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e<strong>di</strong>toriale<br />

sommario ottobre ’09<br />

4 Highlights<br />

cover<br />

8 Gebhard Ullmann instancabile molteplicità<br />

Alain Drouot<br />

Spotlight/1<br />

14 Guido Mazzon l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

Enzo Bod<strong>di</strong><br />

18<br />

Spotlight/2<br />

Jacob Karlzon<br />

Andrew Rigmore<br />

<strong>jazz</strong> & arts<br />

Heat, il calore che viene dalla Svezia<br />

21 <strong>Ron</strong> <strong>Miyashiro</strong> fluente connubio <strong>di</strong> linee e colori<br />

Marco Maimeri<br />

RECENSIONI CD<br />

24 Focus on Rashied Ali LIVE IN EUROPE<br />

31<br />

I 5 CD imprescin<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> Adam Nussbaum<br />

Black & White<br />

Branford Ma<strong>rs</strong>alis Quartet METAMORPHOSEN<br />

Enzo Bod<strong>di</strong> e Antonio Terzo<br />

32 Eventuali<br />

A tutti bentrovati.<br />

In questi due mesi sono successe così tante cose che effettivamente è<br />

un po' <strong>di</strong>fficile riprendere il filo. È stata infatti un'estate piuttosto intensa,<br />

tantissimi avvenimenti, non sempre piacevoli, molta <strong>music</strong>a,<br />

in gran parte nota ed in parte sorprendente, tante vecchie amicizie ritrovate<br />

ed una significativa manciata, incoraggiante, <strong>di</strong> nuove conoscenze.<br />

E si fa strada la convinzione che fo<strong>rs</strong>e la <strong>music</strong>a più vera e<br />

spontanea oggi si può trovare più nelle piccole rassegne che non nei<br />

megalitici e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>osi festival.<br />

Nel frattempo non possiamo non registrare che alcuni gran<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti<br />

ci hanno lasciato: procedendo semplicemente per trasporto affettivo,<br />

fra questi vogliamo ricordare George Russell e Rashied Ali, <strong>di</strong><br />

cui si parla nelle prossime pagine, ed il nostro storico Gianni Basso.<br />

Ovviamente in pochissimi in Italia si sono occupati <strong>di</strong> lui, neppure<br />

una notiziuola veloce in coda al tiggì; unica eccezione Piero Angela,<br />

che all'interno <strong>di</strong> una delle ultime puntate del suo noto programma televisivo,<br />

occupandosi <strong>di</strong> <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong> ha ricordato la figura del sassofonista<br />

astigiano, al quale, fra l'altro, è da poco succeduto come<br />

Presidente onorario del Jazz Club Torino.<br />

All'interno <strong>di</strong> questo numero cre<strong>di</strong>amo<br />

d'aver messo molta <strong>music</strong>a e<br />

molta arte, fra figure <strong>di</strong> grande spessore<br />

ma fo<strong>rs</strong>e mai troppo note, come<br />

Gebhard Ullmann a cui è de<strong>di</strong>cata la<br />

copertina, e nuove interessantissime<br />

leve come Jacob Karlzon, fino a pe<strong>rs</strong>onaggi<br />

<strong>di</strong> considerevole profilo <strong>music</strong>ale<br />

ed intellettuale come Guido<br />

Mazzon. Lasciando al lettore il piacere<br />

<strong>di</strong> scorrere le segnalazioni <strong>di</strong>scografiche,<br />

ci piace invece mettere<br />

in evidenza la quarta <strong>di</strong> copertina <strong>di</strong><br />

Brunella Marinelli, de<strong>di</strong>cata a Bill<br />

Evans, del quale lo sco<strong>rs</strong>o agosto ricorreva<br />

l'80° annive<strong>rs</strong>ario dalla nascita:<br />

un modo tutto nostro per<br />

celebrarlo.<br />

Lunga vita al <strong>jazz</strong>!<br />

Antonio Terzo<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 3


canada<br />

highlights<br />

Quando il Jazz Institute <strong>di</strong> Chicago<br />

(JIC) ed il City of Chicago’s Mayor’s Office<br />

of Special Events iniziarono nel 1979 a<br />

ginglla<strong>rs</strong>i con l’idea <strong>di</strong> un festival del<br />

<strong>jazz</strong>, in questo campo la città era ancora<br />

molto in<strong>di</strong>etro rispetto ad altre realtà.<br />

Quelli erano tempi strani per avviare un<br />

<strong>jazz</strong> festival, il <strong>jazz</strong> non era più all’apice<br />

della sua creatività e la stessa città stava<br />

affrontando rilevanti cambiamenti per<br />

l’inizio <strong>di</strong> un esodo ve<strong>rs</strong>o le periferie. Per<br />

far fronte alla situazione e nel proseguimento<br />

della missione <strong>di</strong> promozione del<br />

<strong>jazz</strong> del JIC, si decise che il festival sarebbe<br />

stato ad ingresso gratuito.<br />

Il primo anno l’evento durò ben sette<br />

giorni, il più lungo <strong>di</strong> sempre. Da allora,<br />

la sua durata è venuta lentamente riducendosi,<br />

a causa, principalmente, della<br />

ristrettezza <strong>di</strong> budget: una lotta costante<br />

con gli amministratori citta<strong>di</strong>ni. Il punto<br />

più basso si raggiunse nel 1993, quando<br />

la programmazione sul palco durò soltanto<br />

due giorni. Venne allora in socco<strong>rs</strong>o<br />

il circuito dello smooth <strong>jazz</strong> — con assoluto<br />

sgomento dei più irriducibili fra i fan<br />

— che finanziò una serata nella quale<br />

inevitabilmente furono invitati artisti<br />

come Diane Schuur ed i Yellowjackets.<br />

L’anno successivo la municipalità cedette<br />

alle lamentele e finanziò tre giornate, <strong>di</strong>venute<br />

quattro nel 1997. Nel 2003, però,<br />

la questione del finanziamento si presentò<br />

<strong>di</strong> nuovo. Per fronteggiarla, questa<br />

volta la decisione fu <strong>di</strong> includere per la<br />

prima volta un concerto a pagamento,<br />

l’Opening Night al Chicago Symphony<br />

Center. Questa prassi cessò per il 30° Annive<strong>rs</strong>ario<br />

del CJF, nel 2008, quando un<br />

finanziatore privato si accollò il concerto<br />

inaugurale <strong>di</strong> Sonny Rollins.<br />

Quest’anno il festival è stato ridotto a<br />

tre giorni, e chissà cosa il futuro ha in<br />

serbo, considerata l’attuale situazione finanziaria.<br />

Per amor <strong>di</strong> verità, occore<br />

pure <strong>di</strong>re che contemporaneamente il<br />

4 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

united states<br />

japan<br />

britain<br />

Chicago Jazz Festival, storia <strong>di</strong> un mito<br />

<strong>di</strong> Alain Drouot<br />

numero <strong>di</strong> palchi è andato sempre ad aumentare:<br />

nel 1986 fu aggiunto un secondo<br />

palco, e il ’99 vide l’apertura dello<br />

Junior Jazz Stage, in seguito <strong>di</strong>venuto il<br />

Jazz & Heritage Family Stage (nel 2001)<br />

e Jazz & Heritage Stage (nel 2004); nel<br />

2009 è stato lanciato un quarto palco de<strong>di</strong>cato<br />

alle scuole superiori ed ai college,<br />

riscuotendo grande successo.<br />

Ciò che <strong>di</strong>stingueva il Chicago Jazz Festival<br />

degli esor<strong>di</strong> era l’accentuata enfasi<br />

posta nei confronti della scena locale, la<br />

città essendo in grado <strong>di</strong> attirare un’impressionante<br />

accolita <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti <strong>jazz</strong>.<br />

Nel 1979 l’ex <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> Downbeat e vibrafonista<br />

Don DeMicheal fece esibire la<br />

sua band, mentre nel ’98 il sassofonista<br />

Ed Wilke<strong>rs</strong>on presentò Shadow Vignettes,<br />

un ensemble <strong>di</strong> circa trenta <strong>music</strong>isti che<br />

schierava i sassofonisti Von Freeman e<br />

Fred Ande<strong>rs</strong>on come special guests: questo<br />

concerto è ancora considerato uno<br />

dei migliori <strong>di</strong> sempre tenutisi al CJF.<br />

Negli anni più recenti, il numero <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti<br />

non statunitensi ospiti è stato ridotto<br />

e portato ad un unico spettacolo.<br />

europe<br />

D’altra parte nell’86 hanno presenziato<br />

al festival chicagoano il trombettista britannico<br />

Humphrey Lyttelton, i fuoriclasse<br />

olandesi Misha Mengelberg e Han Bennink,<br />

il pianista spagnolo Tete Montoliu, il<br />

chitarrista danese Pierre Dorge ed il Sudafricano<br />

Abdullah Ibrahim. Nel co<strong>rs</strong>o<br />

degli anni anche qualche <strong>jazz</strong>ista italiano<br />

ha contribuito al successo della rassegna:<br />

Giorgio Gaslini (1988), il Quatre con Enrico<br />

Rava e Franco D’Andrea (1991), il<br />

Riccardo Luppi Quartet (1996) e l’Italian<br />

Instabile Orchestra (2000).<br />

Infine, un’altra particolare caratteristica<br />

del CJF è sempre stata quella <strong>di</strong><br />

commissionare opere originali. La prima<br />

fu African Sunrise, eseguita in prima assoluta<br />

dal pianista Randy Weston all’e<strong>di</strong>zione<br />

1986 del CJF. Un’altra opera che<br />

merita d’esser menzionata è la composizione<br />

che George Grunz de<strong>di</strong>cò alla città,<br />

The Chicago Cantata. Fortunatamente,<br />

quello non era il “canto del cigno” del festival<br />

e c’è abbastanza forza <strong>di</strong> volontà<br />

per mantenere viva questa tra<strong>di</strong>zione ancora<br />

per molti anni a venire.


Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity, l’unive<strong>rs</strong>ità del <strong>jazz</strong><br />

<strong>di</strong> Michael Pronko<br />

Sono molte in Giappone le unive<strong>rs</strong>ità,<br />

ma la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity è certamente<br />

unica: enormi intelaiature nere che bloccano<br />

i corridoi, porte a maniglioni che<br />

coibentano i suoni, cinque linee parallele<br />

sono impresse su tutte le lavagne bianche,<br />

dei ripiani reggono gli impianti stereo<br />

e le classi spesso hanno un be po’ <strong>di</strong><br />

leggii metallici o un piano a coda. Senzoku<br />

è l’unive<strong>rs</strong>ità del <strong>jazz</strong> in Giappone.<br />

In quasi tutte le gran<strong>di</strong> unive<strong>rs</strong>ità giapponesi<br />

c’è un circolo del <strong>jazz</strong> che si incontra<br />

fuori dalle ore regolari <strong>di</strong> lezione,<br />

nel qual gli studenti <strong>music</strong>isti possono<br />

esercita<strong>rs</strong>i, imparare e sviluppare le proprie<br />

abilità con i compagni, con insegnanti<br />

ed alunni che vengono loro in<br />

aiuto. A lungo conosciuta come una<br />

scuola <strong>di</strong> <strong>music</strong>a, esclusiva in particolare<br />

per la <strong>music</strong>a classica, la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity<br />

ha aperto la propria cattedra <strong>di</strong> <strong>jazz</strong><br />

circa <strong>di</strong>eci anni fa. Le lezioni private <strong>di</strong><br />

<strong>jazz</strong> sono anche facili da trovare, sebbene<br />

sia <strong>di</strong>fficile essere abbastanza bravi<br />

per venire accettati e <strong>di</strong> recente, anche<br />

i conservatori tra<strong>di</strong>zionali hanno aperto<br />

delle classi <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. Tuttavia, il programma<br />

full time e con conseguimento <strong>di</strong><br />

un <strong>di</strong>ploma che offre la Senzoku è unico<br />

in Giappone, e non solo perché i suoi insegnanti<br />

sono selezionati fra i <strong>jazz</strong>isti<br />

professionisti della scena <strong>di</strong> Tokyo e devono<br />

possedere un curriculum conseguito<br />

sulla celebre Berklee College of Music.<br />

Chi stu<strong>di</strong>a alla Senzoku <strong>di</strong> solito è pe<strong>rs</strong>ona<br />

seria ed attenta. A <strong>di</strong>fferenza dello<br />

stereotipo dello studente <strong>di</strong> college giapponese<br />

che sonnecchia o invia <strong>email</strong> al<br />

cellulare in fondo ad una classe annoiata,<br />

gli studenti della Senzoku devono esibi<strong>rs</strong>i<br />

e rispondere durante le lezioni. La loro<br />

interazione è a doppio senso, e richiede<br />

che essi comprendano il complesso della<br />

teoria <strong>jazz</strong> e siano pronti a mostrare i<br />

propri progressi. Certo la passione aiuta.<br />

Basta fare un giro per il moderno e pulito<br />

campus, dotato pure <strong>di</strong> satellite, per<br />

rende<strong>rs</strong>i conto che tutto e tutti qui si de<strong>di</strong>cano<br />

al <strong>jazz</strong>. Anziché un campo <strong>di</strong> basket<br />

c’è uno spazio per esibi<strong>rs</strong>i, invece <strong>di</strong><br />

una libreria ci sono classi d’esercitazione,<br />

ed invece <strong>di</strong> chiacchierare in caffetteria<br />

gli studenti si consultano sulle chitarre<br />

<strong>di</strong>teggiando silenziosamente scale o tra-<br />

scrivendo spartiti. La bacheca degli annunci<br />

dei lavori part-time elenca soltanto<br />

offerte da parte <strong>di</strong> tutor <strong>di</strong> <strong>music</strong>a.<br />

L’ingresso alla scuola è altamente competitivo.<br />

Senzoku accetta soltanto trenta<br />

studenti all’anno nei suoi co<strong>rs</strong>i <strong>di</strong> teoria<br />

<strong>jazz</strong>, armonia ed esecuzione. Ma invece<br />

degli estenuanti test a risposta multipla<br />

che molti studenti giapponesi devono patire,<br />

qui i can<strong>di</strong>dati scrivono armonie<br />

<strong>jazz</strong> e suonano lo strumento prescelto.<br />

Una volta entrati, seguono le lezioni <strong>di</strong><br />

teoria, armonia e composizione nonché<br />

lezioni private con <strong>music</strong>isti in attività <strong>di</strong><br />

massimo livello. Essi hanno anche la possibilità<br />

<strong>di</strong> fare domanda al Berklee College<br />

of Music <strong>di</strong> Boston, sebbene la<br />

concorrenza sia feroce. Entrare nella sala<br />

insegnanti del Senzoku è come trova<strong>rs</strong>i<br />

nel retropalco <strong>di</strong> un concerto <strong>jazz</strong> tutto<br />

giapponese: vi si possono incontrare celebri<br />

<strong>music</strong>isti locali come i pianisti Masaaki<br />

Imaiizumi e Yuki Arimasa, i<br />

sassofonisti Seiichi Nakamura e Seiji<br />

Tada, il batterista Masahiko Osaka, o il<br />

trombettista Tomonao Hara.<br />

Gli studenti imparano in gran parte il<br />

bop, ma via via si spingono sempre più<br />

oltre ed in tutte le <strong>di</strong>rezioni. L’approccio<br />

giapponese tra<strong>di</strong>zionale all’insegnamento<br />

<strong>di</strong> arti come il lavoro della ceramica<br />

o le arti marziali è spesso quello<br />

scelto come metodo anche qua. In questo<br />

highlightsss<br />

senso, gli insegnanti sono visti come<br />

maestri e possono essere rigorosi e pretendere<br />

in un modo che gli studenti delle<br />

scuole occidentali neppure immaginerebbero.<br />

Tuttavia all’interno della severità<br />

c’è anche un enorme preoccupazione ed<br />

interesse a che le nuove generazioni <strong>di</strong><br />

<strong>music</strong>isti sviluppino le capacità per portare<br />

avanti il <strong>jazz</strong> e, si spera, espanderlo.<br />

Molti dei migliori <strong>di</strong>plomati del Senzoku<br />

hanno già cominciato a riempire<br />

club e concerti a Tokyo e Yokohama.<br />

Molte band si sono formate nelle classi<br />

d’esercitazione <strong>di</strong> questa unive<strong>rs</strong>ità proseguendo<br />

delle sod<strong>di</strong>sfacenti carriere.<br />

Molti hanno scelto anche <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e,<br />

ma sempre portando con sé le proprie<br />

abilità e le proprie conoscenze<br />

<strong>jazz</strong>istiche in stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> registrazione, nella<br />

gestione del palco ed in altre posizioni <strong>di</strong><br />

rilievo in società del settore <strong>music</strong>ale. In<br />

questo senso, Senzoku sta certamente<br />

aiutando non soltanto ad formare <strong>music</strong>isti<br />

<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> ma anche ad espandere ulteriormente<br />

la cultura <strong>jazz</strong>istica.<br />

Certamente, il Giappone non aveva bisogno<br />

affatto <strong>di</strong> una unive<strong>rs</strong>ità per fare<br />

questo, dal momento che il <strong>jazz</strong> qui è<br />

sempre stato uno dei generi <strong>music</strong>ali più<br />

rispettati e popolari, ma la Senzoku Unive<strong>rs</strong>ity<br />

aiuta a coltivare il <strong>jazz</strong> ed a impreziosirlo<br />

attrave<strong>rs</strong>o un proprio perco<strong>rs</strong>o<br />

accademico molto originale.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 5


highlights<br />

L’anno accademico 2009/2010 segnerà<br />

un passo importante nella storia del New<br />

England Conservatory <strong>di</strong> Boston che celebrerà<br />

il quarantesimo annive<strong>rs</strong>ario<br />

dall’istituzione dei suoi Co<strong>rs</strong>i <strong>di</strong> Jazz, con<br />

due settimane <strong>di</strong> concerti che si svolgeranno<br />

fra Boston e New York.<br />

Rilevanza internazionale per la celebrazione,<br />

i cui riflettori illumineranno<br />

anche la Jordan Hall, storica e prestigioso<br />

au<strong>di</strong>torium dei concerti organizzati<br />

annualmente dal New England Conservatory.<br />

È qui che il 24 ottobre il Wayne<br />

Shorter Quartet delizierà il pubblico con<br />

dei nuovi pezzi scritti appositamente per<br />

l’occasione, unendosi nel secondo set<br />

alla NEC Philarmonica.<br />

Concerti gratuiti e a pagamento si alterneranno<br />

dando spazio ad illustri<br />

ospiti, tra i quali Don Byron, Ran Blake,<br />

Rachel Price, Danilo Perez, Roger Kellaway,<br />

Carl Atkins e molti altri. Accanto ai<br />

fuoriclasse del <strong>jazz</strong> e della <strong>music</strong>a classica,<br />

si esibiranno anche molti giovani<br />

studenti nel pieno spirito dei festeggiamenti,<br />

coinvolgendo un pubblico <strong>di</strong><br />

amanti del <strong>jazz</strong> <strong>di</strong> ogni età e provenienza.<br />

Gli eventi si terranno a New York,<br />

nella primavera del 2010, dal 21 al 27<br />

marzo: giornate che avranno il loro culmine<br />

presso il B.B. King Blues Club con le<br />

performance <strong>di</strong> Regina Carter, Fred<br />

He<strong>rs</strong>ch, Don Byron, Carl Atkins, John Medeski,<br />

Harvey Mason e Ran Blake.<br />

La nascita del programma <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> in<br />

<strong>jazz</strong> del New England Conservatory, il<br />

primo interamente accre<strong>di</strong>tato presso un<br />

conservatorio della <strong>music</strong>a, si deve all’iniziativa<br />

<strong>di</strong> Gunther Schuller, storico,<br />

cornista e compositore statunitense, protagonista<br />

della scena <strong>music</strong>ale classica e<br />

<strong>jazz</strong> contemporanea. Nel 1967 Schuller<br />

<strong>di</strong>viene Presidente del conservatorio, e<br />

riesce nel 1969 a far approvare il suo programma<br />

<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> dalla National Association<br />

of Schools of Music, cosa che gli consente<br />

<strong>di</strong> avviare il suo progetto <strong>di</strong> insegna-<br />

6 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

New England Conservatory, 40 anni <strong>di</strong> “Jazz Stu<strong>di</strong>es”<br />

<strong>di</strong> Patrizia Arca<strong>di</strong><br />

mento con l’obiettivo <strong>di</strong> fondere <strong>jazz</strong> e<br />

<strong>music</strong>a classica in un nuovo genere. Da<br />

allora importanti successi e celebri autori<br />

si sono succeduti, segnando un crescendo<br />

<strong>di</strong> importanti riconoscimenti e spingendo<br />

il NEC ad apri<strong>rs</strong>i all’organizzazione <strong>di</strong> festival<br />

e conco<strong>rs</strong>i al fine <strong>di</strong> promuovere<br />

giovani studenti talentuosi.<br />

La storia dei Jazz Stu<strong>di</strong>es del New England<br />

Conservatory annovera fra i suoi<br />

primi alunni nomi come Stanton Davis e<br />

Ricky Ford per poi proseguire con <strong>music</strong>isti<br />

che hanno presto assunto una posizione<br />

<strong>di</strong> grande rilievo sulla scena<br />

internazionale, come Anthony Coleman,<br />

Marilyn Crispell, Satoko Fujii, Steve Lacy,<br />

Fred He<strong>rs</strong>ch, Martin Ehrlich, Jerome Harris,<br />

Michael Moore e Bo Winiker.<br />

A coronare la storia dei Jazz Stu<strong>di</strong>es,<br />

la nomina a Jazz Maste<strong>rs</strong> del National Endowment<br />

for the Arts <strong>di</strong> alcuni dei suoi<br />

docenti più eminenti: il fondatore Gunther<br />

Schuller, il compositore, trombonista<br />

e <strong>di</strong>rettore d’orchestra Bob Brookmeyer,<br />

il pianista e <strong>di</strong>rettore George Russel, da<br />

poco scompa<strong>rs</strong>o e che ha a lungo prestato<br />

la sua opera <strong>di</strong> docente all’interno del<br />

NEC, il pianista e poeta Cecil Taylor, uno<br />

Il Campus del NEC - foto per concessione del New England Conservatory<br />

dei padri fondatori del free <strong>jazz</strong>, ed il<br />

contrabbassista <strong>Ron</strong> Carter.<br />

Promotore <strong>di</strong> oltre 600 concerti all’anno,<br />

il New England Conservatory è la<br />

scuola in<strong>di</strong>pendente <strong>di</strong> <strong>music</strong>a più antica<br />

degli Stati Uniti, fondata nel 1867 da Eben<br />

Tourjee, che si propone dunque come realtà<br />

storica nel panorama delle scuole<br />

professionali <strong>di</strong> <strong>music</strong>a, <strong>di</strong>stintasi per il<br />

rigore dei suoi programmi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e per<br />

il nutrito numero <strong>di</strong> rinomati artisti che<br />

in qualche modo a questa realtà sono legati,<br />

come studenti formatisi presso il<br />

NEC, docenti o anche organizzatori. In<br />

questo contesto gli stu<strong>di</strong> al NEC si sono<br />

sempre basati sulla cultura e sull’arte<br />

dell’improvvisazione, vera anima dell’esperienza<br />

<strong>jazz</strong>, della creatività e della<br />

sperimentazione. La tra<strong>di</strong>zione scolastica,<br />

basata sulla fusione fra classico e<br />

<strong>jazz</strong>, promuove gli studenti anche attrave<strong>rs</strong>o<br />

un programma ra<strong>di</strong>ofonico settimanale<br />

chiamato “From the Top”.<br />

Un esempio, quello del New England<br />

Conservatory, <strong>di</strong> una storica tra<strong>di</strong>zione<br />

capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffonde<strong>rs</strong>i e <strong>di</strong> evolve<strong>rs</strong>i a livello<br />

internazionale muovendosi ve<strong>rs</strong>o il<br />

futuro della <strong>music</strong>a.


