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e<strong>di</strong>toriale<br />
sommario ottobre ’09<br />
4 Highlights<br />
cover<br />
8 Gebhard Ullmann instancabile molteplicità<br />
Alain Drouot<br />
Spotlight/1<br />
14 Guido Mazzon l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />
Enzo Bod<strong>di</strong><br />
18<br />
Spotlight/2<br />
Jacob Karlzon<br />
Andrew Rigmore<br />
<strong>jazz</strong> & arts<br />
Heat, il calore che viene dalla Svezia<br />
21 <strong>Ron</strong> <strong>Miyashiro</strong> fluente connubio <strong>di</strong> linee e colori<br />
Marco Maimeri<br />
RECENSIONI CD<br />
24 Focus on Rashied Ali LIVE IN EUROPE<br />
31<br />
I 5 CD imprescin<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> Adam Nussbaum<br />
Black & White<br />
Branford Ma<strong>rs</strong>alis Quartet METAMORPHOSEN<br />
Enzo Bod<strong>di</strong> e Antonio Terzo<br />
32 Eventuali<br />
A tutti bentrovati.<br />
In questi due mesi sono successe così tante cose che effettivamente è<br />
un po' <strong>di</strong>fficile riprendere il filo. È stata infatti un'estate piuttosto intensa,<br />
tantissimi avvenimenti, non sempre piacevoli, molta <strong>music</strong>a,<br />
in gran parte nota ed in parte sorprendente, tante vecchie amicizie ritrovate<br />
ed una significativa manciata, incoraggiante, <strong>di</strong> nuove conoscenze.<br />
E si fa strada la convinzione che fo<strong>rs</strong>e la <strong>music</strong>a più vera e<br />
spontanea oggi si può trovare più nelle piccole rassegne che non nei<br />
megalitici e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>osi festival.<br />
Nel frattempo non possiamo non registrare che alcuni gran<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti<br />
ci hanno lasciato: procedendo semplicemente per trasporto affettivo,<br />
fra questi vogliamo ricordare George Russell e Rashied Ali, <strong>di</strong><br />
cui si parla nelle prossime pagine, ed il nostro storico Gianni Basso.<br />
Ovviamente in pochissimi in Italia si sono occupati <strong>di</strong> lui, neppure<br />
una notiziuola veloce in coda al tiggì; unica eccezione Piero Angela,<br />
che all'interno <strong>di</strong> una delle ultime puntate del suo noto programma televisivo,<br />
occupandosi <strong>di</strong> <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong> ha ricordato la figura del sassofonista<br />
astigiano, al quale, fra l'altro, è da poco succeduto come<br />
Presidente onorario del Jazz Club Torino.<br />
All'interno <strong>di</strong> questo numero cre<strong>di</strong>amo<br />
d'aver messo molta <strong>music</strong>a e<br />
molta arte, fra figure <strong>di</strong> grande spessore<br />
ma fo<strong>rs</strong>e mai troppo note, come<br />
Gebhard Ullmann a cui è de<strong>di</strong>cata la<br />
copertina, e nuove interessantissime<br />
leve come Jacob Karlzon, fino a pe<strong>rs</strong>onaggi<br />
<strong>di</strong> considerevole profilo <strong>music</strong>ale<br />
ed intellettuale come Guido<br />
Mazzon. Lasciando al lettore il piacere<br />
<strong>di</strong> scorrere le segnalazioni <strong>di</strong>scografiche,<br />
ci piace invece mettere<br />
in evidenza la quarta <strong>di</strong> copertina <strong>di</strong><br />
Brunella Marinelli, de<strong>di</strong>cata a Bill<br />
Evans, del quale lo sco<strong>rs</strong>o agosto ricorreva<br />
l'80° annive<strong>rs</strong>ario dalla nascita:<br />
un modo tutto nostro per<br />
celebrarlo.<br />
Lunga vita al <strong>jazz</strong>!<br />
Antonio Terzo<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 3
canada<br />
highlights<br />
Quando il Jazz Institute <strong>di</strong> Chicago<br />
(JIC) ed il City of Chicago’s Mayor’s Office<br />
of Special Events iniziarono nel 1979 a<br />
ginglla<strong>rs</strong>i con l’idea <strong>di</strong> un festival del<br />
<strong>jazz</strong>, in questo campo la città era ancora<br />
molto in<strong>di</strong>etro rispetto ad altre realtà.<br />
Quelli erano tempi strani per avviare un<br />
<strong>jazz</strong> festival, il <strong>jazz</strong> non era più all’apice<br />
della sua creatività e la stessa città stava<br />
affrontando rilevanti cambiamenti per<br />
l’inizio <strong>di</strong> un esodo ve<strong>rs</strong>o le periferie. Per<br />
far fronte alla situazione e nel proseguimento<br />
della missione <strong>di</strong> promozione del<br />
<strong>jazz</strong> del JIC, si decise che il festival sarebbe<br />
stato ad ingresso gratuito.<br />
Il primo anno l’evento durò ben sette<br />
giorni, il più lungo <strong>di</strong> sempre. Da allora,<br />
la sua durata è venuta lentamente riducendosi,<br />
a causa, principalmente, della<br />
ristrettezza <strong>di</strong> budget: una lotta costante<br />
con gli amministratori citta<strong>di</strong>ni. Il punto<br />
più basso si raggiunse nel 1993, quando<br />
la programmazione sul palco durò soltanto<br />
due giorni. Venne allora in socco<strong>rs</strong>o<br />
il circuito dello smooth <strong>jazz</strong> — con assoluto<br />
sgomento dei più irriducibili fra i fan<br />
— che finanziò una serata nella quale<br />
inevitabilmente furono invitati artisti<br />
come Diane Schuur ed i Yellowjackets.<br />
L’anno successivo la municipalità cedette<br />
alle lamentele e finanziò tre giornate, <strong>di</strong>venute<br />
quattro nel 1997. Nel 2003, però,<br />
la questione del finanziamento si presentò<br />
<strong>di</strong> nuovo. Per fronteggiarla, questa<br />
volta la decisione fu <strong>di</strong> includere per la<br />
prima volta un concerto a pagamento,<br />
l’Opening Night al Chicago Symphony<br />
Center. Questa prassi cessò per il 30° Annive<strong>rs</strong>ario<br />
del CJF, nel 2008, quando un<br />
finanziatore privato si accollò il concerto<br />
inaugurale <strong>di</strong> Sonny Rollins.<br />
Quest’anno il festival è stato ridotto a<br />
tre giorni, e chissà cosa il futuro ha in<br />
serbo, considerata l’attuale situazione finanziaria.<br />
Per amor <strong>di</strong> verità, occore<br />
pure <strong>di</strong>re che contemporaneamente il<br />
4 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
united states<br />
japan<br />
britain<br />
Chicago Jazz Festival, storia <strong>di</strong> un mito<br />
<strong>di</strong> Alain Drouot<br />
numero <strong>di</strong> palchi è andato sempre ad aumentare:<br />
nel 1986 fu aggiunto un secondo<br />
palco, e il ’99 vide l’apertura dello<br />
Junior Jazz Stage, in seguito <strong>di</strong>venuto il<br />
Jazz & Heritage Family Stage (nel 2001)<br />
e Jazz & Heritage Stage (nel 2004); nel<br />
2009 è stato lanciato un quarto palco de<strong>di</strong>cato<br />
alle scuole superiori ed ai college,<br />
riscuotendo grande successo.<br />
Ciò che <strong>di</strong>stingueva il Chicago Jazz Festival<br />
degli esor<strong>di</strong> era l’accentuata enfasi<br />
posta nei confronti della scena locale, la<br />
città essendo in grado <strong>di</strong> attirare un’impressionante<br />
accolita <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti <strong>jazz</strong>.<br />
Nel 1979 l’ex <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> Downbeat e vibrafonista<br />
Don DeMicheal fece esibire la<br />
sua band, mentre nel ’98 il sassofonista<br />
Ed Wilke<strong>rs</strong>on presentò Shadow Vignettes,<br />
un ensemble <strong>di</strong> circa trenta <strong>music</strong>isti che<br />
schierava i sassofonisti Von Freeman e<br />
Fred Ande<strong>rs</strong>on come special guests: questo<br />
concerto è ancora considerato uno<br />
dei migliori <strong>di</strong> sempre tenutisi al CJF.<br />
Negli anni più recenti, il numero <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti<br />
non statunitensi ospiti è stato ridotto<br />
e portato ad un unico spettacolo.<br />
europe<br />
D’altra parte nell’86 hanno presenziato<br />
al festival chicagoano il trombettista britannico<br />
Humphrey Lyttelton, i fuoriclasse<br />
olandesi Misha Mengelberg e Han Bennink,<br />
il pianista spagnolo Tete Montoliu, il<br />
chitarrista danese Pierre Dorge ed il Sudafricano<br />
Abdullah Ibrahim. Nel co<strong>rs</strong>o<br />
degli anni anche qualche <strong>jazz</strong>ista italiano<br />
ha contribuito al successo della rassegna:<br />
Giorgio Gaslini (1988), il Quatre con Enrico<br />
Rava e Franco D’Andrea (1991), il<br />
Riccardo Luppi Quartet (1996) e l’Italian<br />
Instabile Orchestra (2000).<br />
Infine, un’altra particolare caratteristica<br />
del CJF è sempre stata quella <strong>di</strong><br />
commissionare opere originali. La prima<br />
fu African Sunrise, eseguita in prima assoluta<br />
dal pianista Randy Weston all’e<strong>di</strong>zione<br />
1986 del CJF. Un’altra opera che<br />
merita d’esser menzionata è la composizione<br />
che George Grunz de<strong>di</strong>cò alla città,<br />
The Chicago Cantata. Fortunatamente,<br />
quello non era il “canto del cigno” del festival<br />
e c’è abbastanza forza <strong>di</strong> volontà<br />
per mantenere viva questa tra<strong>di</strong>zione ancora<br />
per molti anni a venire.
Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity, l’unive<strong>rs</strong>ità del <strong>jazz</strong><br />
<strong>di</strong> Michael Pronko<br />
Sono molte in Giappone le unive<strong>rs</strong>ità,<br />
ma la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity è certamente<br />
unica: enormi intelaiature nere che bloccano<br />
i corridoi, porte a maniglioni che<br />
coibentano i suoni, cinque linee parallele<br />
sono impresse su tutte le lavagne bianche,<br />
dei ripiani reggono gli impianti stereo<br />
e le classi spesso hanno un be po’ <strong>di</strong><br />
leggii metallici o un piano a coda. Senzoku<br />
è l’unive<strong>rs</strong>ità del <strong>jazz</strong> in Giappone.<br />
In quasi tutte le gran<strong>di</strong> unive<strong>rs</strong>ità giapponesi<br />
c’è un circolo del <strong>jazz</strong> che si incontra<br />
fuori dalle ore regolari <strong>di</strong> lezione,<br />
nel qual gli studenti <strong>music</strong>isti possono<br />
esercita<strong>rs</strong>i, imparare e sviluppare le proprie<br />
abilità con i compagni, con insegnanti<br />
ed alunni che vengono loro in<br />
aiuto. A lungo conosciuta come una<br />
scuola <strong>di</strong> <strong>music</strong>a, esclusiva in particolare<br />
per la <strong>music</strong>a classica, la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity<br />
ha aperto la propria cattedra <strong>di</strong> <strong>jazz</strong><br />
circa <strong>di</strong>eci anni fa. Le lezioni private <strong>di</strong><br />
<strong>jazz</strong> sono anche facili da trovare, sebbene<br />
sia <strong>di</strong>fficile essere abbastanza bravi<br />
per venire accettati e <strong>di</strong> recente, anche<br />
i conservatori tra<strong>di</strong>zionali hanno aperto<br />
delle classi <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. Tuttavia, il programma<br />
full time e con conseguimento <strong>di</strong><br />
un <strong>di</strong>ploma che offre la Senzoku è unico<br />
in Giappone, e non solo perché i suoi insegnanti<br />
sono selezionati fra i <strong>jazz</strong>isti<br />
professionisti della scena <strong>di</strong> Tokyo e devono<br />
possedere un curriculum conseguito<br />
sulla celebre Berklee College of Music.<br />
Chi stu<strong>di</strong>a alla Senzoku <strong>di</strong> solito è pe<strong>rs</strong>ona<br />
seria ed attenta. A <strong>di</strong>fferenza dello<br />
stereotipo dello studente <strong>di</strong> college giapponese<br />
che sonnecchia o invia <strong>email</strong> al<br />
cellulare in fondo ad una classe annoiata,<br />
gli studenti della Senzoku devono esibi<strong>rs</strong>i<br />
e rispondere durante le lezioni. La loro<br />
interazione è a doppio senso, e richiede<br />
che essi comprendano il complesso della<br />
teoria <strong>jazz</strong> e siano pronti a mostrare i<br />
propri progressi. Certo la passione aiuta.<br />
Basta fare un giro per il moderno e pulito<br />
campus, dotato pure <strong>di</strong> satellite, per<br />
rende<strong>rs</strong>i conto che tutto e tutti qui si de<strong>di</strong>cano<br />
al <strong>jazz</strong>. Anziché un campo <strong>di</strong> basket<br />
c’è uno spazio per esibi<strong>rs</strong>i, invece <strong>di</strong><br />
una libreria ci sono classi d’esercitazione,<br />
ed invece <strong>di</strong> chiacchierare in caffetteria<br />
gli studenti si consultano sulle chitarre<br />
<strong>di</strong>teggiando silenziosamente scale o tra-<br />
scrivendo spartiti. La bacheca degli annunci<br />
dei lavori part-time elenca soltanto<br />
offerte da parte <strong>di</strong> tutor <strong>di</strong> <strong>music</strong>a.<br />
L’ingresso alla scuola è altamente competitivo.<br />
Senzoku accetta soltanto trenta<br />
studenti all’anno nei suoi co<strong>rs</strong>i <strong>di</strong> teoria<br />
<strong>jazz</strong>, armonia ed esecuzione. Ma invece<br />
degli estenuanti test a risposta multipla<br />
che molti studenti giapponesi devono patire,<br />
qui i can<strong>di</strong>dati scrivono armonie<br />
<strong>jazz</strong> e suonano lo strumento prescelto.<br />
Una volta entrati, seguono le lezioni <strong>di</strong><br />
teoria, armonia e composizione nonché<br />
lezioni private con <strong>music</strong>isti in attività <strong>di</strong><br />
massimo livello. Essi hanno anche la possibilità<br />
<strong>di</strong> fare domanda al Berklee College<br />
of Music <strong>di</strong> Boston, sebbene la<br />
concorrenza sia feroce. Entrare nella sala<br />
insegnanti del Senzoku è come trova<strong>rs</strong>i<br />
nel retropalco <strong>di</strong> un concerto <strong>jazz</strong> tutto<br />
giapponese: vi si possono incontrare celebri<br />
<strong>music</strong>isti locali come i pianisti Masaaki<br />
Imaiizumi e Yuki Arimasa, i<br />
sassofonisti Seiichi Nakamura e Seiji<br />
Tada, il batterista Masahiko Osaka, o il<br />
trombettista Tomonao Hara.<br />
Gli studenti imparano in gran parte il<br />
bop, ma via via si spingono sempre più<br />
oltre ed in tutte le <strong>di</strong>rezioni. L’approccio<br />
giapponese tra<strong>di</strong>zionale all’insegnamento<br />
<strong>di</strong> arti come il lavoro della ceramica<br />
o le arti marziali è spesso quello<br />
scelto come metodo anche qua. In questo<br />
highlightsss<br />
senso, gli insegnanti sono visti come<br />
maestri e possono essere rigorosi e pretendere<br />
in un modo che gli studenti delle<br />
scuole occidentali neppure immaginerebbero.<br />
Tuttavia all’interno della severità<br />
c’è anche un enorme preoccupazione ed<br />
interesse a che le nuove generazioni <strong>di</strong><br />
<strong>music</strong>isti sviluppino le capacità per portare<br />
avanti il <strong>jazz</strong> e, si spera, espanderlo.<br />
Molti dei migliori <strong>di</strong>plomati del Senzoku<br />
hanno già cominciato a riempire<br />
club e concerti a Tokyo e Yokohama.<br />
Molte band si sono formate nelle classi<br />
d’esercitazione <strong>di</strong> questa unive<strong>rs</strong>ità proseguendo<br />
delle sod<strong>di</strong>sfacenti carriere.<br />
Molti hanno scelto anche <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e,<br />
ma sempre portando con sé le proprie<br />
abilità e le proprie conoscenze<br />
<strong>jazz</strong>istiche in stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> registrazione, nella<br />
gestione del palco ed in altre posizioni <strong>di</strong><br />
rilievo in società del settore <strong>music</strong>ale. In<br />
questo senso, Senzoku sta certamente<br />
aiutando non soltanto ad formare <strong>music</strong>isti<br />
<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> ma anche ad espandere ulteriormente<br />
la cultura <strong>jazz</strong>istica.<br />
Certamente, il Giappone non aveva bisogno<br />
affatto <strong>di</strong> una unive<strong>rs</strong>ità per fare<br />
questo, dal momento che il <strong>jazz</strong> qui è<br />
sempre stato uno dei generi <strong>music</strong>ali più<br />
rispettati e popolari, ma la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity<br />
aiuta a coltivare il <strong>jazz</strong> ed a impreziosirlo<br />
attrave<strong>rs</strong>o un proprio perco<strong>rs</strong>o<br />
accademico molto originale.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 5
highlights<br />
L’anno accademico 2009/2010 segnerà<br />
un passo importante nella storia del New<br />
England Conservatory <strong>di</strong> Boston che celebrerà<br />
il quarantesimo annive<strong>rs</strong>ario<br />
dall’istituzione dei suoi Co<strong>rs</strong>i <strong>di</strong> Jazz, con<br />
due settimane <strong>di</strong> concerti che si svolgeranno<br />
fra Boston e New York.<br />
Rilevanza internazionale per la celebrazione,<br />
i cui riflettori illumineranno<br />
anche la Jordan Hall, storica e prestigioso<br />
au<strong>di</strong>torium dei concerti organizzati<br />
annualmente dal New England Conservatory.<br />
È qui che il 24 ottobre il Wayne<br />
Shorter Quartet delizierà il pubblico con<br />
dei nuovi pezzi scritti appositamente per<br />
l’occasione, unendosi nel secondo set<br />
alla NEC Philarmonica.<br />
Concerti gratuiti e a pagamento si alterneranno<br />
dando spazio ad illustri<br />
ospiti, tra i quali Don Byron, Ran Blake,<br />
Rachel Price, Danilo Perez, Roger Kellaway,<br />
Carl Atkins e molti altri. Accanto ai<br />
fuoriclasse del <strong>jazz</strong> e della <strong>music</strong>a classica,<br />
si esibiranno anche molti giovani<br />
studenti nel pieno spirito dei festeggiamenti,<br />
coinvolgendo un pubblico <strong>di</strong><br />
amanti del <strong>jazz</strong> <strong>di</strong> ogni età e provenienza.<br />
Gli eventi si terranno a New York,<br />
nella primavera del 2010, dal 21 al 27<br />
marzo: giornate che avranno il loro culmine<br />
presso il B.B. King Blues Club con le<br />
performance <strong>di</strong> Regina Carter, Fred<br />
He<strong>rs</strong>ch, Don Byron, Carl Atkins, John Medeski,<br />
Harvey Mason e Ran Blake.<br />
La nascita del programma <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> in<br />
<strong>jazz</strong> del New England Conservatory, il<br />
primo interamente accre<strong>di</strong>tato presso un<br />
conservatorio della <strong>music</strong>a, si deve all’iniziativa<br />
<strong>di</strong> Gunther Schuller, storico,<br />
cornista e compositore statunitense, protagonista<br />
della scena <strong>music</strong>ale classica e<br />
<strong>jazz</strong> contemporanea. Nel 1967 Schuller<br />
<strong>di</strong>viene Presidente del conservatorio, e<br />
riesce nel 1969 a far approvare il suo programma<br />
<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> dalla National Association<br />
of Schools of Music, cosa che gli consente<br />
<strong>di</strong> avviare il suo progetto <strong>di</strong> insegna-<br />
6 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
New England Conservatory, 40 anni <strong>di</strong> “Jazz Stu<strong>di</strong>es”<br />
<strong>di</strong> Patrizia Arca<strong>di</strong><br />
mento con l’obiettivo <strong>di</strong> fondere <strong>jazz</strong> e<br />
<strong>music</strong>a classica in un nuovo genere. Da<br />
allora importanti successi e celebri autori<br />
si sono succeduti, segnando un crescendo<br />
<strong>di</strong> importanti riconoscimenti e spingendo<br />
il NEC ad apri<strong>rs</strong>i all’organizzazione <strong>di</strong> festival<br />
e conco<strong>rs</strong>i al fine <strong>di</strong> promuovere<br />
giovani studenti talentuosi.<br />
La storia dei Jazz Stu<strong>di</strong>es del New England<br />
Conservatory annovera fra i suoi<br />
primi alunni nomi come Stanton Davis e<br />
Ricky Ford per poi proseguire con <strong>music</strong>isti<br />
che hanno presto assunto una posizione<br />
<strong>di</strong> grande rilievo sulla scena<br />
internazionale, come Anthony Coleman,<br />
Marilyn Crispell, Satoko Fujii, Steve Lacy,<br />
Fred He<strong>rs</strong>ch, Martin Ehrlich, Jerome Harris,<br />
Michael Moore e Bo Winiker.<br />
A coronare la storia dei Jazz Stu<strong>di</strong>es,<br />
la nomina a Jazz Maste<strong>rs</strong> del National Endowment<br />
for the Arts <strong>di</strong> alcuni dei suoi<br />
docenti più eminenti: il fondatore Gunther<br />
Schuller, il compositore, trombonista<br />
e <strong>di</strong>rettore d’orchestra Bob Brookmeyer,<br />
il pianista e <strong>di</strong>rettore George Russel, da<br />
poco scompa<strong>rs</strong>o e che ha a lungo prestato<br />
la sua opera <strong>di</strong> docente all’interno del<br />
NEC, il pianista e poeta Cecil Taylor, uno<br />
Il Campus del NEC - foto per concessione del New England Conservatory<br />
dei padri fondatori del free <strong>jazz</strong>, ed il<br />
contrabbassista <strong>Ron</strong> Carter.<br />
Promotore <strong>di</strong> oltre 600 concerti all’anno,<br />
il New England Conservatory è la<br />
scuola in<strong>di</strong>pendente <strong>di</strong> <strong>music</strong>a più antica<br />
degli Stati Uniti, fondata nel 1867 da Eben<br />
Tourjee, che si propone dunque come realtà<br />
storica nel panorama delle scuole<br />
professionali <strong>di</strong> <strong>music</strong>a, <strong>di</strong>stintasi per il<br />
rigore dei suoi programmi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e per<br />
il nutrito numero <strong>di</strong> rinomati artisti che<br />
in qualche modo a questa realtà sono legati,<br />
come studenti formatisi presso il<br />
NEC, docenti o anche organizzatori. In<br />
questo contesto gli stu<strong>di</strong> al NEC si sono<br />
sempre basati sulla cultura e sull’arte<br />
dell’improvvisazione, vera anima dell’esperienza<br />
<strong>jazz</strong>, della creatività e della<br />
sperimentazione. La tra<strong>di</strong>zione scolastica,<br />
basata sulla fusione fra classico e<br />
<strong>jazz</strong>, promuove gli studenti anche attrave<strong>rs</strong>o<br />
un programma ra<strong>di</strong>ofonico settimanale<br />
chiamato “From the Top”.<br />
Un esempio, quello del New England<br />
Conservatory, <strong>di</strong> una storica tra<strong>di</strong>zione<br />
capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffonde<strong>rs</strong>i e <strong>di</strong> evolve<strong>rs</strong>i a livello<br />
internazionale muovendosi ve<strong>rs</strong>o il<br />
futuro della <strong>music</strong>a.
