Leggi - I Cistercensi
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NOTIZIE<br />
CISTERCENSI<br />
5-6<br />
SETTEMBRE-DICEMBRE<br />
1973<br />
ANNO VI<br />
Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gru IV
NOTIZIE CISTERCENSI<br />
Redattore capo:<br />
P. Goffredo Viti<br />
Consiglio di Redazione:<br />
P. Placido Caputo<br />
P. Malachia Falletti<br />
P. Vittorino Zanni<br />
Responsabile:<br />
Agostino Carlomagno<br />
Conto corrente 5/7219<br />
Periodico bimestrale di vita cistercense<br />
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GOFFREDO VITI<br />
STORIA DELL'ABBAZZIA DI CASAMARI (IV)<br />
Capitolo quinto: LE CHIESE DIPENDENTI DA CASAMARI NEL<br />
PERIODO BENEDETTINO<br />
Per avere una visione completa della storia di Casamari durante<br />
questo primo periodo, non possiamo non soffermarci ad illustrare<br />
le chiese dipendenti. Il quadro che ne risulta serve a determinare<br />
con maggiore esattezza l'influsso e l'importanza religiosa, sociale ed<br />
economica di Casamari nella società del secolo XI e XII. Alcune di<br />
queste chiese erano parrocchie, in genere erano semplici cappellanie,<br />
altre infine erano cappelle curtensi o cenobioli. All'ufficiatura e alla amministrazione<br />
provvedeva direttamente Casamari, mantenendovi quasi<br />
sempre un sacerdote secolare con cura di anime, che veniva retribuito dall'abate<br />
con la quarta parte delle decime sui proventi ed oblazioni della<br />
chiesa curata 1. Dove invece le chiese erano semplici cappellanie con<br />
fattorie economiche, i monaci stabilivano dei cenobioli, nei quali essi,<br />
oltre ad amministrare e sorvegliare i beni, curavano l'assistenza spirituale<br />
dei propri vassalli.<br />
Le chiese parrocchie e non parrocchie, i cui chierici sacerdoti venivano<br />
investiti della cura dal vescovo, dietro presentazione dell'abate,<br />
soddisfacevano ai diritti episcopali sulle decime ed oblazioni dei fedeli;<br />
invece le cappelle curtensi rispondevano di ogni diritto al monastero<br />
che le manteneva in esercizio con monaci o sacerdoti secolari stipendiati.<br />
Essi però non potevano esercitare nessuno dei diritti propri delle pievi,<br />
come di sepoltura, battesimo ed olio degli infermi 2.<br />
Data la scarsità delle parrocchie nel Medioevo, specialmente di<br />
quelle rurali, l'offerta ai monaci di tante chiese e cappellanle di campagna<br />
era perciò un grande beneficio per il popolo fedele che si vedeva<br />
cosi meglio assistito spiritualmente. Quest'uso riusd infatti molto fruttuoso<br />
anche negli altri monasteri benedettini, specialmente del Piemonte<br />
3.<br />
Accadeva però che i donatori delle chiese, in modo speciale se<br />
1 Bolla di Callisto II del 2 ottobre 1123, inserita nella bolla di Nicolò IV, del<br />
13 dicembre 1290, Reg. Vat. 45, c. 751, fol. 1542; anche Doc. 5 del secondo volume.<br />
2 Per privilegio della Bolla di Callisto II (v. nota precedente), la chiesa di Casamari<br />
aveva il diritto di sepoltura per i fedeli che desideravano esservi tumulati.<br />
3 F. Gosso, Vita economica delle abbazie piemontesi, Roma 1940, 194.<br />
- 225-
vescovi, univano alle loro donazioni dei privilegi, ad esempio esentando<br />
od offrendo al monastero i diritti della quarta parte delle decime loro<br />
dovute. Cosi fece infatti Onesto, vescovo di Veroli, donando il 28 settembre<br />
1075, con la chiesa di San Giovanni Battista, di Frosinone,<br />
la quarta parte delle decime di tutte le altre chiese della stessa città 4.<br />
Questo modo di procedere suscitò ben presto contrasti per collusione<br />
di diritti episcopali ed abbaziali, promuovendo liti tra il monastero<br />
e i successori dei vescovi oblatori, liti che si protraevano alle<br />
volte per decenni. Casamari dovette soffrire più di una volta di questi<br />
contrasti per le numerose chiese che possedeva. Perciò, vedendosi lesa<br />
nei suoi diritti e privilegi ricorse alla protezione dei Sommi Pontefici,<br />
dai quali chiese ed ottenne più volte il Praeceptum Libertatis, per cui<br />
veniva esentata da alcuni obblighi e servitù episcopali. Il più antico<br />
ricorso di cui abbiamo notizia, è quello fatto a Leone IX, nel 1049.<br />
In seguito al ricorso Leone IX spedì un Breve al Vescovo della Marsica<br />
per ordinargli di restituire a Casamari la Chiesa di San Nicola de Cappella<br />
cum omnibus pertinentiis. Questo Breve è ricordato in un altro<br />
Breve di Conferma del Pontefice Gregorio IX, dato il 4 giugno 1236 s.<br />
Dall'ultimo diploma concesso per Casamari durante il periodo benedettino<br />
possiamo conoscere alcuni di questi privilegi. Il diploma è di<br />
Callisto II, concesso il 2 ottobre 1123 ed inserito in una bolla di<br />
Nicolò IV del 13 dicembre 1290 6 • I Privilegi più importanti in essi<br />
contenuti sono:<br />
- Immediata protezione dei Pontefici sul Monastero;<br />
Conferma di tutte le chiese (sono 14);<br />
- Il diritto all'abate di Casamari di poter essere consacrato dal Papa;<br />
- Il diritto di sepoltura per i fedeli che desiderassero essere sepolti<br />
nella chiesa di Casamari;<br />
- La licenza di andare da qualsiasi altro vescovo cattolico se il proprio<br />
« gratis et absque ulla exactione noluerit exibere » il crisma, l'olio<br />
santo, la consacrazione degli altari e l'ordinazione dei monaci.<br />
La Cronaca del Cartario osserva giustamente che il Praeceptum<br />
Libertatis concesso dai papi multum monasterio projuit, riuscendo a<br />
far svanire tante pretese e a ricomporre tante discordie.<br />
Una accurata analisi dei due prospetti ci abbliga a fare alcuni<br />
rilievi di carattere generale. Nel primo prospetto sono elencate 16 chiese<br />
4 Doc. 20 del secondo volume.<br />
5 Reg. Vat. Gregor. IX, anno X, ep. 111, f. 165 r; Doc. 5 del secondo volume.<br />
6 Reg. Vat., 45, c. 751, fol. 1542; Doc. 20 del secondo volume.<br />
- 226-
di cui Il sono attribuite all'abate Giovanni (ca 1037-1065), 3 all'abate<br />
Orso (1065-1088) e 2 all'abate Agostino (1088-1106).<br />
Secondo la Cronaca del Cartario solo tre abati della serie benedettina<br />
sono interessati all'acquisto delle chiese e relativi possedimenti;<br />
vale a dire i personaggi più caratterizzanti di tutto il periodo benedettino.<br />
Ciò può confermare l'opinione che la Cronaca del Cartario, sebbene<br />
ricostruita su documenti di donazione e contratti, abbia però attribuito<br />
a questi abati meriti forse maggiori di quelli che in realtà ebbero,<br />
privando gli altri, ritenuti meno importanti dal Cronista, di qualche<br />
giusto titolo di gloria. È il caso dell'abate Benedetto II (vedi il prospetto<br />
cronologico).<br />
Di diverse chiese abbiamo solo qualche vaga notizia nella Cronaca<br />
del Cartario; di alcune invece è giunta fino a noi copia dell'atto di<br />
fondazione o donazione. L'ordine esposto nella Cronaca del Cartario e<br />
riportato nel primo prospetto non è perfettamente cronologico, come<br />
lascia intendere l'autore della Cronaca. L'inesattezza cronologica è rilevata<br />
almeno per quelle chiese di cui possediamo i documenti relativi.<br />
Il fatto più grave è che al quinto e sesto posto del primo prospetto<br />
troviamo che il cronista ha attribuito all' abate Giovanni l'acquisto delle<br />
due chiese di Frosinone, San Giovanni Battista e San Silvestro. Il<br />
documento di donazione 7 datato il 28 settembre 1075 parla solo della<br />
chiesa di San Giovanni Battista. Nel 1075 abate di Casamari era certamente<br />
Orso e non più Giovanni. A questo punto sorgono difficoltà per<br />
la seconda chiesa di Frosinone, San Silvestro. Di essa non possediamo<br />
alcun documento. Ma poiché la Cronaca del Cartario parla contemporaneamente<br />
delle due chiese, avanziamo l'ipotesi che esse dovettero<br />
essere donate a Casamari a breve distanza e quindi sarebbero da attribuirsi<br />
tutte e due all'abate Orso.<br />
Questi rilievi ci hanno indotto a presentare ilProspetto cronologico<br />
delle chiese appartenenti a Casamari durante il periodo Benedettino.<br />
Nel nuovo prospetto, al momento attuale delle ricerche archivistiche,<br />
le chiese sono 18 e gli abati interessati sono quattro:<br />
- abate Giovanni, lO chiese<br />
- abate Orso, 5 chiese<br />
- abate Agostino, 2 chiese<br />
abate Benedetto II, 1 chiesa.<br />
L'influsso dell'abbazia di Casamari S1 estese dapprima nelle zone<br />
7 Doc. 20 del secondo volume.<br />
227 -
circostanti: Basso Lazio e Marsica. Dopo un settantennio di vita monastico-benedettina<br />
l'abbazia poté fondare un piccolo cenobio in Sicilia.<br />
Le poche notizie sulle singole chiese saranno esposte seguendo<br />
l'ordine cronologico del secondo prospetto.<br />
PROSPETTO DELLE CHIESE<br />
APPARTENENTI A CASAMARI NEL PERIODO BENEDEITINO<br />
Chiesa<br />
secondo la cronaca del cartario<br />
abate di Vescovo<br />
Data di<br />
Papa<br />
Casarnari di Veroli fondazione<br />
1 San Michele Arcangelo Giovanni - - -<br />
presso Veroli<br />
2 San Nicola presso Veroli Giovanni - - -<br />
3 San Vito presso Veroli Giovanni Placido Alessandro I! 7 nov. 1062<br />
4 Sant' Angelo in monte Corneto, Giovanni - Benedetto II 20 setto 1048<br />
presso Veroli<br />
5 San Giovanni Battista Giovanni Onesto Gregorio VI! 28 setto 1075<br />
in Frosinone<br />
6 San Silvestro in Frosinone Giovanni - - -<br />
7 Santa Croce di Anagni Giovanni - Nicolò I! 18 otto 1060<br />
8 San Magno nella Marsica Giovanni - - -<br />
9 San Vincenzo di Valle Roveto Giovanni - - -<br />
lO Santa Maria di Reggimento Giovanni - - -<br />
11 San Salvatore di Monte San Giovanni - - -<br />
Giovanni Campano<br />
12 San Nicola di Bauco Orso - - -<br />
13 Santo Stefano di Bauco Orso - Gregorio VII agosto 1081<br />
14 SS. Leucio e Ippolito Orso - - -<br />
15 San Giovanni in Laterneto Agostino Alberto Urbano I! 17 dico 1090<br />
16 San Leucio di Bauco Agostino Alberto Urbano II 17 dico 1090<br />
- 228-
SAN MICHELE ARCANGELO PRESSO VEROLI<br />
Secondo la cronaca del Cartario, San Michele è la pruna chiesa<br />
che fu acquistata dagli abati di Casamari 8.<br />
La chiesa esiste ancora oggi in Veroli ma ha subito nel volgere<br />
degli anni tante modifiche e tali rifacimenti che sorge il dubbio se<br />
l'attuale Chiesa corrisponda a quella riferita dalla Cronaca del Cartario.<br />
Fino al 1573 essa certamente apparteneva a Casamari con tutti<br />
i possedimenti circostanti 9. Dopo tale data non abbiamo più notizie<br />
precise a riguardo.<br />
SAN NICOLA IN VEROLI<br />
La Cronaca del Cartario asserisce semplicemente che questa chiesa<br />
fu costruita « in Ioco apto » lO: da questa vaga notizia non è possibile<br />
rintracciarne l'ubicazione.<br />
Attualmente comunque non esiste in Veroli e dintorni alcuna chiesa<br />
dedicata a San Nicola. La Chiesa. possedeva, secondo la Cronaca, un<br />
«cenaculum in modum turris » 11 che serviva per ospitare i monaci<br />
che eventualmente si trovassero di passaggio a Veroli.<br />
Verso la fine del secolo XVI la chiesa apparteneva ancora a Casamari,<br />
come risulta dalla pergamena del 1573.<br />
SANT'ANGELO IN MONTE CORNETO PRESSO VEROLI<br />
Di questa chiesa abbiamo 1'atto di donazione 12: è quel documento<br />
ritenuto fino a qualche tempo fa del 1033, che abbiamo lungamente<br />
studiato nel capitolo riguardante la data di fondazione di Casamari.<br />
Dai rilievi fatti risulta che il documento è certamente del 1048.<br />
Della costruzione originale rimangono oggi solo dei ruderi. All'intorno<br />
di essa si rilevano le tracce delle modeste costruzioni ove i monaci<br />
8. Doc. 1 del secondo volume.<br />
9 È elencata in una pergamena che pubblicheremo a suo tempo.<br />
IO Doc. 1 del secondo volume.<br />
11 Ibidem.<br />
12 Doc. 4 del secondo volume.<br />
229 -
abitavano durante il periodo più intenso dei lavori agricoli. Accanto<br />
a Sant' Angelo sorse intorno alla metà del secolo XII un nucleo di<br />
case coloniche che appartengono tuttora all'Abbazia di Casamari. Il<br />
piccolo centro porta ancora il nome di Sant'Angelo; e si trova a 5 km<br />
a Nord Est di Casamari. Il villaggio fu incorporato ben presto alla<br />
nascente Grancia dell' Abbazia chiamata in passato Gretera, ed oggi<br />
invece Antera, ancora in possesso dell' Abbazia.<br />
Nel 1258 Alessandro IV con la Bolla Ad audientiam nostram 13<br />
condanna coloro che con mano temeraria hanno inteso impadronirsi<br />
della Grancia Gretera e dei luoghi posseduti da lungo tempo dai<br />
monaci di Casamari.<br />
Secondo il Longoria, nella solitaria dimora di Sant'Angelo, si ritirò<br />
spesso Gioacchino da Fiore col suo amato discepolo Luca, monaco e<br />
poi priore di Casamari.<br />
SAN NICOLA DE CAPPELLIS<br />
L'esistenza di questa chiesa è ricordata in un diploma di Leone IX<br />
in cui il papa ordina al vescovo della Marsica di restituirla a Casamari<br />
14. Nel 1573 figura ancora tra i beni dell'abbazia 15.<br />
SANTA CROCE DI AGNANI<br />
La Cronaca del Cartario, tra le altre benemerenze dell'abate Giovanni<br />
in favore della nascente abbazia di Casamari, afferma che egli<br />
acquistò una chiesa, chiamata Santa Croce, con tutti i relativi possedimenti,<br />
situata fuori la città di Anagni 16. La chiesa di Santa Croce, col trascorrere<br />
degli anni, accrebbe notevolmente le sue rendite, come si nota da<br />
alcuni atti donazione che sono giunti fino a noi. Fino ad ora conosciamo<br />
tre atti di donazione.<br />
Il primo documento è l'atto di donazione emanato da tre sacerdoti<br />
13 L. DE BENEDETTI, Regesti, 343<br />
14 Cfr F. UGHELLI, ltal. Sac., tomo l, 908; L. DE BENEDETTI,Regesti, 331; Doc. 5<br />
del secondo volume.<br />
15 Cfr nota 9 del presente capitolo<br />
16 Doc. 1 del secondo volume.<br />
230 -
di Anagni, Pietro, Leone e Giovanni col consenso del proprio vescovo<br />
Bruno Exiguo. Rileviamo una imprecisione verbale tra l'atto di donazione<br />
e la Cronaca del Cartario. Nell'atto si parla di gratuità mentre la<br />
Cronaca asserisce che si tratta di acquisto. Il termine acquisiuit ricorre<br />
spesso nella Cronaca e noi crediamo che si debba quasi sempre intendere<br />
per donazione. Questo primo documento è del 17 ottobre 1060, durante<br />
il secondo anno di pontificato di Nicolò II 17.<br />
Il secondo documento è una donazione di Leone Bellasi fatta il 14<br />
dicembre 1071 18 in favore di Benedetto, rettore della chiesa di Santa<br />
Croce, che presumibilmente era un monaco di Casamari.<br />
Il terzo documento del 1105 19 consiste nella vendita di una vigna<br />
di un certo Bectinos all'abate di Casamari e al monaco che abitava nella<br />
chiesa di Santa Croce.<br />
Dai documenti riferiti e da un altro del 1324 7() risulta che Casamari<br />
aveva nei territorio di Anagni una specie di cenobio nella chiesa di<br />
Santa Croce, ove gli stessi monaci fungevano da rettore e amministratore<br />
dei beni della chiesa.<br />
La chiesa di Santa Croce apparteneva ancora a Casamari nel 1573.<br />
Dopo questa data non abbiamo più notizie. Attualmente non esiste<br />
traccia alcuna di detta chiesa; solo, sul pendio Sud-Est di Anagni tuttora<br />
c'è una contrada denominata Santa Croce. Presumibilmente la<br />
chiesa doveva essere situata in quella zona insieme ai possedimenti.<br />
SAN VITO FUORI VEROLI<br />
Su questa chiesa, oltre alla Cronaca, abbiamo due importanti documenti<br />
riportati in appendice che fanno parte dei residui atti contenuti<br />
nel Cartario.<br />
Il primo è l'atto di donazione «de medietate Ecclesiae Sancti<br />
Viti» fatto da alcuni nobili verolani all'Abbazia di Casamari. L'atto<br />
fu redatto il 7 Novembre 1062 21. Da notare che nel testo si da solo<br />
l'indizione senza specificare il numero. Il 1062 comunque coincideva<br />
con la XV indizione.<br />
Il secondo riporta una lite sorta tra il Vescovo di Veroli Placido e<br />
l'Abbate di Casamari Giovanni per il possesso della chiesa di San<br />
17 Doc. 7 del secondo volume<br />
18 Doc. 18 del secondo volume.<br />
19 Doc. 27 del secondo volume.<br />
20 Carlo Cas., Cap. 90, fol. 75 r corrispondente alle pagine 69-73 della copia<br />
dell'attuale Cartario. Il testo sarà pubblicato a suo tempo.<br />
21 Doc. 9 del secondo volume.<br />
- 2.31
Vito 22. La data di questo documento presenta delle difficoltà, poiché<br />
dal testo sembra che l'atto fu compilato il 25 febbraio 1062, quindi<br />
la lite sarebbe sorta prima ancora dell'atto di donazione. Ma da alcune<br />
espressioni del documento è chiaro che la donazione era già stata compiuta:<br />
«Pro ipsa cartula qui habuerint pacta ... »; « ... isti patrones<br />
iudicio conducti sunt pro defendere ipsa cartula qui habuerunt<br />
pacta ... »23. Probabilmente l'indicazione della data non è esatta.<br />
Il testo dice: « ... Anno Deo propicius domino nostro Alexandro<br />
summo Ponti6ce et universi sanctissimi II Papa, in sacratissima sede<br />
beati Petri Apostoli anno secundo. Indictione XV. Mense februario die<br />
••<br />
vlgestma<br />
•<br />
qumta....<br />
24<br />
.<br />
L'indizione XV coincideva con l'anno 1062. Ma Alessandro II fu<br />
eletto e consacrato il primo ottobre 1061. Quindi il 25 febbraio nonostante<br />
I'ìndizione XV, non può essere il 1062. Non erano neppure<br />
cinque mesi che Alessandro II era papa, come si può parlare di anno<br />
secondo? Nell'edizione del documento abbiamo posto la data 25 febbraio<br />
1063 che sembra più corrispondente all'anno secondo del pontificato<br />
di Alessandro II. Data la scarsità dei riferimenti crediamo che<br />
non si possa stabilire una data esatta. Si deve solo ammettere che il<br />
documento è stato pubblicato certamente dopo il 7 novembre 1062<br />
e prima del 1065, poiché il vescovo di Veroli Placido morì proprio<br />
quell' anno.<br />
in<br />
SAN MAGNO DELLA MARSICA<br />
Anche nel territorio della Marsica Casamari possedeva alcune chiese.<br />
La Cronaca del Cartario ricorda solamente San Magno. Le altre<br />
chiese che appartennero a Casamari erano San Nicola « de Capellis »,<br />
San Porfirio « de Archipreto» e San Nicola « de Castulis ». Abbiamo<br />
creduto farne accenno poiché nel secolo XIII nacquero delle questioni<br />
tra il vescovo della Marsica e Casamari a causa di queste chiese Il<br />
primo documento riportato dall'Ughelli è del 1236 25 • Il secondo che<br />
tratta di queste liti risale a Gregorio IX 26 e fu emanato nel 1239. Il<br />
terzo ancora dello stesso Pontefice è del 1241 27.<br />
22 Doc. lO del secondo volume.<br />
23Ibidem.<br />
24 Ibidem.<br />
25 F. UGHELLI, Ital. Sac., voI. 1, col 908.<br />
26 Reg. Vat. Gregorii IX, Bullario, voI. 19, fol. 109, ep. 26; L. DE BENEDETTI,<br />
Regesti, 341.<br />
27 Ibidem, fol. 113, ep. 54; Codice 408, 3 Bibliot. Vat. Arch. Ross.<br />
- 232-
In questi documenti si fa menzione di tre procuratori di Casamari:<br />
Oderisio, Pietro e Barone che cercavano di risolvere la questione<br />
di giurisdizione e di possedimento a favore di Casamari contro le ingerenze<br />
del vescovo locale. Alla fine tutto fu risolto a favore di Casamari.<br />
Non sappiamo per quanto tempo questa chiesa sia stata sotto la giurisdizione<br />
di Casamari. Certo non figura nell'elenco della pergamena del<br />
1573.<br />
SAN VINCENZO DI VALLE ROVETO<br />
La chiesa di San Vincenzo, in data imprecisa divenne chiesa parrocchiale,<br />
e fu amministrata e retta dai monaci di Casamari, fino al 1789<br />
quando passò sotto la giurisdizione del vescovo di Sora. Tra l'abate di<br />
Casamari Isidoro Ballandani e il Vescovo di Sora Giuseppe Sisto y<br />
Britto sorsero aspre liti per la rivendicazione delle parrocchie di San<br />
Vincenzo e San Silvestro di Sora. Le liti si protrassero dal 1785 al<br />
1789, anno in cui i monaci rinunziarono a tutti i diritti su di esse.<br />
Nell'archivio di Casamari esistono molti documenti circa le pretese del<br />
vescovo e i diritti dell'abbazia.<br />
In tutte le controversie non si parla mai di documento relativo<br />
all'acquisto della chiesa di San Vincenzo. Il Cassoni tuttavia cita diversi<br />
documenti che riguardano direttamente tale chiesa 28.<br />
Durante il terremoto che si abbattè sulla valle del Liri nel 1915<br />
la chiesa di San Vincenzo fu distrutta. Venne ricostruita dopo il 1920<br />
ed è ancor oggi parrocchia della diocesi di Sora.<br />
SANTA MARIA DI REGGIMENTO<br />
PRESSO MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO<br />
La chiesa è posta su una collina poco distante da Casamari. Essa<br />
fu, coi locali annessi, la prima abitazione dei quattro sacerdoti verolani<br />
che si ritirarono in questa solitudine per dar vita all'abbazia<br />
di Casamari. Il De Persiis afferma: «l'esser passata nella podestà dell'abate<br />
Giovanni non dice che essa non poté essere abitata da que'<br />
primi solitari: anzi ci da motivo di ribadire il nostro pensiero, avendo<br />
voluto l'abate del sorto monastero che fosse ormai in potere perpetuo<br />
28 M. CASSONI, Sguardo Storico sull'abbazia di S. Domenico di Sore, Sora 1910,<br />
p. 34.<br />
- 233-
dei monaci del luogo, dove i primi fondamenti della vita monastica<br />
furono gettati» 29.<br />
La chiesa attualmente misura 15 metri di lunghezza e 6 di larghezza.<br />
Nel 1666 l'abate commendatario di Casamari Francesco Barberini<br />
ne curò il restauro. La parte inferiore, che costituisce una specie<br />
di cripta e nella quale si discende percorrendo una scalinata di undici<br />
gradini, presenta degli affreschi molto rovinati che risentono della scuola<br />
bizantina. Nuovamente fu restaurata durante il secolo scorso tanto che<br />
oggi non presenta quasi più nulla di antico eccetto gli affreschi malandati<br />
cui abbiamo accennato.<br />
Nel 1731 i monaci di Casamari chiesero al Vescovo di Veroli<br />
poter demolire l'antica chiesa di Reggimento per costruire una nuova<br />
cappella sul medesimo luogo 30. La documentazione archivistica dimostra<br />
che tale permesso fu ottenuto.<br />
I monaci di Casamari, ricevuta l'autorizzazione del vescovo. si<br />
rivolsero all'abate commendatario Annibale Albani per averne il consenso.<br />
L'Albani rispose alla richiesta dei monaci affermativamente con<br />
due lettere del 4 gennaio e 24 febbraio del 1742 31. Durante la demolizione<br />
apparvero la cripta e gli affreschi già ricordati. La ricostruzione<br />
fu compiuta in modo tale da riportare in efficenza sia la cripta che gli<br />
affreschi. Gli affreschi subirono gravissimo danno proprio dalle badilate<br />
degli operai che non seppero apprezzare sufficentemente il valore<br />
dell'opera d'arte. Tra le immagini degli affreschi figura una icone della<br />
Vergine che certamente risale all'epoca in cui i primi sacerdoti abitarono<br />
la zona. Poiché la chiesa di Santa Maria di Reggimento si trova<br />
nel comune di Monte San Giovanni Campano, il 21 luglio 1855 si<br />
riunì il Capitolo della collegiata per esaminare e decidere se la chiesa<br />
di Reggimento appartenesse o meno alla giurisdizione delle Collegiata<br />
di Monte San Giovanni oppure ai monaci di Casamari. Riportiamo<br />
alcune notizie importanti tratte dal 2° libro delle deliberazioni Capitolari<br />
che illustrano le vicende della chiesa di Reggimento dal 1742 fino<br />
al 1855. Una lapide commemorativa collocata nellla chiesa afferma che<br />
i restauri più importanti furono operati per la munificenza del Cardinale<br />
Barberini 32.<br />
29 L. DE Psasns, La Badia o Trappa di Casamari ..., 79.<br />
30 Lettera conservata nell'archivio di Casamari.<br />
31 Mss. Reggimento, Archivio di Casamari.<br />
32 L'iscrizione è: D.O.M. Templum hoc - Deiparae dicatum - ex vetustate collapsum<br />
- Franciscus Cardinalis Barberinus - Sanctae Romanae Ecclesiae vice cancellarius -<br />
Abbas et perpetuus Commendatarius - Restituir - ac sacris iconibus decoravit - Anno<br />
Domini 1666.<br />
- 234-
« Questa chiesa così restaurat~~arberini) durò fino al 1742<br />
nel quale tempo come consta d{ antico documento il cellerario di<br />
esso Monastero (di Casamari) F. Giacomo Bracciolini, ossia per ordine,<br />
ovvero per licenza del signore Cardinale Annibale Albani la distrusse<br />
direttamente insieme con l'altra chiesa di San Salvatore, previo un<br />
venerato rescritto di Mons. Vescovo di Veroli, per note ragioni. Sepolta<br />
così la nostra chiesa, sotto le rovine sen giacque presso che dimenticata<br />
da ognuno fino al 1796. Nel qual tempo, siccome attestano persone<br />
degne di fede ed oculari, l'allora Canonico Curato D. Giuseppe Pellegrini,<br />
dietro la relazione di una vecchia d'aversi sognato in quel<br />
sito essere sepolta una Immagine della Madonna, dietro la relazione di<br />
due forestieri, che andando pellegrinando, i quali dormendo di notte<br />
tempo, avevano inteso sotterra un ronzio. Finalmente le relazioni di<br />
due altri uomini nativi del luogo, i quali avevano sognato nella stessa<br />
notte che lì esisteva un tesoro, allora si diede premura di eseguirvi<br />
lo scavo.<br />
Incominciata l'operazione si scopersero i muri e quindi venne<br />
fuora un grande numero di serpi, che subito vennero uccisi dai scavatori.<br />
Così rincorati, tutti con alacrità proseguirono lo scavo, ed ecco a vivi<br />
colori scoprono dipinta nel muro la venerata Immagine. Su le prime<br />
il su lodato D. Pellegrini, ottenuta la licenza del Commendatario di<br />
allora il Cardinale Albani il 6 aprile 1796 difese la pittura sacra colla<br />
costruzione di un tetto sopra il muro di essa, quindi ottenne più ampie<br />
facoltà dal Porporato, mediante larghe limosine, che riceveva spontanee<br />
dai fedeli e cittadini e forestieri, che accorrevano in folla e ne ricevevano<br />
