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Estetica della Città vuota in differenti campi del ... - Giovanni Ficetola

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Squilla il telefono di questa cab<strong>in</strong>a, lo guardo turbato.<br />

La strada è <strong>vuota</strong>.<br />

L’aria si condensa <strong>in</strong> vapore quando respiro, il freddo attanaglia la mia faccia.<br />

Tengo gli occhi stretti, per il freddo, per le ombre, per l’alcol.<br />

La sigaretta spenta penzola dalle mie labbra, camm<strong>in</strong>o meccanicamente,<br />

scordandomi di accenderla.<br />

Il freddo congela i pensieri, le persone, la luce dei lampioni.<br />

Mille canzoni mi frullano <strong>in</strong> testa, le ombre scivolano come liquide. Mi sto<br />

immag<strong>in</strong>ando tutto?<br />

Te ne sei andata.


<strong>Estetica</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>Città</strong> <strong>vuota</strong> <strong>in</strong> <strong>differenti</strong> <strong>campi</strong> <strong>del</strong> visivo, dal fumetto all’architettura<br />

“Sia gloria alla Bomba, e alla Sua nube distruttiva, com’era <strong>in</strong> pr<strong>in</strong>cipio e com’è ora”<br />

Mi sembrava appropriato com<strong>in</strong>ciare questo secondo capitolo con l’<strong>in</strong>vocazione alla Bomba de<br />

L’altra faccia <strong>del</strong> Pianeta <strong>del</strong>le Scimmie. 1<br />

La bomba.<br />

Forza distruttrice per eccellenza, spauracchio <strong><strong>del</strong>la</strong> fantascienza (e <strong><strong>del</strong>la</strong> società) durante la guerra<br />

fredda, e, <strong>in</strong>sieme alle epidemie (o meglio, pandemie, come vedremo tra poco) una <strong>del</strong>le forze<br />

generative pr<strong>in</strong>cipali <strong><strong>del</strong>la</strong> città <strong>vuota</strong>.<br />

Sono, entrambe, nella maggior parte dei casi s<strong>in</strong>tomo di un’azione umana, e seguono due vie<br />

<strong>differenti</strong>.<br />

Se la bomba è pr<strong>in</strong>cipalmente solo distruttrice, l’epidemia è spesso, parallelamente, generatrice.<br />

L’epidemia scaturisce già per def<strong>in</strong>izione da un atto creativo, un nuovo virus, batterio, che si<br />

diffonde, provocando (per l’effetto immag<strong>in</strong>ifico e extra-ord<strong>in</strong>ario che il c<strong>in</strong>ema e la fantascienza<br />

devono creare) la nascita di un altro da contrapporre, confrontare con l’uomo.<br />

Un alieno (a livello etimologico, dissimile, altrui)che non viene da fuori alla terra a portare la<br />

Catastrofe, ma è <strong><strong>del</strong>la</strong> Terra, è <strong><strong>del</strong>la</strong> Catastrofe.<br />

Nei tre film possiamo notare un rapporto facilmente schematizzabile.<br />

L’epidemia (o meglio pan-demia trattando di tutta l’umanità) viene usato come fattore dato<br />

dall’uomo, non dalla natura che si ribella.<br />

La pandemia, <strong>in</strong>fatti, (dal greco pan-demos, "tutto il popolo") è una epidemia che consiste nella<br />

diffusione di una patologia <strong>in</strong> più aree geografiche <strong>del</strong> mondo, con un alto numero di casi gravi ed<br />

una mortalità elevata.<br />

Nella storia <strong>del</strong>l’umanità si sono verificate numerose pandemie; la più nota pandemia <strong>del</strong> mondo<br />

occidentale è stata la letale pesete nera <strong>del</strong> ‘300, che ha portato alla morte di circa un terzo <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

popolazione europea <strong>in</strong> sei anni, che ha provocato punte di mortalità <strong>del</strong> 90% <strong>in</strong> alcune città ad alta<br />

densità, provocando <strong>in</strong> questo modo uno s<strong>vuota</strong>mento <strong>del</strong>le aree urbane a favore <strong>del</strong>le aree rurali<br />

più rarefatte, provocando uno sconvolgimento economico e politico <strong>in</strong> tutti gli stati <strong>del</strong>l’area turco-<br />

europea.<br />

Fra le pandemie più recenti si ricordano l'"<strong>in</strong>fluenza spagnola", l'"<strong>in</strong>fluenza asiatica", l'"<strong>in</strong>fluenza di<br />

Hong Kong".<br />

24<br />

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Il term<strong>in</strong>e pandemia si applica solo a malattie o condizioni patologiche contagiose. Di conseguenza,<br />

molte <strong>del</strong>le patologie che colpiscono aree molto grandi o l'<strong>in</strong>tero pianeta (per esempio il cancro) non<br />

sono da considerarsi pandemiche.<br />

Secondo l'Organizzazione Mondiale <strong><strong>del</strong>la</strong> Sanità, le condizioni perché si possa verificare una<br />

pandemia propriamente detta sono tre:<br />

• la comparsa di un nuovo agente patogeno;<br />

• la capacità di tale agente di colpire gli uom<strong>in</strong>i, creando gravi patologie;<br />

• la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio.<br />

Vediamo qu<strong>in</strong>di che per tutti i film di fantascienza, sia quelli qui trattati, che non, con caratteri<br />

riferibili a virus mortali per l’uomo, il term<strong>in</strong>e di riferimento corretto per la def<strong>in</strong>izione di questo<br />

virus (o batterio, come nel caso <strong><strong>del</strong>la</strong> sopraccitata peste nera) è proprio pandemia.<br />

Peraltro nella fantascienza classica questi agenti patogeni hanno proprietà e orig<strong>in</strong>i sempre piuttosto<br />

caratteristiche, malattie esotiche, con gestazioni magari un po’ <strong>in</strong>credibili.<br />

Perciò se ne L’ultimo Uomo sulla Terra il virus arriva da un posto esotico e trasforma gli uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong><br />

vampiri, ne L’esercito <strong>del</strong>le Dodici Scimmie e 28 giorni dopo si cerca una spiegazione più<br />

realistica, un pazzo con la capacità di accedere a laboratori di creazione di virus e una mutazione<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> rabbia.<br />

In L’ultimo Uomo sulla Terra il virus, privo di controllo trasforma chi ne viene colpito <strong>in</strong> vampiri<br />

(l’altro), ne L’esercito <strong>del</strong>le Dodici Scimmie è un uomo a creare il virus letale e diffonderlo, per<br />

“purificare” il pianeta, l’altro, il diverso, l’alieno sono gli animali, liberi di scorrazzare<br />

nell’ambiente urbano, ormai abbandonato dai creatori e fruitori orig<strong>in</strong>ari (come, sotto aspetti<br />

<strong>differenti</strong> anche <strong>in</strong> Morselli)<br />

In 28 giorni dopo gli <strong>in</strong>cauti esseri umani lasciano sfuggire il virus che trasforma gli <strong>in</strong>fetti <strong>in</strong><br />

zombi. Ma l’altro sono gli esseri umani.<br />

Certo è vero che anche <strong>in</strong> L’utimo Uomo sulla Terra e nel racconto Io sono leggenda l’alieno è<br />

l’ultimo umano nella massa data dai vampiri, ma <strong>in</strong> un ottica differente. È l’ottica <strong>del</strong><br />

sopravvissuto, <strong>del</strong> pianeta <strong>in</strong>ospitale all’esploratore (tema molto caro alla fantascienza <strong>del</strong> tempo).<br />

Anche <strong>in</strong> un altro romanzo Il giorno dei Trifidi contemporaneo di Io sono leggenda possiamo<br />

vedere i medesimi elementi, epidemia, altro, città <strong>vuota</strong>.<br />

E anche qui, la pandemia colpisce chi l’ha generata.<br />

25<br />

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A causa di una pioggia chimica quasi tutti gli esseri umani sono diventati ciechi. I Trifidi, strani<br />

esseri vegetali sociali, <strong>in</strong> grado di muoversi e comunicare tra loro, com<strong>in</strong>ciano a sostituire l’umanità<br />

allo sfascio. I pochi sopravvissuti cercano di tornare a una normalità, attraverso nuove società più o<br />

meno utopiche, più o meno realistiche.<br />

Le città vengono abbandonate.<br />

Londra, dalla quale il protagonista arriva, e nella quale, nel corso degli anni ha modo di tornare,<br />

diventa uno spazio <strong>in</strong>esplorato e sconosciuto, f<strong>in</strong>o a che, a causa <strong>del</strong> passare <strong>del</strong> tempo, diventa un<br />

luogo <strong>in</strong>transitabile, ormai <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a.<br />

Se i Trifidi nel tempo hanno sostituito l’umanità nel suo posto nell’ecosistema, non lo hanno saputo<br />

però sostituire <strong>in</strong> quello che aveva creato.<br />

Ed è sempre a Londra che si muove Dylan Dog, l’ultimo uomo sulla terra nell’omonimo albo 2 (che<br />

vedremo tra poco), ed è ancora un virus il responsabile <strong>del</strong>l’est<strong>in</strong>zione <strong>del</strong>l’essere umano. Un super<br />

raffreddore (per utilizzare la categoria <strong>in</strong>trodotta da S. K<strong>in</strong>g ne L’ombra <strong>del</strong>lo<br />

Scorpione), che <strong>in</strong> pochi anni porta allo sterm<strong>in</strong>io non di uno stato, o un<br />

cont<strong>in</strong>ente, ma <strong>del</strong>l’<strong>in</strong>tera umanità.<br />

Sempre K<strong>in</strong>g ci propone un mondo desolato nella serie <strong><strong>del</strong>la</strong> Torre Nera, sette<br />

romanzi che esplorano il territorio ibrido tra fantascienza, western e fantastico.<br />

