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FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO<br />

PADOVA<br />

MARCELLO MILANI<br />

ANTICO TESTAMENTO<br />

LA <strong>SAPIENZA</strong><br />

UNA VISIONE DELL’UOMO<br />

<strong>TESTI</strong><br />

ANNO ACCADEMICO 2011/2012


INTRODUZIONE ALLA <strong>SAPIENZA</strong><br />

PROGRAMMA<br />

Definizione, oggetto, metodo, scopo<br />

Forme espressive (generi letterari) e ambienti della sapienza – ÐÂkÂm – Sir 39;<br />

Fonti e dimensioni o caratteri della sapienza: individuo e internazionalità; sapienza pratica o<br />

pedagogica e teorica-teologica<br />

Libri sapienziali: la Sapienza nella Bibbia e i libri “sapienziali” (Gb Prov Qo Ct – Sir Sap)<br />

<strong>TESTI</strong> – TEMI – PROBLEMI<br />

Sapienza e timore di Dio<br />

La rivelazione dal mondo e la personificazione della Sapienza:<br />

1) esame dei testi: Gb 28; Prov 1,20-33; Prov 8; Sir 24;<br />

2) Interpretazione: la sapienza chiama e ama (Sir 51; Sap 8,2-16);<br />

3) Prov 31,10-31 un canto alla Sapienza?<br />

La Sapienza e i grandi problemi dell’uomo: sofferenza e fatica. Giobbe e Qohelet: introduzione<br />

ai libri; esegesi di Gb 38-42 (cf Gb 28) e Qo 3,1-15<br />

Siracide: introduzione – metodo e temi teologici – esegesi dei canti della/alla Sapienza: Sir 1; Sir<br />

4,11-19; Sir 14,20-15,10 (cf Sir 24)<br />

Sapienza di Salomone: Introduzione, presentazione e lettura del libro – Giusti ed empi – esegesi<br />

di Sap 7,21-8,2<br />

Cantico dei Cantici: introduzione, struttura e testo.<br />

Bibliografia<br />

AA.VV, I Salmi e gli altri Sritti (Piccola enciclopedia biblica 5), Borla, Roma 1991<br />

AA.VV., «Sapienti e Sapienza», in Parola Spirito e Vita 48 (2/2003).<br />

A. BONORA – M. PRIOTTO (cur.), Libri Sapienziali e altri scritti (Logos Corso di srudi bibici 4), Elle Di Ci, Leumann<br />

(Torino) 1997.<br />

* G. CAPPELLETTO - M. MILANI, In ascolto dei Profeti e dei Sapienti, Ed. Messaggero, Padova 4 2010.<br />

H. DUESBERG - I. FRANSEN, Les scribes inspirés, Editions de Maredsous, Paris 1966 2 .<br />

* M. GILBERT, «Sapienza», in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), pp. 1427-<br />

1442.<br />

IDEM, La sagesse de l’Ancien Testament (BETL/Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium LI),<br />

Leuven University Press – Uitgeverij Peeters Leuven, Leuven-Louvain 2 1990.<br />

IDEM, La sapienza del cielo. Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Siracide, Sapienza (Parola di Dio – Seconda Serie 53),<br />

San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2005 (ed. francese du Cerf, Paris 2003).<br />

* L. MAZZINGHI, «Sapienza», in G. Barbaglio - G. Bof - S. Dianich (cur), Teologia. Dizionari San Paolo, San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002, 1473-1491.<br />

M. MILANI, I libri sapienziali, in P. Merlo (cur.), L’Antico Testamento. Introduzione storico-letteraria (Frecce<br />

60), Carocci, Roma 2008.<br />

IDEM (cur.), La via “sapienziale” e il dialogo interreligioso. Rischio e tensioni tra la singolarità della Rivelazione<br />

e la sua universalizzazione (Istituto Ttrrentino di Cultura, Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze Reigiose<br />

in Trento 23), EDB, Bologna 1996.<br />

V. MORLA ASENSIO, Libri sapienziali e altri scritti (Introduzione allo studio della Bibbia 5), Paideia, Brescia<br />

1997 (ed. spagnola, Editorial Verbo Divino, Estella 1994).<br />

R.E. MURPHY, L’albero della vita. Una esplorazione della letteratura sapienziale biblica (Biblioteca biblica 13),<br />

Queriniana, Brescia 1993 (inglese, Doubleday, New York 1990).<br />

J.L. CRENSHAW, Old Testament Wisdom. An Introduction, John Knox Press, Atlanta 1981.<br />

H.D. PREUß, Einführung in die alttestamentiche Weisheitsliteratur (Urban-Taschenbücher 383), Kohlhammer,<br />

Stuttgart Berlin Köln Mainz 1987.<br />

G. VON RAD, La sapienza in Israele, Marietti, Torino 1975 (ed. Tedesca, Weisheit in Israel, Neukirchener Verlag,<br />

Neukirchen-Vluyn 1970).<br />

M. TABET, Introduzione alla lettura dei libri poetici e sapienziali dell’Antico Testamento, Università della Santa<br />

Croce, Roma 2 2006.<br />

A. VANEL, Sagesse (courant de), in DBS, XII (1986), coll. 4-58.<br />

E. ZENGER (ed.), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 2005 (ed. Tedesca, Einleitung in das<br />

Alte Testament, Kohlhammer, Stuttgart 2005 5 ), pp. 495-629.<br />

2


<strong>TESTI</strong> SAPIENZIALI ED ESEGESI<br />

Elogio della Sapienza inaccessibile: Giobbe 28<br />

luogo 1 Certo, per l’argento vi sono MINIERE (môcä´)<br />

e per l’oro un LUOGO (mäqôm) dove si raffina.<br />

2 Il ferro si cava dal suolo<br />

e la pietra fusa libera il rame.<br />

3 L’uomo pone un termine alle tenebre (cf Gn 1,3-4)<br />

e fruga fino all’estremo limite<br />

la pietra oscura nel buio più fondo (´eºben ´öºpel wěcalmäºwet).<br />

4 In luoghi remoti scavano gallerie<br />

dimenticate dai passanti (coloro che perdono l’uso dei piedi):<br />

penzolano sospesi lontano dagli uomini.<br />

5 La terra, da cui si trae/ESCE (yë|cë´) pane,<br />

di sotto è sconvolta come dal fuoco.<br />

6 Le sue pietre sono LUOGO/SEDE (mäqôm) di zaffiri<br />

e oro la sua polvere (vi si trova polvere d’oro).<br />

limitaz. 7 L’uccello rapace ne ignora il sentiero,<br />

non lo scorge neppure l’occhio del falco,<br />

8 non lo calpestano le bestie feroci,<br />

né mai passa su di esso il leone.<br />

attività 9 Contro la selce l’uomo porta la mano,<br />

rovescia dalla radice i monti: (UT 51,VIII,1-9)<br />

10 nelle rocce scava gallerie<br />

e ogni cosa preziosa vede il suo occhio:<br />

11 scandaglia le sorgenti dei fiumi (miBBükî nühärôt, UT 51,IV,20-24)<br />

e quel che è nascosto FA USCIRE alla luce (yöºci´ ´ôr) (Gen 1,3-4)<br />

luogo 12 Ma la sapienza da dove si trova/trae? (wü|haHokmâ më´aºyin Timmäcë´).<br />

E dov’è il LUOGO dell’intelligenza (wě´ê zè měqôm Bînâ)?<br />

limitaz. 13 L’uomo non ne conosce la via (lö´-yäda` ´énôš `erKäh),<br />

essa non si trova (wülö´ timmäcë) sulla terra dei viventi.<br />

14 Abisso (Těhôm) dice: “Non è in me! ”<br />

e Mare dice: “Neppure presso di me! ”.<br />

attività 15 Non si scambia con l’oro più scelto,<br />

né per comprarla si pesa l’argento.<br />

16 Non si acquista con l’oro di Ofir,<br />

con il prezioso berillo o con lo zaffiro.<br />

17 Non la pareggia l’oro e il cristallo,<br />

né si permuta con vasi di oro puro.<br />

18 Coralli e perle non meritano menzione,<br />

vale più scoprire la sapienza che le gemme.<br />

19 Non la eguaglia il topazio d’Etiopia;<br />

con l’oro puro non si può scambiare a peso.<br />

luogo 20 Ma la sapienza da dove viene (wéhaHokmâ më´aºyin Täbô´)?<br />

E dov’è il LUOGO dell’intelligenza? (wě´ê zè měqôm bînāh)<br />

3


limitaz. 21 È nascosta agli occhi di ogni vivente<br />

ed è ignota agli uccelli del cielo.<br />

22 Perdizione e Morte (´ábaDDôn wämäwet) dicono:<br />

“Con gli orecchi ne udimmo la fama”.<br />

attività 23 Dio solo conosce la sua via (hëbîn DarKäh),<br />

lui solo sa il suo LUOGO (yäda` ´et-méqômäh),<br />

24 perché volge lo sguardo (yaBBî†) fino alle estremità della terra,<br />

vede (yir´eh) quanto è sotto la volta del cielo.<br />

25 Dando al vento un peso<br />

e ordinò le acque entro una misura,<br />

26 quando impose una legge (Höq) alla pioggia<br />

e una via (deºrek) al lampo dei tuoni;<br />

27 allora la vide e la misurò,<br />

la stabilì (hékînäh) e la scrutò/indagò,<br />

28 e disse all’uomo:<br />

“Ecco, temere Dio, questo è sapienza<br />

e schivare il male, questo è intelligenza”.<br />

I – Sintesi. L’esclusione è progressiva e totale. a) - Nella sua attività l’homo faber scopre<br />

l’origine e il luogo dei metalli; anzi le sue potenzialità sono come divine: supera i<br />

confini del mondo (v.3 ha posto un limite alle tenebre richiama l’opera di Dio all’inizio<br />

della creazione, Gn 1,3-4; v.9 ha rovesciato dalla radice le montagne [cf UT 51,VIII,1-9:<br />

l’ingresso all’oltretomba è sotto le montagne; v.11 le sorgenti dei fiumi, dove abitava El<br />

[mbk nhrm], in mezzo ai corsi dei due abissi” [UT 51,IV,20-24]), ma luogo e origine<br />

della Sapienza restano esclusi. b) - Con le sue attività commerciali l’homo oeconomicus<br />

crea relazioni e scambi, ma gli sfugge il senso del mondo e il suo posto ordinato; c) -<br />

Nessuna realtà del mondo possiede la sapienza, anche le più profonde e primordiali (Tehôm<br />

e Yam), anche le più invincibili e terrificanti [Abaddon e Morte] che nel mondo cananeo<br />

erano divinità. Non è in nessun luogo, nessun tesoro può comperarla. Solo Dio ne<br />

conosce il luogo e la via a motivo 1) dello sguardo universale che percorre l’intero tragitto<br />

tracciato dal poema (via); 2) dell'azione creatrice e della conoscenza diretta (4 verbi<br />

a significare la totalità). Perciò Dio si rivolge all’uomo che constata i limiti insegnando<br />

la sapienza umana. L’uomo saggio non è il primo né il secondo (perciò l’autore rinuncia<br />

a definire “sapienza” le attività umane, per quanto abili e preziose, perché non<br />

raggiungono la Sapienza nascosta di Dio), ma il terzo, l’uomo religioso che teme il Signore<br />

ed evita il male.<br />

II – Interpretazione. A - Cos’è la sapienza? Dati e interpretazione: è l’ordine o il senso del<br />

mondo; ossia la Sapienza divina dispiegata nell’azione creatrice. Prepara i discorsi di Gb<br />

38-41. B – Nel suo rapporto con l’uomo questa sapienza appare superiore (cf 42,3: troppo<br />

alta); va cercata nel cosmo, ma le è superiore: nessun luogo, nessuna realtà, nessun vivente<br />

la può contenere ed esaurire; perciò resta inaccessibile. C – Insegnamento: l’inaccessibile<br />

mistero della sapienza, l’inesauribile senso dell’ordine del mondo, è intuibile non conoscibile<br />

o spiegabile. È la cosa più preziosa, ma l’uomo non la può possedere né trovare.<br />

L’uomo religioso la raggiunge in modo pratico, accettando il suo limite e assumendo un atteggiamento<br />

religioso e morale. Come, Giobbe alla fine, potrà intuire un ordine superiore e<br />

una presenza divina benefica e consolante. D – Legame con il resto del libro: prepara Elihu<br />

(invito a guardare alla creazione, e i discorsi divini: Gb intuirà il piano, accetterà il limite,<br />

contemplerà il Signore: 42,2-6; cf Ger 20; Sal 73).<br />

4


IL LIBRO DEI PROVERBI<br />

Il libro dei Proverbi – in ebraico mešalîm – riunisce alcune raccolte di detti antichi, inquadrandoli<br />

in una lunga introduzione – prologo (Pro 1-9), e in un epilogo (il poema sulla<br />

«buona moglie», Pro 31,10-31). Quest’ultimo è acrostico o alfabetico, a indicare la pienezza<br />

e la totalità delle qualità della buona moglie (da Alef a Tau) e, insieme, la perfezione<br />

dell’intero libro.<br />

Nella prima parte il quadro appare familiare. Il maestro chiama il discepolo con<br />

l’appellativo di «figlio mio», rivendicando l’autorità dei genitori, padre e madre, i primi educatori<br />

dei giovani. Egli si rivolge ai giovani, a coloro che devono assumere responsabilità,<br />

perché devono essere in grado di operare le scelte che conducono alla vita ed evitare i<br />

pericoli che conducono alla rovina e alla morte. Infatti, sono due le vie, continuamente ricordate,<br />

che si aprono davanti a loro, quella della vita o quella della morte. Essi devono<br />

scegliere tra due comportamenti, l’autodistruzione o la propria realizzazione, tra parole seducenti<br />

e ingannevoli che fanno deviare, quelle dei cattivi compagni (1,11-14) e della donna<br />

straniera in cerca di adulterio (7,14-20), e quelle della Sapienza, da riconoscere come compagna<br />

leale di vita: «Chiama la Sapienza: sorella mia!» (7,14). Bisogna perciò ascoltare attentamente<br />

il maestro e accoglierne l’autorità. La sua parola tenta di imporsi offrendosi anzitutto<br />

come testimonianza.<br />

Nei capitoli 1-9 si susseguono dieci discorsi 1 :<br />

1 – Non seguire la via dei peccatori o compagni cattivi (Pro 1,8-19) [poema sulla sapienza e il timore,<br />

tono profetico sapienziale],<br />

2 – Evita ugualmente i malvagi e la donna «straniera», quella che non è tua (Pro 2,1-22; vv. 1-11:<br />

sapienza e timore con funzione prolettica),<br />

3 – Confida nel Signore (Pro 3,1-20),<br />

4 – Sapienza e timore di Yhwh: dai prova di buon tratto e mostra il tuo savoir-vivre (3,21-35),<br />

5 – Acquista la sapienza e amala (Pro 4,1-9),<br />

6 – Osserva la disciplina e resta lontano dalle persone cattive: la via dei malvagi (4,10-19),<br />

7 – Veglia sulle tue scelte, le tue parole e i tuoi sguardi (Pro 4,20-27),<br />

8 – Evita la «straniera» e sii fedele alla tua sposa (Pro 5,1-23),<br />

[8 1 – Tratto con il prossimo: quattro istruzioni sul male (6,1-19)]<br />

9 – Evita la «straniera» (Pro 6,20-35),<br />

10 – Sii fedele alla sapienza e guardati dalla donna seducente (Pro 7,1-27) [8,1-36 poema sulla<br />

sapienza personificata, maestra di vita; 9,1-6: poema sulla sapienza – 9,17-12 inclusione con<br />

1,2-7 – 9,12-18 poema sulla Follia].<br />

Il maestro si ritiene interprete di una sapienza superiore con la quale mette in contatto 2 .<br />

Perciò, nei primi 9 capitoli, fa intervenire per tre volte direttamente la Sapienza personificata<br />

che si rivolge a tutti gli uomini e interpella ciascuno con un messaggio, ma anche in termini<br />

amorosi: essa ama coloro che la amano e si fa trovare da quanti la cercano (Pro 8,17).<br />

Essa conferma l’insegnamento del maestro conferendogli un’autorità ulteriore, quella<br />

dell’ordine primordiale presente nella creazione e garante delle relazioni umane, cioè la Sapienza<br />

stessa di Dio. Assume toni sapienziali e profetici uniti a promesse e minacce in Pro<br />

1,20-32, accenti di maestra di vita o di sposa in Pro 8,3-36 (insegna la verità, l’equità, la<br />

lealtà e la giustizia, desidera intessere profondi legami e dare vita). In antitesi alla donna<br />

straniera e alla prostituta, seducente ma deviante e mortifera (Pro 7,1-27), essa dona pace e<br />

1 Su questi capitoli, cf MARTINO SIGNORETTO, Metafora e didattica in Proverbi 1-9 (Studi e Ricerche), Cittadella<br />

Editrice, Assisi 2006, in specie, schema sintetico a p. 259; SEBASTIANO PINTO, “Ascolta, figlio”: autorità e antropologia<br />

dell'insegnamento in Proverbi 1-9 (Studia Biblica), Città Nuova, Roma 2006.<br />

2 Per il tema del maestro-discepolo, cf AAVV., Maestro-Discepolo, in Parola Spirito e Vita n.61, Dehoniane<br />

Bologna 2010.<br />

5


enessere, armonia sociale a ogni uomo che la ama. In Pro 9,1-6 3 la Signora Sapienza invita<br />

al suo banchetto offrendo la vita. Essa è fonte e albero di vita (1,33; 3,18; 8,35-36; 9,6), a<br />

significare quella realtà che insegna a vivere e porta l’uomo a realizzare pienamente la sua<br />

esistenza. Infatti, è in grado di riprodurre il giardino primordiale che sembrava perduto per<br />

sempre (Pro 3,18, cf Sir 24,12-25). Si contrappone alla Signora Follia adescatrice che assume<br />

le caratteristiche della prostituta e propone una relazione furtiva che porta alla morte<br />

(Pro 9,13-18). Probabilmente nelle antitesi l’autore contrappone due culture, una seducente<br />

ma fuorviante (la cultura greca o ellenistica? In questi capitoli, tuttavia, sembrano presenti<br />

anche motivi di origine ellenistica), l’altra, quella tradizionale che porta alla vita. In ogni<br />

caso, il maestro insiste sulla vigilanza e l’ascolto, per scegliere la via della vita ed evitare la<br />

via che porta alla morte. Soprattutto, porta le motivazioni, per indicare l'ordine dei valori<br />

(felicità e vita sono inseparabili) e per mostrare le conseguenze dell’accettazione o del rifiuto,<br />

in modo da ottenere un atto morale e una decisione responsabile.<br />

Con Pro 10 inizia la parte centrale del libro (10,1-31,9) che concentra proverbi di ogni<br />

tipo il cui ordine ci sfugge. La raccolta intende radunare tutta la sapienza antica come testimone<br />

e riferimento. I redattori l’hanno organizzata in sette collezioni che sembrano richiamare<br />

le “sette colonne” scolpite dalla Sapienza quando costruisce la sua casa (Pro 9,1). Ciò<br />

significa che affrontare il corpo del libro è come entrare nella casa della Sapienza per gustare<br />

i suoi doni, i cibi squisiti che essa ha preparato, che sono i tesori della Sapienza di Dio.<br />

Perché Dio parla all’uomo con la voce stessa dell’esperienza umana, del vivere quotidiano.<br />

Perciò, affrontare il libro dei Proverbi sarà una esperienza salutare che porterà buoni frutti.<br />

Due sono le collezioni maggiori, entrambe attribuite a Salomone: 10,1-22,16 e 25,1-<br />

29,27. Nella prima collezione confluiscono alcune tra le più antiche sentenze, riunite in<br />

modo disparato, talora ripetute o con varianti, con intento pratico più che religioso o morale.<br />

Gli autori vi distinguono due sezioni: 10-15; 16,1-22,16; nella seconda, al capitolo 16,<br />

che costituisce il centro attuale del libro, si concentrano due tematiche: sentenze sul Signore<br />

(16,1-9) e sul re (16,10-15). Seguono due collezioni “dei saggi” in forma di “consigli” per<br />

un retto comportamento (22,17-24,22; 24,23-34), la prima delle quali, nella prima metà<br />