L’aperitivo in <strong>jazz</strong> della Milano da bere<br />

<strong>di</strong> Alberto Francavilla<br />

Nozze d’argento per “Aperitivo in concerto”,<br />

rassegna milanese giunta all’e<strong>di</strong>zione<br />

numero 25. Un festival che<br />

<strong>di</strong>mostra come qualunque momento sia<br />

buono per la <strong>music</strong>a, e allora nel capoluogo<br />

lombardo, la “Milano da bere”,<br />

anche il momento dell’aperitivo può essere<br />

appropriato per ascoltare un buon<br />

concerto o per assistere ad uno spettacolo<br />

intrigante.<br />

Gli appuntamenti saranno mattutini,<br />

in un orario che ad alcuni sembrerà inusuale:<br />

chi salirà sul palco del Teatro<br />

Manzoni tra il 2 novembre e il 14 marzo<br />

lo farà alle 11, anche se non mancano<br />

due appuntamenti serali in prime time.<br />

E sarà proprio una soirée quella del<br />

primo appuntamento, che vede il gra<strong>di</strong>to<br />

ritorno in Italia <strong>di</strong> Sonny Rollins esibi<strong>rs</strong>i<br />

in sestetto.<br />

La manifestazione porterà sul palco<br />

eventi <strong>music</strong>ali, ma anche rea<strong>di</strong>ng e<br />

“performing arts” provenienti da <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e<br />

tra<strong>di</strong>zioni. Sarà interessante, ad esempio,<br />

ascoltare il 29 novembre Vinicio Ca-<br />

“Italian Jazz Days” al Jazz at Lincoln Center<br />

<strong>di</strong> Andrew Rigmore<br />

Se c’è un luogo a New York che vuol<br />

essere punto <strong>di</strong> riferimento per il <strong>jazz</strong>,<br />

questo è certamente il Jazz at Lincoln<br />

Center. Parliamo ovviamente del <strong>jazz</strong> più<br />

tra<strong>di</strong>zionale, non a caso a <strong>di</strong>rigere la benemerita<br />

istituzione è il pala<strong>di</strong>no della<br />

tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica Wynton Ma<strong>rs</strong>alis.<br />

Se delle battaglie condotte dal rinomato<br />

trombettista <strong>di</strong> New Orleans e<br />

“collezionista” <strong>di</strong> Grammy tutti sono a<br />

conoscenza, notizia passata invece un<br />

po’ in sor<strong>di</strong>na è che a capo della Programmazione<br />

artistica del JaLC è dal<br />

2007 il pianista — nato in Germania ma<br />

italianissimo — Antonio Ciacca. Ed è grazie<br />

alla sua iniziativa ed al lavoro <strong>di</strong> promozione<br />

dell’Istituto Italiano <strong>di</strong> Cultura<br />

che dal 12 al 17 ottobre si terrà a New<br />

York la prima e<strong>di</strong>zione dell’“Italian Jazz<br />

Days”, festival che pone al centro della<br />

scena il made in Italy della <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>.<br />

Prodotta infatti dall’Istituto Italiano<br />

<strong>di</strong> Cultura e dal Jazz at Lincoln Center,<br />

possela mentre recita stralci <strong>di</strong> “A night<br />

in the old Marketplace”, opera teatrale<br />

tratta da un testo dello scrittore yid<strong>di</strong>sh<br />

Y. L. Peretz. Il cantautore sarà accompagnato<br />

dal trombettista Frank London e<br />

dal cantante in<strong>di</strong>ano Manu Narayan.<br />

Il tema in programma quest’anno è<br />

quello del viaggio. Viaggio inteso sia<br />

come spostamento geografico che come<br />

contaminazione <strong>di</strong> arti e generi. Esprime<br />

benissimo questa istanza il progetto del<br />

pianista in<strong>di</strong>ano Vijay Iyer, accompagnato<br />

dal rapper americano Mike Ladd, che <strong>music</strong>herà<br />

alcune lettere inviate dai militari<br />

statunitensi dall’Iraq (7 febbraio).<br />

La tra<strong>di</strong>zione del Nuovo Continente si<br />

mescola a quella africana in altri due<br />

appuntamenti: quello del 24 gennaio<br />

con la Either Orchestra guidata dal sassofonista<br />

Russ Ge<strong>rs</strong>hon,che comprende<br />

importanti <strong>music</strong>isti etiopi come Mulatu<br />

Astakte e Mahmoud Ahmed; oppure il<br />

concerto del 31 gennaio, in cui Hamid<br />

Drake riscoprirà la tra<strong>di</strong>zione caraibica<br />

e giamaicana con i Bindu.<br />

la rassegna ospiterà nelle due location<br />

del Dizzy’s Club Coca Cola e della sede<br />

dello stesso Istituto Italiano <strong>di</strong> Cultura<br />

popolari esponenti del <strong>jazz</strong> italiano,<br />

quali Rosario Giuliani, Gianluca Renzi,<br />

Ada Rovatti, Paolo Recchia, Battista<br />

Giordano, Lucio Ferrara, Nicola Angelucci,<br />

Luca Santaniello, Marco Panascia,<br />

Paola Puggioni nonché alcuni <strong>jazz</strong>isti <strong>di</strong><br />

evidente origine italiana e chiara fama<br />

come Joey De Francesco, George Garzone,<br />

Joseph Lepore, Jeremy Manasia<br />

ed altri.<br />

Il festival nasce esattamente con l’intento<br />

<strong>di</strong> perpetuare quel rapporto fra<br />

immigranti italiani e <strong>jazz</strong> che si è instaurato<br />

fin dall’inizio del XX secolo e ha<br />

visto fra i protagonisti <strong>di</strong> questa <strong>music</strong>a<br />

Nick La Rocca, primo nel 1916 ad incidere,<br />

insieme ad altri connazionali, un<br />

<strong>di</strong>sco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. In seguito non sono mancati<br />

ulteriori importanti contributi da<br />

parte <strong>di</strong> altre rilevanti figure <strong>di</strong> Italo-<br />

highlightsss<br />

Sonny Rollins<br />

Il 16 novembre torna John Zorn, ospite<br />

quasi fisso del festival: il suo gruppo Masada<br />

ripercorrerà le vie dell’ebraismo<br />

con la guest star Joe Lovano, mentre il<br />

13 <strong>di</strong>cembre largo all’Hypnotic Brass Ensemble,<br />

orchestra d’ottoni da Chicago.<br />

Il 14 febbraio i fiati del World Saxophone<br />

Quartet si uniranno alle percussioni<br />

dei M’Boom. Infine ancora <strong>jazz</strong>,<br />

quello con la “J” maiuscola: l’8 novembre<br />

Miroslav Vitous, Franco Ambrosetti e<br />

Michel Portal omaggeranno i Weather Report,<br />

mentre il Stanley Cowell Trio chiuderà<br />

le danze il 14 marzo.<br />

Antonio Ciacca<br />

Americani, quali Ed<strong>di</strong>e Lang, Joe Venuti,<br />

Joe Pass, Pete Rugolo ed altri. Oggi<br />

quella tra<strong>di</strong>zione viene portata avanti<br />

da fuoriclasse rispondenti al nome <strong>di</strong><br />

Joe Lovano, Jerry Bergonzi, Dave Santoro,<br />

John Patitucci, Pat Martino, giusto<br />

per citarne solo alcuni.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 7


Gebhard Ullmann<br />

instancabile molteplicità<br />

Da dove deriva Basement Research,<br />

il nome del gruppo, e qual<br />

è il significato <strong>di</strong> “Don’t Touch<br />

My Music”, titolo dell’album?<br />

Il nome del gruppo si riferisce alla<br />

ricerca del limite più basso<br />

“<br />

dell’estensione tonale.<br />

Che è anche il motivo per<br />

il quale la strumentazione<br />

include il clarinetto basso<br />

ed il sax tenore, il trombone<br />

ed il sax baritono.<br />

L’organico originale, in effetti,<br />

era costituito da clarinetto<br />

basso, sax tenore,<br />

un secondo tenore ed un<br />

bel po’ <strong>di</strong> archi scritti. Trovavo<br />

che “Don’t Touch My<br />

Music” fosse un titolo appropriato<br />

al giorno d’oggi<br />

in ragione <strong>di</strong> tutto questo movimento<br />

retrò che si va facendo<br />

strada in molti campi della cultura.<br />

La mia sensazione è che<br />

spessissimo non si guar<strong>di</strong> ad un<br />

avanzamento o al tentativo <strong>di</strong> tro-<br />

vare qualcosa <strong>di</strong> nuovo, ma solo a<br />

come si può vendere o quale possa<br />

essere la strategia <strong>di</strong> mercato. E<br />

questo è vero per il <strong>jazz</strong> ma anche<br />

per altre forme <strong>di</strong> cultura.<br />

Dovrebbe esserci<br />

un’energia comune sul palco<br />

ed anche fuori dal palco,<br />

perché la chimica è importante<br />

Se <strong>di</strong>spongo <strong>di</strong> cinque <strong>music</strong>isti<br />

il risultato può venire moltiplicato<br />

più che per cinque<br />

Perché far uscire due Cd <strong>di</strong>stinti<br />

anziché un doppio Cd?<br />

Semplicemente perché un doppio<br />

Cd ha un prezzo <strong>di</strong> copertina<br />

più elevato. Inoltre perché pe<strong>rs</strong>onalmente<br />

i Cd doppi non mi<br />

<strong>di</strong> Alain Drouot<br />

foto <strong>di</strong> Juan-Carlos Hernández<br />

Sassofonista, clarinettista basso, flautista, compositore e <strong>di</strong>rettore,<br />

il giovane ultracinquantenne resta fra le figure più inquiete della scena <strong>music</strong>ale europea<br />

Un polistrumentista mai pago e sempre alla ricerca <strong>di</strong> nuovi stimoli<br />

con una spiccata propensione per i registri bassi, non soltanto nei suoi strumenti<br />

esce adesso con “Don’t Touch My Music”, un live in due volumi con il suo nuovo Basement Research<br />

Ma c'è da giurare che stia già pensando ad altro<br />

hanno mai preso. Ed infine perché<br />

per tanto tempo uno dei miei<br />

<strong>di</strong>schi preferiti è stato il “Live at<br />

the Lighthouse” <strong>di</strong> Elvin Jones ed<br />

era pubblicato in Volume 1 e Volume<br />

2. Così, non si tratta<br />

<strong>di</strong> una novità, è già stato<br />

fatto in precedenza.<br />

Rispetto a molti degli<br />

altri tuoi progetti, come<br />

Clarinet Trio, The<br />

Swell/Ullmann Quartet o<br />

Conference Call, nel<br />

co<strong>rs</strong>o degli anni Basement<br />

Research ha visto<br />

un certo avvicendamento<br />

<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti. C’è<br />

una spiegazione e quali<br />

” sono le caratteristiche<br />

che cerchi in un <strong>music</strong>ista perché<br />

possa <strong>di</strong>ventare membro <strong>di</strong><br />

questa band?<br />

Be’, voglio che la band sia una<br />

band. Dovrebbe esserci un’energia<br />

comune sul palco ed anche<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 9


fuori dal palco, perché la chimica<br />

è importante. C’è poi il fatto <strong>di</strong><br />

suonare sul momento, e <strong>di</strong> eseguire<br />

i miei arrangiamenti e sposta<strong>rs</strong>i<br />

da uno all’altro. Se<br />

<strong>di</strong>spongo <strong>di</strong> cinque <strong>music</strong>isti il risultato<br />

può venire moltiplicato<br />

più che per cinque; può essere<br />

moltiplicato per sei o sette, e<br />

questo è proprio ciò che vado<br />

cercando. Ognuno deve essere<br />

all’altezza della situazione. All’inizio<br />

i cambiamenti nella composizione<br />

della band erano dovuti<br />

alle ragioni pe<strong>rs</strong>onali <strong>di</strong> alcuni<br />

dei <strong>music</strong>isti con i quali suonavo.<br />

Inoltre, certe volte aveva a che<br />

fare con la <strong>di</strong>sponibilità o piuttosto<br />

con la non-<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> alcuni<br />

dei <strong>music</strong>isti che facevano<br />

parte della band. Quando capitava<br />

qualcosa <strong>di</strong> questo tipo io<br />

coglievo l’occasione per passare<br />

su un perco<strong>rs</strong>o <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o. Per esempio,<br />

sono passato da uno schieramento<br />

a due sax tenori ad uno<br />

con meno fiati. Quando ho iniziato<br />

con il progetto Basement<br />

Research, in giro c’erano poche<br />

band con due tenori. Dopo<br />

l’uscita dei primi tre Cd del<br />

gruppo, un sacco <strong>di</strong> altri <strong>music</strong>isti<br />

hanno cominciato ad usare quella<br />

stessa formula. Perciò, ho ritenuto<br />

che fosse tempo <strong>di</strong> avviare<br />

la band ve<strong>rs</strong>o qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o.<br />

Come polistrumentista, inizi un<br />

progetto basandoti sugli strumenti<br />

che vuoi utilizzare? Scrivi<br />

la <strong>music</strong>a avendo in mente uno<br />

specifico strumento?<br />

Sì, scrivo sempre per degli strumenti<br />

in particolare, ma in un secondo<br />

momento potrei anche<br />

decidere <strong>di</strong> usare alcune delle<br />

composizioni per altri strumenti<br />

o anche altre formazioni. Di solito<br />

all’inizio faccio suonare le<br />

mie composizioni da uno dei miei<br />

progetti con strumenti a fiato,<br />

ma talvolta può avvenire <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>amente.<br />

Per esempio, i brani<br />

dell’album “Kreuzberg Park East”<br />

<strong>di</strong> Basement Reaserch sono stati<br />

10 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

tutti scritti a New York City. All’epoca<br />

la formazione includeva<br />

Ellery Eskelin al sax tenore, Drew<br />

Gress al contrabbasso e Phil Haynes<br />

alla batteria. Successivamente,<br />

decisi <strong>di</strong> usare alcune <strong>di</strong><br />

quelle composizioni per il mio<br />

Clarinet Trio. Il nuovo materiale<br />

che si trova su “Don’t Touch My<br />

Music” è stato scritto tutto<br />

avendo in mente quella specifica<br />

formazione [cfr. recensione]. A<br />

“<br />

Adoro il timbro<br />

grave dei fiati, così<br />

come adoro abbinare<br />

i bassi fra loro<br />

Mi piace l’impasto<br />

sonoro che crea<br />

una sezione<br />

<strong>di</strong> clarinetti bassi<br />

Mi ha sempre<br />

intrigato la relazione<br />

fra il registro basso<br />

dei miei strumenti<br />

ed il trombone<br />

”<br />

proposito, abbiamo provato molti<br />

dei nuovi pezzi <strong>di</strong> pomeriggio, a<br />

Cracovia, e per la prima volta li<br />

abbiamo eseguiti proprio la sera<br />

in cui sono stati registrati.<br />

Secondo la tua esperienza,<br />

quali sono le principali <strong>di</strong>fferenze<br />

fra i <strong>music</strong>isti americani<br />

e quelli europei e tedeschi?<br />

Oggi queste <strong>di</strong>fferenze sembrano<br />

parecchio sfumate, soprattutto<br />

grazie alla possibilità<br />

<strong>di</strong> viaggiare che permette più<br />

scambi fra i <strong>music</strong>isti, e ad un<br />

più facile accesso alla <strong>music</strong>a,<br />

penso per esempio ai servizi in<br />

rete. C’è una certa rudezza nel<br />

modo in cui i <strong>music</strong>isti americani<br />

trattano un certo gruppo, cosa<br />

che mi piace. Ovviamente il<br />

background culturale è <strong>di</strong>fferente:<br />

questo aspetto lo si può<br />

sentire in modo particolare<br />

quando si ascolta il free.<br />

Molto spesso gli Europei impiegano<br />

molto tempo a fare il<br />

soundcheck ed ottenere il<br />

suono desiderato, mentre gli<br />

Americani si limitano appena a<br />

sistema<strong>rs</strong>i e poi subito suonano.<br />

Ti risulta?<br />

Potresti aver ragione. Ci potrebbe<br />

essere una regola generale,<br />

ma come per tutte le regole<br />

ci sono poi molte eccezioni. Confrontando<br />

i gruppi <strong>di</strong> Berlino e<br />

quelli <strong>di</strong> New York tuttavia non riscontro<br />

alcuna <strong>di</strong>fferenza significativa<br />

a riguardo.<br />

Probabilmente non sono molti a<br />

sapere che hai stu<strong>di</strong>ato anche<br />

per <strong>di</strong>ventare me<strong>di</strong>co. Se ce<br />

n’è, quali sono gli elementi <strong>di</strong><br />

quei tuoi stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina che<br />

hai potuto utilizzare nel tuo lavoro<br />

<strong>di</strong> <strong>music</strong>ista?<br />

Non sono un me<strong>di</strong>co perché non<br />

ho terminato gli stu<strong>di</strong> e quin<strong>di</strong><br />

non ho mai preso la laurea — ma<br />

c’è mancato poco! Direi che<br />

quella è stata una parte <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a<br />

<strong>di</strong> me, <strong>di</strong> molto tempo fa. E<br />

quin<strong>di</strong> non vedo nessuna correlazione<br />

con la mia <strong>music</strong>a.<br />

Come ricordavi prima, hai suonato<br />

e riarrangiato alcune delle<br />

tue composizioni per <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i<br />

tuoi progetti. Perché nel caso<br />

del Big Band Project hai invece<br />

deciso <strong>di</strong> chiedere ad altri <strong>music</strong>isti<br />

<strong>di</strong> arrangiare le tue composizioni?<br />

Il motivo è abbastanza semplice.<br />

Volevo essere concentrato a suonare<br />

i miei strumenti. Dirigere


una big band, essere il principale solista ed arrangiare<br />

la <strong>music</strong>a mi sembra un po’ troppo ambizioso,<br />

anche per me. Credevo pure che sarebbe stato interessante<br />

avere input <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i da alcuni miei amici<br />

<strong>di</strong> <strong>music</strong>a e scoprire come essi avrebbero visto le<br />

mie composizioni. Penso che il risultato sia stato<br />

proprio gran<strong>di</strong>oso. E sì, mi piacerebbe farlo <strong>di</strong><br />

nuovo, perché quanto è frequente poter avere l’opportunità<br />

<strong>di</strong> registrare con una big band? E soprattutto<br />

con una big band <strong>di</strong> duel tipo?<br />

Come descriveresti l’approccio <strong>di</strong> quei <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i arrangiatori<br />