Siamo <strong>in</strong> un mondo che è andato avanti, non viene spiegato di più. Del mondo di<br />

prima ci sono ancora reliquie, macch<strong>in</strong>ari abbandonati e dalle funzioni<br />

sconosciute.<br />

Nei romanzi vengo esplorate città dai nomi fantastici, ma che sono riconducibili<br />

alle città reali degli Stati Uniti.<br />

Sono città abbandonate, o popolate da straccioni, sono ghost town <strong>del</strong>l’epoca<br />

moderna. 3<br />

A differenza di questi abbiamo Topi di Alberto Ponticelli 4 , “Sagace Storiella” a<br />

detta <strong>del</strong>l’autore, che narra di un mondo dove tutti vivono reclusi nei propri<br />

appartamenti, privi di una vita sociale non virtuale.<br />

Il mondo è così per colpa <strong><strong>del</strong>la</strong> Bomba (non viene mai esplicitato, e forse non è<br />

neanche vero) e viene gestito da una Macch<strong>in</strong>a che distribuisce equamente cibo e<br />

risorse a tutti gli esseri umani.<br />

Il fondamentale problema è che questa Macch<strong>in</strong>a è gestita da un Uomo (bhe, più<br />

o meno) 5 .<br />

Topi<br />

26 26


Al di fuori di questi appartamenti c’è un mondo antico e <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a, un guscio ormai abbandonato a<br />

sé stesso (le facciate sono scrostate, alcune f<strong>in</strong>estre sono rotte, se c’erano degli occupanti sono<br />

qu<strong>in</strong>di sicuramente morti, etc.).<br />

Tutto è stato improvviso, antiche vestigia <strong><strong>del</strong>la</strong> società <strong>del</strong> passato sono abbandonate per le strade,<br />

automobili come cenotafi (<strong>in</strong>volontari rispetto al monumento “volontario”morselliano).<br />

L’occasione, il pretesto per visitare questa megalopoli allo sfascio viene data dall’<strong>in</strong>terruzione <strong>del</strong><br />

funzionamento <strong><strong>del</strong>la</strong> Macch<strong>in</strong>a.<br />

Il protagonista senza nome di questa<br />

storia, un ometto senza qualità, senza<br />

caratteri dist<strong>in</strong>tivi, esce, f<strong>in</strong>almente, <strong>in</strong> strada.<br />

Un’altra immag<strong>in</strong>e tratta da Topi<br />

Coperto dalla tuta ambientale attraversa la<br />

città <strong>vuota</strong>, solo la spazzatura abbandonata si muove <strong>in</strong>torno a lui, ignorandolo.<br />

Raggiunta la Macch<strong>in</strong>a la fa ripartire, senza pensare all’<strong>in</strong>domani. La macch<strong>in</strong>a <strong>in</strong>fatti gestisce la<br />

rete di distribuzione che <strong>in</strong>nerva l’<strong>in</strong>tero agglomerato urbano, ma non ne preserva la stabilità. Nel<br />

momento <strong>in</strong> cui il cemento cederà, i vetri si romperanno, allora l’umanità si est<strong>in</strong>guerà<br />

def<strong>in</strong>itivamente. È un umanità <strong>in</strong>credibilmente simile alla nostra quella che il nostro ometto<br />

rappresenta, piccola, <strong>in</strong>significante, miope, davanti a cui neanche la spazzatura si <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>a.<br />

È la Catastrofe, lo è stata, lo sarà nuovamente.<br />

Parlando di Catastrofe è bene cercare di darne una def<strong>in</strong>izione. Ci viene <strong>in</strong>contro (e ci verrà<br />

nuovamente successivamente) il volume Effetto Macch<strong>in</strong>a. 6<br />

Alla voce Catastrofe:<br />

“L’immag<strong>in</strong>e <strong><strong>del</strong>la</strong> morte si aggira con tranquillità per i film di fantascienza ma a differenza di<br />

quello che accade nel repertorio western, horror, thrill<strong>in</strong>g, Thanatos viene qui ad assumere un<br />

connotato diabolicamente eccessivo, mostruoso, paradossale: è la Catastrofe, la morte non riguarda<br />

più il s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>dividuo ma la comunità il paese, il cont<strong>in</strong>ente, il pianeta. È la morte <strong>in</strong> seguito a<br />

disastro.[…] I cadaveri sono stesi a migliaia sotto le macerie o abbandonati agli angoli <strong>del</strong>le strade<br />

ormai percorse esclusivamente dai venti radioattivi <strong>del</strong> dopo- bomba […]<br />

La diversa qualità <strong><strong>del</strong>la</strong> morte, unita a un’altrettanto diversa politica <strong><strong>del</strong>la</strong> quantità, def<strong>in</strong>isce il<br />

genere fantascientifico come quello che accetta di esibire il rito masochistico <strong><strong>del</strong>la</strong> distruzione<br />

collettiva: potremmo parlare di ist<strong>in</strong>to di morte, di illusione pal<strong>in</strong>genetica, o più semplicemente di<br />

gusto per la putrefazione, quello che è certo è che il c<strong>in</strong>ema di fantascienza vive per buona parte<br />

proprio sul fasc<strong>in</strong>o esercitato dalla catastrofe, dall’Apocalisse, dalla Perdizione Totale. È l’ultimo<br />

giorno <strong>del</strong>l’umanità e la morte si appresta al lavoro: non c’è più nulla da perdere, tutti sono uguali,<br />

il pericolo ha travolto le barriere poste dall’<strong>in</strong>telligenza e da ricchezza. L’azzeramento universale.<br />

27 27


Le cause che presiedono alla catastrofe variano ovviamente da pellicola a pellicola, ma ancor più<br />

mutano <strong>in</strong> rapporto coi tempi: <strong>in</strong>izialmente la Catastrofe è legata a fenomeni di ord<strong>in</strong>e naturale […]<br />

(o a eventi di cui l’uomo) non è <strong>in</strong> alcun modo responsabile, come non è responsabile dei disastri<br />

provocati dagli alieni distruttori ne La guerra dei mondi o da qualche mostro casualmente<br />

risvegliatosi dal suo sonno profondo nelle varie escursioni c<strong>in</strong>ematografiche dedicate alla<br />

mostruosità.<br />

Questo f<strong>in</strong>o al momento <strong>in</strong> cui non emerge pesantemente il problema <strong>del</strong>le disfunzioni<br />

tecnologiche, <strong>del</strong>le energie <strong>del</strong>le possibilità <strong>in</strong>controllate, <strong><strong>del</strong>la</strong> Catastrofe a portata di mano, anzi, a<br />

portata di pulsante. È allora che il Disastro <strong>in</strong>izia ad assumere le caratteristiche di fatto totalmente<br />

umano, di evento alla cui costruzione presiedono <strong>in</strong>nanzitutto le forze e le energie controllate dagli<br />

uom<strong>in</strong>i prima di qualsiasi casualità estranea al gioco tutto terrestre <strong>del</strong> potere. L’immag<strong>in</strong>e <strong>del</strong><br />

disastro si aggh<strong>in</strong>da allora <strong>del</strong> silenzio straziante <strong><strong>del</strong>la</strong> città morta a seguito <strong>del</strong>le radiazioni<br />

(l’ultima spiaggia 1959) […] o ancora, <strong><strong>del</strong>la</strong> penosa degradazione degli ultimi terrestri sfuggiti al<br />

contatto con la morte (2000: La f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> mondo 1970; 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra 1971).<br />

I sopravvissuti, presenza tipica <strong>del</strong>le storie che prevedono una Catastrofe, svolgono di volta <strong>in</strong> volta<br />

il ruolo di rifondatori o di vittime <strong>in</strong> ritardo, permettendo di misurare <strong>in</strong> tutta la loro gravità le<br />

trasformazioni causate dal Disastro.”<br />

Il/i sopravvissuto/i diventano s/oggetto <strong>del</strong>l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e filmica, oggetto perché spiati, seguiti nella<br />

vicenda che si svolge sullo schermo, soggetto perché unico occhio per vedere gli effetti <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

catastrofe. La città <strong>vuota</strong>, il pianeta desolato rimarrebbe muto, silenzioso, <strong>in</strong> scandagliabile senza<br />

un essere umano da seguire, <strong>in</strong> cui o spettatore si possa identificare. All’<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> gioco <strong>del</strong><br />

fantastique, che lo spettatore accetta prima di sedersi <strong>in</strong> sala, lo spettatore è il sopravvissuto, anche<br />

all’<strong>in</strong>terno <strong><strong>del</strong>la</strong> folla di un c<strong>in</strong>ema pieno, lo spettatore è solo. Col suo Disastro<br />

Riemergono <strong>in</strong>oltre temi di cui abbiamo già accennato (l’Uno, il soggetto <strong>del</strong> visivo) ad affiancare<br />

la Bomba.<br />

Punto card<strong>in</strong>ale <strong><strong>del</strong>la</strong> letteratura Fantastica <strong>in</strong> generale è Cronache <strong>del</strong> Dopobomba di P.K. Dick. 7<br />

Il libro narra le vicende di una comunità nel dopo bomba. Racconta come dalla S. Francisco a noi<br />

conosciuta, si sia arrivati a comunità isolate, con pochi contatti (attraverso soprattutto un esule <strong>in</strong><br />

orbita), a causa <strong><strong>del</strong>la</strong> pioggia radioattiva <strong>del</strong>le bombe. Ma non <strong>del</strong> nemico, un errore umano porta<br />

alla distruzione <strong><strong>del</strong>la</strong> civiltà.<br />

Anche i titoli di alcuni classici c<strong>in</strong>ematografici sono significativi, il già citato La f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> mondo 8 o<br />

Il giorno dopo la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> mondo 9 dove <strong>in</strong> entrambi la Catastrofe scaturisce dalla Bomba.<br />

Ma <strong>in</strong> generale tutto il genere cosiddetto Apocalittico o Post-Apocalittico si basa sul presupposto di<br />

un dopo bomba come background per la costruzione <strong>del</strong>l’ambiente e <strong><strong>del</strong>la</strong> storia<br />

28<br />

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Dylan Dog<br />

Il numero 77 di Dylan Dog , noto fumetto italiano, edito da<br />

Bonelli, ha un titolo alquanto evocativo: L’ultimo Uomo<br />

sulla Terra. E forse potrebbe apparire come una ripetizione<br />

rispetto a quanto già detto.<br />

Dylan Dog, <strong>in</strong>vestigatore <strong>del</strong>l’<strong>in</strong>cubo, lond<strong>in</strong>ese, protagonista<br />

<strong>del</strong>l’omonimo fumetto horrorifico italiano, si sveglia, <strong>in</strong> una<br />

Londra deserta, desolata, abbandonata. Egli è l’ultimo Uomo<br />

sulla Terra <strong>del</strong> titolo. Non c’è nessuno,<br />

Illustrazione 1: Ancora un’immag<strong>in</strong>e <strong><strong>del</strong>la</strong> Londra Dylandoghiana<br />

La Piccadilly Circus <strong>del</strong> futuro<br />

solo il freddo cemento e le <strong>in</strong>segne crollate di una città, simbolo di una civiltà <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a.<br />

