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parafrasi e commento a a. onofri, marzo

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CORSO DI<br />

GRAMMATICA ITALIANA<br />

A.A. 2006-2007<br />

COMMENTO A<br />

ARTURO ONOFRI:<br />

MARZO, CHE METTE NUVOLE A SOQQUADRO<br />

1


PARAFRASI<br />

Marzo, che mette le nuvole a soqquadro (prop. relativa) e le ammassa in montagne<br />

(ammontagna) [che sembrano] di broccato, per poi dissolverle (disfarle) in pioggia<br />

che fa nascere e crescere le mammole (in mammole) sui prati (prop. finale), [<strong>marzo</strong>]<br />

accende all’improvviso, come un ladro, un’occhiata di sole (prop. principale), che fa<br />

luccicare (abbaglia) l’acqua (acque) caduta con la pioggia e le roride viole che sono<br />

nate in virtù di essa (viole) (prop. relativa).<br />

Marzo è un fanciullo [che sta] in ozio, con in bocca un filo (fil) d’erba appena<br />

spuntato (primaticcio), a cavalcioni sul vento (prop. principale) che separa l’inverno<br />

dalla primavera (due stagioni) (prop. relativa); e, per suo divertimento (capriccio),<br />

mentre zufola (zufolando) (prop. temporale), provoca [per l’intermittente immissione<br />

di aria nello strumento musicale] (fa) il tempo (coord. della principale) che gli piace<br />

(prop. relativa).<br />

Stanotte, fra i suoi riccioli che ricadevano (spioventi) sul mio sonno come brevi ma<br />

violenti scrosci di pioggia e trilli di uccelli (a rovesci e trilli alati) (prop. relativa), il<br />

soffio sonoro ma silenzioso (il flauto di silenzio) dei respiri e dei profumi della<br />

natura (dei suoi fiati) riportava alla vita (svegliava), mentre lo [Marzo] sognavo ( nel<br />

mio sognarlo) (prop. temporale), immagini colorate della vegetazione primaverili<br />

(azzurri e argenti) (prop. principale), e fuori quasi per effetto della forza<br />

immaginifica del sogno sogno (ne) sono sbocciati i fiori (coord. della principale).<br />

∗ Le parentesi tonde con il neretto riportano i lemmi contenuti nel testo poetico.<br />

Le parentesi quadre racchiudono ciò che nella poesia non c’è, e che ho inserito per<br />

sciogliere i nodi concettuali.<br />

2


COMMENTO<br />

Questo componimento di Arturo Onofri, poeta vissuto fra il 1885 e il 1928,<br />

intitolato Marzo, che mette le nuvole a soqquadro, tratto dalla raccolta Vincere il<br />

drago. Esso, pur nella apparente, infantile semplicità dei toni, che sembra<br />

riconvocare, come spesso accade nella poesia, elementi della topica (luogo comune)<br />

popolare ( in questo caso diventata, nel tempo, addirittura una filastrocca che allude<br />

alle bizzarie climatiche di questo mese), racchiude e dà voce, al contrario, a temi<br />

cardine della sua poetica. In anni in cui il valore della poesia oscillava fra<br />

l’aspirazione ad una riaffermazione dell’assolutezza del soggetto poetante, nonché al<br />

ritorno ad una funzione gnoseologica di essa, e il desiderio di colmare quello iato che<br />

si era creato fra arte e vita, coscienza e realtà, l’esperienza lirica di Onofri trova nel<br />

simbolismo del linguaggio, unito ad una vena misticisticheggiante di matrice<br />

cristiana, la chiave per ricreare quell’armonia cosmica capace di trascendere la<br />

caducità del reale e delle sue infinita e mutevoli apparenze. Per Onofri l’uomo nella<br />

sua acquiescenza al disordine e alle lusinghe dell’esistenza nega alla coscienza di<br />

contemplare in sé l’immensità dell’universo e di ricongiungersi, in una mistica<br />

unione, con il principio immutabile ed eterno della natura e dei suoi cicli, e con<br />

l’assoluto che ne è motore e origine. Ma, e qui si sente tutta quell’ansia di<br />

sperimentalismo linguistico propria delle avanguardie poetiche primonovecentesche,<br />

una volta ricondotta la parola poetica alla sua primigenia proprietà disvelatrice, essa<br />

si farà strumento della ricomposizione fra mondo naturale e assoluto, fra natura e<br />