— Satoko Fujii, Chris Dahlgren, Andy<br />

Elmer ed Guenter Lenz — alla tua <strong>music</strong>a? Ed in<br />

cosa li senti <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i dal tuo approccio?<br />

L’idea era <strong>di</strong> portare ad un forte punto <strong>di</strong> contrasto<br />

ciò che già era presente nelle mie composizioni. Ho<br />

proposto allora <strong>di</strong> rafforzare questi elementi<br />

aprendo ai tipici gruppi delle big band — fiati, ottoni,<br />

ecc., — ed impiegandoli più come in un lavoro<br />

<strong>di</strong> <strong>music</strong>a da camera contemporanea, svolgendo secondo<br />

un determinato arrangiamento più <strong>di</strong> una<br />

mia composizione. Loro hanno seguito questo perco<strong>rs</strong>o<br />

ed esteticamente il risultato è stato abbastanza<br />

sod<strong>di</strong>sfacente. Ovviamente, se si guarda ai<br />

loro arrangiamenti nei dettagli si noterà che sono<br />

<strong>di</strong>fferenti da come li avrei fatti io, ma sono io che<br />

ho fornito loro l’idea che <strong>di</strong>cevo poca’anzi, in modo<br />

da dar loro una in<strong>di</strong>cazoine generale. Sempre io ho<br />

scelto le composizioni e le ho assegnate a ciascuno<br />

dei <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i arrangiatori. Quin<strong>di</strong>, come è facile vedere,<br />

il mio ruolo non è stato affatto neutrale.<br />

Puoi descrivere la tua propensione per il registro<br />

basso, espressa in particolare nel progetto<br />

Bassx3, con Chris Dahlgren and Clayton Thomas?<br />

Adoro il timbro grave dei fiati, così come adoro<br />

abbinare i bassi fra loro. Infatti, mi piace tantissimo<br />

l’impasto sonoro che crea una sezione <strong>di</strong> clarinetti<br />

bassi, come nel Tá Lam project. Infine,<br />

come in<strong>di</strong>cano molti dei miei più recenti progetti,<br />

mi ha sempre intrigato la relazione fra il registro<br />

basso dei miei strumenti ed il trombone. Si può<br />

ascoltare qualcosa anche cercando alcuni dei nostri<br />

video su Youtube.<br />

Hai lavorato con <strong>music</strong>isti italiani come Enrico<br />

Rava o anche la pianista Rita Marcotulli. Come vi<br />

siete incontrati e qual è stata la natura della vostra<br />

collaborazione con ciascuno <strong>di</strong> loro?<br />

Con Enrico Rava ho fatto un paio <strong>di</strong> concerti che<br />

sono sfociati poi in un album alla fine degli anni ’80,<br />

Rava/Ullmann/Wille<strong>rs</strong>/Lillich/Schäuble per l’etichetta<br />

Nabel. Lo invitammo ad uni<strong>rs</strong>i al nostro<br />

quartetto che si chiamava Out to Lunch, residente<br />

a Berlino Ovest. Si lavorò così bene che facemmo<br />

una session <strong>di</strong> registrazione seguita da un tour con<br />

il chitarrista Andreas Wille<strong>rs</strong>, il bassista Martin Lil-<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 11


lich ed il batterista Nikolaus Schäuble. In quegli<br />

stessi anno, fra l’89 ed il ’90, ho cambiato il mio<br />

orientamento <strong>music</strong>ale. Berlino stava attrave<strong>rs</strong>ando<br />

alcuni cambiamenti importanti come città. Così<br />

presi il clarinetto basso ed iniziai il Tá Lam Project.<br />

A ripensarci, quest’album è un ottimo esempio <strong>di</strong><br />

come io fossi al passo con i tempi. Quanto a Rita<br />

Marcotulli, era nell’European Ra<strong>di</strong>o Jazz Orchestra.<br />

All’epoca, era il ’90 o il ’91, io ero il <strong>music</strong>ista tedesco<br />

del gruppo. Ed è pure lì che ho incontrato<br />

Hans Hassler che <strong>di</strong>venne poi uno dei membri stabili<br />

<strong>di</strong> Tá Lam, e Andy Emler che poi sarebbe stato uno<br />

degli arrangiatori chiamati per il Big Band Project.<br />

Nel 2007 hai celebrato il tuo 50° compleanno<br />

con una serie <strong>di</strong> tour. A questo punto della tua<br />

carriera, quali sono gli obiettivi <strong>music</strong>ali che desideri<br />

ancora raggiungere?<br />

Mi muovo sempre in avanti. A questo punto mi piacerebbe<br />

registrare dei nuovi lavori con il Tá Lam<br />

Project ed il Clarinet Trio. Sono stato molto tempo<br />

in tournée con questi gruppi ma è tanto che non registro<br />

nulla con loro. Un nuovo repertorio per il Clarinet<br />

Trio è in co<strong>rs</strong>o d’opera; infatti, ho scritto la<br />

<strong>music</strong>a lo sco<strong>rs</strong>o mese, e dopo un periodo <strong>di</strong> pausa<br />

piuttosto lungo sto pianificando un quarto album.<br />

Sto anche lavorando ad un Cd su Charles Mingues<br />

12 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

con il mio Tá Lam Project, coinvolgendo per lo più<br />

<strong>music</strong>isti residenti a Berlino, ed abbiamo debuttato<br />

come Tá Lam 11 proprio lo sco<strong>rs</strong>o settembre.<br />

Quin<strong>di</strong> faremo quattro concerti questo autunno e<br />

speriamo <strong>di</strong> registrare il Cd il prossimo febbraio,<br />

per l’etichetta berlinese Jazzwerkstatt. Inoltre,<br />

Steve Swell ed io abbiamo fatto una splen<strong>di</strong>da registrazione<br />

con il nostro quartetto, quello con Hilliard<br />

Greene al basso e Barry Al<strong>rs</strong>chul alla batteria.<br />

Sto pure lavorando a vari progetti che non prevedono<br />

<strong>music</strong>a scritta e sono basati sull’improvvisazione<br />

concettuale free, come stanno pensando<br />

<strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i compositori che improvvisano insieme.<br />

Anche quest’anno, come l’anno passato, ho fatto<br />

un certo numero <strong>di</strong> concerti lavorando in questa <strong>di</strong>rezione.<br />

Tutti qui a Berlino.<br />

Quali cambiamenti hai potuto riscontrare nella<br />

scena berlinese degli ultimi anni ed in particolare<br />

dopo la caduta del muro?<br />

Be’, adesso è una grande scena. Molta gente proveniente<br />

da varie parti del mondo si è trasferita<br />

qui, ogni settimana nuovi gran<strong>di</strong> <strong>music</strong>isti — <strong>di</strong><br />

fatto non soltanto <strong>music</strong>isti ma in generale molti<br />

artisti <strong>di</strong> tutti i tipi! — si trasferiscono in città. E la<br />

cosa più affascinante è che mi trovo proprio nel bel<br />

mezzo <strong>di</strong> quello che sta succedendo in questo mo-


mento. Letteralmente, posso anche passeggiare<br />

andando a molti spettacoli.<br />

Hai appena detto che molti artisti, non soltanto<br />

<strong>music</strong>isti, si stanno trasferendo a Berlino. Stai lavorando,<br />

o hai in rogramma <strong>di</strong> lavorare, con artisti<br />

anche in campi artistici <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i dalla <strong>music</strong>a?<br />

Di tanto in tanto lavoro con attori come Otto Sander.<br />

Sono anche coinvolto in alcuni dei progetti<br />

del compositore turco Tayfun Erdem. Sono progetti<br />

che coinvolgono in qualche modo letteratura<br />

e narrazione.<br />

E ci sono altre forme artistiche che influenzano<br />

o ispirano la tua <strong>music</strong>a? In che misura?<br />

Da qualche tempo suono all’apertura <strong>di</strong> mostre e<br />

uso <strong>di</strong>pinti o sculture, che è anche meglio, per ispirarmi.<br />

Sono un vorace lettore, ma devo confessare<br />

che non credo che i libri che leggo ispirino la mia<br />

<strong>music</strong>a ad un livello <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o da quello intellettuale.<br />

La cosa è invece <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a per tutto ciò che è visio,<br />

come quadri, foto, film o video. Dunque talvota uso<br />

questi elementi o lavori visivi come ispirazione per<br />

scrivere un pezzo. Il modo in cui i film ed i video<br />

sono montati sta cambiando. Oggi l’e<strong>di</strong>ting fornisce<br />

un ritmo più veloce che in passato e ritengo che<br />

questo rifletta la nostra percezione generale così<br />

come il nostro ambiente che sono cambiati profondamente<br />

negli ultimi decenni. Penso che in qualche<br />

modo anche nella <strong>music</strong>a dobbiamo fare i conti con<br />

questo aspetto. Dobbiamo adattarci a questi nuovi<br />

meto<strong>di</strong> oppure andare in <strong>di</strong>rezione opposta.<br />

GEBHARD ULLMANN BASEMENT RESEARCH<br />

DON’T TOUCH MY MUSIC VOL.1 & VOL. 2<br />

(NOT TWO RECORDS - 2009)<br />

Gebhard Ullmann (cl.bs, st),<br />

Julian Argüelles (ss, s.br), Steve Swell (trb),<br />

John Hebert (bs), Gerald Cleaver (bt)<br />

VVooll.. 11<br />

Dreierlei<br />

Don’t Touch My Music<br />

Kleine Figuren No.2<br />

Kleine Figuren No.3<br />

VVooll.. 22<br />

Das Blaue Viertel<br />

Kleine Figuren No.1<br />

New No Ness<br />

Kreuzberg Park East<br />

Don’t Touch Our Music<br />

Nel 2007, come parte dei festeggiamenti<br />

del suo 50° compleanno, l’ancista tedesco<br />

Gebhard Ullmann decideva <strong>di</strong> rodare il suo<br />

Basement Research appena riorganizzato,<br />

un progetto che aveva accantonato per<br />

qualche tempo per concentra<strong>rs</strong>i, in particolare,<br />

sul suo quartetto con il trombonista<br />

Steve Sewll e su Conference Call. Con la<br />

nuova veste, Ullmann passa dalla formazione<br />

con due tenori che aveva utilizzato<br />

in passato a quella dai toni più vari ed<br />

estesi che include Swell e Julian Argüelles<br />

ai sax soprano e baritono. L’impiego <strong>di</strong> una<br />

nuova sezione ritmica con due <strong>music</strong>isti<br />

molto richiesti quali il bassista John Herbert<br />

ed il batterista Gerald Clevaer, fornisce<br />

l’occasione perché il progetto possa<br />

prendere una nuova <strong>di</strong>rezione. Nel co<strong>rs</strong>o<br />

dei due <strong>di</strong>schi, la band presenta insieme<br />

materiale <strong>di</strong> nuova ideazioni e qualche<br />

vecchio brano pre<strong>di</strong>letto come Dreierlei o<br />

New No Ness, già contenuti nell’album che<br />

la band aveva registrato in stu<strong>di</strong>o nel 2005<br />

(“New Basement Research”, SoulNote). I<br />

nuovi brani non sfigurano affatto al confronto,<br />

e forniscono anche qualche gra<strong>di</strong>ta<br />

nota <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza. Kleine Figuren No.2 for-<br />

nisce un tocco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> Sudafricano e Argüelles<br />

al baritono <strong>di</strong>spiega un impressionante<br />

range con un tono soave a tratti sorprendente.<br />

Il <strong>di</strong>screto andamento funk <strong>di</strong> Kleine<br />

Figuren No.1 si fa più esplicito in Kleine Figuren<br />

No.3 laddove i fiati si abbandonano<br />

ad un serrato e solido groove costruito da<br />

Herbert e Cleaver. Il mood non è comunque<br />

sempre e continuamente gioviale o tumultuoso.<br />

Das Blaue Viertel è un blues ra<strong>di</strong>cato<br />

nella tra<strong>di</strong>zione, ma resta non<br />

convenzionale nella misura in cui si gioca<br />

sulla destrutturazione, fornendo spazio<br />

anche per Swell ed il suo tellurico trombone.<br />

Ed in aggiunta a ciò la title-track mostra<br />

come il gruppo sappia anche dar vita a<br />

momenti <strong>di</strong> introspezione. Ullmann si avvale<br />

<strong>di</strong> tre strumenti principali per esplorare<br />

nuove idee <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo e contrappunto.<br />

Una <strong>di</strong> queste è abbinare due strumenti e<br />

contrapporli ad un terzo a mo’ <strong>di</strong> call-andresponse.<br />

Ma il suo vero talento si <strong>di</strong>rebbe<br />

essere la sua capacità a tirare fuori il meglio<br />

dai suoi <strong>music</strong>isti. Il quintetto è così a<br />

proprio agio che fa risaltare tutto lo humour<br />

<strong>di</strong> Kreuzberg Park East, un altro cavallo<br />

<strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Ullmann._Al.Dr.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 13


GUIDO MAZZON<br />

l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

<strong>di</strong> Enzo Bod<strong>di</strong><br />

foto <strong>di</strong> Giorgio Alto<br />

Figura centrale nell'area della <strong>music</strong>a improvvisata in Italia ed Europa<br />

poi colonna dell'Italian Instabile Orchestra<br />

il trombettista milanese si racconta in un libro e nella performance abbinata:<br />

le ra<strong>di</strong>ci friulane, l'influenza decisiva del cugino Pier Paolo Pasolini<br />

il coinvolgimento nella free <strong>music</strong> europea, la propria filosofia <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong>sciplina in <strong>music</strong>a<br />

Partiamo da “La tromba a cilindri” e dal relativo spettacolo.<br />

Quali reazioni hai constatato tra il pubblico?<br />

È stata un’esperienza liberatoria e stimolante.<br />

Quando si scambiano i ruoli predefiniti, le parole e<br />

la <strong>music</strong>a acquistano maggiore incisività e fascino. Il<br />

pubblico delle librerie, delle biblioteche e delle rassegne<br />

letterarie si è lasciato trasportare ed emozionare<br />

dalla <strong>music</strong>a, dal gesto danzato e dalle parole.<br />

L’attenzione è stata sorprendentemente più alta rispetto<br />

ad ambiti prettamente concertistici.<br />

Quali elementi dell’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini<br />

ritieni <strong>di</strong> aver assorbito nella tua <strong>music</strong>a?<br />

La determinazione e la passione quasi iconoclasta<br />

per scelte artistiche che mi hanno collocato spesso<br />

“fuori dal coro”; il coraggio <strong>di</strong> esprimere ed affermare<br />

la mia autenticità. In sostanza, l’esigenza <strong>di</strong><br />

provocare la creatività che scuote dalla stagnazione<br />

e trasgre<strong>di</strong>sce la banalità <strong>di</strong>lagante.<br />

Nel libro citi il furlan come fonte <strong>di</strong> ispirazione<br />

<strong>music</strong>ale. La sua influenza si concretizza fo<strong>rs</strong>e<br />

nella tua propensione all’essenzialità?<br />

Pasolini è innanzitutto un poeta e dunque per lui la<br />

manipolazione-trascrizione della parola <strong>di</strong>alettale ha<br />

un valore <strong>di</strong> amore per la tra<strong>di</strong>zione, conoscitivo ed<br />

14 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

al tempo stesso creativo. L’antico friulano che lui per<br />

primo aveva trascritto è <strong>di</strong>ventato lingua poetica, incisiva,<br />

essenziale, ricca <strong>di</strong> molteplici sfumature timbriche<br />

e ritmiche. Questa è l’influenza nascosta che si<br />

esplicitò in un’apparente improbabile assonanza con il<br />

primo <strong>di</strong>sco dell’Art Ensemble of Chicago, ascoltato<br />

nel ’68. Da giovane ero affascinato dal turbinio delle<br />

note, oggi sono più attratto dalla <strong>music</strong>a che allude,<br />

evoca. Suono e scrivo per sottrazione, non ho la necessità<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare od esibire, ma solo l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />

Steve Lacy e Roswell Rudd erano partiti dal <strong>jazz</strong><br />

tra<strong>di</strong>zionale. Cosa rappresenta per te la tra<strong>di</strong>zione?<br />

Ho scoperto il mondo del <strong>jazz</strong> per caso a 12 anni,<br />

ascoltando Chet Baker alla ra<strong>di</strong>o mentre prendevo le<br />

prime lezioni <strong>di</strong> tromba classica. Mi sono buttato nella<br />

storia del <strong>jazz</strong> alla scoperta <strong>di</strong> un mondo per me mitologico,<br />

cercando <strong>di</strong>schi introvabili e leggendo tutti<br />

i libri reperibili per sapere qualcosa <strong>di</strong> Buddy Bolden,<br />

King Oliver, Bix Beiderbecke, Papa Celestin, Nick La<br />

Rocca, Tommy Ladnier, Louis Armstrong, Bubber<br />

Miley, Rex Stewart, Buck Clayton, Clark Terry, Dizzy<br />

Gillespie, Donald Byrd, Shorty Roge<strong>rs</strong>, Clifford Brown.<br />

Ho tuttora impressi nella mente i suoni <strong>di</strong> tre sor<strong>di</strong>ne<br />

per tromba: la cup <strong>di</strong> Harry “Sweets” E<strong>di</strong>son, la plunger<br />

<strong>di</strong> Cootie Williams, la harmon <strong>di</strong> Miles Davis.


Come nacque il Gruppo Contemporaneo?<br />

Ascoltati l’Art Ensemble of Chicago, Cecil Taylor, Ornette<br />

Coleman, Albert Ayler, Don Cherry, mi trovai in<br />

tale sintonia con le loro idee sulla <strong>music</strong>a che mi<br />

buttai a capofitto nella new thing, confortato da<br />

Goethe che <strong>di</strong>ceva che l’uomo conosce veramente<br />

sé stesso attrave<strong>rs</strong>o l’azione, non la riflessione.<br />

Cosa significava suonare <strong>jazz</strong> in Italia negli anni a<br />

cavallo del fati<strong>di</strong>co 1968?<br />

Da un lato i <strong>music</strong>isti tra<strong>di</strong>zionali, asserragliati nei<br />

loro patterns e standards, guardavano con ostilità e<br />

timore agli alfieri del nuovo <strong>jazz</strong>; dall’altro, tipi improbabili<br />

salivano sul palco con uno strumento appena<br />

trovato e “si esprimevano”. C’era un strana e<br />

rara miscela <strong>di</strong> rigore e approssimazione. Io proseguivo<br />

imperterrito per la mia strada, confortato dalla<br />

presenza <strong>di</strong> compagni <strong>di</strong> strada come Leo Smith, Evan<br />

Parker, Andrea Centazzo, Mario Schiano, Cecil Taylor.<br />

Ricordo con affetto e nostalgia gli anni del free <strong>jazz</strong><br />

e della <strong>music</strong>a improvvisata europea che sovvertivano<br />

gli schemi classici, fatti <strong>di</strong> formule co<strong>di</strong>ficate. Si stava<br />

sviluppando una nuova corrente che si collocava tra<br />

<strong>music</strong>a contemporanea ed improvvisazione totale.<br />

Nel libro ironizzi sulla strumentale politicizzazione<br />

del <strong>jazz</strong> in Italia negli anni ’70, con le autoriduzioni<br />

e la sospensione dei festival <strong>di</strong> Umbria e Pescara.<br />

Nell’entusiasmo non si <strong>di</strong>stingueva l’opportunismo<br />

dall’esigenza reale, l’arte dalla retorica celebratoria<br />

e mistificante. Per esempio, al festival <strong>di</strong> Pescara non<br />

fecero suonare Chet perché “bianco” e “fascista” —<br />

fo<strong>rs</strong>e volevano <strong>di</strong>re “intimista”? Al Music Inn <strong>di</strong> Roma<br />

