364 Italian Bookshelf - Ibiblio
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“<strong>Italian</strong> <strong>Bookshelf</strong>” Annali d’ italianistica 24 (2006) 451<br />
La parola infetta è pertanto un discorso tutto interno ad un sistema d’intuizioni e<br />
riflessioni, che l’autore ha accumulato lungo un lasso di tempo vasto, a partire dalle<br />
prime letture di Hesse, Platone, Nietzsche, Colli, fino allo studio intensivo, negli anni<br />
Novanta, dei classici greci e dell’estetica di Platone, argomenti che avvicinano Marano<br />
alla poesia italiana, e in particolare alle idee sulla poesia contemporanea, espresse da<br />
Milo De Angelis in Poesia e destino.<br />
Dalla fine degli anni ’90, con l’esplosione della protesta no-global, la ricerca di<br />
Marano si è arricchita, lato sensu, di un tono politico “comunitario”, sotto l’influenza del<br />
pensiero di Roberto Esposito in Communitas (1998), influenza che emerge dall’ipotesi<br />
frequentemente avanzata in questo volume di una riformulazione del rapporto tra società<br />
e letteratura sulla base di un confronto storico e teoretico anche con i campi della<br />
filosofia politica, della filosofia, dell'antropologia e della teologia.<br />
Scaturendo da questa complessa sinergia intertestuale di voci poetiche e prospettive<br />
teoriche, La parola infetta concede senza dubbio priorità ai suoi principali referenti,<br />
Artaud e Bataille, Dante e Leopardi, Baudelaire, Block e Lautrémont, chiamando<br />
contemporaneamente in causa la critica contemporanea della modernità, da Julia Kristeva<br />
ad Ananda Coomaraswamy e René Guénon. Degli studi di Coomaraswamy e Guénon sul<br />
misticismo orientale Marano recupera soprattutto il contributo alla comprensione delle<br />
nozioni di “tradizione”, “arte” ed “iniziazione”; quindi, con l’aiuto di queste tesi, discute i<br />
modi in cui l’arcaico, anche quando venga rimosso, riaffiori con maggiore veemenza<br />
nelle realtà globalizzate, nella forma di una sacralità primigenia e violenta che, nel suo<br />
farsi pratico, è poesia. È “l’umanità bandita ad alimentare la tradizione” (265), spiega<br />
Marano nel suo saggio su Pasolini. Diventa chiarissima, a questo punto, la genealogia del<br />
pensiero di Marano, particolarmente nella sua esemplare interpretazione e resa della<br />
poetica di Pasolini, autore artaudianamente “assassinato” dal popolo, proprio come è<br />
inevitabilmente sacrificato il Re in qualsivoglia rivoluzione giacobina: “L’umanità<br />
animale, esiliata e anonima a cui Pasolini sente di essere visceralmente affine è quella<br />
che, nel contrapporre la sacralità del mondo agricolo alla civiltà del commercio (in<br />
conformità a un arcaismo estraneo al marxismo scientifico), crede che la povertà e la<br />
giustizia siano unite da un vincolo fatale, un patto di sangue violato dalla ricchezza,<br />
giudicata fonte primaria di corruzione e decadenza.” (“Il poeta assassinato” 265)<br />
Marano si sofferma in conclusione sul valore positivo e comunitario della nozione di<br />
poesia regressiva, come di quella tendenza “mitomoderna” di cui parla anche Capriolo a<br />
proposito di Benn quale “unica possibilità di trascendenza nell’età del positivismo e della<br />
Zivilisation” (165), tendenza che, mentre riabilita il sublime ruolo mitico-simbolico del<br />
prodotto artistico, celebrato da Nietzsche, lo pone contemporaneamente su un altro piano,<br />
come discorso metastorico.<br />
Erminia Passannanti, St. Catherine’s College, Oxford<br />
Guido Mazzoni. Sulla poesia moderna. Bologna: Il Mulino, 2005.<br />
Sulla poesia moderna ripercorre storiograficamente l’evoluzione della lirica moderna,<br />
tracciandone in modo comparativistico e interdisciplinare gli sviluppi da una prospettiva<br />
teoricamente forte, che chiama in causa le teorie sull’arte moderna di Benjamin, Fortini e<br />
Adorno per l’analisi di autori quali Leopardi, Montale, T. S. Eliot e Brecht.