delle grazie, come si raccoglie da alcuni documenti di persone,<br />
che hanno giurato essere state repentinamente sanate da gravi e irreparabili<br />
malori, si accinse all'opera della fabbricazione della presente<br />
chiesa. Il capitolo (continua la relazione) non ha mai prestato consenso<br />
a questa opera, non ha mai interrogato sull'opera di D. Pellegrim,<br />
e questi ha sempre coi suoi successori vantato un ampio esercizio di<br />
giurisdizione indipendente dal Capitolo di detta chiesa (Collegiata di<br />
Monte San Giovanni Campano). Invece il popolo, che concorse alla<br />
bell'opera ha vantato un qualche diritto. Tale che può dirsi essere<br />
proprietà del popolo. Per esempio, dovendosi in essa chiesa mettersi<br />
la Via Crucis il popolo sotto la dominazione «gli devoti della<br />
Madonna SS. del Reggimento di Monte San Giovanni Campano, diocesi<br />
di Veroli» supplicarono la Santità di Papa Pio VI da concedere<br />
loro di poterla porre e Pio VI il 22 giugno concesse loro quanto doman-<br />
- 235-
davano » 33. Dopo la presente esposizione nessuno dei padri capitolari<br />
riconobbe che la Collegiata di Monte San Giovanni avesse alcun diritto<br />
sulla chiesa di Reggimento. Dal 1855 la chiesa veniva ufficiata una<br />
volta l'anno dai monaci di Casamari in occasione della festa della<br />
Madonna di Reggimento il 10 settembre. In tale circostanza c'è un<br />
grande concorso di popolo perché si tiene anche una rinomata fiera.<br />
Dal 1948 fino ad oggi la chiesa di Reggimento è divenuta una cappellania<br />
fissa dei monaci di Casamari che, oltre il lO settembre, officiano tutte<br />
le feste di precetto.<br />
SAN SALVATORE DI MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO<br />
La dipendenza di questa chiesa da Casamari è testimoniata dalla<br />
Cronaca del Cartario 34 e dalla pergamena del 1573.<br />
Nel 1742 la chiesa di San Salvatore fu distrutta insieme a quella<br />
di Santa Maria di Reggimento. Successivamente fu ricostruita e fu chiamata<br />
indifferentemente San Salvatore e Santa Croce, poiché vi si venerava<br />
un artistico crocifisso.<br />
Alcuni decenni or sono la chiesa di Santa Croce, situata sulla<br />
destra delle attuale Collegiata fu demolita per esigenze urbanistiche.<br />
CHIESE DI SAN GIOVANNI BATTISTA E SAN SILVESTRO<br />
IN FROSINONE<br />
A Frosinone ci sono ancora due chiese dedicate rispettivamente<br />
a San Giovanni Battista e a San Silvestro. Sono di stile barocco e non<br />
presentano ruderi o tracce di antichi muri, per cui non siamo neanche<br />
sicuri che si tratti delle chiese di cui parla il Cartario.<br />
L'atto di donazione della chiesa di San Giovanni Battista ci presenta<br />
varie difficoltà. La prima è nel titolo stesso del documento:<br />
« Donatio Ecclesiae Sancti Johannis de Laterneto in territorio Montis<br />
Sancti Johannis per EPiSCOP~' m Placidum monasterio Casaemarii» 35.<br />
Il regesto lascia intend re che il documento tratti della chiesa<br />
di San Giovanni Battista in aterneto, mentre il testo che segue parla<br />
sempre della chiesa di San Gio'(_~nniBattista in Frosinone. Forse l'ama-<br />
33 Archivio della Collegiata di Monte San Giovanni Campano.<br />
34 Doc. 1 del secondo volume.<br />
35 Doc. 20 del secondo volume.<br />
236 -
nuense trascrivendo il regesto avrà commesso il grave errore di SCrIvere<br />
quello di un altro documento.<br />
Ma la difficoltà maggiore consiste nello stabilire quale Abate di<br />
Casamari ebbe in dono queste chiese. La Cronaca del Cartario dice<br />
Giovanni, ma dalla data del documento e dalla cronologia degli Abati<br />
vediamo che la notizia è inesatta. La data dell'atto di donazione è<br />
il 28 settembre 1075, indictione VII, anno III del Pontificato di<br />
Gregorio VII. Sappiamo da altri documenti già discussi - nel capitolo<br />
sulla data di fondazione di Casamari - che nel 1075 era certamente<br />
Orso l'Abate di Casamari.<br />
Rileviamo però che l'atto di donazione del 1705 non riporta il<br />
nome dell'Abate Giovanni ma afferma semplicemente con termini generici:<br />
«l'Abate di Casamari ».<br />
Come spiegare allora il fatto che la Cronaca del Cartario attribuisce<br />
a Giovanni l'acquisto di due chiese in Frosinone? Riteniamo<br />
che la questione possa avere due probabili soluzioni: La prima è che<br />
l'Abate Giovanni fu ritenuto come il maggiore artefice dello sviluppo<br />
spirituale e dell'importanza economica di Casamari. E lo fu senz'altro.<br />
Col tempo però la sua attività fu talmente ingigantita che risulta spiegabile<br />
che gli sia stato attribuito più di quanto in realtà avesse compiuto.<br />
La seconda spiegazione scaturisce dal fatto Che durante il governo<br />
dell' Abate Giovanni furono compiute abbondanti donazioni da parte<br />
di ricchi frusinati all'Abbazia di Casamari 36. Niente di più facile che<br />
l'autore della Cronaca del Cartario abbia inserito la donazione delle<br />
due chiese tra gli altri lasciti fatti a Giovanni.<br />
SANTO STEFANO DI BOVILLE<br />
Santo Stefano di Boville fu la prima chiesa acquistata dall'abate<br />
Orso. Uno storico locale 37 asserisce che: «ci restano di questa chiesa<br />
poche er oscure notizie; è situata entro il giro della parrocchia della<br />
Collegiata e presso la porta di San Francesco ». Santo Stefano è oggi<br />
una delle più belle chiese di Boville e il rettore fino a qualche decennio<br />
fa aveva il titolo di abate 33.<br />
36 Doc. 6 del secondo volume.<br />
37 G. LIBERATI, San Pietro Ispano e il comune di Bauco, memorie, Siena 1888, 165.<br />
38 M. ARCANGELI, Memorie storiche di Bauco, Frosinone 1891, 239.<br />
- 237-
SAN NICOLA DI BOVILLE<br />
La Chiesa è di difficile identificazione. In nessun luogo del paese di<br />
Boville esistono chiese o ruderi dedicati un tempo a San Nicola. La<br />
Chiesa comunque divenne proprietà di Casamari certamente prima del<br />
1081 come risulta da un atto di donazione del 1081 fatto da una ricca<br />
famiglia di Boville 39.<br />
L'unico ricordo che oggi si possiede della chiesa di San Nicola<br />
è il nome della porta principale del paese che si chiama «porta San<br />
Nicola » 40.<br />
Il documento del 1081 presenta inesattezze nella data: si parla<br />
di Gregorio VII, nel VII anno di pontificato, nell'indizione IV, nel<br />
mese di agosto senza specificarne il giorno. Nel corpo del documento<br />
tuttavia ilgiorno è indicato, ma non possiamo determinarlo esattamente.<br />
Infatti si dice che la donazione è ratificata proprio il giorno della dedicazione<br />
della chiesa di San Nicola. In più sempre per quanto riguarda<br />
la data va rilevato che la quarta indizione corrisponde al 1081, ottavo<br />
anno del pontificato di Gregorio VII, e non settimo come il documento<br />
afferma.<br />
S. IPPOLITO DI VEROLI<br />
La Cronaca del Cartario ci da preziose notizie su questa chiesa ~I.<br />
In un primo tempo l'abate Orso acquistò la chiesa di San Leucio<br />
di Veroli 42, che successivamente venne commutata con la chiesa di<br />
Sant'Ippolito.<br />
L'abate Agostino istituì un piccolo cenobio femminile adiacente<br />
alla chiesa di Sant'Ippolito. È questa la prima fondazione monastica<br />
femminile compiuta dagli abati di Casamari.<br />
Nell'archivio di Casamari esiste un abbondante materiale circa i<br />
rapporti di Casamari con monasteri f.é'mmiI;ili,e soprattutto con quelli di<br />
Sant'Angelo in Prizzi (Agrigentò) e di Santo Spirito in Agrigento.<br />
«Nel 1627 il monastero di Sant'Ippolito fu dato ai frati Minori<br />
di San Martino di Veroli. Dopo il 1664, essendo vescovo di Veroli<br />
39 Doc. 23 del secondo volume.<br />
40 G. LIBERATI, San Pietro Ispano... 186; M. ARCANGELI, Memorie storiche... 229.<br />
41 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
42 A. SCACCIA-SCARAFONl, La chiesa di San Leucio nella rocca di Veroli, Veroli<br />
1953.<br />
- 238-
Francesco Angelucci, i monaci di Casamari, i quali erano morti nelle<br />
loro case di Sant'Ippolito e seppelliti nel cimitero dietro la chiesa,<br />
partiti dalla bassezza di Casamari per curarsi nella collina di Veroli,<br />
furono dissotterrati... » 43.<br />
Chiaramente appare dal brano su riferito che in un tempo<br />
imprecisabile Sant'Ippolito fu abitato da monaci e non più da monache.<br />
SAN GIOVANNI BATTISTA IN LATERNETO<br />
L'atto di donazione di questa chiesa include anche la donazione<br />
della chiesa di San Leucio di Boville, come si può notare dal titolo<br />
e dal testo del documento 44.<br />
L'atto risale al 17 dicembre 1090, corrispondente al secondo anno<br />
del Pontificato di Urbanolì,indizione XIII (mentre il documento indica<br />
l'indizione XIV).<br />
Non si conosce con esattezza l'etimologia della parola « Laterneto ».<br />
Tra gli studiosi di storia locale si ammette comunemente che la denominazione<br />
provenga dal latino «later, lateris» che significa mattone o<br />
luogo dove lavorano i mattoni. Infatti a poca distanza vi sono state<br />
quasi sempre fornaci di laterizi. Il luogo ove sorgeva la chiesa è da<br />
identificarsi col luogo dove è ora il convento dei Padri Cappuccini,<br />
fuori del paese verso il cimitero. Nel 1535 la chiesa con i locali annessi<br />
fu ceduta ai Padri Cappuccini da Donna Maria Eleonora d'Aquino,<br />
Marchesa di Vasto e Duchessa di Monte San Giovanni Campano. La<br />
notizia è stata tratta da un antico manoscritto che si conserva nell'archivio<br />
dei Padri Cappuccini di Monte San Giovanni Campano: «Per<br />
il primo si ha da sapere che nell'anno 1535 Donna Maria Eleonora ...<br />
per l'affetto che portava alla nostra religione volle che i Cappuccini<br />
avessero il Convento qui nel Monte, come in altri del suo Stato, onde<br />
comprò et pregò il Cardinale Vescovo di Veroli, che in quel tempo<br />
era Ennio Filonardo, Cardinale del Titolo di Sant'Angelo, onde alla prima<br />
istanza fattali dalla Illustrissima Marchesa, li e là diede vive vocis<br />
oraculo; nell'anno poi 1537 ci diede pacifico possesso - come in una<br />
sua registrata in questo libro et l'originale si conserva ancora qui nell'archivio,<br />
et registrata anco nella cancelleria episcopale di Veroli» 45.<br />
43 Cfr Antichi mss. della Biblioteca Yerolana, tomo IV, pp. 140-152.<br />
44 Doc. 25 del secondo volume.<br />
45 Cfr Ms. dell'Archivio dei PP. Cappuccini di Monte San Giovanni Campano.<br />
- 239-
SAN LEUCIO DI BOVILLE<br />
La chiesa passò alle dipendenze di Casamari, come abbiamo già<br />
detto, il 17 dicembre 1090. Essa si trova alle falde del colle di Boville.<br />
Precedentemente era stata acquistata dall'Abate Giovanni V di Subiaco<br />
ed era rimasta a lungo proprietà del monastero sublacense 46.<br />
L'Arcangeli asserisce che San Leucio aveva il titolo di Abbazia<br />
e che in seguito costituì, con tutti i possedimenti, una parte del beneficio<br />
del Cardinale Ennio Filonardi 47.<br />
SAN NICOLA «AD PALATIUM PHALLARIDIS»<br />
Nel primo cinquantennio di vita monastica a Casamari l'espansione<br />
della giurisdizione del monastero sulle chiese dipendenti si manifestò<br />
entro limiti piuttosto ristretti. Ma già all'inizio del secolo XII l'importanza<br />
di Casamari cresce notevolmente, tanto da estendere i suoi possedimenti<br />
fino in Sicilia.<br />
San Nicola ad Palatium ne è la prima fondazione e fu propiziata<br />
dal Vescovo di Agrigento Orso che nel 1119 donò ai monaci di Casamari<br />
un fondo nelle vicinanze di Agrigento 48.<br />
Il cenobio di San Nicola ad Palatium subì varie vicende che<br />
sono illustrate dallo storico locale G. A. Alaimo.<br />
La vita benedettina vi durò appena un secolo. Infatti nel 1219<br />
il cenobio è abitato dai <strong>Cistercensi</strong>, come si desume dall'atto di fondazione<br />
pubblicato per la prima volta dall'Alaimo nel 1954.<br />
Nel 1332 San Nicola tornò nuovamente ai benedettini 49.<br />
46 C. MIZZIO, Chronicon Sublacense, pp, 201-205; G. LIBERATI, San Pietro Ispano...,<br />
p. 179.<br />
47 M. ARCANGELI, Memorie..., p. 23l.<br />
48 L. ]ANAUSCHEK, Originum Cisterciensium, LXXX, 9(}. « S. Nicolaus ad palatium<br />
Phallaris non Abbatiae sed templi et coenobioli Agrigentini appellatio fuit ubi<br />
monachi Casamarienses divinis vacabant »,<br />
49 G. A. AUIMO, La Chiesa di San Nicola dei <strong>Cistercensi</strong> in Agrigento, Agrigento<br />
1954.<br />
- 240-
PROSPETTO CRONOLOGICO DELLE CHIESE APPARTENENTI A CASAMARI<br />
NEL PERIODO BENEDETTINO<br />
Chiesa I Abate I Data di fondazione<br />
1 San Michele Arcangelo presso Veroli (Fr)<br />
2 San Nicola presso Veroli (Fr)<br />
3 Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli (Fr)<br />
4 San Nicola de Cappellis<br />
5 Santa Croce di Anagni (Fr)<br />
6 San Vito fuori Veroli (Fr)<br />
7 San Magno della Marsica (Aq)<br />
8 San Vincenzo di Valle Roveto (Aq)<br />
9 Santa Maria di Reggimento (Fr)<br />
lO San Salvatore di Monte San Giovanni<br />
Campano (Fr)<br />
Il Santo Stefano di Bauco (Fr)<br />
12 San Giovanni Battista in Frosinone (Fr)<br />
13 San Silvestro in Frosinone (Fr)<br />
14 San Nicola di Bauco (Fr)<br />
15 Sant'Ippolito di Veroli (Fr)<br />
16 San Giovanni in Latemeto presso Monte<br />
San Giovanni Campano (Fr)<br />
17 San Leucio di Bauco<br />
18 San Nicola «ad Palatium» (Ag)<br />
- 241-<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Giovanni<br />
Orso__<br />
Orso (?)<br />
Orso<br />
Orso<br />
Orso<br />
Agostino<br />
Agostino<br />
Benedetto II<br />
20 settembre 1048<br />
prima del 1049<br />
18 ottobre 1060<br />
7 novembre 1062<br />
20 gennaio 1066<br />
28 settembre 1075<br />
17 dicembre 1090<br />
17 dicembre 1090<br />
1119
Capitolo sesto: IL PATRIMONIO ECONOMICO DI CASAMARI<br />
DURANTE IL PERIODO BENEDETTINO<br />
Voler tentare di ricostruire il patrimonio economico di Casamari<br />
durante il periodo benedettino è un impresa molto ardua. I documenti<br />
o copie di essi giunti fino a noi sono infatti relativamente pochi: 30<br />
Documenti e 2 Cronache ·(vedi il prospetto). Molti beni sono descritti<br />
in modo vago, sommario, indeterminato. Nel prospetto dei documenti<br />
abbiamo collocato al primo posto la Cronaca del Cartario, perché essa<br />
ci da una certa idea di quel che era il patrimonio dell'abbazia soprattutto<br />
per l'elenco delle chiese coi beni annessi che ci fornisce. Però è<br />
impossibile renderei conto dell'effettiva consistenza patrimoniale perché<br />
la Cronaca quasi sempre frettolosamente afferma: «Acquisiuit Ecclesiam<br />
... cum casis, terris, oineis, acquimolis, et cum omnibus ad eam<br />
pertinentibus » 1<br />
I Documenti giunti fino a noi, in originale o in copia sono una<br />
minima parte. Nella penultima colonna del prospetto dei documenti<br />
abbiamo inserito Collocazione Cartario Casamari Originale, proprio per<br />
convalidare la nostra asserziose-.!.... In questa Collocazione il quarto documento<br />
si trova al Capitolo 15, foglio 12. Il 2T giace al Capitolo<br />
93, foglio 80 e il 17° al Capitolo 370, foglio 3802 • La saltuarietà<br />
dei capitolo denota quindi numerosissime lacune di documenti effettivi<br />
che forse non riusciremo mai a colmare.<br />
Senza dubbio il De Uvis nel trascrivere i documenti non segui<br />
un ordine cronologico come risulta da un attento esame del prospetto.<br />
Infatti il 17° documento è collocato al Capitolo 370, foglio 380 e il<br />
18° al Capitolo 98, foglio 82 r e le date di compilazione sono rispettivamente<br />
il 12 maggio e il 14 dicembre del 1071.<br />
Ci troviamo pertanto nella impossibilità materiale di ricostruire<br />
il patrimonio completo dell'abbazia. Quanto segue sarà solo di aiuto<br />
ai lettori per avere un idea di ciò che è contenuto nei documenti. Per<br />
maggior chiarezza divideremo l'esposizione in due punti: il patrimonio<br />
indeterminato e il patrimonio determinato in riferimento ai beni terrieri.<br />
chiese.<br />
Il patrimonio indeterminato è quasi sempre quello annesso alle<br />
1 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
2 Con il termine Capitolo probabilmente si doveva intendere il numero progressivo<br />
dei documenti raccolti e trascritti dal De Uvis.<br />
- 242-
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PATRIMONIO NON DETERMINATO (In riferimento ai beni terrieri)<br />
Durante il govemo dell'abate Giovanni (ca 1037-1065)<br />
- « ... acquisiuit casas, terras, oineas, servos et ancillas... » 3.<br />
3 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
- La Chiesa di San Michele Arcangelo presso veroli:<br />
« ... cum casis, terris, oineis, acquimolis et cum omnibus ad eam<br />
pertinentibus » 4.<br />
La metà della chiesa di San Vito presso Veroli:<br />
« ... cum amni medieta,~bonorum ipsius ... » 5. E il documento del<br />
7 Novembre 1062:<br />
« ... medietate de Ecclesia Sancii Viti cum casis, casalibus et cum<br />
acquimolis ... » 6<br />
La Chiesa di Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli:<br />
« ... cum casis, terris, uineis, casalibus, arboribus fructiferis et injructiferis<br />
diuersis generibus cum omnibus ad eam pertinentibus ... » 7.<br />
Il documento di donazione del 20 settembre 1048 è ancora più<br />
completo della Cronaca del Cartario:<br />
« ... domus S. Angeli cum omnibus ad eam pertinentibus, cum omnibus<br />
aedificiis suis, cum casis, casalibus, uineis, terris, campis, pratis,<br />
'ortis, siluis, salcetis, arboribus pomijeris, [ructiieris, injructiieris,<br />
cum castaneis, cum cultu vel incultu, vacuo uel pleno ... » 8.<br />
La chiesa di San Magno della Marsica:<br />
« ... cum terris, casis, oineis, et cum omnibus ... » 9.<br />
La chiesa di San Vincenzo di Valle Roveto:<br />
« ... cum casis, terris, oineis et cum omnibus ... » lO.<br />
La chiesa di Santa Croce di Agnani:<br />
« ... cum casis, terris, oliuetis, et cum omnibus ... » 11.<br />
E il documento del 17 ottobre 1060 si esprime:<br />
« ... damus ecclesiam S. Crux cum omniam suam pertinentiam ... et<br />
casis, uineis et bortis, cum arboribus ... fructiferis ... » 12.<br />
4 Ibidem.<br />
5 Ibidem.<br />
6 Doc. 9 del secondo volume.<br />
7 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
8 Doc. 4 del secondo volume.<br />
9 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume,<br />
lO Ibidem.<br />
11 Ibidem.<br />
12 Doc. 7 del secondo volume<br />
244 -
La chiesa di Santa Maria di Reggimento presso Monte San Giovanni<br />
Campano:<br />
« ... cum casis, terris, uineis et cum omnibus ... » 13.<br />
La chiesa di San Salvatore di Monte San Giovanni Campano:<br />
« ... cum casis, terris, uineis et cum omnibus ... » 14.<br />
Durante il governo dell'abate Orso (106.5·1088)<br />
La chiesa di Santo Stefano di Bauco (Boville Ernica):<br />
« ... cum terris, uineis, casis, et cum omnibus ... » 15.<br />
Il documento del 20 gennaio 1066:<br />
« ... et cum oineis et terris et cum arboribus fructiferis uel injructiferis<br />
et cum omnibus ... »16.<br />
E quello del 20 maggio 1069:<br />
« ... cum terris, oineis ... cum arboribus oliuarum et ... fructiferis ... » 17.<br />
Le chiese di San Giovanni Battista e San Silvestro in Frosinone:<br />
. .. t 'h 18<br />
« ... cum casts} vznets e omnz us... » .<br />
Trenta cittadini di Veroli a nome degli abitanti della loro città<br />
donano all'abate Orso e al monastero di Casamari numerose terre<br />
e confermano la donazione della chiesa di Sant'Angelo in Monte<br />
Corneto; confermano inoltre solennemente tutte le altre donazioni<br />
perché durante l'occupazione di Veroli da parte di Riccardo da<br />
Capua l'abate Orso lo aveva placato con consistenti doni 19. Con<br />
questo documento sono concesse molte terre, indicandone solamente<br />
i confini.<br />
Leone e Gisone insieme a moltissimi altri nobili di Veroli donano<br />
e confermano quanto esposto nel documento precedente. In pratica<br />
è il medesimo documento ritrascritto nel 1217 perché l'originale<br />
che si trovava a Casamari era stato corroso dal tempo 20.<br />
Tra i due testi ci sono pochissime differenze. Abbiamo preferito<br />
pubblicare le due edizioni per non mandar smarrita la prima parte<br />
cioè il prambolo scritto dal notaio il 24 aprile 1217 per giustificare<br />
la ritrascrizione di un atto tanto im~tante. Da ciò possiamo anche<br />
dedurre l'importanza e la consistepza della donazione.<br />
13 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
14 Ibidem.<br />
15 Ibidem.<br />
J6 Doc. 12 del secondo volume.<br />
J7 Doc. 16 del secondo volume.<br />
18 Doc. 1 del secondo volume; Cfr anche il Doc. 20.<br />
J9 Doc. 21 del secondo volume.<br />
20 Doc. 22 del secondo volume.<br />
245 -
- L'abate Orso acquista ancora:<br />
« '" casas, terras, uineas, acquimola.: rusticos ad seruitia [aciend<br />
21<br />
a... » ,<br />
Durante il governo dell'abate Agostino (1088-1106)<br />
- Le chiese di San/Giovanni in Laterneto presso Monte San Giovanni<br />
Campano e San Leucio di Bauco (Boville Ernica):<br />
« ,.. cum om1)lbus earum pertinentiis ... »22,<br />
Il documento di donazione del 17 dicembre 1090 è molto più dettagliato:<br />
« o<br />
•• cum<br />
omnia pertinentia illarum, cum libris et paramentis, cum<br />
casis, casalibus, oineis, terris, ortuis, campis, pratis, pasinis, siluis,<br />
salcetis, arboribus pomijeris vel infructiferis ... riuis, aquis, acquimolis,<br />
uinetis ... » 23.<br />
PATRIMONIO DETERMINATO (In riferimento al beni terrieri)<br />
Durante il governo dell'abate Giovanni (ca 1037·106.5)<br />
L'abate Giovanni compera da Oderisio un appezzamento di terra<br />
nel territorio<br />
dimensioni 2S:<br />
verolano, nel fondo di TuscIo 24. L'appezzamento ha le<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza da un lato<br />
Larghezza dall'altro lato<br />
Questa compera costò trenta denari.<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi.<br />
piedi<br />
270<br />
220<br />
140<br />
140<br />
Leone e Gregorio donano all'abate Giovanni numerosi beni nel<br />
territorio di Frosinone: un orto, quattro appezzamenti di terra misurati<br />
e altri quattro indicandone solo i confini 26:<br />
- Orto:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altrao lato<br />
piedi<br />
piedi<br />
21 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
22 Ibidem.<br />
23 Doc. 25 del secondo volume.<br />
24 Doc. 3 del secondo volume.<br />
2S Le misure romane che ricorrono nel presente capitolo sono: Pertica - lO<br />
piedi; Piede = 29 cm.; Petia = Are 26,40; Ara = m 2 100.<br />
26 Doc. 6 del secondo volume.<br />
246 -<br />
40<br />
35
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
piedi 40<br />
piedi 38<br />
10 Appezzamento di terreno con oliveto e frutteto:<br />
Lunghezza da un lato piedi 200<br />
Lunghezza dall'altro lato piedi 180<br />
Larghezza in alto piedi 200<br />
Larghezza in basso piedi 160<br />
Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />
- 2 0 Appezzamento di terreno con case:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
300<br />
280<br />
200<br />
80<br />
3 0 Appezzamento di terreno con frutteto:<br />
Lunghezza da un lato piedi 1250<br />
Lunghezza dall'altro lato piedi 890<br />
Larghezza in alto piedi 140<br />
Larghezza in basso piedi 140<br />
Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />
- 4 0 Appezzamento di terreno con vigna e frutteto:<br />
Lunghezza da un lato piedi 240<br />
Lunghezza dall'altro lato piedi 120<br />
Larghezza in alto piedi 140<br />
Larghezza in basso piedi 140<br />
Seguono i confini scrupolosamente definiti.<br />
Quindi altri quattro appezzamenti di terra di cui sono dati minuziosamente<br />
i confini, ma non le misure.<br />
Giovanni, abate di Casamari, col consenso dei suoi monaci cede<br />
ad Alhisi un appezzamento di terreno situato a Ponticaro in cambio<br />
di un pezzo di terra in Veroli. La zona di Ponticaro è situata fuori la<br />
città di Veroli 27. Nei documenti precedenti Ponticaro non figura mai<br />
tra i possedimenti di Casamari.<br />
27 Doc. 11 del secondo volume.<br />
- 247
La terra che l'abate Giovanni cede è frutteto e castagneto e misura:<br />
Lunghezza da un Iato piedi 32<br />
Lunghezza dall'altro lato piedi 45<br />
Larghezza in alto piedi 100<br />
Larghezza in basso piedi 100<br />
situate in Serola e Tascotaru. Piro Overnio è un'altra località scono-<br />
La terra che l'abate riceve in cambio non è misurata.<br />
Durante il governo dell'abate Orso (1065-1088)<br />
Orso, abate di Casamari cede a Placido, abate di San Erasmo in<br />
Veroli, alcune terre nella contrada Piro Overnio e riceve in cambio altre<br />
situate in Serola e Tascotaru. Piero Overnio è un'altra località sconosciuta<br />
ai documenti giunti fino a noi. Le terre che Orso dà a Placido<br />
sono due appezzamenti fertili e frutteto 28:<br />
1 0 Appezzamento<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in basso<br />
Larghezza in basso<br />
2 0 Appezzamento, accanto al primo,<br />
Lunghezza da un Iato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
Orso riceve in cambio due Pezie.<br />
piedi 320<br />
piedi 310<br />
piedi 200<br />
piedi 170<br />
ma separato dalla strada:<br />
piedi 270<br />
piedi 270<br />
piedi 80<br />
piedi 70<br />
Massario, nobile di Veroli dona all'abate Orso una terra fertile<br />
con frutteto presso la Macchia di Casamari 29. Anche in questo documento<br />
tra i confini della donazione figurano terre già in possesso di<br />
Casamari che non risultano dai documenti che possediamo. L'appezzamento<br />
ha una configurazione irregolare, sono fornite complessivamente<br />
dieci misure:<br />
Lunghezza del primo Iato<br />
quindi inclinazione<br />
28 Doc. 15 del secondo volume.<br />
29 Doc. 17 del secondo volume.<br />
- 248-<br />
piedi 1110<br />
piedi 95