GUIDO MAZZON<br />

LA TROMBA A CILINDRI - LA MUSICA, IO E PASOLINI<br />

(IBIS- 2009)<br />

Cd e libro (con Guido Bosticco)<br />

Drops<br />

Uso del Tempo<br />

Squirrel Song<br />

Prologo<br />

Improvisation # 10<br />

Oltre la Collina, tra gli Alberi<br />

Apro il Silenzio<br />

Improvisation # 20<br />

Tale # 3<br />

Arrivo<br />

Lullaby for Duccio<br />

Il titolo trae ispirazione dallo strumento<br />

antiquato che l’un<strong>di</strong>cenne Mazzon aveva<br />

cominciato a praticare, suscitando la <strong>di</strong>vertita<br />

sorpresa del cugino Pier Paolo Pasolini,<br />

tanto da indurlo a staccare un<br />

assegno perché il piccolo Guido se ne<br />

comprasse una nuova. La lungimirante visione,<br />

a un tempo critica e creativa, <strong>di</strong><br />

Pasolini ha improntato l’evoluzione del<br />

Mazzon <strong>music</strong>ista. Punti car<strong>di</strong>ne della sua<br />

ricerca sono l’interesse per i legami tra<br />

<strong>music</strong>a, filosofia, letteratura e danza;<br />

l’amore per il furlan, lingua dei genitori<br />

trapiantati a Milano, veicolo <strong>di</strong> stimoli<br />

ritmici e timbrici; l’urgenza <strong>di</strong> definire un<br />

linguaggio autonomo in campo <strong>jazz</strong>istico,<br />

sempre guardando oltre, ma nel pieno rispetto<br />

sia della tra<strong>di</strong>zione afroamericana<br />

che del retroterra europeo. Mazzon riassume<br />

senza fronzoli e atteggiamenti autoreferenziali<br />

la propria posizione <strong>di</strong><br />

<strong>music</strong>ista fuori dalle conventicole, refrattario<br />

ai luoghi comuni <strong>jazz</strong>istici, agli intellettualismi<br />

e capace — da uomo <strong>di</strong><br />

sinistra — <strong>di</strong> prendere in giro le pretestuose<br />

interpretazioni in chiave politica<br />

suonavo in duo con Antonello Salis: Chet Baker, seduto<br />

<strong>di</strong> fronte a noi con un gran cappello da texano, ci<br />

ascolta assorto. Ad un tratto sollevo lo sguardo e non<br />

c’era più. Mi spiace <strong>di</strong> non aver avuto il tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli<br />

che nella <strong>music</strong>a, come nell’arte in generale, i veri<br />

maestri non si possono imitare, ma solo interiorizzare.<br />

del free in voga da noi negli anni ’70. Il<br />

Cd esemplifica tali concetti, coprendo un<br />

arco temporale piuttosto ampio. Fondamentali<br />

i duetti con l’antico sodale Andrea<br />

Centazzo: Prologo e Improvisation #<br />

10 (1978) evidenziano tracce <strong>di</strong> AACM<br />

nell’aggregazione <strong>di</strong> cellule e nel confronto<br />

con il silenzio; in Apro il Silenzio,<br />

del 2007, la tromba sembra quasi innalzare<br />

un canto sulla memoria <strong>di</strong> The Unanswered<br />

Question <strong>di</strong> Ives. Sempre al 1978<br />

risale Improvisation # 20, <strong>di</strong>alogo con un<br />

Lester Bowie pro<strong>di</strong>go <strong>di</strong> effetti vocali,<br />

soffiati e sberleffi, che chiama ripetutamente<br />

per nome il collega. Arrivo (1993)<br />

allinea Paul Rutherford, Renato Geremia,<br />

Rudy Migliar<strong>di</strong>, Umberto Petrin e Tiziano<br />

Tononi. Lullaby for Duccio (1992) getta<br />

un ponte tra improvvisazione e contemporanea<br />

grazie alla vocalità <strong>di</strong> Ellen Christi.<br />

In Uso del Tempo, da “When We Were<br />

Kings” (2003), Mazzon ritrova Gaetano<br />

Liguori, altro protagonista degli anni ’70,<br />

ed il drumming sciamanico, poliritmico <strong>di</strong><br />

Andrew Cyrille: perfetta sintesi del suo<br />

perco<strong>rs</strong>o artistico._En.Bo.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 15


Giorgio Gaslini, Enrico Intra e Gaetano Liguori firmarono<br />

in quegli anni opere <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scutibile valore, contrassegnate<br />

da un’esplicita valenza politica dei titoli.<br />

Io preferivo evitare la captatio benevolentiae. Mi <strong>di</strong>vertivo<br />

<strong>di</strong> più a giocare con titoli ironici o spiazzanti.<br />

Il fiorire della free <strong>music</strong> in Europa negli anni ’70<br />

fu uno strumento per affranca<strong>rs</strong>i dai modelli afroamericani<br />

o piuttosto un modo <strong>di</strong> fare tabula rasa?<br />

Entrambe le cose. Affermare la propria identità in<br />

un’ottica proiettata ve<strong>rs</strong>o nuove sintesi è stata l’idea<br />

fondante del movimento europeo della <strong>music</strong>a improvvisata.<br />

Negli anni ’70 ero così attento ad evitare<br />

le ingenuità e le vacuità insite in certe improvvisazioni<br />

torrenziali, da rasentare il freddo intellettualismo.<br />

Ho tuttora la necessità <strong>di</strong> spiazzare<br />

continuamente l’orecchio viziato dagli schemi collaudati.<br />

Procedo per libere assonanze e rimugino<br />

brandelli <strong>di</strong> <strong>music</strong>a che ricompongo in nuovi racconti.<br />

In quest’ottica, come collocheresti la tua esperienza<br />

con la Globe Unity?<br />

Ho con<strong>di</strong>viso il rigore <strong>music</strong>ale, il pacato e sereno stato<br />

d’animo dei miei colleghi europei che suonavano per<br />

la <strong>music</strong>a e non contro la <strong>music</strong>a. I concerti e le meticolose<br />

prove berlinesi esprimevano determinazione,<br />

chiarezza <strong>di</strong> idee ed orgoglio per le scelte artistiche.<br />

La cifra caratterizzante dell’improvvisazione ra<strong>di</strong>cale<br />

europea era la felice fusione <strong>di</strong> etica ed estetica.<br />

16 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

Certi <strong>music</strong>isti americani <strong>di</strong>sconoscono l’autonomia<br />

del movimento <strong>jazz</strong>istico in Europa. Qual è il<br />

tuo punto <strong>di</strong> vista?<br />

Non ha molto senso applicare il criterio <strong>di</strong> “legittimo”<br />

quando si parla <strong>di</strong> <strong>jazz</strong>. Il permesso <strong>di</strong> soffiare nella<br />

tromba un assolo o un tema non lo chiederei certo al<br />

manierista patinato americano <strong>di</strong> moda oggi. Rammento<br />

una colorita e tagliente e-mail dell’amico Andrea<br />

Centazzo, da molti anni trasferitosi negli States,<br />

che con rammarico ed una punta <strong>di</strong> orgoglio mi <strong>di</strong>ceva<br />

che laggiù i giovani esponenti <strong>di</strong> un certo avant <strong>jazz</strong><br />

suonano ciò che noi facevamo in Italia 30 o 40 anni fa!<br />

Negli anni ’70 fu particolarmente significativo proprio<br />

il tuo sodalizio con Centazzo.<br />

Nel ’75 io e Andrea girammo l’Europa in duo. Esperienza<br />

irripetibile perché eravamo tra i pochi a credere<br />

nell’arte dell’improvvisazione. Non abbiamo<br />

cambiato idea anche se ci de<strong>di</strong>chiamo alla composizione,<br />

alla saggistica e ad altre forme artistiche.<br />

Siamo due “ra<strong>di</strong>cali liberi”.<br />

Don Cherry e Lester Bowie hanno in qualche modo<br />

contrassegnato la tua evoluzione artistica.<br />

A Don sono grato per avermi prestato la sua pocket<br />

trumpet — da cui ho preso le misure per farmene costruire<br />

una copia nel ’72 — e per avermi comunicato<br />

la sua gioia <strong>di</strong> fare <strong>music</strong>a, <strong>di</strong> suonare poesie. Lester:<br />

il solo suono <strong>di</strong> una sua nota a mezzo pistone mi


commuove ancor oggi. Conservo gelosamente molti<br />

suoi insegnamenti sulla tromba.<br />

Com’è stato il tuo rapporto con Cecil Taylor?<br />

Ricordo benissimo lo sgomento del pubblico del Teatro<br />

Lirico <strong>di</strong> Milano al primo concerto <strong>di</strong> Cecil tanti<br />

anni fa. Io rimasi fulminato e mi <strong>di</strong>ssi: “Qui c’è tutta<br />

la storia della <strong>music</strong>a!” Anni dopo abbiamo suonato<br />

insieme a Berlino e dopo il concerto abbiamo parlato<br />

<strong>di</strong> poesia, <strong>di</strong> arte, <strong>di</strong> danza: una pe<strong>rs</strong>ona squisita.<br />

Come si spiega che non sia ancora stata intrapresa<br />

nessuna iniziativa per valorizzare l’opera <strong>di</strong> Mario<br />

Schiano?<br />

Sul piano artistico ed intellettuale Mario era un uomo<br />

geniale e creativo. Rovesciava con ironia corrosiva i<br />

valori del <strong>jazz</strong> imperante senza entrare in contrasto<br />

con la tra<strong>di</strong>zione, che pure amava appassionatamente.<br />

La sua forte carica trasgressiva era l’arma per<br />

scuotere dall’appiattimento il mondo del <strong>jazz</strong>ino,<br />

come lui <strong>di</strong>ceva. Questo ha alimentato nei suoi confronti<br />

una malcelata ostilità o al massimo una finta<br />

tolleranza. Il mancato riconoscimento della sua originalissima<br />

figura è il regalo dei “non creativi”, <strong>di</strong> coloro<br />

che scelgono l’omologazione per senti<strong>rs</strong>i protetti.<br />

Altri preziosi compagni <strong>di</strong> avventura sono stati<br />

Paul Rutherford e Radu Malfatti.<br />

A Paul ho de<strong>di</strong>cato la pubblicazione <strong>di</strong> un nostro concerto<br />

del ’93 — “Flights of Fancy”, Ictus 2007 — dove<br />

ha lasciato traccia del suo stile inarrivabile per limpidezza<br />

<strong>di</strong> idee. Era una pe<strong>rs</strong>ona dolcissima, con cui ho<br />

scambiato un sacco <strong>di</strong> idee sul campo. Con Radu ho<br />

approfon<strong>di</strong>to il senso del silenzio in <strong>music</strong>a, gli aspetti<br />

timbrici e <strong>di</strong>namici degli ottoni. A volte suonava pianissimo<br />

con un paio <strong>di</strong> sor<strong>di</strong>ne incastrate l’una nell’altra:<br />

in realtà non si u<strong>di</strong>va nulla ma si vedeva lo sforzo e ciò<br />

era già <strong>music</strong>ale. Nella mia Precarious Orchestra del<br />

’77, con il comune amico Mark Charig alla cornetta,<br />

l’interazione tra composizione ed improvvisazione<br />

passava attrave<strong>rs</strong>o un serissimo senso dello humour.<br />

Cos’hai in ponte per il prossimo futuro?<br />

Sto ultimando un saggio sul silenzio in <strong>music</strong>a, la<br />

creatività <strong>music</strong>ale e la filosofia dell’improvvisazione,<br />

da cui ho estratto alcune parti per la messa in<br />

scena <strong>di</strong> “Chai<strong>rs</strong>”, interazione tra corpo danzante,<br />

voce recitante, <strong>music</strong>a live e nastro magnetico. Sto<br />

pensando inoltre ad un progetto intitolato “Apokalipsis”,<br />

composizione “aperta” per sette trombe e<br />

contrabbasso. Mi appresto alla composizione della<br />

colonna sonora del film “Pasolini, la verità nascosta”<br />

<strong>di</strong> Federico Bruno, che dovrebbe iniziare le riprese il<br />

prossimo anno. Nel frattempo soffio nel tubo per non<br />

perdere i chops, come <strong>di</strong>ce l’amico Enrico Rava.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 17


Sei noto al pubblico italiano come pianista <strong>di</strong> Viktoria<br />

Tolstoy, cantante con la quale hai registrato cinque<br />

album, incluso il nuovo “My Russian Soul”.<br />

Per me è un enorme piacere lavorare con Viktoria. A<br />

volte devo ricordare a me stesso che è una cantante e<br />

non uno strumentista: ha un senso dell’intonazione<br />

così naturale che quando emette le note è come se<br />

premesse dei tasti sul suo collo. Ha anche un mici<strong>di</strong>ale<br />

senso del tempo, pari al suo senso dell’humour: ridere<br />

è da sempre l’essenza <strong>di</strong> questo rapporto! Come suo<br />

pianista ho arrangiato brani che lei già eseguiva, mentre<br />

insieme cerchiamo la <strong>music</strong>a che ci piace suonare.<br />

Ho pure scritto dei nuovi pezzi, alcuni per “My Swe<strong>di</strong>sh<br />

Heart”. Lavorare ad un suo nuovo Cd è sempre una<br />

sfida, perché alcuni sono album <strong>di</strong> tipo concettuale,<br />

come “My Swe<strong>di</strong>sh Heart” e “My Russian Soul”. È stato<br />

un lavoro interessante arrangiare la <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Tchaikovsky<br />

in modo che funzionasse da canzone, con una<br />

forma per improvvisarci: una questione <strong>di</strong> equilibrio.<br />

Avevi già lavorato con altre vocalist: con Lina Nylberg<br />

in duo, e Norma Winstone insieme al tuo trio.<br />

Due splen<strong>di</strong>de esperienze! Con Lina ho lavorato in<br />

modo più aperto <strong>di</strong> quanto m’era capitato con precedenti<br />

vocalist. Lina è rigida circa la sua integrità artistica,<br />

in ogni cosa, dalla scrittura dei brani e dei testi<br />

JACOB KARLZON<br />

il calore che viene dalla Svezia<br />

<strong>di</strong> Andrew Rigmore<br />

foto <strong>di</strong> Davide Susa<br />

Noto in Italia grazie alle tournée con Viktoria Tolstoy<br />

il pianista svedese ha collaborato con nomi quali Norma Winstone, Kenny Wheeler o Lina Nylberg<br />

ma ha al suo attivo anche un album <strong>di</strong> improvvisazioni su Ravel<br />

Stile nor<strong>di</strong>co ma per nulla <strong>di</strong>staccato, pre<strong>di</strong>lige il trio con possibilità <strong>di</strong> estendere le coloriture timbriche<br />

proprio come fa nel suo ultimo lavoro, “Heat”, nel quale si avvale <strong>di</strong> due brillanti fiatisti<br />

18 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

HEAT<br />

al modo in cui interpreta. Suonare con lei dal vivo è<br />

sempre una sorpresa, lei pretende <strong>di</strong> venire sorpresa,<br />

proprio come me. Abbiamo lavorato su alcuni standard<br />

che volevamo proporre in modo <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>o dal solito e<br />

credo ci sia riuscito abbastanza bene! Uno dei pezzi<br />

era Some Time Ago, che Norma Winstone aveva inciso<br />

in “Somewhere Called Home”. Anche lavorare con<br />

Norma fu una fantastica esperienza, un approccio<br />

molto aperto pure il suo. Volle fare un mio brano e già<br />

questo fu un grande onore: era una canzone senza<br />

testo, dall’atmosfera alquanto misteriosa, e quando<br />

prese ad improvvisarci sopra capii imme<strong>di</strong>atamente<br />

quale enorme influenza aveva esercitato su tante vocalist.<br />

Le sue idee venivano in modo fluido e naturale.<br />

È stato grande con<strong>di</strong>videre la scena con un’artista europea<br />

così importante per questa forma d’arte in Europa.<br />

Stessa sensazione quando qualche anno dopo ho<br />

avuto la fortuna <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre il palco con Kenny Wheeler:<br />

se a questi due artisti aggiungi John Taylor, ottieni<br />

gli Azimuth, pietra miliare del <strong>jazz</strong> europeo!<br />

Il tuo sito in<strong>di</strong>ca il piano solo su Ravel con il titolo<br />

“Improvisational Three”, ma altrove figura “Piano<br />

Improvisations inspired by Ravel”: qual è corretto?<br />

Sono entrambi corretti. Si tratta <strong>di</strong> una serie in piano<br />

solo della Caprice Records intitolata “Improvisatio-


nal”, un progetto straor<strong>di</strong>nario: i pianisti registrano<br />

sullo stesso pianoforte, nello stesso stu<strong>di</strong>o, nel cuore<br />

della notte. Non insieme, però. Prima <strong>di</strong> incidere si<br />

in<strong>di</strong>vidua un’idea <strong>music</strong>ale su cui improvvisare: la mia<br />

è stata la <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Maurice Ravel. Queste particolari<br />

con<strong>di</strong>zioni obbligano ad andare in <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e da<br />

quelle ve<strong>rs</strong>o cui potresti <strong>di</strong>rigerti se fossi tu a scegliere<br />

lo stu<strong>di</strong>o, lo strumento, la <strong>music</strong>a da interpretare e<br />

l’orario. L’album è uscito nel 2008 e nella primavera<br />

del 2009 sono stato in tournée con Niklas Sivelöv, un<br />

fantastico pianista classico svedese che improvvisava<br />

sulla <strong>music</strong>a <strong>di</strong> Carl Michael Bellman, un poeta-<strong>music</strong>o<br />

svedese del XVIII secolo. Girare con un altro pianista,<br />

per <strong>di</strong> più d’estrazione classica è stato molto interessante.<br />

Da sempre invi<strong>di</strong>o sassofonisti e trombettisti<br />

perché possono parlare <strong>di</strong> ance o bocchini, e finalmente<br />

pure io in tour ho potuto <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> Steinway<br />

con chi davvero ne capiva! Come pianista è <strong>di</strong>fficile<br />

non subire l’influenza della <strong>music</strong>a per piano classico<br />

e trovo molto interessante la varietà <strong>di</strong> suoni, tocco e<br />

<strong>di</strong>namiche che si ritrova in quel vastissimo repertorio.<br />

Inoltre, a volte c’è chi pretende <strong>di</strong> trovare influenze<br />

e/o connessioni con qualche pianista classico già<br />

ascoltato, senza badare alla <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> genere: ciò<br />

probabilmente deriva dall’ere<strong>di</strong>tà classica che lo strumento<br />

porta con sé. Ma il mio legame con la <strong>music</strong>a<br />

classica è come con gli altri generi: ascolto ciò che mi<br />

piace e assorbo quello che al momento mi interessa.<br />

L’ultimo <strong>di</strong>sco in trio è “Today” (2002), con Mattias<br />

Svensson al contrabbasso e Peter Danemo alla batteria,<br />

mentre sul nuovo “Heat” troviamo rispettivamente<br />

Hans Ande<strong>rs</strong>son e Jonas Holge<strong>rs</strong>son.<br />

Dopo “Today” ho anche inciso “Big 5”, dove ho voluto<br />

JACOB KARLZON<br />

HEAT<br />

(Caprice Records - 2009)<br />

Jacob Karlzon (pn), Hans Ande<strong>rs</strong>son (cb),<br />

Jonas Holge<strong>rs</strong>son (bt), Peter Asplund (tr,<br />

flc), Karl Martin Almqvist (st, ss)<br />

7th Avenue<br />

Hollow Life<br />

Gollum's Song<br />

Rubik 4 Real<br />

Laika<br />

Sonatine: Modéré<br />

Always in August<br />

Heat<br />

Late Night/Early Morning<br />

Still Hope<br />

Ha proprio ragione Karlzon a precisare<br />

che quest’album è a suo nome, e non del<br />

trio o del quintetto: ruota attorno a lui più<br />

che mai, ma nello stesso tempo attinge alla<br />

grande <strong>music</strong>alità che i suoi compagni sono<br />

in grado <strong>di</strong> apportare al progetto. Ne viene<br />

fuori un <strong>di</strong>sco dall’equilibrio definito e deciso,<br />

in cui il piano è ovviamente protagonista,<br />

ma ancor più lo è la <strong>music</strong>a. La chimica<br />

creatasi fra i cinque <strong>music</strong>isti nel co<strong>rs</strong>o dei<br />

vari anni <strong>di</strong> <strong>music</strong>a trasco<strong>rs</strong>i insieme è più<br />

che tangibile in 7th Avenue, dove tromba<br />

con sor<strong>di</strong>na e sax tenore ricamano insieme<br />

sull’up-tempo sostenuto dalla ritmica. Hollow<br />

Life mostra la precisione <strong>di</strong> tocco <strong>di</strong> cui<br />

l’elegante pianismo <strong>di</strong> Karlzon è dotato, e<br />

qui ad accompagnarlo sono soltanto basso e<br />

batteria, che sul finale libera tom e rullante.<br />

A sintetizzare trasporto emozionale e<br />

finezza pianistica è Gollum’s Song, <strong>di</strong>rettamente<br />

tratta dalla colonna sonora della saga<br />

de “Il Signore degli Anelli”, dove anche il<br />

contrabbasso descrive un angoscioso ed intenso<br />

assolo: sono i brani lenti come questo<br />

realizzare una sorta <strong>di</strong> estensione del trio usando due<br />

fiati. Sapevo fin da subito chi vi avrebbe suonato:<br />

Peter Asplund alla tromba e Karl-Martin Almqvist al<br />

sax. Dopo qualche tour insieme, ad esempio in Messico,<br />

ho dovuto mettere i miei progetti da parte. Ero<br />

coinvolto in troppi gruppi <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i, dove a volte scri-<br />

o anche Always in August, aperto da un silenzioso<br />

tapping <strong>di</strong> Holge<strong>rs</strong>son, o ancora il<br />

piano solo <strong>di</strong> Late Night/Early Morning ad<br />

essere più degli altri imbevuti delle atmosfere<br />

del sound nor<strong>di</strong>co. Ma le emozioni non<br />

sono necessariamente legate ai brani dal<br />

mood più pacato, come <strong>di</strong>mostra Rubik 4<br />

Real, nella quale lo spigliato periodare del<br />

pianista brilla su una sud<strong>di</strong>visione <strong>di</strong>spari del<br />

tempo. Torna il tenore in Laika, ed il trio si<br />

trasforma in quartetto, a contornare le evoluzioni<br />

del sassofonista con la sobrietà del<br />

trio. Dopo il piano solo della serie “Improvisational”,<br />

spazio anche su questo <strong>di</strong>sco per<br />

la rivisitazione <strong>di</strong> una Sonatine Modéré <strong>di</strong><br />

