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TESI Sara Eco Conti - Scuola Normale Superiore

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afferma che: “l’infinito è il nome del verbo 67 , giacché quelli della Stoà lo chiamano<br />

rJh'ma, mentre chiamano gravfei [3 a pers. sing. Ind. PR ‘scrive’] o peripatei' [3 a<br />

pers. sing. Ind. PR ‘cammina’] predicati o accidenti 68 , e anche quei modi che<br />

derivano da questi”. Queste affermazioni non coinciderebbero con le definizioni<br />

stoiche dei predicati, che troviamo nei frammenti tramandatici da Diogene Laerzio. 69<br />

1.2 Gli accidenti del verbo<br />

Torniamo ora ad esaminare gli elementi, che nelle varie definizioni già citate<br />

costituiscono le caratteristiche proprie del verbo. Nella definizione contenuta nel<br />

papiro P. Yale 1.25 il verbo presenta tre caratteristiche: può esprimere un’azione<br />

passiva o attiva, possiede il tempo e la persona. In quella attribuita ad Apollonio (e in<br />

quella di Cherobosco) il verbo, attraverso una specifica morfologia, può esprimere: i<br />

tempi, l’attivo o il passivo, le persone, i numeri e le disposizioni dell’anima.<br />

Apollonio nella Sintassi a volte dà maggiore importanza ad alcuni di questi accidenti,<br />

per esempio in III, §60 dice che gli attributi fondamentali sono solo i tempi e la<br />

diatesi, mentre le persone e in particolare i numeri sono secondari. Va notato però,<br />

che Apollonio non è sempre coerente nella trattazione degli accidenti e nella<br />

rilevanza e imprescindibilità da attribuire a ciascuno di essi. 70 Questo riguarda anche<br />

il tempo, infatti, sebbene di solito Apollonio lo consideri un accidente fondamentale<br />

del verbo, in un punto della Sintassi (III, 55), nel difendere lo statuto verbale<br />

dell’infinito, egli praticamente esclude come caratteristiche determinanti del verbo<br />

sia l’espressione morfologica dei tempi verbali, perché questi li possiede anche il<br />

participio che non è un verbo, sia quella semantica, perché anche gli avverbi<br />

temporali veicolano il valore temporale. 71<br />

67<br />

Apollonio parla del nome dell’Infinito anche in due passi degli Avverbi: Pa'n ajparevmfaton o[nomav<br />

ejsti pravgmato" (GG II 1: 129, 16) e ta; ajparevmfata, oujde; rJhvmata
 ejgklivsew" memoiramevna,<br />

ojnovmata de; tw'n pragmavtwn (131, 24).<br />

68<br />

Si vedano anche: Sintassi III, §§155 e 187 e Pronomi GG II 1: 115, 11 e ss.<br />

69<br />

L’isolamento e la poca affidabilità di questa testimonianza sono sottolineate da Lallot che, tra le<br />

altre cose, nota come la seconda parte della citazione sarebbe in contraddizione con quanto riportato<br />

da Ammonio (In Arist. De Interpr. 43, 21-29) per cui gli Stoici avrebbero chiamato rJhvmata tutti i tipi<br />

di predicati (si vedano le note di Lallot al passo di Apollonio (1997 II: 35 n. 141-42)).<br />

70<br />

In III, §59 per esempio dice che la diatesi dell’anima non è un attributo del verbo, e anche I, §51,<br />

cfr. nota di Lallot (1997 II: 191 n. 139).<br />

71<br />

Considerazioni simili sulla questione temporale sono nello scolio 244, 11 e ss. (in cui si commenta<br />

la prima parte della definizione della Téchnē, non gli 8 accidenti) dove si dice che l’espressione<br />

dell’attivo del passivo è l’unica caratteristica propria solo del verbo, perché le altre le possiedono<br />

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