ancora inclinazione<br />
Lunghezza del secondo lato<br />
quindi inclinazione<br />
ancora inclinazione<br />
Lunghezza terzo del lato<br />
quindi inclinazione<br />
ancora inclinazione<br />
Lunghezza del quarto lato<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
310<br />
107<br />
25<br />
76<br />
1500<br />
78<br />
110<br />
40<br />
Durante il governo dell'abate Orso, Leone Bellasi e altri nobili<br />
di Anagni donano al Presbitero Benedetto, rettore della chiesa di Santa<br />
Croce di Anagni un pezzo di terra 30:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
quindi inclinazione<br />
ancora inclinazione<br />
piedi 108<br />
piedi 85<br />
piedi 40<br />
piedi 90<br />
piedi 50<br />
piedi 60<br />
Orso concede in enfiteusi a Barone figlio di Zopilato un pezzo di<br />
terra in contrada Colle Rotondo 31. Anche questa località è nuova ai<br />
documenti che possediamo. Sono delineati i confini ma non le misure.<br />
Oderisio e Lando donano all'abate Orso tutto il loro possedimento<br />
in Valle Ambusti secondo l'eredità che era loro toccata 32. Anche in<br />
questo caso non sono date ulteriori precisazioni.<br />
Orso col consenso dei suoi monaci vende a Mainardo e Bella sua<br />
moglie per 14 denari due vigne nel territorio di Veroli, contrada<br />
Forano 33. Di nuovo una terra sconosciuta ai documenti esaminati.<br />
- 1" vigna:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
piedi<br />
La presente vigna è venduta perché ai quattro lati è circondata<br />
da terreni degli stessi acquirenti.<br />
30 Doc. 18 del secondo volume.<br />
31 Doc. 19 del secondo volume.<br />
32 Doc. 23 del secondo volume.<br />
33 Doc. 24 del secondo volume.<br />
249 -<br />
90<br />
80<br />
30<br />
30
_ 2a vigna:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Larghezza in alto<br />
Lunghezza dall' altro lato<br />
Larghezza in basso<br />
piedi 70<br />
piedi 40<br />
piedi 80<br />
piedi 40<br />
Questa seconda vendita non è motivata, ma si asserisce che la<br />
vigna era di proprietà del monastero secondo una carta di acquisto. Anche<br />
questa ci è sconosciuta.<br />
Durante il governo dell'abate Agostino (1088-1106)<br />
Rocco di Veroli dona all'abate Agostino due pezzi di terra fertili<br />
con frutteti 34. Queste terre confinano con possedimenti dell'abbazia<br />
che non risultano dai documenti che conosciamo.<br />
- 1° Appezzamento:<br />
Lunghezza da un lato pertiche 49<br />
Lunghezza del secondo lato pertiche 31<br />
Lunghezza del terzo lato pertiche 31<br />
Lunghezza del quarto lato pertiche 19<br />
quindi inclinazione pertiche 12<br />
ancora inclinazione pertiche 24<br />
- 2° Appezzamento (non presenta le misure, ma solamente i confinanti.<br />
Tra questi in due lati figurano terreni dell'abbazia).<br />
Il presbitero Giovanni preposto alla chiesa di Santa Croce dj<br />
Anagni acquista da Bectino per sei soldi una vigna sul colle della stessa<br />
chiesa di Santa Croce 35. Essa ha:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
pertiche 16<br />
pertiche 14<br />
pertiche 14<br />
pertiche 6, piedi 5<br />
Permuta tra Giovanni, rettore della chiesa di Sant'Angelo in Veroli<br />
e il preposto di Casamari Pietro di una terra in contrada Valenzano,<br />
nelle vicinanze di Casamari per aver rinunziato all'eredità che Giovanni<br />
34 Doc. 26 del secondo volume.<br />
3S Doc. 27 del secondo volume.<br />
250 -
Dotati aveva lasciato all'abbazia 36. La terra ricevuta dal preposto Pietro<br />
consisteva in un appezzamento di terra e una vigna.<br />
- Appezzamento di terra:<br />
.<br />
La VIgna:<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
Lunghezza da un lato<br />
Lunghezza dall'altro lato<br />
Larghezza in alto<br />
Larghezza in basso<br />
pertiche 26<br />
pertiche 6<br />
pertiche 22<br />
pertiche 3, piedi 3<br />
pertiche<br />
pertiche<br />
pertiche<br />
pertiche<br />
5<br />
4, piedi 8<br />
2, piedi 8<br />
2, piedi 9<br />
Questa carrellata sul patrimonio dell'abbazia di Casamari durante<br />
il primo periodo di vita è chiaramente incompleto, come del resto<br />
abbiamo detto fin dall'inizio del capitolo e abbiamo sottolineato ogni<br />
volta che si presentava l'occasione. Tuttavia tra quello che è espresso<br />
dai documenti e soprattutto ciò che gli stessi documenti hanno lasciato<br />
intendere si deve concludere che il patrimonio dell'abbazia fosse abbastanza<br />
consistente da richiedere una organizzazione molto attenta ed<br />
oculata quale i benedettini erano soliti dare alle loro strutture economiche.<br />
In Casamari questa organizzazione la troviamo efficente nonostante<br />
le varie peripezie che l'abbazia ha dovuto subire (la vicenda dell'abate<br />
Orso e le numerose dimissioni degli abati durante l'ultimo quarantennio<br />
di vita benedettina) prima di cedere il posto alla nuova<br />
stru ttura dei cistercensi.<br />
36 Doc. 31 del secondo volume.<br />
251 -
FLORILEGIO<br />
GUERRICO DI IGNY-!(<br />
1. «Sermone per l'Avvento del Signore»<br />
Aspettiamo il salvatore.<br />
Letizia è in verità l'attesa dei giusti, di coloro che sono nell'attesa<br />
della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande<br />
Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo.<br />
« E di chi è ora la mia attesa, disse il giusto, se non del Signore? »<br />
Poi, rivolto al Signore, aggiunse: «lo so che non mi lascerai<br />
deluso nella mia attesa» poiché già « la mia sostanza è presso di te »:<br />
la nostra natura infatti, da te assunta e per noi offerta, è già stata<br />
glorificata nella tua persona. «Questo ci dona la speranza che «a<br />
te verrà ogni mortale» e che le membra seguiranno il loro capo<br />
affinché l'olocausto sia completo.<br />
Con piena fiducia quindi, perché con coscienza più sicura, si può<br />
attendere il Signore, al quale ci è dato di poter dire: «La sostanza<br />
di quel poco che possiedo, o Signore, è presso di te »; perché donando<br />
a te i miei beni, o per te disprezzandoli, io ho ammassato un tesoro<br />
in cielo e ai tuoi piedi ho deposto tutto il mio bene, sapendo che<br />
• 1: Guerrico, abate di Igny, beato. Nacque tra il 1070 e il 1080. Divenne canonico e<br />
professore di Teologia a Tournai. Era un uomo amante della solitudine, dedito alla<br />
preghiera e allo studio. Il suo amore per la solitudine lo portò al chiostro. Verso il<br />
1125 giunse a Clairvaux, appunto per ritemprare il suo spirito. Fu conquistato da San<br />
Bernardo e cosi divenne cistercense. Per la sua dottrina e soprattutto per la sua pietà<br />
fu eletto nel 1138 abate di Igny, filiale di Oairvaux. Nel 1150 fondò l'abbazia di<br />
Valroy, non lontano da Rethel, ai confini delle diocesi di Reims e di Laon. Spesso<br />
malato, si rammaricava di non poter seguire tutti gli esercizi della comunità, ma si consolava<br />
cercando di istruire i suoi monaci e di edificarli coi suoi sermoni. Si narra che<br />
sul punto di morte, ricordando uno statuto del Capitolo Generale che proibiva di pubblicare<br />
libri senza un permesso speciale, fu preso da scrupoli e diede ordine di bruciare<br />
il manoscritto dei suoi sermoni. Ma tra i monaci circolavano già delle copie e<br />
cosi i sermoni di Guerrico sono giunti fino a noi.<br />
Guerrico morì il 19 agosto 1157. I cistercensi lo hanno iscritto nel loro Menologio<br />
a questa data e il suo culto fu approvato dalla sacra Congregazione dei Riti<br />
nel 1889. Nell'abbazia di Igny, occupata dal 1929 da monache cistercensi, dove si<br />
conservano le sue reliquie, si celebra la festa il 19 agosto. La sua produzione letteraria<br />
comprende una cinquantina di sermoni per l'anno liturgico e un breve trattato De<br />
LAnguore animae amantis. La sua dottrina spirituale può compendiarsi nel principio<br />
della formazione di Cristo nell'anima ad imitazione della Madre del salvatore. Il fascicolo<br />
J del tomo XIX (1957) dei Collectanea Ordinis <strong>Cistercensi</strong>um rejormatorum è<br />
interamente dedicato a Guerrico di Igny, in occasione dell'ottavo centenario della<br />
morte. Vi si trova tra l'altro la lista di tutti i manoscritti delle sue opere e delle<br />
loro diverse edizioni.<br />
- 253-
tu sei capace non solamente di conservare il mio deposito ma anche<br />
di rendermelo al centuplo e di aggiungervi la vita eterna.<br />
Beati voi, poveri nello spirito, che secondo il suggerimento del<br />
Consigliere ammirabile avete ammassato tesori in cielo, perché, se i<br />
vostri tesori fossero rimasti sulla terra, i vostri cuori avrebbero conosciuto<br />
come loro la corruzione. «Dove è il tuo tesoro» dice infatti<br />
il Signore, « là sarà anche il tuo cuore ».<br />
Seguano dunque, seguano i cuori i loro tesori; sia fisso in atto<br />
il pensiero e l'attesa sia affidata a Dio, così che anche a voi sia dato<br />
di poter dire con l'Apostolo: «La nostra patria è il cielo, donde<br />
inoltre aspettiamo il Salvatore».<br />
O atteso delle genti, «coloro che ti attendono non saranno confusi<br />
». I nostri padri ti aspettarono, tutti i giusti dall'origine del mondo<br />
« in te confidarono e non furono confusi ». Già infatti, quando la tua<br />
misericordia fu accolta nel mezzo del tuo tempio, dei cori gioiosi fecero<br />
intendere le loro lodi e cantarono: «Benedetto colui che viene<br />
nel nome del Signore». «Con ansia attesi il Signore, ed egli si è<br />
rivolto verso di me ». Poi, riconoscendo la maestà divina nell'umiltà<br />
della carne dicono: «Ecco il nostro Dio; lo abbiamo atteso ed egli<br />
ci salverà; questi è il Signore nel quale abbiamo sperato; rallegriamoci<br />
e gioiamo della sua salvezza ».<br />
Come la chiesa aspettava il primo avvento negli antichi giusti,<br />
così aspetta il secondo nei nuovi; e come nel primo era certa di vedere<br />
il prezzo della redenzione, cosi essa è ugualmente sicura che il secondo<br />
le apporterà il frutto della rimunerazione: e sciolta, nell'attesa di<br />
questa speranza, dalle cose terrene, essa aspira tanto felicemente quanto<br />
ardentemente ai beni eterni. Quando dunque alcuni si affrettano<br />
a cercare la loro felicità in questa vita e, senza attendere che si<br />
compia il disegno del Signore, si precipitano per impadronirsi del bottino<br />
che offre loro questo mondo, «beato l'uomo che ha riposto<br />
la sua speranza nel Signore e che non ha gettato il suo sguardo alle<br />
vanità e ai falsi inganni », «si tiene lontano dalle loro vie come da<br />
immondizie », sapendo che «è meglio essere umiliato con i miti che<br />
dividere il bottino coi superbi ». E, parlando tra sé e sé, si consola<br />
dicendo: «Mia porzione è il Signore, ha detto la mia anima, perciò<br />
voglio sperare in lui». «Buono è il Signore con coloro che sperano<br />
in Lui, con l'anima che lo cerca. Buona cosa è per l'uomo aspettare in<br />
silenzio la salvezza del Signore. Si strugge quindi per la salvezza che<br />
viene da te l'anima mia, ma io spero nella tua parola ».<br />
È scritto infatti: «La speranza prolungata fa male al cuore »;<br />
- 254-
ma benché sia stanca per la dilazione del desiderio, tuttavia è sicura<br />
della promessa. Sperando in essa e ponendo in essa ogni mia attesa,<br />
aggiungerò speranza a speranza, cosi come si aggiunge senza fine tribolazione<br />
a tribolazione rinvio a rinvio. Perché io sono certo che « Egli<br />
apparirà alla fine e non ci ingannerà», Per questo se Egli si fa attendere,<br />
io l'attenderò, perché « verrà colui che deve venire e non tarderà» al<br />
di là del tempo stabilito ed opportuno.<br />
Ma qual è questo tempo opportuno? Quando sarà completo il<br />
numero dei nostri fratelli e quando sarà consumato il tempo della misericordia<br />
accordato per il pentimento. Ascolta Isaia, spesso introdotto<br />
nel consiglio divino, per quale motivo veramente il Signore differisce<br />
il giudizio: «Perché, dice, il Signore brama di farvi grazia, per questo<br />
si alza, per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore.<br />
Beati coloro che sperano in Lui »!<br />
Vedi, se sei saggio, come impiegare la tregua di questa dilazione:<br />
se sei peccatore essa ti è stata donata per fare penitenza e non per<br />
vivere nella indifferenza; se sei santo, per avanzare nella santità e non<br />
venir meno nella fede. Se, infatti, « il servo malvagio dicesse in cuor<br />
suo: (il mio padrone tarda' e si mettesse a picchiare i servi suoi<br />
compagni, a mangiare e bere come gli ubriaconi, il padrone del servo<br />
verrà nel giorno in cui quello non l'aspetta e nell'ora che quello non<br />
conosce e lo punirà severamente, facendogli subire la sorte degli ipocriti.<br />
Là saranno pianto e stridore di denti ».<br />
L'uomo infatti non conosce la sua ora: «Come pesci che incappano<br />
in una rete maledetta e come uccelli presi al laccio », cosi gli uomini,<br />
dice Salomone, «sono catturati dalle disavventure che d'improvviso li<br />
assalgono ».<br />
Ma perché non accada che la dilazione imposta alla speranza affievolisca<br />
la nostra fede e renda inquieta la nostra pazienza, o che noi<br />
diveniamo simili a coloro che credono per un certo tempo e che si<br />
ritirano poi al momento della tentazione, ecco che Colui che ci dona<br />
la fede, Colui che dopo avercela donata la prova, e che dopo averla<br />
provata la corona, ci grida dall'alto del cielo: «Chi avrà creduto non<br />
abbia fretta» di vedere ciò in cui ha creduto.<br />
Se infatti ciò che non possiamo ancora vedere noi lo speriamo,<br />
attendiamo con pazienza. Per questo il Signore per bocca di Osea<br />
comunica alla sua Sposa) che è sua Sposa nella fede, queste parole:<br />
« Per molti giorni mi aspetterai, non prostituirti e non darti ad alcuno ».<br />
Questo appunto è aspettare veramente il Signore, se, conservando la<br />
fede in Lui, sebbene privi della consolazione della sua presenza, non<br />
seguiamo la seduzione, ma dimoriamo sospesi al suo ritorno. Cosi<br />
- 255-
infatti dice il Signore nello stesso profeta: «Il mio popolo sarà sospeso<br />
al mio ritorno ».<br />
Sospeso, espressione bella ed esatta, che significa vivere come tra<br />
cielo e terra: benché infatti non sia possibile ancora impossessarci<br />
dei beni celesti, non vogliamo tuttavia toccare le cose della terra. E<br />
se talvolta le toccheremo questo non accadrà se non per la punta<br />
dei piedi, cioè per la parte inferiore dell'anima, a motivo della nostra<br />
natura corrotta alla quale siamo costretti servire finché «la creazione,<br />
contro sua voglia, è sottomessa alla vanità ».<br />
Si dice comunemente: il male attende chi è sospeso. Ma io dico:<br />
felicemente attende chi è così sospeso.<br />
«Per questo la mia anima ha preferito essere sospesa, e le mie<br />
ossa aspettano la morte in questa sospensione ». Possa io meritare di<br />
essere sospeso continuamente a questa croce, finché vi muoia.<br />
Signore Gesù, quando, liberamente, andasti ad offrire la tua vita,<br />
dipendendo dalla tua volontà il genere di morte che realizzava questo<br />
dono, la tua anima scelse di essere sospesa, perché, così elevato da terra,<br />
tu ci attirassi a te e ci innalzassi dalle cose terrene. Di più, tu non<br />
hai permesso di essere deposto dalla croce prima di essere morto,<br />
affinché anche noi perseverassimo sulla croce fino alla morte e perché<br />
dalla croce, come da un alto gradino, ci fosse più facile salire al cielo.<br />
Signore Gesù, ti siano rese grazie. I vi siamo ed ivi ti attendiamo:<br />
non Elia il profeta che venga a farci scendere, ma Elia, cioè il Signore<br />
nostro, perché ci prenda.<br />
« Ancora un poco, ancora un poco »; ma se tu «comandi e raccomandi»,<br />
io, una volta per tutte, ho fatto affidamento alle tue promesse;<br />
tuttavia «vieni in aiuto alla mia incredulità», perché, dimorando<br />
là, immobile, io ti attenda e ti attenda sempre, finché veda<br />
ciò che credo. Si, « io credo di poter contemplare la bontà del Signore<br />
nella terra dei vivi ».<br />
E tu, lo credi?<br />
Allora « attendi il Signore, comportati virilmente, che il tuo cuore<br />
si fortifichi ed attenda con pazienza il Signore ». Ma «guai a coloro<br />
che avendo perduto la pazienza si sono smarriti nelle vie della malvagità<br />
». Cosa faranno quando il Signore comincerà il suo giudizio?<br />
Perché infatti se egli richiede una lunga pazienza, altrove promette<br />
di tornare presto. Da una parte vuole educarci alla pazienza, dall'altra<br />
confortare gli scoraggiati, spaventare i negligenti e svegliare i pigri.<br />
«Ecco, dice, vengo presto e porto con me la mercede che darò ad<br />
ognuno secondo le sue opere ». Poi parlando a Gerusalemme: «Presto<br />
- 256-
verrà la tua salvezza, perché ti lasci consumare dal dolore? » Ed è<br />
'vero: «Il tempo si è fatto breve », soprattutto per ciascuno di noi,<br />
benché sembri lungo a chi si consumi, sia per il dolore, sia per l'amore.<br />
Cosi è necessario alla nostra fede sia di temere il giudice che è prossimo,<br />
e, forse per me, forse per te, « è già alla porta »; sia, se tarda,<br />
attendere con pazienza.<br />
«Verrà certamente» questo Signore, oggetto del nostro timore<br />
e del nostro desiderio, riposo e ricompensa di coloro che soffrono,<br />
dolcezza ed abbraccio di coloro che amano, beatitudine di tutti: il Salvatore<br />
nostro Gesù Cristo, che vive e regna per tutti i secoli dei<br />
secoli. Amen!<br />
2. «Sermone per l'Avvento del Signore» (II)<br />
« Ecco il Re viene; corriamo incontro al nostro Salvatore ». Molto<br />
bene dice Salomone: «Come acqua fresca per chi ha sete sono le<br />
buone notizie da un paese lontano ». Buon messaggero, certo, colui<br />
che annuncia la venuta del Salvatore, la riconciliazione del mondo e<br />
i beni del tempo futuro. « Beati sono i passi di coloro che annunciano<br />
la pace, di coloro che annunciano la buona novella ». Non c'è infatti<br />
un solo messaggero, bensl un gran numero, e tutti animati dal medesimo<br />
Spirito. Coloro che ci sono stati mandati dall'inizio del mondo formano<br />
una lunga catena e tutti hanno una sola voce, un solo messaggio:<br />
«viene, ecco che viene! ».<br />
E in verità, fratelli cari, è nell'esultanza dello spirito che bisogna<br />
andare incontro al Cristo che viene, salutandolo già ora di lontano,<br />
o meglio rendendo il saluto a colui che «manda la salvezza a Giacobbe<br />
». «Non avrai vergogna di salutare un amico », dice la sapienza;<br />
a maggior ragione quindi se si tratterà di restituirgli il saluto.<br />
«O salute del mio volto, e mio Dio! ». Quale condiscendenza<br />
l'aver salutato i tuoi servitori, ma più ancora l'averli salvati! Perchè<br />
non sarebbe stato per noi di salute, se indirizzandoci dei saluti, tu<br />
non ci avessi donato la salvezza. Ma tu ce l'hai donata, non solo salutandoci<br />
dapprima con le parole di pace e poi con il bacio della pace,<br />
cioè con la tua unione alla carne, ma anche operando la nostra salute<br />
attraverso la morte di croce.<br />
Si levi dunque il nostro spirito in un trasporto di gioia, corra<br />
incontro al suo Salvatore e già di lontano adori e saluti colui che<br />
viene. Acclami e gli dica: «O Signore, salvami; o Signore, liberami;<br />
benedetto Colui che viene nel nome del Signore ».<br />
- 257-
Salve a te, che vieni a salvarci; benedetto sii tu che vieru a<br />
benedirci.<br />
Dunque, o Signore, sia propìzia la tua missione, tu che vieni<br />
incontro al genere umano così benigno e salvatore. «Volgiti, avanza<br />
con fiducia e regna ». Che il Padre, «Dio della nostra salvezza» ti<br />
renda «prospero il cammino». «Prospererà» - dice il Padre -<br />
«in tutto quello per cui l'ho inviato », non secondo i desideri degli<br />
uomini carnali e nemmeno secondo la volontà di Pietro, il quale aborriva<br />
che dovesse partire. «Tutto quanto farà prospererà», non secondo<br />
la volontà degli uomini, ma per la loro autentica salvezza. « Vana »,<br />
«è la salvezza dell'uomo », poiché «di Dio è la salvezza », di Colui<br />
che ha operato la salvezza nel suo sangue, effondendolo in riscatto e<br />
donandocelo come bevanda.<br />
Vieni quindi, o Signore; « Salvami ed io sarò salvo»; vieni, « Fa'<br />
brillare il tuo volto e saremo salvi »; «Te infatti abbiamo atteso:<br />
sii la nostra salvezza nel tempo dell'angustia ». I profeti e i giusti<br />
andavano incontro a Cristo (che doveva venire) con tale desiderio e affetto<br />
che avrebbero voluto, se fosse stato possibile, vedere con i propri<br />
occhi ciò che già vedevano con lo spirito.<br />
Per questo il Signore diceva ai suoi discepoli: «Beati gli occhi<br />
che vedono ciò che voi vedete, poiché vi dico che molti profeti e<br />
giusti vollero vedere ciò che voi vedete e non lo videro». Anche<br />
Abramo, nostro padre, esultò nel vedere il giorno di Cristo. «Lo<br />
vide », ma dagli inferi, « e ne godette ». C'è di che farci arrossire per<br />
il torpore e la durezza del nostro cuore se non aspettiamo veramente<br />
nel gaudio spirituale il giorno anniversario della nascita di Cristo, giorno<br />
che ci è promesso di vedere ben presto, se a Dio piacerà.<br />
La Scrittura sembra esigere che la nostra gioia sia così grande<br />
che il nostro spirito, elevandosi al di sopra di se stesso, arda di slanciarsi<br />
in qualche modo incontro al Cristo che viene, e, proteso in<br />
avanti per il desiderio, si sforzi, quasi con impazienza, di scorgere<br />
colui che sta per venire. Noi siamo invitati ad andargli incontro in<br />
tanti passi della Scrittura, ed io penso che questo non valga solamente<br />
a riguardo del secondo avvento, ma anche a proposito del primo.<br />
Così come andiamo incontro al secondo avvento nel «movimento»<br />
e nell'esultanza del corpo, occorre che noi andiamo incontro al<br />
primo nell'affetto e nell'esultanza del cuore. Sapete infatti che nella<br />
risurrezione, dopo aver ricevuto dei corpi rinnovati, come insegna l'Apostolo:<br />
«Saremo rapiti sulle nubi in cielo incontro a Cristo e così<br />
saremo sempre col Signore». Ma già ora le nubi non mancano per<br />
- 258-
poter elevare i nostri spiriti verso le regioni più alte se essi non saranno<br />
troppo pigri e attaccati alla terra, ed essere così, almeno per una mezz'ora,<br />
con il Signore.<br />
La vostra stessa esperienza, se non mi sbaglio, comprende ciò<br />
che dico. Quel giorno in cui « le nubi fecero udire la loro voce », cioè<br />
risuonarono nell'assemblea le voci dei Profeti o degli Apostoli, non<br />
sono stati elevati i vostri spiriti, portati per così dire come dalle nubi<br />
verso altezze sublimi? Non vi è accaduto di essere rapiti fino a contemplare,<br />
per quanto poco, la gloria del Signore?<br />
Allora, se non mi sbaglio, voi avete provato come sia vera quella<br />
parola che il Signore ha fatto piovere da quella nube e per la quale<br />
egli ci fornisce quotidianamente un mezzo per elevarci: «Il sacrificio<br />
di lode mi onora, e a chi prende la via buona mostrerò la salvezza<br />
di Dio ».<br />
E così si realizza che il Signore venga a voi prima del suo ritorno,<br />
e vi visiti nell'intimo prima che questo avvenga per il mondo<br />
intero. « Non vi lascerò orfani », aveva detto, « vado e ritorno a voi »<br />
Ora la frequenza di questo avvento intimo del Signore, durante il<br />
tempo intermedio tra il primo ed il secondo, varia a seconda del merito<br />
e della diligenza di ciascuno; esso inoltre ci rende conformi alla prima<br />
venuta e ci prepara al ritorno.<br />
Perciò se egli viene in noi in questo modo, è perché il suo primo<br />
avvento non sia avvenuto invano e perché nel momento del suo ritorno<br />
non venga verso di noi nella collera. In questo avvento si adopera a<br />
riformare il nostro spirito pieno di orgoglio, rendendolo simile al suo<br />
spirito, colmo di quella umiltà che ha mostrato nella sua prima venuta,<br />
al fine di « riformare il nostro· corpo di miseria e configurarlo al Suo<br />
corpo rivestito della gloria », che manifesterà quando tornerà la seconda<br />
volta.<br />
Certo noi dobbiamo desiderare con tutto il nostro impegno e<br />
ricercare con tutti i nostri sforzi questa intima venuta che ci comunica<br />
la grazia del primo avvento e ci promette la gloria del secondo. Poiché<br />
«Dio ama la misericordia e la verità, il Signore donerà la grazia e<br />
la gloria ». Per la sua misericordia egli ci donerà la grazia, per la sua<br />
verità ci concederà la gloria.<br />
L'avvento spirituale, sia per il posto che occupa nel tempo, sia per<br />
l'analogia che fonda la sua somiglianza con entrambi, tiene il centro<br />
tra i due avventi corporali. Come intermediario esso partecipa, per<br />
così dire, della natura dell'uno e dell'altro. Infatti il primo avvento<br />
è stato nascosto ed umile, iI secondo sarà manifesto e splendente; quel-<br />
- 259-
lo invece è sì, nascosto, ma splendente. Lo posso dire nascosto<br />
non perché colui che Egli visita lo ignori, ma perché Egli. viene nel<br />
segreto. Perciò questa anima radiante si glorifica nella sua gloria e<br />
dice in se stessa: «Il mio segreto è per me; il mio segreto è per me ».<br />
Ma quello stesso nel quale egli viene non può vederlo prima di goderlo;<br />
come dal canto suo proclama il beato Giobbe: «Se egli viene<br />
a me io non lo vedo; e se egli si allontana io non me ne accorgo ».<br />
Non lo vede venire, non si accorge della sua dipartita; unicamente<br />
quando è presente, egli è per l'anima una luce che le fa vedere l'invisibile<br />
e conoscere l'inconoscibile. Quanto, d'altra parte, questo avvento<br />
del Signore sia splendente, sebbene nascosto; in qual dolce e<br />
gioioso stupore esso sospenda e rapisca l'anima che lo contempla; in<br />