Ravel, con giusta dose <strong>di</strong> swing nel rispetto<br />

dell’armonia spanish dell’originale, e perfetto<br />

inserimento sul finale della rullante<br />

batteria. Rientrano i fiati nella graffiante<br />

Heat, non a caso quella che dà titolo all’album,<br />

mentre in Still Hope la tromba fa<br />

posto al flicorno, cui tocca un denso intervento,<br />

chiudendo poi il piano con un tagliente<br />

assolo._An.Rig.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 19


vevo pure la <strong>music</strong>a. Così ho fatto un passo in<strong>di</strong>etro per riflettere<br />

sull’importanza dei miei progetti. Ho avuto il privilegio <strong>di</strong> lavorare<br />

ancora con Peter Danemo e Mattias Svensson in altri gruppi. In seguito<br />

insieme al bassista danese Morten Ramsbøl ho co<strong>di</strong>retto una band poi<br />

<strong>di</strong>venuta quella <strong>di</strong> “Human Factor”, gettando il seme per far crescere<br />

in me l’idea d’iniziare a pensare ad un nuovo Cd a mio nome.<br />

In “Human Factor”, suona un altro grande <strong>music</strong>ista, il batterista<br />

Jeff Ballard: come è iniziata questa collaborazione?<br />

Jeff si trovava a lavorare una settimana in una scuola a Copenhagen.<br />

Morten Ramsbøl qualche anno prima aveva suonato in concerto con<br />

lui e ora voleva fare un <strong>di</strong>sco con lui e me. Pure su “Human Factor”<br />

c’è varietà <strong>di</strong> formati: piano solo, trio ed il quartetto con Hans Ulrik<br />

al sax. Abbiamo portato tutti e quattro la nostra <strong>music</strong>a a quella sessione,<br />

che si è rivelata un fantastico incontro sia dal punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>music</strong>ale che conviviale. Jeff è stato caloroso e affabile, ha reso le<br />

con<strong>di</strong>zioni per la registrazione il più possibile tranquille. Il gruppo intendeva<br />

fare un tour in Scan<strong>di</strong>navia per l’uscita dell’album, ma Jeff<br />

è poi <strong>di</strong>ventato il batterista del trio <strong>di</strong> Brad Mehldau e i piani allora<br />

sono cambiati. Spero che per il gruppo si apra presto la possibilità <strong>di</strong><br />

stare insieme per un tour e magari per un nuovo album.<br />

Così dopo cinque anni, per “Heat” hai chiamato anche Almqvist<br />

e Asplund, già con te in “Big5”.<br />

“Heat” è a mio nome, non a nome del trio o del quintetto: anziché<br />

fare un album solo con il trio, rimuginando su come sarebbe stato in<br />

quintetto o viceve<strong>rs</strong>a, ho voluto variare le formazioni per lavorare<br />

con i <strong>music</strong>isti in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i. Quest’anno abbiamo avuto l’opportunità<br />

<strong>di</strong> fare concerti sia in trio che in quintetto, sempre sul materiale<br />

dell’album, e ci siamo <strong>di</strong>vertiti tantissimo! Anche se il trio è cambiato,<br />

i fiati sono rimasti gli stessi: il modo in cui suonano insieme è<br />

straor<strong>di</strong>nario, sono orgoglioso che la mia <strong>music</strong>a sia eseguita da loro.<br />

In cosa consiste per te il <strong>jazz</strong> sound svedese o nor<strong>di</strong>co?<br />

Penso sia fatto <strong>di</strong> tante e <strong>di</strong>fferenti tra<strong>di</strong>zioni. Ad esempio il fatto che<br />

la Svezia sia un paese europeo <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica piuttosto<br />

lunga, con <strong>music</strong>isti che presto sono andati a lavorare e a perfeziona<strong>rs</strong>i<br />

negli Stati Uniti. Inoltre, in Svezia abbiamo una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

<strong>music</strong>a folk che ha impresso il suo marchio su svariati generi <strong>music</strong>ali.<br />

Per esempio è molto importante il lavoro <strong>di</strong> Palle Danielsson, Bobo<br />

Stenson, Ande<strong>rs</strong> Jormin e La<strong>rs</strong> Danielsson con artisti <strong>di</strong> rilievo internazionale<br />

come Keith Jarrett, Jan Garbarek e Charles Lloyd. Questo<br />

ha colorato il <strong>jazz</strong> sound svedese in modo vario, ponendo in essere<br />

ciò che potremmo definire “tra<strong>di</strong>zione moderna”. Tali collaborazioni<br />

hanno inoltre influenzato le nuove generazioni <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti ad andare<br />

al <strong>di</strong> là dei propri limiti. Infine, pure il fenomeno pop svedese ha<br />

avuto un certo impatto sulla scena <strong>jazz</strong>istica, almeno a tratti.<br />

Ritieni che la tua <strong>music</strong>a possa ascrive<strong>rs</strong>i a questo genere?<br />

Assolutamente sì. Amo esplorare <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i tipi <strong>di</strong> <strong>music</strong>a e trovo interessante<br />

cercare d’esprimermi con l’inte<strong>rs</strong>ezione <strong>di</strong> aspetti associabili<br />

alla Svezia o alla Scan<strong>di</strong>navia. Ma la mia ambizione non è suonare<br />

in modo svedese, bensì suonare come me stesso, cui è capitato <strong>di</strong> essere<br />

Svedese. Credo <strong>di</strong> essere il risultato della <strong>music</strong>a ascoltata attorno<br />

a me, delle cose che incamero e <strong>di</strong> ciò che ho da <strong>di</strong>re.


Dove sei nato e da che tipo <strong>di</strong> famiglia provieni?<br />

Sono nato a Honolulu, Hawaii, ma mi sono trasferito<br />

in California a 4 anni. Ho trasco<strong>rs</strong>o molta della mia<br />

vita nel nord e sud della California. Vengo da una famiglia<br />

<strong>di</strong> genitori separati e ho passato l’infanzia a<br />

Half Moon Bay, piccola città della baia <strong>di</strong> San Francisco.<br />

Una bella zona con una spiccata propensione per<br />

l’arte. Lì sono stato influenzato dall’ambiente e dalla<br />

mia famiglia. I miei nonni erano gran<strong>di</strong> appassionati<br />

<strong>di</strong> <strong>jazz</strong> e arte e, da piccolo, mia nonna Sharon Espeleta<br />

ospitava concerti nell’area parcheggio del suo<br />

Sharon’s Restaurant. L’entusiasmo trasmesso ebbe un<br />

effetto <strong>di</strong>retto anche sui loro sei figli, tutti educati<br />

al talento artistico. La mia formazione è iniziata così.<br />

Sono stato fortemente ispirato dai miei zii e genitori,<br />

tutti attivi in qualche forma d’arte, dalla <strong>music</strong>a al<br />

canto, dalla pittura alla scultura, alle combinazioni.<br />

<strong>Ron</strong> <strong>Miyashiro</strong><br />

fluente connubio <strong>di</strong> linee e colori<br />

<strong>jazz</strong> & artsss<br />

<strong>di</strong> Marco Maimeri<br />

Giapponese d’indole, americano <strong>di</strong> vissuto ed europeo per cultura,<br />

impara da auto<strong>di</strong>datta <strong>di</strong>pingendo e creando sculture <strong>di</strong> neve.<br />

Ama la <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>, i suoi strumenti e le sue avvolgenti melo<strong>di</strong>e.<br />

E se Neiro (nay-ee-doe) in giapponese significa proprio melo<strong>di</strong>a<br />

non poteva trovare nome più evocativo per la sua serie sul <strong>jazz</strong><br />

Come hai sviluppato il tuo talento e come sei arrivato<br />

in Europa, in particolare a Stoccarda?<br />

L’unica educazione formale è stata un co<strong>rs</strong>o frequentato<br />

al 9° anno <strong>di</strong> scuola, mentre le altre lezioni<br />

le ho apprese attrave<strong>rs</strong>o l’osservazione e la<br />

sperimentazione autonoma. Ho iniziato a <strong>di</strong>segnare<br />

da bambino e sapevo che alla fine sarei giunto alla<br />

pittura. L’opportunità <strong>di</strong> imparare a <strong>di</strong>pingere venne<br />

nel 2002, quando vivevo a Macon, Georgia, con la<br />

mia ex-moglie. Lei era nell’Aviazione Militare e<br />

venne mandata in Iraq per 6 mesi, così trasco<strong>rs</strong>i<br />

molto tempo a <strong>di</strong>pingere con gli acrilici. Dopo due<br />

anni in Georgia, andammo a vivere a Tokyo, quin<strong>di</strong><br />

tre anni fa ci siamo trasferiti in Germania, a Stoccarda,<br />

dove ho trovato lavoro come grafico per<br />

l’esercito degli Stati Uniti, e probabilmente resterò<br />

qui fino al 2012.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 21


Come riesci ad unire nelle tue opere la parte americana,<br />

giapponese ed europea del tuo Io?<br />

Ci sono influenze sottili <strong>di</strong> ognuna <strong>di</strong> queste culture<br />

nei miei <strong>di</strong>pinti. Il lato giapponese mi porta ad avere<br />

un approccio minimalista alle composizioni, quello<br />

americano mi dà la libertà <strong>di</strong> seguire i sentimenti<br />

piuttosto che le regole e quello europeo mi permette<br />

<strong>di</strong> apprezzare la storia e la <strong>di</strong>sponibilità illimitata<br />

<strong>di</strong> riferimenti visivi provenienti in particolare<br />

dall’arte e dall’architettura classica.<br />

Pre<strong>di</strong>ligi Salvador Dalì e Maurits C. Escher, ma i tuoi<br />

<strong>di</strong>pinti rimandano anche a Wassily Kan<strong>di</strong>nsky e<br />

Henri Matisse. Cosa ti affascina <strong>di</strong> questi maestri?<br />

Dalì ed Escher avevano un modo tutto pe<strong>rs</strong>onale per<br />

attrarti nel loro mondo. Posso osservare più volte un<br />

loro <strong>di</strong>pinto e trovarvi sempre qualcosa che non avevo<br />

notato prima. Oltre ai citati, però, sono stato ispirato<br />

e influenzato anche da artisti fantasy come Boris Vallejo.<br />

Rimango sbalor<strong>di</strong>to dalla loro immaginazione.<br />

A cosa si deve la tua arte così rorida <strong>di</strong> stili, composizioni,<br />

colori e tessiture?<br />

È importante sfidare me stesso ed evadere dalla mia<br />

zona <strong>di</strong> benessere. Per questo le mie composizioni e<br />

il mio stile variano così tanto. Cerco <strong>di</strong> creare atmosfere<br />

uniche che provochino pensieri e suscitino<br />

emozioni, ma quando finisco <strong>di</strong> trasporre un’idea su<br />

tela tutto ciò che vedo sono forme e colori.<br />

Come hai scoperto il fascino del <strong>jazz</strong>?<br />

Il <strong>jazz</strong> mi ha ispirato sin da giovane. A 17 anni mia<br />

madre mi regalò un sax alto e imparai da solo a suonare<br />

e leggere la <strong>music</strong>a. Questo mi ha instillato un<br />

22 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

forte apprezzamento per i <strong>music</strong>isti <strong>jazz</strong>: sono cresciuto<br />

ascoltandoli.<br />

Come nasce la mostra “Expressions: Art and Jazz”<br />

del 2006?<br />

Poco dopo aver iniziato la Neiro Series, decisi <strong>di</strong> allestire<br />

la mia prima esposizione. Lavoravo in un centro<br />

d’arte e mestieri presso una base<br />

dell’Aviazione Militare americana<br />

in Giappone e riuscii a radunare<br />

molti artisti locali e farli partecipare<br />

alla mia mostra. Trovo appropriato<br />

aver fatto intervenire una<br />

<strong>jazz</strong> band per celebrare dal vivo le<br />

opere. L’esibizione è stata un successo<br />

e sono contento <strong>di</strong> aver ripetuto<br />

l’esperienza l’anno seguente.<br />

A cosa si deve la “Neiro Jazz Series”<br />

e perché ti sei concentrato<br />

su <strong>music</strong>a e strumenti più che<br />

sui <strong>music</strong>isti?<br />

In realtà l’idea mi venne quando<br />

abitavo in Giappone. Volevo <strong>di</strong>pingere<br />

suoni visibili e così pensai a<br />

vari colori che fluissero per tutta<br />

la tela. Decisi <strong>di</strong> concentrarmi<br />

sulla <strong>music</strong>a perché era la cosa


che più mi ispirava. Finito il primo lavoro, chiesi ad<br />

uno degli studenti giapponesi cui insegnavo inglese<br />

<strong>di</strong> aiutarmi a trovare un titolo. Gli strumenti <strong>jazz</strong><br />

hanno bellissime forme. Mi piace soprattutto la linea<br />

del contrabbasso. Sto pianificando <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere<br />

anche un batterista e un clarinettista ma non riesco<br />

mai a trovare il tempo.<br />

E <strong>di</strong> lavori come “Neiro Cello”, ispirato alla foto <strong>di</strong><br />

un tramonto a Fussa, Giappone, scattata da Terry<br />

Welliver, e “Neiro Jazz and Booze”, che evoca il<br />

magico, eponimo drink servito al Neiro Bar?<br />

Ho usato la foto del mio amico Terry come sfondo<br />

per il <strong>di</strong>pinto. Mi fa molto piacere che le pe<strong>rs</strong>one apprezzino<br />

“Neiro Cello”: è stato votato anche come il<br />

migliore in un contest show in rete. “Neiro Jazz and<br />

Booze”, invece, ha come protagonista la band delle<br />

mie due mostre, il Jim Butler Quartet. Con Jim<br />

siamo <strong>di</strong>ventati amici e ora il quadro appartiene a<br />

lui. La storia che sta <strong>di</strong>etro a quel <strong>di</strong>pinto ovviamente<br />

è inventata.<br />

Hai partecipato al Sapporo Snow Festival del 2008,<br />

realizzando una scultura <strong>di</strong> neve intitolata<br />

“Rhythm”. Perché hai scelto <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care un’opera<br />

a New Orleans e alla sua ricostruzione?<br />

Ho trasco<strong>rs</strong>o 4 anni in Mississippi servendo l’Aviazione<br />

Militare americana e all’epoca andavo spesso<br />

a New Orleans, per godermi la vita notturna e il<br />

<strong>jazz</strong>. Mi ha molto rattristato vedere cos’era accaduto<br />

a quel fantastico posto, così, quando con la<br />

squadra americana abbiamo pensato a quale scultura<br />

realizzare, ci è sembrato giusto omaggiare<br />

quella città e la sua storia.<br />

Cosa si prova a realizzare una scultura <strong>di</strong> neve sapendo<br />

che avrà vita breve e poi si scioglierà?<br />

Creare un’opera d’arte è sempre un momento incre<strong>di</strong>bile<br />

e <strong>di</strong> grande valore, anche quando dura un<br />

istante. Per me è come se avessi venduto quell’opera<br />

e non potessi più vederne l’originale.<br />

Illustrazioni<br />

Nella prima pagina, in alto:<br />

l’artista; in basso: “Neiro<br />

Jazz and Booze” (2007),<br />

olio su tela.<br />

Nella pagina precedente, in<br />

alto: “Neiro Stan<strong>di</strong>ng Bass”<br />

(2005), acrilico su tela; in<br />

basso: “Neiro Take Five”<br />

(2006), olio su tela.<br />

In questa pagina, in alto:<br />

“Neiro Sax” (2006), olio su<br />

tela; qui a fianco: “Neiro<br />

Piano” (2005), acrilico su<br />

tela.<br />

Per ulteriori informazioni<br />

www.ronmiyashiro.com<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 23


ecensioni CD<br />

RASHIED ALI QUINTET<br />

LIVE IN EUROPE<br />

(Survival Records - 2009)<br />

Un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quello che fu il<br />

suo stile ed il suo essere <strong>music</strong>ista:<br />

ascoltando l’ultima uscita <strong>di</strong> Rashied<br />

Ali con il suo quintetto, è questa la sensazione che si percepisce<br />

più che netta. Uno stile batteristico che lo aveva portato<br />

ad essere ingaggiato da John Coltrane come seconda batteria per<br />

“Ascension”, quello che sarebbe <strong>di</strong>ventato il primo lavoro free<br />

del grande sassofonista, nel quale avrebbe dovuto con<strong>di</strong>videre lo<br />

sgabello con il grande Elvin Jones, da lui sempre ammirato: una<br />

posizione tanto scomoda da indurlo a lasciare poco prima che cominciasse<br />

l’incisione: Coltrane però lo aveva già puntato, e<br />

quando Jones se ne andrà, sarà proprio Ali a succedergli nelle formazioni<br />

aperte degli anni a seguire, fino a quell’“Inte<strong>rs</strong>tellar<br />

Space” che vedrà i due in una session in duo. Ma Ali proveniva già<br />

allora da altre esperienze che ne caratterizzavano il drumming<br />

fiero e circolare: i primi esperimenti free e d’avanguar<strong>di</strong>a a New<br />

York, con Albert Ayler, Archie Shepp e Don Cherry. Noto è anche il<br />

suo impegno a promozione dell’avanguar<strong>di</strong>a negli anni ’70 con il<br />

suo “Stu<strong>di</strong>o 77/Ali’s Alley” e, più avanti, con una sua etichetta,<br />

la Survival Records. La stessa che pubblica questo Live in Europe,<br />

registrato con quello che è stato il quintetto a suo nome a partire<br />

dal 2003. Non più o non soltanto scalpitanti poliritmie, possenti<br />

ed energizzanti come quelle <strong>di</strong> Elvin Jones, ma soprattutto incessanti<br />

e variopinte infrastrutture cromatiche a sostegno delle libere<br />

evoluzioni dei suoi solisti, capaci <strong>di</strong> rimanere in tal modo<br />

soli anche senza altri riferimenti armonici o accordali. Ingresso<br />

all’unisono <strong>di</strong> tromba e sax, un break perlustrativo <strong>di</strong> Ali che subito<br />

carpisce l’attenzione del pubblico, esauriente il torrenziale<br />

assolo <strong>di</strong> Clark al tenore, ruvido e corrosivo, più melo<strong>di</strong>ca e meno<br />

frastagliata la tromba <strong>di</strong> Evans che non perde mai i riferimenti<br />

propinati dal pulsante contrabbasso <strong>di</strong> Teepe, il quale ricama le<br />

sue pe<strong>rs</strong>onali trame, a sua volta sponda per il piano brillante e<br />

mai grumoso <strong>di</strong> Murphy: questo in Theme for Captain Black, dalle<br />

cui retrovie Ali sbuffa, frusta, tuona, scalcia e frantuma tempo ed<br />

armonie servendo sfiziosi spunti ai suoi. Scritta dal sassofonista,<br />

Lourana è d’apertura degna delle composizioni on<strong>di</strong>vaghe della<br />

I 5 CD imprescin<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> Adam Nussbaum<br />

Il <strong>di</strong>sco che ha segnato la svolta <strong>music</strong>ale nella tua vita?<br />

Are You Experienced, Jimi Hendrix Experience.<br />

L’album che consideri cruciale per la <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong>?<br />

Tantissimi! Ma in questo momento <strong>di</strong>rei Milestones, <strong>di</strong> Miles Davis.<br />

Quello che preferisci per la batteria?<br />

Altra domanda <strong>di</strong>fficile, ma questa volta non so davvero cosa rispondere.<br />

Quello che ascolti più spesso in viaggio o con amici?<br />

Shirley Horn, Here’s to Life.<br />

coppia Davis-Shorter, con il tenore<br />

a rivelare insospettabili sinuosità<br />

anche sui tempi più<br />

<strong>di</strong>stesi. De<strong>di</strong>cato a Joe Hende<strong>rs</strong>on,<br />

Thing for Joe lascia invece<br />

il primo intervento alla tromba,<br />

ciarliera, cui segue l’inserimento<br />

del sax a sfociare in un<br />

altro trascinante duetto con la<br />

batteria, quin<strong>di</strong> il contrabbasso,<br />

picchiettante sugli acuti e <strong>di</strong>sco<strong>rs</strong>ivo<br />

in assolo. Un drumming,<br />

quello <strong>di</strong> Ali, armonico in gruppo<br />

e politonale nei turni improvvisativi,<br />

come <strong>di</strong>mostrano le sue<br />

due uniche irruzioni solitarie,<br />

sul primo e sull’ultimo brano:<br />

un’ultima testimonianza <strong>di</strong> fine<br />

melo<strong>di</strong>cità ritmica che pone<br />

Un album non <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> che hai ascoltato <strong>di</strong> recente e ti è piaciuto?<br />

Eric Clapton & Steve Winwood, Live from Ma<strong>di</strong>son Square Garden.<br />

