiana, nondimeno pag<strong>in</strong>e plurime del suo<br />

diario documentano l’estraneità alle poetiche simboliste (baudelairiane, rimbaudiane<br />

o mallarmeane) così come alle sperimentazioni romanzesche legate ai nomi di Joyce<br />

o di Proust. Ness<strong>una</strong> “ricerca di l<strong>in</strong>guaggio parallela a quella europea” gli si può im-<br />

5. Su tale argomento, fon<strong>da</strong>mentale il volume di M. Nacci, L’Antiamericanismo <strong>in</strong> Italia negli<br />

anni Trenta, Tor<strong>in</strong>o, Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri, 1989.<br />

6. La letteratura americana, cit. pp. 28-29.


PAP KHOUMA<br />

Scrittore<br />

“El ghibli”:<br />

la scrittura degli emigranti<br />

Va’ ad Ahme<strong>da</strong>bad<br />

Va’ lungo le strade di Baro<strong>da</strong>,<br />

va’ ad Ahme<strong>da</strong>bad,<br />

va’ a respirare la polvere<br />

f<strong>in</strong>ché non soffochi e stai male<br />

di <strong>una</strong> febbre che nessun dottore ha mai sentito.<br />

Non me lo chiedere<br />

perché non ti dirò niente<br />

sulla fame e sul dolore. (...)<br />

E il dolore è<br />

quando camm<strong>in</strong>o per Ahme<strong>da</strong>bad<br />

NOTA BIOGRAFICA<br />

Pap Khouma, di orig<strong>in</strong>e senegalese, vive a <strong>Milano</strong>, dove si è sempre occupato di cultura<br />

e di letteratura. Per dodici anni ha girato l’Italia, <strong>in</strong>vitato <strong>da</strong> scuole di diverso ord<strong>in</strong>e e grado<br />

a svolgere “lezioni” sulla storia e la cultura africana, e sui temi della multiculturalità. Per<br />

conto dei Provveditorati ha tenuto corsi di aggiornamento per <strong>in</strong>segnanti sull’<strong>in</strong>tegrazione, e<br />

per tre anni (1991 - 1994) ha <strong>in</strong>segnato italiano agli stranieri nei corsi di alfabetizzazione del<br />

Comune di <strong>Milano</strong>. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e <strong>in</strong>ternazionali,<br />

presso le maggiori università italiane, sui grandi temi dell’immigrazione, della cultura e<br />

della letteratura , e nel 1998 è stato <strong>in</strong>vitato a svolgere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti<br />

(Africa/Italy: an <strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>ary <strong>in</strong>ternational symposium, Miami University, Oxford, Ohio;<br />

Immigration et <strong>in</strong>tégration, Sénégal/ Italy/ France, Northwestern University of Chicago; Società<br />

multiculturale, Queen’s College of New York; Letteratura degli immigrati <strong>in</strong> Italia, Casa<br />

italiana of New York University).<br />

Lavora ora presso la libreria FNAC di <strong>Milano</strong>, dove si occupa <strong>in</strong> particolare del reparto<br />

libri <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua orig<strong>in</strong>ale. Iscritto all’Albo dei giornalisti stranieri <strong>da</strong>l 1994, per quattro anni<br />

(1991-1995) ha firmato <strong>una</strong> rubrica su “L<strong>in</strong>us”, e ha collaborato con “l’Unità”, “Il Diario”,<br />

“Epoca”, “Sette”, “Metro”. Dirige il giornale on-l<strong>in</strong>e El-ghibli.<br />

Tra i suoi libri più famosi: Io, venditore di elefanti, Garzanti, 1990; Nonno Dio e gli spiriti<br />

<strong>da</strong>nzanti, Bald<strong>in</strong>i Castoldi Dalai, 2005<br />

129


130<br />

perché questo è il luogo<br />

che ho sempre amato<br />

questo è il luogo<br />

che ho sempre odiato<br />

perché questo è il luogo<br />

dove non mi sento mai a casa<br />

questo è il luogo<br />

dove mi sento sempre a casa.<br />

Il dolore è<br />

quando torno ad Ahme<strong>da</strong>bad<br />

dopo dieci anni<br />

e capisco per la prima volta<br />

che non sceglierei mai<br />

di viverci. Il dolore è<br />

vivere <strong>in</strong> America<br />

e non essere capaci<br />

di scrivere neanche <strong>una</strong> cosa<br />

sull’America. (...)<br />

Sujata Bhatt, <strong>da</strong> Brunizem, Carcanet 1988<br />

Traduzione di Andrea Sirotti<br />

Questa bellissima poesia apre tutti i numeri di «El Ghibli», è la poesia dell’emmigrante,<br />

è la poesia che riflette tutti i sentimenti della nostra rivista, nata tre anni fa.<br />

Perché questo nome?<br />

El Ghibli è un vento che soffia <strong>da</strong>l deserto, caldo e secco. È un vento che <strong>in</strong>contra altri<br />

venti, arriva anche a <strong>Milano</strong> e porta la sabbia del deserto. Il Sahara ogni anno riversa<br />

sull’Italia, sulla Spagna e sull’Albania un milione di metri cubi di sabbia: l’Africa non<br />

solo porta delle persone immigranti ma la sua natura si muove e si riversa nell’Europa<br />

del sud.<br />

El Ghibli è il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che<br />

accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante,<br />

che è ovunque e <strong>da</strong> ness<strong>una</strong> parte, parola di tutti e di nessuno, parola contam<strong>in</strong>ata<br />

e condivisa. È la parola della scrittura che attraversa quella di altre<br />

scritture, vi si deposita e la riveste della polvere del proprio viaggio all’<strong>in</strong>segna<br />

dell’uomo e del suo <strong>in</strong>cessante camm<strong>in</strong>o nell’esistenza.<br />