che modo tutte le fibre dell'uomo interiore gli acclamino: «Signore,<br />
chi è simile a te?; tutto questo lo sanno coloro che l'hanno provato.<br />
Quanto a coloro che non l'anno provato, possano essi avere un vero<br />
desiderio di farne l'esperienza, purché questo non sia una curiosità temeraria<br />
che li porti a scrutare la maestà col rischio di essere oppressi<br />
dalla gloria, ma sia un amore pieno di rispetto, che faccia sospirare<br />
il diletto per essere accolti dalla grazia. Perché «il Signore sostiene<br />
i mansueti ed umilia gli empi fino a terra; resiste agli orgogliosi ma<br />
agli umili concede la grazia».<br />
Se il primo avvento dunque è stato quello della grazia, e il secondo<br />
sarà quello della gloria, senza dubbio questo è insieme l'avvento<br />
della grazia e della gloria. Esso ci procura, per la grazia che ci consola,<br />
come una pregustazione della gloria futura. Se nel primo il Signore<br />
della maestà si è dimostrato «disprezzabile », e se nel secondo dovrà<br />
apparire temibile, in questo avvento intermedio egli appare ammirabile:<br />
la condiscendenza della grazia che lo rende amabile non l'espone<br />
al disprezzo, ma all'ammirazione; e la magnificenza della gloria che<br />
lo farà apparire ammirabile non ispira la paura, ma piuttosto la consolazione.<br />
Il primo avvento fece dire ai Giudei: «Lo abbiamo visto, ma<br />
non aveva apparenza né bellezza, perciò noi non l'abbiamo stimato».<br />
Il secondo spaventerà anche il giusto, che dice: «E chi reggerà<br />
al suo apparire? ». Di questo invece dice l'Apostolo: «Rispecchiando<br />
la gloria del Signore siamo trasformati nella sua stessa immagine, di<br />
gloria in gloria, come si addice al Signore che è Spirito ».<br />
Momento mirabile ed amabile, quando Dio amore penetra nell'intimo<br />
di colui che ama, quando lo Sposo stringe la Sposa nell'unione<br />
dello spirito, e quando si trova trasformata in quella stessa immagine<br />
- 260-
attraverso la quale, «come in uno specchio », contempla la gloria<br />
·del Signore.<br />
Beati coloro che per la loro ardente carità hanno già meritato di<br />
ottenere questo favore; ma beati anche coloro che per la loro santa<br />
semplicità possono sperare di ottenerlo un giorno. Gli uni, godendo<br />
già del frutto dell'amore, gustano un sollievo nella loro fatica; gli altri,<br />
con un merito forse tanto più grande quanto per il momento sono in<br />
un minore sollievo, portano « il peso della giornata e il caldo» attendendo<br />
l'avvento della rimunerazione.<br />
Noi, fratelli, che non abbiamo ancora la consolazione di una esperienza<br />
cosi elevata, « affinché siamo pazienti fino alla venuta del Signore<br />
», abbiamo ora almeno la consolazione di una fede certa e di una<br />
coscienza pura, pronti a dire come Paolo, con altrettanta felicità e<br />
fedeltà: «So in chi ho riposto la mia fiducia e sono convinto che egli<br />
può custodire il mio deposito fino a quel giorno, nell'attesa della beata<br />
speranza e della manifestazione gloriosa del grande Iddio e Salvatore<br />
nostro Gesù Cristo ».<br />
A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.<br />
- 261-
CRONACA<br />
1. CONGREGAZIONE DI CASAMARI<br />
Capitolo Generale (24 luglio - 1 settembre)<br />
Il primo settembre scorso si è chiuso a Casamari il Capitolo Generale<br />
ordinato dalla Congregazione, che si celebra ogni tre anni. Essendo<br />
iniziato il 24 luglio, è certamente il Capitolo Generale più lungo nella<br />
storia della Congregazione, se si eccettua il Capitolo straordinario che<br />
si svolse però nell'arco di tre anni consecutivi.<br />
I 31 padri capitolari presenti (a cui si devono aggiungere due assenti:<br />
il Priore di Claraval in Brasile e di Cotrino) sono stati occupati in<br />
57 sessioni per un complessivo di 200 ore, a cui si devono aggiungere<br />
varie ore di lavori svolti dalle Commissioni. Le votazioni sono state<br />
1033. Sono state approvate ad interim le nuove Costituzioni, che, dopo<br />
un periodo di prova verranno riesaminate e approvate dal Capitolo del<br />
1976; sono stati rivisti molti deliberti capitolari e sono state prese<br />
nuove decisioni organizzative e disciplinari. È stata rinnovata la Commissione<br />
liturgica e quella Studi ed è stata fatta una nuova commissione<br />
con l'incarico di seguire nelle varie case l'attuazione delle Costituzioni,<br />
raccogliendo ogni elemento utile per la revisione da operarsi prima dell'approvazione<br />
definitiva.<br />
a) Nuove Costituzioni<br />
Nei 152 articoli del nuovo testo costituzionale viene tracciato il<br />
quadro base dell'organizzazione e della vita della Congregazione di Casamari<br />
e dei suoi monasteri.<br />
Si tratta di una Congregazione monastica a norma del diritto ecclesiastico<br />
con tutti gli oneri e le prerogative che le competono. Essa, assieme<br />
alle altre Il Congregazioni (austriaca, tedesca, italiana, olandese, francese,<br />
boema, ungherese, spagnola, polacca, brasiliana e vietnamita)<br />
e al monostero di New Ringgold forma l'Ordine Cistercense.<br />
Numerosi sono i punti in cui le nuove costituzioni differiscono dalle<br />
vecchie, ma le mutazioni più sostanziali riguardano l'autonomia delle<br />
case, la stabilità dei monaci e la composizione del Capitolo Generale.<br />
Nella tradizione benedettina ogni monastero ha una sua personalità<br />
con personale proprio e completa autonomia amministrativa e disci-<br />
- 262-
plinare: è un piccolo mondo a sé per quanto possibile autosufficiente. Il<br />
monaco entra in un monastero e in esso trascorre tutta la sua vita con<br />
una stabilità che promette unitamente all'obbedienza al superiore e dalla<br />
quale soltanto per casi eccezzionali potrà essere dispensato. Questo principio<br />
realizzato giuridicamente nelle Costituzioni vecchie, anche se mai<br />
attuato in pratica è stato mutato nelle nuove costituzioni abolendo la stabilità<br />
nei monasteri per trasferirla alla Congregazione nel suo insieme.<br />
Con questa si è tolta alle case buona parte di quella autonomia<br />
che avrebbero dovuto godere secondo la Regola benedettina, lasciando<br />
loro solo l'autonomia economica e, in parte quella disciplinare.<br />
Ogni monaco, anche se affidato ad una certa casa in modo abbastanza<br />
stabile, dipende sempre dal governo centrale che lo può trasferire da<br />
una casa all'altra qualora ci siano dei motivi di un certo rilievo. Il<br />
superiore della casa autonoma, di per se abate, viene eletto dalla comunità<br />
per un periodo di nove anni e al termine del suo ufficio rimane nella<br />
casa che ha governato, come semplice monaco, anche se fosse stato prima<br />
abate. Queste case potranno avere delle case dipendenti. Questo stato di<br />
dipendenza però deve essere temporaneo perché ogni casa deve giungere<br />
alla autonomia prevista dalle costituzioni.<br />
Per il Capitolo Generale si è pensato ad una maggiore rappresentatività<br />
di tutte le case della Congregazione sanzionando (art. 109) la partecipazione<br />
dei delegati nella misura di 1 ogni 20 monaci, riducendo<br />
la partecipazione in virtù di incarichi esercitati nella Congregazione<br />
nel passato e per titoli di benemerenza.<br />
b) Deliberazioni Capitolari<br />
Le decisioni riguardanti la vita delle varie case della Congregazione<br />
sono prese mediante « deliberati» che vengono rivisti dal Capitolo immediatamente<br />
seguente. Dopo essere stati approvati da due Capitoli diventano<br />
leggi stabili fino ad abrogazione. Dei deliberati del Capitolo<br />
1968-1970 alcuni erano caduti per la temporaneità della decisione, alcuni<br />
sono stati confermati, altri infine sono stati riveduti e modificati. Le cose<br />
di maggior interesse sono:<br />
1. un nuovo tipo di case non previste dalle Costituzioni, né dall'uso<br />
della Congregazione: le « residenze ». Si tratta di case non destinate<br />
a diventare autonome e sedi di opere particolari di ordine sia spiri-<br />
- 263-
tuale che temporale. Sono governate da superiori, non da Priori;<br />
(purtroppo nel calendario dell'Ordine non è stata tenuta presente<br />
questa distinzione, e una residenza, quella di Roma è stata messa<br />
tra le case dipendenti e un'altra, quella di Keren, non è stata neppure<br />
nominata).<br />
2. Il monaco che accetta di essere Superiore di una casa autonoma viene<br />
a fare parte stabilmente di questa casa, anche dopo lo scadere del<br />
suo mandato di superiore.<br />
3. L'osservanza della Quaresima è lasciata all'iniziativa delle singole<br />
case che devono stabilire cosa intendono fare circa l'astinenza dalle<br />
carni e gli altri esercizi di mortificazione, come pure per la beneficenza<br />
da farsi in maniera tutta particolare in questo tempo ai biso-<br />
. gnosI.<br />
4. Capitolo per le case dipendenti che contano almeno 6 membri. Queste<br />
case avranno un loro capitolo deliberativo dovranno però essere sottomesse<br />
al « consiglio » della casa madre per la ratifica.<br />
5. Sacra liturgia. Si è cercato di dare un nuovo impulso alla vita liturgica.<br />
È stato al riguardo liberalizzato l'uso della lingua italiana: essa<br />
può venire usata sia nella Messa che nell'Ufficio divino quando la<br />
comunità lo ritenga opportuno per esigenze particolari.<br />
c) Commissioni<br />
Sono state rinnovate le Commissioni per la S. Liturgia e. quella<br />
degli studi, ed è stata istituita una nuova commissione per le Costituzioni<br />
da rivedere:<br />
1. Commissione liturgica: P. Dionisio Raponi, P. Ugo Tagni e P. Mala-<br />
. chia Falletti.<br />
2. Commissione degli studi: P. Atanasio Taglienti, P. Tarcisio Pagliarella,<br />
P. Arnaldo Rossi, P. Ludovico Valenti.<br />
3. Commissione per la revisione delle Costituzioni: P. Nazareno Pistilli,<br />
P. Malachia Falletti, P. Goffredo Viti.<br />
- 264-<br />
P. MALACHIA FALLETTI
2. PRESENTAZIONE DI UN LIBRO IN CERTOSA (27 ottobre)<br />
LUCIANO CASELLA, La Toscana nella guerra di liberazione Firenze 1973.<br />
La manifestazione, organizzata dall'Associazione Italiana Volontari<br />
della Libertà il giorno 27 ottobre 1973, ha dato l'avvio ad alcune iniziative<br />
programmate per ricordare il 30° anniversario della liberazione di<br />
Firenze e della Toscana. In questa occasione, oltre a rivolgere particolare<br />
attenzione ai giovani d'oggi, per rispondere in parte alle loro preoccupazioni<br />
e alle loro perplessità, non sempre apertamente espresse, si è voluto<br />
anche ritemprare in molti « antichi giovani », un tempo coscientemente<br />
e dolorosamente impegnati in una « ribellione d'amore », la fiducia in<br />
una umanità civile, non dominata dai miti del denaro e della prepotenza.<br />
La prima attività ufficialedi questa Associazione, dopo la sua costituzione,<br />
ha voluto appunto costruire un dialogo tra il passato e il presente,<br />
affinché alcuni momenti della nostra storia, viventi ora nella Costituzione<br />
italiana, non abbiano il solo ruolo di riempire qualche pagina,<br />
anche drammatica, della cronaca italiana, né siano motivo per un discorso<br />
retorico, ma divengano meditazione appassionata ed esortazione dignitosa<br />
ad accogliere un'eredità di pensieri, di sofferenze, di speranze.<br />
Non è inutile un breve ripensamento su questo particolare passato,<br />
ma anzi esso è necessaria pausa prima d'intraprendere di nuovo, in tempi<br />
difficili, un'attività che vuole confermare una rinnovata fiducia nell'azione<br />
degli uomini del nostro tempo.<br />
Questo è stato il messaggio avvertito nelle parole del presidente<br />
dell'associazione, Guido Belli, il quale ha impostato, con contenuta commozione,<br />
ma anche con molto realismo, l'argomento della Resistenza oggi,<br />
patrimonio spirituale comune a tutti gli italiani, anche quando sembrano<br />
dimentichi di aver vissuto, tutti insieme, un momento tragico che vide<br />
meravigliosamente accanto gli italiani di ogni fede, uniti nella volontà<br />
di fare una società nuova, ricostruendo sulle macerie lasciate da una<br />
dittatura e da una guerra.<br />
Per avvalorare l'intento dei promotori dell'associazione in questa<br />
prima riunione, si è fatto un riferimento concreto al libro di Luciano<br />
Casella « La Toscana nella guerra di liberazione », di recente edizione,<br />
un'opera storica di grande valore che presenta in un racconto organico e<br />
appassionato, le vicende della Toscana dal 1943 al 1945; mentre a don<br />
Angeli autore di « Vangelo nei lager », è stato richiesto di parlare delle<br />
sue vicende personali nel periodo della Resistenza.<br />
Tre giovani, Alessandro Corsinovi, Giovanni Pallanti, Maria Cristina<br />
Passaponti hanno parlato per la nuova generazione e sono riusciti<br />
- 265-
a gettare un ponte tra il presente e il passato. I loro discorsi hanno avuto<br />
impostazioni diverse, ma si sono completati nelle riflessioni: sensibilità<br />
nella rievocazione delle vicende storiche del 1943-1944; constatazione che<br />
certi fatti acquistano rinnovato significato quando vengono riesaminati<br />
dinanzi a persone che li vissero realmente; equilibrio e fermezza nell'analisi<br />
della posizione dei giovani di oggi di fronte a questo passato, fondamento<br />
primo della nostra Costituzione; necessità di mantenere in qualche<br />
modo viva una parte così costruttiva delle vicende italiane; coraggio nel<br />
criticare alcune debolezze della vita pubblica, soprattutto la mancata valorizzazione<br />
dell'azione dei giovani cattolici nella resistenza.<br />
Col suo intervento l'avv. Franchini, presente alla manifestazione<br />
come rappresentante della Federazione Italiana Volontari della Libertà,<br />
ha fatto rivivere tutta quella carica di entusiasmo che animò i partigiani<br />
ma ha anche insistito sulla volontà di tutti per superare l'attuale sfiducia<br />
in ogni valore spirituale.<br />
Sulla necessità di un più attento impegno umano e sociale si è soffermato<br />
un altro giovane, mentre Carlo Campolmi ha dolorosamente ricordato<br />
la vicenda di « Radio Cora »; egli ne è rimasto unico superstite.<br />
Ultima voce autorevole in questa riunione è stata quella di don<br />
Angeli, il quale ha voluto soprattutto chiarire l'origine del suo antifascismo.<br />
Esso nacque non tanto da una scelta, ma da necessità, in quanto fu<br />
rifiuto della violenza; e quando tale rifiuto diventa parte integrante del<br />
nostro comportamento, esso ci obbliga logicamente ad accettarne tutte le<br />
conseguenze, anche le più dolorose. La sua fede nei valori umani come<br />
in quelli divini fu comune a tutti quei giovani di Livorno, dove egli era<br />
assistente della Fuci, che vollero dare con la loro azione una risposta logica<br />
e caraggiosa alla violenza.<br />
Così si è conclusa una riunione che ha avvicinato, direi quasi con<br />
rinnovata fiducia nell'umanità, sia coloro che hanno espresso il loro pensiero,<br />
sia i numerosi interventi, fra i quali molti partigiani e parenti di<br />
caduti della Resistenza.<br />
Pur nella rievocazione di violenze e di sofferenze, lievito ricco della<br />
nostra vita democratica, non vi sono state parole di odio: di sdegno, si.<br />
- 266-<br />
LUISA TERZIANI
3. CERTOSA DI FIRENZE (14 novembre)<br />
CONVEGNO SULLE UNIVERSITÀ STRANIERE A FIRENZE:<br />
RIFLESSIONI - CONSIDERAZIONI<br />
Le seguenti brevi riflessioni sono di un giovane universitario<br />
ventenne. Ammirevole è la sincerità che<br />
traspare nelle espressioni. Ci si augura che la proposta<br />
che egli [ormula alla fine delle riflessioni venga<br />
accolta e attuata dai responsabili del Centro Incontro<br />
della Certosa. (N.d.R.).<br />
Il convegno sulle Università straniere a Firenze indipendentemente<br />
da ogni considerazione politica o di convenienza è da considerarsi obiettivamente<br />
fallito.<br />
Fallito per un solo motivo: la mancata partecipazione di studenti<br />
stranieri.<br />
Questo dato di fatto impone tutta una serie di domande:<br />
1. perché non sono intervenuti gli stranieri?<br />
2. perché non sono intervenuti i giovani italiani?<br />
3. perché in sede di convegno non c'è stato dibattito?<br />
Alla prima domanda risponderei narrando un episodio occorsomi<br />
ilgiorno dopo ilconvegno, invitato ad una festa da un amico riincontrato<br />
proprio al convegno, faccio conoscenza di un buon numero di studenti<br />
stranieri ai quali chiedo (alcuni erano stati per un po' anche in Certosa)<br />
delucidazioni in merito a questa loro povera vita da eremiti a Firenze.<br />
Essi mi hanno risposto che erano veramente rimasti molto stupiti<br />
per tutto il clamore sollevato da queste polemiche iniziate sulla Nazione<br />
e proseguite in varie altre sedi fra cui la Certosa, polemiche che ritenevano<br />
veramente esagerate, perché, se è vero che Firenze è una città<br />
refrattaria nei confronti dei non fiorentini è altrettanto vero che gli<br />
studenti stranieri, ma è meglio dire agli studenti americani che di questa<br />
colonia straniera sono la maggior parte, non interessa assolutamente<br />
stabilire contatti duraturi con i fiorentini. Ciò per tre motivi: il primo<br />
è che gli studenti di madrelingua inglese sono convinti che non riveste<br />
alcuna importanza imparare lingue straniere dato che la loro è la più<br />
diffusa nel mondo (non riflettendo però che qualche italiano trascura i<br />
dolci suoni propri di Albione e si dedica all'idioma gallico od a quello<br />
germanico); il secondo è che i corsi frequentati da questi studenti durano<br />
- 267-
al massimo sei mesi e pare che siano abbastanza duri e che quindi<br />
lascino ben poco tempo a disposizione durante la settimana mentre, terzo<br />
motivo, durante i week-end partono per andare a visitare l'Europa.<br />
Per quanto riguarda la seconda domanda la risposta è ancora più<br />
semplice: non ci sono collegamenti fra Amici della Certosa e giovani<br />
fiorentini eccettuato due figli di due Amici (uno dei quali sono io) che<br />
hanno fatto del loro meglio per portare quanti più giovani potevano<br />
ma che più di portare dieci quindici persone non potevano veramente.<br />
Terza risposta: perché ad un pubblico di Italiani intervenuti ad<br />
un convegno organizzato per stranieri non importa molto, in assenza<br />
dei medesimi, di discutere di problemi che tutto sommato non interessano<br />
loro poi tanto.<br />
Per quanto riguarda le proposte fatte durante ilconvegno, non prendendo<br />
in considerazione l'unica proposta straniera presentata dal Prof.<br />
Licht di trasformare alcune stanze della Certosa in grazioso e lussuoso<br />
pub per americani (i pub poi sono inglesi) - ed appare evidente perché<br />
non viene nemmeno presa in considerazione -l'unica veramente valida<br />
è quella di ciclostilare ogni quindici giorni un bollettino sul quale siano<br />
riportate tutte le informazioni riguardanti manifestazioni culturali che .nel<br />
periodo immediatamente successivo avranno luogo a Firenze o nelle immediate<br />
vicinanze. Credo che questo bollettino sarebbe utile anche ai fiorentini.<br />
Ora invece vorrei fare una proposta discussa anche con alcuni altri<br />
giovani: nel gruppo degli amici della Certosa vi sono molte persone<br />
capaci di tenere una serie di lezioni « amichevoli » riguardanti problemi<br />
artistici e culturali, l'organizzare queste lezioni sarebbe un'ottima occasione<br />
per concretizzare l'azione del Centro di incontro della Certosa e<br />
sarebbe assicurata anche una certa presenza giovanile che - senza<br />
disconoscere i meriti di nessuno - è a mio parere in simili iniziative<br />
fondamentale.<br />
- 268-<br />
LUIGI SANTEDICOLA
L'INDUSTRIA DELLA LANA E DELLA SETA<br />
NELL'ABBAZIA DI CASAMARI<br />
di P. Placido Caputo<br />
NUOVO INDIRIZZO ECONOMICO NELL'ABBAZIA<br />
DI CASAMARI<br />
Il trentennio di governo abbaziale di D. Romualdo Pirelli (1790-<br />
1822)segnò una svolta decisiva nella storia dell'economia di Casamari.<br />
Il monastero, che per secoli aveva attinto le sue risorse esclusivamente<br />
dalla terra, a cominciare dalla fine del 1700, pur conservando il<br />
suo patrimonio terriero, orientò la sua attività anche verso l'industria<br />
a tipo artigianale.<br />
Il piano di sviluppo dell'abbazia, voluto e promosso da quel grande<br />
abate, tendeva a fare uscire il monastero dal ristretto ambiente della<br />
terra per inserirlo nel contesto economico-sociale dell'era industriale<br />
che allora muoveva i primi passi.<br />
Furono meriti dell'abate Pirelli: l'istituzione del lanificio, il potenziamento<br />
della farmacia, già esistente, ma da lui aperta al pubblico<br />
e riconosciuta dal Governo Pontificio, la ristrutturazione del settore<br />
zootecnico e agricolo che prevedeva un graduale aumento delle dimensioni<br />
aziendali.<br />
Alla direzione settoriale furono preposti non dei monaci «praticoni<br />
» o dalle « capacità generiche », ma quelli che avevano una preparazione<br />
specifica. Sono di quest'epoca i «monaci tessitori », addestrati<br />
sotto la guida di valenti maestri; i « monaci speziali » che attraverso<br />
corsi professionali uscivano con la qualifica di matricolati dalla<br />
Sapienza di Roma o dagli Atenei di Napoli.<br />
Inoltre vi erano i «fratelli di campagna », i legatori e i conciatori<br />
di pelli 1, in possesso anche questi ultimi di adeguate cognizioni<br />
inerenti al proprio mestiere.<br />
Ricordiamo che i monaci conciatori si resero benemeriti della Curia<br />
Romana con le pergamene da loro confezionate nella conceria di Casamari.<br />
Queste, oltre ad avere varie destinazioni, erano dirette anche<br />
a Roma per fornire gli uffici dei Palazzi Apostolici 2 e quelli della<br />
1 Archivio di Casamari, Epistolario di G. De [acobis, pp. 71, 104, 149, 152, 157,<br />
160, 165. Inoltre si registra che nel 1795, l'Ab. Pirelli acquista da Gioacchino Oddi<br />
di Roma UDa «balla di pelli di lepre », Archivio di Casamari Lanificio-Bilancio, Cartulario<br />
1, p. 15.<br />
2 Archivio di Casamari, ibidem, p. 108.<br />
- 269-
Dataria 3. Le pergamene di Casamari erano usate per le bolle papali<br />
e per altri documenti della Santa Sede.<br />
Lasciando da parte le altre attività monastiche delle quali ci proponiamo<br />
di farne oggetto di ulteriori studi, passiamo senz'altro ad<br />
occuparci dell'industria della lana e della seta.<br />
Non abbiamo notizie circa la data precisa della fondazione del<br />
lanificio e del setificio di Casamari. È documentato però, che il primo<br />
fu istituito fin dagli inizi del governo dell'abate Pirelli (1790)·, mentre<br />
il setificio è più antico.<br />
Comunque, nei primi anni dopo il 1800 l'abbazia era allineata<br />
nella schiera dei numerosi lanifici della Ciociaria e della Valle del Liri.<br />
In quell'epoca i prodotti tessili dei monaci, già si imponevano sulla<br />
piazza per la loro varietà e per la finezza della lavorazione.<br />
L'industria laniera fu molto fiorente prima della soppressione del<br />
monastero da parte di Napoleone (1811-1814), ma anche dopo riuscl<br />
ad affermarsi come prima specialmente per opera dei suoi valenti monaci<br />
tessitori.<br />
Questa attività impegnava diversi monaci, e spesso anche laici,<br />
con una produzione annua, di coperte e di altre stoffe abbastanza considerevole,<br />
fino al punto che il lanificio e setificio di Casamari erano in<br />
grado di essere i fornitori, quasi esclusivi, di alcuni negozi ed ospedali<br />
di Roma.<br />
Nell'abbazia, la lavorazione della lana e della seta, organizzata<br />
sul tipo dell'artigianato locale, praticamente continuava le tradizioni<br />
proprie di Terra di Lavoro, e in particolare della Valle del Liri, perciò<br />
la sua impostazione generale non si differenziava molto dagli altri<br />
lanifici e setifici della zona.<br />
A questo punto è utile rilevare che le attività industriali rimesse<br />
in vigore dal Pirelli, oltre ad attribuirsi alla genialità propria di quell'abate<br />
e alle nuove iniziative economiche del secolo, in fondo si ispiravano<br />
ad un'antica tradizione monastica, la quale, anche se aveva subito<br />
le alternative delle vicende storiche, non si era spenta mai del tutto s.<br />
Facendo un salto nei secoli passati, sappiamo che i monaci di<br />
Casamari erano agricoltori e pittori, fornai e architetti, calzolai e scul-<br />
3 Archivio di Casamari, ibidem, pp. 108-124.<br />
4 Archivio di Casamari, Carteggio personale dell'Ab. Pirelli, Testamento del Pirelli,<br />
nel quale, tra le ultime volontà lasciate al successore, dice: «Se continuerà il piccolo<br />
lanificio da me introdotto, non si servi dei monaci per lo smercio... », p. 162.<br />
5 U. BERLIÈRE L'Ordine monastico dalle origini al secolo XII, Bari, 1928, p. 213.<br />
- 270-
tori, conciatori di pelli e infermieri, tessitori e tintori, pastori di pecore<br />
e trascrittori di codici, fabbri e intarsiatori.<br />
I famosi cimeli, di inestimabile valore, che facevano parte del<br />
«Tesoro di Casamari », attualmente nella cattedrale di Veroli 6, uscirono<br />
dal bulino dei monaci cesellatori 7.<br />
Forse l'autorizzazione concessa da Pio 11 8 nel 1462 all'abate di<br />
Casamari, di tentare lo sfruttamento delle miniere di oro e di argento e<br />
di altri metalli esistenti nelle provincie di Campana e Marittima, bisogna<br />
metterla in relazione con l'attività dei monaci orefici e argentieri dell'abbazia.<br />
Infine ci sembra doveroso mettere in risalto che furono i Fratelli<br />
Conversi gli artefici della prosperità materiale del monastero, il quale,<br />
se nel campo agricolo, industriale e artistico era all'avanguardia, si<br />
