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Leggi - I Cistercensi

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NOTIZIE<br />

CISTERCENSI<br />

5-6<br />

SETTEMBRE-DICEMBRE<br />

1973<br />

ANNO VI<br />

Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gru IV


NOTIZIE CISTERCENSI<br />

Redattore capo:<br />

P. Goffredo Viti<br />

Consiglio di Redazione:<br />

P. Placido Caputo<br />

P. Malachia Falletti<br />

P. Vittorino Zanni<br />

Responsabile:<br />

Agostino Carlomagno<br />

Conto corrente 5/7219<br />

Periodico bimestrale di vita cistercense<br />

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dell'unica rivista di vita cistercense<br />

in italiano.<br />

Amministrazione: Certosa del Galluzzo - 50124 Firenze - tel. 055/28.92.26


GOFFREDO VITI<br />

STORIA DELL'ABBAZZIA DI CASAMARI (IV)<br />

Capitolo quinto: LE CHIESE DIPENDENTI DA CASAMARI NEL<br />

PERIODO BENEDETTINO<br />

Per avere una visione completa della storia di Casamari durante<br />

questo primo periodo, non possiamo non soffermarci ad illustrare<br />

le chiese dipendenti. Il quadro che ne risulta serve a determinare<br />

con maggiore esattezza l'influsso e l'importanza religiosa, sociale ed<br />

economica di Casamari nella società del secolo XI e XII. Alcune di<br />

queste chiese erano parrocchie, in genere erano semplici cappellanie,<br />

altre infine erano cappelle curtensi o cenobioli. All'ufficiatura e alla amministrazione<br />

provvedeva direttamente Casamari, mantenendovi quasi<br />

sempre un sacerdote secolare con cura di anime, che veniva retribuito dall'abate<br />

con la quarta parte delle decime sui proventi ed oblazioni della<br />

chiesa curata 1. Dove invece le chiese erano semplici cappellanie con<br />

fattorie economiche, i monaci stabilivano dei cenobioli, nei quali essi,<br />

oltre ad amministrare e sorvegliare i beni, curavano l'assistenza spirituale<br />

dei propri vassalli.<br />

Le chiese parrocchie e non parrocchie, i cui chierici sacerdoti venivano<br />

investiti della cura dal vescovo, dietro presentazione dell'abate,<br />

soddisfacevano ai diritti episcopali sulle decime ed oblazioni dei fedeli;<br />

invece le cappelle curtensi rispondevano di ogni diritto al monastero<br />

che le manteneva in esercizio con monaci o sacerdoti secolari stipendiati.<br />

Essi però non potevano esercitare nessuno dei diritti propri delle pievi,<br />

come di sepoltura, battesimo ed olio degli infermi 2.<br />

Data la scarsità delle parrocchie nel Medioevo, specialmente di<br />

quelle rurali, l'offerta ai monaci di tante chiese e cappellanle di campagna<br />

era perciò un grande beneficio per il popolo fedele che si vedeva<br />

cosi meglio assistito spiritualmente. Quest'uso riusd infatti molto fruttuoso<br />

anche negli altri monasteri benedettini, specialmente del Piemonte<br />

3.<br />

Accadeva però che i donatori delle chiese, in modo speciale se<br />

1 Bolla di Callisto II del 2 ottobre 1123, inserita nella bolla di Nicolò IV, del<br />

13 dicembre 1290, Reg. Vat. 45, c. 751, fol. 1542; anche Doc. 5 del secondo volume.<br />

2 Per privilegio della Bolla di Callisto II (v. nota precedente), la chiesa di Casamari<br />

aveva il diritto di sepoltura per i fedeli che desideravano esservi tumulati.<br />

3 F. Gosso, Vita economica delle abbazie piemontesi, Roma 1940, 194.<br />

- 225-


vescovi, univano alle loro donazioni dei privilegi, ad esempio esentando<br />

od offrendo al monastero i diritti della quarta parte delle decime loro<br />

dovute. Cosi fece infatti Onesto, vescovo di Veroli, donando il 28 settembre<br />

1075, con la chiesa di San Giovanni Battista, di Frosinone,<br />

la quarta parte delle decime di tutte le altre chiese della stessa città 4.<br />

Questo modo di procedere suscitò ben presto contrasti per collusione<br />

di diritti episcopali ed abbaziali, promuovendo liti tra il monastero<br />

e i successori dei vescovi oblatori, liti che si protraevano alle<br />

volte per decenni. Casamari dovette soffrire più di una volta di questi<br />

contrasti per le numerose chiese che possedeva. Perciò, vedendosi lesa<br />

nei suoi diritti e privilegi ricorse alla protezione dei Sommi Pontefici,<br />

dai quali chiese ed ottenne più volte il Praeceptum Libertatis, per cui<br />

veniva esentata da alcuni obblighi e servitù episcopali. Il più antico<br />

ricorso di cui abbiamo notizia, è quello fatto a Leone IX, nel 1049.<br />

In seguito al ricorso Leone IX spedì un Breve al Vescovo della Marsica<br />

per ordinargli di restituire a Casamari la Chiesa di San Nicola de Cappella<br />

cum omnibus pertinentiis. Questo Breve è ricordato in un altro<br />

Breve di Conferma del Pontefice Gregorio IX, dato il 4 giugno 1236 s.<br />

Dall'ultimo diploma concesso per Casamari durante il periodo benedettino<br />

possiamo conoscere alcuni di questi privilegi. Il diploma è di<br />

Callisto II, concesso il 2 ottobre 1123 ed inserito in una bolla di<br />

Nicolò IV del 13 dicembre 1290 6 • I Privilegi più importanti in essi<br />

contenuti sono:<br />

- Immediata protezione dei Pontefici sul Monastero;<br />

Conferma di tutte le chiese (sono 14);<br />

- Il diritto all'abate di Casamari di poter essere consacrato dal Papa;<br />

- Il diritto di sepoltura per i fedeli che desiderassero essere sepolti<br />

nella chiesa di Casamari;<br />

- La licenza di andare da qualsiasi altro vescovo cattolico se il proprio<br />

« gratis et absque ulla exactione noluerit exibere » il crisma, l'olio<br />

santo, la consacrazione degli altari e l'ordinazione dei monaci.<br />

La Cronaca del Cartario osserva giustamente che il Praeceptum<br />

Libertatis concesso dai papi multum monasterio projuit, riuscendo a<br />

far svanire tante pretese e a ricomporre tante discordie.<br />

Una accurata analisi dei due prospetti ci abbliga a fare alcuni<br />

rilievi di carattere generale. Nel primo prospetto sono elencate 16 chiese<br />

4 Doc. 20 del secondo volume.<br />

5 Reg. Vat. Gregor. IX, anno X, ep. 111, f. 165 r; Doc. 5 del secondo volume.<br />

6 Reg. Vat., 45, c. 751, fol. 1542; Doc. 20 del secondo volume.<br />

- 226-


di cui Il sono attribuite all'abate Giovanni (ca 1037-1065), 3 all'abate<br />

Orso (1065-1088) e 2 all'abate Agostino (1088-1106).<br />

Secondo la Cronaca del Cartario solo tre abati della serie benedettina<br />

sono interessati all'acquisto delle chiese e relativi possedimenti;<br />

vale a dire i personaggi più caratterizzanti di tutto il periodo benedettino.<br />

Ciò può confermare l'opinione che la Cronaca del Cartario, sebbene<br />

ricostruita su documenti di donazione e contratti, abbia però attribuito<br />

a questi abati meriti forse maggiori di quelli che in realtà ebbero,<br />

privando gli altri, ritenuti meno importanti dal Cronista, di qualche<br />

giusto titolo di gloria. È il caso dell'abate Benedetto II (vedi il prospetto<br />

cronologico).<br />

Di diverse chiese abbiamo solo qualche vaga notizia nella Cronaca<br />

del Cartario; di alcune invece è giunta fino a noi copia dell'atto di<br />

fondazione o donazione. L'ordine esposto nella Cronaca del Cartario e<br />

riportato nel primo prospetto non è perfettamente cronologico, come<br />

lascia intendere l'autore della Cronaca. L'inesattezza cronologica è rilevata<br />

almeno per quelle chiese di cui possediamo i documenti relativi.<br />

Il fatto più grave è che al quinto e sesto posto del primo prospetto<br />

troviamo che il cronista ha attribuito all' abate Giovanni l'acquisto delle<br />

due chiese di Frosinone, San Giovanni Battista e San Silvestro. Il<br />

documento di donazione 7 datato il 28 settembre 1075 parla solo della<br />

chiesa di San Giovanni Battista. Nel 1075 abate di Casamari era certamente<br />

Orso e non più Giovanni. A questo punto sorgono difficoltà per<br />

la seconda chiesa di Frosinone, San Silvestro. Di essa non possediamo<br />

alcun documento. Ma poiché la Cronaca del Cartario parla contemporaneamente<br />

delle due chiese, avanziamo l'ipotesi che esse dovettero<br />

essere donate a Casamari a breve distanza e quindi sarebbero da attribuirsi<br />

tutte e due all'abate Orso.<br />

Questi rilievi ci hanno indotto a presentare ilProspetto cronologico<br />

delle chiese appartenenti a Casamari durante il periodo Benedettino.<br />

Nel nuovo prospetto, al momento attuale delle ricerche archivistiche,<br />

le chiese sono 18 e gli abati interessati sono quattro:<br />

- abate Giovanni, lO chiese<br />

- abate Orso, 5 chiese<br />

- abate Agostino, 2 chiese<br />

abate Benedetto II, 1 chiesa.<br />

L'influsso dell'abbazia di Casamari S1 estese dapprima nelle zone<br />

7 Doc. 20 del secondo volume.<br />

227 -


circostanti: Basso Lazio e Marsica. Dopo un settantennio di vita monastico-benedettina<br />

l'abbazia poté fondare un piccolo cenobio in Sicilia.<br />

Le poche notizie sulle singole chiese saranno esposte seguendo<br />

l'ordine cronologico del secondo prospetto.<br />

PROSPETTO DELLE CHIESE<br />

APPARTENENTI A CASAMARI NEL PERIODO BENEDEITINO<br />

Chiesa<br />

secondo la cronaca del cartario<br />

abate di Vescovo<br />

Data di<br />

Papa<br />

Casarnari di Veroli fondazione<br />

1 San Michele Arcangelo Giovanni - - -<br />

presso Veroli<br />

2 San Nicola presso Veroli Giovanni - - -<br />

3 San Vito presso Veroli Giovanni Placido Alessandro I! 7 nov. 1062<br />

4 Sant' Angelo in monte Corneto, Giovanni - Benedetto II 20 setto 1048<br />

presso Veroli<br />

5 San Giovanni Battista Giovanni Onesto Gregorio VI! 28 setto 1075<br />

in Frosinone<br />

6 San Silvestro in Frosinone Giovanni - - -<br />

7 Santa Croce di Anagni Giovanni - Nicolò I! 18 otto 1060<br />

8 San Magno nella Marsica Giovanni - - -<br />

9 San Vincenzo di Valle Roveto Giovanni - - -<br />

lO Santa Maria di Reggimento Giovanni - - -<br />

11 San Salvatore di Monte San Giovanni - - -<br />

Giovanni Campano<br />

12 San Nicola di Bauco Orso - - -<br />

13 Santo Stefano di Bauco Orso - Gregorio VII agosto 1081<br />

14 SS. Leucio e Ippolito Orso - - -<br />

15 San Giovanni in Laterneto Agostino Alberto Urbano I! 17 dico 1090<br />

16 San Leucio di Bauco Agostino Alberto Urbano II 17 dico 1090<br />

- 228-


SAN MICHELE ARCANGELO PRESSO VEROLI<br />

Secondo la cronaca del Cartario, San Michele è la pruna chiesa<br />

che fu acquistata dagli abati di Casamari 8.<br />

La chiesa esiste ancora oggi in Veroli ma ha subito nel volgere<br />

degli anni tante modifiche e tali rifacimenti che sorge il dubbio se<br />

l'attuale Chiesa corrisponda a quella riferita dalla Cronaca del Cartario.<br />

Fino al 1573 essa certamente apparteneva a Casamari con tutti<br />

i possedimenti circostanti 9. Dopo tale data non abbiamo più notizie<br />

precise a riguardo.<br />

SAN NICOLA IN VEROLI<br />

La Cronaca del Cartario asserisce semplicemente che questa chiesa<br />

fu costruita « in Ioco apto » lO: da questa vaga notizia non è possibile<br />

rintracciarne l'ubicazione.<br />

Attualmente comunque non esiste in Veroli e dintorni alcuna chiesa<br />

dedicata a San Nicola. La Chiesa. possedeva, secondo la Cronaca, un<br />

«cenaculum in modum turris » 11 che serviva per ospitare i monaci<br />

che eventualmente si trovassero di passaggio a Veroli.<br />

Verso la fine del secolo XVI la chiesa apparteneva ancora a Casamari,<br />

come risulta dalla pergamena del 1573.<br />

SANT'ANGELO IN MONTE CORNETO PRESSO VEROLI<br />

Di questa chiesa abbiamo 1'atto di donazione 12: è quel documento<br />

ritenuto fino a qualche tempo fa del 1033, che abbiamo lungamente<br />

studiato nel capitolo riguardante la data di fondazione di Casamari.<br />

Dai rilievi fatti risulta che il documento è certamente del 1048.<br />

Della costruzione originale rimangono oggi solo dei ruderi. All'intorno<br />

di essa si rilevano le tracce delle modeste costruzioni ove i monaci<br />

8. Doc. 1 del secondo volume.<br />

9 È elencata in una pergamena che pubblicheremo a suo tempo.<br />

IO Doc. 1 del secondo volume.<br />

11 Ibidem.<br />

12 Doc. 4 del secondo volume.<br />

229 -


abitavano durante il periodo più intenso dei lavori agricoli. Accanto<br />

a Sant' Angelo sorse intorno alla metà del secolo XII un nucleo di<br />

case coloniche che appartengono tuttora all'Abbazia di Casamari. Il<br />

piccolo centro porta ancora il nome di Sant'Angelo; e si trova a 5 km<br />

a Nord Est di Casamari. Il villaggio fu incorporato ben presto alla<br />

nascente Grancia dell' Abbazia chiamata in passato Gretera, ed oggi<br />

invece Antera, ancora in possesso dell' Abbazia.<br />

Nel 1258 Alessandro IV con la Bolla Ad audientiam nostram 13<br />

condanna coloro che con mano temeraria hanno inteso impadronirsi<br />

della Grancia Gretera e dei luoghi posseduti da lungo tempo dai<br />

monaci di Casamari.<br />

Secondo il Longoria, nella solitaria dimora di Sant'Angelo, si ritirò<br />

spesso Gioacchino da Fiore col suo amato discepolo Luca, monaco e<br />

poi priore di Casamari.<br />

SAN NICOLA DE CAPPELLIS<br />

L'esistenza di questa chiesa è ricordata in un diploma di Leone IX<br />

in cui il papa ordina al vescovo della Marsica di restituirla a Casamari<br />

14. Nel 1573 figura ancora tra i beni dell'abbazia 15.<br />

SANTA CROCE DI AGNANI<br />

La Cronaca del Cartario, tra le altre benemerenze dell'abate Giovanni<br />

in favore della nascente abbazia di Casamari, afferma che egli<br />

acquistò una chiesa, chiamata Santa Croce, con tutti i relativi possedimenti,<br />

situata fuori la città di Anagni 16. La chiesa di Santa Croce, col trascorrere<br />

degli anni, accrebbe notevolmente le sue rendite, come si nota da<br />

alcuni atti donazione che sono giunti fino a noi. Fino ad ora conosciamo<br />

tre atti di donazione.<br />

Il primo documento è l'atto di donazione emanato da tre sacerdoti<br />

13 L. DE BENEDETTI, Regesti, 343<br />

14 Cfr F. UGHELLI, ltal. Sac., tomo l, 908; L. DE BENEDETTI,Regesti, 331; Doc. 5<br />

del secondo volume.<br />

15 Cfr nota 9 del presente capitolo<br />

16 Doc. 1 del secondo volume.<br />

230 -


di Anagni, Pietro, Leone e Giovanni col consenso del proprio vescovo<br />

Bruno Exiguo. Rileviamo una imprecisione verbale tra l'atto di donazione<br />

e la Cronaca del Cartario. Nell'atto si parla di gratuità mentre la<br />

Cronaca asserisce che si tratta di acquisto. Il termine acquisiuit ricorre<br />

spesso nella Cronaca e noi crediamo che si debba quasi sempre intendere<br />

per donazione. Questo primo documento è del 17 ottobre 1060, durante<br />

il secondo anno di pontificato di Nicolò II 17.<br />

Il secondo documento è una donazione di Leone Bellasi fatta il 14<br />

dicembre 1071 18 in favore di Benedetto, rettore della chiesa di Santa<br />

Croce, che presumibilmente era un monaco di Casamari.<br />

Il terzo documento del 1105 19 consiste nella vendita di una vigna<br />

di un certo Bectinos all'abate di Casamari e al monaco che abitava nella<br />

chiesa di Santa Croce.<br />

Dai documenti riferiti e da un altro del 1324 7() risulta che Casamari<br />

aveva nei territorio di Anagni una specie di cenobio nella chiesa di<br />

Santa Croce, ove gli stessi monaci fungevano da rettore e amministratore<br />

dei beni della chiesa.<br />

La chiesa di Santa Croce apparteneva ancora a Casamari nel 1573.<br />

Dopo questa data non abbiamo più notizie. Attualmente non esiste<br />

traccia alcuna di detta chiesa; solo, sul pendio Sud-Est di Anagni tuttora<br />

c'è una contrada denominata Santa Croce. Presumibilmente la<br />

chiesa doveva essere situata in quella zona insieme ai possedimenti.<br />

SAN VITO FUORI VEROLI<br />

Su questa chiesa, oltre alla Cronaca, abbiamo due importanti documenti<br />

riportati in appendice che fanno parte dei residui atti contenuti<br />

nel Cartario.<br />

Il primo è l'atto di donazione «de medietate Ecclesiae Sancti<br />

Viti» fatto da alcuni nobili verolani all'Abbazia di Casamari. L'atto<br />

fu redatto il 7 Novembre 1062 21. Da notare che nel testo si da solo<br />

l'indizione senza specificare il numero. Il 1062 comunque coincideva<br />

con la XV indizione.<br />

Il secondo riporta una lite sorta tra il Vescovo di Veroli Placido e<br />

l'Abbate di Casamari Giovanni per il possesso della chiesa di San<br />

17 Doc. 7 del secondo volume<br />

18 Doc. 18 del secondo volume.<br />

19 Doc. 27 del secondo volume.<br />

20 Carlo Cas., Cap. 90, fol. 75 r corrispondente alle pagine 69-73 della copia<br />

dell'attuale Cartario. Il testo sarà pubblicato a suo tempo.<br />

21 Doc. 9 del secondo volume.<br />

- 2.31


Vito 22. La data di questo documento presenta delle difficoltà, poiché<br />

dal testo sembra che l'atto fu compilato il 25 febbraio 1062, quindi<br />

la lite sarebbe sorta prima ancora dell'atto di donazione. Ma da alcune<br />

espressioni del documento è chiaro che la donazione era già stata compiuta:<br />

«Pro ipsa cartula qui habuerint pacta ... »; « ... isti patrones<br />

iudicio conducti sunt pro defendere ipsa cartula qui habuerunt<br />

pacta ... »23. Probabilmente l'indicazione della data non è esatta.<br />

Il testo dice: « ... Anno Deo propicius domino nostro Alexandro<br />

summo Ponti6ce et universi sanctissimi II Papa, in sacratissima sede<br />

beati Petri Apostoli anno secundo. Indictione XV. Mense februario die<br />

••<br />

vlgestma<br />

•<br />

qumta....<br />

24<br />

.<br />

L'indizione XV coincideva con l'anno 1062. Ma Alessandro II fu<br />

eletto e consacrato il primo ottobre 1061. Quindi il 25 febbraio nonostante<br />

I'ìndizione XV, non può essere il 1062. Non erano neppure<br />

cinque mesi che Alessandro II era papa, come si può parlare di anno<br />

secondo? Nell'edizione del documento abbiamo posto la data 25 febbraio<br />

1063 che sembra più corrispondente all'anno secondo del pontificato<br />

di Alessandro II. Data la scarsità dei riferimenti crediamo che<br />

non si possa stabilire una data esatta. Si deve solo ammettere che il<br />

documento è stato pubblicato certamente dopo il 7 novembre 1062<br />

e prima del 1065, poiché il vescovo di Veroli Placido morì proprio<br />

quell' anno.<br />

in<br />

SAN MAGNO DELLA MARSICA<br />

Anche nel territorio della Marsica Casamari possedeva alcune chiese.<br />

La Cronaca del Cartario ricorda solamente San Magno. Le altre<br />

chiese che appartennero a Casamari erano San Nicola « de Capellis »,<br />

San Porfirio « de Archipreto» e San Nicola « de Castulis ». Abbiamo<br />

creduto farne accenno poiché nel secolo XIII nacquero delle questioni<br />

tra il vescovo della Marsica e Casamari a causa di queste chiese Il<br />

primo documento riportato dall'Ughelli è del 1236 25 • Il secondo che<br />

tratta di queste liti risale a Gregorio IX 26 e fu emanato nel 1239. Il<br />

terzo ancora dello stesso Pontefice è del 1241 27.<br />

22 Doc. lO del secondo volume.<br />

23Ibidem.<br />

24 Ibidem.<br />

25 F. UGHELLI, Ital. Sac., voI. 1, col 908.<br />

26 Reg. Vat. Gregorii IX, Bullario, voI. 19, fol. 109, ep. 26; L. DE BENEDETTI,<br />

Regesti, 341.<br />

27 Ibidem, fol. 113, ep. 54; Codice 408, 3 Bibliot. Vat. Arch. Ross.<br />

- 232-


In questi documenti si fa menzione di tre procuratori di Casamari:<br />

Oderisio, Pietro e Barone che cercavano di risolvere la questione<br />

di giurisdizione e di possedimento a favore di Casamari contro le ingerenze<br />

del vescovo locale. Alla fine tutto fu risolto a favore di Casamari.<br />

Non sappiamo per quanto tempo questa chiesa sia stata sotto la giurisdizione<br />

di Casamari. Certo non figura nell'elenco della pergamena del<br />

1573.<br />

SAN VINCENZO DI VALLE ROVETO<br />

La chiesa di San Vincenzo, in data imprecisa divenne chiesa parrocchiale,<br />

e fu amministrata e retta dai monaci di Casamari, fino al 1789<br />

quando passò sotto la giurisdizione del vescovo di Sora. Tra l'abate di<br />

Casamari Isidoro Ballandani e il Vescovo di Sora Giuseppe Sisto y<br />

Britto sorsero aspre liti per la rivendicazione delle parrocchie di San<br />

Vincenzo e San Silvestro di Sora. Le liti si protrassero dal 1785 al<br />

1789, anno in cui i monaci rinunziarono a tutti i diritti su di esse.<br />

Nell'archivio di Casamari esistono molti documenti circa le pretese del<br />

vescovo e i diritti dell'abbazia.<br />

In tutte le controversie non si parla mai di documento relativo<br />

all'acquisto della chiesa di San Vincenzo. Il Cassoni tuttavia cita diversi<br />

documenti che riguardano direttamente tale chiesa 28.<br />

Durante il terremoto che si abbattè sulla valle del Liri nel 1915<br />

la chiesa di San Vincenzo fu distrutta. Venne ricostruita dopo il 1920<br />

ed è ancor oggi parrocchia della diocesi di Sora.<br />

SANTA MARIA DI REGGIMENTO<br />

PRESSO MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO<br />

La chiesa è posta su una collina poco distante da Casamari. Essa<br />

fu, coi locali annessi, la prima abitazione dei quattro sacerdoti verolani<br />

che si ritirarono in questa solitudine per dar vita all'abbazia<br />

di Casamari. Il De Persiis afferma: «l'esser passata nella podestà dell'abate<br />

Giovanni non dice che essa non poté essere abitata da que'<br />

primi solitari: anzi ci da motivo di ribadire il nostro pensiero, avendo<br />

voluto l'abate del sorto monastero che fosse ormai in potere perpetuo<br />

28 M. CASSONI, Sguardo Storico sull'abbazia di S. Domenico di Sore, Sora 1910,<br />

p. 34.<br />

- 233-


dei monaci del luogo, dove i primi fondamenti della vita monastica<br />

furono gettati» 29.<br />

La chiesa attualmente misura 15 metri di lunghezza e 6 di larghezza.<br />

Nel 1666 l'abate commendatario di Casamari Francesco Barberini<br />

ne curò il restauro. La parte inferiore, che costituisce una specie<br />

di cripta e nella quale si discende percorrendo una scalinata di undici<br />

gradini, presenta degli affreschi molto rovinati che risentono della scuola<br />

bizantina. Nuovamente fu restaurata durante il secolo scorso tanto che<br />

oggi non presenta quasi più nulla di antico eccetto gli affreschi malandati<br />

cui abbiamo accennato.<br />

Nel 1731 i monaci di Casamari chiesero al Vescovo di Veroli<br />

poter demolire l'antica chiesa di Reggimento per costruire una nuova<br />

cappella sul medesimo luogo 30. La documentazione archivistica dimostra<br />

che tale permesso fu ottenuto.<br />

I monaci di Casamari, ricevuta l'autorizzazione del vescovo. si<br />

rivolsero all'abate commendatario Annibale Albani per averne il consenso.<br />

L'Albani rispose alla richiesta dei monaci affermativamente con<br />

due lettere del 4 gennaio e 24 febbraio del 1742 31. Durante la demolizione<br />

apparvero la cripta e gli affreschi già ricordati. La ricostruzione<br />

fu compiuta in modo tale da riportare in efficenza sia la cripta che gli<br />

affreschi. Gli affreschi subirono gravissimo danno proprio dalle badilate<br />

degli operai che non seppero apprezzare sufficentemente il valore<br />

dell'opera d'arte. Tra le immagini degli affreschi figura una icone della<br />

Vergine che certamente risale all'epoca in cui i primi sacerdoti abitarono<br />

la zona. Poiché la chiesa di Santa Maria di Reggimento si trova<br />

nel comune di Monte San Giovanni Campano, il 21 luglio 1855 si<br />

riunì il Capitolo della collegiata per esaminare e decidere se la chiesa<br />

di Reggimento appartenesse o meno alla giurisdizione delle Collegiata<br />

di Monte San Giovanni oppure ai monaci di Casamari. Riportiamo<br />

alcune notizie importanti tratte dal 2° libro delle deliberazioni Capitolari<br />

che illustrano le vicende della chiesa di Reggimento dal 1742 fino<br />

al 1855. Una lapide commemorativa collocata nellla chiesa afferma che<br />

i restauri più importanti furono operati per la munificenza del Cardinale<br />

Barberini 32.<br />

29 L. DE Psasns, La Badia o Trappa di Casamari ..., 79.<br />

30 Lettera conservata nell'archivio di Casamari.<br />

31 Mss. Reggimento, Archivio di Casamari.<br />

32 L'iscrizione è: D.O.M. Templum hoc - Deiparae dicatum - ex vetustate collapsum<br />

- Franciscus Cardinalis Barberinus - Sanctae Romanae Ecclesiae vice cancellarius -<br />

Abbas et perpetuus Commendatarius - Restituir - ac sacris iconibus decoravit - Anno<br />