spirito. E la poesia non dovrà scoprire, né conquistare quest’armonia raggiunta, ma<br />

solo rivelarla perché la ha già in sé.<br />

La poesia, che tratteggia una natura fresca e felice, in una coincidenza armonica tra<br />

essa e l’uomo, comincia, come frequentemente accade nei componimenti lirici, con<br />

l’annunciare, in questo caso, attraverso la prima parola, Marzo, l’oggetto intorno a<br />

cui si snoderanno i suoi versi: Marzo, il fanciullo simbolo della giovinezza, della<br />

rinascita, e della vita che deve essere disvelata attraverso il sogno della mente poetica<br />

(l’ultima strofa ne confermerà l’assunto). Perché proprio il sogno della mente<br />

3


poetica? perché il sogno è il momento che sfugge alle manipolazioni del reale, è il<br />

momento che sfugge ai condizionamenti razionali, è il momento che sfugge alla<br />

contaminazione e alla corruzione delle ‘apparenze’, cioè della prigionia nella vita<br />

sociale e civile. Il sogno è l’irrazionale che riesce ,in quanto tale, ad avvertire le<br />

vibrazione panica della natura e il suo assoluto (Dio) e a coniugarli in un univoco<br />

afflato mistico; e il sogno affida alla mente poetica, l’unica in grado di creare parole e<br />

quindi immagini, il compito di rivelare l’ordine invisibile del mondo.<br />

La poesia continua con una proposizione relativa, che mette nuvole a soqquadro/ e le<br />

ammontagna in alpi di broccati,/ in cui la descrizione delle bizzarrie climatiche di<br />

questo mese vengono affidate a scelte lessicali che rimandano a immagini e suoni in<br />

cui uomini e natura coincidono: soqquadro, voce onomatopeica che, riferendosi ai<br />

giochi che Marzo compie con le nuvole, allude al disordine dinamico e rumoroso<br />

prodotto dai bambini, di cui il mese è la personificazione; ammontagna, lemma<br />

registrato in questa sola occorrenza nel Grande Dizionario della Lingua Italiana<br />

diretto da Salvatore Battaglia (UTET), e coniato da Onofri proprio per riprodurre<br />

anche foneticamente l’immagine delle nuvole che si ammassano in cumuli alti come<br />

montagne. Immagine che viene ripresa subito dopo, in alpi di broccati,/ in cui alpi,<br />

una ripresa del latino alpes indicante genericamente alture, diventato in seguito il<br />

nome della catena montuosa che delimita l’Italia, è il risultato del movimento<br />

minaccioso delle nuvole che sovrapponendosi sembrano riprodurre la particolare<br />

tessitura del broccato, preziosa stoffa in seta. Il gioco incalzante di Marzo continua<br />

nella proposizione finale implicita che segue, per poi disfarle in mammole sui prati,<br />

in cui il verbo disfarle, nell’implicito riferimento alla pioggia, evoca il topos<br />

dell’acqua intesa come principio primo della vita naturale e della nascita. Esso è<br />

seguito dalla metonimia, mammole, (figura retorica che si fonda su una relazione di<br />

dipendenza tra due concetti: in questo caso viene costruita sul rapporto che intercorre<br />

fra il simbolo, mammole, il fiore della primavera, e la generale esplosione vegetale di<br />

questa stagione) creata non solo per restituire l’immagine dello splendore della natura<br />

con un’unica parola, ma soprattutto per formare un’unione concettuale con<br />

ammontagna tramite un’allitterazione. Il sintagma, disfarle in mammole, compone<br />

un’immagine di metamorfosi a testimonianza di quel ciclo vitale in cui la natura<br />

perpetuamente si rigenera in una dimensione temporale mitica e assoluta che intreccia<br />

4


passato, presente e futuro. Inoltre va osservata la rima fra broccati e prati, che<br />

implica un’ulteriore unione fra la pioggia generata dall’agglomerarsi delle nuvole e<br />

gli effetti che essa produce sui campi isteriliti dai rigori dell’inverno,<br />

Il verso successivo ha in posizione incipitaria il verbo della proposizione principale,<br />

accende, il cui soggetto è Marzo: esso segna l’inizio di una serie di immagini sul<br />

riaffiorare positivo della vita affidate a tre allitterazioni, accende, occhiata,<br />

abbaglia, ed a una similitudine, come un ladro, la cui ultima parola, ladro, fa rima<br />

con soqquadro dando figura a una evidente sintonia di modi comportamentali del<br />

fanciullo. E l’irriverente fanciullo, nel suo simbolico gioco, dopo aver inumidito la<br />

terra perché in essa germoglino i semi della vita, permette ad un raggio di sole di<br />

guizzare fra le nuvole generando bagliori di luce fra le pozzanghere e le roride viole.<br />