deve senz'altro alla loro operosa solerzia.<br />
* * *<br />
LE PROVVISTE DI LANA GREGGIA<br />
Le gregge dell'abbazia di Casamari costituivano la fonte principale<br />
dalla quale il lanificio dei monaci attingeva il greggio per la lavorazione<br />
dei tessuti.<br />
L'industria era fiancheggiata da un buon allevamento di bestiame<br />
ovino, dalle diverse razze, come risulta dai due cartulari dell'archivio<br />
di Casamari sullo « [us pascendi », contenenti documenti che vanno dal<br />
1569 al 1868 9.<br />
In quei secoli il patrimonio zootecnico del monastero era rilevante,<br />
per cui si ricorreva al sistema della transumanza, e cioè, a seconda<br />
delle stagioni, il bestiame veniva dislocato non solo nelle praterie adiacenti<br />
all'abbazia, ma anche sui monti degli Abruzzi, del Circeo e nell'Agro<br />
Pontino ".<br />
6Archivio di Casamari, Cartulario sul Tesoro di Casamari in Veroli, passim.<br />
7 SCACCIA-SCAMFONI C., Il tesoro sacro del duomo di Veroli ed i suoi cimeli<br />
medioevali; estratto da «L'Arte »di Adolfo Venturi, anno XVI, fase. IV, Roma 191.3,<br />
pp. 32-33.<br />
8 THEINIU, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Romae, 1861-1862,<br />
Tom. III, p. 421, n. 368; DE PERSIIS L., La Badia o Trappa di Casamari, nel suo<br />
doppio aspetto monumentale e storico, Roma, 1878, p. 156. DE BENEDETTI L., I<br />
Regesti dei Romani Pontefici per l'Abbazia di Casamari, in Miscell. di scritti vari<br />
in memoria di Alfonso Gallo, Firenze 1956.<br />
9 Archivio di Casamari, Patrimonio zootecnico dell'Abbazia, due cartulari sullo «[us<br />
Pascendi », passim.<br />
lO Ibidem, Della Fida e Pascoli di Roma, Campagna-Marittima e Patrimonio, passim.<br />
- 271-
Ma per ottenere il massimo rendimento, sia nella qualità che nella<br />
quantità dei prodotti ovini, si faceva di tutto per procurare un mangime<br />
adeguato. In un terzo cartulario circa il « Bestiame dell'abbazia »,<br />
vi è inserito un piccolo trattato manoscritto, dal titolo: «Dei prati artificiali<br />
e altri pascoli che possono servire d'alimento al bestiame '»11.<br />
Nella Villa Reale di Capodimonte vi erano estesissimi prati di erba<br />
medica e di « trifoglio francese ». L'abate Pirelli si rivolse al Duca di<br />
Miranda, « intendente» di quella villa « ... per avere di quell' erba una<br />
grossa partita di seme ... ». E per ottenerla si raccomanda alla generosità<br />
del Duca, e se sarà necessario, egli dice, è disposto a rivolgersi « ... alla<br />
compiacenza di Sua Maestà» 12.<br />
Usando speciali trattamenti alle pecore, i monaci di Casamari<br />
cercarono di migliorare il prodotto riuscendo talora a raggiungere un<br />
alto grado di perfezione. La qualità e il candore delle lane furono particolarmente<br />
pregiati, per cui le coperte, i panni, le saie e la altre stoffe<br />
uscite da Casamari, erano assai ricercate 13.<br />
Per garantire un lavoro continuo, i monaci avevano la cura di<br />
tenere il magazzino del lanificio ben provvisto del greggio necessario.<br />
Quando il gestore di un lanificio di Castelliri chiese una partita di lana<br />
a Casamari per il suo fabbisogno, l'abate del monastero scriveva al<br />
cellerario: «Il Sig. Antonio Serapiglia ha preso per sistema di contare<br />
per la sua provvista di lana sul nostro magazeno: io non so se ve ne sia<br />
d'avanzo dovendosi far lavorare sempre sin alla nuova raccolta ... » 14.<br />
Sembra però, che la lana di produzione propria non era quasi mai<br />
sufficiente ai cicli di lavorazione che in certi periodi raggiungevano<br />
punte eccezionali. Dai registri e da altri documenti si rileva che nella<br />
prima metà del 1800, il monastero faceva acquisti di greggio da diverse<br />
regioni con un ritmo molto serrato 15.<br />
Tutta l'Italia centro-meridionale è ottima produttrice di lane, dalle<br />
11 Ibidem, «Bestiame dell'Abbazia », Doc. Amministrativi, 1719-1879 pp. 142-155.<br />
12 Ibidem, «Epist, dell'Abate Pirelli », letto del Pirelli al Duca di Miranda, p.<br />
178; dr Epist. G. De [acobis (1816-1823), pp. 118-124, dove si legge che il Pirelli<br />
chiedeva il seme di erba medica al «Maestro di Casa» di Sua Em.za il Card. Ruffo.<br />
13 Archivio di Casamari, cfr i tre cartulari sul Lanificio di Casamari che contengono<br />
documenti che vanno dal 1719 al 1833, passim.<br />
14 Ibidem, Epist. dell'Ab. Pirelli, lettera autografa al cellerario di Casamari, dato<br />
Roma, 9 febbraio 1819, p. 63; cfr Cart. II, «Industria della lana in Casamari »,<br />
Accordo tra il Monastero e G. B. Porsella, p. 305, in cui si stabilisce: «A peso del<br />
monastero sarà provvedere e somministrare, a proporzione dei lavori che si vogliono<br />
fare, tutte le lane occorrenti, olio e denaro che bisogna per le diverse manifatture della<br />
lana medesima, di cui l'intera lavorazione resta a carico di esso Gio. Batt, Porsella ».<br />
15 Ibidem, cfr i tre cartulari sul lanificio di Casamari, passim.<br />
- 272-
più fini alle più ordinarie. Tra le altre, però, quella della pecora gentile<br />
di Puglia, è la migliore delle lane italiane.<br />
Casamari, per i tessuti di alto pregio, ordinava delle grosse partite<br />
di lana da Foggia e da altri centri pugliesi 16. Ma anche le pecore<br />
d'Abruzzo, della Campagna Romana, dei Monti Lepini e del Napoletano<br />
fornivano buona lana al lanificio dell'abbazia 17.<br />
Secondo i casi, la fornitura si affettuava nei centri più vicini come:<br />
Ferentino 18, Bauco 19, Vico 20, ma anche in quelli più lontani, come:<br />
Napoli 21, Foggia 22, Sinigallia 23 e qualche volta i fornitori erano mercanti<br />
ebrei 24.<br />
Tali acquisti si facevano o direttamente sul luogo dove avveniva<br />
la tosa delle pecore o sulle piazze dei maggiori centri del Lazio, delle<br />
Puglie e della Campania, tramite gli agenti fissi che il monastero aveva<br />
a Roma, a Sora, a Veroli e a Napoli 25.<br />
Per opera di questi agenti si registrano varie forniture di lana<br />
greggia prelevata dai mercati di Roma, e in genere con le voci: lana<br />
moretta} lana di Spagna} lana moretta naturale} castorino di Antera ecc. 26.<br />
Si conserva l'autorizzazione in copia originale a stampa, con sigillo<br />
a secco, con la quale il Card. Giuseppe Doria Panfili, Segretario<br />
dei Memoriali, concedeva all'abate D. Romualdo Pirelli « ... che possa<br />
in una o più volte cavare} ed estrarre da Roma decine trenta di lana<br />
moretta ... e far condurre a Casamari nel termine di giorni venti» n.<br />
J6 Ibidem, Industria della lana in Casamari, Cartulario I, pp. 49-86 e 5S., 102;<br />
Cartulario II, p. 104. Cfr Epist del P. Giuseppe Sanielice, fratello del Duca di Bagnoli<br />
e agente di Casamari in Roma e Napoli: lettera del Sanfelice al Pirelli, dato Roma,<br />
25 luglio 1807, pp. 35-37 e del 30 marzo 1808, p. 42.<br />
J7 Ibidem, «Industria della lana in Casamari », Cartulario I, pp. 57, 121, 122,<br />
125, 131, 132, 133, 135.<br />
18 Ibidem, Cartulario I, pp. 121-122.<br />
19 Ibidem, Cartulario I, p. 125.<br />
20 Ibidem, Cartulario I, pp. 132-133.<br />
21 Ibidem, Cartulario I, p. 57.<br />
22 Ibidem, Cartulario I, pp. 49, 86 e ss.<br />
23 Ibidem, Cartulario I, p. 15 in cui si registra: «Nel 1795, l'ab. Pirelli acquista<br />
da Gioacchino Oddi di Roma una balla di pelo di camelo (sic) proveniente da Sinigallia<br />
».<br />
24 Ibidem, Cartulario I, p. 135.<br />
25 Archivio di Casamari, cfr il carteggio sulle agenzie di Casamari che raccoglie la corrispondenza<br />
dei diversi agenti del monastero da Roma, da Napoli, da Sora e da Veroli.<br />
Cfr Epist. De [acobis-Caretti (1820-1824), Rendiconto del 17 giugno 1820, p. 6.<br />
26 Ibidem, Cartulario I, Industria della lana, pp. 23, 46, 56, 82-85, 131.<br />
n Ibidem, Cartulario I, Industria della lana, p. 39. Notiamo che alla vigilia della soppressione<br />
napoleonica, il lanificio del monastero era « soorabbondantemente provveduto di<br />
lana », come risulta dal Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, vedo Borro<br />
di dichiarazioni nella causa contro F. Passeri, p. 163 e nel Sommario della causa tra<br />
Casamari e F. Passeri, pp. 303-304.<br />
Al contrario, negli anni susseguenti alla soppressione, per le provviste di lana, il<br />
- 273-
Il trasporto della lana dai luoghi di prelevamento fino a Casamari<br />
avveniva, naturalmente, con mezzi a trazione animale, guidati dai « uetturati»<br />
28. Se il' tragitto era troppo lungo, il carico era protetto dagli<br />
« sbirri »29 del monastero che lo difendevano dai briganti.<br />
SISTEMA DI LAVORAZIONE<br />
A Casamari come del resto in tutta la Valle del Liri, l'industria<br />
della lana e della seta assumeva una forma di organizzazione economica<br />
che non si differenziava molto da quella dell'Italia centro-meridionale.<br />
In ognuna delle piccole e misere case dei contadini si filava e si<br />
tesseva e tutta la famiglia partecipava in un modo o nell'altro all'attività<br />
del monastero.<br />
La materia prima, quasi sempre apparteneva al monastero, che la<br />
consegnava al piccolo artigiano di villaggio per una prima trasformazione.<br />
I tessuti greggi che uscivano da quei minuscoli opifici domestici<br />
erano convogliati a Casamari dove i monaci si occupavano della loro<br />
ri6.nitura.<br />
Dai documenti giunti fino a noi, l'industria tessile di Casamari si<br />
presenta, fino alla metà del 1800, come un insieme di tanti laboratori<br />
staccati, che si completavano a vicenda mediante l'opera coordinatrice<br />
esercitata dalla direzione del lanificio e seti.ficiodell'abbazia 30.<br />
La prima lavorazione della materia greggia e la ri6.nitura dei tessuti,<br />
senza dubbio era compiuta anche dai monaci. Ma quando il loro<br />
numero si assottigliava, in seguito alle invasioni e ai saccheggi, la piccola<br />
monastero deve far ricorso a qualche « ... prestito grazioso per impiegarlo in compra di<br />
lana bisognevole per questo monastero... », 30 giugno 1820, Cartulario III, pp. 163-165.<br />
Sempre negli anni successivi alla soppressione, quando i monaci furono costretti a<br />
dare il lanificio in gestione al sig. Porsella, nel contratto si leggono le seguenti condizioni:<br />
« Per conservare in tutta la sua chiarezza il conteggio delle spese che si faranno per<br />
la lavorazione darà esso Gio. Batt. il conto minutamente ed esatto ih ciascun pezzo di<br />
lavoro che avrà perfezionato per quindi tenersi un registro e farne poi facilmente il conto<br />
generale.<br />
Dovendo esso Gio. Batt. uscire per tutto ciò che resta a carico del monastero debba<br />
andare questo viaggio a carico comune, come tutte le altre spese...<br />
Se accadesse che qualche lavoro venisse sbagliato o con falli che fosse inoendibile,<br />
in questo caso la valuta di esso resta tutta a carico di esso Gio. Batt. senza rimessa alcuna<br />
del monastero.<br />
I n ultimo si stabilisce che il presente accordo debba durare un solo anno onde possa<br />
farsene più facilmente lo scandaglio... », cfr Archivio di Casamari, Cartulario II Industria<br />
della lana, pp. 306-307.<br />
28 Ibidem, Cartulario I, p. 57; cfr Epist dell'Ab. Pirelli, passim.<br />
29 Ibidem, Cartulario I, p. 57.<br />
30 Archivio di Casamari, Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, passim.<br />
- 274-
comunità era costretta a far ricorso all'industria domestica rurale che<br />
diventava cosi la succursale di una più grande industria monastica.<br />
Gli stessi tessuti confezionati nel lanificio di Casamari, qualche<br />
volta venivano portati a Castelliri, da Antonio Serapiglia, « ... per [ar<br />
completare !a casa sua i panni che nel monastero "si tessevano» 31.<br />
Questo sistema di lavorazione adottato fino alla' prima metà del<br />
secolo scorso costituila forma di lavoro di gran lunga prevalente.<br />
A conferma di quanto esposto sopra citiamo solamente alcuni<br />
esempi di partite di lana, di canapa e di lino consegnate a famiglie<br />
residenti in Boville, Arpino, Colleberardi, Scifelli, Veroli, Castelliri e<br />
qualche volta si portavano alle « valche di Carnello », presso Sora.<br />
Nei registri amministrativi del lanificio e setificio di Casamari si<br />
leggono queste voci 32: «Per scardatura, filatura e tessitura in Castelluccio<br />
... » «Per oalca in Carnello ... due quarti di castorino e di due<br />
scampoli ... », «Il porto alle oalcbe e spedizione in Arpino », «Lana<br />
e castorino dall'Antera ... » ecc.<br />
I lavori venivano eseguiti dietro compenso che poteva essere in<br />
natura o in contanti. Dal « Registro delle spese per filatura» dell'anno<br />
1797 si rileva quanto segue 33:<br />
«Si è dato a Marta Melana di Bauco, decine 7 di liuoli di lino<br />
del quale ne deve fare tanta tela fina... ». Alla famiglia di Domenico<br />
Fiorini di Bauco, « ...si è dato la stoppa grava di lino e ha portato 90<br />
braccia di tela ... ». A una famiglia di Scifelli: «Si è dato stoppa fino<br />
che ne deve portare tanto filato crudo ». Cosi pure alla moglie di un<br />
certo Michele Sardellitto di Bauco: «Si è dato lana bianca per farne<br />
tanta saia... lino senza pettinare dal quale deve fare tanta refe ordinaria...<br />
ha ricevuto di più l'oglio per ungere la lana suddetta ... ». Un'altra<br />
volta venivano consegnate ad una donna di Veroli « ... decine 22 di<br />
stoppaccia della più ordinaria, della quale ne deve fare tanta tela, e<br />
terminato il lavoro si divide per metà, la porzione della tessitrice suddetta,<br />
se piace al monastero se la può comprare per il prezzo che vale ».<br />
Infine a una famiglia di Bauco si consegnava una certa quantità di<br />
« ... stoppa fina, la quale deve filare e portarla qui cruda e tanti liuoli<br />
fini per portare tanta filatura cruda ».<br />
31 Ibidem, Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, Borro di dichiarazioni<br />
nella causa tra il monastero e il sig. F. Passeri, p. 166.<br />
32 Ibidem, Cartulario I, LAnificio-Bilancio amministrativo, Registro dell'anno 1809,<br />
pp. 82-85.<br />
33 Ibidem, Cartulario I, LAnificio-Bilancio amministrativo, Registro delle spese per<br />
filatura dell'anno 1797, pp. 25-35, 139; cfr Registro di Introito ed Esito del 1804-1822,<br />
al 19 e 20 aprile 1817, e l° luglio 1818.<br />
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Ovviamente il contributo degli opifici domestici era solo marginale<br />
e a carattere integrale, poiché la quasi totalità della produzione<br />
tessile e specialmente quella di maggior pregio, era confezionata dal<br />
lanificio e setificio dell'abbazia. .<br />
All'epoca dell'invasione di Casamari da parte dei Carbonari (1821)<br />
il lanificio era attrezzato di quattro telai di diverse grandezze 34: alcuni<br />
di essi erano adibiti per la tessitura delle coperte 35, altri per tessere<br />
« tela fina ed ordinaria» 36.<br />
Ma vi era tutto un complesso organico di accessori per le varie<br />
fasi della lavorazione: lavatoio, strumenti per cardare 37, arcolaio, filatoio,<br />
fusi 38, strumenti per l'ordinatura, soppressa e gualchiera per la<br />
follatura dei panni, banco per la cimatura e pettinatura dei tessuti e<br />
ferri da stiro « per servizio dei lanieri» 39.<br />
Nella tintoria annessa al lanificio e setificio 40, le stoffe, la seta e<br />
le coperte venivano tinte con vari colori, e a seconda dei casi, la tintura<br />
si praticava sui filati o sui tessuti.<br />
Dai diversi documenti si rileva che dal lanificio e setificio di Casamari<br />
uscivano « paccotte » di tessuti dai colori più vari: rosso, verde,<br />
giallo, turchino, campeggio, verde d'erba, indico, nero blù, color di<br />
noce o nociato 41.<br />
In quei tempi, quando ancora non era diffuso l'uso di tingere con<br />
colori artificiali, i monaci di Casamari praticavano la tintura della lana,<br />
della seta e del cotone con colori naturali di origine vegetale o animale.<br />
Citiamo per esempio il Campeggio, albero delle leguminose, il cui legno<br />
34 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana di Casamari, Contratto tra il Porsella<br />
e il monastero (8 giugno 1820), p. 305, in cui si stabilisce:<br />
«I telari esistenti in numero di tre cioè uno grande, l'altro mezzano ed il terzo più<br />
piccolo ai quali promette il monastero aggiungerne un altro dell'ordinaria mezzana grandezza<br />
saranno consegnati al d. Gio. Batt.<br />
Questi telari restano descritti nell'inventario con tutti gli arnesi corrispondenti e<br />
checché vada a mancare in appresso o abbia bisogno di riiazzione rimane tutto ciò a carico<br />
di esso Gio. Batt., cosicché in fine della lavorazione dovrà consegnarli nella stessa buona<br />
qualità ed integrità in cui ora gli ritrova.<br />
Sarà pure a peso e carico di esso Gio. Batt. ed a proprie spese il provvedere i cardi,<br />
carzi, pettini, [ar licciate, cartoni per la soppressa, brusche e tutto ciò che sia consumibile,<br />
dovendo il monastero [ar la sola soppressa con suoi ferramenti e tiratore ».<br />
3S Ibidem, Registro di introito ed esito (1804-1822), al 12 luglio 1818.<br />
36 Ibidem, Registro di introito ed esito (1804-1822), al 1 maggio 1818.<br />
37 Archivio di Casamari, Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, Registro del<br />
1792-1795, pp. 10-12.<br />
38 Ibidem, Epist. De [acobis (1816-1823), p. 94; cfr Epist. De [acobis-Caretti (1820-<br />
1824), p. 43.<br />
39 Ibidem, Epist. De [acobis-Caretti (1820-1824), Rendiconto, p. 7.<br />
40 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio ecc., pp. 11, 84.<br />
41 Ibidem, pp. 8, 129, 131; cfr «Epist. De [acobis » (1816-1823), p. 89.<br />
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durissimo era largamente adoperato nella tintoria dell'abbazia per ricavarne<br />
un colore rosso cupo, molto pregiato 42.<br />
Prima che l'abate Pirelli introducesse l'industria della lana, a Casamari<br />
era già fiorente quella della seta, che in seguito si affiancò alla<br />
prima, prosperando di pari passo.<br />
A tale scopo i monaci curavano l'allevamento del baco da seta e<br />
la piantagione di « innumerevoli alberi fruttiferi », tra i quali, in modo<br />
particolare, i gelsi 43.<br />
L'allevamento dei bachi doveva essere certamente considerevole,<br />
come risulta dal carteggio sul lanificio e setificio, il quale, riportando<br />
gli acquisti fatti dal monastero, annota centinaia di « detali di semenza<br />
da seta» 44.<br />
Dagli «Epistolari» degli agenti di Casamari e dai registri amministrativi<br />
sull'industria tessile si deduce che la produzione annua della<br />
seta era rilevante.<br />
In base alle richieste degli acquirenti, il sistema di lavorazione era<br />
molto vario, per cui nel setificio dell'abbazia si confezionava la seta « ad<br />
uso di Regno» 45, « alla francese» 46, « alla romana» 47, « raso rigato» 48,<br />
« seta a spiga» ecc. Molto ricercate erano le « matassine alla francese »,<br />
42 Ibidem, a pago 6 sono annotate le spese fatte per la confezione delle coperte<br />
destinate a Mons. Placido Pezzancheri, abate di Casamari e vescovo di Tivoli:<br />
« Ricevute dal P. Cellerario undici decine e mezza di lana, la quale scelta calò due<br />
libre e poi adogliata pesò decine dodici e mezza. Per scardatura della medesima lana,<br />
se. 1.25 - ... Per dodici fogliette d'oglio, 0.60 - Per filatura, se. 2.50 - Per imbiancatura<br />
a mezzo baiocco la libra, se. 0.62.<br />
Canapa e sua accomodatura: allo stoppacciaro per pettinatura di sette decine, se.<br />
0.35 - ... Per una foglietta d'oglio servita alta medesima pettinatura, se. 0.05 - Per<br />
filatura di 37 libre di livoli usciti ad essa canapa, se. I. 85.<br />
Tintura della lana pauonazza: per libre 12 di campeggio, se. 0.72 - Per libre<br />
6 di allume - Al tintore ad un baiocco la libra, se. 0.47.<br />
Tintura della lana verde, quale prima bisognò tingere gialla e poi turchina per<br />
renderla verde: per renderla gialla a sei libre d'allume, se. 0.36 - Al tintore che<br />
la rese gialla... se. 0.70 - Per renderla verde ad indico, se. 0.50 - Al tintore che la<br />
rese verde, se. 0.47.<br />
Tintura per il filo di canapa: per verderame, se. 0.22 - Per campeggio, se. 0.10 ».<br />
Cfr Epistolario di C.A. Borrani, voI. II, p. 53, per quanto riguarda i vari colori<br />
della seta.<br />
43 Archivio di Casamari, Cartulario, Usi monastici e questioni liturgiche in Casamari<br />
(1755-1967), Memoria del Longòria, in cui a pago 78 si afferma:<br />
« ... fece tagliare dalle radici negli orti del monastero innumerevoli e ottimi alberi<br />
fruttiferi, che in abbondanza davano tutto l'anno, e con risparmio, frutti freschi e secchi<br />
alla mensa monastica: molti cerasi, ficaie, noci, brugne (sic) , di più specie, peri,<br />
meli, granati, cotogni, celsi (sic)... ».<br />
44 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio..., p. 10.<br />
45 Ibidem, Epist. di C. Ambrogio Borrani, voI. I pp. 78-80.<br />
46 Ibidem, Epist. di C. Ambrogio Borrani, voI. III, pp. 2-5, 99.<br />
47 Ibidem, Epist. cit., voI. III, pp. 2-5, 99.<br />
48 Ibidem, Epist. cit., voI. III, p. 111.<br />
- 277
difatti il rappresentante di Casamari a Roma scriveva all'abate 49: «Volendo<br />
io vendere la matassina francese... ed essendo bellissima, sono<br />
stato consigliato a tenerla e rimandarla a Casamari ad effetto che servir<br />
possa per mostra alli filatori, accio, filino l'altre simili ».<br />
Inoltre la seta veniva «filata al mangano »_50 per cui acquistava<br />
un ondeggiamento di colore diverso dal fondo. Con tale lavorazione il<br />
marezzo conferiva ai drappi un lustro e un serpeggiamento simile alle<br />
onde del mare.<br />
I MONACI TESSITORI<br />
L'abate Pirelli nell'attuazione del piano di industrializzazione ebbe<br />
tali intuizioni ed ampiezze di vedute da segnare una svolta decisiva<br />
nell'indirizzo economico dell'abbazia di Casamari.<br />
Fu suo merito se alcuni monaci, tra i più idonei, furono addestrati<br />
nell'arte della tessitura. Si ebbero cosi gli scardassieri, i follatori, i<br />
cimatori, i pettinatori e i tintori, i quali, sotto la guida di valenti<br />
maestri raggiunsero un notevole livello di specializzazione.<br />
Fra gli altri che misero a disposizione la loro competenza, ricordiamo<br />
il Sig. Antonio Serapiglia, proprietario di una vasta industria<br />
laniera di Castelliri, il quale « ... praticava continuamente il monastero<br />
per assistere alla lavorazione dei panni di lana» 51.<br />
Di monaci tessitori se ne sono avvicendati diversi nell'abbazia, ma<br />
non tutti i loro nomi ci sono stati tramandati. Il Registro-Anagrafe<br />
ne annota solamente alcuni che riportiamo qui di seguito:<br />
Fr. Pacifico Gabriele (1793-1871) di Arpino, che nei registri anagrafici<br />
viene qualificato come « tessitore» e « scardalana » 52.<br />
Fr. Evangelista Corratti, pure di Arpino, il quale esercitava il<br />
mestiere di «tessitore di lana» 53•<br />
• 9 Ibidem, Epist. cit., voI. III, p. 99.<br />
50 Ibidem, Epist ca., voI. I, p. 88.<br />
N.B. - Nell'epistolario del Borrani, vol. II, p. 158 si dice:<br />
« ... quando farà filare la seta, faccia avvertire il filatore che si muti l'acqua alla<br />
caldara, quando comincia ad essere sporca per li bocci che vi si sjanno, perché quando<br />
l'acqua è sporca la seta non riesce di bel colore •.<br />
51 Archivio di Casamari, Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, Minuta<br />
di una dichiarazione nella causa tra il monastero e Filippo Passeri, p. 189.<br />
52 Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, n. 648. Cfr «Registro dei Religiosi<br />
di Casamari compilato l'anno di nostra salute, 1861, dopo la soppressione piemontese<br />
avvenuta il di 22 gennaio », n. 7. Cfr DI CJUSTOFARO c., Necrologio dei religiosi della<br />
congregazione di Casamari, al lO settembre. Cfr Biografie dei religiosi di Casamari,<br />
ms. in Archivio di Casamari.<br />
53 Ibidem, Registro-Anagraie del 1702-1950, ai nn. 579, 635, 785, 815.<br />
- 278-
Fr. Gabriele, proveniente anch'egli da Arpino, è designato « tessitore<br />
» 54.<br />
Fr. Michele Viscogliosi, oriundo di Arpino, viene ricordato con<br />
la qualifica di « lavori ere di lana » SS.<br />
In genere tale attività veniva affidata ai Fratelli Conversi che nel<br />
passato erano molto numerosi. Nelle loro file non mancano quelli che<br />
erano particolarmente dotati e tra questi si sceglievano i migliori, che,<br />
specializzati nei diversi campi del lavoro, prestavano la loro opera<br />
preziosa.<br />
Prima della soppressione napoleonica (1811-1814), l'industria di<br />
cui ci occupiamo fu gestita direttamente dai monaci. Con la soppressione,<br />
l'abbazia rimase chiusa per tre anni e la comunità dispersa.<br />
Caduto Napoleone, tra i primi problemi di ordine economico che l'abate<br />
Pirelli si trovò a dover risolvere fu quello di ripristinare il lanificio e<br />
setificio del monastero.<br />
Questi lodevoli tentativi per rimettere in sesto l'industria, sfociarono<br />
in nuove forme di gestione.<br />
La comunità tornò a riunirsi, ma a causa del numero ristretto<br />
dei monaci, l'abate fu costretto a ricorrere alla mano d'opera dei secolari.<br />
La scelta di questi era molto accurata e si affidava in genere agli<br />
agenti di Casamari dislocati nei centri più importanti.<br />
Uno di questi agenti scriveva all'abate in questi termini '16:<br />
« Dalla sua del lO maggio ho potuto rilevare quali siano gli bisogni<br />
del monastero) per quanto abbia potuto fare per trovare un bravo<br />
giovane tessitore) non è stato possibile ... ».<br />
Anche dopo il saccheggio dell'abbazia (1821) e la conseguente dispersione<br />
dei monaci per opera dei Carbonari, si dovette ricorrere ai<br />