(22,17-23,11), è ispirata all’insegnamento di un saggio egiziano, Amenémope, collocabile<br />

tra il 1000 e il 600 a.C.<br />

Nella seconda collezione di Salomone, per opera degli “uomini di Ezechia” (25-29), i<br />

capp. 25-27 si distinguono da 28-29. I primi contengono i proverbi più belli e puri per stile<br />

e contenuto, che si rifanno a paragoni atmosferici o cosmici; i secondi riflettono un intento<br />

religioso con allusioni al Signore e all’osservanza della Legge (cf 28,4.7.9; 29,18). Seguono<br />

tre brevi raccolte: proverbi di Agur (Pro 30,1-14), proverbi numerici (30,15-33), parole della<br />

madre al re Lemuel (31,1-9). Agur e Lemuel provengono da Massa, con stile e materiale<br />

straniero, come Amenémope. Perché la sapienza biblica, in una visione universale che<br />

guarda all’uomo, oltre a raccogliere la cultura del suo popolo, trasmessa per generazioni,<br />

non ha esitato ad assumere la sapienza dell’Antico Oriente e a confrontarsi con tutte le culture,<br />

vedendo in esse un segno e un dono di Dio.<br />

Il libro si conclude con l’elogio della «moglie perfetta» (Pro 31,10-31) che nel testo ebraico<br />

è in stretto contatto con le parole della madre di Lemuel (31,1-9). Questa infatti esorta<br />

il figlio a evitare vino e cortigiane, elementi che turberebbero il giusto giudizio che egli è<br />

tenuto a esercitare, e a scegliersi una moglie adeguata che gli sia di sostegno e aiuto, il ritratto<br />

della quale è descritto nel poema finale «acrostico». Nel contesto attuale, questo si accorda<br />

con i cc.1-9 e nella moglie ideale riprende anche la personificazione della Sapienza.<br />

3 Cf M. GILBERT, «Il convito che fa vivere», Rivista Liturgica 65 (1978) 643-655.<br />

6


Il libro dei Proverbi traccia l’itinerario di ogni uomo che intende agire per convinzione<br />

personale, diventare saggio e moralmente corretto nella sua condotta, leale davanti a Dio e<br />

capace di progetti giusti. Costui sarà «beato» e da Dio benedetto e protetto, mentre disonestà<br />

ed empietà condurranno alla morte (Pro 28,26-28). Questo è il grande frutto della paideia,<br />

educazione-istruzione, che bisogna accettare. Infatti, le abilità umane, in balia di se<br />

stesse sono ambigue. L’intelligenza e l’abilità possono essere usate per il proprio tornaconto<br />

o per ingannare, come il serpente nei confronti di Eva che usa l’abilità oratoria per pronunciare<br />

falsi oracoli (Gn 3,1-7); la riflessione può sconfinare nell’astuzia ingannatrice o in<br />

progetti criminosi (trame). Perciò, chi coltiva la sapienza accetta di seguirla (10,23) per maturare<br />

una coscienza critica (bînâ, «perché chi ama la correzione ama il sapere, chi detesta il<br />

rimprovero si abbrutisce»), impara riflessione e accortezza (mezimmâ, ‘ormâ, 13,16), evitando<br />

la banalità, la superficialità e l’ingenuità, apprende a essere prudente nell’agire<br />

(11,12) e nel parlare (10,6.8.11-14.18-21.31-32; 18,19, ecc.), si educa alla modestia e alla<br />

moderazione, al controllo di sé (12,16.23), alla laboriosità (10,4-5), alla giustizia, onestà e<br />

sincerità (10,2-3.6-7.11), ad avere un animo sgombro da odio (10,12). La contrapposizione<br />

tra saggio giusto, onesto e pio, e stolto malvagio ed empio è continua.<br />

In definitiva, ritorna la duplice via, della vita o della morte: la prima è quella dei giusti<br />

sulla quale il Signore veglia, l’altra è in se stessa destinata a condurre alla rovina (cf Sal<br />

1,6). Perciò, gli autori di Proverbi sono convinti di una realtà che vale davanti a Dio e agli<br />

uomini:<br />

«Tesori mal acquisiti non giovano,<br />

ma la giustizia [o l’elemosina?] libera dalla morte.<br />

Il Signore non lascia affamato il giusto,<br />

ma respinge il desiderio degli empi (10,2-3)».<br />

«La benedizione [del Signore] scende sul capo del giusto,<br />

mentre la bocca dei malvagi cela violenza.<br />

Benedetta sarà la memoria del giusto,<br />

ma il nome del malvagio imputridisce» (Pro 10,6-7).<br />

7


La Sapienza come i profeti<br />

Primo discorso della sapienza<br />

Proverbi 1,20-33<br />

Presentazione della Sapienza<br />

1.20 La Sapienza grida per le strade (BaHûc Täröºnnäh)<br />

nelle piazze (BäréHöbôt) fa udire la voce;<br />

1.21 dall’alto delle mura (Bérö´š hömiyyôt) essa chiama (qārä´),<br />

pronuncia i suoi detti alle porte della città:<br />

Esordio<br />

1.22 «Fino a quando, o INESPERTI (Pétäyìm) amerete l’inesperienza<br />

e i BEFFARDI si compiaceranno delle loro beffe (lëcîm läcôn Hämdû)<br />

e gli SCIOCCHI (késîlîm) odieranno la conoscenza?<br />

1.23 Tornate (tāšûbû) al mio rimprovero: (tokaḥtî)<br />

ecco, io effonderò il mio spirito su di voi<br />

e vi faro conoscere le mie parole.<br />

Minacce<br />

1.24 Perché vi ho chiamato (qārä´) e avete rifiutato,<br />

ho steso la mano e nessuno se ne è accorto.<br />

1.25 Avete trascurato ogni mio consiglio<br />

e i miei rimproveri non avete accolto;<br />

1.26 anch’io riderò delle vostre sventure,<br />

mi farò beffe quando su di voi verrà la paura,<br />

1.27 quando come una tempesta vi piomberà addosso il terrore,<br />

e la disgrazia vi raggiungerà come un uragano,<br />

quando vi colpiranno angoscia e tribolazione.<br />

1.28 Allora mi invocheranno (qārä´), ma io non risponderò,<br />

mi cercheranno, ma non mi troveranno.<br />

1.29 Perché hanno odiato la conoscenza (v. 22)<br />

e non hanno preferito il timore del Signore;<br />

1.30 non hanno accettato il mio consiglio<br />

e hanno disprezzato ogni mio rimprovero;<br />

1.31 mangeranno il frutto della loro condotta<br />

e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni.<br />

Perorazione<br />

1.32 Sì, la devianza (v.23, méšûbah) degli INESPERTI li ucciderà<br />

e la spensieratezza (šalwāh) degli SCIOCCHI li farà perire;<br />

1.33 ma chi ascolta me vivrà/dimorerà in pace<br />

e sicuro senza alcun male (senza terrore del male)».<br />

Contesto<br />

Tra il primo e il secondo insegnamento – istruzione morale del padre e della madre<br />

(Pro 1,8-19) ed esortazione a evitare cattive compagnie (2,1-22) – il libro dei Proverbi<br />

propone un primo discorso della Sapienza che arringa gli sprovveduti e si presenta in figura<br />

femminile. Tre volte, In Prov 1-9, essa prende la parola accanto al maestro, per con-<br />

8


fermarne i contenuti con una «voce» superiore (1,20-33; 8,1-36; 9,1-6). Alla fine del libro<br />

apparirà come la sposa perfetta (31,10-21), nella quale, almeno nell’attuale contesto, non<br />

è escluso un riferimento alla Sapienza stessa che il libro presenta come sposa da accogliere<br />

e seguire con obbedienza e fedeltà (Pro 7,4-5, cf 5,15-19). È un’immagine per indicare<br />

la cultura (compreso l’aspetto religioso) che aiuta a vivere, opposta alla cultura deviante<br />

rappresentata nella donna straniera: nella scelta della buona o cattiva moglie stanno la via<br />

della vita o della morte. La Sapienza personificata e sposa ritorna in altri testi che sviluppano<br />

il suo rapporto d’amore con il discepolo: sapienza educatrice (Sir 4,11-19; Sap 6,13-<br />

21), madre e sposa (Sir 14,20-15,10), la sapienza Legge, ossia tutta la rivelazione storica,<br />

il patrimonio religioso e spirituale che il Signore ha dato a Israele (Sir 24), sapienza amata<br />

e desiderata dal saggio (Sir 51,13-21; Sap 8,2-16).<br />

Struttura<br />

Il brano, dopo una breve presentazione che descrive la protagonista (vv.20-21), contiene<br />

l’esordio con il quale la Sapienza apostrofa ed esorta i destinatari e li invita<br />

all’ascolto e alla conversione (vv.22-23). Due minacce in stile profetico contengono<br />

l’accusa con motivazione e la condanna per chi non ascolta (vv.24-28.29-31). La perorazione<br />

finale (v.32) descrive i due esiti opposti: morte e vita. «Tornate al mio rimprovero»<br />

o «volgetevi (tāšûbû) alle mie esortazioni» posto all'esordio (v.23) si oppone allo “sbandamento”<br />

o “deviazione” (mešûbāh) che conduce alla perdizione (v.32); ritornano anche i<br />

due termini dell'esordio, “inesperti” e “sciocchi”.<br />

Analisi<br />

Nella descrizione introduttiva (1,20-21), la Sapienza appare in un contesto simile a<br />

Pro 8,1-3. Come là, fa sentire la sua voce nei luoghi strategici, pubblici e affollati della<br />

città: all’aperto, tra le vie e nelle piazze, dall'alto delle mura e alle porte della città. Forse<br />

si tratta dello stesso luogo: la piazza nella parte alta della città, vicina alle porte e alle mura,<br />

dove tutti passano, dove la gente vive in società, pratica il commercio e amministra la<br />

giustizia, dove si raduna il consiglio degli anziani e si svolge la quotidiana politica cittadina.<br />

Si rivolge dunque a tutti: il suo è un insegnamento popolare. Lo stile sembra quello<br />

del venditore ambulante che grida e chiama, offre la sua mercanzia e invita ad approfittarne<br />

– sono i suoi detti o ragionamenti che servono a orientare la vita (cf Is 55,1-3 e Pro<br />

8,1-3). È la voce della ragione che discute ed esorta, grida e invita fino alla minaccia.<br />

Infatti, nell’esortazione (vv.22-23) il tono diventa drammatico e minaccioso. Inizia con<br />

una provocazione retorica, quasi da ultima possibilità, che evidenzia l’urgenza della decisione:<br />

«Fino a quando?». L'espressione appare nei profeti (Ger 4,14.21; 12,4; 13,27) e nelle<br />

suppliche dei salmi (cf 6,4; 74,10; 80,5; 82,2; 90,13; 94,3) di fronte a situazioni negative.<br />

L’appello è rivolto a Dio perché allontani azioni distruttive (cf Is 6,11), o da Dio agli uomini<br />

per scuoterli dalla loro inerzia e provocare un cambiamento, come nel nostro caso, una<br />

conversione: invita a «tornare» (šub) da lei, a prestare ascolto al suo messaggio autorevole.<br />

Come i profeti, essa invita a cambiare atteggiamento. Allora essa fa dono della sua parola.<br />

L’esortazione è rimprovero (tokahat), ma anche promessa, un messaggio «persuasivo»<br />

che può salvare: «Effonderò il mio spirito su di voi e vi faro conoscere le mie parole»<br />

(v.23b). «Effonderò» è simbolo liquido, della fonte che versa acqua copiosa (cf Sir<br />

24,22ss); spirito (ruăḥ) e parola (dābār) sono tipici dei profeti (v.23), una parola che fa conoscere<br />

la verità e ha la sua sorgente in una profondità interiore che dà vita nuova (cf Sal<br />

51,12-14). La sapienza, essere carismatico, riversa il suo spirito su quanti sono disponibili o<br />

il «soffio delle sue parole» (cf Is 11,3-5) intese come apertura o rivelazione. L’immagine in<br />

9


Giovanni diventerà simbolo dello Spirito Santo, acqua viva che trasforma in sorgente zampillante<br />

ogni credente (Gv 7,38-39, cf 4,14).<br />

Destinatari sono tre categorie: gli inesperti e gli sciocchi (già presenti in Pro 1,1-7) e i<br />

beffardi. Gli inesperti possono essere pericolosi per la loro ingenuità (rischiano di fare il<br />

male senza accorgersene), mentre gli schiocchi non pensano e rifiutano di pensare e ascoltare.<br />

Il beffardo (lēc) è tipico di Proverbi (il termine vi ritorna 14 volte): è il tipo del<br />

malvagio empio (cf Pro 24,9; Sal 1,1), il superbo rissoso che insulta con insolenza (Pro<br />

21,24; 20,1), lo spavaldo cinico che schernisce e disprezza irridendo, rifiuta con sarcasmo<br />

ogni consiglio e riflessione (cf 9,6-9 e 1,24 con 3,21); è il linguacciuto (laṣôn) che porta<br />

alla rovina la città e la convivenza umana (Pro 29,8); deride anche Dio, ma Dio riderà di<br />

lui mentre agli umili concede grazia (3,34). È un atteggiamento etico inconciliabile con la<br />

saggezza (Pro 14,6), perciò, odioso a Dio e agli uomini. Secondo Proverbi queste persone<br />

capiscono solo le bastonate e le nerbate (19,25.29) e sono destinati alla rovina (Is 29,20),<br />

ma le loro punizioni serviranno agli ingenui perché si ravvedano (Pro 19,25; 21,11).<br />

L’atteggiamento di fondo delle tre categorie è caratterizzato dall’amore per la loro insipienza<br />

e il rifiuto-«odio» di ogni conoscenza. Diversamente dal saggio che sa apprendere<br />

sempre e da tutti (cf Pro 1,5; Ben Zomà, Pirqé Avot 4,1: «anche il più saggio impara da tutti»),<br />

essi rifiutano ogni consiglio, studio e maestro, sono orgogliosi della loro ignoranza e<br />

sufficienza. Allora l’esortazione, nello stile dei profeti, diventa minaccia, ammonizione e<br />

rimprovero (vv.24-28.29-32).<br />

Minaccia. Nella prima minaccia, la sapienza constata di aver chiamato (qārā’) inutilmente,<br />

perché il rifiuto è assoluto. Ai quattro inviti: chiamare, tendere la mano, dare consigli,<br />

correzioni o rimproveri, corrispondono quattro rifiuti: rifiutare, non prestar attenzione o<br />

ignorare, trascurare, non accogliere (cf paralleli in Ger 7,13; Is 65,2.12 e 66,4). Le conseguenze<br />

negative (vv.26-28) sono il frutto delle scelte (cf Sal 1,6). Di fronte ad esse la sapienza<br />

risponde con la medesima indifferenza: riderà e si farà beffe quando le sventure si<br />

abbatteranno su di loro nella forma di uragano e tempesta (segno teofanico del castigo) e,<br />

più interiormente, in paura e terrore, angoscia e tribolazione; tace e non si fa trovare quando<br />

a loro volta la chiameranno o la cercheranno. Il chiamare (qārā’, v.20) della Signora Sapienza<br />

fa inclusione con l’invocazione dei falliti (qārā’, v.24.): è la legge del contrappasso.<br />

Il tempo della compassione è finito? Il testo di v.28 si può confrontare con il profeta<br />

Amos: il popolo ha rifiutato la parola, espellendo il profeta; la cercherà ovunque ma sarà<br />

troppo tardi, perché la profezia sarà scomparsa; così ora l’arroganza ha impedito di ascoltare<br />

a tempo debito o ha dato valore ad altre voci e desideri (Am 8,11-12, cf Os 5,5-6; Mi 3,4;<br />

Ger 11,11). Il richiamo pubblico della sapienza riporta in primo piano l’urgenza della conversione<br />

per impedire la rovina. Possiamo pensare che l’incapacità di ascoltare porti all’incapacità<br />

di comprendere. È la pazzia del Faraone che non riconosce i segni del Signore,<br />

portando alla rovina la sua casa e il suo popolo.<br />

La seconda minaccia (vv.29-31) riprende i contenuti dei vv.21 e 24. Il castigo anche in<br />

questo caso è la conseguenza logica delle proprie decisioni: ciascuno mangerà il frutto della<br />

proprie azioni, come un contadino i frutti dell'albero che coltiva (cf Sir 6,19; 27,6; Pro<br />

12,14). Possiamo riferire a Dio sia la «conoscenza» che il «timore-rispetto» (cf Is 11,3): odiare<br />

la Sapienza è odiare il Signore, cioè rifiutargli il rispetto dovuto, perché rifiutare la sua<br />

parola è rifiutare la verità e la conoscenza di Dio che essa manifesta. La verità giunge<br />

all’uomo non solo mediante una rivelazione speciale, ma anche mediante altre forme autorevoli<br />

della ragione, come la creazione (cf Pro 8,22-31). La Sapienza parla in nome di Dio,<br />

con la sua autorità, anzi è la stessa voce di Dio. Allora, ascolto o rifiuto diventano una questione<br />

di vita o di morte.<br />

10


La perorazione che conclude il discorso contiene perciò una minaccia e una promessa,<br />

entrambe rivolte al futuro, come le minacce precedenti. Davanti all’uomo si pongono due<br />

vie. Inesperti e sciocchi, se continueranno nella loro “deviazione” (mešubah, termine simile<br />

a quello della conversione, tešûbāh) e non si volgeranno (šûbû, v.23) alla voce-parola della<br />

Sapienza, saranno destinati alla morte, ma quanti ascoltano si avviano alla via della vita. Vi<br />

è opposizione tra la tranquillità falsa (šalwah) degli schiocchi, che è incoscienza ma diventerà<br />

paura e terrore (vv.26-28), e la sicurezza autentica di chi ascolta.<br />

La Sapienza fa intuire così il vero scopo del suo intervento: offre una possibilità e si appella<br />

alla libertà. Ascoltare la Sapienza non lascia delusi, ma è garanzia di tranquillità; così<br />

il “timore del Signore” libera dalla paura e protegge dal male.<br />

La perorazione finale della Sapienza riassume il senso profondo del suo discorso. La ricerca<br />

della Sapienza, che è scoperta della verità, apre la via al mistero di Dio e al suo rispetto<br />

(«timore»). Lungi dal creare paura e angoscia, crea persone libere, capaci di affrontare<br />

correttamente e con equilibrio la vita e i suoi problemi, nella consapevolezza del valore e<br />

dei limiti dell’uomo. Come afferma il Sal 90(89),9-17, non è la spensieratezza o l’indifferenza<br />

umana e spirituale che risolve i problemi, ma la riflessione sulla vita insegna a giungere<br />

alla sapienza del cuore, perché ci rivela la consapevolezza del nostro essere e insegna<br />

ad accettare la nostra verità di creature. «Convertendoci» alla sapienza, recuperiamo il nostro<br />

equilibrio.<br />

La stessa fede viene liberata da ogni paura, perché riconosce Dio come colui che porta a<br />

una libertà superiore, ci fa scoprire la sua bontà e dà consistenza al nostro agire. «Bontà» in<br />

Sal 90 è no‘am. Il termine include gusto, bellezza e grazia; è gustare Dio nella contemplazione<br />

e nell’invocazione fiduciosa che spinge all’azione generosa.<br />

Il contesto mette in risalto la teologia dell’ascolto, in antitesi con la spensieratezza senza<br />

impegno, l’incuranza e la superficialità demolitrice. Ascoltare, studiare, cercare non creano<br />

ansia, ma aprono a una conoscenza superiore, maturano consapevolezza, lottano contro<br />

l’oblio che anestetizza tutto, uccide la memoria e non cambia nulla. Ci fanno comprendere<br />

che la verità è sempre più grande di noi, fino alla Verità superiore, quella di Dio. L’ascolto<br />

crea responsabilità, conversione, apre cammini. Perciò, il rabbino Hillel ripeteva al discepolo:<br />

«Va’ e studia» la Torah. Non c’è sapienza autentica che non sia associata allo studio, alla<br />

ricerca, all’indagine che porta a un agire consapevole (i segni di autentica conversione).<br />

La falsa pace non crea nulla, genera solo incoscienza che, alla fine, lascia spazio alla paura.<br />

Perciò, Gesù invita a «vegliare e pregare» tenendo desto il cuore, cioè la mente, per impedire<br />

che il giorno del Signore giunga improvviso, come un laccio (Lc 21,34-36). Egli<br />

considera anche il rifiuto e minaccia nello stile della sapienza le città che avevamo visto il<br />

maggior numero di miracoli e non si erano convertite (Mt 11,20ss; Lc 10,11-15) e i contemporanei<br />

che non avevano accolto i suoi inviti, bloccando il progetto della sapienza divina.<br />