L’aperitivo in <strong>jazz</strong> della Milano da bere<br />
<strong>di</strong> Alberto Francavilla<br />
Nozze d’argento per “Aperitivo in concerto”,<br />
rassegna milanese giunta all’e<strong>di</strong>zione<br />
numero 25. Un festival che<br />
<strong>di</strong>mostra come qualunque momento sia<br />
buono per la <strong>music</strong>a, e allora nel capoluogo<br />
lombardo, la “Milano da bere”,<br />
anche il momento dell’aperitivo può essere<br />
appropriato per ascoltare un buon<br />
concerto o per assistere ad uno spettacolo<br />
intrigante.<br />
Gli appuntamenti saranno mattutini,<br />
in un orario che ad alcuni sembrerà inusuale:<br />
chi salirà sul palco del Teatro<br />
Manzoni tra il 2 novembre e il 14 marzo<br />
lo farà alle 11, anche se non mancano<br />
due appuntamenti serali in prime time.<br />
E sarà proprio una soirée quella del<br />
primo appuntamento, che vede il gra<strong>di</strong>to<br />
ritorno in Italia <strong>di</strong> Sonny Rollins esibi<strong>rs</strong>i<br />
in sestetto.<br />
La manifestazione porterà sul palco<br />
eventi <strong>music</strong>ali, ma anche rea<strong>di</strong>ng e<br />
“performing arts” provenienti da <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e<br />
tra<strong>di</strong>zioni. Sarà interessante, ad esempio,<br />
ascoltare il 29 novembre Vinicio Ca-<br />
“Italian Jazz Days” al Jazz at Lincoln Center<br />
<strong>di</strong> Andrew Rigmore<br />
Se c’è un luogo a New York che vuol<br />
essere punto <strong>di</strong> riferimento per il <strong>jazz</strong>,<br />
questo è certamente il Jazz at Lincoln<br />
Center. Parliamo ovviamente del <strong>jazz</strong> più<br />
tra<strong>di</strong>zionale, non a caso a <strong>di</strong>rigere la benemerita<br />
istituzione è il pala<strong>di</strong>no della<br />
tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica Wynton Ma<strong>rs</strong>alis.<br />
Se delle battaglie condotte dal rinomato<br />
trombettista <strong>di</strong> New Orleans e<br />
“collezionista” <strong>di</strong> Grammy tutti sono a<br />
conoscenza, notizia passata invece un<br />
po’ in sor<strong>di</strong>na è che a capo della Programmazione<br />
artistica del JaLC è dal<br />
2007 il pianista — nato in Germania ma<br />
italianissimo — Antonio Ciacca. Ed è grazie<br />
alla sua iniziativa ed al lavoro <strong>di</strong> promozione<br />
dell’Istituto Italiano <strong>di</strong> Cultura<br />
che dal 12 al 17 ottobre si terrà a New<br />
York la prima e<strong>di</strong>zione dell’“Italian Jazz<br />
Days”, festival che pone al centro della<br />
scena il made in Italy della <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>.<br />
Prodotta infatti dall’Istituto Italiano<br />
<strong>di</strong> Cultura e dal Jazz at Lincoln Center,<br />
possela mentre recita stralci <strong>di</strong> “A night<br />
in the old Marketplace”, opera teatrale<br />
tratta da un testo dello scrittore yid<strong>di</strong>sh<br />
Y. L. Peretz. Il cantautore sarà accompagnato<br />
dal trombettista Frank London e<br />
dal cantante in<strong>di</strong>ano Manu Narayan.<br />
Il tema in programma quest’anno è<br />
quello del viaggio. Viaggio inteso sia<br />
come spostamento geografico che come<br />
contaminazione <strong>di</strong> arti e generi. Esprime<br />
benissimo questa istanza il progetto del<br />
pianista in<strong>di</strong>ano Vijay Iyer, accompagnato<br />
dal rapper americano Mike Ladd, che <strong>music</strong>herà<br />
alcune lettere inviate dai militari<br />
statunitensi dall’Iraq (7 febbraio).<br />
La tra<strong>di</strong>zione del Nuovo Continente si<br />
mescola a quella africana in altri due<br />
appuntamenti: quello del 24 gennaio<br />
con la Either Orchestra guidata dal sassofonista<br />
Russ Ge<strong>rs</strong>hon,che comprende<br />
importanti <strong>music</strong>isti etiopi come Mulatu<br />
Astakte e Mahmoud Ahmed; oppure il<br />
concerto del 31 gennaio, in cui Hamid<br />
Drake riscoprirà la tra<strong>di</strong>zione caraibica<br />
e giamaicana con i Bindu.<br />
la rassegna ospiterà nelle due location<br />
del Dizzy’s Club Coca Cola e della sede<br />
dello stesso Istituto Italiano <strong>di</strong> Cultura<br />
popolari esponenti del <strong>jazz</strong> italiano,<br />
quali Rosario Giuliani, Gianluca Renzi,<br />
Ada Rovatti, Paolo Recchia, Battista<br />
Giordano, Lucio Ferrara, Nicola Angelucci,<br />
Luca Santaniello, Marco Panascia,<br />
Paola Puggioni nonché alcuni <strong>jazz</strong>isti <strong>di</strong><br />
evidente origine italiana e chiara fama<br />
come Joey De Francesco, George Garzone,<br />
Joseph Lepore, Jeremy Manasia<br />
ed altri.<br />
Il festival nasce esattamente con l’intento<br />
<strong>di</strong> perpetuare quel rapporto fra<br />
immigranti italiani e <strong>jazz</strong> che si è instaurato<br />
fin dall’inizio del XX secolo e ha<br />
visto fra i protagonisti <strong>di</strong> questa <strong>music</strong>a<br />
Nick La Rocca, primo nel 1916 ad incidere,<br />
insieme ad altri connazionali, un<br />
<strong>di</strong>sco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. In seguito non sono mancati<br />
ulteriori importanti contributi da<br />
parte <strong>di</strong> altre rilevanti figure <strong>di</strong> Italo-<br />
highlightsss<br />
Sonny Rollins<br />
Il 16 novembre torna John Zorn, ospite<br />
quasi fisso del festival: il suo gruppo Masada<br />
ripercorrerà le vie dell’ebraismo<br />
con la guest star Joe Lovano, mentre il<br />
13 <strong>di</strong>cembre largo all’Hypnotic Brass Ensemble,<br />
orchestra d’ottoni da Chicago.<br />
Il 14 febbraio i fiati del World Saxophone<br />
Quartet si uniranno alle percussioni<br />
dei M’Boom. Infine ancora <strong>jazz</strong>,<br />
quello con la “J” maiuscola: l’8 novembre<br />
Miroslav Vitous, Franco Ambrosetti e<br />
Michel Portal omaggeranno i Weather Report,<br />
mentre il Stanley Cowell Trio chiuderà<br />
le danze il 14 marzo.<br />
Antonio Ciacca<br />
Americani, quali Ed<strong>di</strong>e Lang, Joe Venuti,<br />
Joe Pass, Pete Rugolo ed altri. Oggi<br />
quella tra<strong>di</strong>zione viene portata avanti<br />
da fuoriclasse rispondenti al nome <strong>di</strong><br />
Joe Lovano, Jerry Bergonzi, Dave Santoro,<br />
John Patitucci, Pat Martino, giusto<br />
per citarne solo alcuni.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 7
Gebhard Ullmann<br />
instancabile molteplicità<br />
Da dove deriva Basement Research,<br />
il nome del gruppo, e qual<br />
è il significato <strong>di</strong> “Don’t Touch<br />
My Music”, titolo dell’album?<br />
Il nome del gruppo si riferisce alla<br />
ricerca del limite più basso<br />
“<br />
dell’estensione tonale.<br />
Che è anche il motivo per<br />
il quale la strumentazione<br />
include il clarinetto basso<br />
ed il sax tenore, il trombone<br />
ed il sax baritono.<br />
L’organico originale, in effetti,<br />
era costituito da clarinetto<br />
basso, sax tenore,<br />
un secondo tenore ed un<br />
bel po’ <strong>di</strong> archi scritti. Trovavo<br />
che “Don’t Touch My<br />
Music” fosse un titolo appropriato<br />
al giorno d’oggi<br />
in ragione <strong>di</strong> tutto questo movimento<br />
retrò che si va facendo<br />
strada in molti campi della cultura.<br />
La mia sensazione è che<br />
spessissimo non si guar<strong>di</strong> ad un<br />
avanzamento o al tentativo <strong>di</strong> tro-<br />
vare qualcosa <strong>di</strong> nuovo, ma solo a<br />
come si può vendere o quale possa<br />
essere la strategia <strong>di</strong> mercato. E<br />
questo è vero per il <strong>jazz</strong> ma anche<br />
per altre forme <strong>di</strong> cultura.<br />
Dovrebbe esserci<br />
un’energia comune sul palco<br />
ed anche fuori dal palco,<br />
perché la chimica è importante<br />
Se <strong>di</strong>spongo <strong>di</strong> cinque <strong>music</strong>isti<br />
il risultato può venire moltiplicato<br />
più che per cinque<br />
Perché far uscire due Cd <strong>di</strong>stinti<br />
anziché un doppio Cd?<br />
Semplicemente perché un doppio<br />
Cd ha un prezzo <strong>di</strong> copertina<br />
più elevato. Inoltre perché pe<strong>rs</strong>onalmente<br />
i Cd doppi non mi<br />
<strong>di</strong> Alain Drouot<br />
foto <strong>di</strong> Juan-Carlos Hernández<br />
Sassofonista, clarinettista basso, flautista, compositore e <strong>di</strong>rettore,<br />
il giovane ultracinquantenne resta fra le figure più inquiete della scena <strong>music</strong>ale europea<br />
Un polistrumentista mai pago e sempre alla ricerca <strong>di</strong> nuovi stimoli<br />
con una spiccata propensione per i registri bassi, non soltanto nei suoi strumenti<br />
esce adesso con “Don’t Touch My Music”, un live in due volumi con il suo nuovo Basement Research<br />
Ma c'è da giurare che stia già pensando ad altro<br />
hanno mai preso. Ed infine perché<br />
per tanto tempo uno dei miei<br />
<strong>di</strong>schi preferiti è stato il “Live at<br />
the Lighthouse” <strong>di</strong> Elvin Jones ed<br />
era pubblicato in Volume 1 e Volume<br />
2. Così, non si tratta<br />
<strong>di</strong> una novità, è già stato<br />
fatto in precedenza.<br />
Rispetto a molti degli<br />
altri tuoi progetti, come<br />
Clarinet Trio, The<br />
Swell/Ullmann Quartet o<br />
Conference Call, nel<br />
co<strong>rs</strong>o degli anni Basement<br />
Research ha visto<br />
un certo avvicendamento<br />
<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti. C’è<br />
una spiegazione e quali<br />
” sono le caratteristiche<br />
che cerchi in un <strong>music</strong>ista perché<br />
possa <strong>di</strong>ventare membro <strong>di</strong><br />
questa band?<br />
Be’, voglio che la band sia una<br />
band. Dovrebbe esserci un’energia<br />
comune sul palco ed anche<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 9
fuori dal palco, perché la chimica<br />
è importante. C’è poi il fatto <strong>di</strong><br />
suonare sul momento, e <strong>di</strong> eseguire<br />
i miei arrangiamenti e sposta<strong>rs</strong>i<br />
da uno all’altro. Se<br />
<strong>di</strong>spongo <strong>di</strong> cinque <strong>music</strong>isti il risultato<br />
può venire moltiplicato<br />
più che per cinque; può essere<br />
moltiplicato per sei o sette, e<br />
questo è proprio ciò che vado<br />
cercando. Ognuno deve essere<br />
all’altezza della situazione. All’inizio<br />
i cambiamenti nella composizione<br />
della band erano dovuti<br />
alle ragioni pe<strong>rs</strong>onali <strong>di</strong> alcuni<br />
dei <strong>music</strong>isti con i quali suonavo.<br />
Inoltre, certe volte aveva a che<br />
fare con la <strong>di</strong>sponibilità o piuttosto<br />
con la non-<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> alcuni<br />
dei <strong>music</strong>isti che facevano<br />
parte della band. Quando capitava<br />
qualcosa <strong>di</strong> questo tipo io<br />
coglievo l’occasione per passare<br />
su un perco<strong>rs</strong>o <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o. Per esempio,<br />
sono passato da uno schieramento<br />
a due sax tenori ad uno<br />
con meno fiati. Quando ho iniziato<br />
con il progetto Basement<br />
Research, in giro c’erano poche<br />
band con due tenori. Dopo<br />
l’uscita dei primi tre Cd del<br />
gruppo, un sacco <strong>di</strong> altri <strong>music</strong>isti<br />
hanno cominciato ad usare quella<br />
stessa formula. Perciò, ho ritenuto<br />
che fosse tempo <strong>di</strong> avviare<br />
la band ve<strong>rs</strong>o qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o.<br />
Come polistrumentista, inizi un<br />
progetto basandoti sugli strumenti<br />
che vuoi utilizzare? Scrivi<br />
la <strong>music</strong>a avendo in mente uno<br />
specifico strumento?<br />
Sì, scrivo sempre per degli strumenti<br />
in particolare, ma in un secondo<br />
momento potrei anche<br />
decidere <strong>di</strong> usare alcune delle<br />
composizioni per altri strumenti<br />
o anche altre formazioni. Di solito<br />
all’inizio faccio suonare le<br />
mie composizioni da uno dei miei<br />
progetti con strumenti a fiato,<br />
ma talvolta può avvenire <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>amente.<br />
Per esempio, i brani<br />
dell’album “Kreuzberg Park East”<br />
<strong>di</strong> Basement Reaserch sono stati<br />
10 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
tutti scritti a New York City. All’epoca<br />
la formazione includeva<br />
Ellery Eskelin al sax tenore, Drew<br />
Gress al contrabbasso e Phil Haynes<br />
alla batteria. Successivamente,<br />
decisi <strong>di</strong> usare alcune <strong>di</strong><br />
quelle composizioni per il mio<br />
Clarinet Trio. Il nuovo materiale<br />
che si trova su “Don’t Touch My<br />
Music” è stato scritto tutto<br />
avendo in mente quella specifica<br />
formazione [cfr. recensione]. A<br />
“<br />
Adoro il timbro<br />
grave dei fiati, così<br />
come adoro abbinare<br />
i bassi fra loro<br />
Mi piace l’impasto<br />
sonoro che crea<br />
una sezione<br />
<strong>di</strong> clarinetti bassi<br />
Mi ha sempre<br />
intrigato la relazione<br />
fra il registro basso<br />
dei miei strumenti<br />
ed il trombone<br />
”<br />
proposito, abbiamo provato molti<br />
dei nuovi pezzi <strong>di</strong> pomeriggio, a<br />
Cracovia, e per la prima volta li<br />
abbiamo eseguiti proprio la sera<br />
in cui sono stati registrati.<br />
Secondo la tua esperienza,<br />
quali sono le principali <strong>di</strong>fferenze<br />
fra i <strong>music</strong>isti americani<br />
e quelli europei e tedeschi?<br />
Oggi queste <strong>di</strong>fferenze sembrano<br />
parecchio sfumate, soprattutto<br />
grazie alla possibilità<br />
<strong>di</strong> viaggiare che permette più<br />
scambi fra i <strong>music</strong>isti, e ad un<br />
più facile accesso alla <strong>music</strong>a,<br />
penso per esempio ai servizi in<br />
rete. C’è una certa rudezza nel<br />
modo in cui i <strong>music</strong>isti americani<br />
trattano un certo gruppo, cosa<br />
che mi piace. Ovviamente il<br />
background culturale è <strong>di</strong>fferente:<br />
questo aspetto lo si può<br />
sentire in modo particolare<br />
quando si ascolta il free.<br />
Molto spesso gli Europei impiegano<br />
molto tempo a fare il<br />
soundcheck ed ottenere il<br />
suono desiderato, mentre gli<br />
Americani si limitano appena a<br />
sistema<strong>rs</strong>i e poi subito suonano.<br />
Ti risulta?<br />
Potresti aver ragione. Ci potrebbe<br />
essere una regola generale,<br />
ma come per tutte le regole<br />
ci sono poi molte eccezioni. Confrontando<br />
i gruppi <strong>di</strong> Berlino e<br />
quelli <strong>di</strong> New York tuttavia non riscontro<br />
alcuna <strong>di</strong>fferenza significativa<br />
a riguardo.<br />
Probabilmente non sono molti a<br />
sapere che hai stu<strong>di</strong>ato anche<br />
per <strong>di</strong>ventare me<strong>di</strong>co. Se ce<br />
n’è, quali sono gli elementi <strong>di</strong><br />
quei tuoi stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina che<br />
hai potuto utilizzare nel tuo lavoro<br />
<strong>di</strong> <strong>music</strong>ista?<br />
Non sono un me<strong>di</strong>co perché non<br />
ho terminato gli stu<strong>di</strong> e quin<strong>di</strong><br />
non ho mai preso la laurea — ma<br />
c’è mancato poco! Direi che<br />
quella è stata una parte <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a<br />
<strong>di</strong> me, <strong>di</strong> molto tempo fa. E<br />
quin<strong>di</strong> non vedo nessuna correlazione<br />
con la mia <strong>music</strong>a.<br />
Come ricordavi prima, hai suonato<br />
e riarrangiato alcune delle<br />
tue composizioni per <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i<br />
tuoi progetti. Perché nel caso<br />
del Big Band Project hai invece<br />
deciso <strong>di</strong> chiedere ad altri <strong>music</strong>isti<br />
<strong>di</strong> arrangiare le tue composizioni?<br />
Il motivo è abbastanza semplice.<br />
Volevo essere concentrato a suonare<br />
i miei strumenti. Dirigere
una big band, essere il principale solista ed arrangiare<br />
la <strong>music</strong>a mi sembra un po’ troppo ambizioso,<br />
anche per me. Credevo pure che sarebbe stato interessante<br />
avere input <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i da alcuni miei amici<br />
<strong>di</strong> <strong>music</strong>a e scoprire come essi avrebbero visto le<br />