La prima strofa si chiude con due parole, acque e viole, che richiamano, per ovvia<br />

affinità tematica, nuvole e mammole.<br />

Se la prima strofa ci immette nella gioiosa suggestione di una natura rinascente, che<br />

sta per svelare l’armonia delle sue leggi attraverso la simbolicità della parola poetica,<br />

la seconda si addentra nella descrizione delle bizzarrie di questo mese, metafora di<br />

quell’ordine invisibile del mondo, misterioso ma al tempo stesso regolare e quindi<br />

rasserenante contrapposto al disordine spaesante del reale. Non è un caso che il primo<br />

verso si apra sull’immagine di un filo d’erba appena spuntato, Con in bocca un fil<br />

d’erba primaticcio,/, dove la parola fil, apocopata, e primaticcio (termine usato<br />

proprio in riferimento a frutta, ortaggi e fiori che nascono o maturano prima della<br />

stagione normale) sottolineano l’esilità e la fragilità di questo minimo ma primario<br />

elemento della vita, che è in bocca a Marzo, un fanciullo in ozio, a cavalcioni/ sul<br />

vento che separa due stagioni. Lo schizzo che il poeta fa della condotta di Marzo,<br />

così aderente agli inquieti giochi infantili, al di là della apparente semplicità lessicale,<br />

è impreziosito da artifici stilistici e da rimandi letterari: l’uso del verbo zufolando<br />

(4° verso) - che allude al tempo remoto, incontaminato e mitico, in cui i pastori di<br />

Arcadia suonavano lo zufolo, antico strumento a fiato - , rimandando a quel mondo<br />

bucolico cantato da Teocrito e Virgilio in poi come unico momento di vera fusione<br />

fra l’uomo e la natura, non fa altro che dar voce a quelle linee di poetica <strong>onofri</strong>ane fin<br />

qui tratteggiate. Oltre a ciò l’uso trova giustificazione nell’allitterazione con ozio, in<br />

5


quanto lo zufolo nelle mani di questo fanciullo in ozio diviene strumento del suo<br />

incostante gioco che consiste nell’immettere aria in esso: nella metafora poetica il<br />

suono prodotto dall’immissione del fiato non è altro che il vento che a tratti percuote<br />

la natura generando sibili, fruscii e vibrazioni che risuonano o ammutoliscono per<br />

suo capriccio.<br />

Nel verso successivo troviamo la presenza di una parola che sembra fuori registro<br />

rispetto al timbro stilistico adottato dal poeta finora, strafottenti. Per tentarne una<br />

giustificazione stilistica possiamo provare ad applicare una modalità di lettura basata<br />

sulla teoria del simbolismo fonico, secondo la formulazione di Roman Jakobson,<br />

fondatore dell’analisi strutturalista del testo poetico, il quale attribuiva alla<br />

strumentazione fonica della parola poetica una gamma molteplice di sensazioni ed<br />

evocazioni intese a suscitare la “emozione sinestesica” del lettore (R. Jakobson,<br />

Poetica e poesia, Einaudi, Torino 1985, pp. 126 sgg.). Volendo applicare a questa<br />

parola il metodo del simbolismo fonico, potremmo ipotizzare che la ‘s’ richiama il<br />

sibilo del vento, la ‘r’ il rombo del tuono, la ‘f’ il fruscio delle foglie attraversate dal<br />

vento e nelle tre ‘t’ la durezza senza raziocinio dei bambini capricciosi. E nel caso<br />

volessimo estendere questa ottica interpretativa, sarebbe possibile vedere racchiuso in<br />

quella parola, in ragione anche della sua posizione centrale all’interno dell’intero<br />

componimento, tutti gli elementi naturali evocati da Onofri; così come, tra i molti<br />

altri esempi possibili, andrebbe segnalata nella prima strofa un insistente presenza<br />

della vocale ‘a’ nei vv. 4-5-6 (“accende all’improvviso, come un ladro,/ un’occhiata<br />

di sole,/ che abbaglia acque e viole.), che, in nesso con le consonanti ‘c’ e ‘b’,<br />

riproduce l’accendersi repentino e prorompente dei colori della rinascita primaverile.<br />