Ma alla «sapienza» – lui stesso – è stata resa giustizia dalle sue opere (Mt 11,19) e dai<br />

suoi figli (Lc 7,35), i discepoli, i saggi, che hanno saputo ascoltare.<br />

Nella prospettiva escatologica, il tempo stringe, dice Paolo (Rm 13,11ss). Non perché è<br />

breve o poco, ma perché, diversamente dal disinteresse degli sciocchi che, come al tempo di<br />

Noè, mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno del diluvio in<br />

cui perirono tutti (Lc 17,26-27), i credenti attendono con impazienza che tutte le cose siano<br />

ristabilite e pienamente realizzate in Cristo (Rm 8,22; Ef 1,10). L’ascolto autentico porta a<br />

un’esperienza liberante, perché lo Spirito riversato nel cuore dei credenti (Rm 5,5) li rende<br />

figli di Dio, donando speranza e sottraendoli a uno spirito da schiavi dominati dalla paura.<br />

Per mezzo dello Spirito gridiamo con Cristo, «Abbà, Padre!» (Rm 8,14-15; Gal 4,5-6).<br />

11


Discorso della Sapienza maestra di vita. Seconda personificazione<br />

Proverbi 8,1-36<br />

Presentazione della Sapienza<br />

1 La Sapienza (ḥokmāh) certo chiama<br />

e la prudenza/intelligenza (tebûnah) fa udire la voce!<br />

2 In cima alle alture (= sulle mura?), lungo la via (sulla strada alta),<br />

nei crocicchi delle strade si apposta,<br />

3 presso le porte, all’ingresso della città,<br />

sulle soglie degli usci essa grida: cf Pro 1,20-21<br />

Discorso della Sapienza<br />

Destinatari e motivi di credibilità<br />

(qualità pratico-morali, opposte alla straniera; organi vocali; esperienza; superiorità)<br />

4 “A voi, UOMINI, io mi rivolgo,<br />

ai FIGLI DELL’UOMO è diretta la mia voce.<br />

5 Imparate, inesperti, la prudenza (‘ormah)<br />

e voi, stolti, fatevi assennati (habînû leb = cuore). Pro 1,4.21s<br />

6 Ascoltate, perché dirò cose elevate,<br />

dalle mie labbra usciranno sentenze giuste,<br />

7 perché la mia bocca/palato proclama la verità<br />

e l’empietà è abominio/orrore per le mie labbra.<br />

8 Tutte le parole della mia bocca sono giuste;<br />

niente vi è in esse di tortuoso o perverso;<br />

9 tutte sono leali per chi le comprende<br />

e rette per chi possiede la scienza.<br />

10 Accettate la mia istruzione e non l’argento,<br />

la scienza anziché l’oro fino,<br />

11 perché la scienza vale più delle perle<br />

e quanto si può desiderare non l’eguaglia”.<br />

Autoelogio della Sapienza<br />

I - La sapienza regale<br />

12 IO, Sapienza, abito la prudenza/sagacia (‘ormah)<br />

e la conoscenza della riflessione (da‘at mezimmôt) ho trovato.<br />

13 Temere il Signore è odiare il male:<br />

la superbia e l’arroganza,<br />

e la cattiva condotta (strada) e la bocca perversa io detesto/odio.<br />

14 A ME appartiene il consiglio e il buon senso (abilità – tûšiiāh), Is 11,2<br />

IO sono intelligenza/prudenza (bînah), A ME appartiene la potenza (gebûrah).<br />

15 Per mezzo mio regnano i re<br />

e i principi (magistrati - legislatori) promulgano giusti decreti;<br />

16 per mezzo mio i capi comandano,<br />

i grandi, tutti quelli che governano con giustizia.<br />

17 IO amo coloro che mi amano<br />

e quelli che mi cercano (lett. si levano presto per me) mi troveranno.<br />

18 Presso di me c’è ricchezza e onore,<br />

sicuro benessere ed equità/giustizia (beni permanenti e di alto valore?).<br />

12


19 Il mio frutto val più dell’oro, dell’oro fino,<br />

il mio provento più dell’argento scelto.<br />

20 Io cammino sulla via della giustizia<br />

in mezzo ai sentieri dell’equità,<br />

21 per dotare di beni coloro che mi amano<br />

e riempire i loro forzieri.<br />

II - La Sapienza e la creazione<br />

Cosmologia - La sapienza, generata e intessuta, è prima (primogenita)<br />

22 Il Signore mi ha concepita (qānāny) 4 [come] inizio (re’šît) della sua attività (derek, via),<br />

[come] origine (qedem 5 ) delle sue opere (mip e ‘ÂlÂyw).<br />

23 Dall’antichità (mē’āz), dall’eternità (mË‘ôlÂm) sono stata intessuta, 6<br />

fin dal principio (mērō’š), dalle origini (miqqadmêy) della terra.<br />

Generata, la sapienza precede il mondo che conosciamo<br />

24 Quando non c’erano (be’ēyn) gli abissi (tehomot) io fui partorita (Ðolalty)<br />

quando non vi erano (be’ēyn) le sorgenti cariche d’acqua; 7<br />

25 prima che (b e ìerem) fossero fondati i monti,<br />

prima (lipnêy) delle colline sono stata partorita (Ðolalty) 8 ,<br />

26 quando ancora non (‘ad lá) aveva fatto la terra e i campi/prodotti (Ðûêôt) 9 ,<br />

né le prime zolle (‘oprôt) della terra (tebel).<br />

Cosmogonia - La sapienza, bambina assiste all’organizzazione del mondo (o partecipa<br />

come concreatrice?)<br />

27 Quando egli fissava i cieli, io ero là (šām ’āny);<br />

quando tracciava (b e Ðûqô) un cerchio sulla superficie dell’abisso (‘al p e nêy tehom);<br />

28 quando rinforzava le nubi dall’alto (o in alto),<br />

quando fissava (reprimeva? ba`ăzôz) le sorgenti dell’abisso (tehom);<br />

29 quando poneva al mare il suo limite (Ðûqqô),<br />

sicché l’acqua non oltrepassasse il suo ordine (la sua bocca);<br />

quando stabiliva (b e Ðûqqô) le fondamenta della terra,<br />

30 allora io ero al suo fianco come artefice - (bambina) prediletta 10 .<br />

4<br />

Qanani: acquistata, generata/concepita, con senso figurativo, in relazione al seguito (vv.23-25); L’altro signficato<br />

è “mi ha creata” (Cei).<br />

5<br />

Qedem, è sostantivo parallelo a “inizio”, con significato spaziale = parte anteriore, o temporale = momento precedente,<br />

tempo originale, eternità.<br />

6<br />

Sākak “intessere” (Is 25,7; 30,1): dopo la generazione o il concepimento, qnh, il corpo dell’embrione – ossa e<br />

nervi – viene intessuto nel grembo della madre; quindi avviene il parto, Ðolalty. Cf. Sal 139,13: «Sei tu che hai<br />

concepito (qānytā) i miei reni, che mi hai intessuto (skk, qal) nel ventre di mia madre»; Gb 10,11: «di pelle e di<br />

carne tu mi hai vestito, di ossa e di nervi mi hai intessuto (skk, pol.)».<br />

7<br />

= basso: abisso e sorgenti che comunicano alla terra l’acqua dell’abisso.<br />

8<br />

= alto: montagne e colline, inserite nell’abisso (Sal 46.3-4); delle colonne sostenevano la volta del cielo (Gb<br />

26,11) o gli servivano da fondamento (2Sam 22,8 con Sal 18,8).<br />

9<br />

Ðûêôt sono i campi della campagna, fuori città (Gb 5,10); oppure, ciò che la terra produce, fa uscire «fuori»: i<br />

suoi prodotti. La terra è considerata come un disco piatto; tebel è la terra abitata (Sal 24,1; Is 18,4). Quando la<br />

terra abitata dall’uomo non era ancora stata fatta né il suo ambiente, in basso e in alto, la sapienza era già nata: è<br />

cosmologia non cosmogonia; vi fanno allusione le “zolle” prodotte dal lavoro umano.<br />

10<br />

TM ha ’amôn, «architetto, capo dei lavori»; Vulgata cuncta componens, LXX armózousa (= ’ommam?) forse<br />

per mantenere l’assonanza con l’ebraico. Il verbo greco significa: costruire, amministrare o comperare, adattare,<br />

governare; accordare uno strumento, unire; Stecher propone hmwn inf. nifal di mnn: himmôn, suonare uno strumento!?),<br />

o: «ero presso di lui, il capo dei lavori» (Bonnard, Dahood, Keel, Landes); ’āmûn = prediletta, bambina<br />

oggetto di educazione (francese nourrisson), cf Aq ôéèçíïõìÝíç; cf anche ’emûn, fedeltà, o ’amûn, fedele<br />

(Targ., Sym, Teod.).<br />

13


La sapienza mediatrice tra Jhwh uomini cosmo (chiasmoe parallelo)<br />

ed ero la sua delizia ogni giorno, = delizia – tempo<br />

danzante (mesaÐeqet) davanti a lui a ogni istante; = danzante – tempo<br />

31 danzante (mesaÐeqet) con il mondo della sua terra, = danzante – luogo<br />

e la mia delizia con i figli dell’uomo (cf 8,4b inclusione). = delizia – luogo<br />

Conclusione – esortazione<br />

32 E ora, FIGLI (cf 7,24; LXX figlio, 41,5,7; 7,1), ascoltatemi:<br />

beati quelli che custodiscono (seguono) le mie vie!<br />

33 Ascoltate l’esortazione (mûsar) e sarete saggi; non rigettate(la)!<br />

34 Beato l’uomo che mi ascolta<br />

vegliando ogni giorno alle mie porte (Sir 6,32-36; Sap 6,14),<br />

custodendo le soglie/gli stipiti (mezuzôt) della mia porta.<br />

35 perché (= motivo), chi trova me, trova la vita (cf Sal 32,2; 88,6.13)<br />

e ottiene il favore del Signore;<br />

36 Ma chi pecca contro di me (Ðoìùî) danneggia (ÍãmÉs) la sua vita (napšô),<br />

chiunque mi odia ama la morte. (7,22b)<br />

Chi “veglia” non è un cortigiano, né l’amante alla porta dell'amata, benché la Sapienza assuma<br />

i contorni della sposa (vv.34-35, Pr 18,22). Piuttosto è immagine del discepolo zelante<br />

(v.34) che la cerca e frequenta fin dal mattino (8,17 měšaHáray) e attende che la porta si apra<br />

(Sir 6,36: «alzati presto [all’aurora] per lui e consumino i tuoi piedi la sua soglia»; cf<br />

Sap 6,14). Per l’antitesi: cf Pro 1,32-33; 2,21-22; 3,32-35. cf anche Dt 30,15-20 e Sir 15,17:<br />

le due scelte e vie. La Sapienza promette la vita, cioè la felicità (cf Pro 18,22, ṭôb), sinonimo<br />

di favore del Signore: non una semplice riuscita umana, ma incontro più profondo con<br />

Dio (lo lega a lui, cf Sap 7,27: entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti). Al<br />

contrario chi vive separato dalla Sapienza (Hö†´î) fa male a se stesso (Hömës napšô).<br />

Conclusione<br />

1) Argomentazione. a) La sapienza invita all’ascolto con insistenza: assicura che l'educazione<br />

che essa dà è rettitudine: verità e giustizia; b) mostra che in effetti l’ordine della<br />

società dipende da lei, dalle sue qualità di consigliere regale per eccellenza; c) un argomento<br />

ulteriore l’abilita a questo: ha origine da Dio, prima che esistesse tutto il mondo<br />

che c’è, e al momento dell'organizzazione del mondo era presente “presso Dio” =<br />

l’ordine del mondo non è indipendente da lei; d) inoltre assicura un legame tra Dio e gli<br />

uomini (mediatrice), perché l’ordine e la stabilità delle relazioni regni tra loro nella “verità”<br />

e nella “giustizia”. Sola condizione richiesta durante tutto il discorso è ascoltare,<br />

accogliere, amare la Sapienza: l’uomo vi troverà la vita.<br />

2) Chi è? Figura femminile – figlia maggiore di Jhwh che fa la sua felicità; anteriore al cosmo,<br />

è presente presso il Signore al momento della sua organizzazione; assicura l’ordine<br />

nelle relazioni umane: è per gli uomini verità, giustizia, rettitudine, odia menzogna e male<br />

= triplice relazione<br />

3) Insegnamento: come maestra di vita invita ad ascoltare le sue lezioni (8,10.33). Descrive<br />

i suoi rapporti con Dio e con gli uomini; ma gli insegnamenti nelle varie parti (4-10.12-<br />

21.22-31) sembrano soprattutto una serie di motivi per ascoltarla! Se Pro 1-9 è introduzione<br />

a Proverbi, è invito a cercare nelle sua raccolte antiche (cc. 10-31) l’insegnamento<br />

da cogliere per trovare la vita e il favore del Signore.<br />

4) Origine: la Maat o una dea della scuola? Comunque non un puro decalco della Maat, ma<br />

un adattamento israelitico purificato. L'immagine, inoltre, ha avuto uno sviluppo nel cristianesimo<br />

a contatto con nuovi eventi (il Cristo sapienza creatrice ed educatrice).<br />

14


Proverbi 31,10-31: Elogio della buona moglie<br />

1 – Contesto<br />

Il poema di Prov 31,10-31 ha un’importanza strategica nella strutturazione del libro dei<br />

Proverbi 11 . Il capitolo 31 si stacca dal contesto precedente per forma e stile e si presenta<br />

come conclusione riassuntiva dell’intero libro. Le parole di Lemuel (31,1-9) – una serie di<br />

esortazioni rivolte dalla madre a un giovane re circa i suoi compiti, soprattutto giudiziari –<br />

sembrano volere riassumere l’insegnamento dei primi capitoli, con un quadro del governatore<br />

modello. Egli deve guardarsi dalle donne che possono esercitare un influsso nefasto su<br />

di lui, mentre una valida moglie gli consentirà di raggiungere i suoi obiettivi familiari e sociali:<br />

la ’ešet¾ḥayil (לׅיַח־תֶשֵׁא) si oppone alle cortigiane (v.3) con le quali il re non deve<br />

sprecare il suo vigore fisico e sessuale (Ðayil). La figura femminile riflette il clima di Prov<br />

1-9, dove la sapienza personificata e la donna della giovinezza si oppongono alla straniera:<br />

31,10 fa da contrappunto a 9,1-6 e 3,15 (cf 3,13-19; 5,1-14.15-19 e cc. 7-8) 12 .<br />

2 – Genere letterario<br />

Il poema, databile in epoca postesilica per la presenza di aramaimi, è un acrostico alfabetico.<br />

13 Mostra una realtà piena, offre un «prontuario completo» delle qualità, dall’alef alla<br />

tau, che include nell’elogio della donna la forma perfetta dell’intero libro in relazione al<br />

quale il brano va interpretato. Sembra riflettere l’ambiente scolastico ed educativo con evidenti<br />

connotazioni sapienziali (cf Sir 51,13-30; Sal 9-10; 25; 34; 37; 119; 145; Lam 1-4).<br />

Quanto al genere letterario prevale la forma dell’inno, che Wolters (1985 e 1988) definisce<br />

«eroico», accostandolo al Sal 112 e alle antiche tradizioni in cui erano esaltate le imprese<br />

militari degli eroi (cf Gdc 5). In tale tradizione confluiscono, oltre alla forma del poema<br />

(annuncio della lode, vv.10-12; corpo del poema, vv.13-27; conclusione con esortazione a<br />

unirsi nella lode, vv.28-31), la costruzione participiale הָיּ ׅפוֹצ (v.27a), e le espressioni לׅיַח־תֶשֵׁא<br />

(v.10), לׅיַח (v.29), זוֹע (vv.17.25), «la mano tesa» (vv.19s).<br />

11 Cf R.N. WHYBRAY, Proverbs (NCBC), 1994, in loco; e The Composition of the Book of Proverbs (JSOT<br />

Suppl. 168), Sheffield Academic Press, Sheffield 1994; per McCresh (cf bibliografia) il poema funziona da coda<br />

o sommario dell’intero libro (p. 25). Una stretta unità del c. 31, partendo dallo studio di Lichtenstein, è sostenuta<br />

da V. A. HUROWITZ, «The Seventh Pillar – Reconsidering the Literary Structure and Unity of Proverbs 31», ZAW<br />

113 (2001) 209-218. L’insieme del capitolo, corrispondente ai cc. 1-9, costituisce la settima maggiore unità del<br />

Libro dei Proverbi, degna del titolo «La settima colonna della casa della Sapienza» (Prov 9,1). Nei LXX viene<br />

meno il legame tra 30,1-9 e 31,10-31: Prov 31,10-31 segue 29,27; 30,1-14 è prima di 24,23; 30,15-31,9 dopo<br />

24,34.<br />

12 Su questo aspetto si vedano i contributi di C.V. CAMP, Wisdom and the Feminine in the Book of Proverbs<br />

(Bible and Literature Series 11), Sheffield 1985; ID., Woman Wisdom as Root Metaphor: A Theological<br />

Consideration, in K. G. HOGLUND et al. (edd.), The Listening Heart. Essays in Wisdom and the Psalms in Honor<br />

of R.E. Murphy (JSOT Suppl. Series 58), Sheffield 1987, pp. 45-76; ID., «Wise and Strange: An Interpretation of<br />

the Fremde Imagery in Proverbs in Light of Trickster Mythology», Semeia 42 (1988) 14-36; le brevi osservazioni<br />

di R.E. MURPHY, «Wisdom and Eros in Proverbs 1-9», CBQ 50 (1988) 600-603: il linguaggio erotico si può<br />

meglio comprendere alla luce dell’unione tra sapienza ed eros, la stoltezza è tentatrice come la straniera; R.J.<br />

CLIFFORD, Woman Wisdom in the Book of Proverbs, in G. BRAULIK un.a. (edd), Biblische Theologie und<br />

gesellschaftlicher Wandel (Fs N. Lohfink), Herder, Freiburg 1993, pp. 61-72, vede l’adattamento di una scena<br />

mitica della dea che offre vita al giovane eroe e dell’epica in forma didattica; A. BONORA, «La «donna straniera»<br />

in Pr 1-9», in G.L. PRATO (ed.), Miti di origine, miti di caduta e presenza del femminino nella loro evoluzione<br />

interpretativa, XXXII Settimana Biblica Nazionale, RSB 6 (1994) 101-109, ravvisa nell’opposizione tra i due<br />

tipi di donna, straniera e sapienza, sapienza e stoltezza, il simbolo delle opposte culture, una seducente ma<br />

deviante, l’altra che conduce alla vita.<br />

13 Cf D.N. FREEDMAN, Acrostics and Metrics in Hebrew Poetry, HTR 65 (1972) 367-392 (sul nostro testo); G.<br />

GARBINI, Le serie alfabetiche semitiche e il loro significato, AION 42 (1982) 403-411; W.G.E. WATSON,<br />

Classical Hebrew Poetry. A Guide to its Techniques (JSOT Suppl. Series 26), Sheffield 1986, pp. 190-200; T.<br />

PIATTI, I carmi alfabetici della Bibbia chiave della metrica ebraica?, Bib 31 (1959) 281-315; 427-458.<br />