secolari. I documenti ricordano un certo Vincenzo Panico di Arpino<br />
che « ... nel lauorto di lanaro, sa scordare, garzare e cimare ... » 57.<br />
La decisione pertanto, di affidare al Sig. Gio. Battista Porsella<br />
il lanificio di Casamari, a certi patti e condizioni, fu presa proprio<br />
in questi tempi burrascosi per il monastero.<br />
54 Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, n. 666. Cfr Registro-Anagrafe del<br />
1717-1854, no. 585, 1009.<br />
ss Ibidem, Registro-Anagrafe del 1702-1950, no. 667, 722. Cfr Registro-Anagra!e<br />
del 1717-1854, no. 584, 1009.<br />
56 Archivio di Casamari, Cartulario III, Industria della lana in Casemari, lettera<br />
di Giuseppe Tavazzi, agente del monastero in Roma, 29 maggio 1819, pp. 161-162.<br />
57 Ibidem Epistolario di G. De [acobis (1816-1823), lettera del 19 settembre<br />
1821, p. 66 e del 29 settembre p. 72.<br />
- 279-
A proposito della scelta del personale il documento dell' Accordo,<br />
stipulato tra i due contraenti, afferma 58:<br />
« Sia a peso ed arbitrio insieme di esso Gio. Battista di prendere e<br />
cambiare i laoorieri che bisognano a proporzione dei lavori da farsi e<br />
che questi debbono essere di buoni costumi, sodi e non debbono inquietare<br />
in modo alcuno i religiosi, come pure non debbono andare vagando<br />
per i giardini o monastero, altrimenti possa il monastero medesimo<br />
'ex se' espellerli a suo talento, ai quali darà il monastero il solo<br />
comodo d'abitazione e nel caso che vi siano dei religiosi che possono<br />
o potessero ivi lavorare si dovrà loro somministrare la mercede proporzionata<br />
al lavoro che faranno ».<br />
LA VENDITA DEI PRODOTTI TESSILI<br />
Il monastero di Casamari, più ad indirizzo industriale che commerciale,<br />
si assumeva la direzione e le spese che comportava tutto il<br />
ciclo della produzione tessile. Ma si trovava pure nella condizione di<br />
dover reperire i piazzisti per proprio conto, alla iniziativa dei quali<br />
doveva essere affidato lo smercio dell'intera produzione.<br />
L'abate Pirelli, nel suo testamento, tra le ultime volontà lasciate al<br />
successore, suggeriva 59: « ... non si servi dei monaci per lo smercio ...<br />
a dare o ricevere pesi di lana da chi la lavorerà... e mandare fratelli per<br />
le pubbliche fiere e quindi contrattare o vendere ... ».<br />
I monaci risolsero il problema affidando agli « agenti» dell'abbazia<br />
il compito, non solo di procurare la materia prima per l'industria del<br />
lanificio e setificio, ma anche quello di piazzare il prodotto.<br />
Gli agenti, dislocati a Roma, a Napoli a Veroli e in altri centri<br />
di minore importanza, erano persone di fiducia del monastero. Avevano<br />
la responsabilità dei diversi affari, tenevano in deposito grosse partite<br />
di materiale greggio e di tessuti di lana e di seta, contrattavano, vendevano,<br />
riscuotevano, ma sempre alle dipendenze e sotto il controllo dell'abate<br />
e dell'amministratore di Casamari 60. Ciò si rileva dalla fitta<br />
corrispondenza tra il monastero e le diverse agenzie.<br />
58 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana in Casamari, Accordo tra il monastero<br />
e G. Battista Porsella intorno al lanificio, p. 306.<br />
N.B. - Nel registro di introito ed esito (1804-1822) al lO luglio 1818, si fa<br />
menzione del tessitore secolare Giambattista Belli.<br />
59 Archivio di Casamari, Carteggio personale dell'abate Pirelli, Testamento del<br />
Pirelli stilato prima di morire, il 28 giugno 1822, in San Martino, (Veroli), p. 162.<br />
60 Ibidem, Cartulario II, Industria della lana in Casamari, Accordo tra il monastero<br />
e il Porsella intorno al lanificio, pp. 305-306, nel quale si afferma:<br />
«Dei lavori che verranno prodotti niente possa egli Giovan Battista vendere o<br />
- 280-
L'Organizzazione per la vendita dei tessuti di seta e di lana (coperte,<br />
stoffe, saie, raso, drappi ecc.) si basava principalmente sul passaggio<br />
dalla fabbrica al commercio che, secondo le occasioni, si praticava all'ingrosso<br />
o al minuto. Sia nell'uno come nell'altro caso, il monastero si<br />
usava degli agenti, i quali, oltre ad essere responsabili di fronte all'abbazia,<br />
fungevano anche da sensali.<br />
Gli agenti erano coadiuvati dai «vetturali », dai domestici, dai<br />
garzoni e qualche volta dagli stessi « lavorieri di lana ». Anche questi<br />
erano persone di fiducia, ma non stavano fissi sul posto, come gli agenti,<br />
ma venivano invitati quando era necessario portare direttamente al consumatore<br />
i prodotti tessili.<br />
Dal carteggio si rileva che i -monaci cistercensi di Casamari fornivano<br />
le coperte ad alcuni ospedali di Roma.<br />
Uno dei migliori clienti era l'Archiospedale di Santo Spirito che<br />
assorbiva buona parte della produzione.<br />
Sembra che i primi rapporti di affari tra Casamari e questo ospedale<br />
rimontino al 1806, quando il cellerario del monastero incaricava<br />
il proprio agente Giuseppe Tarazzi affinché trovasse la maniera di piazzare<br />
in Roma le coperte e gli altri tessuti 61. Due anni dopo, il lanificio<br />
di Casamari, risulta fornitore di quell'opera, con la vendita di panni<br />
colorati 62.<br />
In seguito, a causa della soppressione napoleonica (1811-1814)<br />
e dell'invasione del monastero da parte dei Carbonari (1821), la produzione<br />
della lana e della seta subisce degli arresti 63, ma subito dopo,<br />
l'industria riprende la sua attività, con un ritmo produttivo forse molto<br />
più intenso degli anni precedenti.<br />
Nell'ottobre del 1821, l'agente di Casamari, Giuseppe De jacobis,<br />
rinnova le trattative con il « Maestro di Casa» dell'ospedale di Santo<br />
contrattare senza l'intelligenza e permesso del monastero medesimo. Dal prodotto cbe<br />
si ricaverà dai lavori suddetti, ritirerà il monastero le somme cbe avrà cavate così<br />
per la compra dei generi come per le sue manifatture, e di ciò che ne avanzerà 'e<br />
potrà essere considerato come un guadagno, ciascuno avrà la sua metà, tanto il monastero<br />
come Giovan Battista, il quale rilascerà allora quelle somme che forse avrà<br />
prese per i suoi particolari bisogni e doveri ».<br />
61 Archivio di Casamari, Cartulario I Lanificio-Bilancio amministrativo, lettera del<br />
Tarazzi al cellerario di Casamari, p. 45.<br />
62 Ibidem, Conto dei panni mandati dai Monaci di Casamari a Roma nel gennaio<br />
del 1808, p. 54.<br />
63 Si pensi che dopo la caduta di Napoleone, al momento della riapertura, i<br />
monaci trovarono il monastero spogliato di tutto, e furono costretti a comprare anche<br />
le coperte, Cfr Cartulario I, Lanificio-Bilancio amministrativo, pp. 112, 113, 114 e 120.<br />
--281 -
Spirito, circa le forniture delle coperte 64, come difatti avvenne qualche<br />
tempo dopo 65.<br />
Nel dicembre dello stesso anno, il medesimo « Maestro di Casa »,<br />
sollecita l'invio di una partita di cento coperte, « ... vedendo che ogni<br />
giorno va inoltrandosi la stagione d'inverno ... »66. Il carico giunse a<br />
Roma verso la fine di dicembre, come risulta dalla lettera del Curti<br />
all'abate Pirelli 67.<br />
Le forniture all'ospedale di Santo Spirito continuarono anche<br />
durante l'anno seguente, si presero ulteriori accordi per i nuovi acquisti,<br />
ma con certe determinate condizioni.<br />
Riportiamo un brano della lettera di un tale Michele Zuccoli, il<br />
quale, a nome e per incarico del «Maestro di Casa» dell'ospedale,<br />
scrive" all'abate di Casamari: « ... che le coperte ricevute erano di<br />
bonissima qualità, ma che però erano di peso vistoso assai, perciò alla<br />
prossima e futura stagione si adopererà con tutto l'impegno presso Mons.<br />
Commendatore per farle prendere da vostra Rio.za, ma che dovranno<br />
essere di peso sei libre per ciascuna coperta ... » 68<br />
Per quanto riguarda la fornitura di coperte per l'altro ospedale<br />
di San Giovanni in Roma, i documenti non sono troppo abbondanti,<br />
ma da quei pochi giunti 6no a noi, si rivelano importanti notizie circa<br />
la qualità, il colore ecc. della produzione tessile di Casamari.<br />
Le trattative con l'ospedale San Giovanni iniziarono nel febbraio<br />
del 1822 69 • In seguito viene richiesta « ... una mostra, ma le vogliono<br />
scure e non bianche, e che non siano tanto piccole ... » 70. Per campione<br />
fu presentata « una coperta mischia» (oscura) alla « Priora» dell'ospedale<br />
San Giovanni. Questa assicura l'agente del monastero che, nono-<br />
64 Ibidem, Epistolario Giuseppe De [acobis, lettera del 27 ottobre 1821, p. 84.<br />
65 Ibidem, Cartulario III, Industria della lana in Casamari a pago 166, dove si<br />
legge: «Si sono ricevute dal suo uetturale mandato col carico delle coperte di lana<br />
bianca, per servizio di questo Arcbiospedale di Santo Spirito di Roma... in numero<br />
cinquanta sei... », f.to Giovan Battista Curti, Maestro di Casa di Santo Spirito, lO<br />
novembre 182I.<br />
66 Ibidem, Cartulario III, lettera del Curti all'Abate Pirelli del 29 dicembre<br />
1821, p, 168.<br />
67 Ibidem, Cartulario III, lettera del Curti al Pirelli del 29 dicembre 1821, p.<br />
168. vedo anche Epist, De Jacobis, lettera del 29 dicembre 1821, p. 110.<br />
68 Archivio di Casamari, Cartulario III, Industria della lana in Casamari, lettera<br />
di Michele Zuccoloni al Pirelli del 9 febbraio 1822, p. 170. Cfr Epist. De [acobis-<br />
Epist. De [acobis, lettera del 27 settembre 1821, p. 68.<br />
Coretti, lettera del lO luglio 1822, p. 29 e l'altra del 27 luglio 1822, p. 34. Cfr<br />
69 Ibidem, Epist. De [acobis, lettera del 2 febbraio 1822, p. 129.<br />
70. Ibidem, lettera del 23 febbraio 1822, p. 135.<br />
- 282-
stante l'ultima ordinazione di 150 coperte, in appresso si rivolgerà a<br />
Casamari per le altre forniture 71.<br />
I tessuti di lana e di seta del monastero erano collocati non solo<br />
negli ospedali, ma anche nei vari negozi di Roma.<br />
Ricordiamo la «Bottega Nuova» alla quale, fin dall'inizio del<br />
1808, i monaci consegnavano spesso vistosi quantitativi di stoffe, ma<br />
purtroppo, dice il P. Giuseppe Sanfelice, agente di Casamari in Roma:<br />
« ... dopo l'entrata dei Francesi (2 febbraio 1808), per quasi otto mesi<br />
non si vende niente da alcuno molto più da una bottega nuova» 72.<br />
Invece le partite di panni piazzate nel negozio di Pietro Magnani,<br />
domiciliato in Roma a Campo Cadeo n. 33, sembra facessero migliore<br />
fortuna, come risulta da una nota del Sanfelice, in calce al «Bilancio<br />
prudenziale della Bottegha Magnani all'inizio del 1810 ». Egli afferma<br />
73: «Come vedete, nonostante le miserie presenti, non si va male ».<br />
Altrove il Sanfelice, riferendo della vendita di diverse « paccotte<br />
di panni» dal colore verde, rosso, nero e blù, in una lettera all'abate,<br />
scrive: «Non avete vnotioo di lagnaroi, mentre il negozio, attesi gli<br />
avvenimenti, non è andato male, e nonostante le circostanze presenti,<br />
che ci dovevate<br />
. • 74<br />
t pannz... » .<br />
rifondere, pure ci avete guadagnato ed avete smaltito<br />
È bene qui rilevare che accanto allo smercio dei tessuti di lana<br />
si era affermato anche quello della seta. La vendita di questa ai diversi<br />
commercianti si effettuava in due periodi: al tempo del raccolto e<br />
verso la fine dell'anno, quando i prezzi erano più alti.<br />
L'agente di Casamari, Carlo Borrani, scrive all'abate 75: « ... capisco<br />
che per lo più torna meglio vendere la seta o nel principio che si<br />
raccoglie, o pure verso Natale ed occorre la ragione. Nel principio che<br />
si raccoglie, tutti li mercati cercano di fare la provvista, e però la pagano<br />
più di quello che pagano quando si sono provveduto,<br />
nata la filatura.<br />
vale a dire termi-<br />
Torna bene ancora venderla a Natale, perché molti mercati che<br />
7l Ibidem, lettera del 20 marzo 1822, p. 143 e l'altra del 6 aprile 1822, p. 152.<br />
72 Ibidem, Cartulario I, Lanificio-Bilancio ecc., Conto del Rev.mo P. Abate di<br />
Casamari, p. 71.<br />
73 Ibidem, Relazioni Bilanci ecc., pp. 106 e 110. Cfr anche Cartulario II, Industria<br />
della lana :in Casamari, dove in una «apoca ~ privata da valere come pubblico<br />
e giurato instrumento, a p. 14, si legge:<br />
« Avendo il P. Giuseppe Sanielice ricevuta una certa quantità di paccotte di<br />
panno di diversi colori del Ven.bile monastero di Casamari per oenderle qui in<br />
Roma... consegna il tutto a Pietro Magnani, mercante a Campo Carleo... ».<br />
74 Archivio di Casamari, Epistolario di P. Giuseppe Sanjelice, agente di Casamari<br />
e Fossanova a Roma, lettera del Sanfelice al Pirelli del 7 gennaio 1809, p. 51.<br />
73 Ibidem, Epistolario del Borrani, vol. Il, p. 158.<br />
- 283-
non hanno capitale sufficente per far la compra di tutta la seta che gli<br />
serve per tutto fanno, fanno mezza provvista ed a Natale si provvedono<br />
novamente ».<br />
Sempre tramite i rappresentanti, il monastero smerciava la seta<br />
nelle varie città del Lazio e in particolare a Roma, nei «negozi ,e<br />
nelle maggiori botteghe» 76, alla «gran fabbrica di calzette », alla<br />
« Longara » e alla « bottega del calzettaro » 77.<br />
Nella città di Roma, il lanificio di Casamari forniva anche le comunità<br />
religiose che si rivolgevano ai monaci perchè ne apprezzavano la<br />
qualità del loro prodotto 78.<br />
Ma anche la vendita al minuto, in Roma e altrove, era molto<br />
intensa. Ciò emerge dalle ricevute originali di cui abbonda il carteggio<br />
sull'industria della lana e della seta.<br />
Da quanto esposto fin qui, è chiaro che la maggior parte della produzione<br />
tessile veniva smaltita in Roma. Però negli altri centeri, come<br />
Ferentino, Boville, Sora, Arpino ecc., lo smercio al minuto, per opera<br />
di fiduciari, era pure abbastanza fiorente 79.<br />
In Veroli poi, i monaci avevano stabilito un commesso al quale<br />
dovevano rivolgersi gli acquirenti.<br />
In una lettera del Priore di Casamari al cellerario della stessa<br />
abbazia, si legge: «Nella vendita di coperte, borgonzone ecc., atteso<br />
che questo ramo del tutto particolare, è stato interamente affidato a D.<br />
Giovannino, per conseguenza chiunque bramasse fare acquisto di questo<br />
genere di mercanzie, deve far capo al Passeri ... » so.<br />
Insomma, lo smercio dei tessuti era abbastanza attivo, sia per<br />
la rete ben organizzata dei rappresentanti nelle varie città e sia per<br />
l'impegno che questi vi mettevano nella vendita dei prodotti. Il De<br />
jacobis, con un certo rammarico, riferisce: «Michele il sartore dice<br />
che gli rincresce moltissimo di non aver potuto fin ora fare alcun vantaggio<br />
per la vendita delle coperte ». E in un'altra lettera, lo stesso<br />
agente di Casamari, dice: « ... circa la premura della vendita delle<br />
76 Ibidem, Epistolario del Borrani, voI. III, p. 171.<br />
n Ibidem, Epistolario del Borrani, voI. III, p. 90<br />
N.B. - Circa i prezzi praticati nello smercio delle diverse partite di seta, cfr<br />
Epistolario-Borrani: voI. I, pp. 78-80, 85, 88, 103, 187; voI. II, pp. 58, 158, 159;<br />
voI. III, pp. 2-5, 90, 99, 107, 111, 114, 171.<br />
78 Ibidem, Epistolario De [acobis, lettera del 27 settembre 1821, p. 68 e l'altra<br />
del 6 ottobre 1821, p. 75.<br />
79 Ibidem, Epistolario dell'abate Pirelli, lettera del 26 gennaio 1820, p. 84. Cfr<br />
Epistolario De [acobis-Caretti, lettera del 23 novembre 1822, p. 57.<br />
80 Archivio di Casamari, Epistolario dell'abate Pirelli, lettera del 4 maggio 1821,<br />
p, 138.<br />
- 284-
coperte, Iddio sa se mi son mai stancato di esibirle, né mi stancherò ...» 81<br />
Ovviamente il lanificio dell'abbazia forniva le stoffe anche alla<br />
comunità di Casamari e a quelle dei monasteri dipendenti: Fossanova<br />
e Massalubrense. Nel contratto stipulato con il Sig. Porsella si stabilisce:<br />
« Avendo il monastero bisogno di essere provveduto di panno bianco,<br />
moretto o saia, promette e si obbliga esso Gio. Batt. di farla lavorare<br />
o lauorarla come conviene, cioè di ottima qualità e quantità quanta se ne<br />
ricerca e di dare in conto per essi la sola spesa della lavorazione senza<br />
aumento alcuno, in considerazione di sua opera o assistenza, come per<br />
lo addietro si è fatto negli antecedenti ... I n corrispondenza della quale<br />
obbligazione il monastero sarà obbligato a somministrargli il vitto ... » 82.<br />
Infine facciamo notare che l'industria laniera di Casamari era appesantita<br />
da diversi fattori negativi. Innanzitutto mettiamo in rilievo che<br />
tale attività economica viveva all'ombra di altissime tariffe doganali,<br />
come del resto, ogni altro commercio di quei tempi in Italia 83.<br />
I rendiconti delle spese per acquisti, trasporti e vendite sono pieni<br />
di voci come queste: «Per dogana di Regno, se. 3. Per dogana di Casamari,<br />
se. 3.71. Alli facchini della dogana di Roma, se. 2.20. Per il<br />
peso in dogana, se. OJ9. Alla porta di dogana, se. 0.79. Al Ministro<br />
di dogana, se. 0.15 ecc. » 84.<br />
L'altro fattore negativo per l'espansione commerciale era costituito<br />
dalla posizione geografica dell'abbazia di Casamari. Nei secoli passati,<br />
le frontiere rappresentano, in via di massima, una notevole remora allo<br />
81 Ibidem, Epistolario De [acobis-Caretti, 23 novembre 1822, p. 57 e 4 gennaio<br />
1823, p. 64.<br />
82 Ibidem, Cartulario II Industria della lana in Casamari, accordo tra il monastero<br />
e il Porsella, p. 306.<br />
N.B. - Facendo un confronto con i tempi in cui l'abbazia di Casamari era governata<br />
dall'abate Balandini, predecessore del Pirelli, risalta con evidenza la sperequazione<br />
che esisteva, sul piano economico, tra i due periodi.<br />
Da una nota dello stesso Balandani emerge l'estrema povertà del monastero, a<br />
cominciare dalla metà del 1700 in poi. L'Abate scrive:<br />
«Si lascia per ricordo che la b. m. dell'Ecc.mo Principe di Piombino, D. Gaetano<br />
Boncompagni-Ludouisi, defunto, mandava ogni anno al nostro monastero 3 paccotte<br />
di panno, canne 30 di saia per le camice e cannate lO di olio. Lo stesso fece il figlio,<br />
D. Antonio, Duca di Arce »,<br />
Cfr Archivio di Casamari, Carteggio: Il Principe di Piombino, benefattore di Casamari,<br />
che raccoglie circa 60 lettere, dal 1746 al 1784, dirette da quel Principe all'abate Isidoro<br />
Balandani. Cfr De Benedetti L., Vita economica dell'Abbazia di Casamari, in Riv.<br />
Econom. della Provo di Frosinone, nn. 12-13, 14-15, anni 1951-1952, p. 19, estratto.<br />
83 Per uno studio più approfondito sulle dogane del tempo, consultare l'interessante<br />
studio di Dora Musto, La Regia dogana della mena delle pecore di Puglia, Siena,<br />
1964.<br />
84 Archivio di Casamari, Lanificio-Bilancio ecc., Cartulario I, pp. 70, 73, 102. Circa<br />
le tariffe doganali imposte sullo smercio della seta di Casamari, cfr Epistolario di C.<br />
Ambrogio Borrani, agente di Casamari in Roma, voI. I, pp. 78·80, 85, 87; voI. II, p. 115.<br />
- 285-
sviluppo economico di quelle zone che vi erano interessate. Sotto questo<br />
aspetto il nostro monastero veniva a trovarsi in una situazione sfavorevole.<br />
Situato a poche centinaia di metri dal confine tra lo Stato della<br />
Chiesa e il Regno di Napoli, su una strada tra le più importanti, spesso<br />
era soggetto a saccheggi e ad invasioni.<br />
Nonostante tutto, il lanificio e il setificio di Casamari, attraversando<br />
difficoltà e speranze, riuscirono a sopravvivere all'invasione dei<br />
francesi (1799), alla soppressione napoleonica (1811-1814) e al saccheggio<br />
dei Carbonari (1821).<br />
Verso la fine del 18.00, con la diffusione dei telai meccanici, l'industria<br />
della lana si avviava, a grandi passi, verso riforme che dovevano<br />
sfociare nell'era industriale del nostro secolo. Ormai nelle fabbriche<br />
italiane veniva introdotto tutto un complesso di macchine per aprire,<br />
cardare e filare la lana, e per guarnire e cimare i panni.<br />
A Isola Liri, L. Mazzetti, genero di C. Lambert, nel 1852, approntava<br />
dieci pettinatrici SchIumberger. Dovunque si diffondeva la tecnica<br />
moderna, questa, faceva concorrenza e si sostituiva agli antichi sistemi<br />
tradizionali. Per queste, ed altre ragioni di ordine interno, il lanificio<br />
e il setificio di Casamari a tipo artigianale, all'inizio di questo secolo,<br />
cessavano la loro attività.<br />
- 286-
Jean de La Croix Bouton O.C.S.O. .<br />
STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />
(sedicesima puntata)<br />
LA GIORNATA MONASTICA<br />
Quanto all'ordinamento della giornata monastica i primi <strong>Cistercensi</strong><br />
si conformarono in tutto alle prescrizioni della Regola. San Benedetto<br />
infatti ha stabilito con precisione l'ora in cui deve compiersi ogni<br />
esercizio quotidiano. Ma siccome il santo Legislatore ha fissato il suo<br />
orario secondo il metodo degli antichi Romani (derivato dai Caldei),<br />
che differiva essenzialmente dal nostro, prima di esporre l'orario di<br />
Citeaux vogliamo dare qualche spiegazione su quello di San Benedetto.<br />
Orario di San Benedetto<br />
La giornata non era regolata da un meccanismo che la divide<br />
in ore uniformi e invariabili. I Romani - e con loro San Benedetto -<br />
dividevano, sì, la giornata in 12 parti, ma tali parti erano valutate dal<br />
sorgere del sole (apparente) al tramonto (apparente) mediante il movimento<br />
dell'ombra attorno a un picchetto, movimento più lento in<br />
estate e più rapido in inverno, di modo che le «ore» variavano<br />
di lunghezza. La prima ora del giorno non era un momento fisso e convenzionale,<br />
ma cominciava a decorrere dal sorgere del sole (che corrisponde<br />
secondo il nostro modo di contare, alle 4 nel solstizio d'estate,<br />
alle 4,15 due settimane più tardi, alle 4,30 alla fine di luglio, alle 5 il<br />
20 agosto e alle 8 nel solstizio d'inverno). A Roma, il console proclamava<br />
l'ora di mezzogiorno nell'istante in cui vedeva l'ombra raggiungere<br />
lo spazio tra i Rostri e il Grecostasi. La giornata monastica era<br />
dunque molto più lunga nel solstizio d'estate che nel solstizio d'inverno,<br />
e la divisione del giorno in 12 parti ottenuta dalla meridiana<br />
dava ore più lunghe o più corte delle nostre ore di 60 minuti. Le<br />
notti variavano in proporzione inversa e si trovavano in parità coi<br />
giorni negli equinozi. Da ciò seguiva che il tempo doveva esser calcolato<br />
ogni giorno, poiché gli intervalli che separavano i diversi uffici- Prima,<br />
Terza, Sesta ecc. - quantunque in modo insensibile, lo variavano continuamente.<br />
L'intervallo tra le Vigilie e le Lodi (che venivano celebrate<br />
sempre all'aurora) durava da qualche minuto in estate a più ore in<br />
inverno.<br />
- 287-
Per designare le ore, gli antichi dicevano: «la prima, la seconda,<br />
la terza ora »; questa espressione indicava non solo l'inizio dell'ora<br />
ma tutta la sua durata fino all'ora successiva. Di modo che nella Regola<br />
usque ad horam pene quartam equivaleva pressappoco a usque ad horam<br />
tertiam plenam per indicare fino al momento in cui l'ombra raggiunge<br />
la quarta divisione (quarta ora).<br />
Orario dei primi <strong>Cistercensi</strong><br />
Per la verità, al tempo della fondazione di Citeaux esistevano orologi<br />
a ruote, la cui invenzione è attribuita a Gerberto, Papa Silvestro II<br />
(999~1003), ma che gli sono senza dubbio anteriori. Ed è probabile che<br />
i <strong>Cistercensi</strong> possedessero fin dall'inizio degli orologi a soneria che il<br />
sagrestano doveva regolare iConsuetudines, c. CXIV): audito horologio<br />
(ibid. c. LXXIV, cfr c. XXI). Tuttavia, senza tener conto delle noie<br />
dovute alle continue variazioni del sistema antico, e al fine di conformarsi<br />
esattamente ai termini della Regola, essi adottarono il vecchio<br />
metodo. Risulta chiaro: 1) dal tenore degli antichi Usi che non fanno<br />
menzione alcuna di ore moderne, ordinano di recitare Prima al sorgere<br />
del sole e di terminare la lettura prima di Compieta con la luce solare;<br />
2) dalla testimonianza di Guglielmo di Malmesbury il quale afferma<br />
che secondo i termini della Regola i <strong>Cistercensi</strong> «compivano tutti i<br />
loro esercizi alla luce del giorno»; 3) da un brano del Dialogus inter<br />
Cluniacensem et Cisterciensem in cui il cistercense rimproverava ai<br />
Cluniacensi di non recitare le Lodi all'aurora e Prima al sorgere del<br />
sole; 4) da un decreto del Capitolo Generale del 1429 che stabilisce<br />
delle ore fisse per la levata, abolendo le ore ineguali degli antichi,<br />
di cui si erano serviti fino allora; 5) dall'affermazione di due scrittori<br />
del XVII secolo, D. Julien Paris e D. Paul Lefort, riferita da D. Martène<br />
e D. Calmet nei loro commentari alla Regola.<br />
Riportiamo qui un tentativo di ricostruzione, del P. Othon<br />
Ducourneau, delle variazioni dell'orario dei primi cistercensi in estate<br />
e in inverno (tratto da un manoscritto conservato nell'abbazia di Aiguebelle).<br />
In realtà, per fissare con esattezza secondo i nostri orologi le<br />
ore indicate dalla Regola, bisognerebbe stabilire tanti orari quante<br />
sono le variazioni notevoli nel sorgere del sole e nel tramonto, e cioè<br />
due o tre al mese. È quanto fece nel 1765 il riformatore di Sept-Fons<br />
Dom Dorothée Jalloutz. Dopo aver cercato invano un orologio che<br />
indicasse le ore ineguali degli antichi (o un orologiaio che fosse in<br />
grado di fabbricarne uno), si vide costretto a cambiare l'inizio delle<br />
