TESI Sara Eco Conti - Scuola Normale Superiore

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parelhluqovtwn, shmasivan de; mevllonto" eijsavgousin. Aujtivka to; me;n tuvpte ejnestw;" me;n kalei'tai: ajllΔ∆ oujk e[sti kurivw": ouj ga;r tovte tuvptei oJ prostassovmeno", o{te oJ prostavsswn aujtw' / levgei tuvpte: eij ga;r e[tupte: perisso;n h\n a[ra levgein aujtw'/: tuvpte: o{moion kai; to; tuvyon: w{ste dh'lon, ªo{tiº katacrhstikw'" levgontai ejnestw'te" kai; parelhluqovte", wJ" ejk tw'n ejnestwvtwn kai; parelhluqovtwn schmatizovmenoi, th'/ de; shmasiva/ mevllontev" eijsi pavnte". Δ∆Epeidh; oJ eujcovmeno" ejx ajnavgkh" ajeiv pote peri; mevllontov" tino" eu[cetai: oJ ga;r pesw;n kai; th;n kefalh;n kateagwv", ªeijº eu[coito meta; tau'ta mh; pesei'n, mavtaio" a]n ei[h: ejpei; toivnun peri; mevllontov" ejstin hJ eujchv, kai; to;n eujcovmenon peri; mellovntwn crh; eu[cesqai, e[dei kai; to;n Tecniko;n mevllonta" poih'sai tou;" eujktikou;" crovnou" kai; ejnestw'ta mh; paralabei'n h[ tina tw'n parw/chmevnwn. Kai; levgomen aujtov, o{per kai; ejn toi'" prostaktikoi'" eijrhvkamen, o{ti th;n ojnomasivan e[labon ejkeivnwn tw'n crovnwn ajfΔ∆ w|n e[cousi to;n schmatismo;n kai; yilw'/ ojnovmati ou{tw kalou'ntai, shmasivan dΔ∆ o{mw" mevllonto" e[cousin. “Poiché colui che ordina, ordina necessariamente qualcosa che deve ancora accadere. A chi ancora non ha scritto, dice ‘scrivi’, e a chi ancora non è venuto, dice ‘vieni’; in breve, di ciò che ancora non è stato, dice ‘sia’. Infatti il comando è sempre relativo a qualcosa che deve ancora accadere e chi desse un ordine riguardo qualcosa di passato o di trascorso sarebbe uno sciocco. Come mai il Grammatico qui ha stabilito presenti, perfetti, piucchepperfetti e aoristi? E diciamo che, per quanto riguarda gli imperativi, i presenti e tutti i passati non sono da intendersi in senso proprio ma come una scarnificazione della parola, cioè una forma (uno schematismo). E hanno soltanto le forme di presenti e di passati, ma hanno significato di futuro. Per esempio, la forma tuvpte ‘colpisci’ è chiamata presente; ma non lo è in senso proprio; infatti colui che riceve l’ordine, non colpisce nel momento in cui colui che ordina gli dice ‘colpisci’: Se avesse già colpito, sarebbe strano dirgli ‘colpisci’. Lo stesso vale anche per la forma tuvyon. Così è chiaro che sono impropriamente chiamati presenti e passati, poiché hanno la forma di presenti e di passati, ma nel significato sono tutti futuri. Poiché colui che prega, prega necessariamente per qualcosa che deve ancora accadere. Chi è caduto e si è rotto la testa se, dopo questo, pregasse di non cadere, sarebbe uno sciocco. Poiché dunque la preghiera riguarda ciò che ancora deve accadere e bisogna che colui che prega preghi riguardo cose che ancora devono accadere, il Grammatico doveva considerare futuri i tempi dell’ottativo e non intenderli come presenti o come qualcuno dei passati. E diciamo la stessa cosa che abbiamo detto degli imperativi, cioè 116

che hanno preso la denominazione dei tempi dai quali hanno preso la forma e sono così chiamati con il nome puro e semplice, ma tuttavia hanno significato di futuro.” 4.6 La discussione sull’Infinito Accenniamo per ultimo all’Infinito, sulla quale natura doveva esistere un dibattito tra i grammatici. Apollonio affronta in modo approfondito questo problema con lo scopo di dimostrare che l’Infinito è un verbo e non un avverbio. 265 Nei paragrafi 50- 51 del libro I, 266 Apollonio spiega che l’Infinito, come è evidente dalla sua denominazione (ajparevmfaton ‘non determinato’), è la forma più generica e meno specificata del verbo, e rappresenta unicamente l’azione. Per questo motivo si possono ricondurre ad esso tutti gli altri Modi (I, §51 e III, §59). Poiché l’Infinito possiede solo due degli accidenti del verbo, i Tempi e le Diatesi, 267 alcuni non lo considerano un verbo, dato che anche il participio ha questi due accidenti e non è un verbo, e ritengono che si tratti di un avverbio. Vediamo in dettaglio cosa dice Apollonio (Sint. III, §55): ÔH ajparevmfato~ e[gklisi~ distavzetai prov~ tinwn eij e[gklisi~ kai; eij o{lw~ rJhvmata ta; ajparevmfata: ããTiv ga;r mh; ma'llon ejpirrhvmata ejk rJhmavtwn genovmena…ÃÃ kai; ei[h a]n ta; sunhgorou'nta tw'/ lovgw/ toiau'ta. ããToi'~ rJhvmasin ejxaivreto~ parevpetai hJ yucikh; qiavqesi~, o{per ouj suvnesti toi'~ ajparemfavtoi~, kai; to; ejn ajriqmoi'~ kai; proswvpoi~ katagivnesqai, w|n th'~ diafora'~ oujk e[tucen to; ajparevmfaton, kaqo; kai; hJ ejx aujtw'n metalhfqei'sa metoch; steroumevnh tw'n prokeimevnwn kai; th'~ tw'n rJhmavtwn ijdeva~ ajpeblhvqh. ouj ga;r dhv ge oJ metaschmatismo;~ tou' crovnou ejn tw'/ gravfein h] gravyai kai; e[ti hJ sunou'sa diavqesi~ sunavxei to; rJhvmata aujta; pavntw~ kalei'sqai, ejpei; taujto;n suvnesti th'/ metoch'/ kai; ouj rJhvmata aiJ metocaiv.ÃÃ “Alcuni sono in dubbio se l’infinito sia un modo o del tutto se sia un verbo: perché infatti piuttosto non potrebbero essere avverbi derivati da verbi? Gli argomenti per sostenere questa tesi sono di questo tipo: i verbi hanno come attributi speciali la disposizione dell’anima, che gli infiniti non hanno, e il fatto di essere costruiti con i 265 A proposito di questa questione si vedano gli scoli e Cherobosco (GG IV 2: 6, 24 e ss.), già citati nel Capitolo 1. 266 Apollonio, come abbiamo detto nel Capitolo 1, aggiunge anche che presso la Stoà l’Infinito viene considerato il nome del verbo, mentre forme come la terza persona dell’Indicativo sono dei kathgovrhma o suvmbama (“predicati o accidenti”). 267 Apollonio dice l’Infinito che ha questi due accidenti anche in Sint. III, §24. Sulle incoerenze riguardanti le spiegazioni di Apollonio degli accidenti verbali, si veda quanto detto nel Capitolo 1. 117