24 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

foto Bruno Bollaert [volume12.net]<br />

questo singolare batterista,<br />

spesso ricordato solo per le sue<br />

illustri collaborazioni, sì sul<br />

solco culminato con Elvin Jones,<br />

ma già pure artefice <strong>di</strong> un modo<br />

panoramico <strong>di</strong> suonare, riscontrabile<br />

oggi in epigoni quali<br />

Cleaver, McPhe<strong>rs</strong>on e, in Europa,<br />

Nilssen-Love.<br />

Musicisti<br />

Rashied Ali (bt), Joris Teepe (bs),<br />

Greg Murphy (pn), Lawrence Clark<br />

(st), Josh Evans (tr)<br />

Brani<br />

Intro<br />

Theme for Captain Black<br />

Lourana<br />

Thing for Joe<br />

foto Sergio Cimmino


Perry Robinson (cl, oc, fl, s.sp,<br />

cl.Eb), Burton Greene (pn)<br />

Syl’s Freylekhs<br />

A Lamentation<br />

Burty’s Freylekhs<br />

Desert Suite<br />

Song for My Friend Burton<br />

Ella Turtella<br />

Der Kats Zogt A Miowke<br />

John Surman (s.br, ss), John<br />

Abercrombie (ch), Drew Gress<br />

(cb), Jack DeJohnette (bt)<br />

Slanted Sky<br />

Hilltop Dancer<br />

No Finesse<br />

Kickback<br />

Chelsea Bridge<br />

Haywain<br />

Conter Measures<br />

Brewster’s Rooster<br />

Going for a Burton<br />

Dani Gurgel (vc), Debora Gurgel<br />

(pn, FR, arr), Daniel Amorin<br />

BURTON GREENE - PERRY ROBINSON TWO VOICES IN THE DESERT (Tza<strong>di</strong>k – 2009)<br />

Burton Greene e Perry Robinson sono due <strong>music</strong>isti<br />

americani — pianista chicagoano il primo, ancista<br />

newyorkese il secondo — che, grazie alle<br />

loro oltre settanta primavere, si conoscono e frequentano<br />

da moltissimi anni, avendo collaborando<br />

insieme durante gli anni ’80 anche per i<br />

lavori europei a tema klezmer <strong>di</strong> cui il pianista è<br />

titolare. Greene, <strong>di</strong>fatti, già nel 1969 si è trasferito<br />

in Europa, Parigi prima e Amsterdam successivamente,<br />

dando origine a più progetti <strong>di</strong><br />

esplorazione della <strong>music</strong>a tra<strong>di</strong>zionale ebraica<br />

con i gruppi Klezmokum (proprio con Robinson),<br />

poi Klez-thetics e infine Klez-Edge. Inutile citare<br />

le collaborazioni <strong>di</strong> ciascuno dei due: sia l’uno<br />

che l’altro hanno suonato con i più importanti<br />

<strong>music</strong>isti della loro generazione, da William Parker<br />

a Cecil Taylor, registrando un numero considerevole<br />

<strong>di</strong> album in svariate formazioni. Pertanto,<br />

dopo l’album in quintetto dello sco<strong>rs</strong>o anno, non<br />

è affatto inaspettata l’idea <strong>di</strong> John Zorn, proprietario<br />

dell’etichetta Tza<strong>di</strong>k, <strong>di</strong> invitare Robinson<br />

e Greene a registrare in duo. La proposta si <strong>di</strong>mostra<br />

particolarmente felice, e dopo quaran-<br />

JOHN SURMAN BREWSTER’S ROOSTER (ECM - 2009)<br />

Un album che mostra una volta <strong>di</strong> più come ci si<br />

possa ancora sorprendere ascoltando certi abbinamenti<br />

sonori, seppure ormai non proprio insoliti.<br />

Delle tante chiavi <strong>di</strong> lettura, pare essere<br />

questa quella più consona al Cd in esame, posto<br />

che i <strong>music</strong>isti che vi suonano hanno tutti un profilo<br />

così elevato ed una tale carriera alle spalle<br />

che è del tutto superfluo sofferma<strong>rs</strong>i sull’apporto<br />

che ciascuno <strong>di</strong> essi ha già dato a questa <strong>music</strong>a.<br />

Basti <strong>di</strong>re del titolare: Surman è notoriamente<br />

fra i <strong>music</strong>isti europei che hanno maggiormente<br />

contribuito ad ampliare i confini del <strong>jazz</strong> e della<br />

<strong>music</strong>a moderna, ve<strong>rs</strong>ato al soprano nonché fra i<br />

pochi baritonisti in grado <strong>di</strong> proiettare le proprie<br />

note sia ve<strong>rs</strong>o ambientazioni libere (senza le cervellotiche<br />

implicazioni braxtoniane) che in atmosfere<br />

più tra<strong>di</strong>zionali e con frequenti incu<strong>rs</strong>ioni<br />

pure in altri ambiti artistici. La ballad iniziale, la<br />

toccante Slanted Sky, potrebbe ingannare circa il<br />

reale contenuto dell’album, ma è omaggio a<br />

John Warren, un compositore con il quale Surman<br />

ha a lungo collaborato. Superato quest’avvio, il<br />

tempo in 3/4 della successiva Hilltop Dancer e<br />

l’unisono tematico fra baritono e chitarra sono<br />

esemplificativi della ricerca sonora <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ceva<br />

in apertura: chitarra arabeggiante, baritono<br />

DANI GURGEL NOSSO (Dapávirada - 2008)<br />

Che <strong>music</strong>a brasiliana e <strong>jazz</strong> abbiano molto a che<br />

spartire sta scritto negli annali <strong>di</strong> entrambi questi<br />

generi. Molto meno noto è il fermento artistico<br />

e <strong>music</strong>ale che sta investendo sempre più<br />

prepotentemente il grande paese sudamericano<br />

e tutta quella regione. Un meticciato <strong>di</strong> popoli e<br />

culture che si è sempre caratterizzato per la<br />

propensione a non erigere barriere: proprio quest’aspetto<br />

ha permesso l’incontro fra <strong>jazz</strong> e <strong>music</strong>a<br />

brasiliana. E oggi la comunità brasiliana è<br />

t’anni <strong>di</strong> conoscenza i due hanno per la prima<br />

volta la possibilità <strong>di</strong> confronta<strong>rs</strong>i in un progetto<br />

dalle linee te<strong>rs</strong>e e liriche, dove le ra<strong>di</strong>ci della<br />

<strong>music</strong>a klezmer sono la base più ideale che effettiva<br />

sulla quale si sviluppa una lunga e pacata<br />

conve<strong>rs</strong>azione in un linguaggio assolutamente<br />

<strong>jazz</strong>istico, evitando le secche del free e le atmosfere<br />

più standar<strong>di</strong>zzate <strong>di</strong> tanta <strong>music</strong>a targata<br />

Tza<strong>di</strong>k . Ne esce un album intenso, introspettivo,<br />

dolente e festoso, dove le idee prevalgono sui<br />

pattern, e la coesione e la raffinatezza sono segni<br />

<strong>di</strong>stintivi. Il brano più significativo è certamente<br />

The Desert Suite, contenente due movimenti,<br />

Desert Wandere<strong>rs</strong> e Eitan, scritti rispettivamente<br />

da Sylke Rollig in collaborazione con Greene e<br />

dallo stesso John Zorn. Il pianoforte crea una<br />

fitta base <strong>di</strong>namica in continua evoluzione, permettendo<br />

all’ocarina e al clarinetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorrere<br />

e creare, ora all’unisono ora singolarmente, descrivendo<br />

paesaggi con rapi<strong>di</strong> tratti e colorando<br />

sobriamente un immaginifico deserto <strong>di</strong>venuto<br />

luogo <strong>di</strong> pace e me<strong>di</strong>tazione. Un album <strong>di</strong> pacata<br />

bellezza, da assaporare lentamente._Ro.De.<br />

caustico capace <strong>di</strong> giostra<strong>rs</strong>i abilmente sui vari<br />

registri, e breve assolo fendente <strong>di</strong> Gress. Proprio<br />

il contrabbassista apre No Finesse insieme a De-<br />

Johnette, puntellando un 3/4 costruito su due<br />

accor<strong>di</strong> continuamente modulati per tonalità,<br />

con ritmo dondolante. Impeccabile Abercrombie<br />

nella tessitura <strong>di</strong> sottili filamenti improvvisativi<br />

che sembrano adagia<strong>rs</strong>i sullo schema accordale<br />

come una delicata ragnatela. I ritmi delle composizioni<br />

<strong>di</strong> Surman hanno un andamento danzante<br />

e leggero, grazie alle propulsive bacchette<br />

<strong>di</strong> DeJohnette, artefice <strong>di</strong> variopinti paesaggi<br />

percussivi: ed è sullo sfondo <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> questi che<br />

il baritono <strong>di</strong>spiega 2’40” <strong>di</strong> scorrevole estemporaneità<br />

in Kickback, uno dei pezzi più avvincenti<br />

<strong>di</strong> questo lavoro. Nella lenta Chelsea Bridge la<br />

chitarra è invece un satinato velo <strong>di</strong> accor<strong>di</strong> che<br />

scorta l’esposizione del baritono. L’in<strong>di</strong>scutibile<br />

esperienza <strong>di</strong> questi <strong>music</strong>isti si evidenzia in Haywain,<br />

poche note <strong>di</strong> tema che preludono ad una<br />

concertazione squisitamente free, mentre l’atteso<br />

break <strong>di</strong> DeJohnette si manifesta in Counter<br />

Measures. Meritevole <strong>di</strong> particolare attenzione è<br />

pure il tempo composto (5+4) <strong>di</strong> Brewster’s Rooster,<br />

che anticipa la chiusura con un altro spassoso<br />

brano, Going for a Burton._An.Te.<br />

aperta più che mai all’incontro con la <strong>music</strong>a<br />

proveniente da altre realtà. Così è avvenuto che<br />

Dani Gurgel, giovane cantautrice brasiliana con<br />

un buon background anche come <strong>jazz</strong> singer, si è<br />

trovata a scrivere testi per Maria Schneider così<br />

come ad essere voce principale della Tom Jobim<br />

Orchestra <strong>di</strong>retta da Roberto Sion. E questo<br />

Nosso (Nostro in Italiano) è parte <strong>di</strong> un progetto<br />

più ambizioso che la coinvolge insieme ai Novos<br />

Compositores. Proprio con alcuni <strong>di</strong> questi è<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 25


(cb, bs.el), Thiago Rabello (bt),<br />

Michi Ruzitschka (ch), André<br />

Kurchal e Luiz Rabello (prc)<br />

Festa de Santo<br />

Essa Não<br />

Samba do Jazz<br />

Da Pá Virada<br />

Sem Morada<br />

Laço na Lua<br />

Três Tristes Trópicos<br />

Neneca<br />

Santuário do Pau de Aroeira<br />

Tambor Guia<br />

Dá Licença<br />

Marcello Sebastiani (cb)<br />

Chevalie<strong>rs</strong> Normands et une<br />

Jeune Demoiselle<br />

Prélude d’Eginhard<br />

Le Nazaréen<br />

IIème Prélude du Nazaréen<br />

C.Q.<br />

E Mantra<br />

B Mantra<br />

G Mantra<br />

La Sonnerie de Sainte-Geneviève<br />

du Mont de Paris<br />

Bass Express<br />

Equinox<br />

In a Sentimental Mood<br />

Tutte le Funtanelle<br />

Jack DeJohnette (bt, meldc),<br />

John Patitucci (cb, bs.el),<br />

Danilo Perez (pn, tast)<br />

Tango African<br />

Earth Prayer<br />

Seventh D, 1st Movement<br />

Seventh D, 2nd Movement<br />

Soulful Ballad<br />

Earth Speaks<br />

Cobilla<br />

Panama Viejo<br />

White<br />

Ode to MJQ<br />

Michael<br />

Bonus Material [DVD]<br />

26 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

stato scritto il materiale per l’album, un lavoro<br />

registrato con quella leggerezza tipica dell’umanità<br />

brasiliana, con passione ed impegno. Brani<br />

originali che si avvalgono in gran parte dei preziosi<br />

arrangiamenti <strong>di</strong> Debora Gurgel, con un<br />

nuovo sapore brasiliano e freschi interventi<br />

d’improvvisazione da parte <strong>di</strong> vari <strong>music</strong>isti,<br />

tutti molto bravi. Ed anche la voce possiede quel<br />

modo <strong>di</strong> cantare lieve, caratteristico della levità<br />

dell’i<strong>di</strong>oma portoghese, senza virtuosismi vocali<br />

ma con tono confidenziale ed i sottili e gradevoli<br />

falsetti che si ritrovano nei più noti esponenti <strong>di</strong><br />

questa <strong>music</strong>a. Particolarmente suadente Da Pá<br />

Virada, una sorta <strong>di</strong> rumba <strong>jazz</strong> dove risalta un<br />

MARCELLO SEBASTIANI BASS EXPRESS (Drycastle Rexords - 2009)<br />

La particolarità maggiore <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sco non è<br />

tanto quella <strong>di</strong> essere un progetto <strong>di</strong> solo contrabbasso<br />

quanto quella <strong>di</strong> puntare, per esaltare<br />

questa formula strumentale e per presentare al<br />

meglio tutte le sfaccettature stilistico-esistenziali<br />

del suo autore, su un repertorio multi-tematico<br />

che comprende quattro riletture<br />

classiche <strong>di</strong> Erik Satie (i prelu<strong>di</strong> in apertura, ora<br />

coinvolgenti e inquieti, ora stranianti e suadenti),<br />

un bridge <strong>jazz</strong> (C.Q., convulso e <strong>di</strong>alogante)<br />

e tre composizioni d’ispirazione in<strong>di</strong>ana<br />

<strong>di</strong> Marcello Sebastiani (Mantra in Mi, Si e Sol, ora<br />

labirintici e esoterici, ora estrosi e intriganti). A<br />

seguire, un bridge classico (La Sonnerie de<br />

Sainte-Geneviève du Mont de Paris <strong>di</strong> Marin Marais,<br />

avviluppante e marziale), tre pezzi <strong>jazz</strong> (il<br />

primo del leader, roboante e incisivo, gli altri<br />

due, rispettivamente, <strong>di</strong> John Coltrane, incalzante<br />

e propositivo, e Duke Ellington, romantico<br />

ed evocativo) e una coda folk (il tra<strong>di</strong>zionale<br />

abruzzese Tutte le Funtanelle, narrativo e struggente).<br />

Si tratta, in effetti — come scrive Luigi<br />

Onori nelle note interne al cd — <strong>di</strong> “un album<br />

Un trio che reca il nome <strong>di</strong> tutti i <strong>music</strong>isti che lo<br />

compongono, Jack DeJohnette, John Patitucci e<br />

Danilo Perez, anche se l’album sembra intestato<br />

al solo batterista chicagoano. Nata al Panama<br />

Jazz Festival del 2005, dove suona per la prima<br />

volta grazie a Perez, <strong>di</strong>rettore artistico della manifestazione,<br />

la stellare formazione soltanto ora<br />

trova modo <strong>di</strong> incidere, realizzando un <strong>di</strong>sco che<br />

restituisce la gioia dell’incontro e fornisce la misura<br />

dello spessore artistico dei tre protagonisti.<br />

Se in apertura Tango African <strong>di</strong>chiara le pruderie<br />

<strong>di</strong> DeJohnette per il ballo argentino e la melo<strong>di</strong>ca,<br />

strumento sovrainciso alle sue batterie per<br />

scansioni in 7/4, Panama Viejo <strong>di</strong> Ricardo Fábrega<br />

combina meravigliosamente le inclinazioni<br />

<strong>di</strong> Patitucci per la <strong>music</strong>a d’autore brasiliana,<br />

con cui ha avuto gloriosi trasco<strong>rs</strong>i, abbinandole al<br />

suo accorato archetto, mentre Soulful Ballad<br />

vede <strong>di</strong> nuovo la melo<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> DeJohnette adesso<br />

in duo con il solo pianista, a liberare la sua voglia<br />

<strong>di</strong> melo<strong>di</strong>a improvvisata, a tratti tzigana e a<br />

tratti moresca. Asse portante dell’intero Cd sono<br />

tuttavia le estemporaneità corali, dalle quali scaturiscono<br />

suggestive composizioni spontanee <strong>di</strong><br />

effervescente improvvisazione del piano <strong>di</strong> Debora<br />

Gurgel, mentre la chitarra <strong>di</strong> Michi Ruzitschka<br />

si mette in evidenza in Essa Não, in<br />

combinazione con il Fender Rhodes (ancora Debora<br />

Gurgel). Molto tra<strong>di</strong>zionale, ma proprio per<br />

questo assai pregnante, Samba do Jazz, travolgente<br />

il ritornello <strong>di</strong> Três Tristes Trópicos, morbido<br />

il groove <strong>di</strong> Neneca, mentre la chiusura con<br />

Dá Licença, altro pezzo dall’introduzione puntualmente<br />

<strong>jazz</strong>y, satura la mente con il suo refrain.<br />

Un buon album d’esor<strong>di</strong>o per la Gurgel ed<br />

i suoi <strong>music</strong>isti, in procinto per altro <strong>di</strong> rilasciare<br />

un Cd con la ArtistShare._An.Rig.<br />

coraggioso perché evita <strong>di</strong> circoscrive<strong>rs</strong>i alla <strong>music</strong>a<br />

afroamericana e proietta la riflessione sonora<br />

sul contrabbasso in una <strong>di</strong>mensione<br />

planetaria (America, Europa, Asia) e lungo l’asse<br />

del tempo” (si va dal 1723 della composizione <strong>di</strong><br />

Marais al ’900 <strong>di</strong> Satie, Ellington e Coltrane). Ma<br />

anche <strong>di</strong> un album che esalta la commistione fra<br />

gli stili, sfruttando pienamente lo strumento attrave<strong>rs</strong>o<br />

sovra-incisioni ponderate e uso calibrato<br />

<strong>di</strong> archetto e pizzicato in ambito classico<br />

per poi passare al pizzicato, rinunciando quin<strong>di</strong><br />

alle sovra-incisioni, in ambiti più <strong>jazz</strong>istici o <strong>di</strong><br />

stampo etnico. Il tutto me<strong>di</strong>ato da un senso <strong>di</strong><br />

composizione istantanea e <strong>di</strong> performance live<br />

che fa quasi <strong>di</strong>menticare e superare — merito<br />

anche del produttore e titolare della Drycastle,<br />

il bassista Maurizio “Bozorius” Bozzi — le quattro<br />

pareti dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> registrazione dove è stato<br />

realizzato. Un <strong>di</strong>sco notevole, rorido <strong>di</strong> spunti<br />

interessanti, che si pone in maniera equi<strong>di</strong>stante<br />

eppur foriera <strong>di</strong> scambi nei confronti della <strong>music</strong>a<br />

<strong>jazz</strong>, blues, classica, in<strong>di</strong>ana, popolare, sperimentale<br />

e d’avanguar<strong>di</strong>a._Ma.Ma.<br />

DEJOHNETTE-PATITUCCI-PEREZ MUSIC WE ARE (Golden Beams/Kindred Rhythm - 2009)<br />

particolare bellezza, come Earth Prayer e Earth<br />

Speaks, sospese e concertate su vibrazioni argentine<br />

<strong>di</strong> piattini ed affon<strong>di</strong> del piano, sostenuti<br />

dall’archetto, nonché l’onirica e circospetta Ode<br />

to MJQ, con tom quasi melo<strong>di</strong>ci. Di gran presa<br />

pure Seventh D, brano modale del batterista in<br />

due movimenti, il primo svolto sui tasti <strong>di</strong> Perez<br />

e contenente due colorati interventi dell’autore,<br />

l’altro condotto da Patitucci, aperto ad un fitto<br />

<strong>di</strong>alogo con i compagni. DeJohnette provvede ad<br />

una infusione <strong>di</strong> ritmi per Cobilla <strong>di</strong> Perez, mentre<br />

sul vamp del basso elettrico Patitucci tracima<br />

sulle ottave più alte, quasi fosse una chitarra; ma<br />

non è da meno lo stesso Perez, con il piano elettrico.<br />

E proprio in virtù della doppia dotazione <strong>di</strong><br />

Perez, la sua White resta a metà tra fusion elettrica<br />

e <strong>jazz</strong> acustico, complici i risonanti tamburi<br />

<strong>di</strong> DeJohnette. Chiude l’intima Michael, dalla<br />

penna <strong>di</strong> Patitucci verosimilmente de<strong>di</strong>cata allo<br />

scompa<strong>rs</strong>o Brecker. Il <strong>di</strong>sco è <strong>di</strong>sponibile anche<br />

in doppio LP o corredato da un DVD con 25 minuti<br />

<strong>di</strong> “making of” in stu<strong>di</strong>o che fa intuire l’atmosfera<br />

rilassata ed amichevole che ha consentito<br />

<strong>di</strong> raggiungere quest’ottimo risultato._An.Te.