attività ogni quindici giorni. Bisognerebbe ancora tener presente il<br />
- 288-
fatto che, secondo la Regola, la stagione invernale che termina a Pasqua,<br />
non inizia nella stessa data per tutte le attività. Infatti, il regolamento<br />
invernale incomincia il 13 settembre per il numero dei pasti,<br />
u r ottobre per il lavoro e la fine della siesta e il I" novembre per la<br />
levata. Dal 13 settembre allo ottobre c'era ancora la siesta benché si<br />
digiunasse; dopo il I" ottobre si continuava ancora a regolare l'ora<br />
della levata come in estate, secondo la lunghezza dell'ufficio, benché<br />
non ci fosse più la siesta. Infine il mercoledì e il venerdì in estate<br />
potevano essere giorni di digiuno, la Quaresima aveva un orario speciale,<br />
e le necessità del lavoro apportavano altre modifiche nell'orario<br />
alle quali San Bernardo talvolta fa allusione.<br />
PREGHIERA LITURGICA<br />
Abbiamo già parlato due volte dell'opera liturgica dei pnmi<br />
cistercensi. Qui non intendiamo dare un'esposizione completa del modo<br />
in cui i nostri Padri si dedicavano al culto divino, Opus Dei) e alle<br />
altre funzioni liturgiche. È utile però ricordare che il rito cistercense,<br />
che era rimasto intatto per cinque secoli, nel secolo XVII subì notevoli<br />
modifiche. Si parlò perfino di abbandonare del tutto il rito cistercense<br />
e adottare semplicemente la liturgia romana. Grazie alla diplomazia<br />
dell'abate di Citeaux, D. Claude Vaussin, e nonostante una generale<br />
infatuazione per la liturgia romana recentemente riformata da Pio<br />
V, l'Ordine riuscì a conservare gran parte del suo rito, soprattutto<br />
per quanto riguarda l'Opus Dei (cfr D. ANnRÈ MALET) La liturgie<br />
cistercienne, Westmalle, 1921). Ma se i nostri Usi attuali si avvicinano<br />
molto alle Consuetudines del 1191, si sa che verso la metà del<br />
secolo XII le Consuetudines avevano subito rimaneggiamenti e che sensibili<br />
correzioni erano state apportate ai nostri libri di coro. L'esposizione<br />
di tali correzioni è ancora da farsi. Qui noteremo soltanto<br />
qualche particolarità dell'ufficio e della Messa, che sono in relazione<br />
con l'osservanza della Regola o con l'ideale proprio di Citeaux.<br />
L~Opus Dei<br />
Nel comporre nuovi libri liturgici con l'aiuto di elementi presi<br />
da diverse chiese (Molesme, Arras, Lione, Metz, Milano), elementi<br />
considerati tutti autentici nella sostanza e nella forma, i primi cistercensi<br />
non facevano che usarsi della libertà di cui godevano allora tutte<br />
le chiese. Non vi era unità liturgica. Dopo Carlomagno i libri romani<br />
erano stati, sì, adottati ovunque, ma osservava Dom Guéranger (Inst.<br />
- 289-
liturg. I, 286), molti pezzi antichi erano stati conservati e qua e là<br />
erano stati introdotti nuovi uffici. Ogni grande abbazia aveva una<br />
sua propria liturgia, che spesso si riduceva a divergere circa l'uso degli<br />
stessi testi. Il P. Othon Ducourneau indica come esempio le antifone<br />
dei vespri di Natale, che variavano da un'abbazia all'altra. Fu senza<br />
dubbio per evitare che simili diversità prendessero piede nelle abbazie<br />
cistercensi che Santo Stefano Harding stabilì energicamente il principio<br />
dell'uniformità dei libri liturgici, di cui uno dei primi Capitoli Generali<br />
compilò un elenco.<br />
San Benedetto aveva stabilito accuratamente nella Regola il numero<br />
e la disposizione dei salmi, inni, lezioni ecc. da dire in coro. Nel<br />
corso dei secoli vi erano state aggiunte lunghe preces composte di<br />
salmi, versetti e orazioni, Così, dopo Prima si dicevano tutti i giorni<br />
salmi supplementari, più di trenta versetti col confiteor, il simbolo<br />
Quicumque} i salmi penitenziali e lunghe litanie (v. D. Martène, De<br />
antiquis monacborum ritibus, 1. I, cap. IV). I cistercensi soppressero<br />
radicalmente tutti questi elementi avventizi ignorati dalla Regola.<br />
Lasciarono tuttavia il simbolo Quicumque la domenica a Prima (Abelardo<br />
se ne meravigliò). Lo dicevano però al termine dell'ufficio, dopo<br />
l'orazione e il Benedicamus Domino} e lo facevano seguire da un versetto<br />
e dall'orazione della festa della SS. Trinità. Il confronto dell'uffido<br />
attuale con quello dei cistercensi del «secolo di San Bernardo»<br />
rivela divergenze di dettagli che denotano nei nostri Padri uno spirito<br />
giudizioso e un acuto senso pratico. Lo si constata nella scelta degli<br />
inni e delle melodie. Così a Prima, celebrata al sorgere del sole, si<br />
cantava tutti i giorni lo stesso inno Jam lucis orto sidere, solo nel tono<br />
trionfale delle nostre feste di sermone. Anche a Sesta e Nona gli inni<br />
Rector potens e Rerum Deus non variavano 'mai; erano cantati sempre<br />
nel tono feriale, qualunque fosse il grado della festa (questi due uffici,<br />
come insinua la Regola cap. XLVIII, venivano celebrati molto spesso<br />
nei campi; vedi a proposito l'usanza tramandata nella Regula Magisiri,<br />
cap. LV). Gli inni di Terza, Vespro e Compieta variavano secondo<br />
le feste. L'inno di Terza Nunc Sancte nobis Spiritus era cantato (la<br />
domenica e le feste che non avevano un inno proprio) nel tono del<br />
Veni Creator. Uno studio sarebbe da farsi sulla scelta degli inni in<br />
rapporto al mistero del tempo o all'ora del giorno, come l'Ave maris<br />
stella a Compieta per tutte le feste della Beata Vergine, o lo Jam surgit<br />
hora tertia qua Christus ascendit crucem a Terza della Settimana Santa.<br />
I Salmi dei Vespri della domenica si cantavano sotto una sola antifona,<br />
e quando una festa cadeva nella domenica, i quattro salmi venivano can-<br />
- 290-
tati sotto la prima antifona. Il P. Othon vede in questa usanza un resto<br />
dell'antica liturgia gallicana. Forse bisognerebbe vedervi un'interpretazione<br />
stretta della Regola, cap. XV: omni vero Dominica ... vespe re vero<br />
cum antipbona. Gli altri giorni i Vespri avevano quattro antifone:<br />
quatuor psalmi cum antipbonis (Reg, Cap. XVII).<br />
L'Olficium parvum della Beata Vergine non era recitato in coro.<br />
Un passo dell'Exordium magnum, disto I, cap. XXVII, che riferisce un<br />
fatto avvenuto sotto l'abate Rainardo (1135-1150), lo afferma chiaramente.<br />
Il Capitolo Generale del 1157 autorizzò i viaggiatori a dirlo<br />
insieme, e quello del 1194 lo prescrisse nell'infermeria, ma la recita in<br />
coro fu imposta soltanto molto più tardi.<br />
Al contrario, l'ufficio dei defunti fu recitato fin dall'inizio, secondo<br />
quanto attesta Guglielmo di Malmesbury. Ci fu tuttavia un'evoluzione<br />
su questo punto. Il ms Trento 1711 conosce un ufficio dei defunti quotidiano<br />
iexceptis diebus XII lectionum) e degli uffici plenari (officia<br />
plenaria in cui i tre notturni erano cantati. Questi uffici plenari, in<br />
numero di sette, vennero a sparire. E il ms Laybach (1152) non conosce<br />
altro che i quattro grandi anniversari, che conserviamo ancora.<br />
Il canto<br />
Gli statuti dei Capitoli Generali ci danno rarissime indicazioni sul<br />
modo dell'esecuzione del canto. Nessuno strumento di accompagnamento<br />
era autorizzato, e bisogna aspettare ilperiodo della decadenza per vederne<br />
qualcuno. Nel 1486 ci fu ancora bisogno dell'autorizzazione del Capitolo<br />
per installare un organo, e il suo uso fu limitato ad alcuni pezzi<br />
liturgici. Il falsetto, i falsi bordoni, come pure i fragori di voci erano<br />
assolutamente vietati. Il canto doveva essere eseguito con un tono<br />
moderato, senza lentezza né precipitazioni, con una piccola pausa (pausula)<br />
in mezzo ai versetti dei salmi (cfr statuto del 1242 n. 2).<br />
La buona esecuzione del canto variava secondo le abbazie e lo<br />
zelo degli abati. Non ci si meraviglierà di incontrare giudizi molto discordanti.<br />
Stefano di Tournai qualificava il canto cistercense angelico, mentre<br />
altri apprezzamenti erano più moderati. E d'altra parte non si<br />
possono prendere alla lettera le espressioni degli autori del trattato<br />
De cantu circa l'avversione dei novizi istruiti nell'arte ecclesiastica verso<br />
l'antifonario in uso nell'Ordine e la loro negligenza nello studiarlo.<br />
Verso il 1130-1140 infatti, alcuni monaci versati nella musica e imbevuti<br />
di idee di teorici del canto finirono con l'ottenere dal Capitolo<br />
Generale la revisione dell'antifonario preso da Metz per interessamento<br />
di Santo Stefano che essi giudicavano difettoso. L'incarico fu dato a<br />
- 291-
Levata<br />
Vigilie<br />
Fine vigilie<br />
Intervallo<br />
Lodi<br />
Fine Lodi<br />
Intervallo<br />
Prima<br />
Capitolo<br />
Lavoro<br />
Fine del lavoro<br />
Intervallo<br />
Terza<br />
Messa<br />
Fine della Messa<br />
Lectio<br />
Sesta<br />
Pranzo<br />
Siesta<br />
Risveglio<br />
Nona<br />
« Biberes »<br />
Lavoro<br />
Fine del lavoro<br />
Intervallo<br />
Vespro<br />
Fine del Vespro<br />
Cena<br />
Fine della cena<br />
Intervallo<br />
. Lettura prima<br />
di compieta<br />
Compieta<br />
Riposo<br />
ORARIO DEGLI ESERCIZI QUOTIDIANI - XII - XIII - XIV sec.<br />
Esempio delle variazioni in estate<br />
Solstizio 2 mesi<br />
d'estate dopo<br />
fine giugno 20·25 agosto<br />
1,45<br />
2 cc.<br />
3,00<br />
qc. min.<br />
3,10 cc.<br />
3,45<br />
4,00<br />
4,40 cc.<br />
7,15<br />
7,45<br />
8 cc.<br />
8,50 cc.<br />
8,50<br />
10,40<br />
10,50<br />
11,30<br />
1,45<br />
2,00<br />
2,15 cc.<br />
2,30 cc.<br />
5,30<br />
6,00<br />
6,45<br />
7,15<br />
7,30<br />
7,50<br />
8,00<br />
2,40<br />
2,50 cc.<br />
4,00<br />
qc. min.<br />
4,10 cc.<br />
5,00<br />
5,00<br />
5,40 cc.<br />
7,45<br />
8,15<br />
8,30<br />
9,15 cc.<br />
9,15<br />
10,50<br />
11,00<br />
11,40<br />
1,30<br />
1,45<br />
2 cc.<br />
2,15 cc.<br />
4,30<br />
5,00<br />
5,45<br />
6,15<br />
6,30<br />
6,50<br />
7,00<br />
Osservazioni<br />
Un'ora e mezza prima dell'aurora<br />
poco dopo la levata<br />
un'ora per cantare le Vigo in estate<br />
«parvissimo intervallo»<br />
- 292-<br />
«incipiente luce»<br />
comprese le Lodi dei morti<br />
fino al sorgere del :sole<br />
al sorgere del sole (prima hora)<br />
subito dopo Prima. 15 min. cc.<br />
subito dopo il capitolo<br />
al primo accenno di Terza (30 min. prima)<br />
di una mezz'ora<br />
prima della fine della bora tertia<br />
(horo quarta) subito dopo Terza<br />
« usque ad horam quasi sextam ~<br />
hora sexta<br />
subito dopo Sesta<br />
prima della metà della hora octava<br />
«mediante octava hora »<br />
subito dopo Nona<br />
subito dopo il «biberes»<br />
verso la fine della hora decima<br />
di una mezz'ora<br />
durante la hora undecima<br />
compreso l'ufficio dei morti<br />
hora prima della notte
Levata<br />
Vigilie<br />
Fine vigilie<br />
Lectio<br />
Lodi<br />
Intervallo<br />
Prima<br />
Messa<br />
Fine della Messa<br />
Intervallo<br />
Terza<br />
Capitolo<br />
Lavoro<br />
Fine del lavoro<br />
Sesta<br />
Ripresa deI lavoro<br />
Fine del lavoro<br />
Intervallo<br />
Nona<br />
Pranzo<br />
Fine del pranzo<br />
Leccio<br />
Vespro<br />
Fine del Vespro<br />
Intervallo<br />
« Biberes »<br />
Lettura prima<br />
di Compieta<br />
Compieta<br />
Riposo<br />
ORARIO DEGLI ESERCIZI QUOTIDIANI . XII . XIII . XIV sec.<br />
Esempio delle variazioni in inverno<br />
Solstizio 2 mesi<br />
d'inverno dopo<br />
fine dicembre 20-25 feb.<br />
1,20<br />
1,30<br />
2,50<br />
7,15 cc.<br />
8,00 7,00<br />
8,20 7,20<br />
9,10 8,10 cc.<br />
qc. rnm. qc.. min.<br />
9,20 8,20<br />
9,35 8,35<br />
9,55 cc. 8,55 cc.<br />
11,10 cc. 11,10 cc.<br />
11,20 11,20<br />
11,35 11,40<br />
12,50 1,20<br />
1,20 2 cc.<br />
1,35 2,15<br />
2,15 2,55<br />
2,50<br />
3,30<br />
3,40 cc.<br />
3,45<br />
3,55<br />
4,05<br />
1,25 ottava ora della notte<br />
1,35 cc.<br />
2,50 cc.<br />
Osservazioni<br />
6,20 cc. «accenso lumine ante armarium et in capitulo»<br />
«incipiente luce»<br />
fino al sorgere del sole<br />
4,10<br />
4,50<br />
4,55 cc.<br />
5,011 cc.<br />
5,20<br />
5,30<br />
al sorgere del sole (prima hora)<br />
subito dopo Prima<br />
al termine della hora secunda<br />
hora Sesta<br />
- 293-<br />
primo accenno di Nona (mezz'ora prima)<br />
di una mezz'ora<br />
hora nona<br />
subito dopo Nona<br />
fino a Vespro<br />
durante la hora undecima<br />
compreso l'ufficio dei morti<br />
molto breve<br />
alla luce del giorno<br />
all'inizio della notte
San Bernardo da alcuni monaci tra cui Guido d'Eu, monaco di Longpont,<br />
e Guido abate di Cherlieu. L'abate di Clairvaux raccomandò il<br />
lavoro compiuto in un monitum dove dichiarava l'opera « impeccabile<br />
sia dal punto di vista del canto che del testo ». Non è questa l'opinione<br />
comune degli specialisti, e se è stato reso omaggio alla competenza dei<br />
correttori cistercensi, sono state fatte delle riserve circa la qualità del<br />
lavoro realizzato. Il punto di partenza era eccellente, sempre lo stesso<br />
amore di verità, di ritorno alle fo~ti che caratterizza Citeaux, ma in<br />
più d'un'occasione questi principi indussero i correttori ad autentiche<br />
innovazioni nei riguardi della tradizione e dell'uso, il che causò dei<br />
reclami ireclamantibus fratribus nostris, dicono gli autori del trattato<br />
De cantu,) delle correzioni, dei rimaneggiarnenti, e nell'insieme un'opera<br />
che difetta un pò di omogeneità (e che i redattori della liturgia domenicana<br />
utilizzeranno, riportandola a loro volta a una forma più tradizionale;<br />
cfr D. DELALANDE,O.P., Le Graduel des Précbeurs, édit. du<br />
,<br />
Cerf, 1949). '<br />
Le altre funzioni liturgiche. La messa. 1<br />
Al di fuori deIl'Opus Dei, la Regola fa solo poche allusioni al Sacrificio<br />
eucaristico e non fa menzione alcuna delle altre funzioni che<br />
segnano l'anno liturgico (benedizioni, processioni). I cistercensi ebbero<br />
a supplire al silenzio della Regola, ma conservarono degli Usi di Molesme<br />
un minimo abbastanza ristretto. Ab~iamo. parlato dello spirito di semplicità<br />
e di povertà che Santo Stefano si sforzò di far regnare nell'oratorio<br />
e nelle cerimonie liturgiche. J.4! processioni tanto care ai cluniacensi<br />
furono ridotte a due (Purificazione e Domenica delle Palme), le<br />
cerimonie della Settimana Santa furono semplificate, le litanie dei santi<br />
accorciate di molto (tre soli Santi per ogni ordine).<br />
Benché San Benedetto non prescrivesse nulla riguardo a una messa<br />
conventuale quotidiana, nelle abbazie benedettine s'era introdotto ben<br />
presto l'uso di cantare ogni giorno. una messa solenne. A Cluny ne<br />
venivano celebrate due, una dopo ,la Prima, detta matutina, l'altra<br />
dopo Terza. I cistercensi ritennero quest'uso soltanto per la domenica<br />
e per le feste di obbligo. Tutti gli altri giorni cantavano una sola messa,<br />
detta conventuale, dopo Prima in inverno, dopo. Terza in estate. Secondo<br />
Ruperto di Deutz, la omettevano facilmente a causa dei lavori. o per<br />
lo meno non vi assisteva tutta la comunità. Si celebrava però tutti<br />
i giorni, fuorché il Venerdì e il sa1! to Santo .una messa da requiem e<br />
una de Beata per i benefattori. I<br />
Tutto, nelle cerimonie e nel ca to della messa era ispirato alla più<br />
- 294-
grande semplicità. Il Kyriale conteneva solo tre melodie per il K vrie<br />
(ne fu subito aggiunta una quarta), due per il Gloria, una per il Credo.<br />
Le cerimonie durante la parte cantata della messa conventuale erano<br />
le stesse di oggi, almeno per il coro. Durante la messa matutina era<br />
permesso di sedere da dopo il primo Dominus vobiscum fino al Vangelo,<br />
e dal Sanctus all'Agntts Dei. Se non bisognava celebrare la messa<br />
di un santo, si cantava una messa votiva, secondo l'ordine che segue: il<br />
lunedì quella dei morti, il martedì e il giovedì quella della domenica<br />
precedente, il mercoledì la messa pro [amiliaribus, il venerdì quella della<br />
Croce, il sabato quella De Beata. Non si celebrava la messa della Croce<br />
durante l'Avvento; e dall'ottava di Pasqua fino alla domenica prima<br />
dell'Ascensione si diceva il mercoledì la messa della Risurrezione al<br />
posto di quella pro [amiliaribus. Nel 1202 fu deciso che dall'ottava di<br />
Pentecoste all'Avvento si sarebbe detta, tutti i giovedì liberi, la messa<br />
dello Spirito Santo.<br />
I monaci insigniti del sacerdozio (molto pochi del resto) potevano<br />
dire la loro messa privata tutti i giorni, durante il tempo della lettura,<br />
e i giorni di due messe durante la messa matutina. Occasionalmente<br />
potevano anche celebrarla dopo l'oflertorio della messa solenne, se non<br />
ne avevano avuto il tempo prima (Consuetudines, cap. LIX). Nessun<br />
sacerdote, comunque, era tenuto a celebrare la messa tutti i giorni.<br />
VITA DELLO SPIRITO<br />
* * *<br />
Si legge in una recente storia della Chiesa il seguente giudizio su<br />
Citeaux a proposito del ritorno al lavoro manuale: « ...il risultato fu<br />
la diminuizione del tempo consacrato dai Cluniacensi alla recita dell'Ufficio<br />
e l'assenza dello studio propriamente detto» (A. M. ]AQUIN,<br />
t. III, 1948, p. 887). Anche altri storici hanno creduto a un certo<br />
« anti-intellettualismo » dei primi cistercensi. È utile perciò attirare l'attenzione<br />
sul ruolo della lectio divina nelle prime abbazie cistercensi.<br />
Fondata allo scopo di seguire la Regola di San Benedetto più fedelmente<br />
e strettamente, Citeaux, che rimise in onore il lavoro manuale e l'Opus<br />
Dei come era richiesto da San Benedetto, non poteva trascurare la<br />
lectio divina a cui il legislatore di Montecassino dà un posto importante<br />
nella giornata monastica.<br />
- 295-
La lectio divina nella vita del monaco<br />
L'alleggerimento del pensum seruitutis nel coro con la soppressione<br />
di tutti gli elementi aggiunti con poca discrezione, permetteva di ritrovare<br />
l'equilibrio della Regola benedettina e di assicurare ai monaci un<br />
tempo per la lettura indispensabile alla loro vita contemplativa. L'autore<br />
del Liber de modo bene vi vendi, attribuito ora a San Bernardo ora a<br />
Tommaso di Froidmont, insiste sulla necessità della lettura e dell'orazione.<br />
Goffredo d'Auxerre nota che, la vita monastica essendo contemplativa,<br />
la sua principale occupazione è la meditazione sulla Scrittura,<br />
da studiarsi con l'aiuto dei commentari dei Padri. E Isacco di Stella<br />
se la prende con coloro che nel chiostro chinano la testa sul libro,<br />
nell'oratorio russano (stertunt) durante la lettura e in capitolo dormono<br />
durante il sermone. «In tutti costoro, dice, il Verbo parla, ma essi<br />
non sono attenti. Il Maestro parla, e il discepolo dorme ... E tuttavia,<br />
queste tre cose, lettura, meditazione, preghiera costituiscono il midollo<br />
della vita spirituale. È per lo spirito una vera conversazione celeste. in<br />
cui, come Mosè sulla montagna, si parla a Dio, lo si ascolta e ci si<br />
intrattiene con lui come col vicino» (sermo XIV, PL. 194,1736).<br />
Un monastero senza libri non si potrebbe dunque concepire. San<br />
Benedetto nella Regola parla della lettura e dei libri. Le Consuetudines<br />
dei primi cistercensi hanno dedicato uno spazio all'armarium, che era<br />
situato nel chiostro, accessibile a tutti. Nel periodo invernale, dal servitore<br />
di chiesa doveva essere accesa una lampada davanti all'armarium<br />
dopo le Vigilie. San Bernardo nell'Apologia teme che i monaci leggendo<br />
nel chiostro si lascino distrarre dalle sculture e dalle pitture.<br />
Non mancano le testimonianze che dimostrano che nei chiostri<br />
cistercensi la scienza non era assente. San Alberico era un letterato<br />
- virum litteratum - versato nelle scienze divine ed umane. Santo<br />
Stefano consultava gli ebrei su problemi scritturistici ed amava i bei<br />
libri, e si dice che la maggior parte dei compagni di San Bernardo nel<br />
noviziato di Citeaux erano cavalieri o chierici letterati, usciti da Scuole,<br />
come Arnoldo di Morimond, Ugo di Vitry, e Bernardo stesso. Si obietta<br />
il famoso decreto del Capitolo Generale del 1188: «I libri chiamati<br />
Corpus Canonum o Decreto di Graziano saranno particolarmente custoditi<br />
da coloro che li hanno. Non saranno messi nell'Armarium<br />
comune, perché ne potrebbero risultare degli inconvenienti ». Questa<br />
raccomandazione non è, come è stato detto, « un'applicazione del principio<br />
rigido dell'esclusione di ogni studio profano dall'ordine cistercense».<br />
Il Capitolo Generale voleva soltanto mettere in guardia i noniniziati<br />
dalle false interpretazioni. E un pò più tardi, nel 1240, questa<br />
- 296-
precauzione sarà estesa a tutti i libri sia di diritto civile che di diritto<br />
canonico: non devono trovarsi nell'armarium comune, accessibile a tutti.<br />
Si richiedeva l'autorizzazione del Superiore, come per comporre un<br />
libro c'era bisogno del permesso del Capitolo Generale. Era una cosa<br />
normale. Gilberto di Hoyland diceva a proposito dei monaci scrittori:<br />
«Comporre un libro salutare, confessiamolo, è utilissimo, ma solo quando<br />
lo si fa col permesso o piuttosto quando è comandato. Non biasimiamo<br />
la prudenza dei nostri Padri; per quanto esagerata è sempre di grande<br />
profitto: impone in generale il silenzio, di modo che un permesso accordato<br />
a qualcuno non divenga per gli altri occasione di temeraria presunzione<br />
» (sermo in Canto XLVII, n. 2).<br />
Lo studio, ed anche la composizione dei libri, non era dunque bandita<br />
dai chiostri cistercensi; era soltanto regolata. Un testo di uno dei<br />
primi Capitoli Generali, che si vorrebbe più esplicito, si esprime così:<br />
«Nessuno studierà le lettere nel monastero o nelle sue dipendenze,<br />
se non è monaco o novizio. È permesso studiare durante il tempo della<br />
lettura. E nessuno può essere ammesso prima del quindicesirno anno<br />
di età» (st. LXXX). Così era proibito fare scuola e insegnare le lettere<br />
o le arti liberali ai ragazzi o ai giovani, ma era permesso dare quest'insegnamento<br />
durante la lettura ai monaci e ai novizi che prima della<br />
loro entrata non avevano ricevuto una formazione suflicente.<br />
La scienza del monaco<br />
La scienza del monaco è in funzione del suo proprio fine: servire<br />
il Signore. Il monaco deve dunque conoscere tutto ciò che gli permetterà<br />
di servire meglio il Signore. San Benedetto ha tracciato tutto un<br />
programma di letture e di studi nell'utimo capitolo della Regola, programma<br />
molto vasto che abbraccia non soltanto gli studi scritturistici<br />
e patristici ma anche la storia e la spiritualità del monachesimo. Non<br />
saranno dunque ammessi nel chiostro studi o occupazioni puramente<br />
profani. Ma dove incomincia il profano? Al tempo di San Bernardo<br />
diversi cistercensi, come Odone di Morimond, Guglielmo di Auberive,<br />
Goffredo d'Auxerre, si dilettavano di matematica e composero<br />
dei trattati sulla mistica dei numeri. «Questo scambio di trattati di<br />
aritmetica speculativa tra gli abati cistercensi ha del sorprendente »,<br />
scrive Dom J. Leclercq (L'arithmétique de Guillaume d'Auberiue, in<br />
Studia Anselmiana, n. 20, p. 195). La sanzione del Capitolo Generale<br />
del 1199 contro i monaci colpevoli d'aver fatto dei versi prendeva di<br />
mira degli epigrammi o degli scritti satirici; non era un procedimento antiletterario.<br />
I grandi autori cistercensi non disdegnano di citare i poeti<br />
- 297-
dell'antichità pagana e' di imitarne lo stile, come Gallando, monaco di<br />
Reigny, nel suo Libellus Proverbiorum.<br />
Lo studio, compatibile col servizio di Dio e sanzionato dalla benedizione<br />
dell'obbedienza, poteva esser seguito nei chiostri cistercensi.<br />
La copiatura dei manoscritti era considerato un lavoro manuale, e i copisti<br />
godevano di privilegi. Quando i monaci che lavoravano nei campi erano<br />
usciti, quelli che restavano per copiare o correggere libri potevano rompere<br />
il silenzio se era necessario. I copisti potevano togliersi la cocolla<br />
o lo scapolare; potevano entrare in cucina per appianare le loro tavolette,<br />
liquefare l'inchiostro, seccare le pergamene.<br />
Opera illorum sequuntur illos. Le loro opere sono ancora sotto<br />
i nostri occhi, opere che talvolta hanno richiesto molta fatica, vero<br />
lavoro di erudizione. Si rilegga 1'« enciclica» di Santo Stefano circa<br />
la revisione della Bibbia o il monitum di San Bernardo circa la correzione<br />
dell'antifonario. Assieme all'opera dei copisti e dei correttori di<br />
manosritti, bisogna notare la cura che si usava per la loro conservazione.<br />
È stata studiata la rilegatura dei manoscritti dell'abbazia di Clairmarais<br />
del XII e XIII secolo: «modelli di rilegatura pratica, solida,<br />
senza pretese di bellezza, che denotano anche uno spirito di economia.<br />
Si può affermare che il lavoro ha raggiunto lo scopo a cui mirava: la<br />
conservazione dei manoscritti; nonostante l'umidità del terreno di Clairmarais,<br />
questi libri che hanno abbandonato l'abbazia soltanto al momento<br />
della Rivoluzione francese sono in uno stato di conservazione<br />
ammirevole» (B. VAN REGEMORTER,in Scriptorium, V n. 1. 1951,<br />
pp. 99-100). Nessun lusso; soltanto la solidità, il lavoro ben fatto, e<br />
quello spirito di economia che è prettamente cistercense.<br />
Scrittori e autori spirituali<br />
La loro lista è lunga, anche per il solo secolo XII: più di un centinaio.<br />
Dopo Santo Stefano Harding, che è cronologicamente il primo,<br />