Cosa contraddist<strong>in</strong>gue la migranza, la scrittura migrante, al di là della l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong> cui<br />

si esprime? L’identità multipla di cui è composta, la stratificazione di dest<strong>in</strong>i e progetti<br />

futuri che ne gui<strong>da</strong> la voce. Una formula ogni volta differente che fa sì che <strong>in</strong> ogni<br />

momento sia altra, straniera a se stessa, <strong>in</strong> un cont<strong>in</strong>uo r<strong>in</strong>novamento della propria<br />

volatile essenza.<br />

L’idea della rivista, «El Ghibli», la rivista del vento, è nata <strong>da</strong>l desiderio di un gruppo<br />

di scrittori stranieri che, <strong>da</strong> un lato, voleva costruire uno spazio per la pubblica-


zione letteraria degli ormai tanti scrittori di migrazione che vivono <strong>in</strong> Italia, <strong>da</strong>ll’altro<br />

voleva creare un rapporto con gli scrittori italiani non di migrazione.<br />

Avevamo bisogno di <strong>una</strong> rivista dove pubblicare i nostri scritti “migranti”. (La maggior<br />

parte di noi scrive <strong>da</strong>l francese, <strong>da</strong>ll’arabo, <strong>da</strong>ll’<strong>in</strong>glese non <strong>da</strong>ll’italiano, l’italiano<br />

è <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua che abbiamo scelto, io la chiamo scelta “amorosa”, perché non ci è stata<br />

imposta).<br />

Sentivamo il bisogno di pubblicare testi, racconti della cosidetta migrazione, volevamo<br />

anche <strong>da</strong>re spazio alla immigrazione <strong>da</strong> altri paesi, gente che vive <strong>in</strong> America,<br />

<strong>in</strong> Inghilterra, <strong>in</strong> Francia... E <strong>da</strong>re vita ad un progetto letterario che, muovendo <strong>da</strong>lla<br />

migranza, riconsiderasse consapevolmente la parola scritta dell’uomo che viaggia, che<br />

parte, che perde per sempre e che per sempre ritrova.<br />

Non solo, abbiamo anche deciso di ospitare scrittori italiani. Abbiamo fatto nascere<br />

la sezione “La stanza degli ospiti”, dove gli ospiti sono giovani italiani.<br />

È diventato uno spazio <strong>in</strong>terculturale dove la maggior parte della re<strong>da</strong>zione è di<br />

scrittori africani, ma i rapporti con gli scrittori di altri paesi è forte. Volevamo rompere<br />

il concetto di essere <strong>una</strong> m<strong>in</strong>oranza: ci sono su<strong>da</strong>mericani, argent<strong>in</strong>i, scrittori dell’europa<br />

dell’est, scrittori dell’India e della C<strong>in</strong>a.<br />

Per il lavoro e la scelta della struttura della rivista, il gruppo di scrittori è partito <strong>da</strong><br />

<strong>una</strong> serie di valutazioni/considerazioni:<br />

<strong>in</strong> alcuni paesi Europei come Gran Bretagna, Francia, Olan<strong>da</strong>, è già asso<strong>da</strong>to che<br />

l’apporto dei cosiddetti “Scrittori di migrazione” costituisce un prezioso r<strong>in</strong>novamento<br />

della l<strong>in</strong>gua, delle strutture narrative e dei contenuti. Molti scrittori affermati sono<br />

scrittori migranti, vedi Kundera di orig<strong>in</strong>e Ceca ma scrittore <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua francese, Nad<strong>in</strong>e<br />

Gordimer scrittrice su<strong>da</strong>fricana, che ha anche v<strong>in</strong>to un Nobel per la letteratura,<br />

Wole Soynka, altro premio Nobel, scrittore di orig<strong>in</strong>e nigeriana…. Questi solo per<br />

nom<strong>in</strong>arne alcuni senza scor<strong>da</strong>rsi di Jozef Conrad, nato <strong>in</strong> Ucra<strong>in</strong>a <strong>da</strong> famiglia Polacca<br />

poi trasferitosi <strong>in</strong> Gran Bretagna, che ha completamente rivoluzionato la l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>glese.<br />

Oltre agli apporti nella letteratura, la letteratura prodotta dei “migrant writers”,<br />

come vengono def<strong>in</strong>iti <strong>in</strong> Gran Bretagna, attraverso l’empatia emotiva che si crea tra<br />

scrittore e lettore, favorisce l’accorciamento delle distanze rendendo “l’altro non più<br />

altro <strong>da</strong> sè” e qu<strong>in</strong>di agevola l’<strong>in</strong>tegrazione dei vecchi e nuovi cittad<strong>in</strong>i, oltre ad essere<br />

la letteratura più attuale <strong>in</strong> quanto porta con sè ed esprime la nostra epoca storica.<br />

In Italia siamo ai primi passi di tale movimento culturale, emerso assieme alla “migrazione”.<br />

L’<strong>in</strong>tento di «El Ghibli» è quello di renderlo più evidente.<br />

«El Ghibli» si è posto alcuni obbiettivi :<br />

- Evidenziare l’apporto culturale e <strong>in</strong>tellettuale dei migranti-scrittori, e rompere<br />

<strong>in</strong> tale modo l’idea stereotipata del migrante come sola forza lavoro.<br />