Eiko Ishibashi (pn, synth, vc),<br />

Gianni Gebbia (sc, ogg), Daniele<br />

Camarda (bs.el, electrn)<br />

Kuuge (Flowe<strong>rs</strong> on the Sky)<br />

One Clapping/Many Hands<br />

Go Down Moses<br />

Hermit<br />

Kan (Barrier)<br />

Kami Kakushi (Gold Wind<br />

Mountain)<br />

Maboroshi (Illusion)<br />

Yodaka No Hoshi (Night Bird<br />

Star)<br />

Ichi Go Ichi E (One Occasion<br />

One Opportunity)<br />

Rinne (Circle of Life)<br />

Beat Hofstetter (ss), Sascha<br />

Armbruster (sa), Andrea<br />

Formenti (st), Beat Kappeler<br />

(s.br, sa), Katharina Weber<br />

(p), Lucas Niggli (bt)<br />

TThhee BBiigg PPiiccttuurree<br />

Part 1, Part 2, Part 3, Part 4,<br />

Part 5, Part 6<br />

FFrreeeeddoomm iinn FFrraaggmmeennttss<br />

Introduction: The Power of<br />

Prayer; Some Assembly<br />

Required; Hopscotch (for<br />

John Zorn); Confess; Song<br />

and Dance; Void Where<br />

Prohibited; Rosali’s Song; Red<br />

Rag; Significant Restrictions<br />

Apply; Boyan’s Problem;<br />

Kick It; Nostalgia; Batteries<br />

not Included; T. Square Park<br />

Lark: for Frank Zappa;<br />

The Power of Prayer: Coda<br />

ISHIBASHI-GEBBIA-CAMARDA MABOROSHI (Kyoto F/Sound Factory - 2009, <strong>di</strong>str. Metamkine)<br />

Gianni Gebbia è <strong>music</strong>ista da palcoscenico, non<br />

perché gigioneggi con gags o altro, ma semplicemente<br />

perché quando suona, fra respirazione circolare<br />

e uso d’oggetti, è emozionante ascoltarlo<br />

e vederlo dal vivo più che in Cd. Una premessa<br />

che comunque nulla toglie a questa affascinante<br />

registrazione in stu<strong>di</strong>o che lo vede impegnato assieme<br />

al messinese Daniele Camarda, virtuoso del<br />

basso a sei corde, ed alla cantante e pianista Eiko<br />

Ishibashi. Un incontro <strong>di</strong> esperienze, come ormai<br />

nel costume del cosmopolita sassofonista che,<br />

triangolando fra Europa, Stati Uniti e Giappone,<br />

incide spesso con artisti particolari, insieme ai<br />

quali, per cultura e sensibilità <strong>music</strong>ali, riesce a<br />

creare delle intriganti combinazioni sonore. Ed in<br />

questo progetto in coleade<strong>rs</strong>hip tali combinazioni<br />

ritrovano il denominatore comune in loop, delay<br />

e chorus vari cui tutti e tre i <strong>music</strong>isti sono adusi,<br />

senza però fa<strong>rs</strong>i prendere la mano, ed anzi impiegandoli<br />

in modo <strong>music</strong>ale, così che la <strong>music</strong>a<br />

resti sempre al centro. Disco<strong>rs</strong>o a parte per Camarda,<br />

che chi ha avuto mdo <strong>di</strong> gustarlo dal vivo<br />

senza troppe <strong>di</strong>avolerie elettroniche può garantire<br />

essere davvero un esperto conoscitore della<br />

tastiera e delle possibilità del suo strumento,<br />

cose che invece certi effetti rendono molto meno<br />

evidenti. La sorpresa dell’album è proprio l’essenza<br />

<strong>di</strong> questa voce evanescente che, ci piace<br />

sottolinearlo, è giusto del tipo che si sarebbe ab-<br />

In campo <strong>music</strong>ale “trasve<strong>rs</strong>alità” è un<br />

termine oggi decisamente abusato e<br />

svuotato <strong>di</strong> significato. Si applica però<br />

alla perfezione a questi due stupefacenti<br />

lavori <strong>di</strong> Fred Frith. Merito della<br />

visione a 360° del chitarrista inglese,<br />

che lo ha portato, fin dai suoi inizi con<br />

gli Henry Cow nel 1973, a scandagliare<br />

vari territori della <strong>music</strong>a improvvisata.<br />

E decisivo risulta il contributo<br />

dello svizzero Arte Quartett, formazione<br />

<strong>di</strong> estrazione classico-contemporanea<br />

adusa a frequentazioni “eterodosse”<br />

(fra le tante, quelle con Terry<br />

Riley e Tim Berne). Dei due lavori, il<br />

primo, in cui Frith figura solo in veste<br />

<strong>di</strong> compositore, si propone fo<strong>rs</strong>e come<br />

il più completo ed onnicomprensivo,<br />

per l’equilibrio tra il retroterra del Novecento<br />

europeo e le avanguar<strong>di</strong>e<br />

contemporanee e <strong>jazz</strong>istiche. Già le<br />

prime due parti <strong>di</strong> Big Picture prefigurano<br />

questa complessità. Vi si colgono<br />

una ricerca timbrica <strong>di</strong> marca AACM,<br />

riconducibile a Braxton, Mitchell ed<br />

Abrams; il gusto per la costruzione <strong>di</strong><br />

geometrie sonore <strong>di</strong> matrice zappiana<br />

(aspetto riscontrabile anche in Henry<br />

Cow); la consapevolezza delle fonti <strong>di</strong><br />

ispirazione dello stesso Zappa, come Varése e Stravinskij. Frith<br />

sfrutta al meglio le riso<strong>rs</strong>e del quartetto d’ance, tanto da mettere i<br />

colleghi in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> evocare le esperienze <strong>di</strong> formazioni come<br />

WSQ e, soprattutto, Rova. Basti ascoltare in Part 4 l’uso <strong>di</strong> registri<br />

binato allo stile mantrico del sassofonista palermitano,<br />

semmai si fosse pensato ad una sua combine<br />

con una vocalist. Un loop del basso apre<br />

Kuuge, sensuale il contralto, quasi femmineo,<br />

che <strong>di</strong>ce e non <strong>di</strong>ce per lasciar spazio alla voce.<br />

Rilassante ma nient’affatto larga One Clapping/<br />

Many Hands, grazie all’insistente beat e all’handclapping<br />

da cui prende nome. Tempo rubato nell’intro<br />

<strong>di</strong> basso, cui si affianca rorido il sax per lo<br />

spiritual Go Down Moses, ve<strong>rs</strong>ione aperta dove<br />

melo<strong>di</strong>a ed armonia sono scarnificate e messe a<br />

nudo, quin<strong>di</strong> in Hermit (Gebbia) sax e piano — più<br />

defilato il basso — si inseguono nell’arpeggio serrato<br />

<strong>di</strong> una estemporanea progressione che evidenzia<br />

il gran senso armonico del sassofonista.<br />

Dopo il furtivo Kan, apoteosi dei contrasti con<br />

Kami Kakushi, basso mitragliato, sussurri e aspe<strong>rs</strong>ioni<br />

vocali, e sax che schiocca e beccheggia nel<br />

bocchino. Strano invece che l’eponima Maboroshi<br />

veda all’opera solo sax e basso, seppure la successiva<br />

Yodaka No Hoshi sia una deliziosa composizione<br />

della <strong>music</strong>ista nipponica a forte<br />

connotazione melo<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong> cui il sax raddoppia il<br />

tema; risultato: ingenuo e splen<strong>di</strong>do al contempo.<br />

Seguono 1’ e 38” <strong>di</strong> assoluta solitu<strong>di</strong>ne<br />

per Gebbia in Ichi Go Ichi E, fra spuri multiphonics<br />

e pulitissime note, per finire con Rinne dove<br />

droni <strong>di</strong> voci e strumenti avviluppano il testo bud<strong>di</strong>sta<br />

sussurrato dalla Ishibashi._An.Te.<br />

BIG PICTURE (Intakt - 156) FRED FRITH & ART QUARTETT STILL URBAN (Intakt - 155)<br />

estremi, suoni stoppati, colpi <strong>di</strong> lingua<br />

e suoni parassitari. Altrove, si percepisce<br />

come il soprano debba qualcosa ad<br />

Evan Parker, mentre i grufolii ed i barriti<br />

del baritono si ricollegano a Roscoe<br />

Mitchell, John Raskin e Hamiet<br />

Bluiett. Non<strong>di</strong>meno, la scrittura <strong>di</strong><br />

Frith prevede anche insiemi calibrati,<br />

impasti delicati e creazione <strong>di</strong> bordoni.<br />

Qua e là si in<strong>di</strong>viduano infine<br />

pure residui minimalisti nell’impiego<br />

dell’iterazione (Rosali’s Song) e richiami<br />

alla tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica (Red<br />

Rag, le ampie curve melo<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Nostalgia,<br />

<strong>di</strong> stampo ellingtoniano e mingusiano).<br />

Ricco <strong>di</strong> contrasti, Still Urban<br />

vede la presenza, multiforme ma non<br />

invadente, della chitarra: in funzione<br />

<strong>di</strong> sostegno e bordone in Landscape<br />

with or without Edges e Near Future<br />

Faith, con l’ausilio <strong>di</strong> sustain e fuzz<br />

molto “frippiani”; pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> schegge<br />

rese acuminate dall’azione dei sassofoni<br />

in Door Won’t Open, Door Won’t<br />

Beat Hofstetter (ss), Sascha<br />

Armbruster (sa), Andrea<br />

Formenti (st), Beat Kappeler<br />

(s.br, sa), Fred Frith (ch)<br />

Part 1: Landscape with or<br />

without Edges; Part 2: Door<br />

Won’t Open, Door Won’t<br />

Close; Part 3: Nervous When<br />

I Turned; Part 4: Family<br />

Ties; Part 5: Science to Someone<br />

Living; Part 6: Glass<br />

and Mirror Cut to Size; Part<br />

7: Everywhere Hastily We<br />

Followed; Part 8: Two Blinkings<br />

of an Eyelid; Part 9:<br />

Near Future Faith<br />

Close; vicina alla lezione <strong>di</strong> Derek Bailey nello sfregar <strong>di</strong> corde e<br />

nell’accumulo <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> Family Ties; iconoclasta e vicina alla<br />

filosofia <strong>di</strong> John Zorn in Two Blinkings of an Eyelid. La voluta alternanza<br />

tra pieni e vuoti genera momenti in cui il suono sembra scaturire<br />

dall’interazione col silenzio o con rumori <strong>di</strong> ambiente. È il caso<br />

del brano iniziale, in cui un soprano scarno, “oboistico”, emerge da<br />

un sottofondo <strong>di</strong> suoni urbani, quasi a voler convalidare le teorie <strong>di</strong><br />

Cage. Il gusto quasi mistico, gregoriano, della melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Nervous<br />

When I Turned rappresenta in quest’ambito un’oasi <strong>di</strong> pace._En.Bo.<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 27


28 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09


Avishai Cohen (vc, cb, bs.el,<br />

pn), Shai Maestro (pn), Amos<br />

Hoffman (oud), Itamar Doari<br />

(prc), Karen Malka (vc), Stephane<br />

Belmondo (tr, flc), Lionel<br />

Belmondo (fl)<br />

Morenika<br />

Interlude in C-sharp Minor<br />

El Hatzipor<br />

Leolam<br />

Winter Song<br />

It’s Been So Long<br />

Alon Basela<br />

Still<br />

Shir Preda<br />

Aurora<br />

Alfonsina y el Mar<br />

Noches noches / La luz<br />

Torben Snekkestad (sx, cl), Jon<br />

Balke (pn, prep.pn), Jonas Westergaard<br />

(cb)<br />

September<br />

Francis Faced #2<br />

Seated Man<br />

Noodles or Icecream, Sir?<br />

Zobob<br />

Conic Folded<br />

E.P. Flowe<strong>rs</strong><br />

Icon<br />

Francise Faced #1<br />

Undercurrents<br />

Lovetann<br />

Paolino Dalla Porta (cb), Gianluca<br />

Petrella (tbn), Achille<br />

Succi (sc, cl.bs), Roberto Cec-<br />

AVISHAI COHEN AURORA (BlueNote - 2009)<br />

Il decimo album dal debutto come titolare con<br />

“Adama” (1998) impone un primo bilancio per il<br />

39enne contrabbassista israeliano. Per la verità<br />

si tratta dell’un<strong>di</strong>cesimo, se si considera “Sensitive<br />

Hou<strong>rs</strong>”, uscito l’anno sco<strong>rs</strong>o per la sua etichetta<br />

RazDaz, decisamente più orientato ve<strong>rs</strong>o<br />

la canzone e provvisto <strong>di</strong> sofisticati arrangiamenti<br />

speziati <strong>di</strong> sapori me<strong>di</strong>orientali. Con questo<br />

esor<strong>di</strong>o per la Blue Note Cohen sembra voler<br />

sviluppare il processo <strong>di</strong> recupero del proprio<br />

composito patrimonio culturale. Non a caso, il<br />

quintetto reca il nome <strong>di</strong> Eastern Unit. Ne fanno<br />

parte compagni <strong>di</strong> altre avventure, come il chitarrista<br />

Amos Hoffman, impegnato esclusivamente<br />

all’oud, ed il brillante pianista Shai<br />

Maestro, membro stabile del trio del contrabbassista.<br />

Cohen riserva ampio spazio alla vocalità: la<br />

propria, ruvida, non coltivata, ma il più delle<br />

volte efficace nella sua rozza innocenza; quella<br />

eterea <strong>di</strong> Karen Malka, protagonista <strong>di</strong> incisivi<br />

controcanti. L’impiego <strong>di</strong> lingue <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e conferisce<br />

all’incisione una <strong>music</strong>alità più ricca e variegata.<br />

È il caso dell’ebraico, ricco <strong>di</strong> parole<br />

tronche. Spiccano in questo contesto la melo<strong>di</strong>a<br />

avvolgente e modulata <strong>di</strong> El Hatzipor, con cui<br />

TORBEN SNEKKESTAD CONIC FOLDED (ILK - 2009)<br />

Conic Folded è il primo album a nome del sassofonista<br />

e clarinettista Torben Snekkestad, già<br />

membro del gruppo del sassofonista Trygve Seim,<br />

del Copenhagen Saxophone Quartet e della London<br />

Improvise<strong>rs</strong> Orchestra. Un album d’esor<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> notevole concentrazione e <strong>di</strong> ottimo spessore,<br />

giocato su toni minimalisti ed astratti con una<br />

sorprendente maturità <strong>di</strong> linguaggio. Raramente<br />

una opera prima presenta una voce così formata<br />

ed originale, ed un progetto al tempo rarefatto,<br />

intimista e assolutamente libero. L’influenza <strong>di</strong><br />

Evan Parker è evidente nei brani per sassofono<br />

soprano, ma ciò che sorprende è la capacità <strong>di</strong><br />

svolta improvvisa, l’attenzione al volume del<br />

suono, il perfetto amalgama tra linguaggio free<br />

e il minimalismo delle scelte. Inusuale anche il<br />

timbro <strong>di</strong> Snekkestad al clarinetto, evocatore più<br />

che <strong>di</strong> sonorità <strong>jazz</strong>y, <strong>di</strong> paesaggi intimisti e <strong>di</strong><br />

atmosfere che richiamo un altro grande <strong>music</strong>ista<br />

norvegese, il trombettista Arve Henriksen.<br />

Emblematico il brano Flower EP, dopo tre minuti<br />

<strong>di</strong> solo fiammeggiante in respirazione circolare<br />

per soprano entra il pianoforte <strong>di</strong> John Balke,<br />

che con pochi tocchi, pizzicando quasi le corde,<br />

riporta l’atmosfera a pagine quiete e sommesse.<br />

Balke si alterna con il contrabbassista Jonas Westergaard,<br />

già membro del gruppo Tartar <strong>di</strong> Michael<br />

Blake, in una serie <strong>di</strong> duetti e trii in cui la<br />

tessitura rimane omogenea e me<strong>di</strong>tativa riflettendo<br />

paesaggi in chiaroscuro con colori tenui.<br />

La tecnica del giovane <strong>music</strong>ista norvegese è<br />

sorprendente, mai al servizio <strong>di</strong> inutili funambolismi<br />

ne d’altronde facile all’ascolto, ma perfettamente<br />

integrata nel progetto dell’album.<br />

Meno note e a volume più basso rispetto alla<br />

me<strong>di</strong>a delle opere prime, ma una profonda ricerca<br />

del significato <strong>di</strong> ogni frase e della qualità<br />

insita in ciascuna <strong>di</strong> esse. L’analisi dei brani più<br />

significativi pone in rilievo Zobob, unico pezzo<br />

che si <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>ifica rispetto all’andamento generale<br />

dell’album, con un bop filtrato, mosso e<br />

me<strong>di</strong>ato da una <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>a sensibilità. Undercurrents<br />

vede protagonista il piano preparato che<br />

riesce a <strong>di</strong>stillare sottili emozioni. Conic Folded<br />

è opera prima <strong>di</strong> innegabile fascino e interesse,<br />

anche se <strong>di</strong> non facile ascolto._Ro.De.<br />

PAOLINO DALLA PORTA QUINTET URBAN RAGA (Parco della Musica - 2009)<br />

Contro il tran tran della vita moderna e del solito<br />

<strong>jazz</strong> <strong>di</strong> sempre, ogni tanto esce un album come<br />

questo, che riappacifica con il concetto che sta<br />

alla base stessa <strong>di</strong> questa <strong>music</strong>a: suonare senza<br />

pregiu<strong>di</strong>zi, senza confini. Forte <strong>di</strong> un’esperienza<br />

che lo ha visto collaborare con mezzo mondo, <strong>di</strong><br />

qua e <strong>di</strong> là dall’oceano, il contrabbassista Paolino<br />

Dalla Porta pubblica questo Urban Raga, compen<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> <strong>music</strong>a improvvisata con background certamente<br />

<strong>jazz</strong>istico, ma con ispirazione che<br />

proviene da quelle cellule <strong>music</strong>ali che nella tra-<br />

Cohen ha <strong>music</strong>ato una poesia <strong>di</strong> Haim Nachman<br />

Bialik, poeta nazionale d’Israele; la serrata costruzione<br />

ritmica su tempi <strong>di</strong>spari <strong>di</strong> Alon Basela;<br />

Shir Preda, canzone <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>o, con Cohen al piano<br />

e assolo <strong>di</strong> basso elettrico sovrainciso. È interessante<br />

notare che il primo ed il terzo dei suddetti<br />

brani figuravano anche in “Sensitive Hou<strong>rs</strong>”. Poi<br />

Cohen attinge ancora una volta alla tra<strong>di</strong>zione sefar<strong>di</strong>ta.<br />

Morenika e Noches noches sono canti del<br />

repertorio giudeo-spagnolo, eseguiti in la<strong>di</strong>no. In<br />

particolare il secondo, databile attorno al XIII secolo,<br />

gode <strong>di</strong> un’atmosfera sospesa, sottolineata<br />

dall’archettato del contrabbasso e da modulazioni<br />

che richiamano la cultura arabo-andalusa<br />

ed il cante jondo, base del flamenco. Piccolo gioiello,<br />

infine, è la ve<strong>rs</strong>ione per sola voce e contrabbasso<br />

<strong>di</strong> un cavallo <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Mercedes<br />

Sosa: Alfonsina y el Mar, scritta da Ariel Ramírez<br />

e Félix Luna in memoria della poetessa argentina<br />

Alfonsina Storni, morta suicida. Il <strong>di</strong>sco potrebbe<br />

deludere gli ammiratori del potente contrabbassista<br />

del quartetto Origin <strong>di</strong> Chick Corea o del live<br />

al Blue Note “As Is...”. Tuttavia, pur nella sua imperfezione,<br />

segna un tentativo significativo <strong>di</strong><br />

riappropriazione delle ra<strong>di</strong>ci._En.Bo.<br />

<strong>di</strong>zione del raga in<strong>di</strong>ano vengono svolte dai <strong>music</strong>isti<br />

in modo altrettanto estemporaneo che nel<br />

<strong>jazz</strong>. Il tratto “urban”, invece, proietta il risultato<br />

ve<strong>rs</strong>o una <strong>di</strong>mensione avanguar<strong>di</strong>sta ed un<br />

modo <strong>di</strong> fare <strong>music</strong>a dalla prospettiva senza limiti.<br />

Anche il gruppo <strong>di</strong> <strong>music</strong>isti che chiama a<br />

sé costituisce il fior fiore <strong>di</strong> chi, avendo ben piantati<br />

i pie<strong>di</strong> nella tra<strong>di</strong>zione, non <strong>di</strong>sdegna <strong>di</strong>, anzi<br />

si <strong>di</strong>verte a, perlustrare altre strade e sperimentare<br />

nuovi suoni, segnando il passo con i tempi.<br />

Così Akoustic Resistance, mentre Hypnosys, gra-<br />

JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 29


chetto (ch.el), Marten Lund (bt)<br />

Akoustic Resistance<br />

Hypnosys<br />

Urban Raga<br />

Saturniana<br />

Motion of Light<br />

Sine Die<br />

Blu<br />

Dangerous Crossing<br />

Gian Tornatore (st, ss), Nate<br />

Radley (ch), Jon Ande<strong>rs</strong>on (pn),<br />

Thomsom Kneeland (cb), Jordan<br />

Perlson (bt)<br />

La Vita<br />

Fall<br />

La Copa del Mondo<br />

Nobody But You<br />

Hearing Triangles<br />

Missing You<br />

Scream<br />

La Vita (never to be forgotten)<br />

Felice Clemente (st, ss, cl),<br />

Bebo Ferra (ch), Massimo Colombo<br />

(pn), Giulio Corini (cb),<br />

Massimo Manzi (bt)<br />

Ospiti: Tino Tracanna (ss), Antonello<br />

Monni (st)<br />

The Second Time<br />

Chuku<br />

All Too Soon<br />

Blue of Mine<br />

Nemesis<br />

To Clifford<br />

Imaharat<br />

Sottili Equilibri<br />

Divertimento n. 1<br />

30 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

zie alla chitarra può considera<strong>rs</strong>i la ve<strong>rs</strong>ione elettrica<br />