Inizialmente pensa di essere <strong>in</strong> un <strong>in</strong>cubo, territorio classico <strong>del</strong> suo lavoro, ma col passare <strong>del</strong><br />

tempo si rende conto essere la realtà.<br />

Smemorato cerca di ricostruire quello che è successo, prima per ipotesi (bombardamento nucleare,<br />

epidemia, etc. ancora topos <strong>del</strong> genere), poi attraverso giornali <strong>in</strong> frantumi trovati presso<br />

l’emeroteca scopre l’amara verità. Epidemia, che dal 1998 al 2001 ha sterm<strong>in</strong>ato ogni forma di vita<br />

sul pianeta. Eccetto lui.<br />

Attraverso un orologio a energia solare scopre qu<strong>in</strong>di di essere nel 2560, e che ha perso gli ultimi<br />

cercare, non c’è nulla da ricostruire. Nulla.<br />

c<strong>in</strong>que secoli.<br />

Rispetto a tutte le altre storie che<br />

riguardano lo sterm<strong>in</strong>io <strong><strong>del</strong>la</strong> razza<br />

umana, questa è tra le più radicali <strong>in</strong><br />

assoluto.<br />

L’umanità è veramente est<strong>in</strong>ta, non<br />

c’è via di salvezza, non ci sono<br />

altre comunità di sopravvissuti da<br />

Tutto nel fumetto viene costruito <strong>in</strong> funzione di questo f<strong>in</strong>ale estremo. L’<strong>in</strong>verosile <strong>in</strong>venzione<br />

narrativa tale per cui Dylan Dog è sopravvissuto, l’<strong>in</strong>treccio <strong><strong>del</strong>la</strong> sceneggiatura, costruita su<br />

flashback per ricostruire il passato attraverso i ricordi <strong>del</strong> protagonista, e il suo vagare,<br />

assolutamente <strong>in</strong>utile e privo di scopo, per la Londra desolata. Ma se non si vedesse Piccadilly, o un<br />

<strong>in</strong>segna <strong><strong>del</strong>la</strong> metropolitana, potrebbe essere qualunque città al mondo.<br />

29<br />

29


Perché, come per il film omonimo, la città è tutto il mondo.<br />

Secondo Spengler la città moderna “E’ un mondo, è il mondo. Solo se<br />

considerata come un tutto, essa ha significato di luogo di umana abitazione. Le<br />

case sono gli atomi di cui si compone.” 10<br />

Non c’è nulla al di fuori <strong><strong>del</strong>la</strong> città, “proprio <strong>in</strong> quanto spazio che appartiene<br />

<strong>in</strong>tegralmente alla storia e alla vita <strong>del</strong>l’uomo; soffre e testimonia <strong>in</strong> maniera<br />

tangibile dei drammi che attraversano periodicamente il dest<strong>in</strong>o <strong>del</strong> pianeta<br />

Terra. Sia durante che dopo la Catastrofe, la sorte <strong><strong>del</strong>la</strong> città scandisce il tempo<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> sorte <strong>del</strong>l’uomo e i suoi meandri si trasformano di volta <strong>in</strong> volta <strong>in</strong> rifugio<br />

sicuro o <strong>in</strong> trappole mortali, <strong>in</strong> labir<strong>in</strong>ti perversi o <strong>in</strong> confortevoli ventri capaci<br />

di salvare dal terribile Ignoto” 11 dall’Alieno.<br />

[…] “ecco allora che il lungo repertorio di pianeti cittad<strong>in</strong>i si presenta<br />

davanti ai nostri occhi esibendo solo fotogrammi di necropoli<br />

e di alveari <strong>in</strong> preda alla disperazione: […] il silenzio; la città <strong>vuota</strong>, abbandonata, e su di essa si<br />

abbattono le astronavi marziane, […] questa immag<strong>in</strong>e esemplare, sostituita la variante dei marziani<br />

(epidemia, bomba) si ripete un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità di volte; <strong>in</strong> molti film frequentati dai mostri […] ma la<br />

sostanza <strong>del</strong>le immag<strong>in</strong>i è <strong>del</strong> tutto simile, anzi, omologa a uno stereotipo che si ripete […] f<strong>in</strong> dai<br />

primi film di fantascienza che hanno co<strong>in</strong>volto la città (la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> mondo, 1930), […] si pensi a<br />

New York e Sydney de l’ultima spiaggia, la prima città già morta, deserto silenzioso attraversato<br />

dalla nube atomica, l’altra, città che recita la parte f<strong>in</strong>ale <strong>del</strong> dramma vivendo una lunga e<br />

tristissima agonia, […] a Los Angeles di 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, città desolata <strong>in</strong><br />

preda alla contam<strong>in</strong>azione e al caos: di giorno appaiono i simboli <strong>del</strong> passato opulento e consumista<br />

– le auto, i negozi, i c<strong>in</strong>ema, i grandi magazz<strong>in</strong>i, i grattacieli, con sopra la polvere, la muffa, la<br />

sporcizia che l’ultimo sopravvissuto tenta a volte di togliere- di notte si fanno strada i nuovi signori<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> città: i mutanti”, (medesimo discorso si può anche fare per L’ultimo uomo sulla Terra,<br />

essendone il film con Heston il remake). 12<br />

Ecco dunque, l’orrore <strong>del</strong> deserto, lo stomaco si stritola di fronte al nulla spettrale, al silenzio.<br />

È un fattore, che solo il c<strong>in</strong>ema, rispetto a tutti gli altri media, può dare.<br />

Nella panoramica di una città <strong>vuota</strong>, il silenzio <strong>in</strong>veste lo spettatore. E non può esserci altro.<br />

Altrimenti non sarebbe <strong>vuota</strong>, desolata, abbandonata.<br />

Ci possono essere solo i rumori naturali, <strong>del</strong> vento, <strong><strong>del</strong>la</strong> pioggia, ma rimangono sempre schiacciati<br />

dall’opprimente vuoto, perché “<strong>in</strong>dubbiamente (il silenzio) è una cosa doppia (ma cosa mai non lo<br />

è?): perché il silenzio (il vuoto) è l’<strong>in</strong>torno e l’<strong>in</strong>tervallo.<br />

Dylan Dog legge<br />

Matheson<br />

30 30


tutto ciò che c’è accade nel silenzio (vuoto) che sta <strong>in</strong>torno da sempre: e dove se no? Il silenzio<br />

(vuoto) è prima di ogni cosa. Però è anche tra le cose. Le separa. E così è anche dopo.<br />

Il silenzio (vuoto) non è «qualcosa», caso mai è la negazione di qualcosa.<br />

[…] il silenzio (vuoto) contiene il tutto, ma anche lo divide <strong>in</strong> ogni sua cosa o parte” 13 , sia se sul<br />

pianeta Terra, che, e soprattutto, nell’immenso Vuoto siderale <strong>del</strong>lo spazio (il luogo più grande,<br />

desolantemente vuoto e silenzioso conosciuto dall’uomo).<br />

Dall’Alto<br />

Anche dal punto di vista visivo-grammaticale il silenzio corre a braccetto con le riprese cittad<strong>in</strong>e.<br />

Come ci fa <strong>in</strong>fatti notare Gianni Canova, <strong>in</strong>fatti, “lo sguardo <strong>del</strong> c<strong>in</strong>ema sullo spazio urbano sì è<br />

organizzato storicamente secondo alcune clausole retoriche ripetute e ricorsive. La più frequente e<br />

diffusa, la più “classica”, è quella <strong><strong>del</strong>la</strong> veduta dall’alto.” 14 , e proprio nello sguardo dall’alto la città<br />

è silenziosa, a causa <strong><strong>del</strong>la</strong> lontananza che si <strong>in</strong>terpone tra l’occhio (spettatore) e il tessuto urbano.<br />

Se allora è vero che “le città viste dall’alto/ mi ricordano i viaggi nello spazio” 15 , allora i due piani<br />

si sovrappongono. L’immobilità <strong><strong>del</strong>la</strong> città, f<strong>in</strong>almente costruzione esclusivamente mentale,<br />

mo<strong>del</strong>l<strong>in</strong>o <strong>del</strong> pensiero, viene <strong>in</strong>terrotta solo dal nostro Sopravvissuto, esule, esiliato, costretto a una<br />

vita <strong>vuota</strong> e <strong>in</strong>sulsa. Se il dottor Morgan ha qu<strong>in</strong>di ragione quando dice “Sono sopravvissuto eppure<br />

non ho più uno scopo davanti a me. L’uomo ha la possibilità di vivere anche senza una ragione,<br />

[…] molta gente viveva <strong>in</strong> questo modo, prima, vegetando”, per l’ultimo uomo sulla terra qual è lo<br />

scopo? Trovare altri sopravvissuti? Rifondare la società? Non può cont<strong>in</strong>uare a vivere (esistere)<br />

mosso solo dall’ist<strong>in</strong>to di sopravvivenza. Non può, e non deve. È sempre Morgan a ricordarcelo,<br />

“Non posso permettermi il lusso di arrabbiarmi. L’ira mi può rendere vulnerabile, distrugge la<br />

ragione e la ragione è il solo vantaggio che ho su di loro”, allora possiamo provare questo<br />

ragionamento:<br />

La visione <strong>in</strong>terna a una cosa è una visione errata.<br />

La visione <strong>in</strong>terna è una visione calda.<br />

La visione dall’alto è una visione fredda.<br />

La visione dall’alto è una visione <strong>del</strong> totale.<br />

La visione <strong>in</strong>terna è una visione parziale, e qu<strong>in</strong>di per def<strong>in</strong>izione errata.<br />

La visione parziale impedisce la valutazione di tutti gli elementi che concorrono alla def<strong>in</strong>izione di<br />

un concetto vero o meno.<br />

Una visione priva di tutti gli elementi porterà conseguenzialmente a una valutazione errata.<br />

Una valutazione errata porta a un risultato automaticamente errato.<br />

31<br />

31


Attraverso una visione <strong>in</strong>terna si arriva a un risultato corretto solo nell’ambito di uno scarto<br />

statistico.<br />

Arrivare a un risultato corretto attraverso lo scarto statistico vuol dire ottenere un risultato casuale è<br />

s<strong>in</strong>tomo di non volontarietà.<br />

La volontarietà è la caratteristica che rivela un pensiero razionale.<br />

L’assenza di volontarietà è s<strong>in</strong>onimo di ist<strong>in</strong>tualità.<br />

L’utilizzo <strong>del</strong>l’ist<strong>in</strong>to come metro di valutazione, e azione è prerogativa degli animali.<br />

La regressione da parte di un essere umano a animale è <strong>in</strong>dice di un fallimento.<br />

A questo punto siamo tornati alla partenza,<br />

cioè alla visione <strong>del</strong> totale, <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

città/universo, alla città/totalità <strong><strong>del</strong>la</strong> vita,<br />