15


Joüon presuppone all’origine un «elogio funebre» per una donna defunta, lodata dal marito<br />

e dai figli (cf verbi al passato) 14 .<br />

Introduzione: titolo<br />

א 10 Una buona/brava moglie chi<br />

la può trovare?<br />

Superiore al (lett. lontano più del)<br />

corallo è il suo prezzo.<br />

ב 11 Confida in lei il cuore del<br />

marito, e il profitto (bottino) non<br />

mancherà.<br />

Attività: I. quadro<br />

ג 12 Essa gli procura bene e non<br />

danno<br />

tutti i giorni della sua vita.<br />

ד 13 Sceglie lana e lino<br />

e le lavora con la maestria delle<br />

sue mani.<br />

ה 14 È simile alla nave di un mercante:<br />

da lontano importa il suo<br />

grano.<br />

ו 15 Si alza quando è ancora notte<br />

e dà il cibo (lett. preda) alla sua<br />

famiglia, anche alle serve la loro<br />

parte (e ordini alle serve).<br />

ז 16 Valuta un campo e lo compera<br />

con il frutto delle sue mani pianta<br />

una vigna.<br />

ח 17 Cinge con energia i suoi<br />

fianchi, usa con forza le sue brac-<br />

cia. ט 18 È soddisfatta, perché buono è<br />

il suo commercio;<br />

non si spegne di notte la sua lu-<br />

cerna.<br />

Conclusione: le «mani tese»<br />

י 19 Le sue mani protende alla<br />

conocchia<br />

e le sue palme afferrano il fuso.<br />

כ 20 Le sue palme apre al bisognoso<br />

e le sue mani protende al povero.<br />

Attività: II. quadro<br />

ל 21 Non teme per la sua famiglia,<br />

se nevica,<br />

perché tutta la sua famiglia veste<br />

scarlatto (o doppio).<br />

מ 22 Per sé confeziona coperte,<br />

di lino e porpora è vestita.<br />

ac'_m.yI ymiä lyIx;â-tv,ae( 10<br />

`Hr")k.mi ~ynIåynIP.mi qxoßr"w><br />

Hl'_[.B; bleä HB'â xj;B'ä 11<br />

`rs'(x.y< al{å ll'ªv'w><br />

÷<br />

`hyY lKo÷<br />

ª [r"+-al{w> bAjå Wht.l;äm'G> 12<br />

~yTi_v.piW rm,c,ä hv'r>D" 13<br />

`h'yP,(K; #p,xeäB. f[;T; ªw: ÷<br />

rxe_As tAYænIa\K' ht'y>h'â 14<br />

`Hm'(x.l; aybiîT' qx'ªr>M,mi÷<br />

hl'y>l; ª dA[ìB. Ÿ~q'T'Ûw: 15<br />

`h'yt,(ro[]n:l. qxoªw><br />

÷ Ht'_ybel. @r


נ 23 È stimato suo marito alle<br />

porte, quando siede con gli<br />

anziani della città.<br />

ס 24 Confeziona vestiti e li vende<br />

e cinture dà al mercante.<br />

ע 25 Di forza e dignità vestita,<br />

sorride al giorno che viene.<br />

פ 26 La sua bocca apre con sapienza,<br />

e un insegnamento leale è sulla<br />

sua lingua.<br />

צ 27 Vigila sull’andamento della<br />

sua casa,<br />

non mangia pane senza lavorare.<br />

Conclusione: lode familiare<br />

ק 28 Si alzano i figli per<br />

dichiararla beata,<br />

il marito per lodarla:<br />

ר 29 «Molte donne hanno compiuto<br />

cose valide (procurato ricchezze),<br />

ma tu le hai superate tutte».<br />

Conclusione finale: principio ed<br />

esortazione (dalla famiglia?)<br />

שׁ 30 Ingannevole è la grazia e un<br />

soffio la bellezza di una donna,<br />

colei che rispetta il Signore merita<br />

lode.<br />

ת 31 Lodatela per il frutto delle<br />

sue mani,<br />

la lodino alle porte le sue opere.<br />

Hl'_[.B; ~yrIå['V.B; [d"åAn 23<br />

`#r<br />

h'Wr+V.a;y>w:) h'ynw:) Hl'ª[.B;<br />

÷<br />

lyIx"+ Wf['ä tAnB'â tABår: 29<br />

`hn"L'(Ku-l[; tyliî[' T.a; ªw> ÷<br />

hV'îai ypiYO=h; lb,h,äw> !xeh;â rq,v,ä 30<br />

`lL'(h;t.ti ayhiä hw"©hy> ÷-ta;r>yI<br />

h'yd


unità, con una introduzione (vv.10-11), una conclusione (vv.30-31) e un centro (vv.19-20);<br />

la descrizione si concentra in due riprese sull’attività della donna, entrambe di 7 versetti<br />

(vv.12-18 e 21-27).<br />

vv.10-11: servono da titolo e introduzione generale anticipando i temi seguenti. Si abbozza<br />

la figura della donna e la relazione di fiducia con il marito (cf vv.23.28: i motivi della superiorità<br />

e della familia si susseguono in forma chiastica, rispetto ai vv.10-11). I temi della<br />

preziosità e operatività pratica e commerciale sono sottesi anche nel profitto/bottino.<br />

vv.12-18: prima descrizione dell’attività della donna. Si accentua la terminologia operativa<br />

e commerciale. L’attività è concentrata sulle mani ( ָהיֶפַּכ - ׇהיֶדׇי 4 + 2 x), braccia e fianchi e<br />

nei verbi di azione (fare); il commercio è rivelato nelle mercanzie di scambio, nella nave del<br />

mercante e nel guadagno, frutto del lavoro (cf il «bene» in v.12 e il buon guadagno al v.18).<br />

* vv.19-20: conclusione. Le «mani tese» (šālaÐ) – jad-kap (in chiasmo) rappresentano il<br />

centro del ritratto.<br />

vv.21-27: seconda descrizione dell’attività, che riprende la simbolica del fare (vv.22.24) e<br />

vendere (v.24), con il richiamo alla casa (cf v.15 con vv.21.27) e al pane/cibo (v.14 con 27),<br />

anticipando l’apertura alla città (vv.23s). I vv. 21-25 concentrano il fare sul «vestire», fisico<br />

(vv.21-22) e metaforico (v.25), che si accorda con il marito riconosciuto e rispettato nella<br />

città (v.23). I vv. 26-27 accentuano il «parlare» e il «vedere».<br />

* vv.28-29: conclusione - lode (hallel) della famiglia, figli e marito. Inclusione con i<br />

vv.10-11: il marito, Ðayl, superiorità della protagonista.<br />

vv.30-31: conclusione generale: invito del poeta (o della famiglia) al pubblico – le «porte».<br />

Analisi<br />

1. Introduzione-titolo: la donna ideale e il marito (vv.10-11)<br />

V.10 לִיַח־תֶשֵׁא ha determinato una vasta sequenza di traduzioni, quindi di interpretazioni, in<br />

base al significato di Ðayil, forza o vigore, ricchezza e altre qualità: «una donna perfetta»<br />

(Cei, Waegeman, BJ), «donna di carattere» (TOB, Hawkin: «di nobile carattere»), «donna<br />

di valore» o «buona-brava moglie» ossia una donna capace, valida (Levin 16 , Bonora, Fra<br />

Luis citato da Alonso, Whybray 1972 e 1994, Plöger), una brava massaia ossia una buona<br />

padrona di casa (Alonso, Scott), «una donna virtuosa» (Renard), «una donna di risorse»<br />

(Barucq; «the “Woman of Substance» Roy Yoder 17 ), mulier fortis (Vg, fortezza come virtù),<br />

«donna virile» (LXX). Alexander Rofe ricorda che nel testo greco dei LXX spesso Ðayil<br />

corrisponde al significato di «sapiente», óõíåôÞ (= śkl) 18 . Può connotare anche ricchezza<br />

o prosperità, in parallelo con «valore, prezzo» (mikrāh, lett. «lontano più delle perle è il suo<br />

prezzo») del secondo stico, e in corrispondenza al maschile: ´anšê Hayil, «uomini ricchi»<br />

(Sir 40,13; 44,6; Rut 2,1: Booz è ´îš gibbor Ðayil, potente e ricco, molto ricco). Il v.29 fa<br />

eco a לִיַח־תֶשֵׁא con לִיח ׇ וּשׂע, ׇ riferito all’abilità pratica: hanno fatto cose eccellenti o lavorato,<br />

faticato strenuamente (Zorell), o procurato ricchezze (cf Rut 4,11).<br />

sezioni del poema; i vv.10-11 e 28-30 sono costruiti sulla ripetizione di ’šh, Ðyl, e b‘l.<br />

16<br />

Cf Y. LEVIN, «“The Woman of Valor” in Jewish Ritual (Prov 31,10-31)», Beth Mikra 31 (1985) 339-347<br />

(ebraico).<br />

17<br />

Christine ROY YODER, «The Woman of Substance. A Socioeconomic Reading of Proverbs 31: 10-31», JBL<br />

122 (2003) 427-447: imagine di donna del periodo persiano in una particolare posizione sociale; esamina soprattutto<br />

i vv.10b.11b.13.19.22.24 (l’opera delle sue mani), v.14b intendendo il valore internazionale della sua opera,<br />

v.15c (dà la razione alle schiave), v.16 (valuta un campo e lo compera). Ma il testo ha anche un valore simbolico.<br />

18<br />

A. ROFÉ, «’ēšet Ðayil, ãõíx óõíåôÞ and the Editing of the Book of Proverbs», in Z. TALSHIR-Sh. JONA-D. SIL-<br />

VAN (edd.), Hommage to Shmuel: Studies in the World of the Bible, Bialik, Jerusalem 2002, pp. 382-390 (in<br />

ebraico).<br />

18


Ritroviamo l’espressione in Prov 12,4 e in Rut 3,11: così Booz definisce Rut, il cui libro<br />

nella redazione finale della Bibbia ebraica segue al libro dei Proverbi, dando l’impressione<br />

di voler collegare una figura concreta al quadro ideale qui descritto. In Sir 26,2 (ms C) appare<br />

nel contesto dei vv.1-4 che oppongono la buona moglie alla cattiva: ’ešet ḥayl è in parallelo<br />

con ’iššāh ìobāh, la donna/moglie buona, virtuosa, che fa prosperare il marito e rallegra<br />

gli anni della sua vita.<br />

L’espressione indica dunque la buona moglie, connotando dignità e valore, bravura o abilità,<br />

validità e saggezza. Di fatto, la descrizione che segue insiste soprattutto sulle qualità<br />

pratiche: abilità delle mani e capacità imprenditoriali, sapienza nel parlare.<br />

Trovarla è impresa ardua. È atteggiamento antifemminista, come Qo 7,28: «Tra queste<br />

non trovai nessuna donna»? La medesima preziosità è collegata alla sapienza paragonata ai<br />

coralli o perle (Prov 8,11; 20,15; Gb 28,18; cf Sap 8,5 e Mt 13,44-46 in riferimento al regno<br />

di Dio).<br />

Beato chi trova sapienza,<br />

chi veramente ottiene intelligenza:<br />

poiché il suo acquisto (= potere d’acquisto) sarà maggiore dell’argento,<br />

la sua rendita vale più dell’oro.<br />

È più pregiata del corallo/perle<br />

e ogni tuo prodotto non le è paragonabile (Prov 3,13-15).<br />

Acquistarla non sembra impresa impossibile, come in Gb 28,12.20 o Qohelet:<br />

Tutto questo ho esaminato con sapienza<br />

[e ho detto: «Voglio diventare saggio» (o: voglio comprenderla),]<br />

ma essa è lontana da me.<br />

Lontano è ciò che è passato (lontano dal passato, LXX, cf BHK)<br />

e profondo profondo, chi lo può trovare? (Qo 7,23-24).<br />

L’espressione di Qohelet è vicina a Prov 31,10, ma per lui la sapienza resta un ideale irraggiungibile,<br />

superiore alle possibilità umane, un enigma indecifrabile, lontano e oscuro<br />

come il passato. La sapienza umana non riesce ad avere un approccio esauriente alla realtà,<br />

anche se ciò non impedisce una certa sapienza. Ma il testo di Proverbi anzitutto intende sottolineare<br />

la preziosità (v.10b), come il prezzo delle merci che si importano da «lontano» (cf.<br />

v.14), più che l’assenza; anche se vi è al pericolo di sollecitazioni diverse (cf 31,3). Insegna<br />

quindi la necessità di una ricerca accurata come per la sapienza (cf Sir 4,11-19; 6,18-37;<br />

51,13-27). Chi troverà una buona moglie sarà fortunato (Sir 25,9-10; 26.13-18, cf Prov<br />

12,4; 18,22); una donna intelligente-sensibile è dono del Signore (Prov 19,14), viene assegnata<br />

a chi lo teme (Sir 26,3). Lo stesso Siracide ricorda che la sposa è il primo dei beni (Sir<br />

36[33],29 cf vv.27-29); va dunque scelta con cura.<br />

V.11. In primo piano è il marito: il suo cuore confida nella moglie, cioè si sente sicuro, vive<br />

tranquillo (cf Prov 10,9; 11,15). La fiducia va intesa in senso ampio. È riferita anzitutto alla<br />

tranquillità economica nelle cose che riguardano la casa, se guardiamo al secondo stico: suo<br />

marito non ha bisogno di far «bottino» (il senso primo di šālal, cf Prov 16,19), con connotazione<br />

bellica, ma tradotto in genere con «profitto» o «guadagno», perché essa gli procura<br />

l’essenziale. Un’immagine bellica o di caccia è sottesa anche in v.15 ìeref, «preda» (cf Sal<br />

76,5; 124,6), che ravvisa in un secondo tempo il «cibo» (cf LXX e Sal 111,5; Mal 3,10).<br />

L’autore sembra voler caratterizzare, divertito, la decisione con cui la donna si interessa<br />

della famiglia e affronta le questioni pratiche (cf Gb 38,39: la leonessa che procura il cibo ai<br />

leoncelli, o Sir 11,30: il lupo che cerca la preda) 19 .<br />

La buona moglie offre anche sicure garanzie di appoggio, i suoi frutti per il marito saranno<br />

anche sociali (v.23). Con tutto il cuore si deve confidare in Dio (Prov 3,5; Sal 118,8-<br />

19 L. ALONSO SCHÖKEL, Proverbi (p. 618), ricorda l’intraprendenza di Abigail per Davide (1 Sam 25).<br />

19


9), mentre è da folli confidare nell'uomo (Ger 17,5; cf Sal 118,8-9), nel proprio cuore (Prov<br />

28,26) o nella ricchezza (11,28). «Solo in Dio e nella brava moglie è bene porre tutta la fiducia!»<br />

(Bonora). Ciò vale per la sapienza e le sue qualità: «Chi ascolta me vivrà tranquillo»<br />

(Prov 1,33, cf 3,21-26; cf 2,11-22 con opposizioni).<br />

Così Siracide che opera un parallelo con la Sapienza:<br />

Acquistare una moglie è il primo dei beni:<br />

è aiuto e fortezza, colonna d’appoggio (Sir 36,29).<br />

Egli si appoggerà su di lei (= la Sapienza) e non vacillerà,<br />

confiderà (yibtaÐ) in lei e non resterà confuso (Sir 15,4).<br />

Contrario è il quadro della moglie cattiva, dipinta nella decadenza fisica e morale i cui<br />

effetti si riflettono in egual modo sul marito:<br />

Animo abbattuto e volto triste<br />

e ferita al cuore è una donna malvagia;<br />

mani inerti e ginocchia infiacchite.<br />

Tale è colei che non rende felice il marito (Sir 25,22-23).<br />

2. Attività – primo quadro (vv.12-18)<br />

È attività imprenditoriale: la donna è unico soggetto di tutti i verbi: fa, sceglie, fa venire, si<br />

alza, dà, valuta, compera, pianta, si cinge, usa con forza le braccia. L’inizio e la fine considerano<br />

gli effetti, al centro è l’attività.<br />

V.12. L’inizio descrive l’effetto benefico sul marito: gli fa del bene senza male, o gli reca<br />

gioia non dispiacere, gli procura anche beni economici. Il «bilancio» della vita con lui è positivo:<br />

essa gli «fa-arreca (gāmal, cf 3,30; 11,17) bene» e beni (cf v.18). Il tema ritorna:<br />

Un valida moglie (’ešet Ðayil) fa prosperare il marito,<br />

e rallegra gli anni della sua vita.<br />

Una buona moglie è buona sorte,<br />

viene concessa a chi teme il Signore.<br />

Ricco o povero, il cuore di lui ne gioisce (lett. è buono),<br />

in ogni tempo il suo volto appar sereno (Sir 26,2-4).<br />

Nel libro della Sapienza, Salomone decide di prendere la sapienza come compagna di<br />

vita.<br />

Sapendo che mi sarà consigliera di bene<br />

e conforto nelle preoccupazioni e nel dolore.<br />

La sua compagnia non dà amarezza,<br />

né dolore la sua convivenza,<br />

ma contentezza e gioia (Sap 8,9.16).<br />

Gli fa eco il Siracide:<br />

Egli troverà (nella sapienza sposa) gioia e felicità,<br />

essa gli lascerà in eredità una fama (nome) perenne (Sir 15,6).<br />

V.18. Conclude il quadro la soddisfazione dell’interessata perché la rendita del suo commercio<br />

è «buona» (il verbo ta‘am connota la capacità di gustare, percepire). La sua lucerna<br />

non si spegne mai perché lavora indefessamente e controlla e vigila su tutto con sagacia (cf<br />

v.27). L’immagine potrebbe riflettere la moglie stessa, «lucerna» che illumina sempre la casa,<br />

come la buona moglie in Siracide.<br />

(ebraico) Sole che brilla nelle più alte altezze<br />

è la bellezza di una donna nell’intimo della casa.<br />

Luce che splende sul candeliere sacro<br />

è la bellezza di un volto su una struttura solida (corpo eretto)<br />

(greco) Colonne d’oro su basi d’argento<br />

sono belle gambe (bei piedi) su solidi talloni (26,16-18).<br />

20


È anche lo «splendore» della sapienza: riflesso del sole (Sir 42,16; 43,4.8) e del culto (cf<br />

50,7) nel quale essa eccelle. Così, l’insegnamento del saggio «brilla» come l’aurora e illumina<br />

in lontananza (24,32; 39,8). La buona moglie, la sapienza e il saggio, il tempio e il sacerdote<br />

sono in Ben Sira accomunati allo splendore del sole, per la capacità di illuminare la<br />

casa, l’ambiente e le generazioni, e per l’energia che dà vita.<br />

La buona moglie, come la sapienza, è appoggio benefico che arreca gioia e felicità e<br />

riempie la casa di beni, luce che la illumina con il suo splendore e vigile custode.<br />

Vv.13-17: Attività. Emergono le mani abili, le braccia robuste (lett. rafforza le braccia), i<br />

fianchi energici, la decisione. La brava moglie è un’abile imprenditrice e un’oculata operatrice<br />

sul mercato. L’autore, che rinnega ozio e pigrizia, si preoccupa di eliminarli da questa<br />

figura ideale.<br />

a) È abile e laboriosa operatrice. Essa sceglie lana e lino per confezionare (‘āśāh) vestiti<br />

(v.13, cf 24a): con mani «industriose», ossia con l’impegno delle sue mani (b e Ðefeê, inteso<br />

come «affare» o «faccenda», cf Qo 3,1.17; 5,7 o Is 58,3.13: «fare affari»), o «con gioia»,<br />

volentieri (Ðefeê, come «volontà, piacere», Alonso, Plöger, RSV). Forse, meglio, «secondo<br />

il progetto», che le sue mani realizzano; è il senso dinamico che sembra più adatto a esprimere<br />

Ðefeê (cf Is 55,11; Sal 115,3; Qo 8,3: verbo; Is 44,28; 46,10s: piano o progetto di Dio<br />

e Ciro uomo del suo progetto); la sua attività risponde a un progetto, a un disegno. Potremmo<br />

anche intendere: «e (le) confeziona con la maestria delle sue mani», cioè con mani abili.<br />

L’accento è sui due verbi: scegliere (dāraš) o cercare, procurarsi (più che comperare), e<br />

fare: attività intellettuale e pratica, così come mira/esamina (un campo), compera, quindi<br />

pianta (v.16).<br />

b) È oculata imprenditrice sul mercato. L’immagine del mercante (v.14), sôhēr, anticipa<br />

il buon affare (sahar, v.18). E il capitale, il «frutto delle sue mani», cioè il guadagno che<br />

proviene dalla sua attività, è reinvestito in un campo (v.16). Anche la sapienza produce<br />

«frutti»: ricchezza e gloria, solida fortuna e giustizia (o elemosina), un frutto migliore<br />

dell’oro e dell’argento (Prov 8,18s, cf Sir 24,17ss). È un bene produttivo.<br />

«Lontano più delle perle», cioè «superiore» rispetto ad esse, è il suo valore, «da lontano»<br />

(mimmerÐÂq) importa le provviste o il grano (leÐem, v.14), che essa stessa distribuisce<br />

alla famiglia (bêt, v.15) 20 . Così la sapienza invia le sue serve perché invitino gli inesperti a<br />

mangiare il suo pane (leÐem) e bere il suo vino (Prov 9,3-5). Si discute se l’avverbio «da<br />

lontano» alluda a cibi esotici o esalti la grandiosità della nave (cf l'immagine di una nave<br />

fenicia in Ez 27). Richiama certamente il saggio che viaggia tra popoli stranieri, ampliando<br />

l’esperienza, in base alla quale è in grado di investigare bene e male (Sir 34,9-13; 39,4cd); e<br />

il suo insegnamento «brilla lontano» (24,32). Similmente la sapienza è internazionale: percorre<br />

tutto il cosmo, «su tutta la terra, su ogni popolo e nazione prende dominio» (Sir 24,6);<br />

essa contiene un’esperienza molteplice che può comunicare (Sap 8,8).<br />

In v.15c Ðãq potrebbe essere inteso come «ordine, comando»: «dà il pane e (dà) ordini<br />