- Essere strumento di dialogo, di pace e di sostegno al “meticciamento”.<br />

- Creare un luogo virtuale “dell’<strong>in</strong>contro”.<br />

Avendo come struttura portante l’idea dell’<strong>in</strong>contro e della conoscenza, la rivista ha<br />

un’impostazione centrata sul tema del viaggio <strong>in</strong>teso <strong>in</strong> senso lato, come movimento<br />

che crea trasformazione dentro di sé, come movimento che <strong>in</strong>contra l’altro, come co-<br />

131


ROMANO LUPERINI<br />

Università degli Studi di Siena<br />

L’<strong>in</strong>contro con l’altro.<br />

Svevo, Tozzi, Kafka, Pirandello.<br />

Dirò poche cose di questi quattro autori, ma vorrei fosse chiaro l’arco del discorso,<br />

qu<strong>in</strong>di è bene precisare tre cose. La prima è che il tema dell’<strong>in</strong>contro, oltre ad essere<br />

un tema <strong>da</strong>l punto di vista del contenuto, è anche <strong>una</strong> forma del contenuto, è un modo<br />

con cui si organizza la trama, perché l’<strong>in</strong>contro è un nodo della trama. La secon<strong>da</strong> è<br />

che poi l’<strong>in</strong>contro è <strong>una</strong> grande metafora: esprime anche l’<strong>in</strong>contro tra <strong>in</strong>tellettuale e<br />

società, la realtà del rapporto degli uom<strong>in</strong>i tra loro, e quella del rapporto tra l’uomo<br />

e il mondo.La terza è che non mi occupo qui programmaticamente dell’<strong>in</strong>contro con<br />

l’altro, <strong>in</strong>tendendo l’altro <strong>da</strong> un punto di vista etnico. Si poteva benissimo fare. Se uno<br />

legge Cuore di tenebra di Conrad può considerare gli <strong>in</strong>contri che Marlow ha con gli<br />

<strong>in</strong>digeni prima e poi con Mr Kurz mostrando l’impatto dell’occidentale con ciò che<br />

non è occidentale. Di questo non mi occupo, mi occupo dell’altro nella vita più quotidiana,<br />

l’altro che noi <strong>in</strong>contriamo ogni giorno e che non è meno perturbante dell’altro<br />

visto come diverso totale, diverso razziale. Mi occupo dell’altro “normale”, dell’<strong>in</strong>contro<br />

comune, così come viene presentato <strong>in</strong> alcuni romanzi.<br />

La sorpresa è vedere come anche la persona più comune <strong>in</strong> un certo momento della<br />

storia della narrativa europea divenga “altro”, <strong>in</strong>conoscibile, perturbante.<br />

Questo passaggio è <strong>in</strong> realtà un passaggio d’epoca.<br />

Faccio un esempio: se noi prendiamo I promessi sposi e prendiamo l’<strong>in</strong>contro tra<br />

due personaggi che più diversi di così non si possono immag<strong>in</strong>are, cioè l’<strong>in</strong>contro<br />

decisivo nel romanzo tra l’Innom<strong>in</strong>ato e Lucia, dobbiamo fare alcune constatazioni<br />

che non arebbero possibili nell’ambito del romanzo modernista, cioè c<strong>in</strong>quanta anni<br />

dopo. L’Innom<strong>in</strong>ato e Lucia sono diversissimi, anzitutto per classe sociale, <strong>una</strong> è <strong>una</strong><br />

contad<strong>in</strong>a l’altro è un nobile, un signore feu<strong>da</strong>tario; diversissimi per cultura, <strong>una</strong> ha<br />

<strong>una</strong> cultura fatta <strong>in</strong> chiesa, <strong>da</strong>tale <strong>da</strong> Fra Cristoforo, <strong>da</strong> pochissime conoscenze sostanzialmente<br />

ecclesiastiche; c’è <strong>una</strong> differenza enorme di potere, anzi la scena tra<br />

l’<strong>in</strong>nom<strong>in</strong>ato e Lucia è <strong>una</strong> scena tra un oppressore, un tiranno, e <strong>una</strong> vittima, c’è, ad<br />

accrescere l’alterità, <strong>una</strong> differenza di sesso perché non si può dimenticare che siamo<br />

<strong>in</strong> presenza di un ratto a scopo di libid<strong>in</strong>e e la questione sessuale è importantissima,<br />

si dice che Manzoni è reticente, pudico, il che è anche vero, ma è anche vero che I<br />

promessi sposi gron<strong>da</strong> di sessualità. E l’elemento sessuale è centrale nel romanzo,<br />

che nasce <strong>da</strong>ll’idea di un ratto a scopo di libid<strong>in</strong>e. La matrice di tutto questo è Sade,<br />

135


136<br />

il romanzo libert<strong>in</strong>o e Sade che Manzoni conosceva molto bene. Poi tra i due c’è <strong>una</strong><br />

differenza di età, anche questa è importante perchè quando la differenza di sesso è<br />

doppiata <strong>da</strong>lla differenza di età ne deriva anche un accrescimento di potere. Poi c’è un<br />

altra differenza, anche questa di orig<strong>in</strong>e sadiana, quella tra virtù e vizio, dove l’Innom<strong>in</strong>ato<br />

charamente rappresenta il vizio e Lucia la virtù.<br />

Sono presenti due estraneità <strong>in</strong> questo <strong>in</strong>contro e però durante l’<strong>in</strong>contro si assiste<br />

anche a un reciproco attraversamento dell’altro, cioè l’Innom<strong>in</strong>ato deve attraversare la<br />

debolezza di Lucia, deve impadronirsi di alcuni aspetti del femm<strong>in</strong>ile, lui che rappresenta<br />

il mondo virile, il mondo guerriero, deve sperimentare su di sè la debolezza, lui<br />

che è sempre stato l’uomo della forza, e a sua volta Lucia deve capire ed attraversare<br />

l’Innom<strong>in</strong>ato, entrare dentro di lui tanto <strong>da</strong> <strong>in</strong>tuirne gli atteggiamenti psicologici e<br />

deve sperimentare la forza, perchè qui Manzoni, seguendo dei pr<strong>in</strong>cipi che già aveva<br />

elaborato nell’Osservazione sulla morale cattolica, vuole dimostrare che l’arma dell’<strong>in</strong>erme<br />