<strong>del</strong> pensiero, <strong>del</strong>l’azione.<br />

Certo, le <strong>in</strong>quadrature dall’alto non sono le<br />

sole che contraddist<strong>in</strong>guono il modo di<br />

visualizzare lo spazio cittad<strong>in</strong>o nel c<strong>in</strong>ema<br />

(e media visivi, quali fumetti, fotografia<br />

o altro), ma è sono <strong>in</strong>dubbiamente tra i<br />

metodi più efficaci, sia per la visione d’<strong>in</strong>sieme che forniscono, che per la veloce<br />

contestualizzazione <strong>del</strong>lo spazio scenico successivo. Molto adatti <strong>in</strong>oltre alla visualizzazione <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

città <strong>vuota</strong>.<br />

Vedere <strong>in</strong>fatti, a occhio spalancato, una parte molto ampia, il più d’<strong>in</strong>sieme possibile, la città, il<br />

nostro spazio quotidiano, trasformato <strong>in</strong> un luogo assente, <strong>in</strong> un luogo di distruzione è<br />

<strong>in</strong>dubbiamente scioccante e l<strong>in</strong>guisticamente pregno.<br />

Ed ecco che qui si impone una precisazione, riguardo alla trasformazione di un luogo <strong>in</strong> un non<br />

luogo e viceversa.<br />

Nonluogo (non-lieux) è un term<strong>in</strong>e proprio <strong>del</strong>l’etnologia, specifico, orig<strong>in</strong>ario <strong>del</strong> testo omonimo<br />

di Marc Augè. 16<br />

La piazza vista dall’alto, 28 giorni dopo<br />

Sotto questo term<strong>in</strong>e l’etnologo francese raggruppa tutti quei “luoghi qualunque”, propri <strong>del</strong> mondo<br />

espanso, globale. Sono i luoghi di transito, i luoghi <strong>del</strong>l’attesa, aeroporti, stazioni ferroviarie,<br />

percorsi <strong>in</strong> taxi, androni di alberghi, tutti <strong>differenti</strong>, ma ugualmente anonimi.<br />

L’autore francese <strong>in</strong>tende qu<strong>in</strong>di come nonluoghi, tutti quegli spazi <strong>del</strong>l’attraversamento <strong>in</strong>conscio,<br />

gli spazi di conf<strong>in</strong>e e <strong>in</strong>terstiziali tra i nostri spazi <strong><strong>del</strong>la</strong> vita quotidiana (casa, lavoro, scuola), gli<br />

spazi che noi viviamo senza attenzione, non familiari, ma conosciuti.<br />

32 32


Da questo possiamo dedurre che tutti quegli spazi a noi familiari di transito (la stazione dove<br />

prendiamo quotidianamente il treno, il metro, il percorso che facciamo a piedi f<strong>in</strong>o al lavoro, a<br />

scuola…) non possono essere def<strong>in</strong>iti nonluoghi, ma luoghi veri e propri. Il concetto di nonluogo<br />

risulta qu<strong>in</strong>di necessariamente personale.<br />

Gli spazi personali, cioè che riconosciamo e <strong>in</strong> cui possiamo notare dei cambiamenti col passare <strong>del</strong><br />

tempo, sono spazi che ci appartengono, gli spazi <strong>del</strong> nostri IO, <strong>del</strong>le nostre esperienze, qu<strong>in</strong>di <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

nostra vita stessa.<br />

Ogni pendolare, <strong>in</strong>fatti, superficialmente potrà dire che i propri luoghi di transito non sono spazi<br />

suoi, <strong><strong>del</strong>la</strong> sua vita, ma se <strong>in</strong>terrogato dettagliatamente a riguardo, potrà fornire esempi, aneddoti<br />

specifici e personali di ognuno di questi non luoghi, ha fatto cioè, propri quei luoghi impersonali.<br />

Infatti “Siamo noi che troviamo un luogo vic<strong>in</strong>o o lontano, gradevole o repellente, attraente o<br />

disgustoso. Le qualità dei luoghi sono un’altra qualità <strong>del</strong>l’osservatore. Luoghi remoti possono<br />

esserci <strong>in</strong>timi, così come luoghi prossimi possono risultarci <strong>in</strong> visitabili” 17<br />

Da questo presupposto possiamo dunque dire che ogni artista o c<strong>in</strong>easta che utilizza nella sua<br />

rappresentazione spazi urbani o non, utilizza nei nostri confronti, dei nonluoghi (eccetto nei rari<br />

casi <strong>in</strong> cui utilizzano spazi a noi conosciuti e familiari).<br />

Questo però non può risultare valido nei confronti <strong><strong>del</strong>la</strong> città <strong>vuota</strong>, <strong>in</strong>fatti, anche se l’autore utilizza<br />

spazi a noi conosciuti, la familiarità si perde nell’alienazione <strong>del</strong>lo spazio sconf<strong>in</strong>ato abbandonato,<br />

alienato, cioè, dal suo scopo (significato) orig<strong>in</strong>ario, nel momento <strong>in</strong> cui diventa città/totalità, o più<br />

Back<strong>in</strong>gam Palace deserto, il comune diventa alieno<br />

<strong>in</strong> generale città/pretesto (significante).<br />

Ed è per questo che la Londra desolata di Danny<br />

Boyle, per quanto riconosciuta e riconoscibile (il<br />

ponte sul Tamigi, il parlamento, il Big Ben)<br />

provoca lo scarto disturbante.<br />

L’alienazione <strong>del</strong> protagonista nel vedere i propri<br />

luoghi <strong>in</strong> quelle condizioni non permette parola<br />

<strong>in</strong>teleggibile al di fuori di una richiesta di<br />

aiuto, anche da parte <strong>del</strong>lo spettatore.<br />

Per chiarezza a questo punto cercherò di puntualizzare la necessità, già accennata <strong>in</strong> precedenza, <strong>del</strong><br />

Sopravvissuto.<br />

Il Sopravvissuto, l’Esule, non è null’altro che l’Occhio, <strong>del</strong>l’autore prima, <strong>del</strong>lo spettatore poi, che<br />

osserva la tragedia.<br />

Il fatto che l’evento, la Catastrofe, è ormai <strong>in</strong>eluttabile, irrimediabile.<br />

33 33


Il processo, card<strong>in</strong>e <strong><strong>del</strong>la</strong> narrazione occidentale, <strong>del</strong>l’immedesimazione tra protagonista e fruitore,<br />

viene qui accentuata, nel c<strong>in</strong>ema lo spettatore diventa più solo, il pubblico <strong>in</strong>torno a lui svanisce, il<br />

moto di disperazione trascende i piani oggetto/soggetto.<br />

È come se il Buster Keaton di film <strong>in</strong>vece di r<strong>in</strong>tanarsi nella sua casa per scomparire, com<strong>in</strong>ciasse a<br />

vagare per le strade deserte <strong><strong>del</strong>la</strong> sua città, non più cercando coperture dallo sguardo altrui<br />

(camm<strong>in</strong>ando rasente i muri, girato, celando il volto), ma ossessivamente al centro <strong>del</strong>le strade,<br />

ampie e deserte.<br />

Anche l’<strong>in</strong>quadratura di strade (<strong>in</strong>croci solitamente, semafori impazziti o muti) è <strong>in</strong>fatti tipica<br />

<strong>del</strong>l’immag<strong>in</strong>ario <strong><strong>del</strong>la</strong> citta <strong>vuota</strong>.<br />

Ed ecco, allora che come Keaton paradossalmente, cercherebbe rifugio nel centro <strong><strong>del</strong>la</strong> città (e<br />

risulterebbe già <strong>in</strong>visibile, perché non ci sarà nessun’occhio da occultare, o meglio no ci sarebbe<br />

proprio nessun occhio), così i nostri personaggi/occhi, i Sopravvissuti, nel momento <strong>in</strong> cui si<br />

muovono (Vivono, si confrontano) nella città <strong>vuota</strong> cessano di essere quello che sono, come<br />

<strong>in</strong>dividui, e diventano altro.<br />

Diventano qu<strong>in</strong>di l’<strong>in</strong>tera umanità (come detto, lo spettatore e come poi vedremo nel capitolo<br />

dedicato a Morselli).<br />

In seconda istanza (almeno apparentemente) diventano qualcosa che non sono, diventano becch<strong>in</strong>i,<br />

astronauti, medici.<br />

Per tre motivi <strong>differenti</strong> i tre protagonisti si ritrovano a <strong>in</strong>dossare panni (maschere) che non gli<br />

appartengono.<br />

È il di 28 giorni dopo che attraversa la Londra desolata “mascherato” da medico; medico che<br />

(forse) non è, non ha certo la cura all’epidemia che ha spazzato l’umanità dalla faccia <strong><strong>del</strong>la</strong> Terra.<br />

Ma non ha importanza, nel momento <strong>in</strong> cui non c’è nessuno (soggetto) che lo possa guardare, non<br />

ha importanza chi o cosa sia veramente il Sopravvissuto.<br />

La maschera non ha più qu<strong>in</strong>di una funzione sociale, ma una funzione di sopravvivenza. Se Cole<br />

non <strong>in</strong>dossasse la tuta, con tutto il processo che sott<strong>in</strong>tende, verrebbe immediatamente <strong>in</strong>fettato, e<br />

sarebbe costretto a rimanere <strong>in</strong> superficie, a morire, <strong>in</strong> mezzo agli animali, nuovamente padroni<br />

<strong>del</strong>l’ambiente, lo stesso si può dire per il protagonista senza nome, di Topi.<br />

Cito le parole <strong>del</strong>l’autore 18<br />

Quanto è bello essere un palombaro?<br />

November 30th, 2006<br />

Un bel guscio corazzato per mascherare le <strong>in</strong>sicurezze <strong><strong>del</strong>la</strong> vita moderna. Il palombaro è la moda<br />

<strong>del</strong> 2000! poi la smetto, promesso. Da domani solo p<strong>in</strong> up solari e positive (promesse… chi non ne<br />

ha fatte a vanvera alzi la mano..)”<br />

34<br />

34


Palombaro A. Ponticelli<br />

Palombari, uom<strong>in</strong>i con maschere antigas, astronauti, sono tutti parte<br />

di un medesimo immag<strong>in</strong>ario autistico, abbandonato.<br />

Discorso a parte si deve fare per Dylan Dog. Egli è <strong>in</strong>fatti un<br />