mie composizioni. Penso che il risultato sia stato<br />
proprio gran<strong>di</strong>oso. E sì, mi piacerebbe farlo <strong>di</strong><br />
nuovo, perché quanto è frequente poter avere l’opportunità<br />
<strong>di</strong> registrare con una big band? E soprattutto<br />
con una big band <strong>di</strong> duel tipo?<br />
Come descriveresti l’approccio <strong>di</strong> quei <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i arrangiatori<br />
— Satoko Fujii, Chris Dahlgren, Andy<br />
Elmer ed Guenter Lenz — alla tua <strong>music</strong>a? Ed in<br />
cosa li senti <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i dal tuo approccio?<br />
L’idea era <strong>di</strong> portare ad un forte punto <strong>di</strong> contrasto<br />
ciò che già era presente nelle mie composizioni. Ho<br />
proposto allora <strong>di</strong> rafforzare questi elementi<br />
aprendo ai tipici gruppi delle big band — fiati, ottoni,<br />
ecc., — ed impiegandoli più come in un lavoro<br />
<strong>di</strong> <strong>music</strong>a da camera contemporanea, svolgendo secondo<br />
un determinato arrangiamento più <strong>di</strong> una<br />
mia composizione. Loro hanno seguito questo perco<strong>rs</strong>o<br />
ed esteticamente il risultato è stato abbastanza<br />
sod<strong>di</strong>sfacente. Ovviamente, se si guarda ai<br />
loro arrangiamenti nei dettagli si noterà che sono<br />
<strong>di</strong>fferenti da come li avrei fatti io, ma sono io che<br />
ho fornito loro l’idea che <strong>di</strong>cevo poca’anzi, in modo<br />
da dar loro una in<strong>di</strong>cazoine generale. Sempre io ho<br />
scelto le composizioni e le ho assegnate a ciascuno<br />
dei <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i arrangiatori. Quin<strong>di</strong>, come è facile vedere,<br />
il mio ruolo non è stato affatto neutrale.<br />
Puoi descrivere la tua propensione per il registro<br />
basso, espressa in particolare nel progetto<br />
Bassx3, con Chris Dahlgren and Clayton Thomas?<br />
Adoro il timbro grave dei fiati, così come adoro<br />
abbinare i bassi fra loro. Infatti, mi piace tantissimo<br />
l’impasto sonoro che crea una sezione <strong>di</strong> clarinetti<br />
bassi, come nel Tá Lam project. Infine,<br />
come in<strong>di</strong>cano molti dei miei più recenti progetti,<br />
mi ha sempre intrigato la relazione fra il registro<br />
basso dei miei strumenti ed il trombone. Si può<br />
ascoltare qualcosa anche cercando alcuni dei nostri<br />
video su Youtube.<br />
Hai lavorato con <strong>music</strong>isti italiani come Enrico<br />
Rava o anche la pianista Rita Marcotulli. Come vi<br />
siete incontrati e qual è stata la natura della vostra<br />
collaborazione con ciascuno <strong>di</strong> loro?<br />
Con Enrico Rava ho fatto un paio <strong>di</strong> concerti che<br />
sono sfociati poi in un album alla fine degli anni ’80,<br />
Rava/Ullmann/Wille<strong>rs</strong>/Lillich/Schäuble per l’etichetta<br />
Nabel. Lo invitammo ad uni<strong>rs</strong>i al nostro<br />
quartetto che si chiamava Out to Lunch, residente<br />
a Berlino Ovest. Si lavorò così bene che facemmo<br />
una session <strong>di</strong> registrazione seguita da un tour con<br />
il chitarrista Andreas Wille<strong>rs</strong>, il bassista Martin Lil-<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 11
lich ed il batterista Nikolaus Schäuble. In quegli<br />
stessi anno, fra l’89 ed il ’90, ho cambiato il mio<br />
orientamento <strong>music</strong>ale. Berlino stava attrave<strong>rs</strong>ando<br />
alcuni cambiamenti importanti come città. Così<br />
presi il clarinetto basso ed iniziai il Tá Lam Project.<br />
A ripensarci, quest’album è un ottimo esempio <strong>di</strong><br />
come io fossi al passo con i tempi. Quanto a Rita<br />
Marcotulli, era nell’European Ra<strong>di</strong>o Jazz Orchestra.<br />
All’epoca, era il ’90 o il ’91, io ero il <strong>music</strong>ista tedesco<br />
del gruppo. Ed è pure lì che ho incontrato<br />
Hans Hassler che <strong>di</strong>venne poi uno dei membri stabili<br />
<strong>di</strong> Tá Lam, e Andy Emler che poi sarebbe stato uno<br />
degli arrangiatori chiamati per il Big Band Project.<br />
Nel 2007 hai celebrato il tuo 50° compleanno<br />
con una serie <strong>di</strong> tour. A questo punto della tua<br />
carriera, quali sono gli obiettivi <strong>music</strong>ali che desideri<br />
ancora raggiungere?<br />
Mi muovo sempre in avanti. A questo punto mi piacerebbe<br />
registrare dei nuovi lavori con il Tá Lam<br />
Project ed il Clarinet Trio. Sono stato molto tempo<br />
in tournée con questi gruppi ma è tanto che non registro<br />
nulla con loro. Un nuovo repertorio per il Clarinet<br />
Trio è in co<strong>rs</strong>o d’opera; infatti, ho scritto la<br />
<strong>music</strong>a lo sco<strong>rs</strong>o mese, e dopo un periodo <strong>di</strong> pausa<br />
piuttosto lungo sto pianificando un quarto album.<br />
Sto anche lavorando ad un Cd su Charles Mingues<br />
12 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
con il mio Tá Lam Project, coinvolgendo per lo più<br />
<strong>music</strong>isti residenti a Berlino, ed abbiamo debuttato<br />
come Tá Lam 11 proprio lo sco<strong>rs</strong>o settembre.<br />
Quin<strong>di</strong> faremo quattro concerti questo autunno e<br />
speriamo <strong>di</strong> registrare il Cd il prossimo febbraio,<br />
per l’etichetta berlinese Jazzwerkstatt. Inoltre,<br />
Steve Swell ed io abbiamo fatto una splen<strong>di</strong>da registrazione<br />
con il nostro quartetto, quello con Hilliard<br />
Greene al basso e Barry Al<strong>rs</strong>chul alla batteria.<br />
Sto pure lavorando a vari progetti che non prevedono<br />
<strong>music</strong>a scritta e sono basati sull’improvvisazione<br />
concettuale free, come stanno pensando<br />
<strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i compositori che improvvisano insieme.<br />
Anche quest’anno, come l’anno passato, ho fatto<br />
un certo numero <strong>di</strong> concerti lavorando in questa <strong>di</strong>rezione.<br />
Tutti qui a Berlino.<br />
Quali cambiamenti hai potuto riscontrare nella<br />
scena berlinese degli ultimi anni ed in particolare<br />
dopo la caduta del muro?<br />
Be’, adesso è una grande scena. Molta gente proveniente<br />
da varie parti del mondo si è trasferita<br />
qui, ogni settimana nuovi gran<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti — <strong>di</strong><br />
fatto non soltanto <strong>music</strong>isti ma in generale molti<br />
artisti <strong>di</strong> tutti i tipi! — si trasferiscono in città. E la<br />
cosa più affascinante è che mi trovo proprio nel bel<br />
mezzo <strong>di</strong> quello che sta succedendo in questo mo-
mento. Letteralmente, posso anche passeggiare<br />
andando a molti spettacoli.<br />
Hai appena detto che molti artisti, non soltanto<br />
<strong>music</strong>isti, si stanno trasferendo a Berlino. Stai lavorando,<br />
o hai in rogramma <strong>di</strong> lavorare, con artisti<br />
anche in campi artistici <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i dalla <strong>music</strong>a?<br />
Di tanto in tanto lavoro con attori come Otto Sander.<br />
Sono anche coinvolto in alcuni dei progetti<br />
del compositore turco Tayfun Erdem. Sono progetti<br />
che coinvolgono in qualche modo letteratura<br />
e narrazione.<br />
E ci sono altre forme artistiche che influenzano<br />
o ispirano la tua <strong>music</strong>a? In che misura?<br />
Da qualche tempo suono all’apertura <strong>di</strong> mostre e<br />
uso <strong>di</strong>pinti o sculture, che è anche meglio, per ispirarmi.<br />
Sono un vorace lettore, ma devo confessare<br />
che non credo che i libri che leggo ispirino la mia<br />
<strong>music</strong>a ad un livello <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o da quello intellettuale.<br />
La cosa è invece <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a per tutto ciò che è visio,<br />
come quadri, foto, film o video. Dunque talvota uso<br />
questi elementi o lavori visivi come ispirazione per<br />
scrivere un pezzo. Il modo in cui i film ed i video<br />
sono montati sta cambiando. Oggi l’e<strong>di</strong>ting fornisce<br />
un ritmo più veloce che in passato e ritengo che<br />
questo rifletta la nostra percezione generale così<br />
come il nostro ambiente che sono cambiati profondamente<br />
negli ultimi decenni. Penso che in qualche<br />
modo anche nella <strong>music</strong>a dobbiamo fare i conti con<br />
questo aspetto. Dobbiamo adattarci a questi nuovi<br />
meto<strong>di</strong> oppure andare in <strong>di</strong>rezione opposta.<br />
GEBHARD ULLMANN BASEMENT RESEARCH<br />
DON’T TOUCH MY MUSIC VOL.1 & VOL. 2<br />
(NOT TWO RECORDS - 2009)<br />
Gebhard Ullmann (cl.bs, st),<br />
Julian Argüelles (ss, s.br), Steve Swell (trb),<br />
John Hebert (bs), Gerald Cleaver (bt)<br />
VVooll.. 11<br />
Dreierlei<br />
Don’t Touch My Music<br />
Kleine Figuren No.2<br />
Kleine Figuren No.3<br />
VVooll.. 22<br />
Das Blaue Viertel<br />
Kleine Figuren No.1<br />
New No Ness<br />
Kreuzberg Park East<br />
Don’t Touch Our Music<br />
Nel 2007, come parte dei festeggiamenti<br />
del suo 50° compleanno, l’ancista tedesco<br />
Gebhard Ullmann decideva <strong>di</strong> rodare il suo<br />
Basement Research appena riorganizzato,<br />
un progetto che aveva accantonato per<br />
qualche tempo per concentra<strong>rs</strong>i, in particolare,<br />
sul suo quartetto con il trombonista<br />
Steve Sewll e su Conference Call. Con la<br />
nuova veste, Ullmann passa dalla formazione<br />
con due tenori che aveva utilizzato<br />
in passato a quella dai toni più vari ed<br />
estesi che include Swell e Julian Argüelles<br />
ai sax soprano e baritono. L’impiego <strong>di</strong> una<br />
nuova sezione ritmica con due <strong>music</strong>isti<br />
molto richiesti quali il bassista John Herbert<br />
ed il batterista Gerald Clevaer, fornisce<br />
l’occasione perché il progetto possa<br />
prendere una nuova <strong>di</strong>rezione. Nel co<strong>rs</strong>o<br />
dei due <strong>di</strong>schi, la band presenta insieme<br />
materiale <strong>di</strong> nuova ideazioni e qualche<br />
vecchio brano pre<strong>di</strong>letto come Dreierlei o<br />
New No Ness, già contenuti nell’album che<br />
la band aveva registrato in stu<strong>di</strong>o nel 2005<br />
(“New Basement Research”, SoulNote). I<br />
nuovi brani non sfigurano affatto al confronto,<br />
e forniscono anche qualche gra<strong>di</strong>ta<br />
nota <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza. Kleine Figuren No.2 for-<br />
nisce un tocco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> Sudafricano e Argüelles<br />
al baritono <strong>di</strong>spiega un impressionante<br />
range con un tono soave a tratti sorprendente.<br />
Il <strong>di</strong>screto andamento funk <strong>di</strong> Kleine<br />
Figuren No.1 si fa più esplicito in Kleine Figuren<br />
No.3 laddove i fiati si abbandonano<br />
ad un serrato e solido groove costruito da<br />
Herbert e Cleaver. Il mood non è comunque<br />
sempre e continuamente gioviale o tumultuoso.<br />
Das Blaue Viertel è un blues ra<strong>di</strong>cato<br />
nella tra<strong>di</strong>zione, ma resta non<br />
convenzionale nella misura in cui si gioca<br />
sulla destrutturazione, fornendo spazio<br />
anche per Swell ed il suo tellurico trombone.<br />
Ed in aggiunta a ciò la title-track mostra<br />
come il gruppo sappia anche dar vita a<br />
momenti <strong>di</strong> introspezione. Ullmann si avvale<br />
<strong>di</strong> tre strumenti principali per esplorare<br />
nuove idee <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo e contrappunto.<br />
Una <strong>di</strong> queste è abbinare due strumenti e<br />
contrapporli ad un terzo a mo’ <strong>di</strong> call-andresponse.<br />
Ma il suo vero talento si <strong>di</strong>rebbe<br />
essere la sua capacità a tirare fuori il meglio<br />
dai suoi <strong>music</strong>isti. Il quintetto è così a<br />
proprio agio che fa risaltare tutto lo humour<br />
<strong>di</strong> Kreuzberg Park East, un altro cavallo<br />
<strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Ullmann._Al.Dr.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 13
GUIDO MAZZON<br />
l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />
<strong>di</strong> Enzo Bod<strong>di</strong><br />
foto <strong>di</strong> Giorgio Alto<br />
Figura centrale nell'area della <strong>music</strong>a improvvisata in Italia ed Europa<br />
poi colonna dell'Italian Instabile Orchestra<br />
il trombettista milanese si racconta in un libro e nella performance abbinata:<br />
le ra<strong>di</strong>ci friulane, l'influenza decisiva del cugino Pier Paolo Pasolini<br />
il coinvolgimento nella free <strong>music</strong> europea, la propria filosofia <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong>sciplina in <strong>music</strong>a<br />
Partiamo da “La tromba a cilindri” e dal relativo spettacolo.<br />
Quali reazioni hai constatato tra il pubblico?<br />
È stata un’esperienza liberatoria e stimolante.<br />
Quando si scambiano i ruoli predefiniti, le parole e<br />
la <strong>music</strong>a acquistano maggiore incisività e fascino. Il<br />
pubblico delle librerie, delle biblioteche e delle rassegne<br />
letterarie si è lasciato trasportare ed emozionare<br />
dalla <strong>music</strong>a, dal gesto danzato e dalle parole.<br />
L’attenzione è stata sorprendentemente più alta rispetto<br />
ad ambiti prettamente concertistici.<br />
Quali elementi dell’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini<br />
ritieni <strong>di</strong> aver assorbito nella tua <strong>music</strong>a?<br />
La determinazione e la passione quasi iconoclasta<br />
per scelte artistiche che mi hanno collocato spesso<br />
“fuori dal coro”; il coraggio <strong>di</strong> esprimere ed affermare<br />
la mia autenticità. In sostanza, l’esigenza <strong>di</strong><br />
provocare la creatività che scuote dalla stagnazione<br />
e trasgre<strong>di</strong>sce la banalità <strong>di</strong>lagante.<br />
Nel libro citi il furlan come fonte <strong>di</strong> ispirazione<br />
<strong>music</strong>ale. La sua influenza si concretizza fo<strong>rs</strong>e<br />
nella tua propensione all’essenzialità?<br />
Pasolini è innanzitutto un poeta e dunque per lui la<br />
manipolazione-trascrizione della parola <strong>di</strong>alettale ha<br />
un valore <strong>di</strong> amore per la tra<strong>di</strong>zione, conoscitivo ed<br />
14 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
al tempo stesso creativo. L’antico friulano che lui per<br />
primo aveva trascritto è <strong>di</strong>ventato lingua poetica, incisiva,<br />
essenziale, ricca <strong>di</strong> molteplici sfumature timbriche<br />
e ritmiche. Questa è l’influenza nascosta che si<br />
esplicitò in un’apparente improbabile assonanza con il<br />
primo <strong>di</strong>sco dell’Art Ensemble of Chicago, ascoltato<br />
nel ’68. Da giovane ero affascinato dal turbinio delle<br />
note, oggi sono più attratto dalla <strong>music</strong>a che allude,<br />
evoca. Suono e scrivo per sottrazione, non ho la necessità<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare od esibire, ma solo l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />
Steve Lacy e Roswell Rudd erano partiti dal <strong>jazz</strong><br />
tra<strong>di</strong>zionale. Cosa rappresenta per te la tra<strong>di</strong>zione?<br />
Ho scoperto il mondo del <strong>jazz</strong> per caso a 12 anni,<br />
ascoltando Chet Baker alla ra<strong>di</strong>o mentre prendevo le<br />
prime lezioni <strong>di</strong> tromba classica. Mi sono buttato nella<br />
storia del <strong>jazz</strong> alla scoperta <strong>di</strong> un mondo per me mitologico,<br />
cercando <strong>di</strong>schi introvabili e leggendo tutti<br />
i libri reperibili per sapere qualcosa <strong>di</strong> Buddy Bolden,<br />
King Oliver, Bix Beiderbecke, Papa Celestin, Nick La<br />
Rocca, Tommy Ladnier, Louis Armstrong, Bubber<br />
Miley, Rex Stewart, Buck Clayton, Clark Terry, Dizzy<br />
Gillespie, Donald Byrd, Shorty Roge<strong>rs</strong>, Clifford Brown.<br />
Ho tuttora impressi nella mente i suoni <strong>di</strong> tre sor<strong>di</strong>ne<br />
per tromba: la cup <strong>di</strong> Harry “Sweets” E<strong>di</strong>son, la plunger<br />
<strong>di</strong> Cootie Williams, la harmon <strong>di</strong> Miles Davis.