è essere proprio senza armi, cioè che l’<strong>in</strong>erme ha <strong>una</strong> forza: nell’Osservazione<br />

sulla morale cattolica si fa <strong>una</strong> serie di osservazioni sui cristiani <strong>in</strong>ermi che hanno<br />

sconfitto i loro oppressori, come accade anche <strong>in</strong> questa scena.<br />

A un certo punto, fatto il voto, Lucia si mette il rosario <strong>in</strong>torno al collo come uno<br />

scudo e voi sapete che Lucia viene rappresentata guerriera. D’altronde nel corso del<br />

colloquio con l’Innom<strong>in</strong>ato Lucia usa la medesima espressione che fra Cristoforo aveva<br />

usato con Don Rodrigo, “verrà un giorno”, qu<strong>in</strong>di Lucia fa ricorso anche lei alla<br />

m<strong>in</strong>accia. C’è un <strong>in</strong>terscambio, un <strong>in</strong>trecciarsi dei punti di vista, alla f<strong>in</strong>e del quale si<br />

dà <strong>una</strong> esperienza dell’altro, l’estraneità totale viene <strong>in</strong> parte almeno superata, c’è un<br />

tentativo di attraversare l’altro, di avere effettiva esperienza dell’altro. Dico questo<br />

per I promessi sposi, ma queste considerazioni varrebbero anche se io considerassi un<br />

romanzo di Stendhal o uno di Balzac.<br />

Quello che voglio dire è che successivamente (la svolta è quella del 1848, perché già<br />

nell’Educazione sentimentale di Flaubert le cose sono diverse), arrivando f<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e<br />

dell’Ottocento e poi agli <strong>in</strong>izi del Novecento, questa capacità di attraversare l’altro, di<br />

avere <strong>una</strong> reale esperienza del’altro viene meno.<br />

Io qui vorrei esemplificare questo impatto con l’alterità che tende a diventare alterità<br />

pura, <strong>in</strong>accessibilità pura, con alcuni esempi .<br />

Il primo di questi esempi è il rapporto fra uomo e donna <strong>in</strong> Senilità.<br />

In Senilità di Svevo, f<strong>in</strong>e Ottocento, abbiamo l’<strong>in</strong>nammoramento, abbiamo l’<strong>in</strong>contro<br />

d’amore e qu<strong>in</strong>di abbiamo <strong>una</strong> situazione <strong>in</strong> cui l’<strong>in</strong>contro con l’altro dovrebbe<br />

portare a <strong>una</strong> unione, la distanze <strong>in</strong>iziali dovrebbero colmarsi e si dovrebbe arrivare<br />

a <strong>una</strong> unione attraverso l’amore. Ora ci accorgiamo subito f<strong>in</strong> <strong>da</strong>l primo <strong>in</strong>contro che<br />

tra Emilio e Angiol<strong>in</strong>a non è così. Dopo che Emilio le dice “ti voglio bene e per il<br />

tuo bene desidero che noi ci si metta d’accordo di an<strong>da</strong>re molto cauti”, questa strana<br />

dichiarazione d’amore dove il dis<strong>in</strong>teresse dell’amore è unito a un fortissimo <strong>in</strong>teresse<br />

(essere cauti è <strong>in</strong>teresse di Emilio), la voce narrante osserva “quando Angiol<strong>in</strong>a credette<br />

di aver compreso disse: ‘Strano’. Non aveva compreso e si sentiva lus<strong>in</strong>gata”. Da<br />

qui <strong>in</strong> avanti (questo è il primo momento <strong>in</strong> cui loro com<strong>in</strong>ciano a parlarsi e subito non<br />

si capiscono) non si capiscono e non si capiranno mai. Potrei fare <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti esempi della<br />

assoluta <strong>in</strong>comprensione reciproca, qualunque gesto, qualunque scelta faccia Angiol<strong>in</strong>a<br />

Emilio resta sorpreso e spaesato.<br />

A un certo punto le propone di an<strong>da</strong>re a vivere <strong>in</strong>sieme sulle Alpi, sicuro che lei


sarà contentissima di cogliere questa occasione e vede con orrore che lei non ci pensa<br />

nemmeno ad an<strong>da</strong>re a vivere sulle Alpi con lui, oppure si accorge che lei sta attuando<br />

la proposta che lui stesso le ha fatto cioè di trovare un fi<strong>da</strong>nzato posticcio, che poi<br />

sarebbe il sarto Volp<strong>in</strong>i, e quando lei gli dice di averlo trovato, lui resta sbalordito,<br />

spiazzato. Insomma non riesce mai a entrare <strong>in</strong> s<strong>in</strong>tonia con lei.<br />

Tra l’altro Emilio usa <strong>una</strong> serie di maschere: per esempio, la maschera del socialista<br />

che vuol conv<strong>in</strong>cere <strong>una</strong> figlia del popolo, a diventare socialista, ma Angiol<strong>in</strong>a non<br />

vuole diventare socialista, anzi sta <strong>da</strong>lla parte dei ricchi, come osserva dispiaciuto<br />