(anti)eroe dei fumetti, e <strong>in</strong> quanto tale è già una maschera. Il suo<br />

vestito <strong>in</strong>fatti non cambia, ha l’armadio pieno solo di completi tutti<br />

uguali. Non ha perciò bisogno di mascherarsi per sopravvivere nel<br />

mondo improvvisamente s<strong>vuota</strong>to.“Nietzsche […] <strong>in</strong>augurò «il<br />

quarto uomo» <strong>del</strong> quale adesso tanto si parla, l’uomo con la «perdita<br />

<strong>del</strong> centro», di un centro che romanticamente si cerca di risvegliare.<br />

L’uomo senza contenuto morale e filosofico che vive per i pr<strong>in</strong>cipi<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> forma e <strong>del</strong>l’espressione. È un errore ritenere che l’uomo<br />

abbia ancora un contenuto o debba averne uno […] non esiste più affatto l’uomo, esistono ormai<br />

soltanto i suoi s<strong>in</strong>tomi” 19<br />

Esplicative a riguardo sono le parole <strong>del</strong> Sopravvissuto de l’ultimo uomo sulla Terra, nel momento<br />

<strong>in</strong> cui deve scegliere una mach<strong>in</strong>a nuova. “Questa mi piacerebbe […]ma non posso pensare alle<br />

comodità. Un tempo potevo desiderare una bella macch<strong>in</strong>a, ora mi serve un carro funebre” è il<br />

punto di cesura tra la società <strong>del</strong>l’immag<strong>in</strong>e <strong>del</strong>l’uomo e la nuova società <strong><strong>del</strong>la</strong> Posthumanitè, punto<br />

di partenza di un mondo riformato su basi razionali e funzionalistiche, un vero ritorno alle orig<strong>in</strong>i<br />

preistoriche, nel senso archetipico <strong><strong>del</strong>la</strong> parola, cioè di prima <strong><strong>del</strong>la</strong> Storia.<br />

Il concetto-chiave <strong>del</strong> pensiero storico hegeliano è la lotta per il riconoscimento. L’uomo,<br />

primariamente, desidera essere desiderato (o riconosciuto superiore) dai suoi simili. Come spiega<br />

Alexandre Kojeve, grande esegeta hegeliano, la “merce” più importante per l’Uomo è proprio<br />

questa, il PRESTIGIO che gli deriva dal primeggiare su altri uom<strong>in</strong>i. Primeggiare sugli animali non<br />

è sufficiente (si pensi a Moonwatcher, nel prologo di 2001 – Odissea nello spazio: egli usa l’osso<br />

dapprima contro rocce e altre ossa, poi contro animali per ucciderli e procurarsi il cibo, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e per<br />

ottenere il predom<strong>in</strong>io sulla pozza d’acqua contro SUOI SIMILI!).<br />

“L’uomo è fondamentalmente un animale sociale e eterodiretto, ma la sua socievolezza non lo<br />

porta a vivere <strong>in</strong> una società civile e pacifica, bensì <strong>in</strong> una lotta a morte per il puro prestigio”. 20<br />

QUESTO E’ PROPRIO ciò che viene meno <strong>in</strong> “Topi”. E per forza di cose anche <strong>in</strong> tutti quei film e<br />

testi <strong>in</strong> cui L’Umanità “diventa” un solo <strong>in</strong>dividuo…<br />

In Hegel, la lotta per il riconoscimento produce PADRONI e SCHIAVI. Chi v<strong>in</strong>ce la lotta, diviene<br />

padrone; chi la perde o per paura vi si sottrae, diviene schiavo. I rapporti di potere umani sono tutti<br />

35 35


<strong>in</strong> questa affermazione. Naturalmente la visione è ancestrale, non si riferisce ad un tempo <strong>in</strong><br />

particolare. E’ una sorta di fase di <strong>in</strong>cubazione <strong><strong>del</strong>la</strong> Storia umana.<br />

Ora: “Il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> Storia umana può essere visto come la ricerca <strong>del</strong> modo di soddisfare il<br />

desiderio <strong>del</strong> riconoscimento che hanno SIA i padroni CHE gli schiavi. (…) E la Storia f<strong>in</strong>isce con<br />

la vittoria <strong>del</strong>l’ord<strong>in</strong>e sociale che riesce a raggiungere questo obiettivo”. 21 Nel pensiero hegeliano,<br />

la Storia f<strong>in</strong>irà con la realizzazione terrena <strong><strong>del</strong>la</strong> migliore e più soddisfacente forma possibile di<br />

società (che il pensiero tedesco <strong>del</strong>l’800 identificava nella democrazia liberale). Insomma, la storia<br />

direzionale “implica che nessuna forma di organizzazione sociale, una volta soppiantata, ritorni<br />

più <strong>in</strong> vita nella società stessa” 22<br />

Quest’ord<strong>in</strong>e è la democrazia liberale, nella quale non c’è bisogno di lottare per vedersi riconosciuti<br />

i diritti e soprattutto il rispetto. Chiunque nel nostro mondo ha diritto al rispetto (a presc<strong>in</strong>dere dal<br />

fatto che sia o no rispettato <strong>in</strong> effetti). Thomas Hobbes e John Locke sostennero che l’aspirazione<br />

primaria <strong>del</strong>l’Uomo non era il prestigio (o il riconoscimento) ma l’AUTOCONSERVAZIONE.<br />

Da cui il mondo di valori bassi e banali che Nietzsche (a ragione o meno, non è importante<br />

stabilirlo qui) attacca di cont<strong>in</strong>uo. Il famoso “superuomo” nietzschiano (Uber-mensch) è tutto qui:<br />

un uomo che ancora accetti e voglia la lotta. Il f<strong>in</strong>ale di “Topi” sembra gettare <strong>in</strong> questa direzione lo<br />

spaurito protagonista, che però NON VUOLE PIU’ la lotta, non vuole assolutamente il contatto<br />

sociale, accetta il mondo vuoto e fatiscente <strong>in</strong> cui ormai vive.<br />

E’ un problema di THYMOS (greco “thymòs”: animo, coraggio, spirito). Bisognerebbe aprire una<br />

parentesi su Platone, che nella “Repubblica” descrive le tre parti <strong>in</strong> cui è divisa l’anima umana.<br />

1) Parte che desidera; 2) Parte che ragiona; 3) Thymòs.<br />

La PARTE TIMOTICA non è legata a vantaggi materiali o desideri di cose materiali. In altre<br />

parole, la parte timotica desidera il riconoscimento, desidera solo la supremazia, e pur di ottenerla è<br />

disposta a sacrificare gli oggetti <strong>del</strong> desiderio <strong>del</strong>le altre parti <strong>del</strong>l’anima.<br />

L’uomo timotico è l’uomo hegeliano che desidera essere guardato con ammirazione, che desidera<br />

sentirsi superiore ad altri. E’ il padrone. THYMOS è il contrario di desiderio di autoconservazione.<br />

Ecco perché il protagonista di “Topi” è secondo me l’antitesi <strong>del</strong>l’uomo timotico. Egli è un<br />

rassegnato, anzi, di più! E’ un uomo che lotta per la cosa opposta a quella ipotizzata da Hegel e<br />

Nietzsche, cioè non per il riconoscimento ma per l’anonimato, non per la gloria ma per il grigiore.<br />

Egli è una sorta di agente che opera per la morte <strong>del</strong> mondo.<br />

Il dibattito filosofico di XIX secolo è fortemente <strong>in</strong>fluenzato da questo contrasto fra thymòs e<br />

autoconservazione. Si prenda una figura d’<strong>in</strong>tellettuale e storico come Thomas Carlyle: egli, per<br />

reazione alle teorie hobbesiane sull’autoconservazione, giungerà a (ri)fondare una sorta di Culto<br />

36<br />

36


degli Eroi! Carlyle è un rappresentante <strong><strong>del</strong>la</strong> MEGALOTIMIA (eccessiva stima di sé e <strong>del</strong> proprio<br />

valore); l’antieroe di “Topi” è un rappresentante (direi il perfetto rappresentante, il rappresentante<br />

più puro, il grado zero, se vogliamo…) <strong>del</strong>l’ISOTIMIA (la troppo bassa stima di sé).<br />

L’impossibilità (<strong>in</strong>utilità nel caso <strong>del</strong> personaggio di Morselli) di documentare ciò che avviene<br />

diventa s<strong>in</strong>tomatico, qu<strong>in</strong>di, <strong>del</strong> ritorno a un mondo preistorico.<br />

Appare paradossale come però di tutti i personaggi seguiti l’unico che annota, cerca di tramandare<br />

la Storia, è l’unico veramente solo, veramente Ultimo e Sopravissuto.<br />

Morgan deve comunque rapportarsi con i vampiri, anche con la loro parte sociale (l’amico di una<br />

vita, Sam) così come Charlton Heston <strong>in</strong> Occhi bianchi sul pianeta Terra.<br />

James Cole fa parte di una m<strong>in</strong>oranza sopravvissuta, e il suo compito è <strong>in</strong>dagare alla ricerca di una<br />

cura, sulla base di elementi “storici” di dati andati perduti.<br />

Invece per Jim di 28 giorni dopo, la ricerca di altri sopravvissuti è l’azione motore e l’<strong>in</strong>tero film è<br />

basato sul movimento alla ricerca <strong><strong>del</strong>la</strong> comunità perduta, alla comunità f<strong>in</strong>almente utopica, così<br />

com’è per il giorno dei trifidi.<br />

Per nessuno di costoro risulta necessario annotare gli eventi (l’unico che <strong>in</strong> un certo qual modo lo fa<br />

è il protagonista <strong>del</strong> giorno dei trifidi, ma lo fa solo esclusivamente alla f<strong>in</strong>e degli eventi narrati,<br />

come memoria, nel momento <strong>in</strong> cui la nuova società sta risorgendo sulle rov<strong>in</strong>e “è già archeologia”<br />

dice Morselli <strong><strong>del</strong>la</strong> città priva di umanità) nella forma di memorie, questo perché “La storia<br />

mondiale è storia di città” 23<br />

È nel momento <strong>in</strong> cui cadono le maschere che il sopravvissuto si ritrova a tornare Uomo, e qu<strong>in</strong>di a<br />

dovere/potere annotare e storicizzare gli eventi. La narrazione nasce con l’<strong>in</strong>izio <strong>del</strong> pensiero<br />

umano, <strong><strong>del</strong>la</strong> scrittura. È il valore base su cui l’Uomo può capire, attraverso il confronto col proprio<br />

passato, il mondo che lo circonda, attraverso l’<strong>in</strong>fluenza <strong>del</strong> passato sul presente.<br />

