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TESI Sara Eco Conti - Scuola Normale Superiore

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testimonianze grammaticali, alcune riportino una descrizione più di tipo aspettuale,<br />

altre quella temporale, altre ancora tutte e due insieme, può essere dovuto a due<br />

fattori. Da un lato, poiché i grammatici hanno a che fare con testi antichi che<br />

testimoniano fasi anteriori della lingua, l’oscillazione delle descrizioni del Pf può<br />

esser dovuta alle differenze che questo Tempo presentava nei vari testi letterari<br />

analizzati dai grammatici, rispetto al valore passato che aveva ormai all’epoca di<br />

Apollonio; dall’altro, è anche vero che le definizioni grammaticali stesse sono il<br />

frutto di una stratificazione temporale, che probabilmente riflette i mutamenti<br />

avvenuti nel valore del Pf.<br />

3.2.3 L’Aoristo come Tempo suntelikov~<br />

Dell’AO indicativo Apollonio dice, esplicitamente, soltanto che include i valori<br />

del Pf e del PPf, e che il suo nome deriva dal non definire il tempo passato. Se l’AO<br />

può equivalere al Pf o al PPf, mediante l’aggiunta di un avverbio, 187 è evidentemente<br />

un Tempo passato e compiuto. Inoltre è spesso utilizzato negli esempi per indicare<br />

un passato (per es. Avv. GG II 1: 123 e ss.), anche in quelli riguardanti la questione<br />

dell’aumento. Non c’è invece nessuna menzione della suntevleia (o termini simili).<br />

Lo stesso quadro emerge dai commentatori, che parlano dell’AO solo in<br />

riferimento alla presenza o assenza della definizione e all’incertezza della sua<br />

collocazione nel passato. Tuttavia, sebbene non sia mai espresso esplicitamente,<br />

emerge il fatto che l’azione indicata dall’AO è passata e compiuta. Infatti in vari<br />

scoli, quando si accenna ad azioni, di cui non si sa se siano state compiute il giorno<br />

prima o più giorni prima, implicitamente si ammette che si sono svolte nel passato.<br />

Un’indicazione fondamentale sulle caratteristiche dell’AO appare in uno scolio (404,<br />

24-405, 21), dove si dice che non è definito rispetto al quando, né è esteso: oJ mh;<br />

tipica della grammatica alessandrina, saranno da vedere già negli Stoici. D’altro canto manca a loro<br />

una definizione aspettuale, quale può essere in età moderna quella di Wackernagel o di Chantraine,<br />

che veda la complessità (à la Brøndal-Hjelmslev-Kurylowicz) tempo-aspettuale del perfetto come<br />

forma riportabile, temporalmente, e al presente e al preterito, aspettualmente e al perfettivo e<br />

all’imperfettivo. L’unica soluzione era di vedere questa complessità in una connaturalità<br />

rappresentativa (suvmfuton) tra perfetto e a[rti, donde la successiva denominazione di «tempo<br />

adiacente», paraceivmeno", della grammatica alessandrina. A sua volta, questo comportava<br />

automaticamente l’utilizzazione di pavlai per caratterizzarne il rispettivo preterito, l’«eccedentemente<br />

compiuto», il piuccheperfetto [...]” (1988: 75-76).<br />

187 Apollonio lo dice esplicitamente solo in riferimento al PPf (con l’avverbio pavlai), ma è probabile<br />

che intendesse che la cosa valeva anche per il Pf, dal momento che all’inizio ha citato tutti e due gli<br />

avverbi, prwvhn e pavlai.<br />

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