Emilio.<br />

Adotta la maschera nicciana dell’uomo immorale, ma qualsiasi maschera assuma<br />

non si a<strong>da</strong>tta alla comprensione di Angiol<strong>in</strong>a. Né si a<strong>da</strong>ttano ad Angiol<strong>in</strong>a i vari modi<br />

<strong>in</strong> cui lui la concepisce. Ora vedendola come donna tigre o donna vampiro, cioè come<br />

Giolona, ora vedendola come <strong>in</strong>fermiera che lo potrebbe curare , che lo potrebbe accudire<br />

come madre-<strong>in</strong>fermiera, cioè come Ange, donna-angelo.<br />

Quando Angiol<strong>in</strong>a viene presentata <strong>da</strong>l punto di vista della voce narrante di Emilio<br />

(ma nel romanzo c’è anche la voce del narratore autoriale), appare evidente che per lui<br />

Angiol<strong>in</strong>a è alterità pura.<br />

Resta <strong>da</strong> vedere se ci sono altri punti di vista <strong>da</strong> cui considerare Angiol<strong>in</strong>a.<br />

Certo verrebbe <strong>da</strong> chiedersi come Angiol<strong>in</strong>a considera se stessa, ma questo punto di<br />

vista è assente. Angiol<strong>in</strong>a non è mai un personaggio focale. Emilio è un personaggio<br />

focale, a volte possono esserlo anche altri personaggi nel romanzo, ma Angiol<strong>in</strong>a non<br />

è mai focale, è l’unico personaggio che non parla di sé,non dà def<strong>in</strong>izioni di sé, non<br />

pensa mai. Cosa di per sé assai significativa.<br />

Abbiamo visto ora <strong>in</strong>vece qual’ è il punto di vista di Emilio, che <strong>in</strong>vece pensa, senza<br />

riuscire mai a capire chi sia Angiol<strong>in</strong>a.<br />

Ma Angiol<strong>in</strong>a è imprendibile e <strong>in</strong>comprensibile anche per il narratore autoriale? per<br />

la voce narrante che gui<strong>da</strong> la narrazione?<br />

Se noi andiamo a vedere come la voce narrante che gui<strong>da</strong> la narrazione concepisce<br />

Angiol<strong>in</strong>a vediamo che s<strong>in</strong> <strong>da</strong>lla prima pag<strong>in</strong>a la def<strong>in</strong>isce corrotta. Il primo giudizio<br />

che viene <strong>da</strong>to su Angiol<strong>in</strong>a è che è corrotta, che è <strong>una</strong> donna facile, <strong>una</strong> donna volgare,<br />

e questo giudizio che è espresso già <strong>da</strong>lla prima pag<strong>in</strong>a resta <strong>in</strong>alterato f<strong>in</strong>o alla<br />

f<strong>in</strong>e. Certo poi accanto a questo giudizio martellante su Angiol<strong>in</strong>a donna volgare, che<br />

frequenta vari uom<strong>in</strong>i e si pone alle dipendenze di questi uom<strong>in</strong>i, acquisendone i modi<br />

di fare, di parlare, risultando così succube sostanzialmente della personalità maschile,<br />

accanto a questo giudizio la voce narrante dà anche altri giudizi, sempre rapidissimi.<br />

Per esempio si dice che non conosce l’arte di mentire, oppure si dice, osservazione ancor<br />

più <strong>in</strong>teressante ma unica nel corso del romazo, che per quanto lei avesse un potere<br />

nel suo rapporto con Emilio tuttavia mai utilizza questa forza perché “non possiede la<br />

forza per usarne”, si legge, “bensì per goderne e per vivere meglio e più lieta.” Interessantissimo.<br />

Userebbe la propria vitalità non ai <strong>da</strong>nni di qualcuno ma per goderne lei,<br />

per vivere meglio ed essere più lieta.<br />

Ora se usciamo <strong>da</strong> giudizi espliciti della voce narrante autoriale e andiamo a veder<br />

come di fatto è rappresentata Angiol<strong>in</strong>a noi vediamo che è, avrebbe detto Saba, l’immag<strong>in</strong>e<br />

della “cal<strong>da</strong> vita”, un’ immag<strong>in</strong>e perturbante perché solare, un immag<strong>in</strong>e di<br />

vitalità, di eros, ha il fasc<strong>in</strong>o dell’eros, per cui la voce narrante, del narratore autoriale,<br />

oscilla tra le ripetute accuse e momenti, piu rari ma presenti, <strong>in</strong> cui anche il narratore<br />

sembra cedere al fasc<strong>in</strong>o imprendibile dell’eros, imprendibile anch’esso, perchè l’eros<br />

137


144<br />

PAOLO GIOVANNETTI<br />

Università IULM - <strong>Milano</strong><br />

Il nero, lo slavo, il greco:<br />

alterità nel Romanticismo italiano<br />

1. Com<strong>in</strong>cerò la mia chiacchierata <strong>in</strong>torno ad alcuni modi di rappresentare lo straniero<br />

nel Romanticismo italiano con un esempio che evoca lo spettro del “politicamente<br />

corretto”. Affronterò cioè un testo canonico – anche e magari soprattutto nella<br />

prassi scolastica – mostrandone le radici <strong>in</strong>equivocabilmente razziste. L’operazione è<br />

piuttosto imbarazzante, perché a ben vedere non si sa che cosa fare dopo aver scoperto<br />

che un’opera importante, anzi fon<strong>da</strong>nte, della nostra modernità letteraria è segnata <strong>da</strong><br />

un certo tipo di pregiudizio.<br />

Ma, prima di accennare a <strong>una</strong> possibile presa di posizione, esam<strong>in</strong>iamo il caso. Alla<br />

f<strong>in</strong>e del mio discorso, proverò comunque a suggerire <strong>una</strong> prospettiva <strong>in</strong>terpretativa.<br />