Appare contraddittorio qu<strong>in</strong>di (e non viene mai realmente risolto) l’alter ego morselliano, conscio<br />

di un mondo ormai desolato, ormai a-temporale (Dylan Dog cerca <strong>in</strong>utilmente di risalire a una data<br />

dai giornali vecchi e solo una Macch<strong>in</strong>a a energia solare che ha cont<strong>in</strong>uato a funzionare gli rivela<br />

essere passati 500 anni, per lui un attimo) tiene fittamente il filo degli eventi.<br />

Tutti questi personaggi si ritrovano <strong>in</strong> un mondo nuovo, da ricreare, o da far morire con sé stessi,<br />

alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> naturale corso biologico <strong>del</strong>l’esistenza o elim<strong>in</strong>ati dal diverso come nel caso de<br />

L’ulimo Uomo sulla Terra.<br />

Tutti questi personaggi devono faticare per ricostruire la società degli uom<strong>in</strong>i, o per provare a farlo.<br />

Un territorio <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ato su cui poter costruire è il simbolo <strong>in</strong>conscio di <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite possibilità (“Una<br />

nuova vita vi attende nella colonia Extra-mondo, l’occasione per ricom<strong>in</strong>ciare <strong>in</strong> un Eldorado di<br />

buone occasioni e di avventure” dice la voce meccanica <strong>del</strong> film Blade Runner, un Eldorado, una<br />

37<br />

37


città <strong>del</strong>l’Utopia) eppure nella fantascienza moderna, figlia <strong><strong>del</strong>la</strong> distopia <strong><strong>del</strong>la</strong> f<strong>in</strong>e degli anni ’70, i<br />

protagonisti si trovano sempre a combattere per qualcosa che non riusciranno a fare. Le nuove<br />

occasione vengono sempre sprecate, l’uomo distrugge quello che ha costruito e non riesce a<br />

costruire nulla di buono sopra le ceneri.<br />

È sempre partendo dalle def<strong>in</strong>izioni <strong>del</strong> (effetto macch<strong>in</strong>a nuovamente) che alla voce Esplosione<br />

leggiamo “l’Esplosione… il silenzio… dopodichè, con un sospiro di sollievo e un ‘voltiamo<br />

pag<strong>in</strong>a’ def<strong>in</strong>itivo, la pal<strong>in</strong>genesi pare a portata di mano. Perlomeno nei desideri <strong>in</strong>consci <strong>del</strong>lo<br />

spettatore, perché le immag<strong>in</strong>i sembrano sfuggire a questa connotazione positiva sottol<strong>in</strong>eando<br />

soprattutto la drammaticità <strong>del</strong>l’evento, o al massimo ironizzando tragicamente sul gusto per<br />

l’autodistruzione.” 24<br />

Ma di questo parleremo approfonditamente più avanti, trattando le grandi ricostruzioni europee <strong>del</strong><br />

XVII- XVIII secolo<br />

Questa pal<strong>in</strong>genesi, questa ricostruzione, deve però confrontarsi, <strong>in</strong> pr<strong>in</strong>cipio, con il dato reale <strong>del</strong><br />

suo presente, su, cioè, la rov<strong>in</strong>a, l’archeologia preesistente.<br />

Abbiamo così spazi pubblici che si trasformano <strong>in</strong> spazi <strong>in</strong>terstiziali e il lavoro di ricostruzione va<br />

preceduto dal lavoro di riqualificazione.<br />

Nel c<strong>in</strong>ema questo processo avviene f<strong>in</strong> dagli anni ’80, <strong>in</strong>fatti “il personaggio <strong>del</strong> c<strong>in</strong>ema degli anni<br />

’80 abita i frammenti che la città degli anni ‘60/’70 adibiva a luoghi di deposito e di accumulo <strong>del</strong>le<br />

merci, o usava come luoghi di supporto <strong>del</strong>l’attività produttiva. I ruderi sopravvivono, ma si offrono<br />

nuove forme di consumo. Si pensi ad esempio a tutti i garage, i magazz<strong>in</strong>i, i depositi o i<br />

sem<strong>in</strong>terrati che vengono rifunzionalizzati e adibiti a luoghi di abitazioni […], il magazz<strong>in</strong>o-<br />

laboratorio de La Mosca (David Cronemberg, 1986) o lo stesso antro- deposito <strong>in</strong> cui vive la<br />

“strega” Alex di Attrazione fatale (Adrian<br />

Lyne, 1987) sono esempi emblematici di<br />

questa tendenza.<br />

Un solo luogo non viene rifunzionalizzato:<br />

la fabbrica.<br />

[…] mai tante fabbriche sugli schermi<br />

come nei film <strong>del</strong> periodo <strong>in</strong> cui la<br />

fabbrica perde la sua centralità produttiva.<br />

Queste fabbriche, tuttavia, non funzionano<br />

più: da luoghi di produzione sono<br />

diventate emergenze monumentali, segni<br />

vuoti,<br />

G. Basilico, Valencia<br />

38<br />

38


pura archeologia (si potrebbe aggiungere, elementi caratterizzanti e generativi <strong><strong>del</strong>la</strong> seconda<br />

archeologia <strong>in</strong>dustriale, non più legata alla rivoluzione <strong>in</strong>dustriale sette-ottocentesca, ma al<br />

movimento post-<strong>in</strong>dustriale ndr).<br />

[…]i luoghi di produzione diventano residui monumentali, ma si rifunzionalizzano <strong>in</strong> quanto luoghi<br />

di produzione <strong>del</strong>l’immag<strong>in</strong>ario, cioè <strong>in</strong> quanto set […] cattedrali nel deserto <strong><strong>del</strong>la</strong> città implosa.<br />

[…] Nel c<strong>in</strong>ema dei tardi anni ’80 diventano il topos narrativo <strong>in</strong> cui si attua la resa dei conti, il<br />

duello f<strong>in</strong>ale. Gli scontri e le sfide tra l’eroe e i suoi antagonisti non si svolgono più nelle strade,<br />

magari nella via centrale <strong>del</strong> villaggio, davanti al saloon, come avveniva nel western: molto più<br />

radicalmente […] si svolgono <strong>in</strong> fabbriche abbandonate”. 25<br />

E non è un procedimento <strong>del</strong> solo c<strong>in</strong>ema, ma di tutto un pensiero riguardo all’audiovisivo.<br />

Alla f<strong>in</strong>e degli anni ’70, <strong>in</strong>fatti, Gabriele Basilico, uno dei più noti fotografi “documentaristi”<br />

d’Europa, <strong>in</strong>izia la sua grande serie, Milano, ritratti di fabbriche,un lavoro condotto nella periferia<br />

ex-<strong>in</strong>dustriale di Milano.<br />

Ed ecco, com<strong>in</strong>ciano a spuntare qu<strong>in</strong>di le fabbriche abbandonate all’<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> vasto elenco di<br />

spazi vuoti. Scrive Basilico a riguardo di quei lavori "Il mio rapporto di fotografo con lo spazio<br />

urbano e l'architettura (...) si è arricchito di nuovi elementi emozionali f<strong>in</strong>o a ricomporsi, nella<br />

pratica <strong>del</strong> fotografare, <strong>in</strong> una serie di atteggiamenti costanti come codici visivi che costantemente<br />

si ripetono, generando una sorta di alfabeto (...)". Parla così di un doppio livello di comportamento,<br />

di emozione e di metodo, e dunque pone la questione <strong><strong>del</strong>la</strong> convivenza fra i modi di un approccio<br />

ist<strong>in</strong>tuale e di quelli di una possibile costanza nel progettare.<br />

Ist<strong>in</strong>to nell’immag<strong>in</strong>e che colpisce, nello sfruttare un immag<strong>in</strong>ario legato allo spazio vuoto,<br />

progetto nell’andare a cercare, col piglio <strong>del</strong> reporter e l’occhio <strong>del</strong>l’architetto, gli spazi urbani,<br />

G. Basilico, Milano<br />

nuovi. .<br />

Il fotografo milanese si attiene quasi sempre<br />

a rigidi parametri, il bianco e nero, lo spazio<br />

vuoto.<br />

Vero leit motiv <strong>del</strong> suo lavoro è <strong>in</strong>fatti lo<br />

spazio vuoto, desolato. In ogni sua fotografia<br />

colpisce l’assenza di persone, di esseri<br />

umani, sia che fotografi una piazza centrale<br />

di una metropoli normalmente brulicante di<br />

vita, che le periferie di una città devastata<br />

dalla guerra, nella fattispecie Beirut, città<br />

39 39


iguardo a cui dice: “Ricordo il giorno <strong>in</strong> cui sono arrivato. Malgrado fosse pomeriggio era tutto<br />

buio. Ho comunque chiesto di fare subito un giro per la città. C’era un silenzio profondo e ogni<br />

tanto il rumore dei generatori elettrici di qualche albergo. Si vedevano i contorni degli edifici. Era<br />

una specie di cimitero imponente. […] Si percepiva un’<strong>in</strong>credibile densità <strong>del</strong>l’aria” 26 riferendosi al<br />

primo viaggio.<br />

Certo, se può apparire un facile pretesto scenico fotografare città s<strong>vuota</strong>te, nel suo<br />

completo e puntuale saggio <strong>in</strong>troduttivo a L'esperienza dei luoghi, Roberta Valtorta citando Perec<br />

(Lo spazio è un dubbio: devo cont<strong>in</strong>uamente <strong>in</strong>dividuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene<br />

dato, devo conquistarlo) propone un parallelo tra la fotografia <strong>del</strong> paesaggio <strong>in</strong> Europa e negli Stati<br />

Uniti sottol<strong>in</strong>eando che è proprio la "qualità" specifica dei territori ritratti dai fotografi a stelle e<br />

strisce a creare la differenza. Come spesso si è detto il fotografo USA sperimenta spesso un senso<br />

di solitud<strong>in</strong>e davanti a soggetti vasti e spesso "vuoti" che non è solito sperimentare il fotografo<br />

europeo. E la stessa Valtorta fa un'affermazione poco più <strong>in</strong> là su cui è il caso di riflettere: "La<br />

fotografia di Basilico, <strong>in</strong>sistente nel tempo e nel metodo quanto è necessario per diventare compiuta<br />

esperienza, percorre questo corpo (il corpo <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>in</strong>dustriale, dotato di vita e capace di<br />

suscitare affetti <strong>in</strong> chi lo guarda) considerandone le parti o l'<strong>in</strong>sieme sempre nel tentativo non tanto<br />

di osservarlo, ma di capirlo, talvolta perdonandone i limiti, i difetti, diremmo". 27<br />