Come nacque il Gruppo Contemporaneo?<br />
Ascoltati l’Art Ensemble of Chicago, Cecil Taylor, Ornette<br />
Coleman, Albert Ayler, Don Cherry, mi trovai in<br />
tale sintonia con le loro idee sulla <strong>music</strong>a che mi<br />
buttai a capofitto nella new thing, confortato da<br />
Goethe che <strong>di</strong>ceva che l’uomo conosce veramente<br />
sé stesso attrave<strong>rs</strong>o l’azione, non la riflessione.<br />
Cosa significava suonare <strong>jazz</strong> in Italia negli anni a<br />
cavallo del fati<strong>di</strong>co 1968?<br />
Da un lato i <strong>music</strong>isti tra<strong>di</strong>zionali, asserragliati nei<br />
loro patterns e standards, guardavano con ostilità e<br />
timore agli alfieri del nuovo <strong>jazz</strong>; dall’altro, tipi improbabili<br />
salivano sul palco con uno strumento appena<br />
trovato e “si esprimevano”. C’era un strana e<br />
rara miscela <strong>di</strong> rigore e approssimazione. Io proseguivo<br />
imperterrito per la mia strada, confortato dalla<br />
presenza <strong>di</strong> compagni <strong>di</strong> strada come Leo Smith, Evan<br />
Parker, Andrea Centazzo, Mario Schiano, Cecil Taylor.<br />
Ricordo con affetto e nostalgia gli anni del free <strong>jazz</strong><br />
e della <strong>music</strong>a improvvisata europea che sovvertivano<br />
gli schemi classici, fatti <strong>di</strong> formule co<strong>di</strong>ficate. Si stava<br />
sviluppando una nuova corrente che si collocava tra<br />
<strong>music</strong>a contemporanea ed improvvisazione totale.<br />
Nel libro ironizzi sulla strumentale politicizzazione<br />
del <strong>jazz</strong> in Italia negli anni ’70, con le autoriduzioni<br />
e la sospensione dei festival <strong>di</strong> Umbria e Pescara.<br />
Nell’entusiasmo non si <strong>di</strong>stingueva l’opportunismo<br />
dall’esigenza reale, l’arte dalla retorica celebratoria<br />
e mistificante. Per esempio, al festival <strong>di</strong> Pescara non<br />
fecero suonare Chet perché “bianco” e “fascista” —<br />
fo<strong>rs</strong>e volevano <strong>di</strong>re “intimista”? Al Music Inn <strong>di</strong> Roma<br />
GUIDO MAZZON<br />
LA TROMBA A CILINDRI - LA MUSICA, IO E PASOLINI<br />
(IBIS- 2009)<br />
Cd e libro (con Guido Bosticco)<br />
Drops<br />
Uso del Tempo<br />
Squirrel Song<br />
Prologo<br />
Improvisation # 10<br />
Oltre la Collina, tra gli Alberi<br />
Apro il Silenzio<br />
Improvisation # 20<br />
Tale # 3<br />
Arrivo<br />
Lullaby for Duccio<br />
Il titolo trae ispirazione dallo strumento<br />
antiquato che l’un<strong>di</strong>cenne Mazzon aveva<br />
cominciato a praticare, suscitando la <strong>di</strong>vertita<br />
sorpresa del cugino Pier Paolo Pasolini,<br />
tanto da indurlo a staccare un<br />
assegno perché il piccolo Guido se ne<br />
comprasse una nuova. La lungimirante visione,<br />
a un tempo critica e creativa, <strong>di</strong><br />
Pasolini ha improntato l’evoluzione del<br />
Mazzon <strong>music</strong>ista. Punti car<strong>di</strong>ne della sua<br />
ricerca sono l’interesse per i legami tra<br />
<strong>music</strong>a, filosofia, letteratura e danza;<br />
l’amore per il furlan, lingua dei genitori<br />
trapiantati a Milano, veicolo <strong>di</strong> stimoli<br />
ritmici e timbrici; l’urgenza <strong>di</strong> definire un<br />
linguaggio autonomo in campo <strong>jazz</strong>istico,<br />
sempre guardando oltre, ma nel pieno rispetto<br />
sia della tra<strong>di</strong>zione afroamericana<br />
che del retroterra europeo. Mazzon riassume<br />
senza fronzoli e atteggiamenti autoreferenziali<br />
la propria posizione <strong>di</strong><br />
<strong>music</strong>ista fuori dalle conventicole, refrattario<br />
ai luoghi comuni <strong>jazz</strong>istici, agli intellettualismi<br />
e capace — da uomo <strong>di</strong><br />
sinistra — <strong>di</strong> prendere in giro le pretestuose<br />
interpretazioni in chiave politica<br />
suonavo in duo con Antonello Salis: Chet Baker, seduto<br />
<strong>di</strong> fronte a noi con un gran cappello da texano, ci<br />
ascolta assorto. Ad un tratto sollevo lo sguardo e non<br />
c’era più. Mi spiace <strong>di</strong> non aver avuto il tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli<br />
che nella <strong>music</strong>a, come nell’arte in generale, i veri<br />
maestri non si possono imitare, ma solo interiorizzare.<br />
del free in voga da noi negli anni ’70. Il<br />
Cd esemplifica tali concetti, coprendo un<br />
arco temporale piuttosto ampio. Fondamentali<br />
i duetti con l’antico sodale Andrea<br />
Centazzo: Prologo e Improvisation #<br />
10 (1978) evidenziano tracce <strong>di</strong> AACM<br />
nell’aggregazione <strong>di</strong> cellule e nel confronto<br />
con il silenzio; in Apro il Silenzio,<br />
del 2007, la tromba sembra quasi innalzare<br />
un canto sulla memoria <strong>di</strong> The Unanswered<br />
Question <strong>di</strong> Ives. Sempre al 1978<br />
risale Improvisation # 20, <strong>di</strong>alogo con un<br />
Lester Bowie pro<strong>di</strong>go <strong>di</strong> effetti vocali,<br />
soffiati e sberleffi, che chiama ripetutamente<br />
per nome il collega. Arrivo (1993)<br />
allinea Paul Rutherford, Renato Geremia,<br />
Rudy Migliar<strong>di</strong>, Umberto Petrin e Tiziano<br />
Tononi. Lullaby for Duccio (1992) getta<br />
un ponte tra improvvisazione e contemporanea<br />
grazie alla vocalità <strong>di</strong> Ellen Christi.<br />
In Uso del Tempo, da “When We Were<br />
Kings” (2003), Mazzon ritrova Gaetano<br />
Liguori, altro protagonista degli anni ’70,<br />
ed il drumming sciamanico, poliritmico <strong>di</strong><br />
Andrew Cyrille: perfetta sintesi del suo<br />
perco<strong>rs</strong>o artistico._En.Bo.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 15
Giorgio Gaslini, Enrico Intra e Gaetano Liguori firmarono<br />
in quegli anni opere <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scutibile valore, contrassegnate<br />
da un’esplicita valenza politica dei titoli.<br />
Io preferivo evitare la captatio benevolentiae. Mi <strong>di</strong>vertivo<br />
<strong>di</strong> più a giocare con titoli ironici o spiazzanti.<br />
Il fiorire della free <strong>music</strong> in Europa negli anni ’70<br />
fu uno strumento per affranca<strong>rs</strong>i dai modelli afroamericani<br />
o piuttosto un modo <strong>di</strong> fare tabula rasa?<br />
Entrambe le cose. Affermare la propria identità in<br />
un’ottica proiettata ve<strong>rs</strong>o nuove sintesi è stata l’idea<br />
fondante del movimento europeo della <strong>music</strong>a improvvisata.<br />
Negli anni ’70 ero così attento ad evitare<br />
le ingenuità e le vacuità insite in certe improvvisazioni<br />
torrenziali, da rasentare il freddo intellettualismo.<br />
Ho tuttora la necessità <strong>di</strong> spiazzare<br />
continuamente l’orecchio viziato dagli schemi collaudati.<br />
Procedo per libere assonanze e rimugino<br />
brandelli <strong>di</strong> <strong>music</strong>a che ricompongo in nuovi racconti.<br />
In quest’ottica, come collocheresti la tua esperienza<br />
con la Globe Unity?<br />
Ho con<strong>di</strong>viso il rigore <strong>music</strong>ale, il pacato e sereno stato<br />
d’animo dei miei colleghi europei che suonavano per<br />
la <strong>music</strong>a e non contro la <strong>music</strong>a. I concerti e le meticolose<br />
prove berlinesi esprimevano determinazione,<br />
chiarezza <strong>di</strong> idee ed orgoglio per le scelte artistiche.<br />
La cifra caratterizzante dell’improvvisazione ra<strong>di</strong>cale<br />
europea era la felice fusione <strong>di</strong> etica ed estetica.<br />
16 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
Certi <strong>music</strong>isti americani <strong>di</strong>sconoscono l’autonomia<br />
del movimento <strong>jazz</strong>istico in Europa. Qual è il<br />
tuo punto <strong>di</strong> vista?<br />
Non ha molto senso applicare il criterio <strong>di</strong> “legittimo”<br />
quando si parla <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. Il permesso <strong>di</strong> soffiare nella<br />
tromba un assolo o un tema non lo chiederei certo al<br />
manierista patinato americano <strong>di</strong> moda oggi. Rammento<br />
una colorita e tagliente e-mail dell’amico Andrea<br />
Centazzo, da molti anni trasferitosi negli States,<br />
che con rammarico ed una punta <strong>di</strong> orgoglio mi <strong>di</strong>ceva<br />
che laggiù i giovani esponenti <strong>di</strong> un certo avant <strong>jazz</strong><br />
suonano ciò che noi facevamo in Italia 30 o 40 anni fa!<br />
Negli anni ’70 fu particolarmente significativo proprio<br />
il tuo sodalizio con Centazzo.<br />
Nel ’75 io e Andrea girammo l’Europa in duo. Esperienza<br />
irripetibile perché eravamo tra i pochi a credere<br />
nell’arte dell’improvvisazione. Non abbiamo<br />
cambiato idea anche se ci de<strong>di</strong>chiamo alla composizione,<br />
alla saggistica e ad altre forme artistiche.<br />
Siamo due “ra<strong>di</strong>cali liberi”.<br />
Don Cherry e Lester Bowie hanno in qualche modo<br />
contrassegnato la tua evoluzione artistica.<br />
A Don sono grato per avermi prestato la sua pocket<br />
trumpet — da cui ho preso le misure per farmene costruire<br />
una copia nel ’72 — e per avermi comunicato<br />
la sua gioia <strong>di</strong> fare <strong>music</strong>a, <strong>di</strong> suonare poesie. Lester:<br />
il solo suono <strong>di</strong> una sua nota a mezzo pistone mi
commuove ancor oggi. Conservo gelosamente molti<br />
suoi insegnamenti sulla tromba.<br />
Com’è stato il tuo rapporto con Cecil Taylor?<br />
Ricordo benissimo lo sgomento del pubblico del Teatro<br />
Lirico <strong>di</strong> Milano al primo concerto <strong>di</strong> Cecil tanti<br />
anni fa. Io rimasi fulminato e mi <strong>di</strong>ssi: “Qui c’è tutta<br />
la storia della <strong>music</strong>a!” Anni dopo abbiamo suonato<br />
insieme a Berlino e dopo il concerto abbiamo parlato<br />
<strong>di</strong> poesia, <strong>di</strong> arte, <strong>di</strong> danza: una pe<strong>rs</strong>ona squisita.<br />
Come si spiega che non sia ancora stata intrapresa<br />
nessuna iniziativa per valorizzare l’opera <strong>di</strong> Mario<br />
Schiano?<br />
Sul piano artistico ed intellettuale Mario era un uomo<br />
geniale e creativo. Rovesciava con ironia corrosiva i<br />
valori del <strong>jazz</strong> imperante senza entrare in contrasto<br />
con la tra<strong>di</strong>zione, che pure amava appassionatamente.<br />
La sua forte carica trasgressiva era l’arma per<br />
scuotere dall’appiattimento il mondo del <strong>jazz</strong>ino,<br />
come lui <strong>di</strong>ceva. Questo ha alimentato nei suoi confronti<br />
una malcelata ostilità o al massimo una finta<br />
tolleranza. Il mancato riconoscimento della sua originalissima<br />
figura è il regalo dei “non creativi”, <strong>di</strong> coloro<br />
che scelgono l’omologazione per senti<strong>rs</strong>i protetti.<br />
Altri preziosi compagni <strong>di</strong> avventura sono stati<br />
Paul Rutherford e Radu Malfatti.<br />
A Paul ho de<strong>di</strong>cato la pubblicazione <strong>di</strong> un nostro concerto<br />
del ’93 — “Flights of Fancy”, Ictus 2007 — dove<br />
ha lasciato traccia del suo stile inarrivabile per limpidezza<br />
<strong>di</strong> idee. Era una pe<strong>rs</strong>ona dolcissima, con cui ho<br />
scambiato un sacco <strong>di</strong> idee sul campo. Con Radu ho<br />
approfon<strong>di</strong>to il senso del silenzio in <strong>music</strong>a, gli aspetti<br />
timbrici e <strong>di</strong>namici degli ottoni. A volte suonava pianissimo<br />
con un paio <strong>di</strong> sor<strong>di</strong>ne incastrate l’una nell’altra:<br />
in realtà non si u<strong>di</strong>va nulla ma si vedeva lo sforzo e ciò<br />
era già <strong>music</strong>ale. Nella mia Precarious Orchestra del<br />
’77, con il comune amico Mark Charig alla cornetta,<br />
l’interazione tra composizione ed improvvisazione<br />
passava attrave<strong>rs</strong>o un serissimo senso dello humour.<br />
Cos’hai in ponte per il prossimo futuro?<br />
Sto ultimando un saggio sul silenzio in <strong>music</strong>a, la<br />
creatività <strong>music</strong>ale e la filosofia dell’improvvisazione,<br />
da cui ho estratto alcune parti per la messa in<br />
scena <strong>di</strong> “Chai<strong>rs</strong>”, interazione tra corpo danzante,<br />
voce recitante, <strong>music</strong>a live e nastro magnetico. Sto<br />
pensando inoltre ad un progetto intitolato “Apokalipsis”,<br />
composizione “aperta” per sette trombe e<br />
contrabbasso. Mi appresto alla composizione della<br />
colonna sonora del film “Pasolini, la verità nascosta”<br />
<strong>di</strong> Federico Bruno, che dovrebbe iniziare le riprese il<br />
prossimo anno. Nel frattempo soffio nel tubo per non<br />
perdere i chops, come <strong>di</strong>ce l’amico Enrico Rava.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 17
Sei noto al pubblico italiano come pianista <strong>di</strong> Viktoria<br />
Tolstoy, cantante con la quale hai registrato cinque<br />
album, incluso il nuovo “My Russian Soul”.<br />
Per me è un enorme piacere lavorare con Viktoria. A<br />
volte devo ricordare a me stesso che è una cantante e<br />
non uno strumentista: ha un senso dell’intonazione<br />
così naturale che quando emette le note è come se<br />
premesse dei tasti sul suo collo. Ha anche un mici<strong>di</strong>ale<br />
senso del tempo, pari al suo senso dell’humour: ridere<br />
è da sempre l’essenza <strong>di</strong> questo rapporto! Come suo<br />
pianista ho arrangiato brani che lei già eseguiva, mentre<br />
insieme cerchiamo la <strong>music</strong>a che ci piace suonare.<br />
Ho pure scritto dei nuovi pezzi, alcuni per “My Swe<strong>di</strong>sh<br />
Heart”. Lavorare ad un suo nuovo Cd è sempre una<br />
sfida, perché alcuni sono album <strong>di</strong> tipo concettuale,<br />
come “My Swe<strong>di</strong>sh Heart” e “My Russian Soul”. È stato<br />
un lavoro interessante arrangiare la <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Tchaikovsky<br />
in modo che funzionasse da canzone, con una<br />
forma per improvvisarci: una questione <strong>di</strong> equilibrio.<br />
Avevi già lavorato con altre vocalist: con Lina Nylberg<br />
in duo, e Norma Winstone insieme al tuo trio.<br />
Due splen<strong>di</strong>de esperienze! Con Lina ho lavorato in<br />
modo più aperto <strong>di</strong> quanto m’era capitato con precedenti<br />
vocalist. Lina è rigida circa la sua integrità artistica,<br />
in ogni cosa, dalla scrittura dei brani e dei testi<br />
JACOB KARLZON<br />
il calore che viene dalla Svezia<br />
<strong>di</strong> Andrew Rigmore<br />
foto <strong>di</strong> Davide Susa<br />
Noto in Italia grazie alle tournée con Viktoria Tolstoy<br />
il pianista svedese ha collaborato con nomi quali Norma Winstone, Kenny Wheeler o Lina Nylberg<br />
ma ha al suo attivo anche un album <strong>di</strong> improvvisazioni su Ravel<br />
Stile nor<strong>di</strong>co ma per nulla <strong>di</strong>staccato, pre<strong>di</strong>lige il trio con possibilità <strong>di</strong> estendere le coloriture timbriche<br />
proprio come fa nel suo ultimo lavoro, “Heat”, nel quale si avvale <strong>di</strong> due brillanti fiatisti<br />
18 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
HEAT<br />
al modo in cui interpreta. Suonare con lei dal vivo è<br />
sempre una sorpresa, lei pretende <strong>di</strong> venire sorpresa,<br />
proprio come me. Abbiamo lavorato su alcuni standard<br />
che volevamo proporre in modo <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o dal solito e<br />
credo ci sia riuscito abbastanza bene! Uno dei pezzi<br />
era Some Time Ago, che Norma Winstone aveva inciso<br />
in “Somewhere Called Home”. Anche lavorare con<br />
Norma fu una fantastica esperienza, un approccio<br />
molto aperto pure il suo. Volle fare un mio brano e già<br />
questo fu un grande onore: era una canzone senza<br />
testo, dall’atmosfera alquanto misteriosa, e quando<br />
prese ad improvvisarci sopra capii imme<strong>di</strong>atamente<br />
quale enorme influenza aveva esercitato su tante vocalist.<br />
Le sue idee venivano in modo fluido e naturale.<br />
È stato grande con<strong>di</strong>videre la scena con un’artista europea<br />
così importante per questa forma d’arte in Europa.<br />
Stessa sensazione quando qualche anno dopo ho<br />
avuto la fortuna <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre il palco con Kenny Wheeler:<br />
se a questi due artisti aggiungi John Taylor, ottieni<br />
gli Azimuth, pietra miliare del <strong>jazz</strong> europeo!<br />
Il tuo sito in<strong>di</strong>ca il piano solo su Ravel con il titolo<br />
“Improvisational Three”, ma altrove figura “Piano<br />
Improvisations inspired by Ravel”: qual è corretto?<br />
Sono entrambi corretti. Si tratta <strong>di</strong> una serie in piano<br />
solo della Caprice Records intitolata “Improvisatio-
nal”, un progetto straor<strong>di</strong>nario: i pianisti registrano<br />
sullo stesso pianoforte, nello stesso stu<strong>di</strong>o, nel cuore<br />
della notte. Non insieme, però. Prima <strong>di</strong> incidere si<br />
in<strong>di</strong>vidua un’idea <strong>music</strong>ale su cui improvvisare: la mia<br />
è stata la <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Maurice Ravel. Queste particolari<br />
con<strong>di</strong>zioni obbligano ad andare in <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e da<br />
quelle ve<strong>rs</strong>o cui potresti <strong>di</strong>rigerti se fossi tu a scegliere<br />
lo stu<strong>di</strong>o, lo strumento, la <strong>music</strong>a da interpretare e<br />
l’orario. L’album è uscito nel 2008 e nella primavera<br />
del 2009 sono stato in tournée con Niklas Sivelöv, un<br />
fantastico pianista classico svedese che improvvisava<br />
sulla <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Carl Michael Bellman, un poeta-<strong>music</strong>o<br />
svedese del XVIII secolo. Girare con un altro pianista,<br />
per <strong>di</strong> più d’estrazione classica è stato molto interessante.<br />
Da sempre invi<strong>di</strong>o sassofonisti e trombettisti<br />
perché possono parlare <strong>di</strong> ance o bocchini, e finalmente<br />
pure io in tour ho potuto <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> Steinway<br />
con chi davvero ne capiva! Come pianista è <strong>di</strong>fficile<br />
non subire l’influenza della <strong>music</strong>a per piano classico<br />
e trovo molto interessante la varietà <strong>di</strong> suoni, tocco e<br />
<strong>di</strong>namiche che si ritrova in quel vastissimo repertorio.<br />
Inoltre, a volte c’è chi pretende <strong>di</strong> trovare influenze<br />
e/o connessioni con qualche pianista classico già<br />
ascoltato, senza badare alla <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> genere: ciò<br />
probabilmente deriva dall’ere<strong>di</strong>tà classica che lo strumento<br />
porta con sé. Ma il mio legame con la <strong>music</strong>a<br />
classica è come con gli altri generi: ascolto ciò che mi<br />
piace e assorbo quello che al momento mi interessa.<br />
L’ultimo <strong>di</strong>sco in trio è “Today” (2002), con Mattias<br />
Svensson al contrabbasso e Peter Danemo alla batteria,<br />
mentre sul nuovo “Heat” troviamo rispettivamente<br />
Hans Ande<strong>rs</strong>son e Jonas Holge<strong>rs</strong>son.<br />
Dopo “Today” ho anche inciso “Big 5”, dove ho voluto<br />
JACOB KARLZON<br />
HEAT<br />
(Caprice Records - 2009)<br />
Jacob Karlzon (pn), Hans Ande<strong>rs</strong>son (cb),<br />
Jonas Holge<strong>rs</strong>son (bt), Peter Asplund (tr,<br />
flc), Karl Martin Almqvist (st, ss)<br />
7th Avenue<br />
Hollow Life<br />
Gollum's Song<br />
Rubik 4 Real<br />
Laika<br />
Sonatine: Modéré<br />
Always in August<br />
Heat<br />
Late Night/Early Morning<br />
Still Hope<br />
Ha proprio ragione Karlzon a precisare<br />
che quest’album è a suo nome, e non del<br />
trio o del quintetto: ruota attorno a lui più<br />