Siamo negli ultimi mesi del 1816, a <strong>Milano</strong>. Il trentatreenne letterato Giovanni Berchet<br />

ha assistito con passione alle accalorate discussioni sul Romanticismo che si sono<br />

svolte lungo tutto l’anno e decide di <strong>in</strong>tervenire dicendo la sua, naturalmente <strong>da</strong>lla<br />

parte di coloro che il nuovo “genere” di poesia (quella romantica appunto) <strong>in</strong>tendono<br />

sostenere. E pubblica la cosiddetta Lettera semiseria, un lungo scritto, un vero e<br />

proprio manifesto il cui titolo completo è: Sul Cacciatore feroce e sulla Eleonora di<br />

Goffredo Augusto Bürger. Lettera semiseria di Grisostomo al suo Figliuolo. In uno<br />

dei passi più noti, spesso appunto <strong>in</strong>serito anche nelle antologie scolastiche, Berchet<br />

discute di quella che chiama “tendenza poetica passiva”, vale a dire della possibilità<br />

che le persone hanno di ‘sentire’ la poesia, <strong>in</strong> genere l’arte: di capirla, di condividerne<br />

i valori con la forza delle proprie emozioni. Per identificare meglio il tipo di ricezione<br />

letteraria che gli <strong>in</strong>teressa, l’autore procede escludendo due opposti tipi di errore, due<br />

atteggiamenti entrambi eccessivi e come tali lontani <strong>da</strong> <strong>una</strong> giusta comprensione delle<br />

cose artistiche. Una delle due distorsioni, la secon<strong>da</strong> illustrata <strong>da</strong> Berchet, è quella del<br />

parig<strong>in</strong>o: vale a dire dell’uomo troppo ricco, acculturato e raff<strong>in</strong>ato, troppo razionale e<br />

‘filosofo’, circon<strong>da</strong>to <strong>da</strong> un numero altissimo di sollecitazioni che hanno menomato la<br />

sua capacità fantastica. L’altra distorsione – la prima <strong>in</strong> effetti commentata - è quella<br />

dell’ottentoto (con <strong>una</strong> sola t). Berchet così la descrive:<br />

Lo stupido ottentoto, sdraiato sulla soglia della sua capanna, guar<strong>da</strong> i campi<br />

di sabbia che la circon<strong>da</strong>no, e s’addormenta. Esce de’ suoi sonni, guar<strong>da</strong><br />

<strong>in</strong> alto, vede un cielo uniforme stendersegli sopra del capo, e s’addormenta.


Avvolto perpetuamente tra ’l fumo del suo tugurio e il fetore delle sue capre,<br />

egli non ha altri oggetti dei quali doman<strong>da</strong>re alla propria memoria l’immag<strong>in</strong>e,<br />

pe’ quali il cuore gli batta di desiderio. Però [<strong>in</strong>tendi: perciò] alla <strong>in</strong>erzia<br />

della fantasia e del cuore <strong>in</strong> lui tiene dietro di necessità quella della tendenza<br />

poetica 1 .<br />

Certo, come viene dichiarato <strong>in</strong> tutti i commenti, per “ottentoto” si deve <strong>in</strong>tendere<br />

il lavoratore, <strong>una</strong> volta si diceva il proletario: colui che vive <strong>in</strong> <strong>una</strong> condizione di<br />

oppressione economica tale <strong>da</strong> impedirgli di essere colpito <strong>da</strong>lla poesia, di <strong>in</strong>teressarsene.<br />

E tuttavia Berchet utilizza un riferimento razziale forte: l’ottentoto è un africano,<br />

un uomo di colore. In qualsiasi enciclopedia potete <strong>leggere</strong> che la popolazione degli<br />

ottentotti è orig<strong>in</strong>aria della parte estrema dell’Africa australe, la regione del Capo; nel<br />

Settecento si era spostata a nord del fiume Orange <strong>in</strong> seguito alla colonizzazione degli<br />

olandesi (i cosiddetti “boeri”).<br />

Questa cosa, lo confesso, non mi è mai piaciuta: non è bello pensare che uno dei<br />

testi che def<strong>in</strong>iscono la modernità letteraria italiana abbia avuto bisogno di <strong>da</strong>re dello<br />

stupido a un’<strong>in</strong>tera etnia di colore per dimostrare le proprie conv<strong>in</strong>zioni letterarie<br />

(<strong>in</strong>dipendentemente <strong>da</strong>l fatto che stupido, qui, abbia un valore lat<strong>in</strong>eggiante, diverso<br />

<strong>da</strong>ll’attuale: e significhi ‘torpido’, ‘tardo’, ‘<strong>in</strong>sensibile’, ‘di riflessi lenti’). La scelta è<br />

proprio sgradevole, <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente razzista.<br />

Non solo. Mi ero sempre chiesto perché si parlasse proprio di “ottentoto”, che cosa<br />

avessero di speciale i poveri ottentoti per concentrare su di sé tanto accanimento.<br />

Quando studiavo questi fatti, <strong>una</strong> dozz<strong>in</strong>a d’anni fa, mi ero imbattuto <strong>in</strong> <strong>una</strong> notizia<br />

contenuta <strong>in</strong> un giornale letterario milanese, “Lo Spettatore”, che nel 1815 2 recensiva<br />

uno spettacolo parig<strong>in</strong>o, un vaudeville 3 , <strong>in</strong>titolato La Venere Ottentotta (la Vénus hottentote).<br />