Domini 1666.<br />

- 234-


« Questa chiesa così restaurat~~arberini) durò fino al 1742<br />

nel quale tempo come consta d{ antico documento il cellerario di<br />

esso Monastero (di Casamari) F. Giacomo Bracciolini, ossia per ordine,<br />

ovvero per licenza del signore Cardinale Annibale Albani la distrusse<br />

direttamente insieme con l'altra chiesa di San Salvatore, previo un<br />

venerato rescritto di Mons. Vescovo di Veroli, per note ragioni. Sepolta<br />

così la nostra chiesa, sotto le rovine sen giacque presso che dimenticata<br />

da ognuno fino al 1796. Nel qual tempo, siccome attestano persone<br />

degne di fede ed oculari, l'allora Canonico Curato D. Giuseppe Pellegrini,<br />

dietro la relazione di una vecchia d'aversi sognato in quel<br />

sito essere sepolta una Immagine della Madonna, dietro la relazione di<br />

due forestieri, che andando pellegrinando, i quali dormendo di notte<br />

tempo, avevano inteso sotterra un ronzio. Finalmente le relazioni di<br />

due altri uomini nativi del luogo, i quali avevano sognato nella stessa<br />

notte che lì esisteva un tesoro, allora si diede premura di eseguirvi<br />

lo scavo.<br />

Incominciata l'operazione si scopersero i muri e quindi venne<br />

fuora un grande numero di serpi, che subito vennero uccisi dai scavatori.<br />

Così rincorati, tutti con alacrità proseguirono lo scavo, ed ecco a vivi<br />

colori scoprono dipinta nel muro la venerata Immagine. Su le prime<br />

il su lodato D. Pellegrini, ottenuta la licenza del Commendatario di<br />

allora il Cardinale Albani il 6 aprile 1796 difese la pittura sacra colla<br />

costruzione di un tetto sopra il muro di essa, quindi ottenne più ampie<br />

facoltà dal Porporato, mediante larghe limosine, che riceveva spontanee<br />

dai fedeli e cittadini e forestieri, che accorrevano in folla e ne ricevevano<br />

delle grazie, come si raccoglie da alcuni documenti di persone,<br />

che hanno giurato essere state repentinamente sanate da gravi e irreparabili<br />

malori, si accinse all'opera della fabbricazione della presente<br />

chiesa. Il capitolo (continua la relazione) non ha mai prestato consenso<br />

a questa opera, non ha mai interrogato sull'opera di D. Pellegrim,<br />

e questi ha sempre coi suoi successori vantato un ampio esercizio di<br />

giurisdizione indipendente dal Capitolo di detta chiesa (Collegiata di<br />

Monte San Giovanni Campano). Invece il popolo, che concorse alla<br />

bell'opera ha vantato un qualche diritto. Tale che può dirsi essere<br />

proprietà del popolo. Per esempio, dovendosi in essa chiesa mettersi<br />

la Via Crucis il popolo sotto la dominazione «gli devoti della<br />

Madonna SS. del Reggimento di Monte San Giovanni Campano, diocesi<br />

di Veroli» supplicarono la Santità di Papa Pio VI da concedere<br />

loro di poterla porre e Pio VI il 22 giugno concesse loro quanto doman-<br />

- 235-


davano » 33. Dopo la presente esposizione nessuno dei padri capitolari<br />

riconobbe che la Collegiata di Monte San Giovanni avesse alcun diritto<br />

sulla chiesa di Reggimento. Dal 1855 la chiesa veniva ufficiata una<br />

volta l'anno dai monaci di Casamari in occasione della festa della<br />

Madonna di Reggimento il 10 settembre. In tale circostanza c'è un<br />

grande concorso di popolo perché si tiene anche una rinomata fiera.<br />

Dal 1948 fino ad oggi la chiesa di Reggimento è divenuta una cappellania<br />

fissa dei monaci di Casamari che, oltre il lO settembre, officiano tutte<br />

le feste di precetto.<br />

SAN SALVATORE DI MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO<br />

La dipendenza di questa chiesa da Casamari è testimoniata dalla<br />

Cronaca del Cartario 34 e dalla pergamena del 1573.<br />

Nel 1742 la chiesa di San Salvatore fu distrutta insieme a quella<br />

di Santa Maria di Reggimento. Successivamente fu ricostruita e fu chiamata<br />

indifferentemente San Salvatore e Santa Croce, poiché vi si venerava<br />

un artistico crocifisso.<br />

Alcuni decenni or sono la chiesa di Santa Croce, situata sulla<br />

destra delle attuale Collegiata fu demolita per esigenze urbanistiche.<br />

CHIESE DI SAN GIOVANNI BATTISTA E SAN SILVESTRO<br />

IN FROSINONE<br />

A Frosinone ci sono ancora due chiese dedicate rispettivamente<br />

a San Giovanni Battista e a San Silvestro. Sono di stile barocco e non<br />

presentano ruderi o tracce di antichi muri, per cui non siamo neanche<br />

sicuri che si tratti delle chiese di cui parla il Cartario.<br />

L'atto di donazione della chiesa di San Giovanni Battista ci presenta<br />

varie difficoltà. La prima è nel titolo stesso del documento:<br />

« Donatio Ecclesiae Sancti Johannis de Laterneto in territorio Montis<br />

Sancti Johannis per EPiSCOP~' m Placidum monasterio Casaemarii» 35.<br />

Il regesto lascia intend re che il documento tratti della chiesa<br />

di San Giovanni Battista in aterneto, mentre il testo che segue parla<br />

sempre della chiesa di San Gio'(_~nniBattista in Frosinone. Forse l'ama-<br />

33 Archivio della Collegiata di Monte San Giovanni Campano.<br />

34 Doc. 1 del secondo volume.<br />

35 Doc. 20 del secondo volume.<br />

236 -


nuense trascrivendo il regesto avrà commesso il grave errore di SCrIvere<br />

quello di un altro documento.<br />

Ma la difficoltà maggiore consiste nello stabilire quale Abate di<br />

Casamari ebbe in dono queste chiese. La Cronaca del Cartario dice<br />

Giovanni, ma dalla data del documento e dalla cronologia degli Abati<br />

vediamo che la notizia è inesatta. La data dell'atto di donazione è<br />

il 28 settembre 1075, indictione VII, anno III del Pontificato di<br />

Gregorio VII. Sappiamo da altri documenti già discussi - nel capitolo<br />

sulla data di fondazione di Casamari - che nel 1075 era certamente<br />

Orso l'Abate di Casamari.<br />

Rileviamo però che l'atto di donazione del 1705 non riporta il<br />

nome dell'Abate Giovanni ma afferma semplicemente con termini generici:<br />

«l'Abate di Casamari ».<br />

Come spiegare allora il fatto che la Cronaca del Cartario attribuisce<br />

a Giovanni l'acquisto di due chiese in Frosinone? Riteniamo<br />

che la questione possa avere due probabili soluzioni: La prima è che<br />

l'Abate Giovanni fu ritenuto come il maggiore artefice dello sviluppo<br />

spirituale e dell'importanza economica di Casamari. E lo fu senz'altro.<br />

Col tempo però la sua attività fu talmente ingigantita che risulta spiegabile<br />

che gli sia stato attribuito più di quanto in realtà avesse compiuto.<br />

La seconda spiegazione scaturisce dal fatto Che durante il governo<br />

dell' Abate Giovanni furono compiute abbondanti donazioni da parte<br />

di ricchi frusinati all'Abbazia di Casamari 36. Niente di più facile che<br />

l'autore della Cronaca del Cartario abbia inserito la donazione delle<br />

due chiese tra gli altri lasciti fatti a Giovanni.<br />

SANTO STEFANO DI BOVILLE<br />

Santo Stefano di Boville fu la prima chiesa acquistata dall'abate<br />

Orso. Uno storico locale 37 asserisce che: «ci restano di questa chiesa<br />

poche er oscure notizie; è situata entro il giro della parrocchia della<br />

Collegiata e presso la porta di San Francesco ». Santo Stefano è oggi<br />

una delle più belle chiese di Boville e il rettore fino a qualche decennio<br />

fa aveva il titolo di abate 33.<br />

36 Doc. 6 del secondo volume.<br />

37 G. LIBERATI, San Pietro Ispano e il comune di Bauco, memorie, Siena 1888, 165.<br />

38 M. ARCANGELI, Memorie storiche di Bauco, Frosinone 1891, 239.<br />

- 237-


SAN NICOLA DI BOVILLE<br />

La Chiesa è di difficile identificazione. In nessun luogo del paese di<br />

Boville esistono chiese o ruderi dedicati un tempo a San Nicola. La<br />

Chiesa comunque divenne proprietà di Casamari certamente prima del<br />

1081 come risulta da un atto di donazione del 1081 fatto da una ricca<br />

famiglia di Boville 39.<br />

L'unico ricordo che oggi si possiede della chiesa di San Nicola<br />

è il nome della porta principale del paese che si chiama «porta San<br />

Nicola » 40.<br />

Il documento del 1081 presenta inesattezze nella data: si parla<br />

di Gregorio VII, nel VII anno di pontificato, nell'indizione IV, nel<br />

mese di agosto senza specificarne il giorno. Nel corpo del documento<br />

tuttavia ilgiorno è indicato, ma non possiamo determinarlo esattamente.<br />

Infatti si dice che la donazione è ratificata proprio il giorno della dedicazione<br />

della chiesa di San Nicola. In più sempre per quanto riguarda<br />

la data va rilevato che la quarta indizione corrisponde al 1081, ottavo<br />

anno del pontificato di Gregorio VII, e non settimo come il documento<br />

afferma.<br />

S. IPPOLITO DI VEROLI<br />

La Cronaca del Cartario ci da preziose notizie su questa chiesa ~I.<br />

In un primo tempo l'abate Orso acquistò la chiesa di San Leucio<br />

di Veroli 42, che successivamente venne commutata con la chiesa di<br />

Sant'Ippolito.<br />

L'abate Agostino istituì un piccolo cenobio femminile adiacente<br />

alla chiesa di Sant'Ippolito. È questa la prima fondazione monastica<br />

femminile compiuta dagli abati di Casamari.<br />

Nell'archivio di Casamari esiste un abbondante materiale circa i<br />

rapporti di Casamari con monasteri f.é'mmiI;ili,e soprattutto con quelli di<br />

Sant'Angelo in Prizzi (Agrigentò) e di Santo Spirito in Agrigento.<br />

«Nel 1627 il monastero di Sant'Ippolito fu dato ai frati Minori<br />

di San Martino di Veroli. Dopo il 1664, essendo vescovo di Veroli<br />

39 Doc. 23 del secondo volume.<br />

40 G. LIBERATI, San Pietro Ispano... 186; M. ARCANGELI, Memorie storiche... 229.<br />

41 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

42 A. SCACCIA-SCARAFONl, La chiesa di San Leucio nella rocca di Veroli, Veroli<br />

1953.<br />

- 238-


Francesco Angelucci, i monaci di Casamari, i quali erano morti nelle<br />

loro case di Sant'Ippolito e seppelliti nel cimitero dietro la chiesa,<br />

partiti dalla bassezza di Casamari per curarsi nella collina di Veroli,<br />

furono dissotterrati... » 43.<br />

Chiaramente appare dal brano su riferito che in un tempo<br />

imprecisabile Sant'Ippolito fu abitato da monaci e non più da monache.<br />

SAN GIOVANNI BATTISTA IN LATERNETO<br />

L'atto di donazione di questa chiesa include anche la donazione<br />

della chiesa di San Leucio di Boville, come si può notare dal titolo<br />

e dal testo del documento 44.<br />

L'atto risale al 17 dicembre 1090, corrispondente al secondo anno<br />

del Pontificato di Urbanolì,indizione XIII (mentre il documento indica<br />

l'indizione XIV).<br />

Non si conosce con esattezza l'etimologia della parola « Laterneto ».<br />

Tra gli studiosi di storia locale si ammette comunemente che la denominazione<br />

provenga dal latino «later, lateris» che significa mattone o<br />

luogo dove lavorano i mattoni. Infatti a poca distanza vi sono state<br />

quasi sempre fornaci di laterizi. Il luogo ove sorgeva la chiesa è da<br />

identificarsi col luogo dove è ora il convento dei Padri Cappuccini,<br />

fuori del paese verso il cimitero. Nel 1535 la chiesa con i locali annessi<br />

fu ceduta ai Padri Cappuccini da Donna Maria Eleonora d'Aquino,<br />

Marchesa di Vasto e Duchessa di Monte San Giovanni Campano. La<br />

notizia è stata tratta da un antico manoscritto che si conserva nell'archivio<br />

dei Padri Cappuccini di Monte San Giovanni Campano: «Per<br />

il primo si ha da sapere che nell'anno 1535 Donna Maria Eleonora ...<br />

per l'affetto che portava alla nostra religione volle che i Cappuccini<br />

avessero il Convento qui nel Monte, come in altri del suo Stato, onde<br />

comprò et pregò il Cardinale Vescovo di Veroli, che in quel tempo<br />

era Ennio Filonardo, Cardinale del Titolo di Sant'Angelo, onde alla prima<br />

istanza fattali dalla Illustrissima Marchesa, li e là diede vive vocis<br />

oraculo; nell'anno poi 1537 ci diede pacifico possesso - come in una<br />

sua registrata in questo libro et l'originale si conserva ancora qui nell'archivio,<br />

et registrata anco nella cancelleria episcopale di Veroli» 45.<br />

43 Cfr Antichi mss. della Biblioteca Yerolana, tomo IV, pp. 140-152.<br />

44 Doc. 25 del secondo volume.<br />

45 Cfr Ms. dell'Archivio dei PP. Cappuccini di Monte San Giovanni Campano.<br />

- 239-


SAN LEUCIO DI BOVILLE<br />

La chiesa passò alle dipendenze di Casamari, come abbiamo già<br />

detto, il 17 dicembre 1090. Essa si trova alle falde del colle di Boville.<br />

Precedentemente era stata acquistata dall'Abate Giovanni V di Subiaco<br />

ed era rimasta a lungo proprietà del monastero sublacense 46.<br />

L'Arcangeli asserisce che San Leucio aveva il titolo di Abbazia<br />

e che in seguito costituì, con tutti i possedimenti, una parte del beneficio<br />

del Cardinale Ennio Filonardi 47.<br />

SAN NICOLA «AD PALATIUM PHALLARIDIS»<br />

Nel primo cinquantennio di vita monastica a Casamari l'espansione<br />

della giurisdizione del monastero sulle chiese dipendenti si manifestò<br />

entro limiti piuttosto ristretti. Ma già all'inizio del secolo XII l'importanza<br />

di Casamari cresce notevolmente, tanto da estendere i suoi possedimenti<br />

fino in Sicilia.<br />

San Nicola ad Palatium ne è la prima fondazione e fu propiziata<br />

dal Vescovo di Agrigento Orso che nel 1119 donò ai monaci di Casamari<br />

un fondo nelle vicinanze di Agrigento 48.<br />

Il cenobio di San Nicola ad Palatium subì varie vicende che<br />

sono illustrate dallo storico locale G. A. Alaimo.<br />

La vita benedettina vi durò appena un secolo. Infatti nel 1219<br />

il cenobio è abitato dai <strong>Cistercensi</strong>, come si desume dall'atto di fondazione<br />

pubblicato per la prima volta dall'Alaimo nel 1954.<br />

Nel 1332 San Nicola tornò nuovamente ai benedettini 49.<br />

46 C. MIZZIO, Chronicon Sublacense, pp, 201-205; G. LIBERATI, San Pietro Ispano...,<br />

p. 179.<br />

47 M. ARCANGELI, Memorie..., p. 23l.<br />

48 L. ]ANAUSCHEK, Originum Cisterciensium, LXXX, 9(}. « S. Nicolaus ad palatium<br />

Phallaris non Abbatiae sed templi et coenobioli Agrigentini appellatio fuit ubi<br />

monachi Casamarienses divinis vacabant »,<br />

49 G. A. AUIMO, La Chiesa di San Nicola dei <strong>Cistercensi</strong> in Agrigento, Agrigento<br />

1954.<br />

- 240-


PROSPETTO CRONOLOGICO DELLE CHIESE APPARTENENTI A CASAMARI<br />

NEL PERIODO BENEDETTINO<br />

Chiesa I Abate I Data di fondazione<br />

1 San Michele Arcangelo presso Veroli (Fr)<br />

2 San Nicola presso Veroli (Fr)<br />

3 Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli (Fr)<br />

4 San Nicola de Cappellis<br />

5 Santa Croce di Anagni (Fr)<br />

6 San Vito fuori Veroli (Fr)<br />

7 San Magno della Marsica (Aq)<br />

8 San Vincenzo di Valle Roveto (Aq)<br />

9 Santa Maria di Reggimento (Fr)<br />

lO San Salvatore di Monte San Giovanni<br />

Campano (Fr)<br />

Il Santo Stefano di Bauco (Fr)<br />

12 San Giovanni Battista in Frosinone (Fr)<br />

13 San Silvestro in Frosinone (Fr)<br />

14 San Nicola di Bauco (Fr)<br />

15 Sant'Ippolito di Veroli (Fr)<br />

16 San Giovanni in Latemeto presso Monte<br />

San Giovanni Campano (Fr)<br />

17 San Leucio di Bauco<br />

18 San Nicola «ad Palatium» (Ag)<br />

- 241-<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Giovanni<br />

Orso__<br />

Orso (?)<br />

Orso<br />

Orso<br />

Orso<br />

Agostino<br />

Agostino<br />

Benedetto II<br />

20 settembre 1048<br />

prima del 1049<br />

18 ottobre 1060<br />

7 novembre 1062<br />

20 gennaio 1066<br />

28 settembre 1075<br />

17 dicembre 1090<br />

17 dicembre 1090<br />

1119


Capitolo sesto: IL PATRIMONIO ECONOMICO DI CASAMARI<br />

DURANTE IL PERIODO BENEDETTINO<br />

Voler tentare di ricostruire il patrimonio economico di Casamari<br />

durante il periodo benedettino è un impresa molto ardua. I documenti<br />

o copie di essi giunti fino a noi sono infatti relativamente pochi: 30<br />

Documenti e 2 Cronache ·(vedi il prospetto). Molti beni sono descritti<br />

in modo vago, sommario, indeterminato. Nel prospetto dei documenti<br />

abbiamo collocato al primo posto la Cronaca del Cartario, perché essa<br />

ci da una certa idea di quel che era il patrimonio dell'abbazia soprattutto<br />

per l'elenco delle chiese coi beni annessi che ci fornisce. Però è<br />

impossibile renderei conto dell'effettiva consistenza patrimoniale perché<br />

la Cronaca quasi sempre frettolosamente afferma: «Acquisiuit Ecclesiam<br />

... cum casis, terris, oineis, acquimolis, et cum omnibus ad eam<br />

pertinentibus » 1<br />

I Documenti giunti fino a noi, in originale o in copia sono una<br />

minima parte. Nella penultima colonna del prospetto dei documenti<br />

abbiamo inserito Collocazione Cartario Casamari Originale, proprio per<br />

convalidare la nostra asserziose-.!.... In questa Collocazione il quarto documento<br />

si trova al Capitolo 15, foglio 12. Il 2T giace al Capitolo<br />

93, foglio 80 e il 17° al Capitolo 370, foglio 3802 • La saltuarietà<br />

dei capitolo denota quindi numerosissime lacune di documenti effettivi<br />

che forse non riusciremo mai a colmare.<br />

Senza dubbio il De Uvis nel trascrivere i documenti non segui<br />

un ordine cronologico come risulta da un attento esame del prospetto.<br />

Infatti il 17° documento è collocato al Capitolo 370, foglio 380 e il<br />

18° al Capitolo 98, foglio 82 r e le date di compilazione sono rispettivamente<br />

il 12 maggio e il 14 dicembre del 1071.<br />

Ci troviamo pertanto nella impossibilità materiale di ricostruire<br />

il patrimonio completo dell'abbazia. Quanto segue sarà solo di aiuto<br />

ai lettori per avere un idea di ciò che è contenuto nei documenti. Per<br />

maggior chiarezza divideremo l'esposizione in due punti: il patrimonio<br />

indeterminato e il patrimonio determinato in riferimento ai beni terrieri.<br />

chiese.<br />

Il patrimonio indeterminato è quasi sempre quello annesso alle<br />

1 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

2 Con il termine Capitolo probabilmente si doveva intendere il numero progressivo<br />

dei documenti raccolti e trascritti dal De Uvis.<br />

- 242-


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PATRIMONIO NON DETERMINATO (In riferimento ai beni terrieri)<br />

Durante il govemo dell'abate Giovanni (ca 1037-1065)<br />

- « ... acquisiuit casas, terras, oineas, servos et ancillas... » 3.<br />

3 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

- La Chiesa di San Michele Arcangelo presso veroli:<br />

« ... cum casis, terris, oineis, acquimolis et cum omnibus ad eam<br />

pertinentibus » 4.<br />

La metà della chiesa di San Vito presso Veroli:<br />

« ... cum amni medieta,~bonorum ipsius ... » 5. E il documento del<br />

7 Novembre 1062:<br />

« ... medietate de Ecclesia Sancii Viti cum casis, casalibus et cum<br />

acquimolis ... » 6<br />

La Chiesa di Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli:<br />

« ... cum casis, terris, uineis, casalibus, arboribus fructiferis et injructiferis<br />

diuersis generibus cum omnibus ad eam pertinentibus ... » 7.<br />

Il documento di donazione del 20 settembre 1048 è ancora più<br />

completo della Cronaca del Cartario:<br />

« ... domus S. Angeli cum omnibus ad eam pertinentibus, cum omnibus<br />

aedificiis suis, cum casis, casalibus, uineis, terris, campis, pratis,<br />

'ortis, siluis, salcetis, arboribus pomijeris, [ructiieris, injructiieris,<br />

cum castaneis, cum cultu vel incultu, vacuo uel pleno ... » 8.<br />

La chiesa di San Magno della Marsica:<br />

« ... cum terris, casis, oineis, et cum omnibus ... » 9.<br />

La chiesa di San Vincenzo di Valle Roveto:<br />

« ... cum casis, terris, oineis et cum omnibus ... » lO.<br />

La chiesa di Santa Croce di Agnani:<br />

« ... cum casis, terris, oliuetis, et cum omnibus ... » 11.<br />

E il documento del 17 ottobre 1060 si esprime:<br />

« ... damus ecclesiam S. Crux cum omniam suam pertinentiam ... et<br />

casis, uineis et bortis, cum arboribus ... fructiferis ... » 12.<br />

4 Ibidem.<br />

5 Ibidem.<br />

6 Doc. 9 del secondo volume.<br />

7 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

8 Doc. 4 del secondo volume.<br />

9 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume,<br />

lO Ibidem.<br />

11 Ibidem.<br />

12 Doc. 7 del secondo volume<br />

244 -


La chiesa di Santa Maria di Reggimento presso Monte San Giovanni<br />

Campano:<br />

« ... cum casis, terris, uineis et cum omnibus ... » 13.<br />

La chiesa di San Salvatore di Monte San Giovanni Campano:<br />

« ... cum casis, terris, uineis et cum omnibus ... » 14.<br />

Durante il governo dell'abate Orso (106.5·1088)<br />

La chiesa di Santo Stefano di Bauco (Boville Ernica):<br />

« ... cum terris, uineis, casis, et cum omnibus ... » 15.<br />

Il documento del 20 gennaio 1066:<br />

« ... et cum oineis et terris et cum arboribus fructiferis uel injructiferis<br />

et cum omnibus ... »16.<br />

E quello del 20 maggio 1069:<br />

« ... cum terris, oineis ... cum arboribus oliuarum et ... fructiferis ... » 17.<br />

Le chiese di San Giovanni Battista e San Silvestro in Frosinone:<br />

. .. t 'h 18<br />

« ... cum casts} vznets e omnz us... » .<br />

Trenta cittadini di Veroli a nome degli abitanti della loro città<br />

donano all'abate Orso e al monastero di Casamari numerose terre<br />

e confermano la donazione della chiesa di Sant'Angelo in Monte<br />

Corneto; confermano inoltre solennemente tutte le altre donazioni<br />

perché durante l'occupazione di Veroli da parte di Riccardo da<br />

Capua l'abate Orso lo aveva placato con consistenti doni 19. Con<br />

questo documento sono concesse molte terre, indicandone solamente<br />

i confini.<br />

Leone e Gisone insieme a moltissimi altri nobili di Veroli donano<br />

e confermano quanto esposto nel documento precedente. In pratica<br />

è il medesimo documento ritrascritto nel 1217 perché l'originale<br />

che si trovava a Casamari era stato corroso dal tempo 20.<br />

Tra i due testi ci sono pochissime differenze. Abbiamo preferito<br />

pubblicare le due edizioni per non mandar smarrita la prima parte<br />

cioè il prambolo scritto dal notaio il 24 aprile 1217 per giustificare<br />

la ritrascrizione di un atto tanto im~tante. Da ciò possiamo anche<br />

dedurre l'importanza e la consistepza della donazione.<br />

13 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

14 Ibidem.<br />

15 Ibidem.<br />

J6 Doc. 12 del secondo volume.<br />

J7 Doc. 16 del secondo volume.<br />

18 Doc. 1 del secondo volume; Cfr anche il Doc. 20.<br />

J9 Doc. 21 del secondo volume.<br />

20 Doc. 22 del secondo volume.<br />

245 -


- L'abate Orso acquista ancora:<br />

« '" casas, terras, uineas, acquimola.: rusticos ad seruitia [aciend<br />

21<br />

a... » ,<br />

Durante il governo dell'abate Agostino (1088-1106)<br />

- Le chiese di San/Giovanni in Laterneto presso Monte San Giovanni<br />

Campano e San Leucio di Bauco (Boville Ernica):<br />

« ,.. cum om1)lbus earum pertinentiis ... »22,<br />

Il documento di donazione del 17 dicembre 1090 è molto più dettagliato:<br />

« o<br />

•• cum<br />

omnia pertinentia illarum, cum libris et paramentis, cum<br />

casis, casalibus, oineis, terris, ortuis, campis, pratis, pasinis, siluis,<br />

salcetis, arboribus pomijeris vel infructiferis ... riuis, aquis, acquimolis,<br />

uinetis ... » 23.<br />

PATRIMONIO DETERMINATO (In riferimento al beni terrieri)<br />

Durante il governo dell'abate Giovanni (ca 1037·106.5)<br />

L'abate Giovanni compera da Oderisio un appezzamento di terra<br />

nel territorio<br />

dimensioni 2S:<br />

verolano, nel fondo di TuscIo 24. L'appezzamento ha le<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza da un lato<br />

Larghezza dall'altro lato<br />

Questa compera costò trenta denari.<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi.<br />

piedi<br />

270<br />

220<br />

140<br />

140<br />

Leone e Gregorio donano all'abate Giovanni numerosi beni nel<br />

territorio di Frosinone: un orto, quattro appezzamenti di terra misurati<br />

e altri quattro indicandone solo i confini 26:<br />

- Orto:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altrao lato<br />

piedi<br />

piedi<br />

21 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

22 Ibidem.<br />

23 Doc. 25 del secondo volume.<br />

24 Doc. 3 del secondo volume.<br />

2S Le misure romane che ricorrono nel presente capitolo sono: Pertica - lO<br />

piedi; Piede = 29 cm.; Petia = Are 26,40; Ara = m 2 100.<br />

26 Doc. 6 del secondo volume.<br />

246 -<br />

40<br />

35


Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

piedi 40<br />

piedi 38<br />

10 Appezzamento di terreno con oliveto e frutteto:<br />

Lunghezza da un lato piedi 200<br />

Lunghezza dall'altro lato piedi 180<br />

Larghezza in alto piedi 200<br />

Larghezza in basso piedi 160<br />

Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />

- 2 0 Appezzamento di terreno con case:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

300<br />

280<br />

200<br />

80<br />

3 0 Appezzamento di terreno con frutteto:<br />

Lunghezza da un lato piedi 1250<br />

Lunghezza dall'altro lato piedi 890<br />

Larghezza in alto piedi 140<br />

Larghezza in basso piedi 140<br />

Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />

- 4 0 Appezzamento di terreno con vigna e frutteto:<br />

Lunghezza da un lato piedi 240<br />

Lunghezza dall'altro lato piedi 120<br />

Larghezza in alto piedi 140<br />

Larghezza in basso piedi 140<br />

Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />

Quindi altri quattro appezzamenti di terra di cui sono dati minuziosamente<br />

i confini, ma non le misure.<br />

Giovanni, abate di Casamari, col consenso dei suoi monaci cede<br />

ad Alhisi un appezzamento di terreno situato a Ponticaro in cambio<br />

di un pezzo di terra in Veroli. La zona di Ponticaro è situata fuori la<br />

città di Veroli 27. Nei documenti precedenti Ponticaro non figura mai<br />

tra i possedimenti di Casamari.<br />

27 Doc. 11 del secondo volume.<br />

- 247


La terra che l'abate Giovanni cede è frutteto e castagneto e misura:<br />

Lunghezza da un Iato piedi 32<br />

Lunghezza dall'altro lato piedi 45<br />

Larghezza in alto piedi 100<br />

Larghezza in basso piedi 100<br />

situate in Serola e Tascotaru. Piro Overnio è un'altra località scono-<br />

La terra che l'abate riceve in cambio non è misurata.<br />

Durante il governo dell'abate Orso (1065-1088)<br />

Orso, abate di Casamari cede a Placido, abate di San Erasmo in<br />

Veroli, alcune terre nella contrada Piro Overnio e riceve in cambio altre<br />

situate in Serola e Tascotaru. Piero Overnio è un'altra località sconosciuta<br />

ai documenti giunti fino a noi. Le terre che Orso dà a Placido<br />

sono due appezzamenti fertili e frutteto 28:<br />

1 0 Appezzamento<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in basso<br />