che mai, ma nello stesso tempo attinge alla<br />
grande <strong>music</strong>alità che i suoi compagni sono<br />
in grado <strong>di</strong> apportare al progetto. Ne viene<br />
fuori un <strong>di</strong>sco dall’equilibrio definito e deciso,<br />
in cui il piano è ovviamente protagonista,<br />
ma ancor più lo è la <strong>music</strong>a. La chimica<br />
creatasi fra i cinque <strong>music</strong>isti nel co<strong>rs</strong>o dei<br />
vari anni <strong>di</strong> <strong>music</strong>a trasco<strong>rs</strong>i insieme è più<br />
che tangibile in 7th Avenue, dove tromba<br />
con sor<strong>di</strong>na e sax tenore ricamano insieme<br />
sull’up-tempo sostenuto dalla ritmica. Hollow<br />
Life mostra la precisione <strong>di</strong> tocco <strong>di</strong> cui<br />
l’elegante pianismo <strong>di</strong> Karlzon è dotato, e<br />
qui ad accompagnarlo sono soltanto basso e<br />
batteria, che sul finale libera tom e rullante.<br />
A sintetizzare trasporto emozionale e<br />
finezza pianistica è Gollum’s Song, <strong>di</strong>rettamente<br />
tratta dalla colonna sonora della saga<br />
de “Il Signore degli Anelli”, dove anche il<br />
contrabbasso descrive un angoscioso ed intenso<br />
assolo: sono i brani lenti come questo<br />
realizzare una sorta <strong>di</strong> estensione del trio usando due<br />
fiati. Sapevo fin da subito chi vi avrebbe suonato:<br />
Peter Asplund alla tromba e Karl-Martin Almqvist al<br />
sax. Dopo qualche tour insieme, ad esempio in Messico,<br />
ho dovuto mettere i miei progetti da parte. Ero<br />
coinvolto in troppi gruppi <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i, dove a volte scri-<br />
o anche Always in August, aperto da un silenzioso<br />
tapping <strong>di</strong> Holge<strong>rs</strong>son, o ancora il<br />
piano solo <strong>di</strong> Late Night/Early Morning ad<br />
essere più degli altri imbevuti delle atmosfere<br />
del sound nor<strong>di</strong>co. Ma le emozioni non<br />
sono necessariamente legate ai brani dal<br />
mood più pacato, come <strong>di</strong>mostra Rubik 4<br />
Real, nella quale lo spigliato periodare del<br />
pianista brilla su una sud<strong>di</strong>visione <strong>di</strong>spari del<br />
tempo. Torna il tenore in Laika, ed il trio si<br />
trasforma in quartetto, a contornare le evoluzioni<br />
del sassofonista con la sobrietà del<br />
trio. Dopo il piano solo della serie “Improvisational”,<br />
spazio anche su questo <strong>di</strong>sco per<br />
la rivisitazione <strong>di</strong> una Sonatine Modéré <strong>di</strong><br />
Ravel, con giusta dose <strong>di</strong> swing nel rispetto<br />
dell’armonia spanish dell’originale, e perfetto<br />
inserimento sul finale della rullante<br />
batteria. Rientrano i fiati nella graffiante<br />
Heat, non a caso quella che dà titolo all’album,<br />
mentre in Still Hope la tromba fa<br />
posto al flicorno, cui tocca un denso intervento,<br />
chiudendo poi il piano con un tagliente<br />
assolo._An.Rig.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 19
vevo pure la <strong>music</strong>a. Così ho fatto un passo in<strong>di</strong>etro per riflettere<br />
sull’importanza dei miei progetti. Ho avuto il privilegio <strong>di</strong> lavorare<br />
ancora con Peter Danemo e Mattias Svensson in altri gruppi. In seguito<br />
insieme al bassista danese Morten Ramsbøl ho co<strong>di</strong>retto una band poi<br />
<strong>di</strong>venuta quella <strong>di</strong> “Human Factor”, gettando il seme per far crescere<br />
in me l’idea d’iniziare a pensare ad un nuovo Cd a mio nome.<br />
In “Human Factor”, suona un altro grande <strong>music</strong>ista, il batterista<br />
Jeff Ballard: come è iniziata questa collaborazione?<br />
Jeff si trovava a lavorare una settimana in una scuola a Copenhagen.<br />
Morten Ramsbøl qualche anno prima aveva suonato in concerto con<br />
lui e ora voleva fare un <strong>di</strong>sco con lui e me. Pure su “Human Factor”<br />
c’è varietà <strong>di</strong> formati: piano solo, trio ed il quartetto con Hans Ulrik<br />
al sax. Abbiamo portato tutti e quattro la nostra <strong>music</strong>a a quella sessione,<br />
che si è rivelata un fantastico incontro sia dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>music</strong>ale che conviviale. Jeff è stato caloroso e affabile, ha reso le<br />
con<strong>di</strong>zioni per la registrazione il più possibile tranquille. Il gruppo intendeva<br />
fare un tour in Scan<strong>di</strong>navia per l’uscita dell’album, ma Jeff<br />
è poi <strong>di</strong>ventato il batterista del trio <strong>di</strong> Brad Mehldau e i piani allora<br />
sono cambiati. Spero che per il gruppo si apra presto la possibilità <strong>di</strong><br />
stare insieme per un tour e magari per un nuovo album.<br />
Così dopo cinque anni, per “Heat” hai chiamato anche Almqvist<br />
e Asplund, già con te in “Big5”.<br />
“Heat” è a mio nome, non a nome del trio o del quintetto: anziché<br />
fare un album solo con il trio, rimuginando su come sarebbe stato in<br />
quintetto o viceve<strong>rs</strong>a, ho voluto variare le formazioni per lavorare<br />
con i <strong>music</strong>isti in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i. Quest’anno abbiamo avuto l’opportunità<br />
<strong>di</strong> fare concerti sia in trio che in quintetto, sempre sul materiale<br />
dell’album, e ci siamo <strong>di</strong>vertiti tantissimo! Anche se il trio è cambiato,<br />
i fiati sono rimasti gli stessi: il modo in cui suonano insieme è<br />
straor<strong>di</strong>nario, sono orgoglioso che la mia <strong>music</strong>a sia eseguita da loro.<br />
In cosa consiste per te il <strong>jazz</strong> sound svedese o nor<strong>di</strong>co?<br />
Penso sia fatto <strong>di</strong> tante e <strong>di</strong>fferenti tra<strong>di</strong>zioni. Ad esempio il fatto che<br />
la Svezia sia un paese europeo <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica piuttosto<br />
lunga, con <strong>music</strong>isti che presto sono andati a lavorare e a perfeziona<strong>rs</strong>i<br />
negli Stati Uniti. Inoltre, in Svezia abbiamo una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />
<strong>music</strong>a folk che ha impresso il suo marchio su svariati generi <strong>music</strong>ali.<br />
Per esempio è molto importante il lavoro <strong>di</strong> Palle Danielsson, Bobo<br />
Stenson, Ande<strong>rs</strong> Jormin e La<strong>rs</strong> Danielsson con artisti <strong>di</strong> rilievo internazionale<br />
come Keith Jarrett, Jan Garbarek e Charles Lloyd. Questo<br />
ha colorato il <strong>jazz</strong> sound svedese in modo vario, ponendo in essere<br />
ciò che potremmo definire “tra<strong>di</strong>zione moderna”. Tali collaborazioni<br />
hanno inoltre influenzato le nuove generazioni <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti ad andare<br />
al <strong>di</strong> là dei propri limiti. Infine, pure il fenomeno pop svedese ha<br />
avuto un certo impatto sulla scena <strong>jazz</strong>istica, almeno a tratti.<br />
Ritieni che la tua <strong>music</strong>a possa ascrive<strong>rs</strong>i a questo genere?<br />
Assolutamente sì. Amo esplorare <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i tipi <strong>di</strong> <strong>music</strong>a e trovo interessante<br />
cercare d’esprimermi con l’inte<strong>rs</strong>ezione <strong>di</strong> aspetti associabili<br />
alla Svezia o alla Scan<strong>di</strong>navia. Ma la mia ambizione non è suonare<br />
in modo svedese, bensì suonare come me stesso, cui è capitato <strong>di</strong> essere<br />
Svedese. Credo <strong>di</strong> essere il risultato della <strong>music</strong>a ascoltata attorno<br />
a me, delle cose che incamero e <strong>di</strong> ciò che ho da <strong>di</strong>re.
Dove sei nato e da che tipo <strong>di</strong> famiglia provieni?<br />
Sono nato a Honolulu, Hawaii, ma mi sono trasferito<br />
in California a 4 anni. Ho trasco<strong>rs</strong>o molta della mia<br />
vita nel nord e sud della California. Vengo da una famiglia<br />
<strong>di</strong> genitori separati e ho passato l’infanzia a<br />
Half Moon Bay, piccola città della baia <strong>di</strong> San Francisco.<br />
Una bella zona con una spiccata propensione per<br />
l’arte. Lì sono stato influenzato dall’ambiente e dalla<br />
mia famiglia. I miei nonni erano gran<strong>di</strong> appassionati<br />
<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> e arte e, da piccolo, mia nonna Sharon Espeleta<br />
ospitava concerti nell’area parcheggio del suo<br />
Sharon’s Restaurant. L’entusiasmo trasmesso ebbe un<br />
effetto <strong>di</strong>retto anche sui loro sei figli, tutti educati<br />
al talento artistico. La mia formazione è iniziata così.<br />
Sono stato fortemente ispirato dai miei zii e genitori,<br />
tutti attivi in qualche forma d’arte, dalla <strong>music</strong>a al<br />
canto, dalla pittura alla scultura, alle combinazioni.<br />
<strong>Ron</strong> <strong>Miyashiro</strong><br />
fluente connubio <strong>di</strong> linee e colori<br />
<strong>jazz</strong> & artsss<br />
<strong>di</strong> Marco Maimeri<br />
Giapponese d’indole, americano <strong>di</strong> vissuto ed europeo per cultura,<br />
impara da auto<strong>di</strong>datta <strong>di</strong>pingendo e creando sculture <strong>di</strong> neve.<br />
Ama la <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>, i suoi strumenti e le sue avvolgenti melo<strong>di</strong>e.<br />
E se Neiro (nay-ee-doe) in giapponese significa proprio melo<strong>di</strong>a<br />
non poteva trovare nome più evocativo per la sua serie sul <strong>jazz</strong><br />
Come hai sviluppato il tuo talento e come sei arrivato<br />
in Europa, in particolare a Stoccarda?<br />
L’unica educazione formale è stata un co<strong>rs</strong>o frequentato<br />
al 9° anno <strong>di</strong> scuola, mentre le altre lezioni<br />
le ho apprese attrave<strong>rs</strong>o l’osservazione e la<br />
sperimentazione autonoma. Ho iniziato a <strong>di</strong>segnare<br />
da bambino e sapevo che alla fine sarei giunto alla<br />
pittura. L’opportunità <strong>di</strong> imparare a <strong>di</strong>pingere venne<br />
nel 2002, quando vivevo a Macon, Georgia, con la<br />
mia ex-moglie. Lei era nell’Aviazione Militare e<br />
venne mandata in Iraq per 6 mesi, così trasco<strong>rs</strong>i<br />
molto tempo a <strong>di</strong>pingere con gli acrilici. Dopo due<br />
anni in Georgia, andammo a vivere a Tokyo, quin<strong>di</strong><br />
tre anni fa ci siamo trasferiti in Germania, a Stoccarda,<br />
dove ho trovato lavoro come grafico per<br />
l’esercito degli Stati Uniti, e probabilmente resterò<br />
qui fino al 2012.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 21
Come riesci ad unire nelle tue opere la parte americana,<br />
giapponese ed europea del tuo Io?<br />
Ci sono influenze sottili <strong>di</strong> ognuna <strong>di</strong> queste culture<br />
nei miei <strong>di</strong>pinti. Il lato giapponese mi porta ad avere<br />
un approccio minimalista alle composizioni, quello<br />
americano mi dà la libertà <strong>di</strong> seguire i sentimenti<br />
piuttosto che le regole e quello europeo mi permette<br />
<strong>di</strong> apprezzare la storia e la <strong>di</strong>sponibilità illimitata<br />
<strong>di</strong> riferimenti visivi provenienti in particolare<br />
dall’arte e dall’architettura classica.<br />
Pre<strong>di</strong>ligi Salvador Dalì e Maurits C. Escher, ma i tuoi<br />
<strong>di</strong>pinti rimandano anche a Wassily Kan<strong>di</strong>nsky e<br />
Henri Matisse. Cosa ti affascina <strong>di</strong> questi maestri?<br />
Dalì ed Escher avevano un modo tutto pe<strong>rs</strong>onale per<br />
attrarti nel loro mondo. Posso osservare più volte un<br />
loro <strong>di</strong>pinto e trovarvi sempre qualcosa che non avevo<br />
notato prima. Oltre ai citati, però, sono stato ispirato<br />
e influenzato anche da artisti fantasy come Boris Vallejo.<br />
Rimango sbalor<strong>di</strong>to dalla loro immaginazione.<br />
A cosa si deve la tua arte così rorida <strong>di</strong> stili, composizioni,<br />
colori e tessiture?<br />
È importante sfidare me stesso ed evadere dalla mia<br />
zona <strong>di</strong> benessere. Per questo le mie composizioni e<br />
il mio stile variano così tanto. Cerco <strong>di</strong> creare atmosfere<br />
uniche che provochino pensieri e suscitino<br />
emozioni, ma quando finisco <strong>di</strong> trasporre un’idea su<br />
tela tutto ciò che vedo sono forme e colori.<br />
Come hai scoperto il fascino del <strong>jazz</strong>?<br />
Il <strong>jazz</strong> mi ha ispirato sin da giovane. A 17 anni mia<br />
madre mi regalò un sax alto e imparai da solo a suonare<br />
e leggere la <strong>music</strong>a. Questo mi ha instillato un<br />
22 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
forte apprezzamento per i <strong>music</strong>isti <strong>jazz</strong>: sono cresciuto<br />
ascoltandoli.<br />
Come nasce la mostra “Expressions: Art and Jazz”<br />
del 2006?<br />
Poco dopo aver iniziato la Neiro Series, decisi <strong>di</strong> allestire<br />
la mia prima esposizione. Lavoravo in un centro<br />
d’arte e mestieri presso una base<br />
dell’Aviazione Militare americana<br />
in Giappone e riuscii a radunare<br />
molti artisti locali e farli partecipare<br />
alla mia mostra. Trovo appropriato<br />
aver fatto intervenire una<br />
<strong>jazz</strong> band per celebrare dal vivo le<br />
opere. L’esibizione è stata un successo<br />
e sono contento <strong>di</strong> aver ripetuto<br />
l’esperienza l’anno seguente.<br />
A cosa si deve la “Neiro Jazz Series”<br />
e perché ti sei concentrato<br />
su <strong>music</strong>a e strumenti più che<br />
sui <strong>music</strong>isti?<br />
In realtà l’idea mi venne quando<br />
abitavo in Giappone. Volevo <strong>di</strong>pingere<br />
suoni visibili e così pensai a<br />
vari colori che fluissero per tutta<br />
la tela. Decisi <strong>di</strong> concentrarmi<br />
sulla <strong>music</strong>a perché era la cosa
che più mi ispirava. Finito il primo lavoro, chiesi ad<br />
uno degli studenti giapponesi cui insegnavo inglese<br />
<strong>di</strong> aiutarmi a trovare un titolo. Gli strumenti <strong>jazz</strong><br />
hanno bellissime forme. Mi piace soprattutto la linea<br />
del contrabbasso. Sto pianificando <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere<br />
anche un batterista e un clarinettista ma non riesco<br />
mai a trovare il tempo.<br />
E <strong>di</strong> lavori come “Neiro Cello”, ispirato alla foto <strong>di</strong><br />
un tramonto a Fussa, Giappone, scattata da Terry<br />
Welliver, e “Neiro Jazz and Booze”, che evoca il<br />
magico, eponimo drink servito al Neiro Bar?<br />
Ho usato la foto del mio amico Terry come sfondo<br />
per il <strong>di</strong>pinto. Mi fa molto piacere che le pe<strong>rs</strong>one apprezzino<br />
“Neiro Cello”: è stato votato anche come il<br />
migliore in un contest show in rete. “Neiro Jazz and<br />
Booze”, invece, ha come protagonista la band delle<br />
mie due mostre, il Jim Butler Quartet. Con Jim<br />
siamo <strong>di</strong>ventati amici e ora il quadro appartiene a<br />
lui. La storia che sta <strong>di</strong>etro a quel <strong>di</strong>pinto ovviamente<br />
è inventata.<br />
Hai partecipato al Sapporo Snow Festival del 2008,<br />
realizzando una scultura <strong>di</strong> neve intitolata<br />
“Rhythm”. Perché hai scelto <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care un’opera<br />
a New Orleans e alla sua ricostruzione?<br />
Ho trasco<strong>rs</strong>o 4 anni in Mississippi servendo l’Aviazione<br />
Militare americana e all’epoca andavo spesso<br />
a New Orleans, per godermi la vita notturna e il<br />
<strong>jazz</strong>. Mi ha molto rattristato vedere cos’era accaduto<br />
a quel fantastico posto, così, quando con la<br />
squadra americana abbiamo pensato a quale scultura<br />
realizzare, ci è sembrato giusto omaggiare<br />
quella città e la sua storia.<br />
Cosa si prova a realizzare una scultura <strong>di</strong> neve sapendo<br />
che avrà vita breve e poi si scioglierà?<br />
Creare un’opera d’arte è sempre un momento incre<strong>di</strong>bile<br />
e <strong>di</strong> grande valore, anche quando dura un<br />
istante. Per me è come se avessi venduto quell’opera<br />
e non potessi più vederne l’originale.<br />
Illustrazioni<br />
Nella prima pagina, in alto:<br />
l’artista; in basso: “Neiro<br />
Jazz and Booze” (2007),<br />
olio su tela.<br />
Nella pagina precedente, in<br />
alto: “Neiro Stan<strong>di</strong>ng Bass”<br />
(2005), acrilico su tela; in<br />
basso: “Neiro Take Five”<br />
(2006), olio su tela.<br />
In questa pagina, in alto:<br />
“Neiro Sax” (2006), olio su<br />
tela; qui a fianco: “Neiro<br />
Piano” (2005), acrilico su<br />
tela.<br />
Per ulteriori informazioni<br />
www.ronmiyashiro.com<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 23
ecensioni CD<br />
RASHIED ALI QUINTET<br />
LIVE IN EUROPE<br />
(Survival Records - 2009)<br />
Un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quello che fu il<br />
suo stile ed il suo essere <strong>music</strong>ista:<br />
ascoltando l’ultima uscita <strong>di</strong> Rashied<br />
Ali con il suo quintetto, è questa la sensazione che si percepisce<br />
più che netta. Uno stile batteristico che lo aveva portato<br />
ad essere ingaggiato da John Coltrane come seconda batteria per<br />
“Ascension”, quello che sarebbe <strong>di</strong>ventato il primo lavoro free<br />
del grande sassofonista, nel quale avrebbe dovuto con<strong>di</strong>videre lo<br />
sgabello con il grande Elvin Jones, da lui sempre ammirato: una<br />
posizione tanto scomoda da indurlo a lasciare poco prima che cominciasse<br />
l’incisione: Coltrane però lo aveva già puntato, e<br />
quando Jones se ne andrà, sarà proprio Ali a succedergli nelle formazioni<br />
aperte degli anni a seguire, fino a quell’“Inte<strong>rs</strong>tellar<br />
Space” che vedrà i due in una session in duo. Ma Ali proveniva già<br />
allora da altre esperienze che ne caratterizzavano il drumming<br />
fiero e circolare: i primi esperimenti free e d’avanguar<strong>di</strong>a a New<br />
York, con Albert Ayler, Archie Shepp e Don Cherry. Noto è anche il<br />
suo impegno a promozione dell’avanguar<strong>di</strong>a negli anni ’70 con il<br />
suo “Stu<strong>di</strong>o 77/Ali’s Alley” e, più avanti, con una sua etichetta,<br />
la Survival Records. La stessa che pubblica questo Live in Europe,<br />
registrato con quello che è stato il quintetto a suo nome a partire<br />
dal 2003. Non più o non soltanto scalpitanti poliritmie, possenti<br />
ed energizzanti come quelle <strong>di</strong> Elvin Jones, ma soprattutto incessanti<br />
e variopinte infrastrutture cromatiche a sostegno delle libere<br />
evoluzioni dei suoi solisti, capaci <strong>di</strong> rimanere in tal modo<br />
soli anche senza altri riferimenti armonici o accordali. Ingresso<br />
all’unisono <strong>di</strong> tromba e sax, un break perlustrativo <strong>di</strong> Ali che subito<br />
carpisce l’attenzione del pubblico, esauriente il torrenziale<br />
assolo <strong>di</strong> Clark al tenore, ruvido e corrosivo, più melo<strong>di</strong>ca e meno<br />
frastagliata la tromba <strong>di</strong> Evans che non perde mai i riferimenti<br />
propinati dal pulsante contrabbasso <strong>di</strong> Teepe, il quale ricama le<br />
sue pe<strong>rs</strong>onali trame, a sua volta sponda per il piano brillante e<br />
mai grumoso <strong>di</strong> Murphy: questo in Theme for Captain Black, dalle<br />
cui retrovie Ali sbuffa, frusta, tuona, scalcia e frantuma tempo ed<br />
armonie servendo sfiziosi spunti ai suoi. Scritta dal sassofonista,<br />
Lourana è d’apertura degna delle composizioni on<strong>di</strong>vaghe della<br />
I 5 CD imprescin<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> Adam Nussbaum<br />
Il <strong>di</strong>sco che ha segnato la svolta <strong>music</strong>ale nella tua vita?<br />
Are You Experienced, Jimi Hendrix Experience.<br />