In quella recensione è riferita <strong>una</strong> trama semplicissima: un giovane francese,<br />

un parig<strong>in</strong>o, stanco delle delusioni amorose che ha dovuto patire per colpa delle sue<br />

connazionali e concittad<strong>in</strong>e, decide di <strong>in</strong>namorarsi di Sartjee, <strong>una</strong> bellezza africana,<br />

anzi ottentotta. L’<strong>in</strong>fatuazione poi si risolve <strong>in</strong> un nulla di fatto, e il protagonista scopre<br />

l’amore con <strong>una</strong> ragazza della sua stessa pelle. Come si vede, questa è forse la “fonte”<br />

della contrapposizione parig<strong>in</strong>o/ottentoto realizzata <strong>da</strong> Berchet. Pochi mesi prima di<br />

com<strong>in</strong>ciare a scrivere la Lettera semiseria, Berchet avrebbe potuto conoscere la storia<br />

di Sartjee, che peraltro aveva fatto parlare di sé tutta Europa, e aveva vissuto anche<br />

a Parigi. Perché <strong>in</strong> effetti quella era <strong>una</strong> donna reale, divenuta celebre – dichiarava<br />

l’articolo – per la “novità” delle sue “proporzioni”, “per l’ampio volume di alcune” di<br />

esse. E quali fossero le “proporzioni” specificamente <strong>in</strong>teressate lo si coglieva <strong>da</strong>lla<br />

def<strong>in</strong>izione di Sartjee come di <strong>una</strong> “Africana Callipigia” 4 .<br />

1. Giovanni Berchet, Lettera semiseria. Poesie, a cura di Alberto Cadioli, <strong>Milano</strong>, Rizzoli,<br />

1992, p. 73.<br />

2. Teatro del Vaudeville. - La Venere Ottentotta, ossia Odio alle Francesi, vaudeville <strong>in</strong> un<br />

atto [recensione], <strong>in</strong> “Lo Spettatore”, tomo III, n. 24, 1815, pp. 186-7. L’opera a stampa presenta<br />

i seguenti estremi bibliografici: La Vénus hottentote, ou Ha<strong>in</strong>e aux Françaises, vaudeville en<br />

un acte, par MM. [Emmanuel] Théaulon, [Armand] Dartois et Brasier [sic], [Paris, Vaudeville,<br />

19 novembre 1814] , Paris, Mart<strong>in</strong>et, s.d.<br />

3. Per vaudeville si <strong>in</strong>tende uno spettacolo teatrale comico tipicamente francese, misto di<br />

recitazione e canto, e ricco di equivoci e colpi di scena.<br />

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146<br />

Tuttavia, f<strong>in</strong>o a <strong>una</strong> dec<strong>in</strong>a di giorni fa, nient’altro di più preciso conoscevo della<br />

Venere Ottentotta. Del resto, con il solito motore di ricerca che tutti usiamo, <strong>in</strong>formarsi<br />

su questo argomento è facilissimo. Anche se i risultati sono, <strong>da</strong>vvero, deprimenti.<br />

Wikipedia ci dice molto di Sartjee, e noi possiamo vederne un paio di immag<strong>in</strong>i, che<br />

spiegano s<strong>in</strong> troppo bene le ragioni della sua fama e del suo dest<strong>in</strong>o (cfr. figg. 1, 2).<br />

Riconosciamo un’imponente donna nera, di cui si colgono anche i tatuaggi sul corpo<br />

e sul viso, e la cui caratteristica fisica eccezionale non c’è bisogno che io commenti:<br />

l’amor<strong>in</strong>o britannico stazionante sul suo fondoschiena enfatizza <strong>in</strong> modo grottesco <strong>in</strong><br />

che cosa doveva o avrebbe dovuto consistere la pr<strong>in</strong>cipale sorgente della passione amorosa<br />

legata a un tale tipo di persona. La storia ci dice che Sartjee era <strong>una</strong> su<strong>da</strong>fricana,<br />

probabilmente nata nel 1790, il cui vero nome – boero-olandese – era Sarah Baartman:<br />

come <strong>una</strong> vera e propria schiava, un impresario boero l’aveva portata <strong>in</strong> Inghilterra,<br />

prima a Londra e poi <strong>in</strong> <strong>una</strong> tournée <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia, esibendola alla stregua d’un fenomeno<br />

<strong>da</strong> baraccone. In seguito, nel 1815, un domatore (!) l’aveva ‘gestita’ sulla ‘piazza’<br />

parig<strong>in</strong>a. E a Parigi nel dicembre dello stesso anno Sartjee concluderà la sua esistenza,<br />

FIG 1.<br />

4. Dal dizionario Sabat<strong>in</strong>i-Coletti: “callipigia [...] agg. Dalle belle natiche, appellativo di<br />

Afrodite (per i Romani, Venere)”.