Larghezza in basso<br />

2 0 Appezzamento, accanto al primo,<br />

Lunghezza da un Iato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

Orso riceve in cambio due Pezie.<br />

piedi 320<br />

piedi 310<br />

piedi 200<br />

piedi 170<br />

ma separato dalla strada:<br />

piedi 270<br />

piedi 270<br />

piedi 80<br />

piedi 70<br />

Massario, nobile di Veroli dona all'abate Orso una terra fertile<br />

con frutteto presso la Macchia di Casamari 29. Anche in questo documento<br />

tra i confini della donazione figurano terre già in possesso di<br />

Casamari che non risultano dai documenti che possediamo. L'appezzamento<br />

ha una configurazione irregolare, sono fornite complessivamente<br />

dieci misure:<br />

Lunghezza del primo Iato<br />

quindi inclinazione<br />

28 Doc. 15 del secondo volume.<br />

29 Doc. 17 del secondo volume.<br />

- 248-<br />

piedi 1110<br />

piedi 95


ancora inclinazione<br />

Lunghezza del secondo lato<br />

quindi inclinazione<br />

ancora inclinazione<br />

Lunghezza terzo del lato<br />

quindi inclinazione<br />

ancora inclinazione<br />

Lunghezza del quarto lato<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

310<br />

107<br />

25<br />

76<br />

1500<br />

78<br />

110<br />

40<br />

Durante il governo dell'abate Orso, Leone Bellasi e altri nobili<br />

di Anagni donano al Presbitero Benedetto, rettore della chiesa di Santa<br />

Croce di Anagni un pezzo di terra 30:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

quindi inclinazione<br />

ancora inclinazione<br />

piedi 108<br />

piedi 85<br />

piedi 40<br />

piedi 90<br />

piedi 50<br />

piedi 60<br />

Orso concede in enfiteusi a Barone figlio di Zopilato un pezzo di<br />

terra in contrada Colle Rotondo 31. Anche questa località è nuova ai<br />

documenti che possediamo. Sono delineati i confini ma non le misure.<br />

Oderisio e Lando donano all'abate Orso tutto il loro possedimento<br />

in Valle Ambusti secondo l'eredità che era loro toccata 32. Anche in<br />

questo caso non sono date ulteriori precisazioni.<br />

Orso col consenso dei suoi monaci vende a Mainardo e Bella sua<br />

moglie per 14 denari due vigne nel territorio di Veroli, contrada<br />

Forano 33. Di nuovo una terra sconosciuta ai documenti esaminati.<br />

- 1" vigna:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

piedi<br />

La presente vigna è venduta perché ai quattro lati è circondata<br />

da terreni degli stessi acquirenti.<br />

30 Doc. 18 del secondo volume.<br />

31 Doc. 19 del secondo volume.<br />

32 Doc. 23 del secondo volume.<br />

33 Doc. 24 del secondo volume.<br />

249 -<br />

90<br />

80<br />

30<br />

30


_ 2a vigna:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Larghezza in alto<br />

Lunghezza dall' altro lato<br />

Larghezza in basso<br />

piedi 70<br />

piedi 40<br />

piedi 80<br />

piedi 40<br />

Questa seconda vendita non è motivata, ma si asserisce che la<br />

vigna era di proprietà del monastero secondo una carta di acquisto. Anche<br />

questa ci è sconosciuta.<br />

Durante il governo dell'abate Agostino (1088-1106)<br />

Rocco di Veroli dona all'abate Agostino due pezzi di terra fertili<br />

con frutteti 34. Queste terre confinano con possedimenti dell'abbazia<br />

che non risultano dai documenti che conosciamo.<br />

- 1° Appezzamento:<br />

Lunghezza da un lato pertiche 49<br />

Lunghezza del secondo lato pertiche 31<br />

Lunghezza del terzo lato pertiche 31<br />

Lunghezza del quarto lato pertiche 19<br />

quindi inclinazione pertiche 12<br />

ancora inclinazione pertiche 24<br />

- 2° Appezzamento (non presenta le misure, ma solamente i confinanti.<br />

Tra questi in due lati figurano terreni dell'abbazia).<br />

Il presbitero Giovanni preposto alla chiesa di Santa Croce dj<br />

Anagni acquista da Bectino per sei soldi una vigna sul colle della stessa<br />

chiesa di Santa Croce 35. Essa ha:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

pertiche 16<br />

pertiche 14<br />

pertiche 14<br />

pertiche 6, piedi 5<br />

Permuta tra Giovanni, rettore della chiesa di Sant'Angelo in Veroli<br />

e il preposto di Casamari Pietro di una terra in contrada Valenzano,<br />

nelle vicinanze di Casamari per aver rinunziato all'eredità che Giovanni<br />

34 Doc. 26 del secondo volume.<br />

3S Doc. 27 del secondo volume.<br />

250 -


Dotati aveva lasciato all'abbazia 36. La terra ricevuta dal preposto Pietro<br />

consisteva in un appezzamento di terra e una vigna.<br />

- Appezzamento di terra:<br />

.<br />

La VIgna:<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

Lunghezza da un lato<br />

Lunghezza dall'altro lato<br />

Larghezza in alto<br />

Larghezza in basso<br />

pertiche 26<br />

pertiche 6<br />

pertiche 22<br />

pertiche 3, piedi 3<br />

pertiche<br />

pertiche<br />

pertiche<br />

pertiche<br />

5<br />

4, piedi 8<br />

2, piedi 8<br />

2, piedi 9<br />

Questa carrellata sul patrimonio dell'abbazia di Casamari durante<br />

il primo periodo di vita è chiaramente incompleto, come del resto<br />

abbiamo detto fin dall'inizio del capitolo e abbiamo sottolineato ogni<br />

volta che si presentava l'occasione. Tuttavia tra quello che è espresso<br />

dai documenti e soprattutto ciò che gli stessi documenti hanno lasciato<br />

intendere si deve concludere che il patrimonio dell'abbazia fosse abbastanza<br />

consistente da richiedere una organizzazione molto attenta ed<br />

oculata quale i benedettini erano soliti dare alle loro strutture economiche.<br />

In Casamari questa organizzazione la troviamo efficente nonostante<br />

le varie peripezie che l'abbazia ha dovuto subire (la vicenda dell'abate<br />

Orso e le numerose dimissioni degli abati durante l'ultimo quarantennio<br />

di vita benedettina) prima di cedere il posto alla nuova<br />

stru ttura dei cistercensi.<br />

36 Doc. 31 del secondo volume.<br />

251 -


FLORILEGIO<br />

GUERRICO DI IGNY-!(<br />

1. «Sermone per l'Avvento del Signore»<br />

Aspettiamo il salvatore.<br />

Letizia è in verità l'attesa dei giusti, di coloro che sono nell'attesa<br />

della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande<br />

Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo.<br />

« E di chi è ora la mia attesa, disse il giusto, se non del Signore? »<br />

Poi, rivolto al Signore, aggiunse: «lo so che non mi lascerai<br />

deluso nella mia attesa» poiché già « la mia sostanza è presso di te »:<br />

la nostra natura infatti, da te assunta e per noi offerta, è già stata<br />

glorificata nella tua persona. «Questo ci dona la speranza che «a<br />

te verrà ogni mortale» e che le membra seguiranno il loro capo<br />

affinché l'olocausto sia completo.<br />

Con piena fiducia quindi, perché con coscienza più sicura, si può<br />

attendere il Signore, al quale ci è dato di poter dire: «La sostanza<br />

di quel poco che possiedo, o Signore, è presso di te »; perché donando<br />

a te i miei beni, o per te disprezzandoli, io ho ammassato un tesoro<br />

in cielo e ai tuoi piedi ho deposto tutto il mio bene, sapendo che<br />

• 1: Guerrico, abate di Igny, beato. Nacque tra il 1070 e il 1080. Divenne canonico e<br />

professore di Teologia a Tournai. Era un uomo amante della solitudine, dedito alla<br />

preghiera e allo studio. Il suo amore per la solitudine lo portò al chiostro. Verso il<br />

1125 giunse a Clairvaux, appunto per ritemprare il suo spirito. Fu conquistato da San<br />

Bernardo e cosi divenne cistercense. Per la sua dottrina e soprattutto per la sua pietà<br />

fu eletto nel 1138 abate di Igny, filiale di Oairvaux. Nel 1150 fondò l'abbazia di<br />

Valroy, non lontano da Rethel, ai confini delle diocesi di Reims e di Laon. Spesso<br />

malato, si rammaricava di non poter seguire tutti gli esercizi della comunità, ma si consolava<br />

cercando di istruire i suoi monaci e di edificarli coi suoi sermoni. Si narra che<br />

sul punto di morte, ricordando uno statuto del Capitolo Generale che proibiva di pubblicare<br />

libri senza un permesso speciale, fu preso da scrupoli e diede ordine di bruciare<br />

il manoscritto dei suoi sermoni. Ma tra i monaci circolavano già delle copie e<br />

cosi i sermoni di Guerrico sono giunti fino a noi.<br />

Guerrico morì il 19 agosto 1157. I cistercensi lo hanno iscritto nel loro Menologio<br />

a questa data e il suo culto fu approvato dalla sacra Congregazione dei Riti<br />

nel 1889. Nell'abbazia di Igny, occupata dal 1929 da monache cistercensi, dove si<br />

conservano le sue reliquie, si celebra la festa il 19 agosto. La sua produzione letteraria<br />

comprende una cinquantina di sermoni per l'anno liturgico e un breve trattato De<br />

LAnguore animae amantis. La sua dottrina spirituale può compendiarsi nel principio<br />

della formazione di Cristo nell'anima ad imitazione della Madre del salvatore. Il fascicolo<br />

J del tomo XIX (1957) dei Collectanea Ordinis <strong>Cistercensi</strong>um rejormatorum è<br />

interamente dedicato a Guerrico di Igny, in occasione dell'ottavo centenario della<br />

morte. Vi si trova tra l'altro la lista di tutti i manoscritti delle sue opere e delle<br />

loro diverse edizioni.<br />

- 253-


tu sei capace non solamente di conservare il mio deposito ma anche<br />

di rendermelo al centuplo e di aggiungervi la vita eterna.<br />

Beati voi, poveri nello spirito, che secondo il suggerimento del<br />

Consigliere ammirabile avete ammassato tesori in cielo, perché, se i<br />

vostri tesori fossero rimasti sulla terra, i vostri cuori avrebbero conosciuto<br />

come loro la corruzione. «Dove è il tuo tesoro» dice infatti<br />

il Signore, « là sarà anche il tuo cuore ».<br />

Seguano dunque, seguano i cuori i loro tesori; sia fisso in atto<br />

il pensiero e l'attesa sia affidata a Dio, così che anche a voi sia dato<br />

di poter dire con l'Apostolo: «La nostra patria è il cielo, donde<br />

inoltre aspettiamo il Salvatore».<br />

O atteso delle genti, «coloro che ti attendono non saranno confusi<br />

». I nostri padri ti aspettarono, tutti i giusti dall'origine del mondo<br />

« in te confidarono e non furono confusi ». Già infatti, quando la tua<br />

misericordia fu accolta nel mezzo del tuo tempio, dei cori gioiosi fecero<br />

intendere le loro lodi e cantarono: «Benedetto colui che viene<br />

nel nome del Signore». «Con ansia attesi il Signore, ed egli si è<br />

rivolto verso di me ». Poi, riconoscendo la maestà divina nell'umiltà<br />

della carne dicono: «Ecco il nostro Dio; lo abbiamo atteso ed egli<br />

ci salverà; questi è il Signore nel quale abbiamo sperato; rallegriamoci<br />

e gioiamo della sua salvezza ».<br />

Come la chiesa aspettava il primo avvento negli antichi giusti,<br />

così aspetta il secondo nei nuovi; e come nel primo era certa di vedere<br />

il prezzo della redenzione, cosi essa è ugualmente sicura che il secondo<br />

le apporterà il frutto della rimunerazione: e sciolta, nell'attesa di<br />

questa speranza, dalle cose terrene, essa aspira tanto felicemente quanto<br />

ardentemente ai beni eterni. Quando dunque alcuni si affrettano<br />

a cercare la loro felicità in questa vita e, senza attendere che si<br />

compia il disegno del Signore, si precipitano per impadronirsi del bottino<br />

che offre loro questo mondo, «beato l'uomo che ha riposto<br />

la sua speranza nel Signore e che non ha gettato il suo sguardo alle<br />

vanità e ai falsi inganni », «si tiene lontano dalle loro vie come da<br />

immondizie », sapendo che «è meglio essere umiliato con i miti che<br />

dividere il bottino coi superbi ». E, parlando tra sé e sé, si consola<br />

dicendo: «Mia porzione è il Signore, ha detto la mia anima, perciò<br />

voglio sperare in lui». «Buono è il Signore con coloro che sperano<br />

in Lui, con l'anima che lo cerca. Buona cosa è per l'uomo aspettare in<br />

silenzio la salvezza del Signore. Si strugge quindi per la salvezza che<br />

viene da te l'anima mia, ma io spero nella tua parola ».<br />

È scritto infatti: «La speranza prolungata fa male al cuore »;<br />

- 254-


ma benché sia stanca per la dilazione del desiderio, tuttavia è sicura<br />

della promessa. Sperando in essa e ponendo in essa ogni mia attesa,<br />

aggiungerò speranza a speranza, cosi come si aggiunge senza fine tribolazione<br />

a tribolazione rinvio a rinvio. Perché io sono certo che « Egli<br />

apparirà alla fine e non ci ingannerà», Per questo se Egli si fa attendere,<br />

io l'attenderò, perché « verrà colui che deve venire e non tarderà» al<br />

di là del tempo stabilito ed opportuno.<br />

Ma qual è questo tempo opportuno? Quando sarà completo il<br />

numero dei nostri fratelli e quando sarà consumato il tempo della misericordia<br />

accordato per il pentimento. Ascolta Isaia, spesso introdotto<br />

nel consiglio divino, per quale motivo veramente il Signore differisce<br />

il giudizio: «Perché, dice, il Signore brama di farvi grazia, per questo<br />

si alza, per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore.<br />

Beati coloro che sperano in Lui »!<br />

Vedi, se sei saggio, come impiegare la tregua di questa dilazione:<br />

se sei peccatore essa ti è stata donata per fare penitenza e non per<br />

vivere nella indifferenza; se sei santo, per avanzare nella santità e non<br />

venir meno nella fede. Se, infatti, « il servo malvagio dicesse in cuor<br />

suo: (il mio padrone tarda' e si mettesse a picchiare i servi suoi<br />

compagni, a mangiare e bere come gli ubriaconi, il padrone del servo<br />

verrà nel giorno in cui quello non l'aspetta e nell'ora che quello non<br />

conosce e lo punirà severamente, facendogli subire la sorte degli ipocriti.<br />

Là saranno pianto e stridore di denti ».<br />

L'uomo infatti non conosce la sua ora: «Come pesci che incappano<br />

in una rete maledetta e come uccelli presi al laccio », cosi gli uomini,<br />

dice Salomone, «sono catturati dalle disavventure che d'improvviso li<br />

assalgono ».<br />

Ma perché non accada che la dilazione imposta alla speranza affievolisca<br />

la nostra fede e renda inquieta la nostra pazienza, o che noi<br />

diveniamo simili a coloro che credono per un certo tempo e che si<br />

ritirano poi al momento della tentazione, ecco che Colui che ci dona<br />

la fede, Colui che dopo avercela donata la prova, e che dopo averla<br />

provata la corona, ci grida dall'alto del cielo: «Chi avrà creduto non<br />

abbia fretta» di vedere ciò in cui ha creduto.<br />

Se infatti ciò che non possiamo ancora vedere noi lo speriamo,<br />

attendiamo con pazienza. Per questo il Signore per bocca di Osea<br />

comunica alla sua Sposa) che è sua Sposa nella fede, queste parole:<br />

« Per molti giorni mi aspetterai, non prostituirti e non darti ad alcuno ».<br />

Questo appunto è aspettare veramente il Signore, se, conservando la<br />

fede in Lui, sebbene privi della consolazione della sua presenza, non<br />

seguiamo la seduzione, ma dimoriamo sospesi al suo ritorno. Cosi<br />

- 255-


infatti dice il Signore nello stesso profeta: «Il mio popolo sarà sospeso<br />

al mio ritorno ».<br />

Sospeso, espressione bella ed esatta, che significa vivere come tra<br />

cielo e terra: benché infatti non sia possibile ancora impossessarci<br />

dei beni celesti, non vogliamo tuttavia toccare le cose della terra. E<br />

se talvolta le toccheremo questo non accadrà se non per la punta<br />

dei piedi, cioè per la parte inferiore dell'anima, a motivo della nostra<br />

natura corrotta alla quale siamo costretti servire finché «la creazione,<br />

contro sua voglia, è sottomessa alla vanità ».<br />

Si dice comunemente: il male attende chi è sospeso. Ma io dico:<br />

felicemente attende chi è così sospeso.<br />

«Per questo la mia anima ha preferito essere sospesa, e le mie<br />

ossa aspettano la morte in questa sospensione ». Possa io meritare di<br />

essere sospeso continuamente a questa croce, finché vi muoia.<br />

Signore Gesù, quando, liberamente, andasti ad offrire la tua vita,<br />

dipendendo dalla tua volontà il genere di morte che realizzava questo<br />

dono, la tua anima scelse di essere sospesa, perché, così elevato da terra,<br />

tu ci attirassi a te e ci innalzassi dalle cose terrene. Di più, tu non<br />

hai permesso di essere deposto dalla croce prima di essere morto,<br />

affinché anche noi perseverassimo sulla croce fino alla morte e perché<br />

dalla croce, come da un alto gradino, ci fosse più facile salire al cielo.<br />

Signore Gesù, ti siano rese grazie. I vi siamo ed ivi ti attendiamo:<br />

non Elia il profeta che venga a farci scendere, ma Elia, cioè il Signore<br />

nostro, perché ci prenda.<br />

« Ancora un poco, ancora un poco »; ma se tu «comandi e raccomandi»,<br />

io, una volta per tutte, ho fatto affidamento alle tue promesse;<br />

tuttavia «vieni in aiuto alla mia incredulità», perché, dimorando<br />

là, immobile, io ti attenda e ti attenda sempre, finché veda<br />

ciò che credo. Si, « io credo di poter contemplare la bontà del Signore<br />

nella terra dei vivi ».<br />

E tu, lo credi?<br />

Allora « attendi il Signore, comportati virilmente, che il tuo cuore<br />

si fortifichi ed attenda con pazienza il Signore ». Ma «guai a coloro<br />

che avendo perduto la pazienza si sono smarriti nelle vie della malvagità<br />

». Cosa faranno quando il Signore comincerà il suo giudizio?<br />

Perché infatti se egli richiede una lunga pazienza, altrove promette<br />

di tornare presto. Da una parte vuole educarci alla pazienza, dall'altra<br />

confortare gli scoraggiati, spaventare i negligenti e svegliare i pigri.<br />

«Ecco, dice, vengo presto e porto con me la mercede che darò ad<br />

ognuno secondo le sue opere ». Poi parlando a Gerusalemme: «Presto<br />

- 256-


verrà la tua salvezza, perché ti lasci consumare dal dolore? » Ed è<br />

'vero: «Il tempo si è fatto breve », soprattutto per ciascuno di noi,<br />

benché sembri lungo a chi si consumi, sia per il dolore, sia per l'amore.<br />

Cosi è necessario alla nostra fede sia di temere il giudice che è prossimo,<br />

e, forse per me, forse per te, « è già alla porta »; sia, se tarda,<br />

attendere con pazienza.<br />

«Verrà certamente» questo Signore, oggetto del nostro timore<br />

e del nostro desiderio, riposo e ricompensa di coloro che soffrono,<br />

dolcezza ed abbraccio di coloro che amano, beatitudine di tutti: il Salvatore<br />

nostro Gesù Cristo, che vive e regna per tutti i secoli dei<br />

secoli. Amen!<br />

2. «Sermone per l'Avvento del Signore» (II)<br />

« Ecco il Re viene; corriamo incontro al nostro Salvatore ». Molto<br />

bene dice Salomone: «Come acqua fresca per chi ha sete sono le<br />

buone notizie da un paese lontano ». Buon messaggero, certo, colui<br />

che annuncia la venuta del Salvatore, la riconciliazione del mondo e<br />

i beni del tempo futuro. « Beati sono i passi di coloro che annunciano<br />

la pace, di coloro che annunciano la buona novella ». Non c'è infatti<br />

un solo messaggero, bensl un gran numero, e tutti animati dal medesimo<br />

Spirito. Coloro che ci sono stati mandati dall'inizio del mondo formano<br />

una lunga catena e tutti hanno una sola voce, un solo messaggio:<br />

«viene, ecco che viene! ».<br />

E in verità, fratelli cari, è nell'esultanza dello spirito che bisogna<br />

andare incontro al Cristo che viene, salutandolo già ora di lontano,<br />

o meglio rendendo il saluto a colui che «manda la salvezza a Giacobbe<br />

». «Non avrai vergogna di salutare un amico », dice la sapienza;<br />

a maggior ragione quindi se si tratterà di restituirgli il saluto.<br />

«O salute del mio volto, e mio Dio! ». Quale condiscendenza<br />

l'aver salutato i tuoi servitori, ma più ancora l'averli salvati! Perchè<br />

non sarebbe stato per noi di salute, se indirizzandoci dei saluti, tu<br />

non ci avessi donato la salvezza. Ma tu ce l'hai donata, non solo salutandoci<br />

dapprima con le parole di pace e poi con il bacio della pace,<br />

cioè con la tua unione alla carne, ma anche operando la nostra salute<br />

attraverso la morte di croce.<br />

Si levi dunque il nostro spirito in un trasporto di gioia, corra<br />

incontro al suo Salvatore e già di lontano adori e saluti colui che<br />

viene. Acclami e gli dica: «O Signore, salvami; o Signore, liberami;<br />

benedetto Colui che viene nel nome del Signore ».<br />

- 257-


Salve a te, che vieni a salvarci; benedetto sii tu che vieru a<br />

benedirci.<br />

Dunque, o Signore, sia propìzia la tua missione, tu che vieni<br />

incontro al genere umano così benigno e salvatore. «Volgiti, avanza<br />

con fiducia e regna ». Che il Padre, «Dio della nostra salvezza» ti<br />

renda «prospero il cammino». «Prospererà» - dice il Padre -<br />

«in tutto quello per cui l'ho inviato », non secondo i desideri degli<br />

uomini carnali e nemmeno secondo la volontà di Pietro, il quale aborriva<br />

che dovesse partire. «Tutto quanto farà prospererà», non secondo<br />

la volontà degli uomini, ma per la loro autentica salvezza. « Vana »,<br />

«è la salvezza dell'uomo », poiché «di Dio è la salvezza », di Colui<br />

che ha operato la salvezza nel suo sangue, effondendolo in riscatto e<br />

donandocelo come bevanda.<br />

Vieni quindi, o Signore; « Salvami ed io sarò salvo»; vieni, « Fa'<br />

brillare il tuo volto e saremo salvi »; «Te infatti abbiamo atteso:<br />

sii la nostra salvezza nel tempo dell'angustia ». I profeti e i giusti<br />

andavano incontro a Cristo (che doveva venire) con tale desiderio e affetto<br />

che avrebbero voluto, se fosse stato possibile, vedere con i propri<br />

occhi ciò che già vedevano con lo spirito.<br />

Per questo il Signore diceva ai suoi discepoli: «Beati gli occhi<br />

che vedono ciò che voi vedete, poiché vi dico che molti profeti e<br />

giusti vollero vedere ciò che voi vedete e non lo videro». Anche<br />

Abramo, nostro padre, esultò nel vedere il giorno di Cristo. «Lo<br />

vide », ma dagli inferi, « e ne godette ». C'è di che farci arrossire per<br />

il torpore e la durezza del nostro cuore se non aspettiamo veramente<br />

nel gaudio spirituale il giorno anniversario della nascita di Cristo, giorno<br />

che ci è promesso di vedere ben presto, se a Dio piacerà.<br />

La Scrittura sembra esigere che la nostra gioia sia così grande<br />

che il nostro spirito, elevandosi al di sopra di se stesso, arda di slanciarsi<br />

in qualche modo incontro al Cristo che viene, e, proteso in<br />

avanti per il desiderio, si sforzi, quasi con impazienza, di scorgere<br />

colui che sta per venire. Noi siamo invitati ad andargli incontro in<br />

tanti passi della Scrittura, ed io penso che questo non valga solamente<br />

a riguardo del secondo avvento, ma anche a proposito del primo.<br />

Così come andiamo incontro al secondo avvento nel «movimento»<br />

e nell'esultanza del corpo, occorre che noi andiamo incontro al<br />

primo nell'affetto e nell'esultanza del cuore. Sapete infatti che nella<br />

risurrezione, dopo aver ricevuto dei corpi rinnovati, come insegna l'Apostolo:<br />

«Saremo rapiti sulle nubi in cielo incontro a Cristo e così<br />

saremo sempre col Signore». Ma già ora le nubi non mancano per<br />

- 258-


poter elevare i nostri spiriti verso le regioni più alte se essi non saranno<br />

troppo pigri e attaccati alla terra, ed essere così, almeno per una mezz'ora,<br />

con il Signore.<br />

La vostra stessa esperienza, se non mi sbaglio, comprende ciò<br />

che dico. Quel giorno in cui « le nubi fecero udire la loro voce », cioè<br />

risuonarono nell'assemblea le voci dei Profeti o degli Apostoli, non<br />

sono stati elevati i vostri spiriti, portati per così dire come dalle nubi<br />

verso altezze sublimi? Non vi è accaduto di essere rapiti fino a contemplare,<br />

per quanto poco, la gloria del Signore?<br />

Allora, se non mi sbaglio, voi avete provato come sia vera quella<br />

parola che il Signore ha fatto piovere da quella nube e per la quale<br />

egli ci fornisce quotidianamente un mezzo per elevarci: «Il sacrificio<br />

di lode mi onora, e a chi prende la via buona mostrerò la salvezza<br />

di Dio ».<br />

E così si realizza che il Signore venga a voi prima del suo ritorno,<br />

e vi visiti nell'intimo prima che questo avvenga per il mondo<br />

intero. « Non vi lascerò orfani », aveva detto, « vado e ritorno a voi »<br />

Ora la frequenza di questo avvento intimo del Signore, durante il<br />

tempo intermedio tra il primo ed il secondo, varia a seconda del merito<br />

e della diligenza di ciascuno; esso inoltre ci rende conformi alla prima<br />

venuta e ci prepara al ritorno.<br />

Perciò se egli viene in noi in questo modo, è perché il suo primo<br />

avvento non sia avvenuto invano e perché nel momento del suo ritorno<br />

non venga verso di noi nella collera. In questo avvento si adopera a<br />

riformare il nostro spirito pieno di orgoglio, rendendolo simile al suo<br />

spirito, colmo di quella umiltà che ha mostrato nella sua prima venuta,<br />

al fine di « riformare il nostro· corpo di miseria e configurarlo al Suo<br />

corpo rivestito della gloria », che manifesterà quando tornerà la seconda<br />

volta.<br />

Certo noi dobbiamo desiderare con tutto il nostro impegno e<br />

ricercare con tutti i nostri sforzi questa intima venuta che ci comunica<br />

la grazia del primo avvento e ci promette la gloria del secondo. Poiché<br />

«Dio ama la misericordia e la verità, il Signore donerà la grazia e<br />

la gloria ». Per la sua misericordia egli ci donerà la grazia, per la sua<br />

verità ci concederà la gloria.<br />

L'avvento spirituale, sia per il posto che occupa nel tempo, sia per<br />

l'analogia che fonda la sua somiglianza con entrambi, tiene il centro<br />

tra i due avventi corporali. Come intermediario esso partecipa, per<br />

così dire, della natura dell'uno e dell'altro. Infatti il primo avvento<br />

è stato nascosto ed umile, iI secondo sarà manifesto e splendente; quel-<br />

- 259-


lo invece è sì, nascosto, ma splendente. Lo posso dire nascosto<br />

non perché colui che Egli visita lo ignori, ma perché Egli. viene nel<br />

segreto. Perciò questa anima radiante si glorifica nella sua gloria e<br />

dice in se stessa: «Il mio segreto è per me; il mio segreto è per me ».<br />

Ma quello stesso nel quale egli viene non può vederlo prima di goderlo;<br />

come dal canto suo proclama il beato Giobbe: «Se egli viene<br />

a me io non lo vedo; e se egli si allontana io non me ne accorgo ».<br />

Non lo vede venire, non si accorge della sua dipartita; unicamente<br />

quando è presente, egli è per l'anima una luce che le fa vedere l'invisibile<br />

e conoscere l'inconoscibile. Quanto, d'altra parte, questo avvento<br />

del Signore sia splendente, sebbene nascosto; in qual dolce e<br />

gioioso stupore esso sospenda e rapisca l'anima che lo contempla; in<br />

che modo tutte le fibre dell'uomo interiore gli acclamino: «Signore,<br />

chi è simile a te?; tutto questo lo sanno coloro che l'hanno provato.<br />

Quanto a coloro che non l'anno provato, possano essi avere un vero<br />

desiderio di farne l'esperienza, purché questo non sia una curiosità temeraria<br />

che li porti a scrutare la maestà col rischio di essere oppressi<br />

dalla gloria, ma sia un amore pieno di rispetto, che faccia sospirare<br />

il diletto per essere accolti dalla grazia. Perché «il Signore sostiene<br />

i mansueti ed umilia gli empi fino a terra; resiste agli orgogliosi ma<br />

agli umili concede la grazia».<br />

Se il primo avvento dunque è stato quello della grazia, e il secondo<br />

sarà quello della gloria, senza dubbio questo è insieme l'avvento<br />

della grazia e della gloria. Esso ci procura, per la grazia che ci consola,<br />

come una pregustazione della gloria futura. Se nel primo il Signore<br />

della maestà si è dimostrato «disprezzabile », e se nel secondo dovrà<br />

apparire temibile, in questo avvento intermedio egli appare ammirabile:<br />

la condiscendenza della grazia che lo rende amabile non l'espone<br />

al disprezzo, ma all'ammirazione; e la magnificenza della gloria che<br />

lo farà apparire ammirabile non ispira la paura, ma piuttosto la consolazione.<br />