(Ðãq) alle serve» (LXX ha hñãá; Vulgata “cibaria”). Può essere inteso anche come «parte,<br />

porzione» (cf Prov 30,8 leÍem ÍuqqÔ), in parallelo con ìÊrÊp. In tal caso, anche alle serve<br />

viene data la loro porzione; nessuno è trascurato. L’amministratrice previdente e vigile (cf<br />

v.27) è attenta a tutti, vera padrona di casa che mantiene e dirige la famiglia. Lo stico è discusso,<br />

ma il senso è buono; prepara l’attenzione ai poveri di v.20. Il verso è l’unico a tre<br />

stichi e le serve non vengono più nominate, diversamente da «casa». Ma potremmo dire lo<br />

stesso dei figli ricordati solo alla fine (v.28).<br />

20 Alonso Schökel traduce bêt con «servitù» (cf vv.21 e 27), in parallelo con «serve» (na‘ărôt), ma non sembra<br />

necessario restringere il senso. ìÊrÊp, letteralmente «preda», riferito al cibo può essere collegato all’alacre ricerca<br />

del cibo per la famiglia.<br />

21


c) L’attività è costante, instancabile, addirittura frenetica: si alza presto al mattino<br />

(v.15a), fa tardi di notte (v.18b); mani laboriose e abili, braccia forti e fianchi poderosi sono<br />

sempre all’opera (v.17).<br />

3. Le mani tese e aperte (vv.19-20)<br />

Uniti da un chiasmo che continua il tema delle mani, i due versetti coniugano la laboriosità<br />

con la generosità. Il frutto delle sue mani non si limita al guadagno e al mercato, esso comprende<br />

l’indirizzo del povero. L’abile filatrice che «protende le mani al fuso», «protende le<br />

mani al povero», il palmo che afferra il fuso si apre verso il bisognoso, per donare o per accogliere.<br />

La terminologia di v.19 è difficile, ma il riferimento all’arte del filare è ben individuabile:<br />

kîšôr è un apax che gli autori hanno tradotto con «conocchia» o «rocca» (Plöger, Alonso,<br />

Mc Kane, Whybray, TOB); pelek ricorre in 2Sam 3,29 e Ne 3,9.18 con il significato di<br />

«distretto»; è tradotto con «fuso» o «rocca» (cf Ugaritico plk, «fuso»).<br />

4. Attività - secondo quadro (vv.21-27)<br />

I vv.21-25 concentrano il fare sul vestire con una progressione: dall’aspetto fisico (vv.21-<br />

22) a quello metaforico (v.25), che si accorda con il marito rinomato nella città (v.23). Il<br />

tema del mercato è nel v.24.<br />

a) I vestiti che la donna confeziona (cf v.13) servono anzitutto per la famiglia e per sé.<br />

La sua previdenza permette alla famiglia di non temere l’inverno, perché tutti hanno vestiti<br />

«doppi» o «foderati» (se leggiamo šenayim, con LXX, cf Alonso e Cei), o (mantenendo il<br />

TM) vestiti «scarlatti», cioè di lana pregiata, quindi di fine qualità (RSV, Bonora, Plöger,<br />

McKane, Dahood). Oltre al cibo (v.15), essa procura vestiti per la sua casa; perciò la famiglia<br />

intera la loda (v.28). Anche per sé riserva materiale elegante e prezioso: coperte (marbaddîm,<br />

parola rara, cf Prov 7,16 e 2 Sam 17,28 LXX), o forse mantelli (cf Virolleaud citato<br />

da Dahood) e vestiti di lino e porpora, che sottolineano l’eleganza 21 .<br />

b) Altre confezioni le vende al mercante (lett. «cananeo», v.24): sādîn (cf Gdc 14,12s; Is<br />

3,23: tele di lino o lenzuola, Alonso, cf LXX σινδόνας; biancheria intima, Plöger; vestiti,<br />

McKane) e cinture. Il verso ripete termini della prima parte: mākar, vendere; ‘aśāh, fare;<br />

ÐÂgãr, cinture; si noti anche il legame con il v.16: essa «prende» e «dà», ossia compera (il<br />

campo) e vende. È il mercato che integra l’economia familiare.<br />

c) La terza menzione del vestito (v.25) è metaforica: «forza e dignità (‘oz-wehādār)» accentuano<br />

l’aspetto estetico; sono qualità interiori che acquistano rilevanza esterna (cf Sir<br />

26,16-18). Così essa può guardare al futuro con serenità (25b). Progressivamente si passa<br />

dalla famiglia al pubblico riconoscimento che inizia dalla fama del marito (v.23).<br />

Vi è un’allusione liturgica, come in Ben Sira che collega i termini alla sapienza e al saggio?<br />

«Forza» è in armonia con Ðayil; i due titoli sono riconosciuti a Dio in Sal 29, mentre<br />

«forza» è dono di Dio al popolo; anche Gerusalemme è invitata a rivestirsi di forza (Is<br />

52,1). In Sal 104,1 e Gb 40,10, una formula simile è riferita a Dio, rivestito di «maestà o<br />

splendore e bellezza» (hôd wehādār); così è il re, con la spada al fianco, che si prepara alle<br />

nozze: «è tuo sfarzo e tuo vanto (hôdkā wahadārekā)» (Sal 45,4).<br />

21 Lino e porpora sono usati negli ornamenti sacerdotali (Es 28,6.39), come ricorda Alonso, seguendo Fra Luis.<br />

In Sir 6,30s i legami della sapienza sono una «cintura di porpora» e il saggio indosserà una veste splendida<br />

(kabôd, “gloria”) e si incoronerà di corona con diadema: le immagini riflettono le vesti sacerdotali (in Sir 45,7-<br />

13 Aronne ha la cintura di porpora e, in 6,12, vi è il diadema con inciso il nome di JHWH). Il saggio ha perciò la<br />

gloria del sommo sacerdote: è simile alla S stessa che «ha ufficiato nella tenda santa» (Sir 24,10). Cf M.<br />

GILBERT, «La sequela della Sapienza. Lettura di Sir 6,23-31», PSV 2 (1980) 53-70.<br />

22


d) Il v.23, probabilmente per esigenze di acrostico, anticipa la lode familiare e pubblica:<br />

dalla casa si passa alle «porte», centro della vita sociale, dove le opere loderanno la donna.<br />

È il luogo dove la sapienza pronuncia il suo discorso (Prov 1,21) e offre il suo insegnamento<br />

(8,3). Là il marito, grazie alle qualità della moglie, siede «riconosciuto», cioè stimato e<br />

onorato, tra gli anziani della «città» 22 . Anche la donna sarà lodata alle porte, cioè «in pubblico»<br />

(v.31). In Prov 12,4 la buona moglie era «corona del marito»; al contrario, il marito<br />

di una moglie perversa «tra i compagni siede, e senza accorgersi (o senza potersi contenere)<br />

si lamenta» (Sir 25,18).<br />

I vv.26-27 concentrano l’attenzione sulla bocca e gli occhi, accentuando la terminologia sapienziale.<br />

Dopo il fare, la donna, sapiente nelle parole e vigilante, offre un’ulteriore lezione<br />

di vita pratica e il senso di responsabilità. I due versetti sono legati da un gioco di parole.<br />

«La sua bocca parla con sapienza (cf Sal 49,4), sulla sua lingua è un insegnamento leale<br />

(tãrat Íesed)». Il senso di tôrāh è «insegnamento o istruzione», come in tutto il libro di Proverbi<br />

23 ; Íesed indica uno stile senza designare i destinatari. La lealtà crea persuasione e credibilità,<br />

donde «insegnamento persuasivo»; in Mal 2,6 tôrat ’emet è opposta a «falsità di<br />

labbra» 24 . Sembra utile il paragone con Prov 8,6ss, dove la sapienza rivolge la sua parola<br />

agli uomini e presenta i motivi di credibilità, insistendo sugli organi della parola per designare<br />

la sua lealtà e verità. Whitley, «acceptable teaching», sostiene che la radice esprime<br />

l’idea di forza, fino a includere nozioni come fortezza, confidenza, risolutezza; nel nostro<br />

caso si tratta di un insegnamento che ottiene rispetto e si impone con la forza della persuasione<br />

(cf «argomenti persuasivi», Bonora, Wolters) 25 .<br />

êãpijjÀ è un participio femminile, anziché un perfetto come i verbi precedenti (LXX fa<br />

del verbo un predicato nominale, Vg lo traduce al perfetto: consideravit). Wolters suppone<br />

un deliberato gioco di parole con il greco σοφία. La donna parla con sapienza persuasiva e<br />

sofia è l’andamento della sua casa. Essa rappresenta la sapienza in parole e opere 26 . Conformemente<br />

alla descrizione precedente (vv.15 e 18), la donna è una «sentinella» sempre<br />

vigile sull’andamento (halîkôt), cioè sugli affari e sulla condotta della casa, intesa globalmente:<br />

servitù, famiglia, situazioni. Perciò il pane che mangia è ben guadagnato, non mangia<br />

a ufo, senza lavorare (lett. «pane di indolenza»). In Prov 19,15 l’indolente patisce la fame;<br />

e Paolo avverte: «Chi non lavora non mangi» (2 Ts 3,10).<br />

5. La lode della famiglia (vv.28-29)<br />

Il pubblico riconoscimento della donna inizia dalla sua famiglia (vv.28-29): «alzarsi» è atto<br />

pubblico (vv.23.31, cf Sal 1,5; Gb 29,7s). In Sal 127,4-5 i figli sono la «riserva» a difesa del<br />

padre, ora la lode è riservata alla madre (cf Lc 7,35: «La sapienza è stata giustificata da tutti<br />

i suoi figli»). Se essa «si alza» quando è ancora notte (v.15), ora figli e marito «si alzano»<br />

22<br />

(’ereî, con Dahood; sembra utile confrontare l'espressione con Na 3,13: ša`arê ’ereî, «porte della città», con le<br />

«spranghe», in parallelo con «fortezze»; altri intendono ’ereî come «distretto», «circoscrizione» o «paese» o più<br />

genericamente «luogo»; una simile scena è in Gb 29,7-10.21.<br />

23<br />

Cf J. JENSEN, The Use of tôrâ by Isaiah. His Debate with the Wisdom Tradition, CBQMA 3, Washington<br />

1973, pp. 28-44.<br />

24<br />

Una simile accentuazione è in M. WAEGEMAN, The Perfect Wife of Proverbia 31,10-31, p.105: «Quando essa<br />

apre la sua bocca è per parlare con sapienza, e lealtà è il tema del suo insegnamento. La donna modello di<br />

Proverbi è intelligente e autosufficiente (selfsupporting), una mulier fortis in ogni senso della parola».<br />

25<br />

C.F. WHITLEY, The Semanic Range of Ðesed, Bib 62 (1981) 519-526. La sfumatura di tôrat hesed è resa in diversi<br />

modi: «ammaestra con bontà» (Alonso, cf «freundliche Weisung» [istruzione piacevole] Plöger; «dà lezione<br />

con gentilezza» TOB, «dottrina di bontà» Barucq), «insegnamento equilibrato» (Mc Kane).<br />

26<br />

A. WOLTERS, ªôpiyyâ (Prov 31,27) as Hymnic Participle and Play on Sophia, JBL 104 (1985) 577-587, che<br />

riconosce nel verbo un carattere innico, datando il poema al III sec. a.C.; i LXX non avrebbero inteso il<br />

riferimento.<br />

23


(il verbo vale per ambedue) per congratularsi con lei e tesserne le lodi, riconoscendone<br />

l’efficienza e il valore: Íayil in senso ampio. La ºešet Ðayil «ha compiuto Ðayil», cioè «cose<br />

eccellenti» oppure «ha lavorato strenuamente» o «ha agito con sapienza», «ha procurato<br />

ricchezze» 27 . Il testo fa inclusione con i vv.10-11 ripredendone i temi essenziali: il riferimento<br />

al marito che gode dei beni procurati dalla moglie, Ðayil nel senso di un profitto, la<br />

superiorità della protagonista.<br />

6. Conclusione generale: invito alla lode pubblica (vv.30-31)<br />

La lode si prolunga nei versi finali: il poeta (o la famiglia) interpella l’assemblea mediante<br />

un principio che diventa ulteriore esaltazione e riconoscimento della protagonista e<br />

un’esortazione (vv.30-31). Il vero valore di una donna non consiste nella grazia e bellezza,<br />

bensì nel rispetto del Signore («timor di Dio», v.30). È atto religioso integrato nel momento<br />

sapienziale e primo valore: «Principio della sapienza è il rispetto del Signore» (Prov 1,7, cf<br />

8,13 e il climax di Sir 25,7-11; 40,18-27). Come in precedenza le qualità pratiche erano unite<br />

alla solidarietà verso il povero, così ora l’aspetto religioso completa il quadro<br />

dell’attività. L’affermazione vale come riferimento ultimo 28 .<br />

Grazia e bellezza, sia pur apprezzate in Sir 26,13-18, sono ingannevoli e fugaci (lett.<br />

menzogna e soffio, šeqer, hebel). Prov 6,25 ammonisce:<br />

Il tuo cuore non brami la sua bellezza (= della donna perversa-straniera),<br />

non farti accalappiare dai suoi sguardi.<br />

E Ben Sira aggiunge:<br />

Non inciampare nella bellezza di una donna (Sir 25,21).<br />

Tuttavia, non manca l’aspetto estetico nell’eleganza del vestire che mostra buon gusto<br />

(v.22: lino e porpora) e si coniuga con forza e dignità (v.25, cf Sal 45,4).<br />

L’esortazione finale riassume il duplice tema del frutto-guadagno e dell’operare: «Lodatela<br />

29 per il frutto delle sue mani (mipperî jadêhā), la lodino alle porte le sue opere<br />

(ma‘ăśêhā)» (v.31). L’invito a lodare è confermato dal suo stesso lavoro: «Con il suo lavoro<br />

si è costruita un pubblico monumento di lode» (Bonora). In modo simile, nel vangelo si<br />

afferma che «alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt 11,19), ossia il giusto<br />

riconoscimento.<br />

4. Sintesi e interpretazione<br />

Il poema presenta il quadro di una buona ed efficiente padrona di casa: una buona massaia,<br />

amministratrice accorta, previdente e intraprendente, instancabile nel suo «fare»; vigile ne-<br />

27 L’espressione `āśā Ðayil può significare «esercitare il potere» (Nm 24,18); «compiere prodezze o grandi, potenti<br />

cose» (1Sam 14,48; Sal 60,14; 104,14; 118,15-16); «guadagnare, ammassare ricchezze» (Dt 8,17.18; Ez<br />

28,4; Rut 4,11, cf anche Gn 12,5; 31,1; Is 15,7; Ger 17,11; 48,36; Ez 22,13; 38,12; 2Cr 32,29); «lavorare strenuamente»<br />

(cf Zorell, Lexikon). In Proverbi, che forma inclusione con il v.10, si può tradurre: «hanno compiuto<br />

cose valide, eccellenti», o «hanno ammassato o prodotto ricchezza», in armonia con l’attività imprenditoriale ed<br />

economica del contesto (cf L. ALONSO SCHÖKEL, Proverbi, p. 627). Per il senso di Ðayil, cf H. EISING, Ðayil, in<br />

G.J. BOTTERWECK – H.RINGGREN (edd.), Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament, II, Stuttgart-Berlin-<br />

Köln-Mainz, pp. 902-911.<br />

28 A. ROFÉ, ´ēšet Ðayil, ãõíx óõíåôÞ and the Editing of the Book of Proverbs, pp. 382-390 (in ebraico), propone<br />

di leggere non “timore-rispetto del Signore”, ma ’îššâ maśkelet, “donna saggia”, con LXX 30b (gunh. ga.r suneth.<br />

euvlogei/tai), perché óõíåôÞ (= śkl) nei LXX spesso corrisponde a Ðayil; si tratterebbe di un errore dello<br />

scriba, poiché il «timor di Dio» è fuori posto. Ma la scelta di Proverbi potrebbe essere intenzionale.<br />

29 Tenû-lāh, imperativo piel di tānāh nel significato di “cantare, dar lode” (cf Gdc 5,11; 11,40), con G.R. DRIVER,<br />

L’interpretation du texte masorétique à la lumière de la lexicographie hébraique, ETL 26 (1950) 337-353<br />

(seguito da Plöger, Alonso Schökel, Bonora, Whybray). Altri autori considerano t e nû come imperativo di nātan,<br />

«date»: «Date(le) (qualcosa) del frutto delle sue mani» (Gemser: «Gebt ihr von der Frucht ihrer Hände»).<br />

24


gli affari, che cura l’andamento della casa. Unisce progetto e azione, pensa e pianifica: sceglie<br />

e lavora, valuta e compera, tende le mani al povero e apre la bocca con sapienza e lealtà,<br />

sorveglia e nutre. È intelligente e autosufficiente, capace di mantenersi da sé, una mulier<br />

fortis in ogni senso della parola.<br />

L’espressività è concentrata nei simboli corporei, soprattutto mani e braccia robuste e tese,<br />

fianchi cinti, ma anche bocca che parla con sapienza e autororevolezza, sguardo vigile,<br />

vestito che esprime eleganza e dignità. L’attività rivela la sollecitudine per tutta la famiglia,<br />

compresa la servitù, e l’attenzione ai bisognosi. E superiore a ogni qualità è il rispetto del<br />

Signore che informa tutta la sua attività 30 .<br />

Il quadro generale però è ben poco romantico (Wibray). Sembra ignorare l’amore e l’affettuosità,<br />

e la bellezza è appena adombrata nei vestiti e nel portamento. Questa donna è sostegno,<br />

appoggio, nutrimento più che tenerezza (cf la sapienza in Sir 15,1ss), investimento<br />

economico, dirigente della casa-azienda più che compagna di vita. D’altra parte, il marito,<br />

che si fida di lei, è impegnato fuori casa, alla porta. Si tratta di un maschilismo terribile<br />

(Garbini) o di un realismo ottimista (Alonso–Vilchez)? Il quadro è ben lontano dal desiderio<br />

ardente di Ben Sira (51,13-20) o dalla dolcezza che emana dal libro della Sapienza: «Riposerò<br />

vicino a lei, perché la sua compagnia non dà amarezza, ma contentezza e gioia»<br />

(8,16).<br />

Una prima risposta a questa obiezione ci può venire dalla lettura dell’intero libro. Il canto<br />

finale completa un quadro in cui l’aspetto affettivo era rimarcato. In Prov 5,15-19, la<br />

moglie, con un linguaggio più affine al Cantico, appare cisterna e sorgente, cerva amata e<br />

graziosa gazzella, le cui carezze inebriano e il cui amore affascina. Qui prevale l’aspetto economico<br />

e sociale, ma il marito affida tutto alla moglie, per questo alle porte può sedere attendendo<br />

alle cose pubbliche con una riconosciuta onorabilità.<br />

Per quanto minore sia l’affettività qui espressa, oltre alla ricordata Abigail, la figura di<br />

Rut sembra vicina al nostro poema, anzi potrebbe rappresentarne la sintesi. Il suo libro infatti,<br />

nel Testo Masoretico ebraico, segue immediatamente a quello di Proverbi e descrive<br />

una figura emotiva, nonostante le preoccupazioni legali. Booz riconosce nei suoi gesti e nelle<br />

sue parole un atto di Ðesed, bontà-lealtà, verso la comunità (3,10, cf Prov 31,26), e la loda:<br />

«Ogni porta del mio popolo sa che tu sei una ’ešet Ðayil» (3,11). Alle porte avviene la<br />

sua scelta con la testimonianza di tutto il popolo e degli anziani (Rut 4,1-2.11). Essa si dimostra<br />

anche molto pratica e abile nel realizzare il suo intento: è intraprendente nel lavoro,<br />

raccogliendo spighe da mattina a sera, e la gente alla fine augura al marito che la moglie gli<br />

“procuri beni-ricchezze” 31 .<br />

P. Joüon ha notato che la maggioranza delle forme verbali utilizzate «indicano chiaramente<br />

la sfera del passato». Il testo originale doveva dunque riferirsi a una donna defunta,<br />

lodata dal marito e dai figli, una specie di elogio funebre che ne esalta la laboriosità e i buoni<br />

frutti dell’opera 32 .<br />

30 Cf anche M. CHOLIN, «Structure de Proverbes 31,10-31», RB 108 (2001) 331-348: la sapienza della donna è<br />

idealizzata e consiste nell’armonia di varie e complementari virtù.<br />

31 Cf M. MILANI, Il poema acrostico di Proverbi 31,10-31 e il libro di Rut. Un’interpretazione del Testo Masoretico?,<br />

in R. FABRIS (a cura di), Initium Sapientiae (Scritti in onore di Franco Festorazzi nel suo 70° compleanno),<br />