L’album che consideri cruciale per la <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>?<br />
Tantissimi! Ma in questo momento <strong>di</strong>rei Milestones, <strong>di</strong> Miles Davis.<br />
Quello che preferisci per la batteria?<br />
Altra domanda <strong>di</strong>fficile, ma questa volta non so davvero cosa rispondere.<br />
Quello che ascolti più spesso in viaggio o con amici?<br />
Shirley Horn, Here’s to Life.<br />
coppia Davis-Shorter, con il tenore<br />
a rivelare insospettabili sinuosità<br />
anche sui tempi più<br />
<strong>di</strong>stesi. De<strong>di</strong>cato a Joe Hende<strong>rs</strong>on,<br />
Thing for Joe lascia invece<br />
il primo intervento alla tromba,<br />
ciarliera, cui segue l’inserimento<br />
del sax a sfociare in un<br />
altro trascinante duetto con la<br />
batteria, quin<strong>di</strong> il contrabbasso,<br />
picchiettante sugli acuti e <strong>di</strong>sco<strong>rs</strong>ivo<br />
in assolo. Un drumming,<br />
quello <strong>di</strong> Ali, armonico in gruppo<br />
e politonale nei turni improvvisativi,<br />
come <strong>di</strong>mostrano le sue<br />
due uniche irruzioni solitarie,<br />
sul primo e sull’ultimo brano:<br />
un’ultima testimonianza <strong>di</strong> fine<br />
melo<strong>di</strong>cità ritmica che pone<br />
Un album non <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> che hai ascoltato <strong>di</strong> recente e ti è piaciuto?<br />
Eric Clapton & Steve Winwood, Live from Ma<strong>di</strong>son Square Garden.<br />
24 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
foto Bruno Bollaert [volume12.net]<br />
questo singolare batterista,<br />
spesso ricordato solo per le sue<br />
illustri collaborazioni, sì sul<br />
solco culminato con Elvin Jones,<br />
ma già pure artefice <strong>di</strong> un modo<br />
panoramico <strong>di</strong> suonare, riscontrabile<br />
oggi in epigoni quali<br />
Cleaver, McPhe<strong>rs</strong>on e, in Europa,<br />
Nilssen-Love.<br />
Musicisti<br />
Rashied Ali (bt), Joris Teepe (bs),<br />
Greg Murphy (pn), Lawrence Clark<br />
(st), Josh Evans (tr)<br />
Brani<br />
Intro<br />
Theme for Captain Black<br />
Lourana<br />
Thing for Joe<br />
foto Sergio Cimmino
Perry Robinson (cl, oc, fl, s.sp,<br />
cl.Eb), Burton Greene (pn)<br />
Syl’s Freylekhs<br />
A Lamentation<br />
Burty’s Freylekhs<br />
Desert Suite<br />
Song for My Friend Burton<br />
Ella Turtella<br />
Der Kats Zogt A Miowke<br />
John Surman (s.br, ss), John<br />
Abercrombie (ch), Drew Gress<br />
(cb), Jack DeJohnette (bt)<br />
Slanted Sky<br />
Hilltop Dancer<br />
No Finesse<br />
Kickback<br />
Chelsea Bridge<br />
Haywain<br />
Conter Measures<br />
Brewster’s Rooster<br />
Going for a Burton<br />
Dani Gurgel (vc), Debora Gurgel<br />
(pn, FR, arr), Daniel Amorin<br />
BURTON GREENE - PERRY ROBINSON TWO VOICES IN THE DESERT (Tza<strong>di</strong>k – 2009)<br />
Burton Greene e Perry Robinson sono due <strong>music</strong>isti<br />
americani — pianista chicagoano il primo, ancista<br />
newyorkese il secondo — che, grazie alle<br />
loro oltre settanta primavere, si conoscono e frequentano<br />
da moltissimi anni, avendo collaborando<br />
insieme durante gli anni ’80 anche per i<br />
lavori europei a tema klezmer <strong>di</strong> cui il pianista è<br />
titolare. Greene, <strong>di</strong>fatti, già nel 1969 si è trasferito<br />
in Europa, Parigi prima e Amsterdam successivamente,<br />
dando origine a più progetti <strong>di</strong><br />
esplorazione della <strong>music</strong>a tra<strong>di</strong>zionale ebraica<br />
con i gruppi Klezmokum (proprio con Robinson),<br />
poi Klez-thetics e infine Klez-Edge. Inutile citare<br />
le collaborazioni <strong>di</strong> ciascuno dei due: sia l’uno<br />
che l’altro hanno suonato con i più importanti<br />
<strong>music</strong>isti della loro generazione, da William Parker<br />
a Cecil Taylor, registrando un numero considerevole<br />
<strong>di</strong> album in svariate formazioni. Pertanto,<br />
dopo l’album in quintetto dello sco<strong>rs</strong>o anno, non<br />
è affatto inaspettata l’idea <strong>di</strong> John Zorn, proprietario<br />
dell’etichetta Tza<strong>di</strong>k, <strong>di</strong> invitare Robinson<br />
e Greene a registrare in duo. La proposta si <strong>di</strong>mostra<br />
particolarmente felice, e dopo quaran-<br />
JOHN SURMAN BREWSTER’S ROOSTER (ECM - 2009)<br />
Un album che mostra una volta <strong>di</strong> più come ci si<br />
possa ancora sorprendere ascoltando certi abbinamenti<br />
sonori, seppure ormai non proprio insoliti.<br />
Delle tante chiavi <strong>di</strong> lettura, pare essere<br />
questa quella più consona al Cd in esame, posto<br />
che i <strong>music</strong>isti che vi suonano hanno tutti un profilo<br />
così elevato ed una tale carriera alle spalle<br />
che è del tutto superfluo sofferma<strong>rs</strong>i sull’apporto<br />
che ciascuno <strong>di</strong> essi ha già dato a questa <strong>music</strong>a.<br />
Basti <strong>di</strong>re del titolare: Surman è notoriamente<br />
fra i <strong>music</strong>isti europei che hanno maggiormente<br />
contribuito ad ampliare i confini del <strong>jazz</strong> e della<br />
<strong>music</strong>a moderna, ve<strong>rs</strong>ato al soprano nonché fra i<br />
pochi baritonisti in grado <strong>di</strong> proiettare le proprie<br />
note sia ve<strong>rs</strong>o ambientazioni libere (senza le cervellotiche<br />
implicazioni braxtoniane) che in atmosfere<br />
più tra<strong>di</strong>zionali e con frequenti incu<strong>rs</strong>ioni<br />
pure in altri ambiti artistici. La ballad iniziale, la<br />
toccante Slanted Sky, potrebbe ingannare circa il<br />
reale contenuto dell’album, ma è omaggio a<br />
John Warren, un compositore con il quale Surman<br />
ha a lungo collaborato. Superato quest’avvio, il<br />
tempo in 3/4 della successiva Hilltop Dancer e<br />
l’unisono tematico fra baritono e chitarra sono<br />
esemplificativi della ricerca sonora <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ceva<br />
in apertura: chitarra arabeggiante, baritono<br />
DANI GURGEL NOSSO (Dapávirada - 2008)<br />
Che <strong>music</strong>a brasiliana e <strong>jazz</strong> abbiano molto a che<br />
spartire sta scritto negli annali <strong>di</strong> entrambi questi<br />
generi. Molto meno noto è il fermento artistico<br />
e <strong>music</strong>ale che sta investendo sempre più<br />
prepotentemente il grande paese sudamericano<br />
e tutta quella regione. Un meticciato <strong>di</strong> popoli e<br />
culture che si è sempre caratterizzato per la<br />
propensione a non erigere barriere: proprio quest’aspetto<br />
ha permesso l’incontro fra <strong>jazz</strong> e <strong>music</strong>a<br />
brasiliana. E oggi la comunità brasiliana è<br />
t’anni <strong>di</strong> conoscenza i due hanno per la prima<br />
volta la possibilità <strong>di</strong> confronta<strong>rs</strong>i in un progetto<br />
dalle linee te<strong>rs</strong>e e liriche, dove le ra<strong>di</strong>ci della<br />
<strong>music</strong>a klezmer sono la base più ideale che effettiva<br />
sulla quale si sviluppa una lunga e pacata<br />
conve<strong>rs</strong>azione in un linguaggio assolutamente<br />
<strong>jazz</strong>istico, evitando le secche del free e le atmosfere<br />
più standar<strong>di</strong>zzate <strong>di</strong> tanta <strong>music</strong>a targata<br />
Tza<strong>di</strong>k . Ne esce un album intenso, introspettivo,<br />
dolente e festoso, dove le idee prevalgono sui<br />
pattern, e la coesione e la raffinatezza sono segni<br />
<strong>di</strong>stintivi. Il brano più significativo è certamente<br />
The Desert Suite, contenente due movimenti,<br />
Desert Wandere<strong>rs</strong> e Eitan, scritti rispettivamente<br />
da Sylke Rollig in collaborazione con Greene e<br />
dallo stesso John Zorn. Il pianoforte crea una<br />
fitta base <strong>di</strong>namica in continua evoluzione, permettendo<br />
all’ocarina e al clarinetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorrere<br />
e creare, ora all’unisono ora singolarmente, descrivendo<br />
paesaggi con rapi<strong>di</strong> tratti e colorando<br />
sobriamente un immaginifico deserto <strong>di</strong>venuto<br />
luogo <strong>di</strong> pace e me<strong>di</strong>tazione. Un album <strong>di</strong> pacata<br />
bellezza, da assaporare lentamente._Ro.De.<br />
caustico capace <strong>di</strong> giostra<strong>rs</strong>i abilmente sui vari<br />
registri, e breve assolo fendente <strong>di</strong> Gress. Proprio<br />
il contrabbassista apre No Finesse insieme a De-<br />
Johnette, puntellando un 3/4 costruito su due<br />
accor<strong>di</strong> continuamente modulati per tonalità,<br />
con ritmo dondolante. Impeccabile Abercrombie<br />
nella tessitura <strong>di</strong> sottili filamenti improvvisativi<br />
che sembrano adagia<strong>rs</strong>i sullo schema accordale<br />
come una delicata ragnatela. I ritmi delle composizioni<br />
<strong>di</strong> Surman hanno un andamento danzante<br />
e leggero, grazie alle propulsive bacchette<br />
<strong>di</strong> DeJohnette, artefice <strong>di</strong> variopinti paesaggi<br />
percussivi: ed è sullo sfondo <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> questi che<br />
il baritono <strong>di</strong>spiega 2’40” <strong>di</strong> scorrevole estemporaneità<br />
in Kickback, uno dei pezzi più avvincenti<br />
<strong>di</strong> questo lavoro. Nella lenta Chelsea Bridge la<br />
chitarra è invece un satinato velo <strong>di</strong> accor<strong>di</strong> che<br />
scorta l’esposizione del baritono. L’in<strong>di</strong>scutibile<br />
esperienza <strong>di</strong> questi <strong>music</strong>isti si evidenzia in Haywain,<br />
poche note <strong>di</strong> tema che preludono ad una<br />
concertazione squisitamente free, mentre l’atteso<br />
break <strong>di</strong> DeJohnette si manifesta in Counter<br />
Measures. Meritevole <strong>di</strong> particolare attenzione è<br />
pure il tempo composto (5+4) <strong>di</strong> Brewster’s Rooster,<br />
che anticipa la chiusura con un altro spassoso<br />
brano, Going for a Burton._An.Te.<br />
aperta più che mai all’incontro con la <strong>music</strong>a<br />
proveniente da altre realtà. Così è avvenuto che<br />
Dani Gurgel, giovane cantautrice brasiliana con<br />
un buon background anche come <strong>jazz</strong> singer, si è<br />
trovata a scrivere testi per Maria Schneider così<br />
come ad essere voce principale della Tom Jobim<br />
Orchestra <strong>di</strong>retta da Roberto Sion. E questo<br />
Nosso (Nostro in Italiano) è parte <strong>di</strong> un progetto<br />
più ambizioso che la coinvolge insieme ai Novos<br />
Compositores. Proprio con alcuni <strong>di</strong> questi è<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 25
(cb, bs.el), Thiago Rabello (bt),<br />
Michi Ruzitschka (ch), André<br />
Kurchal e Luiz Rabello (prc)<br />
Festa de Santo<br />
Essa Não<br />
Samba do Jazz<br />
Da Pá Virada<br />
Sem Morada<br />
Laço na Lua<br />
Três Tristes Trópicos<br />
Neneca<br />
Santuário do Pau de Aroeira<br />
Tambor Guia<br />
Dá Licença<br />
Marcello Sebastiani (cb)<br />
Chevalie<strong>rs</strong> Normands et une<br />
Jeune Demoiselle<br />
Prélude d’Eginhard<br />
Le Nazaréen<br />
IIème Prélude du Nazaréen<br />
C.Q.<br />
E Mantra<br />
B Mantra<br />
G Mantra<br />
La Sonnerie de Sainte-Geneviève<br />
du Mont de Paris<br />
Bass Express<br />
Equinox<br />
In a Sentimental Mood<br />
Tutte le Funtanelle<br />
Jack DeJohnette (bt, meldc),<br />
John Patitucci (cb, bs.el),<br />
Danilo Perez (pn, tast)<br />
Tango African<br />
Earth Prayer<br />
Seventh D, 1st Movement<br />
Seventh D, 2nd Movement<br />
Soulful Ballad<br />
Earth Speaks<br />
Cobilla<br />
Panama Viejo<br />
White<br />
Ode to MJQ<br />
Michael<br />
Bonus Material [DVD]<br />
26 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
stato scritto il materiale per l’album, un lavoro<br />
registrato con quella leggerezza tipica dell’umanità<br />
brasiliana, con passione ed impegno. Brani<br />
originali che si avvalgono in gran parte dei preziosi<br />
arrangiamenti <strong>di</strong> Debora Gurgel, con un<br />
nuovo sapore brasiliano e freschi interventi<br />
d’improvvisazione da parte <strong>di</strong> vari <strong>music</strong>isti,<br />
tutti molto bravi. Ed anche la voce possiede quel<br />
modo <strong>di</strong> cantare lieve, caratteristico della levità<br />
dell’i<strong>di</strong>oma portoghese, senza virtuosismi vocali<br />
ma con tono confidenziale ed i sottili e gradevoli<br />
falsetti che si ritrovano nei più noti esponenti <strong>di</strong><br />
questa <strong>music</strong>a. Particolarmente suadente Da Pá<br />
Virada, una sorta <strong>di</strong> rumba <strong>jazz</strong> dove risalta un<br />
MARCELLO SEBASTIANI BASS EXPRESS (Drycastle Rexords - 2009)<br />
La particolarità maggiore <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sco non è<br />
tanto quella <strong>di</strong> essere un progetto <strong>di</strong> solo contrabbasso<br />
quanto quella <strong>di</strong> puntare, per esaltare<br />
questa formula strumentale e per presentare al<br />
meglio tutte le sfaccettature stilistico-esistenziali<br />
del suo autore, su un repertorio multi-tematico<br />
che comprende quattro riletture<br />
classiche <strong>di</strong> Erik Satie (i prelu<strong>di</strong> in apertura, ora<br />
coinvolgenti e inquieti, ora stranianti e suadenti),<br />
un bridge <strong>jazz</strong> (C.Q., convulso e <strong>di</strong>alogante)<br />
e tre composizioni d’ispirazione in<strong>di</strong>ana<br />
<strong>di</strong> Marcello Sebastiani (Mantra in Mi, Si e Sol, ora<br />
labirintici e esoterici, ora estrosi e intriganti). A<br />
seguire, un bridge classico (La Sonnerie de<br />
Sainte-Geneviève du Mont de Paris <strong>di</strong> Marin Marais,<br />
avviluppante e marziale), tre pezzi <strong>jazz</strong> (il<br />
primo del leader, roboante e incisivo, gli altri<br />
due, rispettivamente, <strong>di</strong> John Coltrane, incalzante<br />
e propositivo, e Duke Ellington, romantico<br />
ed evocativo) e una coda folk (il tra<strong>di</strong>zionale<br />
abruzzese Tutte le Funtanelle, narrativo e struggente).<br />
Si tratta, in effetti — come scrive Luigi<br />
Onori nelle note interne al cd — <strong>di</strong> “un album<br />
Un trio che reca il nome <strong>di</strong> tutti i <strong>music</strong>isti che lo<br />
compongono, Jack DeJohnette, John Patitucci e<br />
Danilo Perez, anche se l’album sembra intestato<br />
al solo batterista chicagoano. Nata al Panama<br />
Jazz Festival del 2005, dove suona per la prima<br />
volta grazie a Perez, <strong>di</strong>rettore artistico della manifestazione,<br />
la stellare formazione soltanto ora<br />
trova modo <strong>di</strong> incidere, realizzando un <strong>di</strong>sco che<br />
restituisce la gioia dell’incontro e fornisce la misura<br />
dello spessore artistico dei tre protagonisti.<br />
Se in apertura Tango African <strong>di</strong>chiara le pruderie<br />
<strong>di</strong> DeJohnette per il ballo argentino e la melo<strong>di</strong>ca,<br />
strumento sovrainciso alle sue batterie per<br />
scansioni in 7/4, Panama Viejo <strong>di</strong> Ricardo Fábrega<br />
combina meravigliosamente le inclinazioni<br />
<strong>di</strong> Patitucci per la <strong>music</strong>a d’autore brasiliana,<br />
con cui ha avuto gloriosi trasco<strong>rs</strong>i, abbinandole al<br />
suo accorato archetto, mentre Soulful Ballad<br />
vede <strong>di</strong> nuovo la melo<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> DeJohnette adesso<br />
in duo con il solo pianista, a liberare la sua voglia<br />
<strong>di</strong> melo<strong>di</strong>a improvvisata, a tratti tzigana e a<br />
tratti moresca. Asse portante dell’intero Cd sono<br />
tuttavia le estemporaneità corali, dalle quali scaturiscono<br />
suggestive composizioni spontanee <strong>di</strong><br />
effervescente improvvisazione del piano <strong>di</strong> Debora<br />
Gurgel, mentre la chitarra <strong>di</strong> Michi Ruzitschka<br />
si mette in evidenza in Essa Não, in<br />
combinazione con il Fender Rhodes (ancora Debora<br />
Gurgel). Molto tra<strong>di</strong>zionale, ma proprio per<br />
questo assai pregnante, Samba do Jazz, travolgente<br />
il ritornello <strong>di</strong> Três Tristes Trópicos, morbido<br />
il groove <strong>di</strong> Neneca, mentre la chiusura con<br />
Dá Licença, altro pezzo dall’introduzione puntualmente<br />
<strong>jazz</strong>y, satura la mente con il suo refrain.<br />
Un buon album d’esor<strong>di</strong>o per la Gurgel ed<br />
i suoi <strong>music</strong>isti, in procinto per altro <strong>di</strong> rilasciare<br />
un Cd con la ArtistShare._An.Rig.<br />
coraggioso perché evita <strong>di</strong> circoscrive<strong>rs</strong>i alla <strong>music</strong>a<br />
afroamericana e proietta la riflessione sonora<br />
sul contrabbasso in una <strong>di</strong>mensione<br />
planetaria (America, Europa, Asia) e lungo l’asse<br />
del tempo” (si va dal 1723 della composizione <strong>di</strong><br />
Marais al ’900 <strong>di</strong> Satie, Ellington e Coltrane). Ma<br />
anche <strong>di</strong> un album che esalta la commistione fra<br />
gli stili, sfruttando pienamente lo strumento attrave<strong>rs</strong>o<br />
sovra-incisioni ponderate e uso calibrato<br />
<strong>di</strong> archetto e pizzicato in ambito classico<br />
per poi passare al pizzicato, rinunciando quin<strong>di</strong><br />
alle sovra-incisioni, in ambiti più <strong>jazz</strong>istici o <strong>di</strong><br />
stampo etnico. Il tutto me<strong>di</strong>ato da un senso <strong>di</strong><br />
composizione istantanea e <strong>di</strong> performance live<br />
che fa quasi <strong>di</strong>menticare e superare — merito<br />
anche del produttore e titolare della Drycastle,<br />
il bassista Maurizio “Bozorius” Bozzi — le quattro<br />
pareti dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> registrazione dove è stato<br />
realizzato. Un <strong>di</strong>sco notevole, rorido <strong>di</strong> spunti<br />
interessanti, che si pone in maniera equi<strong>di</strong>stante<br />
eppur foriera <strong>di</strong> scambi nei confronti della <strong>music</strong>a<br />
<strong>jazz</strong>, blues, classica, in<strong>di</strong>ana, popolare, sperimentale<br />
e d’avanguar<strong>di</strong>a._Ma.Ma.<br />
DEJOHNETTE-PATITUCCI-PEREZ MUSIC WE ARE (Golden Beams/Kindred Rhythm - 2009)<br />
particolare bellezza, come Earth Prayer e Earth<br />
Speaks, sospese e concertate su vibrazioni argentine<br />
<strong>di</strong> piattini ed affon<strong>di</strong> del piano, sostenuti<br />
dall’archetto, nonché l’onirica e circospetta Ode<br />
to MJQ, con tom quasi melo<strong>di</strong>ci. Di gran presa<br />
pure Seventh D, brano modale del batterista in<br />
due movimenti, il primo svolto sui tasti <strong>di</strong> Perez<br />
e contenente due colorati interventi dell’autore,<br />
l’altro condotto da Patitucci, aperto ad un fitto<br />
<strong>di</strong>alogo con i compagni. DeJohnette provvede ad<br />
una infusione <strong>di</strong> ritmi per Cobilla <strong>di</strong> Perez, mentre<br />
sul vamp del basso elettrico Patitucci tracima<br />
sulle ottave più alte, quasi fosse una chitarra; ma<br />
non è da meno lo stesso Perez, con il piano elettrico.<br />
E proprio in virtù della doppia dotazione <strong>di</strong><br />
Perez, la sua White resta a metà tra fusion elettrica<br />
e <strong>jazz</strong> acustico, complici i risonanti tamburi<br />
<strong>di</strong> DeJohnette. Chiude l’intima Michael, dalla<br />
penna <strong>di</strong> Patitucci verosimilmente de<strong>di</strong>cata allo<br />
scompa<strong>rs</strong>o Brecker. Il <strong>di</strong>sco è <strong>di</strong>sponibile anche<br />
in doppio LP o corredato da un DVD con 25 minuti<br />
<strong>di</strong> “making of” in stu<strong>di</strong>o che fa intuire l’atmosfera<br />
rilassata ed amichevole che ha consentito<br />
<strong>di</strong> raggiungere quest’ottimo risultato._An.Te.