Il primo avvento fece dire ai Giudei: «Lo abbiamo visto, ma<br />

non aveva apparenza né bellezza, perciò noi non l'abbiamo stimato».<br />

Il secondo spaventerà anche il giusto, che dice: «E chi reggerà<br />

al suo apparire? ». Di questo invece dice l'Apostolo: «Rispecchiando<br />

la gloria del Signore siamo trasformati nella sua stessa immagine, di<br />

gloria in gloria, come si addice al Signore che è Spirito ».<br />

Momento mirabile ed amabile, quando Dio amore penetra nell'intimo<br />

di colui che ama, quando lo Sposo stringe la Sposa nell'unione<br />

dello spirito, e quando si trova trasformata in quella stessa immagine<br />

- 260-


attraverso la quale, «come in uno specchio », contempla la gloria<br />

·del Signore.<br />

Beati coloro che per la loro ardente carità hanno già meritato di<br />

ottenere questo favore; ma beati anche coloro che per la loro santa<br />

semplicità possono sperare di ottenerlo un giorno. Gli uni, godendo<br />

già del frutto dell'amore, gustano un sollievo nella loro fatica; gli altri,<br />

con un merito forse tanto più grande quanto per il momento sono in<br />

un minore sollievo, portano « il peso della giornata e il caldo» attendendo<br />

l'avvento della rimunerazione.<br />

Noi, fratelli, che non abbiamo ancora la consolazione di una esperienza<br />

cosi elevata, « affinché siamo pazienti fino alla venuta del Signore<br />

», abbiamo ora almeno la consolazione di una fede certa e di una<br />

coscienza pura, pronti a dire come Paolo, con altrettanta felicità e<br />

fedeltà: «So in chi ho riposto la mia fiducia e sono convinto che egli<br />

può custodire il mio deposito fino a quel giorno, nell'attesa della beata<br />

speranza e della manifestazione gloriosa del grande Iddio e Salvatore<br />

nostro Gesù Cristo ».<br />

A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.<br />

- 261-


CRONACA<br />

1. CONGREGAZIONE DI CASAMARI<br />

Capitolo Generale (24 luglio - 1 settembre)<br />

Il primo settembre scorso si è chiuso a Casamari il Capitolo Generale<br />

ordinato dalla Congregazione, che si celebra ogni tre anni. Essendo<br />

iniziato il 24 luglio, è certamente il Capitolo Generale più lungo nella<br />

storia della Congregazione, se si eccettua il Capitolo straordinario che<br />

si svolse però nell'arco di tre anni consecutivi.<br />

I 31 padri capitolari presenti (a cui si devono aggiungere due assenti:<br />

il Priore di Claraval in Brasile e di Cotrino) sono stati occupati in<br />

57 sessioni per un complessivo di 200 ore, a cui si devono aggiungere<br />

varie ore di lavori svolti dalle Commissioni. Le votazioni sono state<br />

1033. Sono state approvate ad interim le nuove Costituzioni, che, dopo<br />

un periodo di prova verranno riesaminate e approvate dal Capitolo del<br />

1976; sono stati rivisti molti deliberti capitolari e sono state prese<br />

nuove decisioni organizzative e disciplinari. È stata rinnovata la Commissione<br />

liturgica e quella Studi ed è stata fatta una nuova commissione<br />

con l'incarico di seguire nelle varie case l'attuazione delle Costituzioni,<br />

raccogliendo ogni elemento utile per la revisione da operarsi prima dell'approvazione<br />

definitiva.<br />

a) Nuove Costituzioni<br />

Nei 152 articoli del nuovo testo costituzionale viene tracciato il<br />

quadro base dell'organizzazione e della vita della Congregazione di Casamari<br />

e dei suoi monasteri.<br />

Si tratta di una Congregazione monastica a norma del diritto ecclesiastico<br />

con tutti gli oneri e le prerogative che le competono. Essa, assieme<br />

alle altre Il Congregazioni (austriaca, tedesca, italiana, olandese, francese,<br />

boema, ungherese, spagnola, polacca, brasiliana e vietnamita)<br />

e al monostero di New Ringgold forma l'Ordine Cistercense.<br />

Numerosi sono i punti in cui le nuove costituzioni differiscono dalle<br />

vecchie, ma le mutazioni più sostanziali riguardano l'autonomia delle<br />

case, la stabilità dei monaci e la composizione del Capitolo Generale.<br />

Nella tradizione benedettina ogni monastero ha una sua personalità<br />

con personale proprio e completa autonomia amministrativa e disci-<br />

- 262-


plinare: è un piccolo mondo a sé per quanto possibile autosufficiente. Il<br />

monaco entra in un monastero e in esso trascorre tutta la sua vita con<br />

una stabilità che promette unitamente all'obbedienza al superiore e dalla<br />

quale soltanto per casi eccezzionali potrà essere dispensato. Questo principio<br />

realizzato giuridicamente nelle Costituzioni vecchie, anche se mai<br />

attuato in pratica è stato mutato nelle nuove costituzioni abolendo la stabilità<br />

nei monasteri per trasferirla alla Congregazione nel suo insieme.<br />

Con questa si è tolta alle case buona parte di quella autonomia<br />

che avrebbero dovuto godere secondo la Regola benedettina, lasciando<br />

loro solo l'autonomia economica e, in parte quella disciplinare.<br />

Ogni monaco, anche se affidato ad una certa casa in modo abbastanza<br />

stabile, dipende sempre dal governo centrale che lo può trasferire da<br />

una casa all'altra qualora ci siano dei motivi di un certo rilievo. Il<br />

superiore della casa autonoma, di per se abate, viene eletto dalla comunità<br />

per un periodo di nove anni e al termine del suo ufficio rimane nella<br />

casa che ha governato, come semplice monaco, anche se fosse stato prima<br />

abate. Queste case potranno avere delle case dipendenti. Questo stato di<br />

dipendenza però deve essere temporaneo perché ogni casa deve giungere<br />

alla autonomia prevista dalle costituzioni.<br />

Per il Capitolo Generale si è pensato ad una maggiore rappresentatività<br />

di tutte le case della Congregazione sanzionando (art. 109) la partecipazione<br />

dei delegati nella misura di 1 ogni 20 monaci, riducendo<br />

la partecipazione in virtù di incarichi esercitati nella Congregazione<br />

nel passato e per titoli di benemerenza.<br />

b) Deliberazioni Capitolari<br />

Le decisioni riguardanti la vita delle varie case della Congregazione<br />

sono prese mediante « deliberati» che vengono rivisti dal Capitolo immediatamente<br />

seguente. Dopo essere stati approvati da due Capitoli diventano<br />

leggi stabili fino ad abrogazione. Dei deliberati del Capitolo<br />

1968-1970 alcuni erano caduti per la temporaneità della decisione, alcuni<br />

sono stati confermati, altri infine sono stati riveduti e modificati. Le cose<br />

di maggior interesse sono:<br />

1. un nuovo tipo di case non previste dalle Costituzioni, né dall'uso<br />

della Congregazione: le « residenze ». Si tratta di case non destinate<br />

a diventare autonome e sedi di opere particolari di ordine sia spiri-<br />

- 263-


tuale che temporale. Sono governate da superiori, non da Priori;<br />

(purtroppo nel calendario dell'Ordine non è stata tenuta presente<br />

questa distinzione, e una residenza, quella di Roma è stata messa<br />

tra le case dipendenti e un'altra, quella di Keren, non è stata neppure<br />

nominata).<br />

2. Il monaco che accetta di essere Superiore di una casa autonoma viene<br />

a fare parte stabilmente di questa casa, anche dopo lo scadere del<br />

suo mandato di superiore.<br />

3. L'osservanza della Quaresima è lasciata all'iniziativa delle singole<br />

case che devono stabilire cosa intendono fare circa l'astinenza dalle<br />

carni e gli altri esercizi di mortificazione, come pure per la beneficenza<br />

da farsi in maniera tutta particolare in questo tempo ai biso-<br />

. gnosI.<br />

4. Capitolo per le case dipendenti che contano almeno 6 membri. Queste<br />

case avranno un loro capitolo deliberativo dovranno però essere sottomesse<br />

al « consiglio » della casa madre per la ratifica.<br />

5. Sacra liturgia. Si è cercato di dare un nuovo impulso alla vita liturgica.<br />

È stato al riguardo liberalizzato l'uso della lingua italiana: essa<br />

può venire usata sia nella Messa che nell'Ufficio divino quando la<br />

comunità lo ritenga opportuno per esigenze particolari.<br />

c) Commissioni<br />

Sono state rinnovate le Commissioni per la S. Liturgia e. quella<br />

degli studi, ed è stata istituita una nuova commissione per le Costituzioni<br />

da rivedere:<br />

1. Commissione liturgica: P. Dionisio Raponi, P. Ugo Tagni e P. Mala-<br />

. chia Falletti.<br />

2. Commissione degli studi: P. Atanasio Taglienti, P. Tarcisio Pagliarella,<br />

P. Arnaldo Rossi, P. Ludovico Valenti.<br />

3. Commissione per la revisione delle Costituzioni: P. Nazareno Pistilli,<br />

P. Malachia Falletti, P. Goffredo Viti.<br />

- 264-<br />

P. MALACHIA FALLETTI


2. PRESENTAZIONE DI UN LIBRO IN CERTOSA (27 ottobre)<br />

LUCIANO CASELLA, La Toscana nella guerra di liberazione Firenze 1973.<br />

La manifestazione, organizzata dall'Associazione Italiana Volontari<br />

della Libertà il giorno 27 ottobre 1973, ha dato l'avvio ad alcune iniziative<br />

programmate per ricordare il 30° anniversario della liberazione di<br />

Firenze e della Toscana. In questa occasione, oltre a rivolgere particolare<br />

attenzione ai giovani d'oggi, per rispondere in parte alle loro preoccupazioni<br />

e alle loro perplessità, non sempre apertamente espresse, si è voluto<br />

anche ritemprare in molti « antichi giovani », un tempo coscientemente<br />

e dolorosamente impegnati in una « ribellione d'amore », la fiducia in<br />

una umanità civile, non dominata dai miti del denaro e della prepotenza.<br />

La prima attività ufficialedi questa Associazione, dopo la sua costituzione,<br />

ha voluto appunto costruire un dialogo tra il passato e il presente,<br />

affinché alcuni momenti della nostra storia, viventi ora nella Costituzione<br />

italiana, non abbiano il solo ruolo di riempire qualche pagina,<br />

anche drammatica, della cronaca italiana, né siano motivo per un discorso<br />

retorico, ma divengano meditazione appassionata ed esortazione dignitosa<br />

ad accogliere un'eredità di pensieri, di sofferenze, di speranze.<br />

Non è inutile un breve ripensamento su questo particolare passato,<br />

ma anzi esso è necessaria pausa prima d'intraprendere di nuovo, in tempi<br />

difficili, un'attività che vuole confermare una rinnovata fiducia nell'azione<br />

degli uomini del nostro tempo.<br />

Questo è stato il messaggio avvertito nelle parole del presidente<br />

dell'associazione, Guido Belli, il quale ha impostato, con contenuta commozione,<br />

ma anche con molto realismo, l'argomento della Resistenza oggi,<br />

patrimonio spirituale comune a tutti gli italiani, anche quando sembrano<br />

dimentichi di aver vissuto, tutti insieme, un momento tragico che vide<br />

meravigliosamente accanto gli italiani di ogni fede, uniti nella volontà<br />

di fare una società nuova, ricostruendo sulle macerie lasciate da una<br />

dittatura e da una guerra.<br />

Per avvalorare l'intento dei promotori dell'associazione in questa<br />

prima riunione, si è fatto un riferimento concreto al libro di Luciano<br />

Casella « La Toscana nella guerra di liberazione », di recente edizione,<br />

un'opera storica di grande valore che presenta in un racconto organico e<br />

appassionato, le vicende della Toscana dal 1943 al 1945; mentre a don<br />

Angeli autore di « Vangelo nei lager », è stato richiesto di parlare delle<br />

sue vicende personali nel periodo della Resistenza.<br />

Tre giovani, Alessandro Corsinovi, Giovanni Pallanti, Maria Cristina<br />

Passaponti hanno parlato per la nuova generazione e sono riusciti<br />

- 265-


a gettare un ponte tra il presente e il passato. I loro discorsi hanno avuto<br />

impostazioni diverse, ma si sono completati nelle riflessioni: sensibilità<br />

nella rievocazione delle vicende storiche del 1943-1944; constatazione che<br />

certi fatti acquistano rinnovato significato quando vengono riesaminati<br />

dinanzi a persone che li vissero realmente; equilibrio e fermezza nell'analisi<br />

della posizione dei giovani di oggi di fronte a questo passato, fondamento<br />

primo della nostra Costituzione; necessità di mantenere in qualche<br />

modo viva una parte così costruttiva delle vicende italiane; coraggio nel<br />

criticare alcune debolezze della vita pubblica, soprattutto la mancata valorizzazione<br />

dell'azione dei giovani cattolici nella resistenza.<br />

Col suo intervento l'avv. Franchini, presente alla manifestazione<br />

come rappresentante della Federazione Italiana Volontari della Libertà,<br />

ha fatto rivivere tutta quella carica di entusiasmo che animò i partigiani<br />

ma ha anche insistito sulla volontà di tutti per superare l'attuale sfiducia<br />

in ogni valore spirituale.<br />

Sulla necessità di un più attento impegno umano e sociale si è soffermato<br />

un altro giovane, mentre Carlo Campolmi ha dolorosamente ricordato<br />

la vicenda di « Radio Cora »; egli ne è rimasto unico superstite.<br />

Ultima voce autorevole in questa riunione è stata quella di don<br />

Angeli, il quale ha voluto soprattutto chiarire l'origine del suo antifascismo.<br />

Esso nacque non tanto da una scelta, ma da necessità, in quanto fu<br />

rifiuto della violenza; e quando tale rifiuto diventa parte integrante del<br />

nostro comportamento, esso ci obbliga logicamente ad accettarne tutte le<br />

conseguenze, anche le più dolorose. La sua fede nei valori umani come<br />

in quelli divini fu comune a tutti quei giovani di Livorno, dove egli era<br />

assistente della Fuci, che vollero dare con la loro azione una risposta logica<br />

e caraggiosa alla violenza.<br />

Così si è conclusa una riunione che ha avvicinato, direi quasi con<br />

rinnovata fiducia nell'umanità, sia coloro che hanno espresso il loro pensiero,<br />

sia i numerosi interventi, fra i quali molti partigiani e parenti di<br />

caduti della Resistenza.<br />

Pur nella rievocazione di violenze e di sofferenze, lievito ricco della<br />

nostra vita democratica, non vi sono state parole di odio: di sdegno, si.<br />

- 266-<br />

LUISA TERZIANI


3. CERTOSA DI FIRENZE (14 novembre)<br />

CONVEGNO SULLE UNIVERSITÀ STRANIERE A FIRENZE:<br />

RIFLESSIONI - CONSIDERAZIONI<br />

Le seguenti brevi riflessioni sono di un giovane universitario<br />

ventenne. Ammirevole è la sincerità che<br />

traspare nelle espressioni. Ci si augura che la proposta<br />

che egli [ormula alla fine delle riflessioni venga<br />

accolta e attuata dai responsabili del Centro Incontro<br />

della Certosa. (N.d.R.).<br />

Il convegno sulle Università straniere a Firenze indipendentemente<br />

da ogni considerazione politica o di convenienza è da considerarsi obiettivamente<br />

fallito.<br />

Fallito per un solo motivo: la mancata partecipazione di studenti<br />

stranieri.<br />

Questo dato di fatto impone tutta una serie di domande:<br />

1. perché non sono intervenuti gli stranieri?<br />

2. perché non sono intervenuti i giovani italiani?<br />

3. perché in sede di convegno non c'è stato dibattito?<br />

Alla prima domanda risponderei narrando un episodio occorsomi<br />

ilgiorno dopo ilconvegno, invitato ad una festa da un amico riincontrato<br />

proprio al convegno, faccio conoscenza di un buon numero di studenti<br />

stranieri ai quali chiedo (alcuni erano stati per un po' anche in Certosa)<br />

delucidazioni in merito a questa loro povera vita da eremiti a Firenze.<br />

Essi mi hanno risposto che erano veramente rimasti molto stupiti<br />

per tutto il clamore sollevato da queste polemiche iniziate sulla Nazione<br />

e proseguite in varie altre sedi fra cui la Certosa, polemiche che ritenevano<br />

veramente esagerate, perché, se è vero che Firenze è una città<br />

refrattaria nei confronti dei non fiorentini è altrettanto vero che gli<br />

studenti stranieri, ma è meglio dire agli studenti americani che di questa<br />

colonia straniera sono la maggior parte, non interessa assolutamente<br />

stabilire contatti duraturi con i fiorentini. Ciò per tre motivi: il primo<br />

è che gli studenti di madrelingua inglese sono convinti che non riveste<br />

alcuna importanza imparare lingue straniere dato che la loro è la più<br />

diffusa nel mondo (non riflettendo però che qualche italiano trascura i<br />

dolci suoni propri di Albione e si dedica all'idioma gallico od a quello<br />

germanico); il secondo è che i corsi frequentati da questi studenti durano<br />

- 267-


al massimo sei mesi e pare che siano abbastanza duri e che quindi<br />

lascino ben poco tempo a disposizione durante la settimana mentre, terzo<br />

motivo, durante i week-end partono per andare a visitare l'Europa.<br />

Per quanto riguarda la seconda domanda la risposta è ancora più<br />

semplice: non ci sono collegamenti fra Amici della Certosa e giovani<br />

fiorentini eccettuato due figli di due Amici (uno dei quali sono io) che<br />

hanno fatto del loro meglio per portare quanti più giovani potevano<br />

ma che più di portare dieci quindici persone non potevano veramente.<br />

Terza risposta: perché ad un pubblico di Italiani intervenuti ad<br />

un convegno organizzato per stranieri non importa molto, in assenza<br />

dei medesimi, di discutere di problemi che tutto sommato non interessano<br />

loro poi tanto.<br />

Per quanto riguarda le proposte fatte durante ilconvegno, non prendendo<br />

in considerazione l'unica proposta straniera presentata dal Prof.<br />

Licht di trasformare alcune stanze della Certosa in grazioso e lussuoso<br />

pub per americani (i pub poi sono inglesi) - ed appare evidente perché<br />

non viene nemmeno presa in considerazione -l'unica veramente valida<br />

è quella di ciclostilare ogni quindici giorni un bollettino sul quale siano<br />

riportate tutte le informazioni riguardanti manifestazioni culturali che .nel<br />

periodo immediatamente successivo avranno luogo a Firenze o nelle immediate<br />

vicinanze. Credo che questo bollettino sarebbe utile anche ai fiorentini.<br />

Ora invece vorrei fare una proposta discussa anche con alcuni altri<br />

giovani: nel gruppo degli amici della Certosa vi sono molte persone<br />

capaci di tenere una serie di lezioni « amichevoli » riguardanti problemi<br />

artistici e culturali, l'organizzare queste lezioni sarebbe un'ottima occasione<br />

per concretizzare l'azione del Centro di incontro della Certosa e<br />

sarebbe assicurata anche una certa presenza giovanile che - senza<br />

disconoscere i meriti di nessuno - è a mio parere in simili iniziative<br />

fondamentale.<br />

- 268-<br />

LUIGI SANTEDICOLA


L'INDUSTRIA DELLA LANA E DELLA SETA<br />

NELL'ABBAZIA DI CASAMARI<br />

di P. Placido Caputo<br />

NUOVO INDIRIZZO ECONOMICO NELL'ABBAZIA<br />

DI CASAMARI<br />

Il trentennio di governo abbaziale di D. Romualdo Pirelli (1790-<br />

1822)segnò una svolta decisiva nella storia dell'economia di Casamari.<br />

Il monastero, che per secoli aveva attinto le sue risorse esclusivamente<br />

dalla terra, a cominciare dalla fine del 1700, pur conservando il<br />

suo patrimonio terriero, orientò la sua attività anche verso l'industria<br />

a tipo artigianale.<br />

Il piano di sviluppo dell'abbazia, voluto e promosso da quel grande<br />

abate, tendeva a fare uscire il monastero dal ristretto ambiente della<br />

terra per inserirlo nel contesto economico-sociale dell'era industriale<br />

che allora muoveva i primi passi.<br />

Furono meriti dell'abate Pirelli: l'istituzione del lanificio, il potenziamento<br />

della farmacia, già esistente, ma da lui aperta al pubblico<br />

e riconosciuta dal Governo Pontificio, la ristrutturazione del settore<br />

zootecnico e agricolo che prevedeva un graduale aumento delle dimensioni<br />

aziendali.<br />

Alla direzione settoriale furono preposti non dei monaci «praticoni<br />

» o dalle « capacità generiche », ma quelli che avevano una preparazione<br />

specifica. Sono di quest'epoca i «monaci tessitori », addestrati<br />

sotto la guida di valenti maestri; i « monaci speziali » che attraverso<br />

corsi professionali uscivano con la qualifica di matricolati dalla<br />

Sapienza di Roma o dagli Atenei di Napoli.<br />

Inoltre vi erano i «fratelli di campagna », i legatori e i conciatori<br />

di pelli 1, in possesso anche questi ultimi di adeguate cognizioni<br />

inerenti al proprio mestiere.<br />

Ricordiamo che i monaci conciatori si resero benemeriti della Curia<br />

Romana con le pergamene da loro confezionate nella conceria di Casamari.<br />

Queste, oltre ad avere varie destinazioni, erano dirette anche<br />

a Roma per fornire gli uffici dei Palazzi Apostolici 2 e quelli della<br />

1 Archivio di Casamari, Epistolario di G. De [acobis, pp. 71, 104, 149, 152, 157,<br />

160, 165. Inoltre si registra che nel 1795, l'Ab. Pirelli acquista da Gioacchino Oddi<br />

di Roma UDa «balla di pelli di lepre », Archivio di Casamari Lanificio-Bilancio, Cartulario<br />

1, p. 15.<br />

2 Archivio di Casamari, ibidem, p. 108.<br />

- 269-


Dataria 3. Le pergamene di Casamari erano usate per le bolle papali<br />

e per altri documenti della Santa Sede.<br />

Lasciando da parte le altre attività monastiche delle quali ci proponiamo<br />

di farne oggetto di ulteriori studi, passiamo senz'altro ad<br />

occuparci dell'industria della lana e della seta.<br />

Non abbiamo notizie circa la data precisa della fondazione del<br />

lanificio e del setificio di Casamari. È documentato però, che il primo<br />

fu istituito fin dagli inizi del governo dell'abate Pirelli (1790)·, mentre<br />

il setificio è più antico.<br />

Comunque, nei primi anni dopo il 1800 l'abbazia era allineata<br />

nella schiera dei numerosi lanifici della Ciociaria e della Valle del Liri.<br />

In quell'epoca i prodotti tessili dei monaci, già si imponevano sulla<br />

piazza per la loro varietà e per la finezza della lavorazione.<br />

L'industria laniera fu molto fiorente prima della soppressione del<br />

monastero da parte di Napoleone (1811-1814), ma anche dopo riuscl<br />

ad affermarsi come prima specialmente per opera dei suoi valenti monaci<br />

tessitori.<br />

Questa attività impegnava diversi monaci, e spesso anche laici,<br />

con una produzione annua, di coperte e di altre stoffe abbastanza considerevole,<br />

fino al punto che il lanificio e setificio di Casamari erano in<br />

grado di essere i fornitori, quasi esclusivi, di alcuni negozi ed ospedali<br />

di Roma.<br />

Nell'abbazia, la lavorazione della lana e della seta, organizzata<br />

sul tipo dell'artigianato locale, praticamente continuava le tradizioni<br />

proprie di Terra di Lavoro, e in particolare della Valle del Liri, perciò<br />

la sua impostazione generale non si differenziava molto dagli altri<br />

lanifici e setifici della zona.<br />

A questo punto è utile rilevare che le attività industriali rimesse<br />

in vigore dal Pirelli, oltre ad attribuirsi alla genialità propria di quell'abate<br />

e alle nuove iniziative economiche del secolo, in fondo si ispiravano<br />

ad un'antica tradizione monastica, la quale, anche se aveva subito<br />

le alternative delle vicende storiche, non si era spenta mai del tutto s.<br />

Facendo un salto nei secoli passati, sappiamo che i monaci di<br />

Casamari erano agricoltori e pittori, fornai e architetti, calzolai e scul-<br />

3 Archivio di Casamari, ibidem, pp. 108-124.<br />

4 Archivio di Casamari, Carteggio personale dell'Ab. Pirelli, Testamento del Pirelli,<br />

nel quale, tra le ultime volontà lasciate al successore, dice: «Se continuerà il piccolo<br />

lanificio da me introdotto, non si servi dei monaci per lo smercio... », p. 162.<br />

5 U. BERLIÈRE L'Ordine monastico dalle origini al secolo XII, Bari, 1928, p. 213.<br />

- 270-


tori, conciatori di pelli e infermieri, tessitori e tintori, pastori di pecore<br />

e trascrittori di codici, fabbri e intarsiatori.<br />

I famosi cimeli, di inestimabile valore, che facevano parte del<br />

«Tesoro di Casamari », attualmente nella cattedrale di Veroli 6, uscirono<br />

dal bulino dei monaci cesellatori 7.<br />

Forse l'autorizzazione concessa da Pio 11 8 nel 1462 all'abate di<br />

Casamari, di tentare lo sfruttamento delle miniere di oro e di argento e<br />

di altri metalli esistenti nelle provincie di Campana e Marittima, bisogna<br />

metterla in relazione con l'attività dei monaci orefici e argentieri dell'abbazia.<br />

Infine ci sembra doveroso mettere in risalto che furono i Fratelli<br />

Conversi gli artefici della prosperità materiale del monastero, il quale,<br />

se nel campo agricolo, industriale e artistico era all'avanguardia, si<br />

deve senz'altro alla loro operosa solerzia.<br />

* * *<br />

LE PROVVISTE DI LANA GREGGIA<br />

Le gregge dell'abbazia di Casamari costituivano la fonte principale<br />

dalla quale il lanificio dei monaci attingeva il greggio per la lavorazione<br />

dei tessuti.<br />

L'industria era fiancheggiata da un buon allevamento di bestiame<br />

ovino, dalle diverse razze, come risulta dai due cartulari dell'archivio<br />

di Casamari sullo « [us pascendi », contenenti documenti che vanno dal<br />

1569 al 1868 9.<br />

In quei secoli il patrimonio zootecnico del monastero era rilevante,<br />

per cui si ricorreva al sistema della transumanza, e cioè, a seconda<br />

delle stagioni, il bestiame veniva dislocato non solo nelle praterie adiacenti<br />

all'abbazia, ma anche sui monti degli Abruzzi, del Circeo e nell'Agro<br />

Pontino ".<br />

6Archivio di Casamari, Cartulario sul Tesoro di Casamari in Veroli, passim.<br />