Dehoniane, Bologna 2000, pp.65-74.<br />

32 P. JOÜON, «Les temps dans Proverbes 31,10-31 (La Femme Forte)», Bib 3 (1922) 349; così B.D. DIANZON,<br />

«Prov 31:10-31: A Laudatio Funebris?», Landas 17 (2003) 51-69. Sembrano meno plausibili le tesi di E.L.<br />

LYONS (A Note on Proverbs 31.10-31, in K.G. HOGLUND et al. (edd.), The Listening Heart. Essays in Wisdom<br />

and the Psalms in Honor of Roland E. Murphy, JSOT Suppl. Series 58, Sheffield 1987, 237-245) che vede nella<br />

figura della buona moglie l’immagine di una matriarca pre-monarchica, simile per molti aspetti al quadro postesilico;<br />

e di M.B. CROOK (The Mariageable Maiden of Prov 31,10-31, JNES 13 [1954] 137-140) che considera il<br />

poema una specie di programma rivolto alle ragazze di un ceto sociale elevato. Infatti, non è rivolto solo alle<br />

donne, è figura anche del saggio.<br />

25


Possiamo dunque rilevare nel poema un accordo sostanziale con l'ideale di moglie inteso<br />

nella società che, senza negare l'affettività, la bellezza e l’eleganza, pone come prima qualità<br />

il timor di Dio e la cura della casa. È un ritratto idealizzato, ma anche realistico, non introvabile.<br />

Nella moglie ideale è riflessa la sapienza? Alonso Schökel ritiene che il senso trascendente<br />

è frutto di una lettura simbolica posteriore, che può avere una sua giustificazione ermeneutica.<br />

M. Gilbert afferma che «non è stato ancora dimostrato che il poema di Pro<br />

31,10-31 debba essere riferito alla Sapienza» 33 .<br />

In realtà, un legame tra la sapienza dei primi capitoli e la figura femminile conclusiva<br />

non sembra escluso: il testo inserisce la donna «industriosa» come metafora per uno sguardo<br />

sintetico e globale a tutto ciò che la sapienza compie 34 . Sembra dunque giustificato riconoscere<br />

in essa anche un significato simbolico. Nel corso dell’analisi sono emerse allusioni<br />

e paralleli più o meno velati con aspetti della sapienza come bene produttivo con funzione<br />

pratica che realizza la vita del marito-discepolo: la preziosità, l’efficacia della sua azione, i<br />

frutti, il mercato «lontano», il discorso sapiente e la rilevanza pubblica, la gloria e la ricchezza<br />

che essa comporta, il timor di Dio come qualità preminente. Ciò appare in Prov 1-9,<br />

ma anche in altri autori sapienziali, come Ben Sira, che conclude il suo libro, ispirato al<br />

modello di Proverbi, con un inno acrostico alla sapienza sposa in termini particolarmente<br />

affettivi (Sir 51,15-30) 35 . Evidentemente egli già interpreta il canto alla «buona-valida»<br />

moglie come inno alla sapienza.<br />

Bonora, Barucq, Mc Creesh riconoscono nel poema anche la figura emblematica del<br />

saggio: al saggio tipo si riferirebbero le doti attribuite alla donna, nella quale è raffigurato<br />

un paradigma. Perciò la «donna forte», meritevole dell’elogio alle porte della città, deve<br />

servire da esempio per tutti, uomini e donne: «Partendo da queste premesse, niente impedisce<br />

di affermare che la “donna forte” di Pro 31 è figura del sapiente autentico» 36 . Questo è<br />

soprattutto il «frutto» che la sapienza offre ai suoi «figli». In primo luogo, occorre affidarsi<br />

ad essa, confidare in lei come sposa.<br />

In conclusione, l’autore parte da un certo ideale di moglie del tempo (da leggere alla luce<br />

dell’intero libro), per delineare i tratti di una persona concreta, che il TM ravvisa particolarmente<br />

nella figura di Rut. Ma riflette anche i caratteri del saggio e della sapienza che, in<br />

Prov 1-9, si presentava con accenti profetici (Prov 1,20-33) e come maestra di vita, mediatrice<br />

nelle relazioni umane e tra l’uomo, Dio e l’ordine cosmico (Prov 8,1-36), e si propo-<br />

33 Cf M. GILBERT, La donna forte di Proverbi 31,10-31: ritratto o simbolo?, in G. BELLIA - A. PASSARO (cur.),<br />

Libro dei Proverbi. Tradizione, redazione, teologia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 161. L. ALONSO<br />

SCHÖKEL, Proverbi, p. 629, considera più valido un confronto con Sal 104 e nega, giustamente, un riferimento a<br />

Gerusalemme: «non supera la semplice possibilità metaforica, che ha bisogno di un contesto per attualizzarsi».<br />

34 Cf J. HAUSMANN, Beobachtungen zu Spr 31,10-31, Stuttgart 1992, pp. 261-266; così anche Camp, McCreesh<br />

(cf bibliografia, p. 44: il quadro è talmente unico che la donna è primariamente un simbolo o tende ad esserlo; la<br />

domanda iniziale: «chi la può trovare?» non è soltanto un interrogativo retorico, ma propone un ÐÔdÂh), Barucq,<br />

Bonora; e P. BEAUCHAMP, L’un e l’autre Testament. Essai de lecture, Paris 1976, p. 166; P.-E. BONNARD, De la<br />

sapesse personnifiée à la sapesse en persone, in M. GILBERT, (ed.), La Sagesse de l’Ancient Testament, BETL,<br />

51), Gembloux-Leuven 1979,128; J.-N. ALETTI, Seduction et Parole en Proverbes I-IX, VT 27 (1977) 129-144:<br />

afferma che «in Prov I-IX il saggio fa parlare la sapienza, ma non le fornisce un supporto simbolico che si trova<br />

precisamente alla fine del libro dei Proverbi nella persona della donna di valore» (p.144 e 142, n. 31); per N.<br />

GUTSTEIN, «Proverbs 31: 10-31: The Woman of Valor as Allegory», JBQ 27 (1999) 36-39, l’autore intende il testo<br />

come una allegoria, «un poema che esalta le virtù, la bellezza e i vantaggi non di una buona moglie, ma della<br />

sapienza personificata come una donna».<br />

35 Su questo testo, cf J.A. SANDERS, The Psalms Scroll of Qumrâm Cave 11 (11QPs a ), DJD 4, Clarendon, Oxford<br />

1965, pp. 70-85; P.W. SKEHAN, The Acrostic Poem in Sirach 51,13-30, HTR 64 (1971) 387-400 con le revisioni<br />

di A.A. DI LELLA, The Wisdom of Ben Sira (AB 39), Doubleday, New York 1987; I. RABINOWITZ, The Qumran<br />

Hebrew Original of Ben Sira’s Concluding Acrostic on Wisdom, HUCA 42 (1971) 173-184.<br />

36 Cit., p. 164.<br />

26


neva come fonte di vita, autentica «donna della giovinezza» in cui bisognava confidare con<br />

fedeltà, opponendosi alle donne/culture straniere, seducenti, ma devianti e portatrici di morte<br />

(Prov 5,15-22; 7; 9,1-6.13-18). Nel contesto attuale, a conclusione del libro di Proverbi,<br />

non si può escludere un valore simbolico inteso della sapienza e del saggio; si deve riconoscere<br />

almeno un valore polisemico 37 . Esso riassume il patrimonio sapienziale racchiuso nel<br />

libro che ormai costituisce un tutto organico.<br />

Il NT concentra la medesima lode e il riconoscimento pubblico a Gesù-Sapienza: egli<br />

«sarà giustificato da tutti i suoi figli (Lc 7,35, cf Prov 31,28), dalle sue opere (Mt 11,19, cf<br />

Prov 31,31)».<br />

Bibliografia<br />

A. BONORA, La donna eccellente, la sapienza, il sapiente (Pr 31,10-31), RivBibIt 36 (1988) 137-164.<br />

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Leumann (TO) 1985, 46-51.<br />

J. CANTO RUBIO, Doni e grazia (Prov 31,10-13.19-20.30-31), in PAF (Parola Assemblea Festiva), 31(1970), 15-<br />

21.<br />

M. CHOLIN, «Structure de Proberbes 31,10-31», RB 108 (2001) 331-348.<br />

M.B. CROOK, The Mariageable Maiden of Prov 31,10-31, JNES 13 (1954) 137-140.<br />

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D.N. FREEDMAN, Acrostics and Metrics in Hebrew Poetry, HThR 65 (1972) 367-392 (sul nostro testo).<br />

G. GARBINI, Proverbi per un anno. Il libro dei Proverbi e il Calendario, Henoch 6 (1984) 139-146; ID., Le serie<br />

alfabetiche semitiche e il loro significato, AION 42 (1982) 403-411.<br />

I.J.P. GOUS, Proverbs 31:10-31: The A to Z of Woman Wisdom, Old Testament Essays 9 (1996) 35-51.<br />

N. GUTSTEIN, «Proverbs 31: 10-31: The Woman of Valor as Allegory», JBQ 27 (1999) 36-39.<br />

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Sem., 1995. 276 p. (dir. R.B. Zuck) –– DissAbstr 56 (1995-96), n. 7,2727.<br />

IDEM, The Wife of Noble Character in Proverbs 31:10-31, BS (Bibliotheca Sacra, Dallas Theological Seminary)<br />

153 (1996) 12-23.<br />

V. A. HUROWITZ, The Seventh Pillar – Reconsidering the Literary Structure and Unity of Proverbs 31, ZAW 113<br />

(2001) 209-218.<br />

M. GILBERT, La donna forte di Proverbi 31,10-31: ritratto o simbolo?, in G. BELLIA - A. PASSARO (cur.), Libro<br />

dei Proverbi. Tradizione, redazione, teologia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, pp. 147-167.<br />

E. JACOB, Sagesse et Alphabet. A propos de Prov. 31,10-31, Mélanges à André Dupont-Sommer, Paris, 1971, pp.<br />

287-295.<br />

P. JOÜON, Les temps dans Proverbes 31,10-31 (La Femme Forte), Bib 3 (1922) 249-352.<br />

Y. LEVIN, «The Woman of Valor» in Jewish Ritual (Prov 31:10-31), Beth Mikra 31 (1985) 339-347 (in ebraico).<br />

M.H. LICHTENSTEIN, Chiasm and Symmetry in Proverbs 31, CBQ 44 (1982) 202-211.<br />

E.L. LYONS, A Note on Proverbs 31.10-31, in K.G. HOGLUND et al. (edd.), The Listening Heart. Essays in Wisdom<br />

and the Psalms in Honor of Roland E. Murphy, JSOT Suppl. Series 58, Sheffield 1987, 237-245.<br />

T.P. MCCREESH, Wisdom as Wife: Proverbs 31:10-31, RB 92 (1985) 25-46.<br />

M. MILANI, Elogio della donna sapienza (Prov 31,10-31), in A. BONORA – M. PRIOTTO (edd.), Libri Sapienziali e<br />

altri scritti (Logos 4), LDC, Leumann (TO) 1997, pp. 209-221;<br />

IDEM, Il poema acrostico di Proverbi 31,10-31 e il libro di Rut. Un’interpretazione del Testo Masoretico?, in R.<br />

FABRIS (ed.), Initium Sapientiae. Scritti in onore di Franco Festorazzi nel suo 70° compleanno, EDB, Bologna<br />

2000, pp.65-74.<br />

A. ROFÉ, ’ēšet Ðayil, ãõíx óõíåôÞ and the Editing of the Book of Proverbs, in Z. Talshir – Sh. Jona – D. Silvan<br />

(edd.), Hommage to Shmuel: Studies in the World of the Bible, Bialik, Jerusalem 2002, pp. 382-390 (in<br />

ebraico).<br />

CH. ROY YODER, «The Woman of Substance. A Socioeconomic Reading of Proverbs 31: 10-31», JBL 122<br />

(2003) 427-447.<br />

H.P. RÜGER, Zum Text von Prv 31,30, Die Welt des Orients 1 (1969) 96-99.<br />

37 Cf M. GILBERT, cit, ammette che il ritratto, idealizzato ma reale, della donna di Proverbi 31 possa realizzare<br />

«nella sua persona e nella sua azione, ma al livello che le è proprio, quel che Donna Sapienza ispira nel mondo,<br />

nella società e nel cuore di ciascuno, cioè l’equilibrio e la vera felicità. Ma una tale affermazione può essere suggerita<br />

solo da una lettura canonica, attenta alle analogie di situazione» (p. 167).<br />

27


M. WAEGEMAN, The Perfect Wife of Proverbia 31,10-31, in K.D. SCHUNK - M. AUGUSTIN (edd.), Goldene Appel<br />

in silbernen Scholen, Frankfurt aM. 1992, 101-107.<br />

A. WOLTERS, Nature and Grace in the Interpretation of Proverbs 31:10-31, Calvin Theological Journal 19<br />

(1984) 153-166; IDEM, ṢÔPIYYÂ?(Prov 31,27) as Hymmnic Participle and Play on Sophia, JBL 104 (1985)<br />

577-587; ID, Proverbs XXXI 10-31 as Heroic Hymn: a Form-Critical Analysis, VT 38 (1988) 446-457.<br />

Commentari su Proverbi<br />

G BERNINI, Proverbi (NVB), Roma 1978;<br />

A. BARUCQ, Le livre des Proverbs (SB), Paris 1964;<br />

R.B.Y. SCOTT, Proverbs, Ecclesiastes (AB 18), Doubledey, New York 1965;<br />

W. MCKANE, Proverbs. A New Approach, London 1970;<br />

O. PLÖGER, Sprüche Salomos (Biblischer Kommentar XVII/1) Neukirchen Vluyn 1981-4;<br />

L. ALONSO SCHÖKEL - J. VILCHEZ LINDEZ, I Proverbi, Borla, Roma 1988 (ed. Spagnola Ediciones Cristiandad,<br />

Madrid 1984);<br />

R.N. WHYBRAY, The Book of Proverbs (The Cambridge Bible Commentary), University Press, Cambridge 1972;<br />

ID., Proverbs (The New Century Bible Commentary), Eerdmans Publishing Company, Grands Rapids 1994;<br />

cf ID. The composition of the Book of Proverbs (JSOTSuppl. 168) Sheffield Academic Press, Sheffield 1994.<br />

G. BELLIA-A. PASSARO, Libro dei Proverbi. Tradizione, redazione, teologia, Piemme, Casale Monferrato (AL)<br />

1999 (atti di un convegno a Palermo con interessanti contributi sulle principali tematiche);<br />

L. MAZZINGHI, Il libro dei Proverbi (Guide spirituali all’Antico Testamento), Città Nuova 2003.<br />

Per una presentazione del libro, cf anche: Il libro dei Proverbi, in Parole di vita n. 48 (1/2003).<br />

Appendice – La versione greca dei LXX<br />

LXX (ed Rahlfs) Traduzione Bonora<br />

31:10 gunai/ka avndrei,an ti,j eu`rh,sei<br />

timiwte,ra de, evstin li,qwn polutelw/n h`<br />

toiau,th<br />

11 qarsei/ evpV auvth/| h` kardi,a tou/ avndro.j auvth/j<br />

h` toiau,th kalw/n sku,lwn<br />

ouvk avporh,sei<br />

12 evnergei/ ga.r tw/| avndri. avgaqa. pa,nta to.n<br />

bi,on<br />

13 mhruome,nh e;ria kai. li,non evpoi,hsen<br />

eu;crhston tai/j cersi.n auvth/j<br />

14 evge,neto w`sei. nau/j evmporeuome,nh makro,qen<br />

suna,gei de. au[th to.n bi,on<br />

15 kai. avni,statai evk nuktw/n kai.<br />

e;dwken brw,mata tw/| oi;kw|<br />

kai. e;rga tai/j qerapai,naij<br />

16 qewrh,sasa gew,rgion evpri,ato<br />

avpo. de. karpw/n ceirw/n auvth/j katefu,teusen<br />

kth/ma<br />

17 avnazwsame,nh ivscurw/j th.n ovsfu.n auvth/j<br />

h;reisen tou.j braci,onaj auvth/j eivj e;rgon<br />

18 evgeu,sato o[ti kalo,n evstin to. evrga,zesqai<br />

kai. ouvk avposbe,nnutai o[lhn th.n nu,kta o`<br />

lu,cnoj auvth/j<br />

19 tou.j ph,ceij auvth/j evktei,nei evpi. ta. sumfe,ronta<br />

ta.j de. cei/raj auvth/j evrei,dei eivj a;trakton<br />

20 cei/raj de. auvth/j dih,noixen pe,nhti<br />

karpo.n de. evxe,teinen ptwcw/|<br />

21 ouv fronti,zei tw/n evn oi;kw| o` avnh.r auvth/j<br />

o[tan pou croni,zh|<br />

pa,ntej ga.r oi` parV auvth/j evndidu,skontai<br />

10 Chi troverà una donna virile?<br />

una donna così vale più di pietre preziose.<br />

11 Il cuore del marito si fa forte del suo appoggio;<br />

una donna così non mancherà di belle prede.<br />

12 Con vigore procura ogni bene al marito per la<br />

vita.<br />

13 Tessendo lana e lino, con le sue mani fa cose<br />

utili.<br />

14 si è fatta come nave che importa da lontano<br />

e si procura essa stessa da vivere.<br />

15 Si alza che è ancora notte<br />

e dà cibo alla famiglia<br />

e alle schiave i lavori.<br />

16 Visto un podere, lo compra,<br />

e investe il denaro frutto delle proprie mani.<br />

17 Con la veste saldamente legata in alto sui<br />

fianchi,<br />

solleva le sue braccia al lavoro.<br />

18 Ha gustato che è bello lavorare<br />

e non si spegne la sua lucerna per tutta la notte.<br />

19 Stende le braccia all’utile<br />

e mette mano al fuso.<br />

20 Apre le mani al povero,<br />

amplia il profitto al misero.<br />

21 quando si attarda in qualche posto, suo marito<br />

non si preoccupa di ciò che avviene in casa,<br />

perché tutti i suoi sono vestiti da lei.<br />

28


22 dissa.j clai,naj evpoi,hsen tw/| avndri. auvth/j<br />

evk de. bu,ssou kai. porfu,raj eàuth/| evndu,mata<br />

23 peri,bleptoj de. gi,netai evn pu,laij o` avnh.r<br />

auvth/j h`ni,ka a'n kaqi,sh| evn sunedri,w| meta. tw/n<br />

gero,ntwn katoi,kwn th/j gh/j<br />

24 sindo,naj evpoi,hsen kai. avpe,doto<br />

perizw,mata de. toi/j Cananai,oij<br />

25 sto,ma auvth/j dih,noixen proseco,ntwj kai. evnno,mwj<br />

kai. ta,xin evstei,lato th/| glw,ssh| auvth/j<br />

26 ivscu.n kai. euvpre,peian evnedu,sato<br />

kai. euvfra,nqh evn h`me,raij evsca,taij<br />

27 stegnai. diatribai. oi;kwn auvth/j<br />

si/ta de. ovknhra. ouvk e;fagen<br />

28 to. sto,ma de. avnoi,gei sofw/j kai. nomoqe,smwj<br />

h` de. evlehmosu,nh auvth/j avne,sthsen ta. te,kna<br />

auvth/j kai. evplou,thsan<br />

kai. o` avnh.r auvth/j h;|nesen auvth,n<br />

29 pollai. qugate,rej evkth,santo plou/ton<br />

pollai. evpoi,hsan dunata,<br />

su. de. u`pe,rkeisai kai. u`perh/raj pa,saj<br />

30 yeudei/j avre,skeiai kai. ma,taion ka,lloj gunaiko,j<br />

gunh. ga.r suneth. euvlogei/tai<br />

fo,bon de. kuri,ou au[th aivnei,tw<br />

31 do,te auvth/| avpo. karpw/n ceirw/n auvth/j kai.<br />

aivnei,sqw evn pu,laij o` avnh.r auvth/j<br />

22 Ha fatto vesti doppie per suo marito<br />

e per sé indumenti di bisso e di porpora.<br />

23 Suo marito è ammirato alle porte, quando siede<br />

in sinedrio con gli anziani del luogo-terra.<br />

24 Confeziona drappi e li vende,<br />

perizomi per i cananei (= mercanti).<br />

25 Apre la sua bocca con cautela e giustamente,<br />

ha munito la sua lingua di misura.<br />

26 È rivestita di forza e di decoro,<br />

si rallegra negli ultimi giorni.<br />

27 Sono severe le occupazioni delle sue case, non<br />

mangia cibi fastidiosi.<br />

28 Apre la bocca con saggezza e giustizia,<br />

l’elemosina ha rialzato i suoi figli dalla miseria e<br />

li ha arricchiti<br />

e suo marito la loda:<br />

29 «Molte figlie hanno procurato ricchezza, molte<br />

hanno fatto prodezze,<br />

ma tu sei al di sopra e tutte le superi».<br />

30 Ingannevoli sono le preoccupazioni di piacere<br />

e vana la bellezza della donna!<br />

Infatti la donna saggia sarà lodata;<br />

essa lodi il timore del Signore.<br />

31 Datele del frutto delle sue mani,<br />

e sia lodato alle porte suo marito.<br />

La LXX ha sottolineato più fortemente l’industriosità della donna, accentuando il motivo del lavoro:<br />