La terza strofa si apre con il riferimento alla notte, Stanotte, che prelude alla<br />

dimensione del sogno dei versi successivi, fra i suoi riccioli spioventi/ sul mio sonno<br />

a rovesci e a trilli alati,. Il 1° e il 2° verso, legati dall’enjambement (frattura tra<br />

l’unità del verso e l’unità sintattica) racchiudono l’inizio dell’epilogo del<br />

componimento in cui si prospetta la corrispondenza fra l’interiorità onirica e il mondo<br />

reale, fra la rinascita della natura e quella dell’uomo attraverso il sogno della mente<br />

6


poetica. Il sostantivo riccioli, riferito naturalmente alla chioma del bambino ormai<br />

cresciuto (i neonati non hanno capelli fluenti), insieme all’aggettivo primaticcio, che<br />

richiama l’alba della vita, e al sostantivo capriccio, reazione emotiva che corrisponde<br />

ad una fase più avanzata dello sviluppo intellettivo dell’infanzia, creando un climax<br />

ascendente (intensificazione graduale di senso data da parole o sintagmi) denunciano<br />

la temporalità progressiva del mese che ormai avanza verso la data canonica<br />

dell’inizio vero della primavera e dei suoi effetti. I riccioli, cadendo come violenti<br />

scrosci di pioggia sul sonno del poeta, e producendo nel loro muoversi suoni simili a<br />

trilli alati, cioè trilli di uccelli (la comprensione del riferimento ai gorgheggi<br />

melodiosi degli uccelli è data dalla posizione denotativa dell’aggettivo alati che, al<br />

contrario, se posto in posizione qualificativa, dinanzi al sostantivo, avrebbe espresso<br />

il significato generico di elevato, sublime) annunciano il contenuto dei versi<br />

successivi, il flauto di silenzio dei suoi fiati/ vegetali svegliava azzurri e argenti/ nel<br />

mio sognarlo,. Due enjambement collegano questi versi. In essi, attraverso una<br />

sinestesia in cui ritroviamo anche un ossimoro (la prima costruita sull’accostamento<br />

di parole che si riferiscono a sensi diversi: in questo caso la vista, il flauto, e l’udito,<br />

silenzio; il secondo, l’ossimoro, costruito sull’accostamento di termini di significato<br />

opposto: il flauto che produce suoni, il silenzio, che ne è privo), un’allitterazione fra<br />

flauto e fiati (unione di due termini relativamente distanti ma dipendenti<br />

concettualmente: l’aria, metafora, come abbiamo già detto, del vento, emessa dal<br />

flauto insinuandosi fra la vegetazione ne trascina i profumi, i fiati) e due metonimie,<br />

fiati (processo di causa-effetto: a causa del vento si ottiene l’effetto di sentire i<br />

profumi), azzurri e argenti (costruita sulla relazione che intercorre fra il simbolo,<br />

azzurri e argenti vengono assunti come i simbolici colori e suoni della natura e della<br />

poesia, e la primavera nella sua policromia; questi due termini, inoltre, potrebbero<br />

essere anche intesi come sineddochi, cioè come due dei colori che illuminano questa<br />

stagione: la parte per il tutto), si disegna un reticolo di immagini che rimandano alla<br />

forza generatrice del sogno, ossia dell’irrazionale che nel suo lumeggiare la visione<br />

della realtà ne può configurare la realizzazione.<br />

La potenza creatrice della mente poetica si conferma e dispiega nel verso conclusivo,<br />

…e fuori/ ne son sbocciati i fiori., che annuncia l’avvenuta mistica unione fra il<br />

soggetto (il suo universo mentale, onirico) e la natura (il mondo esterno: il fuori), fra<br />

7


il cosmo e le sue creature, uniti in un moto armonico e onnipervasivo di rinascita, che<br />

la metafora dello sbocciare dei fiori,in rima allitterativa con fuori, conferma e<br />

celebra nella sua apoteosi, dove il miracolo del rinnovarsi della natura si cinge e<br />

sublima nella splendente analogia con il rinnovarsi della poesia.<br />

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