7 SCACCIA-SCAMFONI C., Il tesoro sacro del duomo di Veroli ed i suoi cimeli<br />

medioevali; estratto da «L'Arte »di Adolfo Venturi, anno XVI, fase. IV, Roma 191.3,<br />

pp. 32-33.<br />

8 THEINIU, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Romae, 1861-1862,<br />

Tom. III, p. 421, n. 368; DE PERSIIS L., La Badia o Trappa di Casamari, nel suo<br />

doppio aspetto monumentale e storico, Roma, 1878, p. 156. DE BENEDETTI L., I<br />

Regesti dei Romani Pontefici per l'Abbazia di Casamari, in Miscell. di scritti vari<br />

in memoria di Alfonso Gallo, Firenze 1956.<br />

9 Archivio di Casamari, Patrimonio zootecnico dell'Abbazia, due cartulari sullo «[us<br />

Pascendi », passim.<br />

lO Ibidem, Della Fida e Pascoli di Roma, Campagna-Marittima e Patrimonio, passim.<br />

- 271-


Ma per ottenere il massimo rendimento, sia nella qualità che nella<br />

quantità dei prodotti ovini, si faceva di tutto per procurare un mangime<br />

adeguato. In un terzo cartulario circa il « Bestiame dell'abbazia »,<br />

vi è inserito un piccolo trattato manoscritto, dal titolo: «Dei prati artificiali<br />

e altri pascoli che possono servire d'alimento al bestiame '»11.<br />

Nella Villa Reale di Capodimonte vi erano estesissimi prati di erba<br />

medica e di « trifoglio francese ». L'abate Pirelli si rivolse al Duca di<br />

Miranda, « intendente» di quella villa « ... per avere di quell' erba una<br />

grossa partita di seme ... ». E per ottenerla si raccomanda alla generosità<br />

del Duca, e se sarà necessario, egli dice, è disposto a rivolgersi « ... alla<br />

compiacenza di Sua Maestà» 12.<br />

Usando speciali trattamenti alle pecore, i monaci di Casamari<br />

cercarono di migliorare il prodotto riuscendo talora a raggiungere un<br />

alto grado di perfezione. La qualità e il candore delle lane furono particolarmente<br />

pregiati, per cui le coperte, i panni, le saie e la altre stoffe<br />

uscite da Casamari, erano assai ricercate 13.<br />

Per garantire un lavoro continuo, i monaci avevano la cura di<br />

tenere il magazzino del lanificio ben provvisto del greggio necessario.<br />

Quando il gestore di un lanificio di Castelliri chiese una partita di lana<br />

a Casamari per il suo fabbisogno, l'abate del monastero scriveva al<br />

cellerario: «Il Sig. Antonio Serapiglia ha preso per sistema di contare<br />

per la sua provvista di lana sul nostro magazeno: io non so se ve ne sia<br />

d'avanzo dovendosi far lavorare sempre sin alla nuova raccolta ... » 14.<br />

Sembra però, che la lana di produzione propria non era quasi mai<br />

sufficiente ai cicli di lavorazione che in certi periodi raggiungevano<br />

punte eccezionali. Dai registri e da altri documenti si rileva che nella<br />

prima metà del 1800, il monastero faceva acquisti di greggio da diverse<br />

regioni con un ritmo molto serrato 15.<br />

Tutta l'Italia centro-meridionale è ottima produttrice di lane, dalle<br />

11 Ibidem, «Bestiame dell'Abbazia », Doc. Amministrativi, 1719-1879 pp. 142-155.<br />

12 Ibidem, «Epist, dell'Abate Pirelli », letto del Pirelli al Duca di Miranda, p.<br />

178; dr Epist. G. De [acobis (1816-1823), pp. 118-124, dove si legge che il Pirelli<br />

chiedeva il seme di erba medica al «Maestro di Casa» di Sua Em.za il Card. Ruffo.<br />

13 Archivio di Casamari, cfr i tre cartulari sul Lanificio di Casamari che contengono<br />

documenti che vanno dal 1719 al 1833, passim.<br />

14 Ibidem, Epist. dell'Ab. Pirelli, lettera autografa al cellerario di Casamari, dato<br />

Roma, 9 febbraio 1819, p. 63; cfr Cart. II, «Industria della lana in Casamari »,<br />

Accordo tra il Monastero e G. B. Porsella, p. 305, in cui si stabilisce: «A peso del<br />

monastero sarà provvedere e somministrare, a proporzione dei lavori che si vogliono<br />

fare, tutte le lane occorrenti, olio e denaro che bisogna per le diverse manifatture della<br />

lana medesima, di cui l'intera lavorazione resta a carico di esso Gio. Batt, Porsella ».<br />

15 Ibidem, cfr i tre cartulari sul lanificio di Casamari, passim.<br />

- 272-


più fini alle più ordinarie. Tra le altre, però, quella della pecora gentile<br />

di Puglia, è la migliore delle lane italiane.<br />

Casamari, per i tessuti di alto pregio, ordinava delle grosse partite<br />

di lana da Foggia e da altri centri pugliesi 16. Ma anche le pecore<br />

d'Abruzzo, della Campagna Romana, dei Monti Lepini e del Napoletano<br />

fornivano buona lana al lanificio dell'abbazia 17.<br />

Secondo i casi, la fornitura si affettuava nei centri più vicini come:<br />

Ferentino 18, Bauco 19, Vico 20, ma anche in quelli più lontani, come:<br />

Napoli 21, Foggia 22, Sinigallia 23 e qualche volta i fornitori erano mercanti<br />

ebrei 24.<br />

Tali acquisti si facevano o direttamente sul luogo dove avveniva<br />

la tosa delle pecore o sulle piazze dei maggiori centri del Lazio, delle<br />

Puglie e della Campania, tramite gli agenti fissi che il monastero aveva<br />

a Roma, a Sora, a Veroli e a Napoli 25.<br />

Per opera di questi agenti si registrano varie forniture di lana<br />

greggia prelevata dai mercati di Roma, e in genere con le voci: lana<br />

moretta} lana di Spagna} lana moretta naturale} castorino di Antera ecc. 26.<br />

Si conserva l'autorizzazione in copia originale a stampa, con sigillo<br />

a secco, con la quale il Card. Giuseppe Doria Panfili, Segretario<br />

dei Memoriali, concedeva all'abate D. Romualdo Pirelli « ... che possa<br />

in una o più volte cavare} ed estrarre da Roma decine trenta di lana<br />

moretta ... e far condurre a Casamari nel termine di giorni venti» n.<br />

J6 Ibidem, Industria della lana in Casamari, Cartulario I, pp. 49-86 e 5S., 102;<br />

Cartulario II, p. 104. Cfr Epist del P. Giuseppe Sanielice, fratello del Duca di Bagnoli<br />

e agente di Casamari in Roma e Napoli: lettera del Sanfelice al Pirelli, dato Roma,<br />

25 luglio 1807, pp. 35-37 e del 30 marzo 1808, p. 42.<br />

J7 Ibidem, «Industria della lana in Casamari », Cartulario I, pp. 57, 121, 122,<br />

125, 131, 132, 133, 135.<br />

18 Ibidem, Cartulario I, pp. 121-122.<br />

19 Ibidem, Cartulario I, p. 125.<br />

20 Ibidem, Cartulario I, pp. 132-133.<br />

21 Ibidem, Cartulario I, p. 57.<br />

22 Ibidem, Cartulario I, pp. 49, 86 e ss.<br />

23 Ibidem, Cartulario I, p. 15 in cui si registra: «Nel 1795, l'ab. Pirelli acquista<br />

da Gioacchino Oddi di Roma una balla di pelo di camelo (sic) proveniente da Sinigallia<br />

».<br />

24 Ibidem, Cartulario I, p. 135.<br />

25 Archivio di Casamari, cfr il carteggio sulle agenzie di Casamari che raccoglie la corrispondenza<br />

dei diversi agenti del monastero da Roma, da Napoli, da Sora e da Veroli.<br />

Cfr Epist. De [acobis-Caretti (1820-1824), Rendiconto del 17 giugno 1820, p. 6.<br />

26 Ibidem, Cartulario I, Industria della lana, pp. 23, 46, 56, 82-85, 131.<br />

n Ibidem, Cartulario I, Industria della lana, p. 39. Notiamo che alla vigilia della soppressione<br />

napoleonica, il lanificio del monastero era « soorabbondantemente provveduto di<br />

lana », come risulta dal Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, vedo Borro<br />

di dichiarazioni nella causa contro F. Passeri, p. 163 e nel Sommario della causa tra<br />

Casamari e F. Passeri, pp. 303-304.<br />

Al contrario, negli anni susseguenti alla soppressione, per le provviste di lana, il<br />

- 273-


Il trasporto della lana dai luoghi di prelevamento fino a Casamari<br />

avveniva, naturalmente, con mezzi a trazione animale, guidati dai « uetturati»<br />

28. Se il' tragitto era troppo lungo, il carico era protetto dagli<br />

« sbirri »29 del monastero che lo difendevano dai briganti.<br />

SISTEMA DI LAVORAZIONE<br />

A Casamari come del resto in tutta la Valle del Liri, l'industria<br />

della lana e della seta assumeva una forma di organizzazione economica<br />

che non si differenziava molto da quella dell'Italia centro-meridionale.<br />

In ognuna delle piccole e misere case dei contadini si filava e si<br />

tesseva e tutta la famiglia partecipava in un modo o nell'altro all'attività<br />

del monastero.<br />

La materia prima, quasi sempre apparteneva al monastero, che la<br />

consegnava al piccolo artigiano di villaggio per una prima trasformazione.<br />

I tessuti greggi che uscivano da quei minuscoli opifici domestici<br />

erano convogliati a Casamari dove i monaci si occupavano della loro<br />

ri6.nitura.<br />

Dai documenti giunti fino a noi, l'industria tessile di Casamari si<br />

presenta, fino alla metà del 1800, come un insieme di tanti laboratori<br />

staccati, che si completavano a vicenda mediante l'opera coordinatrice<br />

esercitata dalla direzione del lanificio e seti.ficiodell'abbazia 30.<br />

La prima lavorazione della materia greggia e la ri6.nitura dei tessuti,<br />

senza dubbio era compiuta anche dai monaci. Ma quando il loro<br />

numero si assottigliava, in seguito alle invasioni e ai saccheggi, la piccola<br />

monastero deve far ricorso a qualche « ... prestito grazioso per impiegarlo in compra di<br />

lana bisognevole per questo monastero... », 30 giugno 1820, Cartulario III, pp. 163-165.<br />

Sempre negli anni successivi alla soppressione, quando i monaci furono costretti a<br />

dare il lanificio in gestione al sig. Porsella, nel contratto si leggono le seguenti condizioni:<br />

« Per conservare in tutta la sua chiarezza il conteggio delle spese che si faranno per<br />

la lavorazione darà esso Gio. Batt. il conto minutamente ed esatto ih ciascun pezzo di<br />

lavoro che avrà perfezionato per quindi tenersi un registro e farne poi facilmente il conto<br />

generale.<br />

Dovendo esso Gio. Batt. uscire per tutto ciò che resta a carico del monastero debba<br />

andare questo viaggio a carico comune, come tutte le altre spese...<br />

Se accadesse che qualche lavoro venisse sbagliato o con falli che fosse inoendibile,<br />

in questo caso la valuta di esso resta tutta a carico di esso Gio. Batt. senza rimessa alcuna<br />

del monastero.<br />

I n ultimo si stabilisce che il presente accordo debba durare un solo anno onde possa<br />

farsene più facilmente lo scandaglio... », cfr Archivio di Casamari, Cartulario II Industria<br />

della lana, pp. 306-307.<br />

28 Ibidem, Cartulario I, p. 57; cfr Epist dell'Ab. Pirelli, passim.<br />

29 Ibidem, Cartulario I, p. 57.<br />

30 Archivio di Casamari, Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, passim.<br />

- 274-


comunità era costretta a far ricorso all'industria domestica rurale che<br />

diventava cosi la succursale di una più grande industria monastica.<br />

Gli stessi tessuti confezionati nel lanificio di Casamari, qualche<br />

volta venivano portati a Castelliri, da Antonio Serapiglia, « ... per [ar<br />

completare !a casa sua i panni che nel monastero "si tessevano» 31.<br />

Questo sistema di lavorazione adottato fino alla' prima metà del<br />

secolo scorso costituila forma di lavoro di gran lunga prevalente.<br />

A conferma di quanto esposto sopra citiamo solamente alcuni<br />

esempi di partite di lana, di canapa e di lino consegnate a famiglie<br />

residenti in Boville, Arpino, Colleberardi, Scifelli, Veroli, Castelliri e<br />

qualche volta si portavano alle « valche di Carnello », presso Sora.<br />

Nei registri amministrativi del lanificio e setificio di Casamari si<br />

leggono queste voci 32: «Per scardatura, filatura e tessitura in Castelluccio<br />

... » «Per oalca in Carnello ... due quarti di castorino e di due<br />

scampoli ... », «Il porto alle oalcbe e spedizione in Arpino », «Lana<br />

e castorino dall'Antera ... » ecc.<br />

I lavori venivano eseguiti dietro compenso che poteva essere in<br />

natura o in contanti. Dal « Registro delle spese per filatura» dell'anno<br />

1797 si rileva quanto segue 33:<br />

«Si è dato a Marta Melana di Bauco, decine 7 di liuoli di lino<br />

del quale ne deve fare tanta tela fina... ». Alla famiglia di Domenico<br />

Fiorini di Bauco, « ...si è dato la stoppa grava di lino e ha portato 90<br />

braccia di tela ... ». A una famiglia di Scifelli: «Si è dato stoppa fino<br />

che ne deve portare tanto filato crudo ». Cosi pure alla moglie di un<br />

certo Michele Sardellitto di Bauco: «Si è dato lana bianca per farne<br />

tanta saia... lino senza pettinare dal quale deve fare tanta refe ordinaria...<br />

ha ricevuto di più l'oglio per ungere la lana suddetta ... ». Un'altra<br />

volta venivano consegnate ad una donna di Veroli « ... decine 22 di<br />

stoppaccia della più ordinaria, della quale ne deve fare tanta tela, e<br />

terminato il lavoro si divide per metà, la porzione della tessitrice suddetta,<br />

se piace al monastero se la può comprare per il prezzo che vale ».<br />

Infine a una famiglia di Bauco si consegnava una certa quantità di<br />

« ... stoppa fina, la quale deve filare e portarla qui cruda e tanti liuoli<br />

fini per portare tanta filatura cruda ».<br />

31 Ibidem, Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, Borro di dichiarazioni<br />

nella causa tra il monastero e il sig. F. Passeri, p. 166.<br />

32 Ibidem, Cartulario I, LAnificio-Bilancio amministrativo, Registro dell'anno 1809,<br />

pp. 82-85.<br />

33 Ibidem, Cartulario I, LAnificio-Bilancio amministrativo, Registro delle spese per<br />

filatura dell'anno 1797, pp. 25-35, 139; cfr Registro di Introito ed Esito del 1804-1822,<br />

al 19 e 20 aprile 1817, e l° luglio 1818.<br />

- 275-


Ovviamente il contributo degli opifici domestici era solo marginale<br />

e a carattere integrale, poiché la quasi totalità della produzione<br />

tessile e specialmente quella di maggior pregio, era confezionata dal<br />

lanificio e setificio dell'abbazia. .<br />

All'epoca dell'invasione di Casamari da parte dei Carbonari (1821)<br />

il lanificio era attrezzato di quattro telai di diverse grandezze 34: alcuni<br />

di essi erano adibiti per la tessitura delle coperte 35, altri per tessere<br />

« tela fina ed ordinaria» 36.<br />

Ma vi era tutto un complesso organico di accessori per le varie<br />

fasi della lavorazione: lavatoio, strumenti per cardare 37, arcolaio, filatoio,<br />

fusi 38, strumenti per l'ordinatura, soppressa e gualchiera per la<br />

follatura dei panni, banco per la cimatura e pettinatura dei tessuti e<br />

ferri da stiro « per servizio dei lanieri» 39.<br />

Nella tintoria annessa al lanificio e setificio 40, le stoffe, la seta e<br />

le coperte venivano tinte con vari colori, e a seconda dei casi, la tintura<br />

si praticava sui filati o sui tessuti.<br />

Dai diversi documenti si rileva che dal lanificio e setificio di Casamari<br />

uscivano « paccotte » di tessuti dai colori più vari: rosso, verde,<br />

giallo, turchino, campeggio, verde d'erba, indico, nero blù, color di<br />

noce o nociato 41.<br />

In quei tempi, quando ancora non era diffuso l'uso di tingere con<br />

colori artificiali, i monaci di Casamari praticavano la tintura della lana,<br />

della seta e del cotone con colori naturali di origine vegetale o animale.<br />

Citiamo per esempio il Campeggio, albero delle leguminose, il cui legno<br />

34 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana di Casamari, Contratto tra il Porsella<br />

e il monastero (8 giugno 1820), p. 305, in cui si stabilisce:<br />

«I telari esistenti in numero di tre cioè uno grande, l'altro mezzano ed il terzo più<br />

piccolo ai quali promette il monastero aggiungerne un altro dell'ordinaria mezzana grandezza<br />

saranno consegnati al d. Gio. Batt.<br />

Questi telari restano descritti nell'inventario con tutti gli arnesi corrispondenti e<br />

checché vada a mancare in appresso o abbia bisogno di riiazzione rimane tutto ciò a carico<br />

di esso Gio. Batt., cosicché in fine della lavorazione dovrà consegnarli nella stessa buona<br />

qualità ed integrità in cui ora gli ritrova.<br />

Sarà pure a peso e carico di esso Gio. Batt. ed a proprie spese il provvedere i cardi,<br />

carzi, pettini, [ar licciate, cartoni per la soppressa, brusche e tutto ciò che sia consumibile,<br />

dovendo il monastero [ar la sola soppressa con suoi ferramenti e tiratore ».<br />

3S Ibidem, Registro di introito ed esito (1804-1822), al 12 luglio 1818.<br />

36 Ibidem, Registro di introito ed esito (1804-1822), al 1 maggio 1818.<br />

37 Archivio di Casamari, Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, Registro del<br />

1792-1795, pp. 10-12.<br />

38 Ibidem, Epist. De [acobis (1816-1823), p. 94; cfr Epist. De [acobis-Caretti (1820-<br />

1824), p. 43.<br />

39 Ibidem, Epist. De [acobis-Caretti (1820-1824), Rendiconto, p. 7.<br />

40 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio ecc., pp. 11, 84.<br />

41 Ibidem, pp. 8, 129, 131; cfr «Epist. De [acobis » (1816-1823), p. 89.<br />

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durissimo era largamente adoperato nella tintoria dell'abbazia per ricavarne<br />

un colore rosso cupo, molto pregiato 42.<br />

Prima che l'abate Pirelli introducesse l'industria della lana, a Casamari<br />

era già fiorente quella della seta, che in seguito si affiancò alla<br />

prima, prosperando di pari passo.<br />

A tale scopo i monaci curavano l'allevamento del baco da seta e<br />

la piantagione di « innumerevoli alberi fruttiferi », tra i quali, in modo<br />

particolare, i gelsi 43.<br />

L'allevamento dei bachi doveva essere certamente considerevole,<br />

come risulta dal carteggio sul lanificio e setificio, il quale, riportando<br />

gli acquisti fatti dal monastero, annota centinaia di « detali di semenza<br />

da seta» 44.<br />

Dagli «Epistolari» degli agenti di Casamari e dai registri amministrativi<br />

sull'industria tessile si deduce che la produzione annua della<br />

seta era rilevante.<br />

In base alle richieste degli acquirenti, il sistema di lavorazione era<br />

molto vario, per cui nel setificio dell'abbazia si confezionava la seta « ad<br />

uso di Regno» 45, « alla francese» 46, « alla romana» 47, « raso rigato» 48,<br />

« seta a spiga» ecc. Molto ricercate erano le « matassine alla francese »,<br />

42 Ibidem, a pago 6 sono annotate le spese fatte per la confezione delle coperte<br />

destinate a Mons. Placido Pezzancheri, abate di Casamari e vescovo di Tivoli:<br />

« Ricevute dal P. Cellerario undici decine e mezza di lana, la quale scelta calò due<br />

libre e poi adogliata pesò decine dodici e mezza. Per scardatura della medesima lana,<br />

se. 1.25 - ... Per dodici fogliette d'oglio, 0.60 - Per filatura, se. 2.50 - Per imbiancatura<br />

a mezzo baiocco la libra, se. 0.62.<br />

Canapa e sua accomodatura: allo stoppacciaro per pettinatura di sette decine, se.<br />

0.35 - ... Per una foglietta d'oglio servita alta medesima pettinatura, se. 0.05 - Per<br />

filatura di 37 libre di livoli usciti ad essa canapa, se. I. 85.<br />

Tintura della lana pauonazza: per libre 12 di campeggio, se. 0.72 - Per libre<br />

6 di allume - Al tintore ad un baiocco la libra, se. 0.47.<br />

Tintura della lana verde, quale prima bisognò tingere gialla e poi turchina per<br />

renderla verde: per renderla gialla a sei libre d'allume, se. 0.36 - Al tintore che<br />

la rese gialla... se. 0.70 - Per renderla verde ad indico, se. 0.50 - Al tintore che la<br />

rese verde, se. 0.47.<br />

Tintura per il filo di canapa: per verderame, se. 0.22 - Per campeggio, se. 0.10 ».<br />

Cfr Epistolario di C.A. Borrani, voI. II, p. 53, per quanto riguarda i vari colori<br />

della seta.<br />

43 Archivio di Casamari, Cartulario, Usi monastici e questioni liturgiche in Casamari<br />

(1755-1967), Memoria del Longòria, in cui a pago 78 si afferma:<br />

« ... fece tagliare dalle radici negli orti del monastero innumerevoli e ottimi alberi<br />

fruttiferi, che in abbondanza davano tutto l'anno, e con risparmio, frutti freschi e secchi<br />

alla mensa monastica: molti cerasi, ficaie, noci, brugne (sic) , di più specie, peri,<br />

meli, granati, cotogni, celsi (sic)... ».<br />

44 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio..., p. 10.<br />

45 Ibidem, Epist. di C. Ambrogio Borrani, voI. I pp. 78-80.<br />

46 Ibidem, Epist. di C. Ambrogio Borrani, voI. III, pp. 2-5, 99.<br />

47 Ibidem, Epist. cit., voI. III, pp. 2-5, 99.<br />

48 Ibidem, Epist. cit., voI. III, p. 111.<br />

- 277


difatti il rappresentante di Casamari a Roma scriveva all'abate 49: «Volendo<br />

io vendere la matassina francese... ed essendo bellissima, sono<br />

stato consigliato a tenerla e rimandarla a Casamari ad effetto che servir<br />

possa per mostra alli filatori, accio, filino l'altre simili ».<br />

Inoltre la seta veniva «filata al mangano »_50 per cui acquistava<br />

un ondeggiamento di colore diverso dal fondo. Con tale lavorazione il<br />

marezzo conferiva ai drappi un lustro e un serpeggiamento simile alle<br />

onde del mare.<br />

I MONACI TESSITORI<br />

L'abate Pirelli nell'attuazione del piano di industrializzazione ebbe<br />

tali intuizioni ed ampiezze di vedute da segnare una svolta decisiva<br />

nell'indirizzo economico dell'abbazia di Casamari.<br />

Fu suo merito se alcuni monaci, tra i più idonei, furono addestrati<br />

nell'arte della tessitura. Si ebbero cosi gli scardassieri, i follatori, i<br />

cimatori, i pettinatori e i tintori, i quali, sotto la guida di valenti<br />

maestri raggiunsero un notevole livello di specializzazione.<br />

Fra gli altri che misero a disposizione la loro competenza, ricordiamo<br />

il Sig. Antonio Serapiglia, proprietario di una vasta industria<br />

laniera di Castelliri, il quale « ... praticava continuamente il monastero<br />

per assistere alla lavorazione dei panni di lana» 51.<br />

Di monaci tessitori se ne sono avvicendati diversi nell'abbazia, ma<br />

non tutti i loro nomi ci sono stati tramandati. Il Registro-Anagrafe<br />

ne annota solamente alcuni che riportiamo qui di seguito:<br />

Fr. Pacifico Gabriele (1793-1871) di Arpino, che nei registri anagrafici<br />

viene qualificato come « tessitore» e « scardalana » 52.<br />

Fr. Evangelista Corratti, pure di Arpino, il quale esercitava il<br />

mestiere di «tessitore di lana» 53•<br />

• 9 Ibidem, Epist. cit., voI. III, p. 99.<br />

50 Ibidem, Epist ca., voI. I, p. 88.<br />

N.B. - Nell'epistolario del Borrani, vol. II, p. 158 si dice:<br />

« ... quando farà filare la seta, faccia avvertire il filatore che si muti l'acqua alla<br />

caldara, quando comincia ad essere sporca per li bocci che vi si sjanno, perché quando<br />

l'acqua è sporca la seta non riesce di bel colore •.<br />

51 Archivio di Casamari, Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, Minuta<br />

di una dichiarazione nella causa tra il monastero e Filippo Passeri, p. 189.<br />

52 Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, n. 648. Cfr «Registro dei Religiosi<br />

di Casamari compilato l'anno di nostra salute, 1861, dopo la soppressione piemontese<br />

avvenuta il di 22 gennaio », n. 7. Cfr DI CJUSTOFARO c., Necrologio dei religiosi della<br />

congregazione di Casamari, al lO settembre. Cfr Biografie dei religiosi di Casamari,<br />

ms. in Archivio di Casamari.<br />

53 Ibidem, Registro-Anagraie del 1702-1950, ai nn. 579, 635, 785, 815.<br />

- 278-


Fr. Gabriele, proveniente anch'egli da Arpino, è designato « tessitore<br />

» 54.<br />

Fr. Michele Viscogliosi, oriundo di Arpino, viene ricordato con<br />

la qualifica di « lavori ere di lana » SS.<br />

In genere tale attività veniva affidata ai Fratelli Conversi che nel<br />

passato erano molto numerosi. Nelle loro file non mancano quelli che<br />

erano particolarmente dotati e tra questi si sceglievano i migliori, che,<br />

specializzati nei diversi campi del lavoro, prestavano la loro opera<br />

preziosa.<br />

Prima della soppressione napoleonica (1811-1814), l'industria di<br />

cui ci occupiamo fu gestita direttamente dai monaci. Con la soppressione,<br />

l'abbazia rimase chiusa per tre anni e la comunità dispersa.<br />

Caduto Napoleone, tra i primi problemi di ordine economico che l'abate<br />

Pirelli si trovò a dover risolvere fu quello di ripristinare il lanificio e<br />

setificio del monastero.<br />

Questi lodevoli tentativi per rimettere in sesto l'industria, sfociarono<br />

in nuove forme di gestione.<br />

La comunità tornò a riunirsi, ma a causa del numero ristretto<br />

dei monaci, l'abate fu costretto a ricorrere alla mano d'opera dei secolari.<br />

La scelta di questi era molto accurata e si affidava in genere agli<br />

agenti di Casamari dislocati nei centri più importanti.<br />

Uno di questi agenti scriveva all'abate in questi termini '16:<br />

« Dalla sua del lO maggio ho potuto rilevare quali siano gli bisogni<br />

del monastero) per quanto abbia potuto fare per trovare un bravo<br />

giovane tessitore) non è stato possibile ... ».<br />

Anche dopo il saccheggio dell'abbazia (1821) e la conseguente dispersione<br />

dei monaci per opera dei Carbonari, si dovette ricorrere ai<br />

secolari. I documenti ricordano un certo Vincenzo Panico di Arpino<br />

che « ... nel lauorto di lanaro, sa scordare, garzare e cimare ... » 57.<br />

La decisione pertanto, di affidare al Sig. Gio. Battista Porsella<br />

il lanificio di Casamari, a certi patti e condizioni, fu presa proprio<br />

in questi tempi burrascosi per il monastero.<br />

54 Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, n. 666. Cfr Registro-Anagrafe del<br />

1717-1854, no. 585, 1009.<br />

ss Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, no. 667, 722. Cfr Registro-Anagra!e<br />

del 1717-1854, no. 584, 1009.<br />

56 Archivio di Casamari, Cartulario III, Industria della lana in Casemari, lettera<br />

di Giuseppe Tavazzi, agente del monastero in Roma, 29 maggio 1819, pp. 161-162.<br />