è «virile» (v.10), solleva le braccia al lavoro (v.17), gusta come è bello lavorare (v.18),<br />

tiene una casa piena di severe occupazioni (v.27). Inoltre è più marcato l’aspetto economico della<br />

sua attività: fa cose utili (v.13), investe denaro (v.16), stende le braccia all’utile (v.19), e non<br />

fa doni al povero ma amplia il suo profitto (v.20); non è lodata dai figli ma rialza i figli dalla miseria<br />

(v.28), ha procurato ricchezza (v.29). V. 25 modera l’ebraico: scompare l’accenno alla sapienza,<br />

sostituita dal motivo della «cautela» riflessiva e del discorso secondo giustizia, insieme<br />

con la misura imposta alla lingua: «Apre la bocca con cautela e giustamente, ha munito la sua<br />

lingua di misura». Alla fine, alla donna viene dato il frutto delle sue mani, ma la lode va al marito<br />

(v.31). Mentre l’ebraico sembra fare della donna una «maestra di sapienza», la versione greca<br />

riafferma implicitamente che la donna lavora soprattutto per il marito e la famiglia; infatti, non è<br />

lodata pubblicamente dal popolo, ma soltanto dal marito (v.28) e, alla fine, è il marito a essere<br />

lodato (v.21).<br />

In epoca ellenistica, la donna ebbe spesso una posizione di rilievo nella politica e nella società<br />

accanto all’uomo, e l’attività politica perdette il suo significato di forma superiore dell’umano<br />

38 . Da queste osservazioni, Bonora suggerisce che l’accentuazione, nella LXX, dell’attività<br />

commerciale e della ricerca della ricchezza da parte della donna è forse una risposta ebraica<br />

«tradizionale» alla sfida dell’ellenismo, dando un tono più realistico al suo ritratto. L’ideale di<br />

donna ebraica non è segregata in casa né «congelata» nel ruolo di sposa e di madre, ma non ha<br />

un ruolo politico alla pari del marito. Bisogna ricordare però che al tempo dei Maccabei, la fondatrice<br />

della casa Asmonea fu proprio una donna, Alessandra, che riuscì ad emergere politicamente<br />

e a imporre il figlio come re e sommo sacerdote.<br />

38 Cf M. POHLENZ, L’uomo greco, Firenze 1976: «Furono soprattutto le donne uscite dalla stirpe macedone, fresca<br />

d’energie, a sfruttare la loro vitalità per conquistarsi delle posizioni di rilievo alle corti dei Diadochi. Particolarmente<br />

ad Alessandria d’Egitto» (p. 74).<br />

29


QOHELET<br />

Bibliografia<br />

L. DI FONZO, Ecclesiaste, Marietti, Torino 1967;<br />

G. RAVASI, Qohelet, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 4 2004;<br />

A. BONORA, Qohelet. La gioia e la fatica di vivere (LoB 1.15), Queriniana, Brescia 1987, pp. 44-50;<br />

IDEM, Il libro di Qohelet, Città Nuova, Roma 1991;<br />

V. D’ALARIO, Il libro di Qohelet. Struttura letteraria e retorica (Suppl. RivBibl 27), Dehoniane, Bologna 1992;<br />

N. LOHFINK, Qohelet, Morcelliana, Brescia 1997 (ed. Tedesca 1980);<br />

J. VILCHEZ, Qoèlet, Borla, Roma 1997 (ed. spagnola 1994): il più ampio commentario accessibile in lingua italiana,<br />

con una posizione media;<br />

R. LAVATORI – L. SOLE, Qohelet. L’uomo dal cuore libero, EDB, Bologna 1997;<br />

G. BELLIA – A. PASSARO, Il libro del Qohelet. Tradizione, redazione, teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 2001;<br />

L. MAZZINGHI, Ho cercato e ho esplorato. Studi sul Qohelet, EDB, Bologna 2001 (una serie di studi su pericopi<br />

e problemi inerenti al libro);<br />

AA.VV., La sapienza in Israele, 3. Il libro di Qohelet, in Parole di vita 48 (3/2003).<br />

1 – Introduzione (cf Cappelletto-Milani, 2010 4 )<br />

Struttura e Contenuto<br />

Sulla unità del libro la critica è convergente. Ma la struttura è dibattuta. È difficile stabilirla<br />

dato il carattere del libro stesso e l’intersecarsi dei temi. L’intero libro è percorso della<br />

tecnica della Leitwort, che trova corrispondenza nell’Antico Oriente. «Essa fa sì che tutto è<br />

intrecciato insieme con il tutto in una misteriosa rete, e ogni interprete che, cerchi un procedimento<br />

lineare del pensiero, sarebbe senza speranza di salvezza, immischiato in questo sottile<br />

mondo linguistico. Tuttavia l’insieme ha una sistemazione» 39 . È anche la sapienza degli<br />

opposti che si esprime per antitesi e polarità: la logica di Qohelet non è dimostrativa, ma<br />

«dialettica». Partendo da queste premesse, presento il libro ispirandomi a Vittoria D’Alario<br />

e a Norbert Lohfink 40 .<br />

Due sono i temi dominanti: 1) il senso dell’agire umano, del suo affaticarsi; 2) il valore<br />

della sapienza intesa come capacità di riflessione e come sapienza tradizionale.<br />

Quattro poemi attirano l’attenzione sulle problematiche del libro: a) 1,4-11 (cosmo e<br />

uomo); b) 3,1-8 (i tempi); c) 7,1-8 (ciò che è meglio, ïãb); d) 11,7-12,7 (vecchiaia e malattia<br />

o morte).<br />

Nei 12 capitoli si riconoscono due parti con corrispondenze stilistiche e tematiche. Tutto<br />

confluisce verso una struttura ciclica dell’opera.<br />

39 N. LOHFINK, cit., p. 18. Non si tratta di sentenze legate solo da nessi secondari. L'autore vi riconosce da un lato<br />

i principi costitutivi formali della diatriba soprattutto cinica che introduce la tesi provocante lo shock e poi viene<br />

approfondita e difesa, trasposta nella prassi (per operare la conversione), dall’altra una disposizione simmetrica,<br />

eredità della retorica semitica.<br />

40 Cf. V. D’ALARIO, Il libro di Qohelet (Supplementi alla Rivista Biblica, 27), Dehoniane, Bologna 1992, che si<br />

appella a Lohfink e a P. ROUSSEAU, «Structure de Qohelet 1,4-11 et plan du livre», VT 31 (1981), pp. 200-217:<br />

Qo 1,4-11 costituisce una premessa sviluppata nel libro in una struttura ciclica. Accolgo sostanzialmente questa<br />

struttura ed elaboro i contenuti ispirandomi alle osservazioni di Lohfink. Alcune note sono anche in J. COPPENS,<br />

«La structure de l’Ecclésiaste», in M.GILBERT (cur.), La sagesse de l’Ancient Testament. Nouvelle édition<br />

(BETL LI), Leuven 1990, pp.288-292, che tratta più delle varie fasi o motivi della composizione.<br />

30


1,1: titolo e motto – 1,2-3: un anonimo autore presenta al lettore i testi di Qohelet e il suo<br />

motto: hebel habalîm hakkol hebel – quale è il vantaggio dall’affannarsi dell’uomo?<br />

I – 1,4-6,9: la ricerca di ciò che è bene per l’uomo – senso dell’agire<br />

A. 1,4-3,15: Io (le esperienze del protagonista alla ricerca della gioia).<br />

Cosmologia (1,4-11) + antropologia e teologia (1,12-2,26); tempi e riflessione (3,1-<br />

15)<br />

B. 3,16-6,9: ïïïïããããbbbb - ciò che è bene per l’uomo<br />

6,10-12: passaggio (cf interrogativi al centro)<br />

II – 7,1-11,6: la sapienza tradizionale<br />

B’. 7,1-9,6 (7,1-8 - ïïïïããããbbbb): critica dell’ideologia e sapienza tradizionale<br />

A’. 9,7-11,6 (11,7-12,7) invito alla gioia e ad operare con efficacia<br />

Epilogo 12,8-14: l’anonimo redattore presenta ai lettori i testi di Qohelet<br />

Contenuto e sequenza di pensiero<br />

Nel titolo (1,1-3) un autore anonimo, che si prefigge di tramandare i detti di Qohelet, inizia<br />

con il motto: hebel habalîm hakkol hebel (vanità delle vanità, tutto vanità) e pone la<br />

domanda: qual è il vantaggio dell'affannarsi dell’uomo? Alla fine egli presenta ancora<br />

l’attività e i testi del protagonista, che la tradizione ha identificato in Salomone (figlio di<br />

Davide), ideale di sapienza.<br />

I – Parte: 1,4-6,9: ricerca di ciò che è bene per l’uomo<br />

1,4-11 (poema): Qohelet delinea in primo luogo una cosmologia con tesi e interrogativi. In<br />

sottofondo è l’immagine del mondo: la terra è salda e immobile, eterno palcoscenico; solo<br />

l’uomo entra ed esce di scena. Egli che porta il mondo alla sua esistenza più alta, non è mai<br />

all'altezza dell’abbondanza di esperienze che incontra. Ogni generazione deve ricostruire da<br />

capo la coscienza acquisita, giacché ogni singola morte l’annienta e ne scompare il ricordo.<br />

A. 1,12-3,15. L’antropologia culmina nell’aspetto teologico. È introduzione alla tesi principale.<br />

Antropologia. Un re che sa di poter disporre di tanti mezzi e di poter costruire la felicità<br />

esplora le possibilità umane più ampie e si chiede il senso delle cose: gli si rivela la<br />

morte, il destino (mikreh) che tutti aspetta al varco. Di fronte ad essa, ogni possibilità e<br />

riuscita si rivelano hebel, “fumo”, “soffio di vento” (vanitas), realtà instabile, inconsistente,<br />

destinata a un rapido dissolvimento.<br />

Sotto il profilo teologico, la felicità umana è donata da Dio all'uomo; questi non la crea<br />

da sé. Tutto ciò che accade è agire di Dio, opera perfetta, eterna. All’uomo rimane il timore<br />

di Dio che lo mette in sintonia con l’azione di Dio, gli fa accogliere, di volta in volta, il dono<br />

ricevuto e riconoscere il suo limite, perché la totalità del mondo gli resta impenetrabile.<br />

L’azione umana da sola è destinata al fallimento (cf ḥôṭē’, 2,24-26). Ma la gioia non è irraggiungibile,<br />

fa parte dell’agire bene (3,12).<br />

Non c’è nulla di meglio per essi (gli uomini) che godere e agire bene nella loro vita; ma che<br />

un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro è dono di Dio (Qo 3,12-13).<br />

B. 3,16-6,9. Qohelet esamina il mondo com’è, se c’è il bene (ìãb): è approfondimento critico<br />

a partire dal sociale.<br />

L’analisi è severa: corruzione del diritto, oppressione delle classi inferiori, concorrenza<br />

spietata tra i ricchi, solitudine dei potenti, volubilità della piazza, intricata burocrazia impiegatizia,<br />

fallimenti nel commercio, destino da schiavi di chi un tempo era ricco. È riconferma<br />

dello hebel e del timore di Dio.<br />

31


4,17-5,6 = INTERMEZZO: critica della religione (all’interno della critica sociale). Qohelet<br />

denuncia le forme esteriori di una religiosità solerte, ma non vissuta seriamente, alla quale<br />

contrappone il timore del Signore.<br />

II – Parte: la sapienza tradizionale<br />

B’. 7,1-9,6. Critica dell’ideologia e sapienza tradizionale: vaglio di valori e limiti.<br />

Qo 6,10-12 serve di passaggio o introduzione alla seconda parte con le domande su<br />

che cosa giova all’uomo, chi può conoscere cosa sia meglio per lui e chi potrà annunciare<br />

ciò che accadrà in futuro sotto il sole; segue il poema su ciò che è meglio (ìãb) per l'uomo<br />

(7,1-8).<br />

Quindi l’autore critica la sapienza tradizionale, soprattutto riguardo al principio di retribuzione:<br />

condotta buona equivale a felicità lunga; condotta malvagia comporta infelicità<br />

e morte prematura. Non c’è una sentenza immediata (8,11), anche se i giusti e i saggi e<br />

le loro opere sono nelle mani di Dio (9,1). Potremmo attenderci una risposta escatologica<br />

che Qohelet non ha. Egli dimostra che l’uomo rimane esistenzialmente “costretto” 41 a vivere<br />

il singolo momento e ad accettare il bene o il male dalle mani di Dio finché piomba<br />

su di lui la morte (dopo la morte non c’è nulla?).<br />

Solo il timore di Dio può guidarlo rettamente nelle sue decisioni. Esso lo introduce<br />

anche nella gioia, se piace a Dio. Se ciò avviene, ne dovrà godere a piene mani.<br />

L’immagine di Dio che ne deriva non è tesa a far valere e ricordare la morte, ma a far assaporare<br />

i beni della vita, anche se precari; accettando però l’ascetica (e la mistica?) del<br />

“distacco”, perché tutto è hebel.<br />

A’. 9,7-12,7. Etica o applicatio. Consiste nel godere la vita di fronte alla morte e, nel contempo,<br />

operare efficacemente finché si hanno le forze.<br />

«Va’, mangia con gioia il tuo pane,<br />

bevi il tuo vino con cuore lieto,<br />

perché Dio ha già gradito le tue opere.<br />

In ogni tempo le tue vesti siano bianche<br />

e il profumo non manchi sul tuo capo.<br />

Godi la vita con una sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace,<br />

che egli ti ha dato sotto il sole [tutti i giorni della tua esistenza vana].<br />

Questa infatti è la sorte che tu hai dalla vita<br />

e quell’avere per il quale ti affatichi sotto il sole» (9,7-9).<br />

In questa parte Qohelet accentua aspetti che la sapienza classica non descriveva o trascurava<br />

o giudicava erronei: 1) il ruolo della persona colta in mezzo a una classe politica dirigente<br />

reclutata secondo criteri diversi da quelli della competenza oggettiva (cf 9,13ss); 2) la<br />

cura del patrimonio personale in tempo di incertezza, all’interno di una collettività divenuta<br />

incontrollabile e perciò non più in grado di sostenere l’esistenza del singolo (11,1ss).<br />

Interessante è l’esortazione che precede la descrizione della vecchiaia e della malattia,<br />

perché la giovinezza passa presto. Il testo è sintetizzato nei due imperativi: «rallegrati» e<br />

«pensa o ricorda il tuo Creatore».<br />

«Se un uomo vive anche molti anni, se li goda (çÂmaÐ) tutti,,<br />

ma ricordi (zÂkar) i giorni oscuri, che saranno molti.<br />

Tutto quello che viene è effimero/inconsistente (hebel).<br />

Rallegrati (ç e maÐ) giovane, nella tua giovinezza,<br />

agisci bene (mantieni buono il tuo cuore: gioioso?) nei tuoi anni giovanili!<br />

Va’ dove ti porta il cuore<br />

e verso ciò che vedono i tuoi occhi,<br />

41 In tedesco è geworfen – Geworfenheit, termine tratto dall’esistenzialismo, in particolare da Heidegger: essere<br />

gettato nell’esistenza (Lohfink).<br />

32


Ma sappi che Dio ti chiamerà in giudizio (bammišpÂì) per tutto questo.<br />

Mantieni il tuo animo libero dalla collera<br />

e proteggi il tuo corpo dalla malattia;<br />

poiché la gioventù e l’aurora (della vita? i capelli neri?) sono un soffio.<br />

E ricorda (z e kor) il tuo Creatore (bärÉ’kÁ) nei tuoi anni giovanili,<br />

prima che vengano i giorni della malattia,<br />

e giungano gli anni di cui dovrai dire:<br />

non mi piacciono» (11,9-12,1).<br />

Rallegrati è collegato all’impegno, la gioia è legata all’assunzione di responsabilità. Qohelet<br />

non è un epicure(o gaudente e spensierato, ma un saggio che raccomanda di approfittare<br />

del tempo, di controllare la propria persona, curare la salute e godere i momenti di gioia,<br />

senza dimenticare che si dovrà rendere conto a Dio (cfr. 2,26; 3,15; 12,14). Secondo qualche<br />

autore, ogni principio di retribuzione è assente in Qohelet 42 . Si dovrebbe dire piuttosto che<br />

egli ritiene impossibile quantificarlo o inutile definirlo; resta oltre l’uomo come l’ordine del<br />

mondo. Egli rifiuta risposte semplicistiche e introduce un ragionare «dialettico», per insegnare<br />

ad affrontare la realtà complessa, senza semplificazioni. Anche se, a dire il vero, il pensiero<br />

è abbozzato più che compiuto e, talora, contiene più domande che risposte.<br />

«Pensa/ricorda al Creatore» 43 ricorda che tutto il bene che si potrà sperimentare sarà<br />

comunque dono, non frutto della propria «fatica», in sé deludente e destinata al fallimento<br />

(cfr. 2,24-26). Questo significa “temere o rispettare Dio” che nasce dall’esperienza della perfezione<br />

dell’opera di Dio e dalla coscienza del proprio limite (3,10-15). Ciò comporta una risposta<br />

pratica con l'impegno ad agire bene e l’accoglienza della gioia gustata come frutto del<br />

proprio lavoro, considerandola dono di Dio.<br />

Così nel giorno lieto si deve stare allegri e nel giorno amaro riflettere: Dio li ha creati entrambi<br />

perché l’uomo non trovi nulla di ciò che viene dopo di lui (7,14). L’azione di Dio resta<br />

nascosta. L’atto di fede però non è «fideismo» – Qohelet tiene sempre in tensione dialettica<br />

ricerca sapienziale e fede – ma capacità di accogliere l’opera di Dio, che è comunque<br />

sempre all’opera, mettersi in sintonia con il suo agire e attendere da lui l’esperienza della<br />

gioia (8,12); perché «la vita del giusto e del saggio e le sue opere restano nelle mani di Dio»<br />

(9,1).<br />

In sintesi, per Qohelet «ciò che è bene» nella vita di un uomo consiste nel vivere gioiosamente<br />

sapendo gustare la vita come dono, nel ricavare soddisfazione dal proprio lavoro e<br />

nell’operare il bene, agendo secondo il principio del timore del Signore. Sorretti dal timore di<br />

Dio e coscienti del proprio limite, bisogna allenarsi ad accettare i «tempi» inevitabili del nascere<br />

e del morire, della malattia e della guarigione (3,1-8), a vivere con gioia e distacco, sapendo<br />

che tutte le realtà umane sono inconsistenti, hebel. Tuttavia, alcune cose egli non dichiara<br />

hebel: il timore di Dio, fare il bene e gustare la gioia, l’amicizia solidale.<br />

Messaggio<br />

Il pensiero di Qohelet, per la sua critica spesso spietata alla tradizione e alla società, è tra i<br />

più discussi e ha portato a diverse interpretazioni, talora contrapposte, negli autori moderni<br />

come tra gli antichi. In genere si danno tre interpretazioni: la visione pessimistica (cfr. Von<br />

42 Per P. SACCHI, Ecclesiaste (NVB), Paoline, Roma, Qohelet è essenzialmente rivolto a indagare sulla legge che<br />

governa l’alternarsi dei momenti: unica legge è il volere-mišpaï di Dio (3,17). Manca il principio di retribuzione.<br />

Se infatti esistesse una legge interna alla storia non vedremmo mai lo scambio fra ingiustizia ed equità.<br />

L’uomo non ha alcuna scelta, perché non sa quale sarà la successione del «momenti». Di conseguenza, il «timor<br />

di Dio» non illumina niente, non porta alcun guadagno, non apre nessuna prospettiva.<br />