FIG 2.<br />

pare <strong>da</strong> alcolizzata. A riprova della sua animalizzazione, uno dei maggiori anatomisti<br />

del tempo, Georges Cuvier, si occuperà del corpo della poveretta studiandolo a fondo,<br />

ma trascurando del tutto di occuparsi delle cause della sua morte.<br />

Appunto: lo avete capito, Sartjee era stata trattata come un animale, un’attrazione<br />

erotica portatrice di <strong>una</strong> sessualità eccessiva, debor<strong>da</strong>nte, mostruosa, ma per questo<br />

tanto più eccitante. La donna ottentotta rappresenta il livello più basso della specie<br />

umana, appartiene a <strong>una</strong> razza che, <strong>in</strong> fondo, è più vic<strong>in</strong>a alle scimmie che non agli<br />

uom<strong>in</strong>i e donne ‘normali’, vale a dire bianchi. E ciò si coglie sia nell’ipertrofia, nell’abbon<strong>da</strong>nte<br />

sviluppo dell’apparato genitale sia, all’opposto, nell’ipotrofia, nelle dimensioni<br />

ridotte del cranio: dell’apparato <strong>in</strong>tellettuale. Questa, per lo meno, era l’idea che<br />

della Venere Ottentotta e della sua etnia avevano gli europei.<br />

E povero anche Berchet, verrebbe <strong>da</strong> dire! Con il suo “ottentoto” ci ha ricor<strong>da</strong>to<br />

uno degli episodi <strong>da</strong>vvero più odiosi di discrim<strong>in</strong>azione razziale e di sfruttamento<br />

sessuale (tanto più grave, perché reso pubblico, pubblicizzato come uno spettacolo) di<br />

cui l’uomo bianco si sia macchiato nel corso della sua plurimillenaria storia di normale<br />

razzismo. Comunque, resta il problema: dopo questa m<strong>in</strong>uscola rivelazione possiamo<br />

cont<strong>in</strong>uare a <strong>leggere</strong> <strong>in</strong> modo impassibile, <strong>in</strong>differente, soltanto tecnico, la Lettera<br />

semiseria? possiamo far f<strong>in</strong>ta di niente?<br />

2. D’altronde, va anche riconosciuto che tali forme di razzismo – consapevoli o<br />

<strong>in</strong>consapevoli che siano – nei confronti del nero non sono così frequenti nel Roman-<br />

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ticismo italiano. Anzi, per reagire alla brutta storia dell’ottentoto prendiamo <strong>in</strong> considerazione<br />

<strong>una</strong> vicen<strong>da</strong> più nobile, più combattiva, anche se non meno <strong>in</strong>quietante,<br />

quella dell’“haitiano” come traspare <strong>da</strong> alcuni versi niente meno che di Alessandro<br />

Manzoni. Eccoli:<br />

Oh vieni ancora! oh fervido<br />

Spira nei nostri seni:<br />

Odi, o pietoso, i cantici<br />

Che ti ripeton: vieni.<br />

A te la fred<strong>da</strong> Vistola,<br />

Oggi a te suona il Tebro,<br />

L’Istro, la Senna e l’Ebro<br />

E il Sannon mesto a te.<br />

Te sangu<strong>in</strong>ose <strong>in</strong>vocano<br />

Consolator le sponde<br />

Cui le vermiglie battono<br />

E le pacific’onde;<br />

Te Dio di tutti il bellico<br />

Coltivator d’Haiti,<br />

Fido agli eterni riti<br />

Canta, disciolto il piè 5 .<br />

Si tratta di <strong>una</strong> stesura provvisoria di <strong>una</strong> parte della Pentecoste, che poi non verrà<br />

accettata. Manzoni lavora al componimento tra il 1817 e il 1822; nell’aprile 1819 riprende<br />

il testo elaborato nel 1817, lo modifica radicalmente e scrive anche questi versi.<br />

Si sta parlando delle Spirito Santo che riscatta popolazioni di varie parti del mondo,<br />

<strong>in</strong> questo caso accom<strong>una</strong>te <strong>da</strong>lla santità della loro ribellione contro un oppressore<br />

nazionale. In particolare, si fa riferimento (ultimi quattro versi) ai contad<strong>in</strong>i haitiani,<br />

schiavi neri provenienti <strong>da</strong>ll’Africa: i quali, fedeli alla religione cattolica (“Fido agli<br />

eterni riti”), esaltano il Signore dopo essersi liberati (“disciolto il piè”).<br />

Attenzione: questo è un Manzoni rivoluzionario che sostiene la lotta di liberazione<br />

anticoloniale haitiana, sull’isola di Santo Dom<strong>in</strong>go. Il capo dei rivoltosi era il generale<br />

nero Toussa<strong>in</strong>t Loverture, che nel 1802 venne sconfitto, anzi tradito <strong>da</strong>ll’esercito napoleonico,<br />

<strong>in</strong> teoria anch’esso “rivoluzionario”. Toussa<strong>in</strong>t Louverture morirà <strong>in</strong> un carcere<br />

francese l’anno successivo (questo leader di colore ai miei tempi era assai famoso, e<br />

il gruppo rock dei Santana gli aveva addirittura dedicato <strong>una</strong> canzone. Credo però che<br />

oggi siano pochi i giovani che lo conoscono). In effetti, le vicende dell’emancipazione<br />

nazionale haitiana sono assai complesse, se è vero che dopo il 1803 la rivolta scoppiò<br />

ancora più feroce e portò allo sterm<strong>in</strong>io, <strong>da</strong> parte degli <strong>in</strong>sorti, di tutta la popolazione<br />

bianca di Haiti.<br />

5. Alessandro Manzoni, Tutte le opere, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, I: Poesie<br />

e tragedie, <strong>Milano</strong>, Mon<strong>da</strong>dori, 1957, pp. 82-3. Vedi il saggio di Franco Fort<strong>in</strong>i, con relativa<br />

ricostruzione del testo, Il contad<strong>in</strong>o di San Dom<strong>in</strong>go, <strong>in</strong> Id., Nuovi saggi italiani, <strong>Milano</strong>, Garzanti,<br />

1987, pp. 26-35.

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