57 Ibidem Epistolario di G. De [acobis (1816-1823), lettera del 19 settembre<br />

1821, p. 66 e del 29 settembre p. 72.<br />

- 279-


A proposito della scelta del personale il documento dell' Accordo,<br />

stipulato tra i due contraenti, afferma 58:<br />

« Sia a peso ed arbitrio insieme di esso Gio. Battista di prendere e<br />

cambiare i laoorieri che bisognano a proporzione dei lavori da farsi e<br />

che questi debbono essere di buoni costumi, sodi e non debbono inquietare<br />

in modo alcuno i religiosi, come pure non debbono andare vagando<br />

per i giardini o monastero, altrimenti possa il monastero medesimo<br />

'ex se' espellerli a suo talento, ai quali darà il monastero il solo<br />

comodo d'abitazione e nel caso che vi siano dei religiosi che possono<br />

o potessero ivi lavorare si dovrà loro somministrare la mercede proporzionata<br />

al lavoro che faranno ».<br />

LA VENDITA DEI PRODOTTI TESSILI<br />

Il monastero di Casamari, più ad indirizzo industriale che commerciale,<br />

si assumeva la direzione e le spese che comportava tutto il<br />

ciclo della produzione tessile. Ma si trovava pure nella condizione di<br />

dover reperire i piazzisti per proprio conto, alla iniziativa dei quali<br />

doveva essere affidato lo smercio dell'intera produzione.<br />

L'abate Pirelli, nel suo testamento, tra le ultime volontà lasciate al<br />

successore, suggeriva 59: « ... non si servi dei monaci per lo smercio ...<br />

a dare o ricevere pesi di lana da chi la lavorerà... e mandare fratelli per<br />

le pubbliche fiere e quindi contrattare o vendere ... ».<br />

I monaci risolsero il problema affidando agli « agenti» dell'abbazia<br />

il compito, non solo di procurare la materia prima per l'industria del<br />

lanificio e setificio, ma anche quello di piazzare il prodotto.<br />

Gli agenti, dislocati a Roma, a Napoli a Veroli e in altri centri<br />

di minore importanza, erano persone di fiducia del monastero. Avevano<br />

la responsabilità dei diversi affari, tenevano in deposito grosse partite<br />

di materiale greggio e di tessuti di lana e di seta, contrattavano, vendevano,<br />

riscuotevano, ma sempre alle dipendenze e sotto il controllo dell'abate<br />

e dell'amministratore di Casamari 60. Ciò si rileva dalla fitta<br />

corrispondenza tra il monastero e le diverse agenzie.<br />

58 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana in Casamari, Accordo tra il monastero<br />

e G. Battista Porsella intorno al lanificio, p. 306.<br />

N.B. - Nel registro di introito ed esito (1804-1822) al lO luglio 1818, si fa<br />

menzione del tessitore secolare Giambattista Belli.<br />

59 Archivio di Casamari, Carteggio personale dell'abate Pirelli, Testamento del<br />

Pirelli stilato prima di morire, il 28 giugno 1822, in San Martino, (Veroli), p. 162.<br />

60 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana in Casamari, Accordo tra il monastero<br />

e il Porsella intorno al lanificio, pp. 305-306, nel quale si afferma:<br />

«Dei lavori che verranno prodotti niente possa egli Giovan Battista vendere o<br />

- 280-


L'Organizzazione per la vendita dei tessuti di seta e di lana (coperte,<br />

stoffe, saie, raso, drappi ecc.) si basava principalmente sul passaggio<br />

dalla fabbrica al commercio che, secondo le occasioni, si praticava all'ingrosso<br />

o al minuto. Sia nell'uno come nell'altro caso, il monastero si<br />

usava degli agenti, i quali, oltre ad essere responsabili di fronte all'abbazia,<br />

fungevano anche da sensali.<br />

Gli agenti erano coadiuvati dai «vetturali », dai domestici, dai<br />

garzoni e qualche volta dagli stessi « lavorieri di lana ». Anche questi<br />

erano persone di fiducia, ma non stavano fissi sul posto, come gli agenti,<br />

ma venivano invitati quando era necessario portare direttamente al consumatore<br />

i prodotti tessili.<br />

Dal carteggio si rileva che i -monaci cistercensi di Casamari fornivano<br />

le coperte ad alcuni ospedali di Roma.<br />

Uno dei migliori clienti era l'Archiospedale di Santo Spirito che<br />

assorbiva buona parte della produzione.<br />

Sembra che i primi rapporti di affari tra Casamari e questo ospedale<br />

rimontino al 1806, quando il cellerario del monastero incaricava<br />

il proprio agente Giuseppe Tarazzi affinché trovasse la maniera di piazzare<br />

in Roma le coperte e gli altri tessuti 61. Due anni dopo, il lanificio<br />

di Casamari, risulta fornitore di quell'opera, con la vendita di panni<br />

colorati 62.<br />

In seguito, a causa della soppressione napoleonica (1811-1814)<br />

e dell'invasione del monastero da parte dei Carbonari (1821), la produzione<br />

della lana e della seta subisce degli arresti 63, ma subito dopo,<br />

l'industria riprende la sua attività, con un ritmo produttivo forse molto<br />

più intenso degli anni precedenti.<br />

Nell'ottobre del 1821, l'agente di Casamari, Giuseppe De jacobis,<br />

rinnova le trattative con il « Maestro di Casa» dell'ospedale di Santo<br />

contrattare senza l'intelligenza e permesso del monastero medesimo. Dal prodotto cbe<br />

si ricaverà dai lavori suddetti, ritirerà il monastero le somme cbe avrà cavate così<br />

per la compra dei generi come per le sue manifatture, e di ciò che ne avanzerà 'e<br />

potrà essere considerato come un guadagno, ciascuno avrà la sua metà, tanto il monastero<br />

come Giovan Battista, il quale rilascerà allora quelle somme che forse avrà<br />

prese per i suoi particolari bisogni e doveri ».<br />

61 Archivio di Casamari, Cartulario I Lanificio-Bilancio amministrativo, lettera del<br />

Tarazzi al cellerario di Casamari, p. 45.<br />

62 Ibidem, Conto dei panni mandati dai Monaci di Casamari a Roma nel gennaio<br />

del 1808, p. 54.<br />

63 Si pensi che dopo la caduta di Napoleone, al momento della riapertura, i<br />

monaci trovarono il monastero spogliato di tutto, e furono costretti a comprare anche<br />

le coperte, Cfr Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, pp. 112, 113, 114 e 120.<br />

--281 -


Spirito, circa le forniture delle coperte 64, come difatti avvenne qualche<br />

tempo dopo 65.<br />

Nel dicembre dello stesso anno, il medesimo « Maestro di Casa »,<br />

sollecita l'invio di una partita di cento coperte, « ... vedendo che ogni<br />

giorno va inoltrandosi la stagione d'inverno ... »66. Il carico giunse a<br />

Roma verso la fine di dicembre, come risulta dalla lettera del Curti<br />

all'abate Pirelli 67.<br />

Le forniture all'ospedale di Santo Spirito continuarono anche<br />

durante l'anno seguente, si presero ulteriori accordi per i nuovi acquisti,<br />

ma con certe determinate condizioni.<br />

Riportiamo un brano della lettera di un tale Michele Zuccoli, il<br />

quale, a nome e per incarico del «Maestro di Casa» dell'ospedale,<br />

scrive" all'abate di Casamari: « ... che le coperte ricevute erano di<br />

bonissima qualità, ma che però erano di peso vistoso assai, perciò alla<br />

prossima e futura stagione si adopererà con tutto l'impegno presso Mons.<br />

Commendatore per farle prendere da vostra Rio.za, ma che dovranno<br />

essere di peso sei libre per ciascuna coperta ... » 68<br />

Per quanto riguarda la fornitura di coperte per l'altro ospedale<br />

di San Giovanni in Roma, i documenti non sono troppo abbondanti,<br />

ma da quei pochi giunti 6no a noi, si rivelano importanti notizie circa<br />

la qualità, il colore ecc. della produzione tessile di Casamari.<br />

Le trattative con l'ospedale San Giovanni iniziarono nel febbraio<br />

del 1822 69 • In seguito viene richiesta « ... una mostra, ma le vogliono<br />

scure e non bianche, e che non siano tanto piccole ... » 70. Per campione<br />

fu presentata « una coperta mischia» (oscura) alla « Priora» dell'ospedale<br />

San Giovanni. Questa assicura l'agente del monastero che, nono-<br />

64 Ibidem, Epistolario Giuseppe De [acobis, lettera del 27 ottobre 1821, p. 84.<br />

65 Ibidem, Cartulario III, Industria della lana in Casamari a pago 166, dove si<br />

legge: «Si sono ricevute dal suo uetturale mandato col carico delle coperte di lana<br />

bianca, per servizio di questo Arcbiospedale di Santo Spirito di Roma... in numero<br />

cinquanta sei... », f.to Giovan Battista Curti, Maestro di Casa di Santo Spirito, lO<br />

novembre 182I.<br />

66 Ibidem, Cartulario III, lettera del Curti all'Abate Pirelli del 29 dicembre<br />

1821, p, 168.<br />

67 Ibidem, Cartulario III, lettera del Curti al Pirelli del 29 dicembre 1821, p.<br />

168. vedo anche Epist, De Jacobis, lettera del 29 dicembre 1821, p. 110.<br />

68 Archivio di Casamari, Cartulario III, Industria della lana in Casamari, lettera<br />

di Michele Zuccoloni al Pirelli del 9 febbraio 1822, p. 170. Cfr Epist. De [acobis-<br />

Epist. De [acobis, lettera del 27 settembre 1821, p. 68.<br />

Coretti, lettera del lO luglio 1822, p. 29 e l'altra del 27 luglio 1822, p. 34. Cfr<br />

69 Ibidem, Epist. De [acobis, lettera del 2 febbraio 1822, p. 129.<br />

70. Ibidem, lettera del 23 febbraio 1822, p. 135.<br />

- 282-


stante l'ultima ordinazione di 150 coperte, in appresso si rivolgerà a<br />

Casamari per le altre forniture 71.<br />

I tessuti di lana e di seta del monastero erano collocati non solo<br />

negli ospedali, ma anche nei vari negozi di Roma.<br />

Ricordiamo la «Bottega Nuova» alla quale, fin dall'inizio del<br />

1808, i monaci consegnavano spesso vistosi quantitativi di stoffe, ma<br />

purtroppo, dice il P. Giuseppe Sanfelice, agente di Casamari in Roma:<br />

« ... dopo l'entrata dei Francesi (2 febbraio 1808), per quasi otto mesi<br />

non si vende niente da alcuno molto più da una bottega nuova» 72.<br />

Invece le partite di panni piazzate nel negozio di Pietro Magnani,<br />

domiciliato in Roma a Campo Cadeo n. 33, sembra facessero migliore<br />

fortuna, come risulta da una nota del Sanfelice, in calce al «Bilancio<br />

prudenziale della Bottegha Magnani all'inizio del 1810 ». Egli afferma<br />

73: «Come vedete, nonostante le miserie presenti, non si va male ».<br />

Altrove il Sanfelice, riferendo della vendita di diverse « paccotte<br />

di panni» dal colore verde, rosso, nero e blù, in una lettera all'abate,<br />

scrive: «Non avete vnotioo di lagnaroi, mentre il negozio, attesi gli<br />

avvenimenti, non è andato male, e nonostante le circostanze presenti,<br />

che ci dovevate<br />

. • 74<br />

t pannz... » .<br />

rifondere, pure ci avete guadagnato ed avete smaltito<br />

È bene qui rilevare che accanto allo smercio dei tessuti di lana<br />

si era affermato anche quello della seta. La vendita di questa ai diversi<br />

commercianti si effettuava in due periodi: al tempo del raccolto e<br />

verso la fine dell'anno, quando i prezzi erano più alti.<br />

L'agente di Casamari, Carlo Borrani, scrive all'abate 75: « ... capisco<br />

che per lo più torna meglio vendere la seta o nel principio che si<br />

raccoglie, o pure verso Natale ed occorre la ragione. Nel principio che<br />

si raccoglie, tutti li mercati cercano di fare la provvista, e però la pagano<br />

più di quello che pagano quando si sono provveduto,<br />

nata la filatura.<br />

vale a dire termi-<br />

Torna bene ancora venderla a Natale, perché molti mercati che<br />

7l Ibidem, lettera del 20 marzo 1822, p. 143 e l'altra del 6 aprile 1822, p. 152.<br />

72 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio ecc., Conto del Rev.mo P. Abate di<br />

Casamari, p. 71.<br />

73 Ibidem, Relazioni Bilanci ecc., pp. 106 e 110. Cfr anche Cartulario II, Industria<br />

della lana :in Casamari, dove in una «apoca ~ privata da valere come pubblico<br />

e giurato instrumento, a p. 14, si legge:<br />

« Avendo il P. Giuseppe Sanielice ricevuta una certa quantità di paccotte di<br />

panno di diversi colori del Ven.bile monastero di Casamari per oenderle qui in<br />

Roma... consegna il tutto a Pietro Magnani, mercante a Campo Carleo... ».<br />

74 Archivio di Casamari, Epistolario di P. Giuseppe Sanjelice, agente di Casamari<br />

e Fossanova a Roma, lettera del Sanfelice al Pirelli del 7 gennaio 1809, p. 51.<br />

73 Ibidem, Epistolario del Borrani, vol. Il, p. 158.<br />

- 283-


non hanno capitale sufficente per far la compra di tutta la seta che gli<br />

serve per tutto fanno, fanno mezza provvista ed a Natale si provvedono<br />

novamente ».<br />

Sempre tramite i rappresentanti, il monastero smerciava la seta<br />

nelle varie città del Lazio e in particolare a Roma, nei «negozi ,e<br />

nelle maggiori botteghe» 76, alla «gran fabbrica di calzette », alla<br />

« Longara » e alla « bottega del calzettaro » 77.<br />

Nella città di Roma, il lanificio di Casamari forniva anche le comunità<br />

religiose che si rivolgevano ai monaci perchè ne apprezzavano la<br />

qualità del loro prodotto 78.<br />

Ma anche la vendita al minuto, in Roma e altrove, era molto<br />

intensa. Ciò emerge dalle ricevute originali di cui abbonda il carteggio<br />

sull'industria della lana e della seta.<br />

Da quanto esposto fin qui, è chiaro che la maggior parte della produzione<br />

tessile veniva smaltita in Roma. Però negli altri centeri, come<br />

Ferentino, Boville, Sora, Arpino ecc., lo smercio al minuto, per opera<br />

di fiduciari, era pure abbastanza fiorente 79.<br />

In Veroli poi, i monaci avevano stabilito un commesso al quale<br />

dovevano rivolgersi gli acquirenti.<br />

In una lettera del Priore di Casamari al cellerario della stessa<br />

abbazia, si legge: «Nella vendita di coperte, borgonzone ecc., atteso<br />

che questo ramo del tutto particolare, è stato interamente affidato a D.<br />

Giovannino, per conseguenza chiunque bramasse fare acquisto di questo<br />

genere di mercanzie, deve far capo al Passeri ... » so.<br />

Insomma, lo smercio dei tessuti era abbastanza attivo, sia per<br />

la rete ben organizzata dei rappresentanti nelle varie città e sia per<br />

l'impegno che questi vi mettevano nella vendita dei prodotti. Il De<br />

jacobis, con un certo rammarico, riferisce: «Michele il sartore dice<br />

che gli rincresce moltissimo di non aver potuto fin ora fare alcun vantaggio<br />

per la vendita delle coperte ». E in un'altra lettera, lo stesso<br />

agente di Casamari, dice: « ... circa la premura della vendita delle<br />

76 Ibidem, Epistolario del Borrani, voI. III, p. 171.<br />

n Ibidem, Epistolario del Borrani, voI. III, p. 90<br />

N.B. - Circa i prezzi praticati nello smercio delle diverse partite di seta, cfr<br />

Epistolario-Borrani: voI. I, pp. 78-80, 85, 88, 103, 187; voI. II, pp. 58, 158, 159;<br />

voI. III, pp. 2-5, 90, 99, 107, 111, 114, 171.<br />

78 Ibidem, Epistolario De [acobis, lettera del 27 settembre 1821, p. 68 e l'altra<br />

del 6 ottobre 1821, p. 75.<br />

79 Ibidem, Epistolario dell'abate Pirelli, lettera del 26 gennaio 1820, p. 84. Cfr<br />

Epistolario De [acobis-Caretti, lettera del 23 novembre 1822, p. 57.<br />

80 Archivio di Casamari, Epistolario dell'abate Pirelli, lettera del 4 maggio 1821,<br />

p, 138.<br />

- 284-


coperte, Iddio sa se mi son mai stancato di esibirle, né mi stancherò ...» 81<br />

Ovviamente il lanificio dell'abbazia forniva le stoffe anche alla<br />

comunità di Casamari e a quelle dei monasteri dipendenti: Fossanova<br />

e Massalubrense. Nel contratto stipulato con il Sig. Porsella si stabilisce:<br />

« Avendo il monastero bisogno di essere provveduto di panno bianco,<br />

moretto o saia, promette e si obbliga esso Gio. Batt. di farla lavorare<br />

o lauorarla come conviene, cioè di ottima qualità e quantità quanta se ne<br />

ricerca e di dare in conto per essi la sola spesa della lavorazione senza<br />

aumento alcuno, in considerazione di sua opera o assistenza, come per<br />

lo addietro si è fatto negli antecedenti ... I n corrispondenza della quale<br />

obbligazione il monastero sarà obbligato a somministrargli il vitto ... » 82.<br />

Infine facciamo notare che l'industria laniera di Casamari era appesantita<br />

da diversi fattori negativi. Innanzitutto mettiamo in rilievo che<br />

tale attività economica viveva all'ombra di altissime tariffe doganali,<br />

come del resto, ogni altro commercio di quei tempi in Italia 83.<br />

I rendiconti delle spese per acquisti, trasporti e vendite sono pieni<br />

di voci come queste: «Per dogana di Regno, se. 3. Per dogana di Casamari,<br />

se. 3.71. Alli facchini della dogana di Roma, se. 2.20. Per il<br />

peso in dogana, se. OJ9. Alla porta di dogana, se. 0.79. Al Ministro<br />

di dogana, se. 0.15 ecc. » 84.<br />

L'altro fattore negativo per l'espansione commerciale era costituito<br />

dalla posizione geografica dell'abbazia di Casamari. Nei secoli passati,<br />

le frontiere rappresentano, in via di massima, una notevole remora allo<br />

81 Ibidem, Epistolario De [acobis-Caretti, 23 novembre 1822, p. 57 e 4 gennaio<br />

1823, p. 64.<br />

82 Ibidem, Cartulario II Industria della lana in Casamari, accordo tra il monastero<br />

e il Porsella, p. 306.<br />

N.B. - Facendo un confronto con i tempi in cui l'abbazia di Casamari era governata<br />

dall'abate Balandini, predecessore del Pirelli, risalta con evidenza la sperequazione<br />

che esisteva, sul piano economico, tra i due periodi.<br />

Da una nota dello stesso Balandani emerge l'estrema povertà del monastero, a<br />

cominciare dalla metà del 1700 in poi. L'Abate scrive:<br />

«Si lascia per ricordo che la b. m. dell'Ecc.mo Principe di Piombino, D. Gaetano<br />

Boncompagni-Ludouisi, defunto, mandava ogni anno al nostro monastero 3 paccotte<br />

di panno, canne 30 di saia per le camice e cannate lO di olio. Lo stesso fece il figlio,<br />

D. Antonio, Duca di Arce »,<br />

Cfr Archivio di Casamari, Carteggio: Il Principe di Piombino, benefattore di Casamari,<br />

che raccoglie circa 60 lettere, dal 1746 al 1784, dirette da quel Principe all'abate Isidoro<br />

Balandani. Cfr De Benedetti L., Vita economica dell'Abbazia di Casamari, in Riv.<br />

Econom. della Provo di Frosinone, nn. 12-13, 14-15, anni 1951-1952, p. 19, estratto.<br />

83 Per uno studio più approfondito sulle dogane del tempo, consultare l'interessante<br />

studio di Dora Musto, La Regia dogana della mena delle pecore di Puglia, Siena,<br />

1964.<br />

84 Archivio di Casamari, Lanificio-Bilancio ecc., Cartulario I, pp. 70, 73, 102. Circa<br />

le tariffe doganali imposte sullo smercio della seta di Casamari, cfr Epistolario di C.<br />

Ambrogio Borrani, agente di Casamari in Roma, voI. I, pp. 78·80, 85, 87; voI. II, p. 115.<br />

- 285-


sviluppo economico di quelle zone che vi erano interessate. Sotto questo<br />

aspetto il nostro monastero veniva a trovarsi in una situazione sfavorevole.<br />

Situato a poche centinaia di metri dal confine tra lo Stato della<br />

Chiesa e il Regno di Napoli, su una strada tra le più importanti, spesso<br />

era soggetto a saccheggi e ad invasioni.<br />

Nonostante tutto, il lanificio e il setificio di Casamari, attraversando<br />

difficoltà e speranze, riuscirono a sopravvivere all'invasione dei<br />

francesi (1799), alla soppressione napoleonica (1811-1814) e al saccheggio<br />

dei Carbonari (1821).<br />

Verso la fine del 18.00, con la diffusione dei telai meccanici, l'industria<br />

della lana si avviava, a grandi passi, verso riforme che dovevano<br />

sfociare nell'era industriale del nostro secolo. Ormai nelle fabbriche<br />

italiane veniva introdotto tutto un complesso di macchine per aprire,<br />

cardare e filare la lana, e per guarnire e cimare i panni.<br />

A Isola Liri, L. Mazzetti, genero di C. Lambert, nel 1852, approntava<br />

dieci pettinatrici SchIumberger. Dovunque si diffondeva la tecnica<br />

moderna, questa, faceva concorrenza e si sostituiva agli antichi sistemi<br />

tradizionali. Per queste, ed altre ragioni di ordine interno, il lanificio<br />

e il setificio di Casamari a tipo artigianale, all'inizio di questo secolo,<br />

cessavano la loro attività.<br />

- 286-


Jean de La Croix Bouton O.C.S.O. .<br />

STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />

(sedicesima puntata)<br />

LA GIORNATA MONASTICA<br />

Quanto all'ordinamento della giornata monastica i primi <strong>Cistercensi</strong><br />

si conformarono in tutto alle prescrizioni della Regola. San Benedetto<br />

infatti ha stabilito con precisione l'ora in cui deve compiersi ogni<br />

esercizio quotidiano. Ma siccome il santo Legislatore ha fissato il suo<br />

orario secondo il metodo degli antichi Romani (derivato dai Caldei),<br />

che differiva essenzialmente dal nostro, prima di esporre l'orario di<br />

Citeaux vogliamo dare qualche spiegazione su quello di San Benedetto.<br />

Orario di San Benedetto<br />

La giornata non era regolata da un meccanismo che la divide<br />

in ore uniformi e invariabili. I Romani - e con loro San Benedetto -<br />

dividevano, sì, la giornata in 12 parti, ma tali parti erano valutate dal<br />

sorgere del sole (apparente) al tramonto (apparente) mediante il movimento<br />

dell'ombra attorno a un picchetto, movimento più lento in<br />

estate e più rapido in inverno, di modo che le «ore» variavano<br />

di lunghezza. La prima ora del giorno non era un momento fisso e convenzionale,<br />

ma cominciava a decorrere dal sorgere del sole (che corrisponde<br />

secondo il nostro modo di contare, alle 4 nel solstizio d'estate,<br />

alle 4,15 due settimane più tardi, alle 4,30 alla fine di luglio, alle 5 il<br />

20 agosto e alle 8 nel solstizio d'inverno). A Roma, il console proclamava<br />

l'ora di mezzogiorno nell'istante in cui vedeva l'ombra raggiungere<br />

lo spazio tra i Rostri e il Grecostasi. La giornata monastica era<br />

dunque molto più lunga nel solstizio d'estate che nel solstizio d'inverno,<br />

e la divisione del giorno in 12 parti ottenuta dalla meridiana<br />

dava ore più lunghe o più corte delle nostre ore di 60 minuti. Le<br />

notti variavano in proporzione inversa e si trovavano in parità coi<br />

giorni negli equinozi. Da ciò seguiva che il tempo doveva esser calcolato<br />

ogni giorno, poiché gli intervalli che separavano i diversi uffici- Prima,<br />

Terza, Sesta ecc. - quantunque in modo insensibile, lo variavano continuamente.<br />

L'intervallo tra le Vigilie e le Lodi (che venivano celebrate<br />

sempre all'aurora) durava da qualche minuto in estate a più ore in<br />

inverno.<br />

- 287-


Per designare le ore, gli antichi dicevano: «la prima, la seconda,<br />

la terza ora »; questa espressione indicava non solo l'inizio dell'ora<br />

ma tutta la sua durata fino all'ora successiva. Di modo che nella Regola<br />

usque ad horam pene quartam equivaleva pressappoco a usque ad horam<br />

tertiam plenam per indicare fino al momento in cui l'ombra raggiunge<br />

la quarta divisione (quarta ora).<br />

Orario dei primi <strong>Cistercensi</strong><br />

Per la verità, al tempo della fondazione di Citeaux esistevano orologi<br />

a ruote, la cui invenzione è attribuita a Gerberto, Papa Silvestro II<br />

(999~1003), ma che gli sono senza dubbio anteriori. Ed è probabile che<br />

i <strong>Cistercensi</strong> possedessero fin dall'inizio degli orologi a soneria che il<br />

sagrestano doveva regolare iConsuetudines, c. CXIV): audito horologio<br />

(ibid. c. LXXIV, cfr c. XXI). Tuttavia, senza tener conto delle noie<br />

dovute alle continue variazioni del sistema antico, e al fine di conformarsi<br />

esattamente ai termini della Regola, essi adottarono il vecchio<br />

metodo. Risulta chiaro: 1) dal tenore degli antichi Usi che non fanno<br />

menzione alcuna di ore moderne, ordinano di recitare Prima al sorgere<br />

del sole e di terminare la lettura prima di Compieta con la luce solare;<br />

2) dalla testimonianza di Guglielmo di Malmesbury il quale afferma<br />

che secondo i termini della Regola i <strong>Cistercensi</strong> «compivano tutti i<br />

loro esercizi alla luce del giorno»; 3) da un brano del Dialogus inter<br />

Cluniacensem et Cisterciensem in cui il cistercense rimproverava ai<br />

Cluniacensi di non recitare le Lodi all'aurora e Prima al sorgere del<br />

sole; 4) da un decreto del Capitolo Generale del 1429 che stabilisce<br />

delle ore fisse per la levata, abolendo le ore ineguali degli antichi,<br />

di cui si erano serviti fino allora; 5) dall'affermazione di due scrittori<br />

del XVII secolo, D. Julien Paris e D. Paul Lefort, riferita da D. Martène<br />

e D. Calmet nei loro commentari alla Regola.<br />

Riportiamo qui un tentativo di ricostruzione, del P. Othon<br />

Ducourneau, delle variazioni dell'orario dei primi cistercensi in estate<br />

e in inverno (tratto da un manoscritto conservato nell'abbazia di Aiguebelle).<br />