che hanno preso la denominazione dei tempi dai quali hanno preso la forma e sono<br />

così chiamati con il nome puro e semplice, ma tuttavia hanno significato di futuro.”<br />

4.6 La discussione sull’Infinito<br />

Accenniamo per ultimo all’Infinito, sulla quale natura doveva esistere un dibattito<br />

tra i grammatici. Apollonio affronta in modo approfondito questo problema con lo<br />

scopo di dimostrare che l’Infinito è un verbo e non un avverbio. 265 Nei paragrafi 50-<br />

51 del libro I, 266 Apollonio spiega che l’Infinito, come è evidente dalla sua<br />

denominazione (ajparevmfaton ‘non determinato’), è la forma più generica e meno<br />

specificata del verbo, e rappresenta unicamente l’azione. Per questo motivo si<br />

possono ricondurre ad esso tutti gli altri Modi (I, §51 e III, §59). Poiché l’Infinito<br />

possiede solo due degli accidenti del verbo, i Tempi e le Diatesi, 267 alcuni non lo<br />

considerano un verbo, dato che anche il participio ha questi due accidenti e non è un<br />

verbo, e ritengono che si tratti di un avverbio. Vediamo in dettaglio cosa dice<br />

Apollonio (Sint. III, §55):<br />

ÔH ajparevmfato~ e[gklisi~ distavzetai prov~ tinwn eij e[gklisi~ kai; eij o{lw~<br />

rJhvmata ta; ajparevmfata: ããTiv ga;r mh; ma'llon ejpirrhvmata ejk rJhmavtwn<br />

genovmena…ÃÃ kai; ei[h a]n ta; sunhgorou'nta tw'/<br />

lovgw/ toiau'ta. ããToi'~ rJhvmasin<br />

ejxaivreto~ parevpetai hJ yucikh; qiavqesi~, o{per ouj suvnesti toi'~<br />

ajparemfavtoi~, kai; to; ejn ajriqmoi'~ kai; proswvpoi~ katagivnesqai, w|n th'~<br />

diafora'~ oujk e[tucen to; ajparevmfaton, kaqo; kai; hJ ejx aujtw'n metalhfqei'sa<br />

metoch; steroumevnh tw'n prokeimevnwn kai; th'~ tw'n rJhmavtwn ijdeva~ ajpeblhvqh.<br />

ouj ga;r dhv ge oJ metaschmatismo;~ tou' crovnou ejn tw'/<br />

gravfein h] gravyai kai; e[ti<br />

hJ sunou'sa diavqesi~ sunavxei to; rJhvmata aujta; pavntw~ kalei'sqai, ejpei; taujto;n<br />

suvnesti th'/<br />

metoch'/<br />

kai; ouj rJhvmata aiJ metocaiv.ÃÃ<br />

“Alcuni sono in dubbio se l’infinito sia un modo o del tutto se sia un verbo: perché<br />

infatti piuttosto non potrebbero essere avverbi derivati da verbi? Gli argomenti per<br />

sostenere questa tesi sono di questo tipo: i verbi hanno come attributi speciali la<br />

disposizione dell’anima, che gli infiniti non hanno, e il fatto di essere costruiti con i<br />

265<br />

A proposito di questa questione si vedano gli scoli e Cherobosco (GG IV 2: 6, 24 e ss.), già citati<br />

nel Capitolo 1.<br />

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Apollonio, come abbiamo detto nel Capitolo 1, aggiunge anche che presso la Stoà l’Infinito viene<br />

considerato il nome del verbo, mentre forme come la terza persona dell’Indicativo sono dei<br />

kathgovrhma o suvmbama (“predicati o accidenti”).<br />

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Apollonio dice l’Infinito che ha questi due accidenti anche in Sint. III, §24. Sulle incoerenze<br />

riguardanti le spiegazioni di Apollonio degli accidenti verbali, si veda quanto detto nel Capitolo 1.<br />

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