Inoltre il fotografo (a sua detta) non utilizza procedimenti di cancellazione <strong>in</strong> fase di<br />

postproduzione. Ed ecco qu<strong>in</strong>di la profondità e la complessità <strong><strong>del</strong>la</strong> fase progettuale, la maniacale<br />

capacità di attesa di un cacciatore, di un cecch<strong>in</strong>o, appostato, che guarda nel suo mir<strong>in</strong>o, ad<br />

attendere il momento esatto, <strong>in</strong> cui la città gli si ponga davanti nuda e <strong>in</strong>difesa. F<strong>in</strong>almente pura, "la<br />

città è un essere vivente. E' un organismo che respira e si espande sopra di noi come un mantello<br />

protettivo che ci abbraccia e ci confonde allo stesso tempo. (..) Questa città mi appartiene e io<br />

appartengo a lei, quasi io fossi un frammento fluttuante dentro il suo immenso corpo. Mi ossessiona<br />

un bisogno costante di conoscere la sua corporeità” dice a riguardo di Milano, per la mostra<br />

Interrupted City <strong>del</strong> ’99.<br />

Ed è qu<strong>in</strong>di importante notare che “Basilico si pone il problema <strong><strong>del</strong>la</strong> difficile comprensione e <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

possibile <strong>in</strong>terpretazione <strong>del</strong> nuovo aspetto che l'habitat umano sta via via assumendo nel duplice<br />

ruolo di fotografo e di architetto, e tenta attraverso la fotografia una possibile ricomposizione <strong>del</strong><br />

problema sia <strong>in</strong> chiave concettuale che estetica” 28<br />

È data proprio da questo suo doppio ruolo, di fotografo e architetto, l’ossessione per gli spazi vuoti,<br />

per gli spazi non fruiti, per la pura forma, a seguire la ricerca di Moholy-Nagy per le forme<br />

generatrici <strong>del</strong>lo spazio, essenziali, solo luce e ombra, a scolpire i volumi, bianco e nero, che<br />

40<br />

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piegano lo spazio al volere <strong>del</strong> fotografo, cercando di mascherare, di rendere <strong>in</strong>visibile, questa sua<br />

volontà di dom<strong>in</strong>azione <strong>del</strong>lo spazio urbano.<br />

Concludo con le parole di M. Meneguzzo riguardo proprio alla scelta degli spazi vuoti da parte di<br />

Basilico: “Come si sa, Gabriele Basilico fotografa le città senza le persone. E non c'è modo<br />

migliore di ritrarre le persone che far notare la loro assenza, che mostrare i loro luoghi senza la loro<br />

presenza: entrare <strong>in</strong> una casa <strong>in</strong> assenza degli abitanti consente di ricostruire una storia a un tempo<br />

reale - perché basata sull'oggettiva presenza di <strong>in</strong>dizi <strong>in</strong>confutabili - e immag<strong>in</strong>aria, perché centrata<br />

sulle relazioni che noi, la nostra storia stabilisce tra gli oggetti che cadono sotto il nostro sguardo.<br />

Tutto qui. Questo è ciò che Basilico def<strong>in</strong>isce "documentario", secondo la grande tradizione <strong>del</strong><br />

fotorealismo, come Eugéne Atget <strong>in</strong>segnava attraverso le sue fotografie di Parigi priva di abitanti.<br />

Inutile, allora, ripercorrere la vecchia questione <strong>del</strong>l'oggettività impossibile...semmai, utilissimo<br />

riandare prima alle motivazioni di un lavoro di tal fatta, poi alle ragioni <strong>del</strong> successo che Basilico<br />

sta raccogliendo ben al di là <strong>del</strong>le classificazioni critiche che il suo lavoro parrebbe consentire.<br />

Intanto, Basilico agisce con un metodo che a prima vista sembra fortemente ideologico perché<br />

fortemente determ<strong>in</strong>ato: nel suo lavoro si tratta sempre di un'<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, anche se non esiste mai un<br />

colpevole, e così f<strong>in</strong>isce come nel "Pasticciaccio" di Carlo Emilio Gadda, dove almeno un <strong>del</strong>itto<br />

<strong>in</strong>iziale esiste, ma tutto si stempera <strong>in</strong> un'atmosfera corale dove l'assass<strong>in</strong>o può essere chiunque e<br />

non importa più a nessuno” 29<br />

Antonio Sant’Elia<br />

Vero precursore di questo modus è l’architetto (artista) futurista Antonio Sant’Elia.<br />

Genio <strong>in</strong>contrastato, visionario, nasce a Como, nel nord Italia, nel 1888, per andare a Milano nel<br />

1907 per lavorare e concludere gli studi.<br />

Nei sette anni successivi ha modo di conoscere alcune<br />

figure illustri <strong>del</strong> panorama artistico, coi primi futuristi e<br />

con quelli che saranno gli amici di sempre, Mario<br />

Chiattone e Ugo Nebbia.<br />

È proprio con quest’ultimo che nel maggio <strong>del</strong> 1914<br />

<strong>in</strong>augura la mostra la città <strong>del</strong> 2000 col gruppo di Nuove<br />

Tendenze<br />

Una serie di grandi prospetti che mostrano scorci di una<br />

città nuova, attraverso non un piano d'<strong>in</strong>sieme ma un<br />

<strong>in</strong>sieme di disegni "frammenti di una città descritta nel<br />

A. Sant’Elia La città nuova - Casamento con<br />

ascensori esterni, galleria, fari e telegrafia<br />

41<br />

41


suo processo formativo" anche se " non determ<strong>in</strong>ata nella sua conclusione" per cui "occorre<br />

considerare <strong>in</strong>sieme tutti gli schizzi collegandoli come episodi di un discorso virtualmente<br />

unitario" 30 immensa, spaventosamente nuova.<br />

Sulla rivista Vita d'Arte viene def<strong>in</strong>ito :“il più geniale di tutti i giovani, il più impetuoso e anche il<br />

più logicamente fantastico, l'unico che sa vedere nei suoi schizzi l'architettura un po' al di là <strong>del</strong>le<br />

forme consuete...”.<br />

Le tavole, i disegni, le cent<strong>in</strong>aia di schizzi che vanno a formare la città nuova furono ideati tra il<br />

1913 e il 1914 quando la rivoluzione <strong>in</strong>dustriale era <strong>in</strong>iziata da poco <strong>in</strong> Italia. I mo<strong>del</strong>li di metropoli<br />

che aveva sotto gli occhi erano una Milano <strong>in</strong> espansione, però con un ritmo di vita ancora<br />

ottocentesco, e una New York illustrata e descritta dai giornali come il trionfo <strong>del</strong> futuribile.<br />

Bilanciata tra questi due mo<strong>del</strong>li urbanistici, al conf<strong>in</strong>e tra un vecchio mondo <strong>in</strong> trasformazione e<br />

uno nuovo tutto da verificare, l'ipotesi <strong>del</strong>l'architetto comasco ha una concretezza realizzativa che il<br />

trascorrere <strong>del</strong> tempo e le mutate esigenze sociali non hanno pregiudicato nella sua orig<strong>in</strong>alità<br />

progettuale.<br />

Egli riconosceva correttamente l'avvento <strong>in</strong>esorabile di un nuovo ambiente culturale dest<strong>in</strong>ato a una<br />

società di vaste dimensioni ed estremamente d<strong>in</strong>amica.<br />

È <strong>in</strong> questa fase che entra <strong>in</strong> contatto con F.T. Mart<strong>in</strong>etti, col quale redige (o meglio, abbozza, sarà<br />

il teorico futurista a riscrivere) il Manifesto <strong>del</strong>l’Architettura Futurista.<br />

Un manifesto teorico, come quello scritto riguardo alla pittura, alla poesia, alla scultura e tutti gli<br />

aspetti <strong><strong>del</strong>la</strong> vita futurista.<br />

Dal manifesto (di cui viene qui fornita una copia <strong>in</strong>tegrale alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> volume), viene qu<strong>in</strong>di a<br />

formarsi una struttura mentale riguardo al modo di fare architettura da parte <strong>del</strong> giovane comasco.<br />

Certo, apparentemente alcuni passaggi sono <strong>in</strong> contraddizione con l’aspetto visivo realmente<br />

prodotto, ma dobbiamo pensare ad alcuni rimaneggiamenti da parte di Mart<strong>in</strong>etti.<br />

Le prime centrali idroelettriche appartengono a questo periodo.<br />

Non c'è una reale ricerca di funzionalità, tutto è ancora <strong>in</strong> forma teorica, Sant'Elia non è un tecnico<br />

o un <strong>in</strong>gegnere, Sant'Elia era un architetto, un visionario, un teorico <strong><strong>del</strong>la</strong> vita moderna. Con queste<br />

sue centrali, appena abbozzate, nelle forme, tecnicamente irrealistiche (certi punti, come le grosse<br />

antenne da cui partono i cavi d'elettricità, sembrano illustrazioni irreali, sembrano cannoni<br />

d'energia.<br />

42<br />

42


A. Sant’Elia, La città Nuova, casamento<br />

a gradoni<br />

Questo perché Sant’Elia si muovo <strong>in</strong> profondo contrasto<br />

col pensiero architettonico vigente, “Disegna le tavole<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>Città</strong> Nuova, che procedono dal disegno prospettico<br />

all’alzato, e dalle quali derivano le proiezioni <strong>del</strong>le varie<br />

viste. Mancano piante e sezioni, segno evidente di<br />

contestazione <strong>del</strong>l’ord<strong>in</strong>aria pratica architettonica,<br />

giudicata <strong>in</strong>adeguata alle nuove esigenze urbane; segno che<br />

l’architetto stesso era cosciente <strong><strong>del</strong>la</strong> non realizzabilità di<br />

quei progetti, oppure che non era necessaria questa pratica,<br />

visto che egli "riusciva a disegnare una pianta senza<br />

disegnarla, dando alle sue architetture una volumetria così<br />

trasparente, così comprensibile, da far sì che un occhio<br />

appena educato fosse <strong>in</strong> grado di ricostruire la struttura<br />

planimetrica mai disegnata". 31<br />

L’immag<strong>in</strong>azione di Sant’Elia sembra partire dall’<strong>in</strong>terno<br />

<strong>del</strong>l’architettura - <strong>del</strong> resto quasi mai rappresentata - per<br />

plasmare una struttura esterna che obbedisce ad una sorta di pressione che l’<strong>in</strong>terno esercita verso<br />

l’esterno. Le l<strong>in</strong>ee <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ate servono a Sant’Elia proprio per manifestare questa forza centrifuga.<br />