In realtà, per fissare con esattezza secondo i nostri orologi le<br />

ore indicate dalla Regola, bisognerebbe stabilire tanti orari quante<br />

sono le variazioni notevoli nel sorgere del sole e nel tramonto, e cioè<br />

due o tre al mese. È quanto fece nel 1765 il riformatore di Sept-Fons<br />

Dom Dorothée Jalloutz. Dopo aver cercato invano un orologio che<br />

indicasse le ore ineguali degli antichi (o un orologiaio che fosse in<br />

grado di fabbricarne uno), si vide costretto a cambiare l'inizio delle<br />

attività ogni quindici giorni. Bisognerebbe ancora tener presente il<br />

- 288-


fatto che, secondo la Regola, la stagione invernale che termina a Pasqua,<br />

non inizia nella stessa data per tutte le attività. Infatti, il regolamento<br />

invernale incomincia il 13 settembre per il numero dei pasti,<br />

u r ottobre per il lavoro e la fine della siesta e il I" novembre per la<br />

levata. Dal 13 settembre allo ottobre c'era ancora la siesta benché si<br />

digiunasse; dopo il I" ottobre si continuava ancora a regolare l'ora<br />

della levata come in estate, secondo la lunghezza dell'ufficio, benché<br />

non ci fosse più la siesta. Infine il mercoledì e il venerdì in estate<br />

potevano essere giorni di digiuno, la Quaresima aveva un orario speciale,<br />

e le necessità del lavoro apportavano altre modifiche nell'orario<br />

alle quali San Bernardo talvolta fa allusione.<br />

PREGHIERA LITURGICA<br />

Abbiamo già parlato due volte dell'opera liturgica dei pnmi<br />

cistercensi. Qui non intendiamo dare un'esposizione completa del modo<br />

in cui i nostri Padri si dedicavano al culto divino, Opus Dei) e alle<br />

altre funzioni liturgiche. È utile però ricordare che il rito cistercense,<br />

che era rimasto intatto per cinque secoli, nel secolo XVII subì notevoli<br />

modifiche. Si parlò perfino di abbandonare del tutto il rito cistercense<br />

e adottare semplicemente la liturgia romana. Grazie alla diplomazia<br />

dell'abate di Citeaux, D. Claude Vaussin, e nonostante una generale<br />

infatuazione per la liturgia romana recentemente riformata da Pio<br />

V, l'Ordine riuscì a conservare gran parte del suo rito, soprattutto<br />

per quanto riguarda l'Opus Dei (cfr D. ANnRÈ MALET) La liturgie<br />

cistercienne, Westmalle, 1921). Ma se i nostri Usi attuali si avvicinano<br />

molto alle Consuetudines del 1191, si sa che verso la metà del<br />

secolo XII le Consuetudines avevano subito rimaneggiamenti e che sensibili<br />

correzioni erano state apportate ai nostri libri di coro. L'esposizione<br />

di tali correzioni è ancora da farsi. Qui noteremo soltanto<br />

qualche particolarità dell'ufficio e della Messa, che sono in relazione<br />

con l'osservanza della Regola o con l'ideale proprio di Citeaux.<br />

L~Opus Dei<br />

Nel comporre nuovi libri liturgici con l'aiuto di elementi presi<br />

da diverse chiese (Molesme, Arras, Lione, Metz, Milano), elementi<br />

considerati tutti autentici nella sostanza e nella forma, i primi cistercensi<br />

non facevano che usarsi della libertà di cui godevano allora tutte<br />

le chiese. Non vi era unità liturgica. Dopo Carlomagno i libri romani<br />

erano stati, sì, adottati ovunque, ma osservava Dom Guéranger (Inst.<br />

- 289-


liturg. I, 286), molti pezzi antichi erano stati conservati e qua e là<br />

erano stati introdotti nuovi uffici. Ogni grande abbazia aveva una<br />

sua propria liturgia, che spesso si riduceva a divergere circa l'uso degli<br />

stessi testi. Il P. Othon Ducourneau indica come esempio le antifone<br />

dei vespri di Natale, che variavano da un'abbazia all'altra. Fu senza<br />

dubbio per evitare che simili diversità prendessero piede nelle abbazie<br />

cistercensi che Santo Stefano Harding stabilì energicamente il principio<br />

dell'uniformità dei libri liturgici, di cui uno dei primi Capitoli Generali<br />

compilò un elenco.<br />

San Benedetto aveva stabilito accuratamente nella Regola il numero<br />

e la disposizione dei salmi, inni, lezioni ecc. da dire in coro. Nel<br />

corso dei secoli vi erano state aggiunte lunghe preces composte di<br />

salmi, versetti e orazioni, Così, dopo Prima si dicevano tutti i giorni<br />

salmi supplementari, più di trenta versetti col confiteor, il simbolo<br />

Quicumque} i salmi penitenziali e lunghe litanie (v. D. Martène, De<br />

antiquis monacborum ritibus, 1. I, cap. IV). I cistercensi soppressero<br />

radicalmente tutti questi elementi avventizi ignorati dalla Regola.<br />

Lasciarono tuttavia il simbolo Quicumque la domenica a Prima (Abelardo<br />

se ne meravigliò). Lo dicevano però al termine dell'ufficio, dopo<br />

l'orazione e il Benedicamus Domino} e lo facevano seguire da un versetto<br />

e dall'orazione della festa della SS. Trinità. Il confronto dell'uffido<br />

attuale con quello dei cistercensi del «secolo di San Bernardo»<br />

rivela divergenze di dettagli che denotano nei nostri Padri uno spirito<br />

giudizioso e un acuto senso pratico. Lo si constata nella scelta degli<br />

inni e delle melodie. Così a Prima, celebrata al sorgere del sole, si<br />

cantava tutti i giorni lo stesso inno Jam lucis orto sidere, solo nel tono<br />

trionfale delle nostre feste di sermone. Anche a Sesta e Nona gli inni<br />

Rector potens e Rerum Deus non variavano 'mai; erano cantati sempre<br />

nel tono feriale, qualunque fosse il grado della festa (questi due uffici,<br />

come insinua la Regola cap. XLVIII, venivano celebrati molto spesso<br />

nei campi; vedi a proposito l'usanza tramandata nella Regula Magisiri,<br />

cap. LV). Gli inni di Terza, Vespro e Compieta variavano secondo<br />

le feste. L'inno di Terza Nunc Sancte nobis Spiritus era cantato (la<br />

domenica e le feste che non avevano un inno proprio) nel tono del<br />

Veni Creator. Uno studio sarebbe da farsi sulla scelta degli inni in<br />

rapporto al mistero del tempo o all'ora del giorno, come l'Ave maris<br />

stella a Compieta per tutte le feste della Beata Vergine, o lo Jam surgit<br />

hora tertia qua Christus ascendit crucem a Terza della Settimana Santa.<br />

I Salmi dei Vespri della domenica si cantavano sotto una sola antifona,<br />

e quando una festa cadeva nella domenica, i quattro salmi venivano can-<br />

- 290-


tati sotto la prima antifona. Il P. Othon vede in questa usanza un resto<br />

dell'antica liturgia gallicana. Forse bisognerebbe vedervi un'interpretazione<br />

stretta della Regola, cap. XV: omni vero Dominica ... vespe re vero<br />

cum antipbona. Gli altri giorni i Vespri avevano quattro antifone:<br />

quatuor psalmi cum antipbonis (Reg, Cap. XVII).<br />

L'Olficium parvum della Beata Vergine non era recitato in coro.<br />

Un passo dell'Exordium magnum, disto I, cap. XXVII, che riferisce un<br />

fatto avvenuto sotto l'abate Rainardo (1135-1150), lo afferma chiaramente.<br />

Il Capitolo Generale del 1157 autorizzò i viaggiatori a dirlo<br />

insieme, e quello del 1194 lo prescrisse nell'infermeria, ma la recita in<br />

coro fu imposta soltanto molto più tardi.<br />

Al contrario, l'ufficio dei defunti fu recitato fin dall'inizio, secondo<br />

quanto attesta Guglielmo di Malmesbury. Ci fu tuttavia un'evoluzione<br />

su questo punto. Il ms Trento 1711 conosce un ufficio dei defunti quotidiano<br />

iexceptis diebus XII lectionum) e degli uffici plenari (officia<br />

plenaria in cui i tre notturni erano cantati. Questi uffici plenari, in<br />

numero di sette, vennero a sparire. E il ms Laybach (1152) non conosce<br />

altro che i quattro grandi anniversari, che conserviamo ancora.<br />

Il canto<br />

Gli statuti dei Capitoli Generali ci danno rarissime indicazioni sul<br />

modo dell'esecuzione del canto. Nessuno strumento di accompagnamento<br />

era autorizzato, e bisogna aspettare ilperiodo della decadenza per vederne<br />

qualcuno. Nel 1486 ci fu ancora bisogno dell'autorizzazione del Capitolo<br />

per installare un organo, e il suo uso fu limitato ad alcuni pezzi<br />

liturgici. Il falsetto, i falsi bordoni, come pure i fragori di voci erano<br />

assolutamente vietati. Il canto doveva essere eseguito con un tono<br />

moderato, senza lentezza né precipitazioni, con una piccola pausa (pausula)<br />

in mezzo ai versetti dei salmi (cfr statuto del 1242 n. 2).<br />

La buona esecuzione del canto variava secondo le abbazie e lo<br />

zelo degli abati. Non ci si meraviglierà di incontrare giudizi molto discordanti.<br />

Stefano di Tournai qualificava il canto cistercense angelico, mentre<br />

altri apprezzamenti erano più moderati. E d'altra parte non si<br />

possono prendere alla lettera le espressioni degli autori del trattato<br />

De cantu circa l'avversione dei novizi istruiti nell'arte ecclesiastica verso<br />

l'antifonario in uso nell'Ordine e la loro negligenza nello studiarlo.<br />

Verso il 1130-1140 infatti, alcuni monaci versati nella musica e imbevuti<br />

di idee di teorici del canto finirono con l'ottenere dal Capitolo<br />

Generale la revisione dell'antifonario preso da Metz per interessamento<br />

di Santo Stefano che essi giudicavano difettoso. L'incarico fu dato a<br />

- 291-


Levata<br />

Vigilie<br />

Fine vigilie<br />

Intervallo<br />

Lodi<br />

Fine Lodi<br />

Intervallo<br />

Prima<br />

Capitolo<br />

Lavoro<br />

Fine del lavoro<br />

Intervallo<br />

Terza<br />

Messa<br />

Fine della Messa<br />

Lectio<br />

Sesta<br />

Pranzo<br />

Siesta<br />

Risveglio<br />

Nona<br />

« Biberes »<br />

Lavoro<br />

Fine del lavoro<br />

Intervallo<br />

Vespro<br />

Fine del Vespro<br />

Cena<br />

Fine della cena<br />

Intervallo<br />

. Lettura prima<br />

di compieta<br />

Compieta<br />

Riposo<br />

ORARIO DEGLI ESERCIZI QUOTIDIANI - XII - XIII - XIV sec.<br />

Esempio delle variazioni in estate<br />

Solstizio 2 mesi<br />

d'estate dopo<br />

fine giugno 20·25 agosto<br />

1,45<br />

2 cc.<br />

3,00<br />

qc. min.<br />

3,10 cc.<br />

3,45<br />

4,00<br />

4,40 cc.<br />

7,15<br />

7,45<br />

8 cc.<br />

8,50 cc.<br />

8,50<br />

10,40<br />

10,50<br />

11,30<br />

1,45<br />

2,00<br />

2,15 cc.<br />

2,30 cc.<br />

5,30<br />

6,00<br />

6,45<br />

7,15<br />

7,30<br />

7,50<br />

8,00<br />

2,40<br />

2,50 cc.<br />

4,00<br />

qc. min.<br />

4,10 cc.<br />

5,00<br />

5,00<br />

5,40 cc.<br />

7,45<br />

8,15<br />

8,30<br />

9,15 cc.<br />

9,15<br />

10,50<br />

11,00<br />

11,40<br />

1,30<br />

1,45<br />

2 cc.<br />

2,15 cc.<br />

4,30<br />

5,00<br />

5,45<br />

6,15<br />

6,30<br />

6,50<br />

7,00<br />

Osservazioni<br />

Un'ora e mezza prima dell'aurora<br />

poco dopo la levata<br />

un'ora per cantare le Vigo in estate<br />

«parvissimo intervallo»<br />

- 292-<br />

«incipiente luce»<br />

comprese le Lodi dei morti<br />

fino al sorgere del :sole<br />

al sorgere del sole (prima hora)<br />

subito dopo Prima. 15 min. cc.<br />

subito dopo il capitolo<br />

al primo accenno di Terza (30 min. prima)<br />

di una mezz'ora<br />

prima della fine della bora tertia<br />

(horo quarta) subito dopo Terza<br />

« usque ad horam quasi sextam ~<br />

hora sexta<br />

subito dopo Sesta<br />

prima della metà della hora octava<br />

«mediante octava hora »<br />

subito dopo Nona<br />

subito dopo il «biberes»<br />

verso la fine della hora decima<br />

di una mezz'ora<br />

durante la hora undecima<br />

compreso l'ufficio dei morti<br />

hora prima della notte


Levata<br />

Vigilie<br />

Fine vigilie<br />

Lectio<br />

Lodi<br />

Intervallo<br />

Prima<br />

Messa<br />

Fine della Messa<br />

Intervallo<br />

Terza<br />

Capitolo<br />

Lavoro<br />

Fine del lavoro<br />

Sesta<br />

Ripresa deI lavoro<br />

Fine del lavoro<br />

Intervallo<br />

Nona<br />

Pranzo<br />

Fine del pranzo<br />

Leccio<br />

Vespro<br />

Fine del Vespro<br />

Intervallo<br />

« Biberes »<br />

Lettura prima<br />

di Compieta<br />

Compieta<br />

Riposo<br />

ORARIO DEGLI ESERCIZI QUOTIDIANI . XII . XIII . XIV sec.<br />

Esempio delle variazioni in inverno<br />

Solstizio 2 mesi<br />

d'inverno dopo<br />

fine dicembre 20-25 feb.<br />

1,20<br />

1,30<br />

2,50<br />

7,15 cc.<br />

8,00 7,00<br />

8,20 7,20<br />

9,10 8,10 cc.<br />

qc. rnm. qc.. min.<br />

9,20 8,20<br />

9,35 8,35<br />

9,55 cc. 8,55 cc.<br />

11,10 cc. 11,10 cc.<br />

11,20 11,20<br />

11,35 11,40<br />

12,50 1,20<br />

1,20 2 cc.<br />

1,35 2,15<br />

2,15 2,55<br />

2,50<br />

3,30<br />

3,40 cc.<br />

3,45<br />

3,55<br />

4,05<br />

1,25 ottava ora della notte<br />

1,35 cc.<br />

2,50 cc.<br />

Osservazioni<br />

6,20 cc. «accenso lumine ante armarium et in capitulo»<br />

«incipiente luce»<br />

fino al sorgere del sole<br />

4,10<br />

4,50<br />

4,55 cc.<br />

5,011 cc.<br />

5,20<br />

5,30<br />

al sorgere del sole (prima hora)<br />

subito dopo Prima<br />

al termine della hora secunda<br />

hora Sesta<br />

- 293-<br />

primo accenno di Nona (mezz'ora prima)<br />

di una mezz'ora<br />

hora nona<br />

subito dopo Nona<br />

fino a Vespro<br />

durante la hora undecima<br />

compreso l'ufficio dei morti<br />

molto breve<br />

alla luce del giorno<br />

all'inizio della notte


San Bernardo da alcuni monaci tra cui Guido d'Eu, monaco di Longpont,<br />

e Guido abate di Cherlieu. L'abate di Clairvaux raccomandò il<br />

lavoro compiuto in un monitum dove dichiarava l'opera « impeccabile<br />

sia dal punto di vista del canto che del testo ». Non è questa l'opinione<br />

comune degli specialisti, e se è stato reso omaggio alla competenza dei<br />

correttori cistercensi, sono state fatte delle riserve circa la qualità del<br />

lavoro realizzato. Il punto di partenza era eccellente, sempre lo stesso<br />

amore di verità, di ritorno alle fo~ti che caratterizza Citeaux, ma in<br />

più d'un'occasione questi principi indussero i correttori ad autentiche<br />

innovazioni nei riguardi della tradizione e dell'uso, il che causò dei<br />

reclami ireclamantibus fratribus nostris, dicono gli autori del trattato<br />

De cantu,) delle correzioni, dei rimaneggiarnenti, e nell'insieme un'opera<br />

che difetta un pò di omogeneità (e che i redattori della liturgia domenicana<br />

utilizzeranno, riportandola a loro volta a una forma più tradizionale;<br />

cfr D. DELALANDE,O.P., Le Graduel des Précbeurs, édit. du<br />

,<br />

Cerf, 1949). '<br />

Le altre funzioni liturgiche. La messa. 1<br />

Al di fuori deIl'Opus Dei, la Regola fa solo poche allusioni al Sacrificio<br />

eucaristico e non fa menzione alcuna delle altre funzioni che<br />

segnano l'anno liturgico (benedizioni, processioni). I cistercensi ebbero<br />

a supplire al silenzio della Regola, ma conservarono degli Usi di Molesme<br />

un minimo abbastanza ristretto. Ab~iamo. parlato dello spirito di semplicità<br />

e di povertà che Santo Stefano si sforzò di far regnare nell'oratorio<br />

e nelle cerimonie liturgiche. J.4! processioni tanto care ai cluniacensi<br />

furono ridotte a due (Purificazione e Domenica delle Palme), le<br />

cerimonie della Settimana Santa furono semplificate, le litanie dei santi<br />

accorciate di molto (tre soli Santi per ogni ordine).<br />

Benché San Benedetto non prescrivesse nulla riguardo a una messa<br />

conventuale quotidiana, nelle abbazie benedettine s'era introdotto ben<br />

presto l'uso di cantare ogni giorno. una messa solenne. A Cluny ne<br />

venivano celebrate due, una dopo ,la Prima, detta matutina, l'altra<br />

dopo Terza. I cistercensi ritennero quest'uso soltanto per la domenica<br />

e per le feste di obbligo. Tutti gli altri giorni cantavano una sola messa,<br />

detta conventuale, dopo Prima in inverno, dopo. Terza in estate. Secondo<br />

Ruperto di Deutz, la omettevano facilmente a causa dei lavori. o per<br />

lo meno non vi assisteva tutta la comunità. Si celebrava però tutti<br />

i giorni, fuorché il Venerdì e il sa1! to Santo .una messa da requiem e<br />

una de Beata per i benefattori. I<br />

Tutto, nelle cerimonie e nel ca to della messa era ispirato alla più<br />

- 294-


grande semplicità. Il Kyriale conteneva solo tre melodie per il K vrie<br />

(ne fu subito aggiunta una quarta), due per il Gloria, una per il Credo.<br />

Le cerimonie durante la parte cantata della messa conventuale erano<br />

le stesse di oggi, almeno per il coro. Durante la messa matutina era<br />

permesso di sedere da dopo il primo Dominus vobiscum fino al Vangelo,<br />

e dal Sanctus all'Agntts Dei. Se non bisognava celebrare la messa<br />

di un santo, si cantava una messa votiva, secondo l'ordine che segue: il<br />

lunedì quella dei morti, il martedì e il giovedì quella della domenica<br />

precedente, il mercoledì la messa pro [amiliaribus, il venerdì quella della<br />

Croce, il sabato quella De Beata. Non si celebrava la messa della Croce<br />

durante l'Avvento; e dall'ottava di Pasqua fino alla domenica prima<br />

dell'Ascensione si diceva il mercoledì la messa della Risurrezione al<br />

posto di quella pro [amiliaribus. Nel 1202 fu deciso che dall'ottava di<br />

Pentecoste all'Avvento si sarebbe detta, tutti i giovedì liberi, la messa<br />

dello Spirito Santo.<br />

I monaci insigniti del sacerdozio (molto pochi del resto) potevano<br />

dire la loro messa privata tutti i giorni, durante il tempo della lettura,<br />

e i giorni di due messe durante la messa matutina. Occasionalmente<br />

potevano anche celebrarla dopo l'oflertorio della messa solenne, se non<br />

ne avevano avuto il tempo prima (Consuetudines, cap. LIX). Nessun<br />

sacerdote, comunque, era tenuto a celebrare la messa tutti i giorni.<br />

VITA DELLO SPIRITO<br />

* * *<br />

Si legge in una recente storia della Chiesa il seguente giudizio su<br />

Citeaux a proposito del ritorno al lavoro manuale: « ...il risultato fu<br />

la diminuizione del tempo consacrato dai Cluniacensi alla recita dell'Ufficio<br />

e l'assenza dello studio propriamente detto» (A. M. ]AQUIN,<br />

t. III, 1948, p. 887). Anche altri storici hanno creduto a un certo<br />

« anti-intellettualismo » dei primi cistercensi. È utile perciò attirare l'attenzione<br />

sul ruolo della lectio divina nelle prime abbazie cistercensi.<br />

Fondata allo scopo di seguire la Regola di San Benedetto più fedelmente<br />

e strettamente, Citeaux, che rimise in onore il lavoro manuale e l'Opus<br />

Dei come era richiesto da San Benedetto, non poteva trascurare la<br />

lectio divina a cui il legislatore di Montecassino dà un posto importante<br />

nella giornata monastica.<br />

- 295-


La lectio divina nella vita del monaco<br />

L'alleggerimento del pensum seruitutis nel coro con la soppressione<br />

di tutti gli elementi aggiunti con poca discrezione, permetteva di ritrovare<br />

l'equilibrio della Regola benedettina e di assicurare ai monaci un<br />

tempo per la lettura indispensabile alla loro vita contemplativa. L'autore<br />

del Liber de modo bene vi vendi, attribuito ora a San Bernardo ora a<br />

Tommaso di Froidmont, insiste sulla necessità della lettura e dell'orazione.<br />

Goffredo d'Auxerre nota che, la vita monastica essendo contemplativa,<br />

la sua principale occupazione è la meditazione sulla Scrittura,<br />

da studiarsi con l'aiuto dei commentari dei Padri. E Isacco di Stella<br />

se la prende con coloro che nel chiostro chinano la testa sul libro,<br />

nell'oratorio russano (stertunt) durante la lettura e in capitolo dormono<br />

durante il sermone. «In tutti costoro, dice, il Verbo parla, ma essi<br />

non sono attenti. Il Maestro parla, e il discepolo dorme ... E tuttavia,<br />

queste tre cose, lettura, meditazione, preghiera costituiscono il midollo<br />

della vita spirituale. È per lo spirito una vera conversazione celeste. in<br />

cui, come Mosè sulla montagna, si parla a Dio, lo si ascolta e ci si<br />

intrattiene con lui come col vicino» (sermo XIV, PL. 194,1736).<br />

Un monastero senza libri non si potrebbe dunque concepire. San<br />

Benedetto nella Regola parla della lettura e dei libri. Le Consuetudines<br />

dei primi cistercensi hanno dedicato uno spazio all'armarium, che era<br />

situato nel chiostro, accessibile a tutti. Nel periodo invernale, dal servitore<br />

di chiesa doveva essere accesa una lampada davanti all'armarium<br />

dopo le Vigilie. San Bernardo nell'Apologia teme che i monaci leggendo<br />

nel chiostro si lascino distrarre dalle sculture e dalle pitture.<br />

Non mancano le testimonianze che dimostrano che nei chiostri<br />

cistercensi la scienza non era assente. San Alberico era un letterato<br />

- virum litteratum - versato nelle scienze divine ed umane. Santo<br />

Stefano consultava gli ebrei su problemi scritturistici ed amava i bei<br />

libri, e si dice che la maggior parte dei compagni di San Bernardo nel<br />

noviziato di Citeaux erano cavalieri o chierici letterati, usciti da Scuole,<br />

come Arnoldo di Morimond, Ugo di Vitry, e Bernardo stesso. Si obietta<br />

il famoso decreto del Capitolo Generale del 1188: «I libri chiamati<br />

Corpus Canonum o Decreto di Graziano saranno particolarmente custoditi<br />

da coloro che li hanno. Non saranno messi nell'Armarium<br />

comune, perché ne potrebbero risultare degli inconvenienti ». Questa<br />

raccomandazione non è, come è stato detto, « un'applicazione del principio<br />

rigido dell'esclusione di ogni studio profano dall'ordine cistercense».<br />

Il Capitolo Generale voleva soltanto mettere in guardia i noniniziati<br />

dalle false interpretazioni. E un pò più tardi, nel 1240, questa<br />

- 296-


precauzione sarà estesa a tutti i libri sia di diritto civile che di diritto<br />

canonico: non devono trovarsi nell'armarium comune, accessibile a tutti.<br />

Si richiedeva l'autorizzazione del Superiore, come per comporre un<br />

libro c'era bisogno del permesso del Capitolo Generale. Era una cosa<br />

normale. Gilberto di Hoyland diceva a proposito dei monaci scrittori:<br />

«Comporre un libro salutare, confessiamolo, è utilissimo, ma solo quando<br />

lo si fa col permesso o piuttosto quando è comandato. Non biasimiamo<br />

la prudenza dei nostri Padri; per quanto esagerata è sempre di grande<br />

profitto: impone in generale il silenzio, di modo che un permesso accordato<br />

a qualcuno non divenga per gli altri occasione di temeraria presunzione<br />

» (sermo in Canto XLVII, n. 2).<br />

Lo studio, ed anche la composizione dei libri, non era dunque bandita<br />

dai chiostri cistercensi; era soltanto regolata. Un testo di uno dei<br />

primi Capitoli Generali, che si vorrebbe più esplicito, si esprime così:<br />

«Nessuno studierà le lettere nel monastero o nelle sue dipendenze,<br />

se non è monaco o novizio. È permesso studiare durante il tempo della<br />

lettura. E nessuno può essere ammesso prima del quindicesirno anno<br />

di età» (st. LXXX). Così era proibito fare scuola e insegnare le lettere<br />

o le arti liberali ai ragazzi o ai giovani, ma era permesso dare quest'insegnamento<br />

durante la lettura ai monaci e ai novizi che prima della<br />

loro entrata non avevano ricevuto una formazione suflicente.<br />

La scienza del monaco<br />

La scienza del monaco è in funzione del suo proprio fine: servire<br />

il Signore. Il monaco deve dunque conoscere tutto ciò che gli permetterà<br />

di servire meglio il Signore. San Benedetto ha tracciato tutto un<br />

programma di letture e di studi nell'utimo capitolo della Regola, programma<br />

molto vasto che abbraccia non soltanto gli studi scritturistici<br />

e patristici ma anche la storia e la spiritualità del monachesimo. Non<br />

saranno dunque ammessi nel chiostro studi o occupazioni puramente<br />

profani. Ma dove incomincia il profano? Al tempo di San Bernardo<br />

diversi cistercensi, come Odone di Morimond, Guglielmo di Auberive,<br />

Goffredo d'Auxerre, si dilettavano di matematica e composero<br />

dei trattati sulla mistica dei numeri. «Questo scambio di trattati di<br />

aritmetica speculativa tra gli abati cistercensi ha del sorprendente »,<br />

scrive Dom J. Leclercq (L'arithmétique de Guillaume d'Auberiue, in<br />

Studia Anselmiana, n. 20, p. 195). La sanzione del Capitolo Generale<br />

del 1199 contro i monaci colpevoli d'aver fatto dei versi prendeva di<br />

mira degli epigrammi o degli scritti satirici; non era un procedimento antiletterario.<br />