<strong>di</strong> tale approccio. Ancor più esemplificativo<br />

Urban Raga, avviato da quattro avvincenti minuti<br />

<strong>di</strong> introduzione del contrabbassista, prima <strong>di</strong> assumere<br />

i colori solari <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> calypso. Deliziosa<br />

la combinazione fra la nitida chitarra <strong>di</strong><br />

Cecchetto e il vibrante clarinetto basso <strong>di</strong> Succi<br />

in Motion of Light, animata dal fremente trombone<br />

<strong>di</strong> Petrella e dal palpitante contrabbasso<br />

del leader. Un vamp quasi arrabbiato stacca Sine<br />

Die, il cui motivo, raga o no, sa molto <strong>di</strong> Mingus.<br />

GIAN TORNATORE FALL (Sound Spiral - 2009)<br />

A poco più i due anni dall’ultimo “Black Out” il<br />

sassofonista Gian Tornatore, siciliano d’origine<br />

(senza alcuna parentela con il famoso regista)<br />

ma ormai <strong>di</strong> stanza a New York City, esce con un<br />

nuovo lavoro, terzo della sua carriera <strong>di</strong>scografica.<br />

Anche in questo caso, come per il precedente,<br />

si presenta in quintetto, ma questa<br />

volta, oltre al supporto della chitarra <strong>di</strong> Nate<br />

Radley, Jon Ande<strong>rs</strong>on siede esclusivamente al<br />

piano acustico, senza l’ausilio del Fender come<br />

avvenuto in precedenza. Probabilmente la<br />

scelta è dettata dal tipo <strong>di</strong> composizioni, tutte<br />

originali, contenute nel <strong>di</strong>sco, che poco concedono<br />

alle ambientazioni funky, ed hanno invece<br />

bisogno <strong>di</strong> un valido riferimento armo-ritmico,<br />

che si <strong>di</strong>stingua dalla chitarra. Il tenorista si<br />

evidenzia per una grande luci<strong>di</strong>tà ed un perfetto<br />

allineamento melo<strong>di</strong>co con l’andamento<br />

tematico, come in Fall, sorta <strong>di</strong> tango che dà<br />

titolo all’album, con un piano particolarmente<br />

assorto ed un vibrante assolo del contrabbasso.<br />

A sua volta, la chitarra spesso si ritrova ad essere<br />

alter ego del sax, come ne La Vita, mentre<br />

altre volte gode <strong>di</strong> ampi spazi propri come ne<br />

La Copa del Mondo. Qui un suono pulito con-<br />

Blu è una ballad in 5/4 che ha la voce del clarinetto,<br />

con assolo del titolare. Esaltante il <strong>di</strong>alogo<br />

fra Dalla Porta e l’alto <strong>di</strong> Succi in Dangerous<br />

Crossing, fino a quando il contrabbasso non si<br />

pianta su un pedale clau<strong>di</strong>cante che fa la felicità<br />

della batteria <strong>di</strong> Lund, degli allusivi vocaleggi <strong>di</strong><br />

Petrella, delle asimmetriche linee della chitarra.<br />

Su tutto sovrasta il portamento garbato del contrabbassista<br />

mantovano. Un album intriso <strong>di</strong> ironia,<br />

<strong>di</strong>vertimento, ma soprattutto intriso <strong>di</strong> <strong>jazz</strong><br />

e <strong>di</strong> tanta, tanta <strong>music</strong>a._An.Rig.<br />

sente <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le parti <strong>di</strong> ciascun <strong>music</strong>ista,<br />

permettendo <strong>di</strong> seguire l’apparente tortuosità<br />

del tema e la complessità della<br />

struttura: grande coerenza improvvisativa del<br />

tenore, quin<strong>di</strong> l’assolo <strong>di</strong> batteria, imbastito<br />

molto sui piani timbrici <strong>di</strong> pelli e piatti. Anche<br />

Hearing Triangles si caratterizza per frasi segmentate<br />

e nervose, questa volta condotte al<br />

raddoppio fra chitarra e tenore, liberando<br />

anche lievi accenni più free, con un esteso rubato<br />

concesso al piano, mentre sul finale chitarra<br />

e sax si battono a colpi <strong>di</strong> scale esatonali.<br />

Missing You è un brano malinconico, ma le linernotes<br />

fanno presumere non tratta<strong>rs</strong>i esattamente<br />

<strong>di</strong> un partner. In Scream, dopo l’intro al<br />

contrabbasso l’esposizione è affidata al soprano<br />

<strong>di</strong> Tornatore le cui curve si inte<strong>rs</strong>ecano<br />

alle corde della chitarra riverberata. L’ultimo<br />

pezzo è eseguito dalla coppia piano e tenore,<br />

con tempo più lento: una reprise de La Vita in<br />

una trasfigurazione più emotiva, sottotitolo<br />

Never to Be Forgotten. Un’altra buona prova<br />

per il sassofonista americano e la sua band, che<br />

nulla hanno da invi<strong>di</strong>are a molti altri gruppi <strong>di</strong><br />

mainstream._An.Te.<br />

FELICE CLEMENTE QUINTET BLUE OF MINE (Crocevia <strong>di</strong> Suoni Records - 2009)<br />

Un progetto nato, per ammissione dell’autore<br />

stesso nel libretto interno, osservando l’orizzonte,<br />

“quell’incantevole punto <strong>di</strong> congiunzione<br />

tra cielo e mare […] dove si fondono due<br />

magiche entità, completamente <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>e ma<br />

compatibili in modo del tutto fluido e naturale”.<br />

Un’immagine con cui il sassofonista Felice<br />

Clemente veicola l’idea che questo sesto<br />

album a proprio nome sia frutto e fusione<br />

delle esperienze e degli incontri <strong>music</strong>ali fatti<br />

finora, oltre che delle vicende più importanti<br />

della sua vita e della sua carriera. Il tutto animato<br />

dall’esigenza <strong>di</strong> far incontrare le culture<br />

<strong>music</strong>ali che ama — il <strong>jazz</strong>, il blues, la classica,<br />

l’afro, il latin, il tango — per “raggiungere<br />

l’anima <strong>di</strong> tutti coloro che sanno lascia<strong>rs</strong>i<br />

attrave<strong>rs</strong>are dal flusso dei suoni […] con la naturalezza<br />

<strong>di</strong> un respiro o del battito del<br />

cuore”. Questa esperienza, con<strong>di</strong>visa con <strong>music</strong>isti<br />

con i quali collabora da tempo — da<br />

Massimo Colombo a Massimo Manzi fino a Tino<br />

Tracanna — colpisce sia per il talento, la sensibilità<br />

e la generosità dei protagonisti, sia per<br />

il <strong>di</strong>alogo aperto, privo <strong>di</strong> forzature e dogmi<br />

stilistici con cui è affrontata la realtà sempre<br />

più composita del <strong>jazz</strong> contemporaneo. “Un<br />

<strong>di</strong>alogo — fa notare ancora Clemente — dove<br />

ogni strumentista ha avuto lo spazio per mettere<br />

in risalto le sue peculiarità, ma sempre al<br />

servizio della nostra unica padrona: la Musica”.<br />

Una <strong>music</strong>a leggiadra e stimolante che<br />

fluisce complice fra le pieghe del gruppo, lasciando<br />

una pe<strong>rs</strong>istente e (im)palpabile sensazione<br />

<strong>di</strong> energizzante piacere corale. Basti<br />

ascoltare le linee serpentine e scoscese del<br />

leader su Divertimento n. 1, intrecciate con<br />

quelle parimenti evocative e cangianti <strong>di</strong> Tino<br />

Tracanna e Antonello Monni, gli intriganti e<br />

<strong>di</strong>amantini ricami <strong>di</strong> Bebo Ferra, il profondo e<br />

intenso eloquio <strong>di</strong> Massimo Colombo, i robusti<br />

e simbiotici scambi fra il <strong>di</strong>namico e tonico<br />

Giulio Corini e il colorato e frastagliato Massimo<br />

Manzi, per capire. L’intero album sgorga<br />

da tale estetica e proprio per questo, per il<br />

suo accattivante e fascinoso cangiare stilistico-espressivo<br />

all’interno <strong>di</strong> un unicum composito<br />

e aperto, se ne consiglia l’ascolto<br />

integrale, perdendosi volut(tuos)amente fra le<br />

vie o tracce del crocevia <strong>di</strong> suoni da esso evocato._Ma.Ma.


B l a c k<br />

Il titolo in lingua tedesca <strong>di</strong> questo nuovo<br />

lavoro del sassofonista Branford Ma<strong>rs</strong>alis,<br />

Metamorphosen, si può riferire tanto ai<br />

cambiamenti <strong>di</strong> cui è capace il suo celebrato<br />

quartetto, in grado ad ogni uscita<br />

<strong>di</strong>scografica <strong>di</strong> confronta<strong>rs</strong>i con sé stesso<br />

in contesti <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i — dai toni contemplativi<br />

<strong>di</strong> “Eternal”, all’antologico e celebrativo<br />

“Footsteps of our Fathe<strong>rs</strong>” fino ai<br />

risvolti più moderni <strong>di</strong> “Bloomington”,<br />

“Contemporary Jazz” e l’acclamato<br />

“Braggtown” <strong>di</strong> tre anni fa —, quanto alla<br />

varietà <strong>di</strong> brani e <strong>di</strong> moods, <strong>di</strong> idee e soluzioni<br />

a cui la ve<strong>rs</strong>atilità dei suoi componenti<br />

dà vita all’interno dei singoli album.<br />

Non si potrebbe chiedere <strong>di</strong> meno ad una<br />

band <strong>di</strong> così alto livello e straor<strong>di</strong>nariamente<br />

affiatata: Jeff “Tain” Watts segue<br />

il maggiore dei fratelli Ma<strong>rs</strong>alis da più<br />

tempo <strong>di</strong> tutti, Eric Revis lo accompagna<br />

al contrabbasso anche lui da <strong>di</strong>ve<strong>rs</strong>i anni<br />

mentre l’inserimento del pianista Joey<br />

Calderazzo si rese necessario a causa<br />

della prematura scompa<strong>rs</strong>a, nel 1998,<br />

dello storico pianista Kenny Kirkland. Il Cd<br />

contiene quasi interamente pezzi originali<br />

<strong>di</strong> ciascuno dei <strong>music</strong>isti, partendo da The<br />

Return of the Jitney Man, scritta da Watts<br />

per il padre, nulla <strong>di</strong> sentimentalistico<br />

bensì un pimpante brano in cui il tenorista<br />

mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>verti<strong>rs</strong>i parecchio, con pirotecnica<br />

finale. Di Calderazzo sono la<br />

struggente ballad The Blossom of Parting,<br />

che vede Ma<strong>rs</strong>alis imbracciare il soprano,<br />

con vago sapore klezmer, e The Last Goodbye, anch’essa a sottolineare<br />

la languida vena compositiva del pianista (e fo<strong>rs</strong>e non<br />

è un caso che Watts cerchi <strong>di</strong> vivacizzare l’atmosfera), anche se<br />

è nelle improvvisazioni sui tempi più ritmati che se ne apprezza<br />

meglio la puntualità del tocco. Da Revis vengono invece Abe Vigoda,<br />

zigzagante ballad contemporanea costruita sulle bacchette<br />

dell’autore con Ma<strong>rs</strong>alis <strong>di</strong> nuovo al soprano, And Then,<br />

He Was Gone, per contrabbasso solo, de<strong>di</strong>cata al figlio, e Sphere,<br />

in onore ovviamente <strong>di</strong> Monk. E pure a quest’ultimo è tributato<br />

il sottinteso omaggio attrave<strong>rs</strong>o l’unico standard presente nell’incisione,<br />

Rhythm-A-Ning, dove i tamburi <strong>di</strong> Watts dettano variegate<br />

cadenze e inusitati andamenti. Stranamente, soltanto<br />

una composizione è firmata dal leader, Jabberwocky, un giro <strong>di</strong><br />

19 battute tutto da ascoltare giacché, dopo circa vent’anni, Ma<strong>rs</strong>alis<br />

vi si cimenta — per giunta pianoless! — imbracciando il sax<br />

contralto, che non mostra neppure un filo <strong>di</strong> ruggine, anzi sembra<br />

proprio costituire il perfetto trait-d’union fra il corposo<br />

suono del suo tenore e il periodare serpeggiante del suo soprano;<br />

vi si <strong>di</strong>stingue inoltre un’impeccabile contraddanza fra Revis e<br />

Watts. Particolare anche l’omaggio del batterista afroamericano<br />

allo scompa<strong>rs</strong>o visual artist Jean-Michel Basquiat nell’ultimo<br />

brano, Samo ©, dove spicca uno scorrevole fraseggio del pianista,<br />

con conclusione in un trascinante finale funky in 7/8. Un<br />

<strong>di</strong>sco fo<strong>rs</strong>e preve<strong>di</strong>bile nella forma, ma la cui sostanza rimane<br />

pur sempre un ascolto più che go<strong>di</strong>bile._An.Te.<br />

B R A N F O R D M A R S A L I S Q U A RT E T<br />

METAMORPHOSEN<br />

(Ma<strong>rs</strong>alis Music — 2009)<br />

Musicisti: Branford Ma<strong>rs</strong>alis (st, sc, ss),<br />

Joey Calderazzo (pn), Eric Revis (cb), Jeff<br />

“Tain” Watts (bt)<br />

Brani: 1. The Return of the Jitney Man;<br />

2. The Blossom of Parting; 3. Jabberwocky;<br />

4. Abe Vigoda; 5. Rhythm-A-Ning;<br />

6. Sphere; 7. The Last Goodbye; 8. And<br />

Then, He Was Gone; 9. Samo ©<br />

Non è dato sapere se per questo lavoro Ma<strong>rs</strong>alis si sia in qualche<br />

modo ispirato al noto racconto <strong>di</strong> Kafka. Effettivamente, le metamorfosi<br />

del titolo si adattano benissimo all’evoluzione <strong>di</strong> questo<br />

<strong>music</strong>ista, rivelatosi fo<strong>rs</strong>e troppo presto sulla scena<br />

internazionale sulla scia del più celebre e prolifico fratello mi-<br />

nore Wynton. Dunque, in prossimità dei<br />

suoi 50 anni (essendo Branford nato nel<br />

1960) e a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> trenta dagli esor<strong>di</strong>,<br />

è lecito domanda<strong>rs</strong>i: cosa resta del brillante<br />

sassofonista passato attrave<strong>rs</strong>o i<br />

Jazz Messenge<strong>rs</strong>, membro del quintetto<br />

<strong>di</strong> Wynton, ospite in due brani <strong>di</strong> “Decoy”<br />

<strong>di</strong> Miles Davis, protagonista <strong>di</strong> uno dei più<br />

apprezzati gruppi <strong>di</strong> Sting, titolare tra il<br />

1983 ed il 1988 <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi come “Scenes in<br />

the City”, “Royal Garden Blues”, “Random<br />

Abstract” e “Trio Jeepy”? A giu<strong>di</strong>care<br />

dall’ascolto <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sco, relativamente<br />

poco, il che non è certo un male. I<br />

compagni <strong>di</strong> viaggio sono gli stessi da<br />

molti anni (il sodalizio con Watts risale<br />

ad<strong>di</strong>rittura agli esor<strong>di</strong>). A <strong>di</strong>fferenza del<br />

fratello, pervicacemente impegnato nella<br />

<strong>di</strong>fesa e nella definizione dei valori della<br />

tra<strong>di</strong>zione <strong>jazz</strong>istica, Branford ha spesso<br />

deviato dalla “strada maestra”, come <strong>di</strong>mostrano<br />

anche gli interessanti esperimenti<br />

con il blues (“I Heard You Twice The<br />

Fi<strong>rs</strong>t Time”) e il funky (“Buckshot La Fonque”).<br />

Come definire allora Metamorphosen?<br />

Post bop? Mainstream? Niente più che<br />

un <strong>di</strong>sco <strong>di</strong> <strong>jazz</strong> moderno, fortemente ra<strong>di</strong>cato<br />

nella tra<strong>di</strong>zione afroamericana ma<br />

capace <strong>di</strong> elaborarne determinate suggestioni,<br />

anche per evitare il vicolo cieco in<br />

cui si cacciano molti manieristi, giustificando<br />

allora le suddette etichette. Basta<br />

analizzare il Branford sassofonista, strumento<br />

per strumento. Al tenore ha sviluppato<br />

un fraseggio ricco <strong>di</strong> tensione ritmica, dalle forti ra<strong>di</strong>ci<br />

hende<strong>rs</strong>oniane, privo delle ridondanze logorroiche cui ricorrono<br />

molti supertecnici della nuova generazione: una caratteristica<br />

esaltata da un brano come The Return of the Jitney Man, basato<br />

sulle figurazioni del compositore Watts. L’alto, suo primo amore,<br />

caratterizza Jabberwocky con sentori ornettiani nella segmentazione<br />

del fraseggio e nelle deviazioni dal perco<strong>rs</strong>o armonico.<br />

Branford manifesta poi una piena padronanza e maturità espressiva<br />

al soprano. Che si tratti <strong>di</strong> scavare nell’armonia classicheggiante<br />

<strong>di</strong> The Blossom of Parting, <strong>di</strong> affrontare il tema in staccato<br />

ed il gusto quasi seriale <strong>di</strong> Abe Vigoda, <strong>di</strong> centellinare la melo<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> The Last Goodbye o <strong>di</strong> contribuire alle meticolose <strong>di</strong>namiche<br />

collettive nel crescendo graduale <strong>di</strong> Samo @, Branford esibisce un<br />

senso dell’economia (mutuato da Shorter) che gli permette <strong>di</strong><br />

ponderare e dosare le frasi. Se a questo si aggiungono l’asciuttezza<br />

melo<strong>di</strong>ca dell’assolo <strong>di</strong> Revis in And Then, He Was Gone<br />

(con Haden e Holland a far capolino <strong>di</strong>etro l’angolo) e l’efficace<br />

lavoro del collettivo nella trasposizione mai pe<strong>di</strong>ssequa dei due<br />

temi <strong>di</strong> Monk, se ne desume un quadro omogeneo. Ovvero, quello<br />

<strong>di</strong> una vasta area del <strong>jazz</strong> moderno che dagli anni ’60 ha profondamente<br />

permeato il linguaggio contemporaneo._En.Bo.<br />

W h i t e


RADIO<br />

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Boom Boom Ra<strong>di</strong>o 101.2 FM (Tirana)<br />

Austria<br />

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Belgio<br />

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Ra<strong>di</strong>o-G 101.5 FM (Ange<strong>rs</strong>)<br />

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(Toscana)<br />

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(Hoogeveen)<br />

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32 JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09<br />

eventuali<br />

Polonia<br />

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Ra<strong>di</strong>o Monte Carlo<br />

Regno Unito<br />

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Solar Ra<strong>di</strong>o (Londra)<br />

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CANADA<br />

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Jazz FM91 (Toronto, Ontario)<br />

Sky Jazz (Ontario)<br />

AUSTRALIA<br />

Dig Jazz Ra<strong>di</strong>o<br />

<strong><strong>jazz</strong>Colo</strong>[u]<strong>rs</strong><br />

<strong>email</strong>-<strong>zine</strong> <strong>di</strong> <strong>music</strong>a <strong>jazz</strong><br />

Perio<strong>di</strong>co Mensile<br />

(reg. al Tribunale <strong>di</strong> Palermo n.46 del 18/12/2007)<br />

Anno II - numero 10 (ottobre 2009)<br />

<strong>di</strong>rettore responsabile<br />

Antonio Terzo<br />

coor<strong>di</strong>namento redazionale<br />

Piero Rapisar<strong>di</strong><br />

progetto grafico<br />

Antonio Terzo e Stephen Bocioaca<br />

CREDITI<br />

foto <strong>di</strong> copertina<br />

Juan-Carlos Hernández<br />

quarta <strong>di</strong> copertina<br />

Bill Evans<br />

(<strong>di</strong> Brunella Marinelli)<br />

hanno collaborato ai testi<br />

Alain Drouot<br />

Andrew Rigmore<br />

Michael Pronko<br />

Enzo Bod<strong>di</strong><br />

Alberto Francavilla<br />

Roberto Dell’Ava<br />

Marco Maimeri<br />

Patrizia Arca<strong>di</strong><br />

hanno collaborato per le foto<br />

Scott Friedlander<br />

Davide Susa<br />

Giorgio Alto<br />

Sergio Cimmino<br />

Juan-Carlos Hernández<br />

Francesco Truono<br />

Bruno Bollaert<br />

<strong>di</strong>stribuzione via <strong>email</strong> in abbonamento<br />

sottoscrizione annuale (11 numeri) 15 €<br />

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numero chiuso il 3 ottobre 2009


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JazzColo[u]<strong>rs</strong> | Ottobre ’09 33

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