bisogna dare un posto a parte ai quattro nomi che, secondo l'espressione<br />
di D. Anselmo Le BaH, « rappresentano i quattro grandi dottori<br />
della chiesa cistercense »: San Bernardo t 1153, Guglielmo di Saint-<br />
Thierry t 1148, il beato Guerrico t 1157, il beato Elredo t 1167.<br />
Ma sarebbe un lavoro vano cercare di stabilire una gerarchia tra gli<br />
altri. Tutt'al più si possono distinguere alcune scuole. Al primo posto<br />
i « Chiaravalle si », discepoli di San Bernardo e monaci di Clairvaux o<br />
case dipendenti: Fastredo, abate di Citeaux t 1163, la cui lettera sulla<br />
vita monastica ha sollevato molte discussioni; Goffredo d'Auxerre (fine<br />
sec. XII), la cui produzione letteraria è abbondante; Nicola di Chiara-<br />
- 298-
valle, segretario infedele di San Bernardo, autore di sermoni; Filippo<br />
dell'Aumòne t 1179; San Amedeo di Losanna t 1159 che compose<br />
le sue eleganti omelie mariane quand'era vescovo; infine Gilberto di<br />
Hoyland, il pio continuatore dei sermones in Cantica t 1172. Bisogna<br />
poi ricordare Serlone di Savigny t 1158, autore di sermoni e di<br />
una raccolta di pensieri morali e allegorici; Tommaso il cistercense (fine<br />
del sec. XII che compose un commentario sul cantico; Balduino di<br />
Ford t 1151; Isacco di Stella t 1159, autori di sermoni e di un trattato<br />
De anima; Arnoldo di Bohéri morto verso il 1149; Alchero di<br />
Clairvaux morto dopo il 11.65che scrisse il trattato De spiritu et anima/<br />
Piero il cantore t 1197; atone di Freising t 1158, autore soprattutto<br />
di scritti storici; Odone di Morimond t 1161, uno dei maestri della<br />
spiritualità cistercense; Guglielmo di Auberive t 1180, discepolo di<br />
Odone di Morimond; e uno dei più curiosi autori cistercensi del XII<br />
secolo: Gallando, monaco di Reigny in diocesi di Auxerre. Egli dice<br />
di aver scritto per ordine del suo abate le due opere Libellus Parabolarum<br />
e Libellus Proverbiorum. Il suo scopo è di istruire ed edificare<br />
divertendo. Il primo è una raccolta di piccole favole o farsette che<br />
partono dai misteri della fede per arrivare ad applicazioni morali sempre<br />
più particolari. In una forma elegante e spesso piacevole, è sempre la<br />
vita contemplativa e la ricerca dell'unione intima con Dio che vien<br />
messa al posto d'onore. Il libro dovette avere successo, poiché l'abate<br />
chiese a Gallando di riprendere la penna; e il nuovo scritto, il Libellus<br />
Prooerbiorum, è ancor più curioso: è «una serie di proverbi, vale a<br />
dire di sentenze o massime, di lunghezza ineguale e di ispirazione<br />
quasi sempre tutta umana, seguiti immediatamente da chiose, che ne<br />
traggono con metodo allegorico lezioni morali e spirituali. L'insieme<br />
costituisce un documento originalissimo e forse unico, tanto le osservazioni<br />
relative alla vita ed ai costumi medioevali presentati dai proverbi<br />
si mescolano in modo inatteso alle riflessioni ed alle considerazioni<br />
più alte verso cui essi intendono orientare il lettore. L'autore di<br />
questo libro non è soltanto un monaco ed uno spirituale; è anche un<br />
robusto contadino borgognone o nivernese che conosce la terra, gli<br />
animali di una grangia, i mestieri di un villaggio e il cuore degli uomini»<br />
(J. CHATILLON, Le recueil de proverbes glosés du cistercien Galland<br />
de Rigny, in Rev. du Moyen Age Latin. IX, gen.-giu. 1953, p. 8). La<br />
cultura di questo monaco cistercense si rivela innanzi tutto dai temi o<br />
ricordi biblici che spesso lo ispirano, ma anche dalle reminiscenze della<br />
letteratura antica, greca e latina. Ci si domanda allora perché il cistercense<br />
del Dialogus inter cluniacensem et cisterciensem rimproverava<br />
- 299-
al cluniacense di darsi alla lettura dei poeti, quando il monaco di Reigny<br />
parla della leggenda di Orfeo ed Euridice come di cosa ben nota ai<br />
suoi lettori.<br />
LA VITA ARTISTICA<br />
Nel capitolo LVII della Regola San Benedetto suppone che nel<br />
monastero si trovino uomini di mestiere, fors'anche dei veri artisti:<br />
scultori, pittori, calligrafi. Desidera pure che si coltivino tutte le arti<br />
necessarie per il mantenimento e la bellezza della casa, sotto l'unica<br />
condizione che tutto si faccia col permesso dell'abate. È noto quanto,<br />
soprattutto dopo Carlomagno, le abbazie siano state centri di attività<br />
artistiche. Senza dubbio, Citeaux non ha mai preteso di soppiantare<br />
quel posto di prim'ordine che ebbe Cluny nel campo della scultura e<br />
della pittura. Tutt'altro. Abbiamo visto che i cistercensi ricercavano<br />
un'architettura più nuda, più snella, per motivi che corrispondono a<br />
una spiritualità molto elevata. I primi testi cistercensi affermano:<br />
«Niente sculture, in nessun luogo. Niente pitture, se non sulle croci,<br />
che saranno di legno» (ms Trento 1711, statuto XXVI).<br />
Ma è giusto aggiungere che questo ostracismo cosi rigoroso non<br />
bandi dalle abbazie cistercensi ogni attenzione artistica. Gli architetti<br />
di Citeaux seppero realizzare capolavori, molti dei quali hanno sfidato<br />
i secoli e sono oggi l'ammirazione degli studiosi. E però se nel primo<br />
secolo cistercense la pittura e la scultura furono pressoché assenti dalle<br />
chiese e dai chiostri cistercensi - anche al tempo di San Luigi e<br />
nonostante il loro amore per la Regina del Cielo, i cistercensi non<br />
osarono riprodurre la Vergine in scultura - gli artisti rivaleggiarono<br />
in ingegnosità nella realizzazione di pavimenti e di vetrate tanto sobrie<br />
nel disegno quanto perfette nell'esecuzione. Nelle due o tre prime<br />
decadi del XII secolo, poi, i miniaturisti di Citeaux produssero capolavori<br />
che non hanno nulla da invidiare alle opere delle più celebri<br />
scuole di miniatura.<br />
Pavimenti<br />
L'Exposition-Saint Bernard di Digione nel 1953 ha raccolto alcune<br />
piastrelle dei pavimenti di chiese cistercensi del secolo XII<br />
(piastrelle provenienti da Aulps, da Bonmont, da Fontenay, da La<br />
Ferté, da Fontmorigny) e del secolo XIII (Acey, Aiguebelle, ecc.). Le<br />
prime presentano disegni geometrici molto semplici: semi-cerchi, losan-<br />
- 300-
ghe, intrecci, reti di linee ondulate, spirali, di colore giallo o verde.<br />
Le seconde presentano una decorazione floreale stilizzata legata a combinazioni<br />
geometriche, oppure uccelli ed animali fantastici. M. Aubert<br />
offre delle riproduzioni di queste piastrelle tL'archirecture cistercienne,<br />
I, pp. 313-314. Vedere anche lo studio illustrato The 13th century<br />
tile mosaic pauements in the Y orksbire cistercian Houses, in Clteaux<br />
in de Nederlanden, VII, 1956, pp. 264-277). « Non c'è dubbio, queste<br />
piastrelle (di Fontenay) furono fabbricate nell'abbazia, dalle mani dei<br />
religiosi, perché sappiamo che dall'inizio del secolo XIII i cistercensi<br />
erano divenuti molto esperti tanto nell'uso di ceramiche e di argille<br />
di differenti colori che facevano entrare per incrostazione nella stessa<br />
piastrella, quanto nell'uso di vernici piombifere » (L. BEGULE,L'abbaye<br />
de Fontenay, Parigi, Laurens, p. 66).<br />
Vetri e vetrate<br />
La proibizione delle pitture all'interno delle chiese comportava il<br />
rigetto dei vetri a colori; bisognò perciò contentarsi di vetro chiaro, o<br />
meglio del vetro naturale, grigio-verde, giallo indistinto o bluastro,<br />
come usciva dal crogiolo. Notiamo che in Borgogna, a quell'epoca,<br />
il vetro era caro e molti tra i borghesi delle città o tra i signori poco<br />
fortunati si contentavano di fornire le loro finestre con pergamene o tele<br />
oleate. Coslla vetreria fu fin dall'inizio delle abbazie cistercensi un'arte<br />
praticata dagli stessi religiosi, che giunsero rapidamente a una tecnica<br />
consumata. Essendo le vetrate a colori interdette (Vitree albe fiant, et<br />
sine crucibus et picturis, Laybach, statuto LXXXII, che non si trova nel<br />
Trento 1711), i maestri cistercensi si limitarono a tagliare i vetri naturali<br />
seguendo forme geometriche od ornamentali, ghirigori, fiori stilizzati,<br />
combinazioni diverse - le stesse delle piastrelle per pavimenti - e<br />
ad unirli saldamente assieme con larghe strisce di piombo saldate e<br />
controsaldate ad ogni intersezione. «Niente colori, niente personaggi o<br />
figure, niente scene iconografiche; soltanto disegni, disegni semplici e<br />
nobili corrispondenti allo spirito della costruzione. Siamo qui all'origine<br />
del chiaroscuro, e i cistercensi si rivelano veri maestri sia per<br />
la tecnica avanzata e la qualità del vetro, che per la purezza del disegno»<br />
(M. AUBERT,1, 311).<br />
Miniature<br />
Una delle prime occupazioni a cui si dedicarono i monaci del<br />
Nuovo Monastero fu naturalmente la calligrafia. Si affrettarono a copia-<br />
- 301-
e i manoscritti di cui avevano bisogno per l'ufficio e per la lectio<br />
divina: Regola, Bibbia, libri di coro, scritti dei Padri. Diciotto manoscritti<br />
dei primi trent'anni del secolo XII provenienti da Citeaux sono<br />
ancora conservati nella Biblioteca di Digione. L'arte della miniatura<br />
è quasi inseparabile dall'arte della calligrafia, e nelle miniature cistercensi<br />
- ha scritto qualcuno - « quella testa è così espressiva che fu<br />
ispirata a colpo sicuro dal profilo di un vicino di scriptorium ». Tuttavia,<br />
nota M. C. Oursel nella sua relazione al Congresso San Bernardo<br />
di Digione (testo stampato in Cùeaux in de Nederlanden, VI, 1955,<br />
pp, 161-172) « l'ornamento dei manoscritti non è una semplice divagazione,<br />
ma un complemento dell'insegnamento che viene fuori dal testo ».<br />
È stato giustamente ammirato, tra gli altri splendori, il disegno che illustra<br />
la creazione di Adamo, nella Bibbia di Santo Stefano Harding<br />
(Digione, ms 14 f. 76), come se il miniaturista avesse voluto evocare<br />
la lussureggiante bellezza e le armonie del paradiso terrestre. Non meno<br />
celebre è Davide in tutta la sua maestà regale, e tanti altri. Uno studio<br />
approfondito delle miniature nei manoscritti dell'abbazia di Citeaux<br />
ha condotto M. Oursel a concludere che c'è una grande diversità nello<br />
stile, nella pittura e nella miniatura, diversità che non esclude dei caratteri<br />
comuni. Queste due constatazioni sono sufficenti per stabilire da<br />
una parte l'esistenza a Citeaux di uno scriptorium molto attivo, e<br />
dall'altra una sensibile diversità nei gusti e nelle tendenze. Sono stati<br />
rilevati influssi orientali, arabi e bizantini, ed influssi anglo-sassoni,<br />
o semplicemente borgognoni e locali.<br />
Bruscamente uno statuto del Capitolo Generale venne se non a<br />
paralizzare almeno a regolare e a restringere tutta questa attività, e ad<br />
inaridire la profusione delle iniziative ornate e delle miniature ricche<br />
di colori. È lo stesso testo inesorabile che elimina i colori delle<br />
vetrate: Littere unius coloris fiant, et non depicte, Vitree albe fiant ...<br />
Le lettere iniziali saranno di un solo colore, senza decorazione a pittura.<br />
Questo statuto, che è in sintonia con l'Apologia, è stato attribuito<br />
all'influsso di San Bernardo. Ma bisogna parlo non nel 1134 dopo la<br />
morte di Santo Stefano, bensì più tardi, probabilmente tra il 1150 e<br />
il 1152.<br />
Se alcune abbazie conservarono una commovente fedeltà a questa<br />
direttiva - ad esempio Vauclair, figlia di Clairvaux, i cui manoscritti<br />
nella Biblioteca di Laon sono conformi ai regolamenti ufficiali fino alla<br />
fine del secolo XIII, lettere iniziali di un solo colore, ornate esclusivamente<br />
con fogliame o ghirigori molto sobri - altri monaci artisti<br />
si credettero meno legati dal decreto del Capitolo; per cui, già nella<br />
- 302-
seconda metà del secolo XII, iniziali e nuruature multicolori cominciarono<br />
a riapparire timidamente. Si può anche dubitare che il decreto<br />
sia stato messo in pratica dappertutto, o che lo sia stato a lungo. Cosi<br />
a Himmerod, figlia diretta di Clairvaux, il manoscritto più antico,<br />
Sermoni di Sant'Agostino sul vangelo di San Giovanni, terminato nel<br />
1154, non mostra traccia alcuna delle severe istruzioni del Capitolo<br />
Generale. Il codice contiene un gran numero di iniziali da uno a tre<br />
colori, inquadrate da intrecci alternativamente azzurri o rossi, e talvolta<br />
anche da figure. Le altre produzioni di Himmerod sono più semplici e<br />
caratterizzate da lettere capitali lavorate in rosso, verde, giallo e azzurro.<br />
Un manoscritto del commentario di Pietro Lombardo sulle Epistole<br />
di San Paolo, della fine del secolo XII, è scritto e calligrafato<br />
molto accuratamente: nelle lettere capitali si notano bei fogliami che<br />
racchiudono motivi di palmette rosse su fondo bipartito rosso, blu,<br />
verde e bruno chiaro. Tra i manoscritti del XIII secolo sono da segnalare<br />
ancora due antifonari, che presentano miniature dipinte in modo<br />
ammirevole e in parte secondo lo stile bizantino (cfr i lavori del P.<br />
Ambrosius Schneider sullo scriptorium e la biblioteca di Himmerod).<br />
(Traduzione dal francese di P. IGINO VONA, O. Cist.)<br />
- 303-
RECENSIONI<br />
QUlDAM, Il diavolo, se fosse una favola<br />
..., IV ed. T.A.S., Brescia<br />
pp. 361.<br />
1972<br />
, ,<br />
GoRRESIO V., Il papa e il diavolo,<br />
Rizzoli, Milano, 1973, pp. 237.<br />
È una fiaba di Dino Semplici: «Un<br />
giorno il diavolo si senti stanco e decise<br />
di schiacciare un pisolino. Si fece portare<br />
un'anima particolarmente soffice<br />
e, accomodatovi il capo, si addormentò.<br />
Fu però quasi subito destato da un<br />
gran baccano, qualcuno stava dando<br />
fieri colpi alle porte dell'inferno. « Una<br />
cosa insolita », pensò il diavolo e andò<br />
ad aprire. Gli apparve davanti un ometto<br />
vestito di nero con un martello in<br />
mano. «O che fai tu », gli chiese il<br />
diavolo, « Sto sprangando le porte dell'inferno<br />
- rispose l'ornino - Noi<br />
uomini abbiamo deciso che l'inferno<br />
non c'è più e che anche i suoi simboli<br />
devono scomparire». « Ma - gli disse<br />
il diavolo - una cosa è far sparire i<br />
simboli e un'altra far sparire la realtà ».<br />
Ma l'ornino non volle ascoltarlo e lo<br />
aggredi: «Fatti in là e lasciami lavorare<br />
». Il diavolo lo lasciò lavorare.<br />
Ad un tratto si svegliò e s'accorse che<br />
era stato un sogno. Ma gli era sembrato<br />
talmente vero che istintivamente si<br />
fregò le mani. Come tutte le fiabe ci<br />
raccontano una verità, e la verità è che<br />
si.amo nell'era della cuccagna per il<br />
diavolo, che può lavorare indisturbato<br />
perché gli uomini non sospettano neppure<br />
della sua presenza. Si è giunti<br />
agli estremi opposti del medioevo quando<br />
si vedeva il diavolo in ogni angolo<br />
di casa, dietro ad ogni avvenimento<br />
men che buono.<br />
Pro e contro questa tendenza sono i<br />
due volumi presi in considerazione. Il<br />
primo, pubblicato anonimo, è opera di<br />
- 304<br />
un religioso che, per sua missione<br />
sacerdotale e per il lavoro che svolge<br />
di giurista nei tribunali della Chiesa, è<br />
a contatto continuo con questa realtà<br />
che è il male e con chi è padre e istigatore<br />
del male, il diavolo. Nella sua<br />
opera dopo una chiara sintesi teologica<br />
al riguardo, passa in rassegna la documentazione<br />
sulla esistenza della potenza<br />
del male: Sacra Scrittura, agiografia<br />
cristiana e testimonianze private. Esamina<br />
in seguito le forme che la demonologia<br />
ha rivestito e riveste nel mondo<br />
moderno. Sono quasi quattrocento<br />
fitte pagine che, pur nel diverso valore<br />
documentario, permettono di concludere<br />
che il diavolo non è una favola<br />
per i bambini cattivi.<br />
Di altro parere è Gorresio nel volume<br />
citato. Il brillante giornalista laico<br />
della « Stampa» di Torino ha dei duri<br />
rimproveri da muovere al Papa: in<br />
apertura al mondo più verbale che reale,<br />
un affossamento continuo del Concilio,<br />
la sua tendenza all'autoritarismo ,<br />
non in modo particolare: il rilancio del<br />
diavolo che giustifica il titolo del libro.<br />
Il papa si sarebbe definitivamente messo<br />
al di fuori del mondo moderno per<br />
rientrare nell'ombra medievale con le<br />
sue prese di posizione sul diavolo.<br />
« Esso è inesistente secondo la cultura<br />
(anche teologica) aggiornata; vivo e<br />
presente secondo Paolo VI ». Gorresio<br />
cita un proverbio piemontese « 'L dian<br />
a l'è gran perché a l'è vej », avrebbe<br />
dovuto ricordare un altro: «'L dian a<br />
l'è sutil ma a fila gros» sottile è il<br />
diavolo, ma il suo lavoro è ingente.<br />
Tanto sottile che spesso l'occhio acuto,<br />
se non illuminato della fede, non riesce<br />
neppure a ":,,ederlo.Ma questo non dice<br />
che non esista.<br />
P. Malachia Falletti
N. 1-2:<br />
SOMMARIO DELL'ANNATA 1973<br />
P. MALACHIA FALLETTI, La comunità nel rinnovamento<br />
della vita religiosa<br />
l° Senso del rinnovamento<br />
Il° Monastero e comunità .<br />
111° La comunità nel Nuovo Testamento.<br />
IVo La comunità nella riflessione teologica<br />
VO La comunità nell'indagine sociologica<br />
Bibliografia<br />
Florilegio, San Bernardo al nipote Roberto.<br />
ARMANDO CASINI, I <strong>Cistercensi</strong> alla Certosa del Galluzzo<br />
nel ricordo del Cardinale Elia Dalla Costa.<br />
P. GOFFREDO VITI, Storia dell'abbazia di Casamari (III)<br />
CAPITOLO TERZO: L'abate Orso<br />
Personalità di Orso .<br />
Abdicazione dell'abate Orso .<br />
Il luogo Convegno .<br />
La data del Convegno e l'elezione dell'abate Agostino<br />
CAPITOLO QUARTO: L'abate Agostino e successori<br />
Gli ultimi abati benedettini di Casamari .<br />
Elenco degli abati benedettini nell'abbazia di Casaman<br />
Corrispondenza coi lettori:<br />
MARIO ERMINI, Monaci e laici in Certosa<br />
P. ILDEBRANDO DI FULVIO, « Sensus Ecclesiae »: amore<br />
e fedeltà<br />
FRANCESCO Russo, L'rtefice del Duomo di Cosenza.<br />
- 305-<br />
Pago 1<br />
» 2<br />
» 3<br />
» 7<br />
» Il<br />
» 15<br />
» 17<br />
» 27<br />
» 37<br />
»<br />
»<br />
»<br />
»<br />
»<br />
40<br />
42<br />
44<br />
47<br />
52<br />
» 59<br />
» 61<br />
» 63<br />
»<br />
67
Cronaca:<br />
ROSARIO POMA, Un Cranacb e altri otto quadri rubati nella<br />
Certosa di Firenze Pago 76<br />
Statuto dell'Associazione «Amici della Certosa» »79<br />
Statistica generale dell'Ordine cistercense . » 84<br />
P. VITTORINO ZANNI, La Regola di San Benedetto »85<br />
JEAN DE LA CROIX BOUToN, Storia dell'Ordine Cistercense<br />
(quattordicesima puntata) .<br />
Gli Instituta Generalis Capituli .<br />
La prima collezione degli Instituta<br />
Nuove collezioni di Instituta .<br />
Evoluzione delle Istituzioni <strong>Cistercensi</strong> nel corso del<br />
secolo XII .<br />
Le Istituzioni <strong>Cistercensi</strong> nel 1119<br />
La Carta Caritatis prior .<br />
La bolla Sacrosancta di Eugenio III<br />
Le approvazioni di Anastasio IV e di Adriano IV<br />
Le due Sacrosancta di Alessandro III<br />
La Carta Caritatis posterior .<br />
Schema dell'evoluzione del primitivo diritto costitu-<br />
zionale cistercense .<br />
I tre «Primi Padri »<br />
I Primi Padri nelle Bolle Sacrosancta .<br />
I quattro Primi Padri .<br />
Le « Consuerudines »<br />
Fondazione delle monache cistercensi<br />
Le religiose di Molesme<br />
Fondazione di Jully .<br />
Fondazione di Tart .<br />
Prima organizzazione delle monache cistercensi.<br />
I Capitoli delle Badesse .<br />
306<br />
» 91<br />
» 91<br />
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» 109<br />
» 111<br />
» 113<br />
» 114
N. 3-4:<br />
La legge della clausura<br />
Recensioni .<br />
P. MALACHIA FALLETTI~ Il convito eucaristico cardine<br />
della vita di comunità<br />
La «Messa» convito eucaristico<br />
Prendete-mangiate ~ prendete-bevete<br />
La messa celebrazione dell'amore fraterno<br />
Ciascuno esamini se stesso .<br />
La Messa motore della vita cristiana e religiosa<br />
Celebrazione o concelebrazione<br />
L~autoscomunica<br />
Conclusione<br />
P. BENEDETTO FORNARI~ Architettura cistercense nel Lazio<br />
storale dell' abate.<br />
1. Santa Maria di Amaseno<br />
2. Santa Maria Maggiore a Ferentino<br />
3. Santa Maria del Fiume a Ceccano<br />
4. San Nicola a Ceccano<br />
Florilegio, San Bernardo: Epistola sulla Carità.<br />
FR.SIGHARDO KLEINER, Lettera Pastorale: L'ufficio pastorale<br />
dell' abate<br />
P. GOFFREDO VITI} Le origini dell' abbazia di Santa Maria<br />
di Sambucina alla luce della critica delle fonti:<br />
Sguardo generale sull'opera di G. Marchese<br />
«La Badia di Sambucina» .<br />
1. L~amicizia tra Ruggero II e San Bernardo .<br />
2. L'atto di Donazione del 18 maggio 1141 del Conte<br />
Goffredo de Lucijs e relative questioni .<br />
- 307-<br />
Pago 116<br />
» 118<br />
» 125<br />
» 126<br />
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» 150<br />
» 163<br />
» 167<br />
» 169
Primo periodo della storia di Sambucina<br />
Secondo periodo della storia di Sambucina<br />
3. Importanza della Bolla di Celestino III del 6<br />
maggio 1192<br />
L'abbazia di Sambucina attraverso i secoli .<br />
P. PLACIDO CAPUTO, I Carbonari nell' abbazia di Casamari<br />
durante i moti insurrezionali nel Regno delle due<br />
Sicilie (8 marzo 1821)<br />
Il momento politico.<br />
I Soldati « regnicoli » e i Carbonari nèll'abbazia di<br />
Casamari<br />
Dispersione dei monaci<br />
Restaurazione dell'abbazia<br />
JEAN DE LA CROIX Botrrox, Storia dell'Ordine Cistercense<br />
(quindicesima puntata)<br />
San Bernardo. Suo influsso su Citeaux<br />
San Bernardo e gli usi cistercensi .<br />
San Bernardo e la teologia monastica .<br />
Divergenze con Cluny nell'interpretazione della Regola<br />
Critiche dei <strong>Cistercensi</strong><br />
Critiche contro i cistercensi<br />
Apprezzamenti<br />
Fondazione di un'abbazia cistercense<br />
Passi preliminari .<br />
Scelta della pOSlZ1One<br />
Trasferimenti di abbazie<br />
Quadro della vita monastica<br />
Disposizione dei luoghi regolari .<br />
I «moines bàtisseurs »<br />
Il laboratorio spirituale<br />
Recensioni<br />
- 308<br />
Pago 174<br />
» 175<br />
» 177<br />
» 179<br />
» 186<br />
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» 216<br />
» 218
N.5-6:<br />
P. GOFFREDO VITI, Storia dell'abbazia di Casamari (IV)<br />
CAPITOLO QUINTO: Le chiese dipendenti da Casamari<br />
nel periodo benedettino .<br />
Prospetto delle chiese appartenenti a Casamari nel<br />
periodo benedettino secondo la, Cronaca del Cartario<br />
San Michele Arcangelo presso Veroli .<br />
San Nicola in Veroli<br />
Sant'Angelo in Monte Corneto presso Veroli<br />
San Nicola de Cappellis<br />
Santa Croce di Anagni .<br />
San Vito fuori Veroli<br />
San Magno della Marsica<br />
San Vincenzo di Valle Roveto<br />
Santa Maria di Reggimento presso Monte San Gio-<br />
vanni Campano .<br />
San Salvatore di Monte San Giovanni Campano<br />
Chiese di San Giovanni Battista e San Silvestro in<br />
Frosinone<br />
Santo Stefano di Boville<br />
San Nicola di Boville<br />
Sant'Ippolito di Veroli .<br />
San Giovanni Battista In Leterneto<br />
San Leucio di Boville<br />
San Nicola « ad Palatium Phallaridis »<br />
Prospetto cronologico delle chiese appartenenti a<br />
Casamari nel periodo benedettino<br />
CAPITOLO SESTO: Il patrimonio di Casamari durante<br />
il periodo benedettino .<br />
Prospetto dei documenti (1038-1123) .<br />
Patrimonio non determinato (in riferimento ai beni<br />
terrieri)<br />
- 309-<br />
Pago 225<br />
» 228<br />
» 229<br />
» 229<br />
» 229<br />
» 230<br />
» 230<br />
» 231<br />
» 232<br />
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» 236<br />
» 237<br />
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» 238<br />
» 239<br />
» 240<br />
» 240<br />
» 241<br />
» 242<br />
» 244<br />
» 245
Patrimonio determinato (in riferimento ai beni terrieri)<br />
Florilegio, Guerrico di Igny: Sermoni per l'Avvento del<br />
Signore<br />
Cronaca:<br />
P. MALACHIA FALLETTI, Capitolo generale (24 luglio<br />
1 settembre)<br />
LUISA TERZANI, Presentazione di un libro in Certosa (24<br />
ottobre)<br />
LUIGI SANTEDICOLA, Convegno sulle Università straniere<br />
a Firenze: Riflessioni-considerazioni (Certosa, 14 Novembre)<br />
P. PLACIDO CAPUTO, L'industria della lana e della seta<br />
nell' abbazia di Casamari<br />
Nuovo indirizzo economico nell'abbazia di Casamari<br />
Le provviste di lana greggia<br />
Sistema di lavorazione .<br />
I monaci tessitori .<br />
La vendita dei prodotti tessili .<br />
JEAN DE LA CROIX BUToN, Storia dell'Ordine cistercense<br />
(sedicesima puntata)<br />
La giornata monastica<br />
Orario di San Benedetto<br />
Orario dei primi cistercensi .-<br />
Preghiera liturgica<br />
L'opus Dei.<br />
Il canto<br />
Orario degli esercizi quotidiani XII-XIII-XIV sec.<br />
Le altre funzioni liturgiche. La messa.<br />
Vita dello spirito<br />
La lectio divina, nella vita del monaco .<br />
La scienza del monaco .<br />
310<br />
Pago 247<br />
» 253<br />
» 262<br />
» 265<br />
» 267<br />
» 269<br />
» 271<br />
» 274<br />
» 278<br />
» 280<br />
» 287<br />
» 287<br />
» 288<br />
» 289<br />
» 289<br />
» 291<br />
» 292<br />
» 294<br />
» 295<br />
» 296<br />
» 297
Scrittori e autori spirituali Pago 298<br />
La vita artistica » 300<br />
Pavimenti » 300<br />
Vetri e vetrate . » 301<br />
Miniature » 301<br />
Recensioni » 304<br />
Sommario dell'annata 1973 . » 305<br />
- 311-