Eiko Ishibashi (pn, synth, vc),<br />
Gianni Gebbia (sc, ogg), Daniele<br />
Camarda (bs.el, electrn)<br />
Kuuge (Flowe<strong>rs</strong> on the Sky)<br />
One Clapping/Many Hands<br />
Go Down Moses<br />
Hermit<br />
Kan (Barrier)<br />
Kami Kakushi (Gold Wind<br />
Mountain)<br />
Maboroshi (Illusion)<br />
Yodaka No Hoshi (Night Bird<br />
Star)<br />
Ichi Go Ichi E (One Occasion<br />
One Opportunity)<br />
Rinne (Circle of Life)<br />
Beat Hofstetter (ss), Sascha<br />
Armbruster (sa), Andrea<br />
Formenti (st), Beat Kappeler<br />
(s.br, sa), Katharina Weber<br />
(p), Lucas Niggli (bt)<br />
TThhee BBiigg PPiiccttuurree<br />
Part 1, Part 2, Part 3, Part 4,<br />
Part 5, Part 6<br />
FFrreeeeddoomm iinn FFrraaggmmeennttss<br />
Introduction: The Power of<br />
Prayer; Some Assembly<br />
Required; Hopscotch (for<br />
John Zorn); Confess; Song<br />
and Dance; Void Where<br />
Prohibited; Rosali’s Song; Red<br />
Rag; Significant Restrictions<br />
Apply; Boyan’s Problem;<br />
Kick It; Nostalgia; Batteries<br />
not Included; T. Square Park<br />
Lark: for Frank Zappa;<br />
The Power of Prayer: Coda<br />
ISHIBASHI-GEBBIA-CAMARDA MABOROSHI (Kyoto F/Sound Factory - 2009, <strong>di</strong>str. Metamkine)<br />
Gianni Gebbia è <strong>music</strong>ista da palcoscenico, non<br />
perché gigioneggi con gags o altro, ma semplicemente<br />
perché quando suona, fra respirazione circolare<br />
e uso d’oggetti, è emozionante ascoltarlo<br />
e vederlo dal vivo più che in Cd. Una premessa<br />
che comunque nulla toglie a questa affascinante<br />
registrazione in stu<strong>di</strong>o che lo vede impegnato assieme<br />
al messinese Daniele Camarda, virtuoso del<br />
basso a sei corde, ed alla cantante e pianista Eiko<br />
Ishibashi. Un incontro <strong>di</strong> esperienze, come ormai<br />
nel costume del cosmopolita sassofonista che,<br />
triangolando fra Europa, Stati Uniti e Giappone,<br />
incide spesso con artisti particolari, insieme ai<br />
quali, per cultura e sensibilità <strong>music</strong>ali, riesce a<br />
creare delle intriganti combinazioni sonore. Ed in<br />
questo progetto in coleade<strong>rs</strong>hip tali combinazioni<br />
ritrovano il denominatore comune in loop, delay<br />
e chorus vari cui tutti e tre i <strong>music</strong>isti sono adusi,<br />
senza però fa<strong>rs</strong>i prendere la mano, ed anzi impiegandoli<br />
in modo <strong>music</strong>ale, così che la <strong>music</strong>a<br />
resti sempre al centro. Disco<strong>rs</strong>o a parte per Camarda,<br />
che chi ha avuto mdo <strong>di</strong> gustarlo dal vivo<br />
senza troppe <strong>di</strong>avolerie elettroniche può garantire<br />
essere davvero un esperto conoscitore della<br />
tastiera e delle possibilità del suo strumento,<br />
cose che invece certi effetti rendono molto meno<br />
evidenti. La sorpresa dell’album è proprio l’essenza<br />
<strong>di</strong> questa voce evanescente che, ci piace<br />
sottolinearlo, è giusto del tipo che si sarebbe ab-<br />
In campo <strong>music</strong>ale “trasve<strong>rs</strong>alità” è un<br />
termine oggi decisamente abusato e<br />
svuotato <strong>di</strong> significato. Si applica però<br />
alla perfezione a questi due stupefacenti<br />
lavori <strong>di</strong> Fred Frith. Merito della<br />
visione a 360° del chitarrista inglese,<br />
che lo ha portato, fin dai suoi inizi con<br />
gli Henry Cow nel 1973, a scandagliare<br />
vari territori della <strong>music</strong>a improvvisata.<br />
E decisivo risulta il contributo<br />
dello svizzero Arte Quartett, formazione<br />
<strong>di</strong> estrazione classico-contemporanea<br />
adusa a frequentazioni “eterodosse”<br />
(fra le tante, quelle con Terry<br />
Riley e Tim Berne). Dei due lavori, il<br />
primo, in cui Frith figura solo in veste<br />
<strong>di</strong> compositore, si propone fo<strong>rs</strong>e come<br />
il più completo ed onnicomprensivo,<br />
per l’equilibrio tra il retroterra del Novecento<br />
europeo e le avanguar<strong>di</strong>e<br />
contemporanee e <strong>jazz</strong>istiche. Già le<br />
prime due parti <strong>di</strong> Big Picture prefigurano<br />
questa complessità. Vi si colgono<br />
una ricerca timbrica <strong>di</strong> marca AACM,<br />
riconducibile a Braxton, Mitchell ed<br />
Abrams; il gusto per la costruzione <strong>di</strong><br />
geometrie sonore <strong>di</strong> matrice zappiana<br />
(aspetto riscontrabile anche in Henry<br />
Cow); la consapevolezza delle fonti <strong>di</strong><br />
ispirazione dello stesso Zappa, come Varése e Stravinskij. Frith<br />
sfrutta al meglio le riso<strong>rs</strong>e del quartetto d’ance, tanto da mettere i<br />
colleghi in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> evocare le esperienze <strong>di</strong> formazioni come<br />
WSQ e, soprattutto, Rova. Basti ascoltare in Part 4 l’uso <strong>di</strong> registri<br />
binato allo stile mantrico del sassofonista palermitano,<br />
semmai si fosse pensato ad una sua combine<br />
con una vocalist. Un loop del basso apre<br />
Kuuge, sensuale il contralto, quasi femmineo,<br />
che <strong>di</strong>ce e non <strong>di</strong>ce per lasciar spazio alla voce.<br />
Rilassante ma nient’affatto larga One Clapping/<br />
Many Hands, grazie all’insistente beat e all’handclapping<br />
da cui prende nome. Tempo rubato nell’intro<br />
<strong>di</strong> basso, cui si affianca rorido il sax per lo<br />
spiritual Go Down Moses, ve<strong>rs</strong>ione aperta dove<br />
melo<strong>di</strong>a ed armonia sono scarnificate e messe a<br />
nudo, quin<strong>di</strong> in Hermit (Gebbia) sax e piano — più<br />
defilato il basso — si inseguono nell’arpeggio serrato<br />
<strong>di</strong> una estemporanea progressione che evidenzia<br />
il gran senso armonico del sassofonista.<br />
Dopo il furtivo Kan, apoteosi dei contrasti con<br />
Kami Kakushi, basso mitragliato, sussurri e aspe<strong>rs</strong>ioni<br />
vocali, e sax che schiocca e beccheggia nel<br />
bocchino. Strano invece che l’eponima Maboroshi<br />
veda all’opera solo sax e basso, seppure la successiva<br />
Yodaka No Hoshi sia una deliziosa composizione<br />
della <strong>music</strong>ista nipponica a forte<br />
connotazione melo<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong> cui il sax raddoppia il<br />
tema; risultato: ingenuo e splen<strong>di</strong>do al contempo.<br />
Seguono 1’ e 38” <strong>di</strong> assoluta solitu<strong>di</strong>ne<br />
per Gebbia in Ichi Go Ichi E, fra spuri multiphonics<br />
e pulitissime note, per finire con Rinne dove<br />
droni <strong>di</strong> voci e strumenti avviluppano il testo bud<strong>di</strong>sta<br />
sussurrato dalla Ishibashi._An.Te.<br />
BIG PICTURE (Intakt - 156) FRED FRITH & ART QUARTETT STILL URBAN (Intakt - 155)<br />
estremi, suoni stoppati, colpi <strong>di</strong> lingua<br />
e suoni parassitari. Altrove, si percepisce<br />
come il soprano debba qualcosa ad<br />
Evan Parker, mentre i grufolii ed i barriti<br />
del baritono si ricollegano a Roscoe<br />
Mitchell, John Raskin e Hamiet<br />
Bluiett. Non<strong>di</strong>meno, la scrittura <strong>di</strong><br />
Frith prevede anche insiemi calibrati,<br />
impasti delicati e creazione <strong>di</strong> bordoni.<br />
Qua e là si in<strong>di</strong>viduano infine<br />
pure residui minimalisti nell’impiego<br />
dell’iterazione (Rosali’s Song) e richiami<br />
alla tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica (Red<br />
Rag, le ampie curve melo<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Nostalgia,<br />
<strong>di</strong> stampo ellingtoniano e mingusiano).<br />
Ricco <strong>di</strong> contrasti, Still Urban<br />
vede la presenza, multiforme ma non<br />
invadente, della chitarra: in funzione<br />
<strong>di</strong> sostegno e bordone in Landscape<br />
with or without Edges e Near Future<br />
Faith, con l’ausilio <strong>di</strong> sustain e fuzz<br />
molto “frippiani”; pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> schegge<br />
rese acuminate dall’azione dei sassofoni<br />
in Door Won’t Open, Door Won’t<br />
Beat Hofstetter (ss), Sascha<br />
Armbruster (sa), Andrea<br />
Formenti (st), Beat Kappeler<br />
(s.br, sa), Fred Frith (ch)<br />
Part 1: Landscape with or<br />
without Edges; Part 2: Door<br />
Won’t Open, Door Won’t<br />
Close; Part 3: Nervous When<br />
I Turned; Part 4: Family<br />
Ties; Part 5: Science to Someone<br />
Living; Part 6: Glass<br />
and Mirror Cut to Size; Part<br />
7: Everywhere Hastily We<br />
Followed; Part 8: Two Blinkings<br />
of an Eyelid; Part 9:<br />
Near Future Faith<br />
Close; vicina alla lezione <strong>di</strong> Derek Bailey nello sfregar <strong>di</strong> corde e<br />
nell’accumulo <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> Family Ties; iconoclasta e vicina alla<br />
filosofia <strong>di</strong> John Zorn in Two Blinkings of an Eyelid. La voluta alternanza<br />
tra pieni e vuoti genera momenti in cui il suono sembra scaturire<br />
dall’interazione col silenzio o con rumori <strong>di</strong> ambiente. È il caso<br />
del brano iniziale, in cui un soprano scarno, “oboistico”, emerge da<br />
un sottofondo <strong>di</strong> suoni urbani, quasi a voler convalidare le teorie <strong>di</strong><br />
Cage. Il gusto quasi mistico, gregoriano, della melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Nervous<br />
When I Turned rappresenta in quest’ambito un’oasi <strong>di</strong> pace._En.Bo.<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 27
28 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09
Avishai Cohen (vc, cb, bs.el,<br />
pn), Shai Maestro (pn), Amos<br />
Hoffman (oud), Itamar Doari<br />
(prc), Karen Malka (vc), Stephane<br />
Belmondo (tr, flc), Lionel<br />
Belmondo (fl)<br />
Morenika<br />
Interlude in C-sharp Minor<br />
El Hatzipor<br />
Leolam<br />
Winter Song<br />
It’s Been So Long<br />
Alon Basela<br />
Still<br />
Shir Preda<br />
Aurora<br />
Alfonsina y el Mar<br />
Noches noches / La luz<br />
Torben Snekkestad (sx, cl), Jon<br />
Balke (pn, prep.pn), Jonas Westergaard<br />
(cb)<br />
September<br />
Francis Faced #2<br />
Seated Man<br />
Noodles or Icecream, Sir?<br />
Zobob<br />
Conic Folded<br />
E.P. Flowe<strong>rs</strong><br />
Icon<br />
Francise Faced #1<br />
Undercurrents<br />
Lovetann<br />
Paolino Dalla Porta (cb), Gianluca<br />
Petrella (tbn), Achille<br />
Succi (sc, cl.bs), Roberto Cec-<br />
AVISHAI COHEN AURORA (BlueNote - 2009)<br />
Il decimo album dal debutto come titolare con<br />
“Adama” (1998) impone un primo bilancio per il<br />
39enne contrabbassista israeliano. Per la verità<br />
si tratta dell’un<strong>di</strong>cesimo, se si considera “Sensitive<br />
Hou<strong>rs</strong>”, uscito l’anno sco<strong>rs</strong>o per la sua etichetta<br />
RazDaz, decisamente più orientato ve<strong>rs</strong>o<br />
la canzone e provvisto <strong>di</strong> sofisticati arrangiamenti<br />
speziati <strong>di</strong> sapori me<strong>di</strong>orientali. Con questo<br />
esor<strong>di</strong>o per la Blue Note Cohen sembra voler<br />
sviluppare il processo <strong>di</strong> recupero del proprio<br />
composito patrimonio culturale. Non a caso, il<br />
quintetto reca il nome <strong>di</strong> Eastern Unit. Ne fanno<br />
parte compagni <strong>di</strong> altre avventure, come il chitarrista<br />
Amos Hoffman, impegnato esclusivamente<br />
all’oud, ed il brillante pianista Shai<br />
Maestro, membro stabile del trio del contrabbassista.<br />
Cohen riserva ampio spazio alla vocalità: la<br />
propria, ruvida, non coltivata, ma il più delle<br />
volte efficace nella sua rozza innocenza; quella<br />
eterea <strong>di</strong> Karen Malka, protagonista <strong>di</strong> incisivi<br />
controcanti. L’impiego <strong>di</strong> lingue <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e conferisce<br />
all’incisione una <strong>music</strong>alità più ricca e variegata.<br />
È il caso dell’ebraico, ricco <strong>di</strong> parole<br />
tronche. Spiccano in questo contesto la melo<strong>di</strong>a<br />
avvolgente e modulata <strong>di</strong> El Hatzipor, con cui<br />
TORBEN SNEKKESTAD CONIC FOLDED (ILK - 2009)<br />
Conic Folded è il primo album a nome del sassofonista<br />
e clarinettista Torben Snekkestad, già<br />
membro del gruppo del sassofonista Trygve Seim,<br />
del Copenhagen Saxophone Quartet e della London<br />
Improvise<strong>rs</strong> Orchestra. Un album d’esor<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> notevole concentrazione e <strong>di</strong> ottimo spessore,<br />
giocato su toni minimalisti ed astratti con una<br />
sorprendente maturità <strong>di</strong> linguaggio. Raramente<br />
una opera prima presenta una voce così formata<br />
ed originale, ed un progetto al tempo rarefatto,<br />
intimista e assolutamente libero. L’influenza <strong>di</strong><br />
Evan Parker è evidente nei brani per sassofono<br />
soprano, ma ciò che sorprende è la capacità <strong>di</strong><br />
svolta improvvisa, l’attenzione al volume del<br />
suono, il perfetto amalgama tra linguaggio free<br />
e il minimalismo delle scelte. Inusuale anche il<br />
timbro <strong>di</strong> Snekkestad al clarinetto, evocatore più<br />
che <strong>di</strong> sonorità <strong>jazz</strong>y, <strong>di</strong> paesaggi intimisti e <strong>di</strong><br />
atmosfere che richiamo un altro grande <strong>music</strong>ista<br />
norvegese, il trombettista Arve Henriksen.<br />
Emblematico il brano Flower EP, dopo tre minuti<br />
<strong>di</strong> solo fiammeggiante in respirazione circolare<br />
per soprano entra il pianoforte <strong>di</strong> John Balke,<br />
che con pochi tocchi, pizzicando quasi le corde,<br />
riporta l’atmosfera a pagine quiete e sommesse.<br />
Balke si alterna con il contrabbassista Jonas Westergaard,<br />
già membro del gruppo Tartar <strong>di</strong> Michael<br />
Blake, in una serie <strong>di</strong> duetti e trii in cui la<br />
tessitura rimane omogenea e me<strong>di</strong>tativa riflettendo<br />
paesaggi in chiaroscuro con colori tenui.<br />
La tecnica del giovane <strong>music</strong>ista norvegese è<br />
sorprendente, mai al servizio <strong>di</strong> inutili funambolismi<br />
ne d’altronde facile all’ascolto, ma perfettamente<br />
integrata nel progetto dell’album.<br />
Meno note e a volume più basso rispetto alla<br />
me<strong>di</strong>a delle opere prime, ma una profonda ricerca<br />
del significato <strong>di</strong> ogni frase e della qualità<br />
insita in ciascuna <strong>di</strong> esse. L’analisi dei brani più<br />
significativi pone in rilievo Zobob, unico pezzo<br />
che si <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>ifica rispetto all’andamento generale<br />
dell’album, con un bop filtrato, mosso e<br />
me<strong>di</strong>ato da una <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a sensibilità. Undercurrents<br />
vede protagonista il piano preparato che<br />
riesce a <strong>di</strong>stillare sottili emozioni. Conic Folded<br />
è opera prima <strong>di</strong> innegabile fascino e interesse,<br />
anche se <strong>di</strong> non facile ascolto._Ro.De.<br />
PAOLINO DALLA PORTA QUINTET URBAN RAGA (Parco della Musica - 2009)<br />
Contro il tran tran della vita moderna e del solito<br />
<strong>jazz</strong> <strong>di</strong> sempre, ogni tanto esce un album come<br />
questo, che riappacifica con il concetto che sta<br />
alla base stessa <strong>di</strong> questa <strong>music</strong>a: suonare senza<br />
pregiu<strong>di</strong>zi, senza confini. Forte <strong>di</strong> un’esperienza<br />
che lo ha visto collaborare con mezzo mondo, <strong>di</strong><br />
qua e <strong>di</strong> là dall’oceano, il contrabbassista Paolino<br />
Dalla Porta pubblica questo Urban Raga, compen<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> <strong>music</strong>a improvvisata con background certamente<br />
<strong>jazz</strong>istico, ma con ispirazione che<br />
proviene da quelle cellule <strong>music</strong>ali che nella tra-<br />
Cohen ha <strong>music</strong>ato una poesia <strong>di</strong> Haim Nachman<br />
Bialik, poeta nazionale d’Israele; la serrata costruzione<br />
ritmica su tempi <strong>di</strong>spari <strong>di</strong> Alon Basela;<br />
Shir Preda, canzone <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>o, con Cohen al piano<br />
e assolo <strong>di</strong> basso elettrico sovrainciso. È interessante<br />
notare che il primo ed il terzo dei suddetti<br />
brani figuravano anche in “Sensitive Hou<strong>rs</strong>”. Poi<br />
Cohen attinge ancora una volta alla tra<strong>di</strong>zione sefar<strong>di</strong>ta.<br />
Morenika e Noches noches sono canti del<br />
repertorio giudeo-spagnolo, eseguiti in la<strong>di</strong>no. In<br />
particolare il secondo, databile attorno al XIII secolo,<br />
gode <strong>di</strong> un’atmosfera sospesa, sottolineata<br />
dall’archettato del contrabbasso e da modulazioni<br />
che richiamano la cultura arabo-andalusa<br />
ed il cante jondo, base del flamenco. Piccolo gioiello,<br />
infine, è la ve<strong>rs</strong>ione per sola voce e contrabbasso<br />
<strong>di</strong> un cavallo <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Mercedes<br />
Sosa: Alfonsina y el Mar, scritta da Ariel Ramírez<br />
e Félix Luna in memoria della poetessa argentina<br />
Alfonsina Storni, morta suicida. Il <strong>di</strong>sco potrebbe<br />
deludere gli ammiratori del potente contrabbassista<br />
del quartetto Origin <strong>di</strong> Chick Corea o del live<br />
al Blue Note “As Is...”. Tuttavia, pur nella sua imperfezione,<br />
segna un tentativo significativo <strong>di</strong><br />
riappropriazione delle ra<strong>di</strong>ci._En.Bo.<br />
<strong>di</strong>zione del raga in<strong>di</strong>ano vengono svolte dai <strong>music</strong>isti<br />
in modo altrettanto estemporaneo che nel<br />
<strong>jazz</strong>. Il tratto “urban”, invece, proietta il risultato<br />
ve<strong>rs</strong>o una <strong>di</strong>mensione avanguar<strong>di</strong>sta ed un<br />
modo <strong>di</strong> fare <strong>music</strong>a dalla prospettiva senza limiti.<br />