I grandi autori cistercensi non disdegnano di citare i poeti<br />

- 297-


dell'antichità pagana e' di imitarne lo stile, come Gallando, monaco di<br />

Reigny, nel suo Libellus Proverbiorum.<br />

Lo studio, compatibile col servizio di Dio e sanzionato dalla benedizione<br />

dell'obbedienza, poteva esser seguito nei chiostri cistercensi.<br />

La copiatura dei manoscritti era considerato un lavoro manuale, e i copisti<br />

godevano di privilegi. Quando i monaci che lavoravano nei campi erano<br />

usciti, quelli che restavano per copiare o correggere libri potevano rompere<br />

il silenzio se era necessario. I copisti potevano togliersi la cocolla<br />

o lo scapolare; potevano entrare in cucina per appianare le loro tavolette,<br />

liquefare l'inchiostro, seccare le pergamene.<br />

Opera illorum sequuntur illos. Le loro opere sono ancora sotto<br />

i nostri occhi, opere che talvolta hanno richiesto molta fatica, vero<br />

lavoro di erudizione. Si rilegga 1'« enciclica» di Santo Stefano circa<br />

la revisione della Bibbia o il monitum di San Bernardo circa la correzione<br />

dell'antifonario. Assieme all'opera dei copisti e dei correttori di<br />

manosritti, bisogna notare la cura che si usava per la loro conservazione.<br />

È stata studiata la rilegatura dei manoscritti dell'abbazia di Clairmarais<br />

del XII e XIII secolo: «modelli di rilegatura pratica, solida,<br />

senza pretese di bellezza, che denotano anche uno spirito di economia.<br />

Si può affermare che il lavoro ha raggiunto lo scopo a cui mirava: la<br />

conservazione dei manoscritti; nonostante l'umidità del terreno di Clairmarais,<br />

questi libri che hanno abbandonato l'abbazia soltanto al momento<br />

della Rivoluzione francese sono in uno stato di conservazione<br />

ammirevole» (B. VAN REGEMORTER,in Scriptorium, V n. 1. 1951,<br />

pp. 99-100). Nessun lusso; soltanto la solidità, il lavoro ben fatto, e<br />

quello spirito di economia che è prettamente cistercense.<br />

Scrittori e autori spirituali<br />

La loro lista è lunga, anche per il solo secolo XII: più di un centinaio.<br />

Dopo Santo Stefano Harding, che è cronologicamente il primo,<br />

bisogna dare un posto a parte ai quattro nomi che, secondo l'espressione<br />

di D. Anselmo Le BaH, « rappresentano i quattro grandi dottori<br />

della chiesa cistercense »: San Bernardo t 1153, Guglielmo di Saint-<br />

Thierry t 1148, il beato Guerrico t 1157, il beato Elredo t 1167.<br />

Ma sarebbe un lavoro vano cercare di stabilire una gerarchia tra gli<br />

altri. Tutt'al più si possono distinguere alcune scuole. Al primo posto<br />

i « Chiaravalle si », discepoli di San Bernardo e monaci di Clairvaux o<br />

case dipendenti: Fastredo, abate di Citeaux t 1163, la cui lettera sulla<br />

vita monastica ha sollevato molte discussioni; Goffredo d'Auxerre (fine<br />

sec. XII), la cui produzione letteraria è abbondante; Nicola di Chiara-<br />

- 298-


valle, segretario infedele di San Bernardo, autore di sermoni; Filippo<br />

dell'Aumòne t 1179; San Amedeo di Losanna t 1159 che compose<br />

le sue eleganti omelie mariane quand'era vescovo; infine Gilberto di<br />

Hoyland, il pio continuatore dei sermones in Cantica t 1172. Bisogna<br />

poi ricordare Serlone di Savigny t 1158, autore di sermoni e di<br />

una raccolta di pensieri morali e allegorici; Tommaso il cistercense (fine<br />

del sec. XII che compose un commentario sul cantico; Balduino di<br />

Ford t 1151; Isacco di Stella t 1159, autori di sermoni e di un trattato<br />

De anima; Arnoldo di Bohéri morto verso il 1149; Alchero di<br />

Clairvaux morto dopo il 11.65che scrisse il trattato De spiritu et anima/<br />

Piero il cantore t 1197; atone di Freising t 1158, autore soprattutto<br />

di scritti storici; Odone di Morimond t 1161, uno dei maestri della<br />

spiritualità cistercense; Guglielmo di Auberive t 1180, discepolo di<br />

Odone di Morimond; e uno dei più curiosi autori cistercensi del XII<br />

secolo: Gallando, monaco di Reigny in diocesi di Auxerre. Egli dice<br />

di aver scritto per ordine del suo abate le due opere Libellus Parabolarum<br />

e Libellus Proverbiorum. Il suo scopo è di istruire ed edificare<br />

divertendo. Il primo è una raccolta di piccole favole o farsette che<br />

partono dai misteri della fede per arrivare ad applicazioni morali sempre<br />

più particolari. In una forma elegante e spesso piacevole, è sempre la<br />

vita contemplativa e la ricerca dell'unione intima con Dio che vien<br />

messa al posto d'onore. Il libro dovette avere successo, poiché l'abate<br />

chiese a Gallando di riprendere la penna; e il nuovo scritto, il Libellus<br />

Prooerbiorum, è ancor più curioso: è «una serie di proverbi, vale a<br />

dire di sentenze o massime, di lunghezza ineguale e di ispirazione<br />

quasi sempre tutta umana, seguiti immediatamente da chiose, che ne<br />

traggono con metodo allegorico lezioni morali e spirituali. L'insieme<br />

costituisce un documento originalissimo e forse unico, tanto le osservazioni<br />

relative alla vita ed ai costumi medioevali presentati dai proverbi<br />

si mescolano in modo inatteso alle riflessioni ed alle considerazioni<br />

più alte verso cui essi intendono orientare il lettore. L'autore di<br />

questo libro non è soltanto un monaco ed uno spirituale; è anche un<br />

robusto contadino borgognone o nivernese che conosce la terra, gli<br />

animali di una grangia, i mestieri di un villaggio e il cuore degli uomini»<br />

(J. CHATILLON, Le recueil de proverbes glosés du cistercien Galland<br />

de Rigny, in Rev. du Moyen Age Latin. IX, gen.-giu. 1953, p. 8). La<br />

cultura di questo monaco cistercense si rivela innanzi tutto dai temi o<br />

ricordi biblici che spesso lo ispirano, ma anche dalle reminiscenze della<br />

letteratura antica, greca e latina. Ci si domanda allora perché il cistercense<br />

del Dialogus inter cluniacensem et cisterciensem rimproverava<br />

- 299-


al cluniacense di darsi alla lettura dei poeti, quando il monaco di Reigny<br />

parla della leggenda di Orfeo ed Euridice come di cosa ben nota ai<br />

suoi lettori.<br />

LA VITA ARTISTICA<br />

Nel capitolo LVII della Regola San Benedetto suppone che nel<br />

monastero si trovino uomini di mestiere, fors'anche dei veri artisti:<br />

scultori, pittori, calligrafi. Desidera pure che si coltivino tutte le arti<br />

necessarie per il mantenimento e la bellezza della casa, sotto l'unica<br />

condizione che tutto si faccia col permesso dell'abate. È noto quanto,<br />

soprattutto dopo Carlomagno, le abbazie siano state centri di attività<br />

artistiche. Senza dubbio, Citeaux non ha mai preteso di soppiantare<br />

quel posto di prim'ordine che ebbe Cluny nel campo della scultura e<br />

della pittura. Tutt'altro. Abbiamo visto che i cistercensi ricercavano<br />

un'architettura più nuda, più snella, per motivi che corrispondono a<br />

una spiritualità molto elevata. I primi testi cistercensi affermano:<br />

«Niente sculture, in nessun luogo. Niente pitture, se non sulle croci,<br />

che saranno di legno» (ms Trento 1711, statuto XXVI).<br />

Ma è giusto aggiungere che questo ostracismo cosi rigoroso non<br />

bandi dalle abbazie cistercensi ogni attenzione artistica. Gli architetti<br />

di Citeaux seppero realizzare capolavori, molti dei quali hanno sfidato<br />

i secoli e sono oggi l'ammirazione degli studiosi. E però se nel primo<br />

secolo cistercense la pittura e la scultura furono pressoché assenti dalle<br />

chiese e dai chiostri cistercensi - anche al tempo di San Luigi e<br />

nonostante il loro amore per la Regina del Cielo, i cistercensi non<br />

osarono riprodurre la Vergine in scultura - gli artisti rivaleggiarono<br />

in ingegnosità nella realizzazione di pavimenti e di vetrate tanto sobrie<br />

nel disegno quanto perfette nell'esecuzione. Nelle due o tre prime<br />

decadi del XII secolo, poi, i miniaturisti di Citeaux produssero capolavori<br />

che non hanno nulla da invidiare alle opere delle più celebri<br />

scuole di miniatura.<br />

Pavimenti<br />

L'Exposition-Saint Bernard di Digione nel 1953 ha raccolto alcune<br />

piastrelle dei pavimenti di chiese cistercensi del secolo XII<br />

(piastrelle provenienti da Aulps, da Bonmont, da Fontenay, da La<br />

Ferté, da Fontmorigny) e del secolo XIII (Acey, Aiguebelle, ecc.). Le<br />

prime presentano disegni geometrici molto semplici: semi-cerchi, losan-<br />

- 300-


ghe, intrecci, reti di linee ondulate, spirali, di colore giallo o verde.<br />

Le seconde presentano una decorazione floreale stilizzata legata a combinazioni<br />

geometriche, oppure uccelli ed animali fantastici. M. Aubert<br />

offre delle riproduzioni di queste piastrelle tL'archirecture cistercienne,<br />

I, pp. 313-314. Vedere anche lo studio illustrato The 13th century<br />

tile mosaic pauements in the Y orksbire cistercian Houses, in Clteaux<br />

in de Nederlanden, VII, 1956, pp. 264-277). « Non c'è dubbio, queste<br />

piastrelle (di Fontenay) furono fabbricate nell'abbazia, dalle mani dei<br />

religiosi, perché sappiamo che dall'inizio del secolo XIII i cistercensi<br />

erano divenuti molto esperti tanto nell'uso di ceramiche e di argille<br />

di differenti colori che facevano entrare per incrostazione nella stessa<br />

piastrella, quanto nell'uso di vernici piombifere » (L. BEGULE,L'abbaye<br />

de Fontenay, Parigi, Laurens, p. 66).<br />

Vetri e vetrate<br />

La proibizione delle pitture all'interno delle chiese comportava il<br />

rigetto dei vetri a colori; bisognò perciò contentarsi di vetro chiaro, o<br />

meglio del vetro naturale, grigio-verde, giallo indistinto o bluastro,<br />

come usciva dal crogiolo. Notiamo che in Borgogna, a quell'epoca,<br />

il vetro era caro e molti tra i borghesi delle città o tra i signori poco<br />

fortunati si contentavano di fornire le loro finestre con pergamene o tele<br />

oleate. Coslla vetreria fu fin dall'inizio delle abbazie cistercensi un'arte<br />

praticata dagli stessi religiosi, che giunsero rapidamente a una tecnica<br />

consumata. Essendo le vetrate a colori interdette (Vitree albe fiant, et<br />

sine crucibus et picturis, Laybach, statuto LXXXII, che non si trova nel<br />

Trento 1711), i maestri cistercensi si limitarono a tagliare i vetri naturali<br />

seguendo forme geometriche od ornamentali, ghirigori, fiori stilizzati,<br />

combinazioni diverse - le stesse delle piastrelle per pavimenti - e<br />

ad unirli saldamente assieme con larghe strisce di piombo saldate e<br />

controsaldate ad ogni intersezione. «Niente colori, niente personaggi o<br />

figure, niente scene iconografiche; soltanto disegni, disegni semplici e<br />

nobili corrispondenti allo spirito della costruzione. Siamo qui all'origine<br />

del chiaroscuro, e i cistercensi si rivelano veri maestri sia per<br />

la tecnica avanzata e la qualità del vetro, che per la purezza del disegno»<br />

(M. AUBERT,1, 311).<br />

Miniature<br />

Una delle prime occupazioni a cui si dedicarono i monaci del<br />

Nuovo Monastero fu naturalmente la calligrafia. Si affrettarono a copia-<br />

- 301-


e i manoscritti di cui avevano bisogno per l'ufficio e per la lectio<br />

divina: Regola, Bibbia, libri di coro, scritti dei Padri. Diciotto manoscritti<br />

dei primi trent'anni del secolo XII provenienti da Citeaux sono<br />

ancora conservati nella Biblioteca di Digione. L'arte della miniatura<br />

è quasi inseparabile dall'arte della calligrafia, e nelle miniature cistercensi<br />

- ha scritto qualcuno - « quella testa è così espressiva che fu<br />

ispirata a colpo sicuro dal profilo di un vicino di scriptorium ». Tuttavia,<br />

nota M. C. Oursel nella sua relazione al Congresso San Bernardo<br />

di Digione (testo stampato in Cùeaux in de Nederlanden, VI, 1955,<br />

pp, 161-172) « l'ornamento dei manoscritti non è una semplice divagazione,<br />

ma un complemento dell'insegnamento che viene fuori dal testo ».<br />

È stato giustamente ammirato, tra gli altri splendori, il disegno che illustra<br />

la creazione di Adamo, nella Bibbia di Santo Stefano Harding<br />

(Digione, ms 14 f. 76), come se il miniaturista avesse voluto evocare<br />

la lussureggiante bellezza e le armonie del paradiso terrestre. Non meno<br />

celebre è Davide in tutta la sua maestà regale, e tanti altri. Uno studio<br />

approfondito delle miniature nei manoscritti dell'abbazia di Citeaux<br />

ha condotto M. Oursel a concludere che c'è una grande diversità nello<br />

stile, nella pittura e nella miniatura, diversità che non esclude dei caratteri<br />

comuni. Queste due constatazioni sono sufficenti per stabilire da<br />

una parte l'esistenza a Citeaux di uno scriptorium molto attivo, e<br />

dall'altra una sensibile diversità nei gusti e nelle tendenze. Sono stati<br />

rilevati influssi orientali, arabi e bizantini, ed influssi anglo-sassoni,<br />

o semplicemente borgognoni e locali.<br />

Bruscamente uno statuto del Capitolo Generale venne se non a<br />

paralizzare almeno a regolare e a restringere tutta questa attività, e ad<br />

inaridire la profusione delle iniziative ornate e delle miniature ricche<br />

di colori. È lo stesso testo inesorabile che elimina i colori delle<br />

vetrate: Littere unius coloris fiant, et non depicte, Vitree albe fiant ...<br />

Le lettere iniziali saranno di un solo colore, senza decorazione a pittura.<br />

Questo statuto, che è in sintonia con l'Apologia, è stato attribuito<br />

all'influsso di San Bernardo. Ma bisogna parlo non nel 1134 dopo la<br />

morte di Santo Stefano, bensì più tardi, probabilmente tra il 1150 e<br />

il 1152.<br />

Se alcune abbazie conservarono una commovente fedeltà a questa<br />

direttiva - ad esempio Vauclair, figlia di Clairvaux, i cui manoscritti<br />

nella Biblioteca di Laon sono conformi ai regolamenti ufficiali fino alla<br />

fine del secolo XIII, lettere iniziali di un solo colore, ornate esclusivamente<br />

con fogliame o ghirigori molto sobri - altri monaci artisti<br />

si credettero meno legati dal decreto del Capitolo; per cui, già nella<br />

- 302-


seconda metà del secolo XII, iniziali e nuruature multicolori cominciarono<br />

a riapparire timidamente. Si può anche dubitare che il decreto<br />

sia stato messo in pratica dappertutto, o che lo sia stato a lungo. Cosi<br />

a Himmerod, figlia diretta di Clairvaux, il manoscritto più antico,<br />

Sermoni di Sant'Agostino sul vangelo di San Giovanni, terminato nel<br />

1154, non mostra traccia alcuna delle severe istruzioni del Capitolo<br />

Generale. Il codice contiene un gran numero di iniziali da uno a tre<br />

colori, inquadrate da intrecci alternativamente azzurri o rossi, e talvolta<br />

anche da figure. Le altre produzioni di Himmerod sono più semplici e<br />

caratterizzate da lettere capitali lavorate in rosso, verde, giallo e azzurro.<br />

Un manoscritto del commentario di Pietro Lombardo sulle Epistole<br />

di San Paolo, della fine del secolo XII, è scritto e calligrafato<br />

molto accuratamente: nelle lettere capitali si notano bei fogliami che<br />

racchiudono motivi di palmette rosse su fondo bipartito rosso, blu,<br />

verde e bruno chiaro. Tra i manoscritti del XIII secolo sono da segnalare<br />

ancora due antifonari, che presentano miniature dipinte in modo<br />

ammirevole e in parte secondo lo stile bizantino (cfr i lavori del P.<br />

Ambrosius Schneider sullo scriptorium e la biblioteca di Himmerod).<br />

(Traduzione dal francese di P. IGINO VONA, O. Cist.)<br />

- 303-


RECENSIONI<br />

QUlDAM, Il diavolo, se fosse una favola<br />

..., IV ed. T.A.S., Brescia<br />

pp. 361.<br />

1972<br />

, ,<br />

GoRRESIO V., Il papa e il diavolo,<br />

Rizzoli, Milano, 1973, pp. 237.<br />

È una fiaba di Dino Semplici: «Un<br />

giorno il diavolo si senti stanco e decise<br />

di schiacciare un pisolino. Si fece portare<br />

un'anima particolarmente soffice<br />

e, accomodatovi il capo, si addormentò.<br />

Fu però quasi subito destato da un<br />

gran baccano, qualcuno stava dando<br />

fieri colpi alle porte dell'inferno. « Una<br />

cosa insolita », pensò il diavolo e andò<br />

ad aprire. Gli apparve davanti un ometto<br />

vestito di nero con un martello in<br />

mano. «O che fai tu », gli chiese il<br />

diavolo, « Sto sprangando le porte dell'inferno<br />

- rispose l'ornino - Noi<br />

uomini abbiamo deciso che l'inferno<br />

non c'è più e che anche i suoi simboli<br />

devono scomparire». « Ma - gli disse<br />

il diavolo - una cosa è far sparire i<br />

simboli e un'altra far sparire la realtà ».<br />

Ma l'ornino non volle ascoltarlo e lo<br />

aggredi: «Fatti in là e lasciami lavorare<br />

». Il diavolo lo lasciò lavorare.<br />

Ad un tratto si svegliò e s'accorse che<br />

era stato un sogno. Ma gli era sembrato<br />

talmente vero che istintivamente si<br />

fregò le mani. Come tutte le fiabe ci<br />

raccontano una verità, e la verità è che<br />

si.amo nell'era della cuccagna per il<br />

diavolo, che può lavorare indisturbato<br />

perché gli uomini non sospettano neppure<br />

della sua presenza. Si è giunti<br />

agli estremi opposti del medioevo quando<br />

si vedeva il diavolo in ogni angolo<br />

di casa, dietro ad ogni avvenimento<br />

men che buono.<br />

Pro e contro questa tendenza sono i<br />

due volumi presi in considerazione. Il<br />

primo, pubblicato anonimo, è opera di<br />

- 304<br />

un religioso che, per sua missione<br />

sacerdotale e per il lavoro che svolge<br />

di giurista nei tribunali della Chiesa, è<br />

a contatto continuo con questa realtà<br />

che è il male e con chi è padre e istigatore<br />

del male, il diavolo. Nella sua<br />

opera dopo una chiara sintesi teologica<br />

al riguardo, passa in rassegna la documentazione<br />

sulla esistenza della potenza<br />

del male: Sacra Scrittura, agiografia<br />

cristiana e testimonianze private. Esamina<br />

in seguito le forme che la demonologia<br />

ha rivestito e riveste nel mondo<br />

moderno. Sono quasi quattrocento<br />

fitte pagine che, pur nel diverso valore<br />

documentario, permettono di concludere<br />

che il diavolo non è una favola<br />

per i bambini cattivi.<br />

Di altro parere è Gorresio nel volume<br />

citato. Il brillante giornalista laico<br />

della « Stampa» di Torino ha dei duri<br />

rimproveri da muovere al Papa: in<br />

apertura al mondo più verbale che reale,<br />

un affossamento continuo del Concilio,<br />

la sua tendenza all'autoritarismo ,<br />

non in modo particolare: il rilancio del<br />

diavolo che giustifica il titolo del libro.<br />

Il papa si sarebbe definitivamente messo<br />

al di fuori del mondo moderno per<br />

rientrare nell'ombra medievale con le<br />

sue prese di posizione sul diavolo.<br />

« Esso è inesistente secondo la cultura<br />

(anche teologica) aggiornata; vivo e<br />

presente secondo Paolo VI ». Gorresio<br />

cita un proverbio piemontese « 'L dian<br />

a l'è gran perché a l'è vej », avrebbe<br />

dovuto ricordare un altro: «'L dian a<br />

l'è sutil ma a fila gros» sottile è il<br />

diavolo, ma il suo lavoro è ingente.<br />

Tanto sottile che spesso l'occhio acuto,<br />

se non illuminato della fede, non riesce<br />

neppure a ":,,ederlo.Ma questo non dice<br />

che non esista.<br />

P. Malachia Falletti


N. 1-2:<br />

SOMMARIO DELL'ANNATA 1973<br />

P. MALACHIA FALLETTI, La comunità nel rinnovamento<br />

della vita religiosa<br />

l° Senso del rinnovamento<br />

Il° Monastero e comunità .<br />

111° La comunità nel Nuovo Testamento.<br />

IVo La comunità nella riflessione teologica<br />

VO La comunità nell'indagine sociologica<br />

Bibliografia<br />

Florilegio, San Bernardo al nipote Roberto.<br />

ARMANDO CASINI, I <strong>Cistercensi</strong> alla Certosa del Galluzzo<br />

nel ricordo del Cardinale Elia Dalla Costa.<br />

P. GOFFREDO VITI, Storia dell'abbazia di Casamari (III)<br />

CAPITOLO TERZO: L'abate Orso<br />

Personalità di Orso .<br />

Abdicazione dell'abate Orso .<br />

Il luogo Convegno .<br />

La data del Convegno e l'elezione dell'abate Agostino<br />

CAPITOLO QUARTO: L'abate Agostino e successori<br />

Gli ultimi abati benedettini di Casamari .<br />

Elenco degli abati benedettini nell'abbazia di Casaman<br />

Corrispondenza coi lettori:<br />

MARIO ERMINI, Monaci e laici in Certosa<br />

P. ILDEBRANDO DI FULVIO, « Sensus Ecclesiae »: amore<br />

e fedeltà<br />

FRANCESCO Russo, L'rtefice del Duomo di Cosenza.<br />

- 305-<br />

Pago 1<br />

» 2<br />

» 3<br />

» 7<br />

» Il<br />

» 15<br />

» 17<br />

» 27<br />

» 37<br />

»<br />

»<br />

»<br />

»<br />

»<br />

40<br />

42<br />

44<br />

47<br />

52<br />

» 59<br />

» 61<br />

» 63<br />

»<br />

67


Cronaca:<br />

ROSARIO POMA, Un Cranacb e altri otto quadri rubati nella<br />

Certosa di Firenze Pago 76<br />

Statuto dell'Associazione «Amici della Certosa» »79<br />

Statistica generale dell'Ordine cistercense . » 84<br />

P. VITTORINO ZANNI, La Regola di San Benedetto »85<br />

JEAN DE LA CROIX BOUToN, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(quattordicesima puntata) .<br />

Gli Instituta Generalis Capituli .<br />

La prima collezione degli Instituta<br />

Nuove collezioni di Instituta .<br />

Evoluzione delle Istituzioni <strong>Cistercensi</strong> nel corso del<br />

secolo XII .<br />

Le Istituzioni <strong>Cistercensi</strong> nel 1119<br />

La Carta Caritatis prior .<br />

La bolla Sacrosancta di Eugenio III<br />

Le approvazioni di Anastasio IV e di Adriano IV<br />

Le due Sacrosancta di Alessandro III<br />

La Carta Caritatis posterior .<br />

Schema dell'evoluzione del primitivo diritto costitu-<br />

zionale cistercense .<br />

I tre «Primi Padri »<br />

I Primi Padri nelle Bolle Sacrosancta .<br />

I quattro Primi Padri .<br />

Le « Consuerudines »<br />

Fondazione delle monache cistercensi<br />

Le religiose di Molesme<br />

Fondazione di Jully .<br />

Fondazione di Tart .<br />

Prima organizzazione delle monache cistercensi.<br />

I Capitoli delle Badesse .<br />

306<br />

» 91<br />

» 91<br />

» 92<br />

» 94<br />

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» 96<br />

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» 104<br />

» 106<br />

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» 108<br />

» 109<br />

» 111<br />

» 113<br />

» 114


N. 3-4:<br />

La legge della clausura<br />

Recensioni .<br />

P. MALACHIA FALLETTI~ Il convito eucaristico cardine<br />

della vita di comunità<br />

La «Messa» convito eucaristico<br />

Prendete-mangiate ~ prendete-bevete<br />

La messa celebrazione dell'amore fraterno<br />

Ciascuno esamini se stesso .<br />

La Messa motore della vita cristiana e religiosa<br />

Celebrazione o concelebrazione<br />

L~autoscomunica<br />

Conclusione<br />

P. BENEDETTO FORNARI~ Architettura cistercense nel Lazio<br />

storale dell' abate.<br />

1. Santa Maria di Amaseno<br />

2. Santa Maria Maggiore a Ferentino<br />

3. Santa Maria del Fiume a Ceccano<br />

4. San Nicola a Ceccano<br />

Florilegio, San Bernardo: Epistola sulla Carità.<br />

FR.SIGHARDO KLEINER, Lettera Pastorale: L'ufficio pastorale<br />

dell' abate<br />

P. GOFFREDO VITI} Le origini dell' abbazia di Santa Maria<br />

di Sambucina alla luce della critica delle fonti:<br />

Sguardo generale sull'opera di G. Marchese<br />

«La Badia di Sambucina» .<br />

1. L~amicizia tra Ruggero II e San Bernardo .<br />

2. L'atto di Donazione del 18 maggio 1141 del Conte<br />

Goffredo de Lucijs e relative questioni .<br />

- 307-<br />

Pago 116<br />

» 118<br />

» 125<br />

» 126<br />

» 127<br />

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-» 137<br />

» 140<br />

» 141<br />

» 143<br />

» 150<br />

» 163<br />

» 167<br />

» 169


Primo periodo della storia di Sambucina<br />

Secondo periodo della storia di Sambucina<br />

3. Importanza della Bolla di Celestino III del 6<br />

maggio 1192<br />

L'abbazia di Sambucina attraverso i secoli .<br />

P. PLACIDO CAPUTO, I Carbonari nell' abbazia di Casamari<br />

durante i moti insurrezionali nel Regno delle due<br />

Sicilie (8 marzo 1821)<br />

Il momento politico.<br />

I Soldati « regnicoli » e i Carbonari nèll'abbazia di<br />

Casamari<br />

Dispersione dei monaci<br />

Restaurazione dell'abbazia<br />

JEAN DE LA CROIX Botrrox, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(quindicesima puntata)<br />

San Bernardo. Suo influsso su Citeaux<br />

San Bernardo e gli usi cistercensi .<br />

San Bernardo e la teologia monastica .<br />

Divergenze con Cluny nell'interpretazione della Regola<br />

Critiche dei <strong>Cistercensi</strong><br />

Critiche contro i cistercensi<br />

Apprezzamenti<br />

Fondazione di un'abbazia cistercense<br />

Passi preliminari .<br />

Scelta della pOSlZ1One<br />

Trasferimenti di abbazie<br />

Quadro della vita monastica<br />

Disposizione dei luoghi regolari .<br />

I «moines bàtisseurs »<br />

Il laboratorio spirituale<br />

Recensioni<br />

- 308<br />

Pago 174<br />

» 175<br />

» 177<br />

» 179<br />

» 186<br />

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» 216<br />

» 218


N.5-6:<br />

P. GOFFREDO VITI, Storia dell'abbazia di Casamari (IV)<br />

CAPITOLO QUINTO: Le chiese dipendenti da Casamari<br />

nel periodo benedettino .<br />

Prospetto delle chiese appartenenti a Casamari nel<br />

periodo benedettino secondo la, Cronaca del Cartario<br />

San Michele Arcangelo presso Veroli .<br />

San Nicola in Veroli<br />

Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli<br />

San Nicola de Cappellis<br />

Santa Croce di Anagni .<br />

San Vito fuori Veroli<br />

San Magno della Marsica<br />

San Vincenzo di Valle Roveto<br />

Santa Maria di Reggimento presso Monte San Gio-<br />

vanni Campano .<br />

San Salvatore di Monte San Giovanni Campano<br />

Chiese di San Giovanni Battista e San Silvestro in<br />

Frosinone<br />

Santo Stefano di Boville<br />

San Nicola di Boville<br />

Sant'Ippolito di Veroli .<br />

San Giovanni Battista In Leterneto<br />

San Leucio di Boville<br />

San Nicola « ad Palatium Phallaridis »<br />

Prospetto cronologico delle chiese appartenenti a<br />

Casamari nel periodo benedettino<br />

CAPITOLO SESTO: Il patrimonio di Casamari durante<br />

il periodo benedettino .<br />

Prospetto dei documenti (1038-1123) .<br />

Patrimonio non determinato (in riferimento ai beni<br />

terrieri)<br />

- 309-<br />

Pago 225<br />

» 228<br />

» 229<br />

» 229<br />

» 229<br />

» 230<br />

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» 238<br />

» 239<br />

» 240<br />

» 240<br />

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» 242<br />

» 244<br />

» 245


Patrimonio determinato (in riferimento ai beni terrieri)<br />

Florilegio, Guerrico di Igny: Sermoni per l'Avvento del<br />

Signore<br />

Cronaca:<br />

P. MALACHIA FALLETTI, Capitolo generale (24 luglio<br />

1 settembre)<br />

LUISA TERZANI, Presentazione di un libro in Certosa (24<br />

ottobre)<br />

LUIGI SANTEDICOLA, Convegno sulle Università straniere<br />

a Firenze: Riflessioni-considerazioni (Certosa, 14 Novembre)<br />

P. PLACIDO CAPUTO, L'industria della lana e della seta<br />

nell' abbazia di Casamari<br />

Nuovo indirizzo economico nell'abbazia di Casamari<br />

Le provviste di lana greggia<br />

Sistema di lavorazione .<br />

I monaci tessitori .<br />

La vendita dei prodotti tessili .<br />

JEAN DE LA CROIX BUToN, Storia dell'Ordine cistercense<br />

(sedicesima puntata)<br />

La giornata monastica<br />

Orario di San Benedetto<br />

Orario dei primi cistercensi .-<br />

Preghiera liturgica<br />

L'opus Dei.<br />

Il canto<br />

Orario degli esercizi quotidiani XII-XIII-XIV sec.<br />

Le altre funzioni liturgiche. La messa.<br />

Vita dello spirito<br />

La lectio divina, nella vita del monaco .<br />

La scienza del monaco .<br />

310<br />

Pago 247<br />

» 253<br />

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» 267<br />

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» 289<br />

» 291<br />

» 292<br />

» 294<br />

» 295<br />

» 296<br />

» 297


Scrittori e autori spirituali Pago 298<br />

La vita artistica » 300<br />

Pavimenti » 300<br />

Vetri e vetrate . » 301<br />

Miniature » 301<br />

Recensioni » 304<br />

Sommario dell'annata 1973 . » 305<br />

- 311-

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