Significato analogo hanno i contrafforti e le grad<strong>in</strong>ate, e tutti gli altri elementi utilizzati <strong>in</strong> funzione<br />

d<strong>in</strong>amica.<br />

Le forme <strong><strong>del</strong>la</strong> tradizione - come il contrafforte o l’arco - sono lisce, private di qualsiasi connotato<br />

decorativo. Egli punta su costruzioni archetipali: la casa, il tempio, il castello, la torre, il ponte. Nel<br />

creare nuove tipologie, qu<strong>in</strong>di, non cancella il passato, anzi tende a radicarsi nelle forme <strong>del</strong><br />

passato. Quasi che egli <strong>in</strong>tendesse trasformare la città conservando il retaggio <strong><strong>del</strong>la</strong> storia; nei suoi<br />

disegni ci sono riferimenti ad architetture fantastiche, richiami all’architettura gotica, civile,<br />

militare: torri, ponti levatoi, passaggi sospesi... Un passato che vuol diventare presente e proiettarsi<br />

nel futuro.<br />

Ma ciò non basta: si avverte tensione, <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e; le architetture evocano movimenti che si<br />

compiono nella mente <strong>del</strong>l’autore. Gli eventi sono raffigurati <strong>in</strong> un clima di purezza: c’è una città<br />

deserta, costruita <strong>in</strong> funzione <strong><strong>del</strong>la</strong> vita moderna, percepita nella sua drammaticità, nella sua<br />

irresolubilità.<br />

Si ottengono <strong>in</strong> questo modo “visioni” <strong>del</strong> mondo, visioni a tutt’ora a noi realmente sconosciute se<br />

non all’<strong>in</strong>terno di un immag<strong>in</strong>ario di fantascienza.<br />

43 43


Se <strong>in</strong>fatti è vero che tra il ’12 e il ’13 arriva agli stessi risultati a cui giunse F. L. Wright circa dieci<br />

anni prima (alcuni schizzi, <strong>in</strong>fatti, risentono <strong><strong>del</strong>la</strong> mano <strong>del</strong> famoso architetto americano, ed alcuni<br />

studi architettonici <strong>del</strong> '13 li possiamo ricondurre al "Lark<strong>in</strong> Build<strong>in</strong>g" di Buffalo), è doppiamente<br />

vero, nel senso di reale che i disegni successivi <strong>in</strong>fluenzeranno notevolmente lo stesso Wright, e<br />

tutta la scuola di visual futurist statunitensi.<br />

Non è qu<strong>in</strong>di un paragone azzardato quello tra la città nuova santeliana e Blade Runner,<br />

mantenendo chiara l’esistenza di una profonda differenza.<br />

Le persone.<br />

La prima è una città <strong>in</strong> cui le persone sono poco più che ombre, punt<strong>in</strong>i vaganti <strong>in</strong> spazi illimitati.<br />

Una città lasciataci <strong>in</strong> eredità da quel "visionario di ferrigne visioni", 32 che possiamo anche tradurre<br />

come utopista di Antonio Sant’Elia; la seconda è <strong>in</strong>vece la città <strong><strong>del</strong>la</strong> distopia totale, <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

saturazione darw<strong>in</strong>iana <strong>del</strong>lo spazio urbano.<br />

Il taglio è nettissimo. La città nuova la città <strong>del</strong> 2000 è una città perfetta, vivibilissima, fruibile,<br />

“straord<strong>in</strong>ariamente “brutta” nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto più è neccessario, e<br />

non quanto è prescritto dalla legge municipale, deve sorgere sull'orlo di un abisso tumultuante: la<br />

strada, la quale non si stenderà più come un soppedaneo al livello <strong>del</strong>le port<strong>in</strong>erie, ma si<br />

sprofonderà nella terra per più piani che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti,<br />

per i transiti necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants”, 33 eppure è una città<br />

deserta.<br />

La città di un architetto, certo, che nelle tavole progettuali non mette persone ma solo il volume<br />

urbano puro, ma è anche vero che è un architetto atipico, che affida esclusivamente al disegno le<br />

sue proposte architettoniche: non le realizza costruttivamente, né le dota di piante o di precisazioni<br />

utili alla loro codificabilità. Ciò ha <strong>in</strong>dotto molti critici a limitarne la rilevanza.<br />

De Seta antepone la sua poetica ai suoi disegni, che giudica "scene urbane senza scala" 34 , prive di<br />

quegli elaborati tecnici che consentono di parlare di progetto <strong>in</strong> senso proprio, e anche secondo<br />

l’Argan Sant’Elia fu prem<strong>in</strong>entemente un teorico. I suoi disegni "anche se precorrono, non<br />

concludono: la sua concezione ideologica <strong>del</strong>l’architettura lo porta necessariamente a confondere<br />

l’aspirazione con la rappresentazione; perché fuori di questa aspirazione <strong>in</strong>dividuale sarebbe sorto il<br />

valore monumentale <strong>del</strong>l’architettura, dest<strong>in</strong>ato a diventare anacronistico, e perciò antiartistico - dal<br />

suo punto di vista - col cessare <strong>del</strong>l’aspirazione da cui era uscito. [...] Appunto perché le esigenze<br />

pratiche non sono determ<strong>in</strong>ate, ma idealizzate <strong>in</strong> un’esigenza generale di storicità, la concezione<br />

rimane una concezione nel vuoto: attività poetica e non poesia, aspirazione all’arte e non arte,<br />

ideologia e psicologia <strong>del</strong>l’architettura e non architettura" 35 . È strano pensare che soli due anni dopo<br />

44<br />

44


l’esposizione dei disegni per la città nuova Sant’Elia era morto, <strong>in</strong> tr<strong>in</strong>cea, durante il primo conflitto<br />

mondiale.<br />

Antonio Sant’Elia è stato <strong>in</strong> fondo l’ultimo dei veri utopisti, anche se, come vedremo<br />

successivamente, l’architettura utopica è cont<strong>in</strong>uata ancora per qualche decennio, ma mai con la<br />

medesima forza, sp<strong>in</strong>ta al r<strong>in</strong>novamento, e potenza visiva <strong>del</strong>l’architetto comasco. Una potenza<br />

stroncata da una palla di mitragliatrice austriaca.<br />

45<br />

45


46<br />

46


1 L’altra faccia <strong>del</strong> Pianeta <strong>del</strong>le Scimmie (Beneath the Planet of the Apes) USA 1970<br />

2 Dylan Dog n° 77 Bonelli, ed. Ita 1996<br />

3 Cfr Stephen K<strong>in</strong>g, Dark Tower Usa 1970-2004<br />

4 Topi di Alberto Ponticelli Ita 2001, pubblicata per la prima volta su Lexy present: Dark Horse #4, agosto 2001, per<br />

maggiori dettagli sul lavoro vedere Appendice 2 <strong>del</strong> presente volume<br />

5 Il personaggio a controllo <strong><strong>del</strong>la</strong> Macch<strong>in</strong>a si presenta come “Dio”, anche se, a detta <strong>del</strong>l’autore, “E’ una persona che si<br />

fregia <strong>del</strong> titolo di “Dio”<br />

6 Effetto macch<strong>in</strong>a : il c<strong>in</strong>ema di fantascienza C. Asciuti, F. Carl<strong>in</strong>i, G. Fumagalli, ed il Formichiere Ita 1978<br />

7 Cronache <strong>del</strong> dopobomba, Philip K. Dick, E<strong>in</strong>audi, 1997<br />

8 La F<strong>in</strong>e <strong>del</strong> Mondo (The World, the Flesh and the Devi) USA 1959<br />

9 Il Giorno dopo la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> Mondo(Panic <strong>in</strong> the Year Zero) USA 1962<br />

10 Il tramonto <strong>del</strong>l’Occidente O. Spengler, Longanesi, 1957<br />

11 C. Asciuti op. cit<br />

12 Ibid.<br />

13 Il Gioco <strong>del</strong> Silenzio C. S<strong>in</strong>i, ed. Mondadori 2006<br />

14 Lo sguardo sulla città di Gianni Canova, tratto dal volume Proiezioni urbane, la realtà <strong>del</strong>l’immag<strong>in</strong>ari, Tranchida<br />

ed. 1989<br />

15 Le città viste dall’alto Massimo Volume, canzone <strong>del</strong>l’album Stanze, Underground records, 1992<br />

16 Nonluoghi : <strong>in</strong>troduzione a una antropologia <strong><strong>del</strong>la</strong> surmodernità M. Augè, Eleuthera, 1993<br />

17 Un’utopia chiamata c<strong>in</strong>ema Giuliano <strong><strong>del</strong>la</strong> Pergola tratto dal volume Proiezioni urbane, la realtà <strong>del</strong>l’immag<strong>in</strong>ari,<br />

Tranchida ed. 1989<br />

18<br />

dal suo sito www.albertoponticelli.it, nota <strong>del</strong> 30 novembre 2006<br />

19 Nietzsche c<strong>in</strong>quant’anni dopo G. Benn, A<strong>del</strong>phi 1950<br />

20 La f<strong>in</strong>e <strong><strong>del</strong>la</strong> Storia e l'ultimo uomo F. Fukuyama, BUR, 2003<br />

21 Ibid.<br />

22 Ibid.<br />

23<br />

O. Spengler, op. cit.<br />

24 C. Asciuti op. cit<br />

25 Gianni Canova, op. cit.<br />

26 Gabriele Basilico, <strong>in</strong>tervistato <strong>in</strong> occasione di FotoGrafia, Festival Internazionale di Roma, 2005<br />

27 Cfr. L'esperienza dei luoghi, Roberta Valtorta<br />

28 cfr. il catalogo <strong><strong>del</strong>la</strong> mostra, edizioni GAM.<br />

29 Ibid.<br />

30 L'architettura Liberty <strong>in</strong> Italia Manfredi Nicoletti, Laterza 1978<br />

31<br />

Roma barocca I, P..Portoghesi, Bari 1973<br />

32 Ad Antonio Sant'Elia M. Sarfatti, <strong>in</strong> "Il Mondo", Milano, 28 ottobre 1916<br />

33 Manifesto <strong>del</strong>l’architettura futurista A. Sant’Elia e F.T. Mart<strong>in</strong>etti. 1914. Cfr Appendice 1 <strong>del</strong> presente volume<br />

34 Architetti italiani <strong>del</strong> Novecento C. De Seta, Laterza 1987<br />

35<br />

Il pensiero critico di Sant'Elia G.C. Argan, <strong>in</strong> "L'Arte", XXXIII, V, settembre 1930, ripubblicato <strong>in</strong> AAVV, Dopo<br />

Sant'Elia, Ed. Domus, Milano e <strong>in</strong> G.C. Argan, Progetto e dest<strong>in</strong>o, Il Saggiatore, Milano, 1965

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