Anche il gruppo <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti che chiama a<br />
sé costituisce il fior fiore <strong>di</strong> chi, avendo ben piantati<br />
i pie<strong>di</strong> nella tra<strong>di</strong>zione, non <strong>di</strong>sdegna <strong>di</strong>, anzi<br />
si <strong>di</strong>verte a, perlustrare altre strade e sperimentare<br />
nuovi suoni, segnando il passo con i tempi.<br />
Così Akoustic Resistance, mentre Hypnosys, gra-<br />
JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 29
chetto (ch.el), Marten Lund (bt)<br />
Akoustic Resistance<br />
Hypnosys<br />
Urban Raga<br />
Saturniana<br />
Motion of Light<br />
Sine Die<br />
Blu<br />
Dangerous Crossing<br />
Gian Tornatore (st, ss), Nate<br />
Radley (ch), Jon Ande<strong>rs</strong>on (pn),<br />
Thomsom Kneeland (cb), Jordan<br />
Perlson (bt)<br />
La Vita<br />
Fall<br />
La Copa del Mondo<br />
Nobody But You<br />
Hearing Triangles<br />
Missing You<br />
Scream<br />
La Vita (never to be forgotten)<br />
Felice Clemente (st, ss, cl),<br />
Bebo Ferra (ch), Massimo Colombo<br />
(pn), Giulio Corini (cb),<br />
Massimo Manzi (bt)<br />
Ospiti: Tino Tracanna (ss), Antonello<br />
Monni (st)<br />
The Second Time<br />
Chuku<br />
All Too Soon<br />
Blue of Mine<br />
Nemesis<br />
To Clifford<br />
Imaharat<br />
Sottili Equilibri<br />
Divertimento n. 1<br />
30 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />
zie alla chitarra può considera<strong>rs</strong>i la ve<strong>rs</strong>ione elettrica<br />
<strong>di</strong> tale approccio. Ancor più esemplificativo<br />
Urban Raga, avviato da quattro avvincenti minuti<br />
<strong>di</strong> introduzione del contrabbassista, prima <strong>di</strong> assumere<br />
i colori solari <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> calypso. Deliziosa<br />
la combinazione fra la nitida chitarra <strong>di</strong><br />
Cecchetto e il vibrante clarinetto basso <strong>di</strong> Succi<br />
in Motion of Light, animata dal fremente trombone<br />
<strong>di</strong> Petrella e dal palpitante contrabbasso<br />
del leader. Un vamp quasi arrabbiato stacca Sine<br />
Die, il cui motivo, raga o no, sa molto <strong>di</strong> Mingus.<br />
GIAN TORNATORE FALL (Sound Spiral - 2009)<br />
A poco più i due anni dall’ultimo “Black Out” il<br />
sassofonista Gian Tornatore, siciliano d’origine<br />
(senza alcuna parentela con il famoso regista)<br />
ma ormai <strong>di</strong> stanza a New York City, esce con un<br />
nuovo lavoro, terzo della sua carriera <strong>di</strong>scografica.<br />
Anche in questo caso, come per il precedente,<br />
si presenta in quintetto, ma questa<br />
volta, oltre al supporto della chitarra <strong>di</strong> Nate<br />
Radley, Jon Ande<strong>rs</strong>on siede esclusivamente al<br />
piano acustico, senza l’ausilio del Fender come<br />
avvenuto in precedenza. Probabilmente la<br />
scelta è dettata dal tipo <strong>di</strong> composizioni, tutte<br />
originali, contenute nel <strong>di</strong>sco, che poco concedono<br />
alle ambientazioni funky, ed hanno invece<br />
bisogno <strong>di</strong> un valido riferimento armo-ritmico,<br />
che si <strong>di</strong>stingua dalla chitarra. Il tenorista si<br />
evidenzia per una grande luci<strong>di</strong>tà ed un perfetto<br />
allineamento melo<strong>di</strong>co con l’andamento<br />
tematico, come in Fall, sorta <strong>di</strong> tango che dà<br />
titolo all’album, con un piano particolarmente<br />
assorto ed un vibrante assolo del contrabbasso.<br />
A sua volta, la chitarra spesso si ritrova ad essere<br />
alter ego del sax, come ne La Vita, mentre<br />
altre volte gode <strong>di</strong> ampi spazi propri come ne<br />
La Copa del Mondo. Qui un suono pulito con-<br />
Blu è una ballad in 5/4 che ha la voce del clarinetto,<br />
con assolo del titolare. Esaltante il <strong>di</strong>alogo<br />
fra Dalla Porta e l’alto <strong>di</strong> Succi in Dangerous<br />
Crossing, fino a quando il contrabbasso non si<br />
pianta su un pedale clau<strong>di</strong>cante che fa la felicità<br />
della batteria <strong>di</strong> Lund, degli allusivi vocaleggi <strong>di</strong><br />
Petrella, delle asimmetriche linee della chitarra.<br />
Su tutto sovrasta il portamento garbato del contrabbassista<br />
mantovano. Un album intriso <strong>di</strong> ironia,<br />
<strong>di</strong>vertimento, ma soprattutto intriso <strong>di</strong> <strong>jazz</strong><br />
e <strong>di</strong> tanta, tanta <strong>music</strong>a._An.Rig.<br />
sente <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le parti <strong>di</strong> ciascun <strong>music</strong>ista,<br />
permettendo <strong>di</strong> seguire l’apparente tortuosità<br />
del tema e la complessità della<br />
struttura: grande coerenza improvvisativa del<br />
tenore, quin<strong>di</strong> l’assolo <strong>di</strong> batteria, imbastito<br />
molto sui piani timbrici <strong>di</strong> pelli e piatti. Anche<br />
Hearing Triangles si caratterizza per frasi segmentate<br />
e nervose, questa volta condotte al<br />
raddoppio fra chitarra e tenore, liberando<br />
anche lievi accenni più free, con un esteso rubato<br />
concesso al piano, mentre sul finale chitarra<br />
e sax si battono a colpi <strong>di</strong> scale esatonali.<br />
Missing You è un brano malinconico, ma le linernotes<br />
fanno presumere non tratta<strong>rs</strong>i esattamente<br />
<strong>di</strong> un partner. In Scream, dopo l’intro al<br />
contrabbasso l’esposizione è affidata al soprano<br />
<strong>di</strong> Tornatore le cui curve si inte<strong>rs</strong>ecano<br />
alle corde della chitarra riverberata. L’ultimo<br />
pezzo è eseguito dalla coppia piano e tenore,<br />
con tempo più lento: una reprise de La Vita in<br />
una trasfigurazione più emotiva, sottotitolo<br />
Never to Be Forgotten. Un’altra buona prova<br />
per il sassofonista americano e la sua band, che<br />
nulla hanno da invi<strong>di</strong>are a molti altri gruppi <strong>di</strong><br />
mainstream._An.Te.<br />
FELICE CLEMENTE QUINTET BLUE OF MINE (Crocevia <strong>di</strong> Suoni Records - 2009)<br />
Un progetto nato, per ammissione dell’autore<br />
stesso nel libretto interno, osservando l’orizzonte,<br />
“quell’incantevole punto <strong>di</strong> congiunzione<br />
tra cielo e mare […] dove si fondono due<br />
magiche entità, completamente <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e ma<br />
compatibili in modo del tutto fluido e naturale”.<br />
Un’immagine con cui il sassofonista Felice<br />
Clemente veicola l’idea che questo sesto<br />
album a proprio nome sia frutto e fusione<br />
delle esperienze e degli incontri <strong>music</strong>ali fatti<br />
finora, oltre che delle vicende più importanti<br />
della sua vita e della sua carriera. Il tutto animato<br />
dall’esigenza <strong>di</strong> far incontrare le culture<br />
<strong>music</strong>ali che ama — il <strong>jazz</strong>, il blues, la classica,<br />
l’afro, il latin, il tango — per “raggiungere<br />
l’anima <strong>di</strong> tutti coloro che sanno lascia<strong>rs</strong>i<br />
attrave<strong>rs</strong>are dal flusso dei suoni […] con la naturalezza<br />
<strong>di</strong> un respiro o del battito del<br />
cuore”. Questa esperienza, con<strong>di</strong>visa con <strong>music</strong>isti<br />
con i quali collabora da tempo — da<br />
Massimo Colombo a Massimo Manzi fino a Tino<br />
Tracanna — colpisce sia per il talento, la sensibilità<br />
e la generosità dei protagonisti, sia per<br />
il <strong>di</strong>alogo aperto, privo <strong>di</strong> forzature e dogmi<br />
stilistici con cui è affrontata la realtà sempre<br />
più composita del <strong>jazz</strong> contemporaneo. “Un<br />
<strong>di</strong>alogo — fa notare ancora Clemente — dove<br />
ogni strumentista ha avuto lo spazio per mettere<br />
in risalto le sue peculiarità, ma sempre al<br />
servizio della nostra unica padrona: la Musica”.<br />
Una <strong>music</strong>a leggiadra e stimolante che<br />
fluisce complice fra le pieghe del gruppo, lasciando<br />
una pe<strong>rs</strong>istente e (im)palpabile sensazione<br />
<strong>di</strong> energizzante piacere corale. Basti<br />
ascoltare le linee serpentine e scoscese del<br />
leader su Divertimento n. 1, intrecciate con<br />
quelle parimenti evocative e cangianti <strong>di</strong> Tino<br />
Tracanna e Antonello Monni, gli intriganti e<br />
<strong>di</strong>amantini ricami <strong>di</strong> Bebo Ferra, il profondo e<br />
intenso eloquio <strong>di</strong> Massimo Colombo, i robusti<br />
e simbiotici scambi fra il <strong>di</strong>namico e tonico<br />
Giulio Corini e il colorato e frastagliato Massimo<br />
Manzi, per capire. L’intero album sgorga<br />
da tale estetica e proprio per questo, per il<br />
suo accattivante e fascinoso cangiare stilistico-espressivo<br />
all’interno <strong>di</strong> un unicum composito<br />
e aperto, se ne consiglia l’ascolto<br />
integrale, perdendosi volut(tuos)amente fra le<br />
vie o tracce del crocevia <strong>di</strong> suoni da esso evocato._Ma.Ma.
B l a c k<br />
Il titolo in lingua tedesca <strong>di</strong> questo nuovo<br />
lavoro del sassofonista Branford Ma<strong>rs</strong>alis,<br />
Metamorphosen, si può riferire tanto ai<br />
cambiamenti <strong>di</strong> cui è capace il suo celebrato<br />
quartetto, in grado ad ogni uscita<br />
<strong>di</strong>scografica <strong>di</strong> confronta<strong>rs</strong>i con sé stesso<br />
in contesti <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i — dai toni contemplativi<br />
<strong>di</strong> “Eternal”, all’antologico e celebrativo<br />
“Footsteps of our Fathe<strong>rs</strong>” fino ai<br />
risvolti più moderni <strong>di</strong> “Bloomington”,<br />
“Contemporary Jazz” e l’acclamato<br />
“Braggtown” <strong>di</strong> tre anni fa —, quanto alla<br />
varietà <strong>di</strong> brani e <strong>di</strong> moods, <strong>di</strong> idee e soluzioni<br />
a cui la ve<strong>rs</strong>atilità dei suoi componenti<br />
dà vita all’interno dei singoli album.<br />
Non si potrebbe chiedere <strong>di</strong> meno ad una<br />
band <strong>di</strong> così alto livello e straor<strong>di</strong>nariamente<br />
affiatata: Jeff “Tain” Watts segue<br />
il maggiore dei fratelli Ma<strong>rs</strong>alis da più<br />
tempo <strong>di</strong> tutti, Eric Revis lo accompagna<br />
al contrabbasso anche lui da <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i anni<br />
mentre l’inserimento del pianista Joey<br />
Calderazzo si rese necessario a causa<br />
della prematura scompa<strong>rs</strong>a, nel 1998,<br />
dello storico pianista Kenny Kirkland. Il Cd<br />
contiene quasi interamente pezzi originali<br />
<strong>di</strong> ciascuno dei <strong>music</strong>isti, partendo da The<br />
Return of the Jitney Man, scritta da Watts<br />
per il padre, nulla <strong>di</strong> sentimentalistico<br />
bensì un pimpante brano in cui il tenorista<br />
mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>verti<strong>rs</strong>i parecchio, con pirotecnica<br />
finale. Di Calderazzo sono la<br />
struggente ballad The Blossom of Parting,<br />
che vede Ma<strong>rs</strong>alis imbracciare il soprano,<br />
con vago sapore klezmer, e The Last Goodbye, anch’essa a sottolineare<br />
la languida vena compositiva del pianista (e fo<strong>rs</strong>e non<br />
è un caso che Watts cerchi <strong>di</strong> vivacizzare l’atmosfera), anche se<br />
è nelle improvvisazioni sui tempi più ritmati che se ne apprezza<br />
meglio la puntualità del tocco. Da Revis vengono invece Abe Vigoda,<br />
zigzagante ballad contemporanea costruita sulle bacchette<br />
dell’autore con Ma<strong>rs</strong>alis <strong>di</strong> nuovo al soprano, And Then,<br />
He Was Gone, per contrabbasso solo, de<strong>di</strong>cata al figlio, e Sphere,<br />
in onore ovviamente <strong>di</strong> Monk. E pure a quest’ultimo è tributato<br />
il sottinteso omaggio attrave<strong>rs</strong>o l’unico standard presente nell’incisione,<br />
Rhythm-A-Ning, dove i tamburi <strong>di</strong> Watts dettano variegate<br />
cadenze e inusitati andamenti. Stranamente, soltanto<br />
una composizione è firmata dal leader, Jabberwocky, un giro <strong>di</strong><br />
19 battute tutto da ascoltare giacché, dopo circa vent’anni, Ma<strong>rs</strong>alis<br />
vi si cimenta — per giunta pianoless! — imbracciando il sax<br />
contralto, che non mostra neppure un filo <strong>di</strong> ruggine, anzi sembra<br />
proprio costituire il perfetto trait-d’union fra il corposo<br />
suono del suo tenore e il periodare serpeggiante del suo soprano;<br />
vi si <strong>di</strong>stingue inoltre un’impeccabile contraddanza fra Revis e<br />
Watts. Particolare anche l’omaggio del batterista afroamericano<br />
allo scompa<strong>rs</strong>o visual artist Jean-Michel Basquiat nell’ultimo<br />
brano, Samo ©, dove spicca uno scorrevole fraseggio del pianista,<br />
con conclusione in un trascinante finale funky in 7/8. Un<br />
<strong>di</strong>sco fo<strong>rs</strong>e preve<strong>di</strong>bile nella forma, ma la cui sostanza rimane<br />
pur sempre un ascolto più che go<strong>di</strong>bile._An.Te.<br />
B R A N F O R D M A R S A L I S Q U A RT E T<br />
METAMORPHOSEN<br />
(Ma<strong>rs</strong>alis Music — 2009)<br />
Musicisti: Branford Ma<strong>rs</strong>alis (st, sc, ss),<br />
Joey Calderazzo (pn), Eric Revis (cb), Jeff<br />
“Tain” Watts (bt)<br />
Brani: 1. The Return of the Jitney Man;<br />
2. The Blossom of Parting; 3. Jabberwocky;<br />
4. Abe Vigoda; 5. Rhythm-A-Ning;<br />
6. Sphere; 7. The Last Goodbye; 8. And<br />
Then, He Was Gone; 9. Samo ©<br />
Non è dato sapere se per questo lavoro Ma<strong>rs</strong>alis si sia in qualche<br />
modo ispirato al noto racconto <strong>di</strong> Kafka. Effettivamente, le metamorfosi<br />
del titolo si adattano benissimo all’evoluzione <strong>di</strong> questo<br />
<strong>music</strong>ista, rivelatosi fo<strong>rs</strong>e troppo presto sulla scena<br />
internazionale sulla scia del più celebre e prolifico fratello mi-<br />
nore Wynton. Dunque, in prossimità dei<br />
suoi 50 anni (essendo Branford nato nel<br />
1960) e a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> trenta dagli esor<strong>di</strong>,<br />
è lecito domanda<strong>rs</strong>i: cosa resta del brillante<br />
sassofonista passato attrave<strong>rs</strong>o i<br />
Jazz Messenge<strong>rs</strong>, membro del quintetto<br />
<strong>di</strong> Wynton, ospite in due brani <strong>di</strong> “Decoy”<br />
<strong>di</strong> Miles Davis, protagonista <strong>di</strong> uno dei più<br />
apprezzati gruppi <strong>di</strong> Sting, titolare tra il<br />
1983 ed il 1988 <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi come “Scenes in<br />
the City”, “Royal Garden Blues”, “Random<br />
Abstract” e “Trio Jeepy”? A giu<strong>di</strong>care<br />
dall’ascolto <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sco, relativamente<br />
poco, il che non è certo un male. I<br />
compagni <strong>di</strong> viaggio sono gli stessi da<br />
molti anni (il sodalizio con Watts risale<br />
ad<strong>di</strong>rittura agli esor<strong>di</strong>). A <strong>di</strong>fferenza del<br />
fratello, pervicacemente impegnato nella<br />
<strong>di</strong>fesa e nella definizione dei valori della<br />
tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica, Branford ha spesso<br />
deviato dalla “strada maestra”, come <strong>di</strong>mostrano<br />
anche gli interessanti esperimenti<br />
con il blues (“I Heard You Twice The<br />
Fi<strong>rs</strong>t Time”) e il funky (“Buckshot La Fonque”).<br />
Come definire allora Metamorphosen?<br />
Post bop? Mainstream? Niente più che<br />
un <strong>di</strong>sco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> moderno, fortemente ra<strong>di</strong>cato<br />
nella tra<strong>di</strong>zione afroamericana ma<br />
capace <strong>di</strong> elaborarne determinate suggestioni,<br />
anche per evitare il vicolo cieco in<br />
cui si cacciano molti manieristi, giustificando<br />
allora le suddette etichette. Basta<br />
analizzare il Branford sassofonista, strumento<br />
per strumento. Al tenore ha sviluppato<br />
un fraseggio ricco <strong>di</strong> tensione ritmica, dalle forti ra<strong>di</strong>ci<br />
hende<strong>rs</strong>oniane, privo delle ridondanze logorroiche cui ricorrono<br />
molti supertecnici della nuova generazione: una caratteristica<br />
esaltata da un brano come The Return of the Jitney Man, basato<br />
sulle figurazioni del compositore Watts. L’alto, suo primo amore,<br />
caratterizza Jabberwocky con sentori ornettiani nella segmentazione<br />
del fraseggio e nelle deviazioni dal perco<strong>rs</strong>o armonico.<br />
Branford manifesta poi una piena padronanza e maturità espressiva<br />
al soprano. Che si tratti <strong>di</strong> scavare nell’armonia classicheggiante<br />
<strong>di</strong> The Blossom of Parting, <strong>di</strong> affrontare il tema in staccato<br />
ed il gusto quasi seriale <strong>di</strong> Abe Vigoda, <strong>di</strong> centellinare la melo<strong>di</strong>a<br />
<strong>di</strong> The Last Goodbye o <strong>di</strong> contribuire alle meticolose <strong>di</strong>namiche<br />
collettive nel crescendo graduale <strong>di</strong> Samo @, Branford esibisce un<br />
senso dell’economia (mutuato da Shorter) che gli permette <strong>di</strong><br />
ponderare e dosare le frasi. Se a questo si aggiungono l’asciuttezza<br />
melo<strong>di</strong>ca dell’assolo <strong>di</strong> Revis in And Then, He Was Gone<br />
(con Haden e Holland a far capolino <strong>di</strong>etro l’angolo) e l’efficace<br />
lavoro del collettivo nella trasposizione mai pe<strong>di</strong>ssequa dei due<br />
temi <strong>di</strong> Monk, se ne desume un quadro omogeneo. Ovvero, quello<br />
<strong>di</strong> una vasta area del <strong>jazz</strong> moderno che dagli anni ’60 ha profondamente<br />
permeato il linguaggio contemporaneo._En.Bo.<br />
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