43 Dio «Creatore» – bor’ēkā (12,1) fa assonanza con bôr, «cisterna», immagine del mondo dei morti (12,6): appellando<br />

al Dio Creatore, il testo ricorda all’uomo la sua sorte legata alla morte (cf. LOHFINK, in loco).<br />

33


Rad) secondo la quale per Qohèlet il mondo è diventato muto; però invita a non perdere le<br />

piccole possibilità di gioia e piacere in mezzo alla tanta sofferenza; l’esortazione all’aurea<br />

mediocritas ossia una via di mezzo in morale (Sacchi); la visione positiva ossia Qohelet<br />

predicatore della gioia (Bonora, Lohfink, Whybray). Anticamente si adottava una lettura<br />

spiritualistica o allegorica per darvi un senso positivo. Ma il bisogno di partire dal senso letterale<br />

pone la questione ermeneutica di una visione d’insieme.<br />

Probabilmente Qohelet espone la sua ‘filosofia’ in dialogo critico con prospettive contrarie<br />

alle sue, alle quali concede direttamente la parola tramite citazioni; così si spiegherebbero<br />

le contraddizioni e le tensioni. È la teoria delle citazioni 44 . Diversamente da Siracide,<br />

parla da sapiente senza far conto della rivelazione e pone le domande: «Che cosa è bene<br />

per l’uomo?», «Che giova, qual è il vantaggio?», per mettere alla prova il valore della sapienza<br />

in sé e nella sua versione tradizionale.<br />

Il termine hébel, tradotto con «vanità», acquista in italiano una connotazione moralistica.<br />

45 Il significato di «soffio» sembra più adatto per indicare l’inconsistenza o evanescenza<br />

della realtà dell’uomo e della sua attività. Però, Qohelet propone l’impegno, anche quando<br />

sembrerebbe inutile. Egli accentua aspetti che la sapienza classica trascurava o giudicava erronei,<br />

come il ruolo della persona colta in mezzo a una classe politica dirigente reclutata secondo<br />

criteri diversi da quelli della competenza oggettiva (cfr. 9,13ss), o la cura del patrimonio<br />

personale all'interno di una collettività divenuta incontrollabile e non più in grado di sostenere<br />

l'esistenza del singolo (11,1ss). È rassegnata disperazione? Per lui è inaccettabile il<br />

non-senso, ma anche vivere di illusioni. Perciò insegna ad affrontare la realtà complessa, rifuggendo<br />

dalle semplificazioni. Sebbene percepisca con acutezza la caducità di tutte le cose,<br />

rimane non di meno un assetato di assoluto e un sostenitore incondizionato della felicità, sapendo<br />

riconoscere le gioie semplici e quotidiane come autentici doni di Dio, non frutto della<br />

propria «fatica», in sé deludente e destinata al fallimento (cfr. 2,24-26).<br />

Manca una prospettiva escatologica? Forse. Ma quando afferma: «Niente di nuovo sotto<br />

il sole», Qohelet non pensa alla cosmologia ma all’uomo. Nel senso che ogni generazione<br />

deve ricostruire da capo la coscienza acquisita, giacché ogni singola morte l’annienta e ne<br />

scompare il ricordo 46 . Egli non è un gaudente e spensierato, ma un saggio che raccomanda di<br />

approfittare del tempo, di controllare la propria persona, di curare la salute e godere i momenti<br />

di gioia, senza dimenticare che si dovrà rendere conto a Dio (cfr. 2,26; 3,15; 12,14).<br />

Più che negare ogni principio di retribuzione, egli ritiene impossibile quantificarlo o inutile<br />

definirlo. L’uomo infatti non riesce a definire il senso complessivo della realtà. Contempla<br />

l’opera di Dio ma la comprende solo parzialmente. E può solo affidarsi a ciò che gli viene<br />

accordato da Dio, «a suo tempo». «È bene» perciò vivere gioiosamente e ricavare soddisfazione<br />

dal proprio lavoro operando secondo il timore del Signore. Sorretto da questo principio,<br />

l’uomo deve allenarsi ad accettare i «tempi» inevitabili del nascere e del morire, della<br />

malattia e della guarigione (3,1-8), a vivere con gioia e distacco, sapendo che tutte le realtà<br />

umane sono inconsistenti (hebel). Ma «la vita del giusto e del saggio e le sue opere restano<br />

nelle mani di Dio» (9,1; 8,12). Allora appare, appena accennato, l’amore nascosto di Qohelet<br />

per Dio. Paradossalmente, potremmo dire che per Qohelet tutto è vanità e tutto è grazia e<br />

gioia.<br />

44 Cfr. L. SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER, Il libro di Qoèlet, in E. Zenger (ed.), Introduzione all’Antico Testamento,<br />

Queriniana, Brescia, pp. 576-578.80; con F.J. Backhaus, Whybray e Lohfink.<br />

45 In tal senso ha inteso la prima frase del libro - vanitas vanitatum, omnia vanitas - l’autore dell’imitazione di<br />

Cristo, che se ne è appropriato per esortare ad abbandonare tutti i beni terreni e perseguire solo quelli celesti.<br />

46 Cf N. LOHFINK, cit., p. 12.<br />

34


Contatti culturali<br />

Qohelet si pone nella linea critica e razionale che appare in Giobbe, tuttavia, è meno passionale<br />

e più cerebrale. Fa parte della società descritta e criticata dal Cronista ed è ironicamente<br />

critico con gli apocalittici? 47 Il rapporto con la cultura ellenistica è discusso dagli<br />

studiosi, anche per il fatto che non ha familiarità con la lingua greca. Ma alcuni autori, come<br />

Hengel e Lohfink, ne riconoscono un diretto influsso. Per quest’ultimo, il libro del Qohelet<br />

«è il punto più chiaro dell’incontro di Israele con la filosofia greca all’interno della<br />

Bibbia». 48 Restano in proposito alcuni dati interessanti che sembrano riflettere l’epoca del<br />

governo dei Tolomei in Giudea (301-223 a.C.) che favorì l’aristocrazia locale filo ellenistica,<br />

ma fu incurante del divario sociale che si stava creando (cfr. Qo 5,7-10). La terminologia<br />

di Qohelet rivela aspetti della società.<br />

Il libro presuppone nuove tecnologie introdotte per la produzione come l’irrigazione artificiale<br />

con la ruota a secchielli (cf Qo 12,6), l’aratro da semina e il torchio a vite. Parla di<br />

«provincia» (2,8; 5,7) e di «colui che ha il potere» (môšēl e šalliṭ 10,4-5). Ricorda i banchetti<br />

(il symposion), la ricerca sfrenata del potere e la sete di ricchezza (il «guadagno»yitrôn<br />

18 x; ‘šr, «ricchezza, arricchirsi»; ‘amāl, «fatica», come frutto del lavoro, ricchezza),<br />

come anche facili e improvvise crisi finanziarie (5,12-16.17-19). L’opera rispecchierebbe in<br />

una certa misura lo spirito illuministico del primo periodo ellenistico, non da ultimo in certi<br />

ripensamenti linguistici. 49<br />

Qohelet ignora il problema metodologico della conoscenza presente nei pensatori classici<br />

greci, ma pone il problema del limite del sapere (cfr. 1,8; 8,7.17; 9,10; 12,2-5). Dio ha<br />

posto nel cuore dell’uomo «hā‘ôlām senza che l’uomo riesca a comprendere l’opera di Dio<br />

dall’inizio alla fine» (3,11). La sapienza è un valore, ma l’uomo non percepisce che briciole<br />

di verità. L’insistenza sulla morte e sul sapere, come un abisso o un’altezza dei quali non si<br />

tocca il fondo o il vertice (7,23-24), è forse in funzione antiapocalittica, perché questa pretendeva<br />

di conoscere il cosmo e le modalità di Giudizio 50 . Benché il movimento avesse<br />

qualche fascino, per Qohelet (come per Ben Sira) questo era un sogno fatuo. Non è scetticismo,<br />

ma percezione del limite umano. Rispetto ai greci però il nostro autore non fu determinista,<br />

benché ritenga che la volontà di Dio domina tutto, innalza e travolge (cfr. 4,13-16).<br />

L’uomo non è trascinato dal «fato», ma possiede la libertà, l’impegno e la capacità creativa.<br />

Esegesi: Qohelet 3,1-15: i tempi e il “vantaggio” (yeter) dell'affaticarsi dell’uomo (cf<br />

Cappelletto – Milani, 2010 4 a edizione).<br />

47<br />

Cfr. P. SACCHI, Storia del secondo tempio. Israele tra il VI secolo a.C. e I secolo d.C, SEI, Torino1994, p.<br />

166ss.<br />

48<br />

N. LOHFINK, cit., p. 26.<br />

49<br />

M. Hengel, Ebrei, greci e barbari, Paideia, Brescia 1981, p. 196, cfr. pp. 179-204. «Vi emerge la borghesia<br />

mondana aperta tipica del periodo tolemaico» (Lohfink, cit., Introduzione, p. 15).<br />

50<br />

Cfr. P. SACCHI, Storia del secondo tempio, pp. 170s.<br />

35


Ben Sira<br />

un libro alla frontiera del canone 51<br />

Bibliografia<br />

H. DUESBERG-I. FRANSEN, Ecclesiastico, Marietti, Torino 1966;<br />

G. SAUER, Jesus Sirach / Ben Sira (ATD Apokryphen Band 1), Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2000.<br />

A. Passaro – G. Bellia (eds.), The Wisdom of Ben Sira: Studies on Translation, Redaction, and Theology (Deuterocanonical<br />

and Cognate Literature Studies 1), de Gruyter, Berlin/New York 2008.<br />

G.L. PRATO, Il problema della teodicea in Ben Sira. Composizione dei contrari e richiamo alle origini (Analecita<br />

Biblica 65), PIB, Roma 1975;<br />

A. MINISSALE, La versione greca del Siracide (Analecta Biblica 133), PIB, Roma 1995;<br />

IDEM, Siracide (Ecclesiastico) (NVB 23), Paoline 1980;<br />

IDEM Siracide. Le radici nella tradizione (LoB 1.17), Queriniana, Brescia 1988;<br />

A. NICACCI, Siracide o ecclesiastico. Scuola di vita per il popolo di Dio (La Bibbia nelle nostre mani 27), San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000 (sintetica presentazione del libro);<br />

N. CALDUCH-BENAGES, Un gioiello di sapienza. Leggendo Siracide 2, Paoline (Cammini nello Spirito, Biblica<br />

45), Paoline, Milano 2001;<br />

AA.VV., La sapienza in Israele, 4. Il libro del Siracide, in Parole di Vita 48 (4/2003).<br />

M.C. PALMISANO, «Salvaci, Dio dell'universo!». Studio dell'eucologia di Sir 36H,1-17 (Analecta Biblica 163,)<br />

PIB, Roma 2006.<br />

2 – L’OPERA LETTERARIA DI BEN SIRA<br />

2.3 Contenuto e struttura<br />

1,1-2,18: Prologo: i primi due capitoli possono essere considerati il portale del libro; essi trovano<br />

corrispondenza nell’epilogo (51,1-30), in forma di chiasmo.<br />

A: La sapienza in Dio, nel mondo e nell’uomo (timor di Dio 1,1-10 e 1,11-30 52 ). Il Signore, origine<br />

della sapienza, la effonde nel cosmo e sui fedeli che lo temono o lo amano: saranno pieni<br />

di benedizione; devono però accettare le condizioni: il dominio di sé, la messa in atto dei consigli<br />

del maestro, la lealtà opposta alla duplicità.<br />

B: Ma la prova che purifica attende inevitabilmente il discepolo che deve confidare nel Signore<br />

(2,1-18) 53 .<br />

51,1-30: Epilogo: la fine del libro corrisponde all’inizio.<br />

B’: ringraziamento per la protezione da ogni pericolo: è il superamento della prova (51,1-12);<br />

A’: inno acrostico alla sapienza con l’invito ad avvicinarsi al maestro, a fermarsi nella “casa<br />

dell’istruzione” (51,13-30).<br />

3,1-4,10: all’introduzione segue un primo insegnamento sulle relazioni soprattutto familiari improntate<br />

a giustizia, con esortazioni al positivo e al negativo e promessa finale (3,16.30-31; 4,10); la<br />

parola chiave è «padre/madre» (3,1; 4,10): 3,1-16 onora il padre (3,1-9.10-16: positivo-negativo);<br />

3,17-31 moderazione e umiltà come atteggiamento fondamentale; 4,1-10 attenzione al povero,<br />

essergli «padre» (negativo-positivo: 4,1-6.7-10).<br />

1 – 4,11-6,17: al poema sulla sapienza maestra di vita, via a Dio e al vero culto, ma che impone fatica<br />

e prove a chi la cerca (4,11-19), segue un’ampia unità sul duplice aspetto (4,20-6,18): precetti negativi<br />

sul dominio della passione, soprattutto del denaro e della lingua (5,1-6,4), vera e falsa ver-<br />

51 Cf M. MILANI, «Ben Sira un libro alla frontiera del canone», in Parole di Vita 48 (4/2003) 4-14.<br />

52 Sir 1,11-30 è poema alfabetico? Lo presuppone e suggerisce A.A. DI LELLA, Fear of the Lord as Wisdom: Ben<br />

Sira 1,11-30, in P. BEENTJES (ed.), The Book of Ben Sira in Modern Research, pp. 113-133, ma il testo ebraico<br />

manca.<br />

53 Su questo capitolo, cf N. CALDUCH-BENAGES, Un gioiello di sapienza. Leggendo Siracide 2, Paoline (Cammini<br />

nello Spirito, Biblica 45), Paoline, Milano 2001; attinge alla sua tesi: En el crisol de la prueba. Estudio exegético<br />

de Sir 2,1-18 (Associación Bíblica Española 32), Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1997.<br />

36


gogna (4,20ss); pietà e teodicea, giudizio del Signore sui peccatori. L’insegnamento si conclude<br />

con una positiva esposizione sull’amicizia (6,5-17).<br />

2 – 6,18-14,19: accanto al timore del Signore (6,37; 7,29; 9,16; 10,19-24) vengono i temi della transitorietà<br />

della vita e della morte (7,17.36; 10,9-11; 11,25-26; 14,11-19) in relazione alla superbia e<br />

all’arroganza.<br />

In Sir 6,18-37 la trattazione inizia con la ricerca e apprendimento della sapienza – esortazione<br />

teorica e pratica. Possiamo quindi considerare i seguenti blocchi:<br />

– 7,1-9,16 «come evitare il male» (7,1-3 introduce il tema che prosegue fino a 9,16 con applicazioni<br />

pratiche del principio generale: «non fare il male, ché male non ti colga».; 7,1-36 [la trattazione<br />

culmina nel rammento della morte; stilisticamente notiamo una serie negativa (vv. 1-20: ùal<br />

+ yiqtol) seguita da una positiva (vv. 21-33)]; 8,1-9,16 [diverse categorie di persone con cui il discepolo<br />

viene in contatto: potenti e donne pericolose); 54<br />

– 9,17-11,28 trattato sulla gloria: parte con l’antitesi negativo-positivo: a) 9,17-10,18, negativamente,<br />

critica a potere e ricchezza; b) vi oppone moderazione e fedeltà al proprio compito nel timore<br />

del Signore (10,19-11,6.7-9 55 ); con allusioni storiche Siracide insegna che potere e orgoglio<br />

rappresentano il quadro antitetico alla sapienza; c) la morte resta il giudizio ultimo, retroattivo,<br />

sulla persona (10,10-28); d) 11,29-14,2 tratta della cautela e circospezione con estranei ed empi,<br />

amici e ricchi, e in genere nella società; nel contesto ritorna il tema del dominio nel parlare; – la<br />

sezione si conclude ritornando al tema della ricchezza e amicizia (avarizia e solidarietà: beneficare<br />

l’amico, 14,3-10.11-19).<br />

3 – 14,20-15,10: il poema sul legame tra saggio e sapienza (madre e sposa) è premessa alla lunga sezione<br />

sulla teodicea, 15,11-18,14, divisibile in due parti corrispondenti nel procedimento.<br />

L’autore assume delle possibili obiezioni di un discepolo: la prima ritiene Dio responsabile del<br />

peccato dell’uomo (15,11-16,14); la seconda nega la provvidenza o giustizia di Dio, che non si<br />

cura dell’agire buono o cattivo dell’uomo (16,16-17,14]). Nella risposta cosmologia e antropologia<br />

si intersecano: Ben Sira afferma la libertà umana (le antinomie nelle scelte di un’esistenza responsabile),<br />

appellandosi all’intenzione di Dio manifestata sin dalle origini, nella creazione e al<br />

suo sguardo che giudica e retribuisce castigando i colpevoli (15,11-20; 16,17-17,23).<br />

Prima argomenta richiamando la posterità inutile degli empi, la storia e il giudizio di ricompensa<br />

(16,1-16), poi ricorda la possibilità di conversione e di un giudizio divino di misericordia;<br />

perciò invita chi obietta alla conversione e a riscoprire la speranza (17,15-18,14). Dopo le questioni<br />

di principio o dottrinali – il ricorso alle origini – per evitare la disperazione di chi obietta,<br />

parla della misericordia divina ed esorta alla conversione.<br />

La lezione si conclude esortando alla generosità e alla previdenza (18,15-29), al dominio delle<br />

passioni, in particolare quella sessuale (18,30-19,3), e con una seconda sezione sull’amicizia<br />

(cautela e discernimento nel parlare, 19,4-19, cf 5,1-6,4 e 6,5-17).<br />

4 – 19,20-23,27: il tema sapienza-legge e timor di Dio è articolabile in tre grandi sezioni (indizio stilistico:<br />

«è meglio», come giudizio di valore in 19,24; 20,31; 23,27).<br />

A) 19,20-20,31 56 . Il principio: «tutta la sapienza è il timor di Dio e in ogni sapienza è la pratica<br />

della legge» (19,20-24) riprende 1,1-10.25-30 sviluppando il tema della vera sapienza opposta<br />

al comportamento stolto, specialmente nel parlare (20,1-8.9-17.18-26.27-31: tacere e par-<br />

54 P.C. BEENTJES, «Jesus Sirach 7,1-17, kanttekeningen bij de structuur en de tekst van een verwaarloosde passage»,<br />

Bijdragen 41 (1980) 251-259, le argomentazioni e le suddivisioni, pp. 252s., ha dimostrato l’unità di 7,1-17<br />

(diviso in quattro unità: 7,1-3. 4-6. 7-11. 12-16 + 17). Il v.18 inizia una nuova serie con inclusione al v.35 sul<br />

tema dell’amico; 7,18-36 si compone pure di quattro unità, ciascuna di quattro distici (18-21. 22-26. 29-31. 32-<br />

35 + 36, cf J. HASPECKER, o.c., p. 133 n.26: «7,18-35 befasst sich ganz mit dem Personen- bzw. Lebenskreis,<br />

denn gegenüber eine besondere soziale Verpflichtung besteht. Der Abschnitt könnte als einheitliche Perikope geschaffen<br />

sein, die von negativen Formulierungen beginnend bald zu positiven übergeht...»).<br />

55 Su questa pericope, cf M. GILBERT, Wisdom of the Poor: Ben Sira 10,19-11,6, in P.C. BEENTJES (ed.), The<br />

Book of Ben Sira in Modern Research: Proceedings of the First International Ben Sira Conference, 28-31 July<br />

1996, Soesterberg, Nerherlands (Beihefte zur ZAW 255), de Gruyter, Berlin - New York 1997, pp.153-169.<br />

56 Per l’unità della sezione, cf. P.C. BEENTJES, «“Full Wisdom is Fear of the Lord”. Ben Sira 19,20-20,31: Context,<br />

Composition and Concept», EstBib 47 (1989) 27-45.<br />

37


lare a tempo debito, saggio e stolto nel parlare e nel far doni, il parlare dello stolto, il buon uso<br />

della sapienza; 19,20 fa inclusione con 20,31 sul tema sapienza; particolari in questa sezione<br />

sono anche i detti «c’è chi»).<br />

B) 21,1-22,26: dopo aver stabilito il senso del peccato, illustra il timor di Dio e la legge (21,1-<br />

10.11), sapienza e follia (21,12-22,18), e conclude con un’altra pericope sull’amicizia (22,19-<br />

26).<br />

C) La terza sezione contiene i due temi dell’uso depravato della parola e della passione sensuale,<br />

con una duplice preghiera: preghiera (22,27-23,6) e istruzione sull’uso della parola e<br />

sull’adulterio (23,7-15.16-27).<br />

5 – 24,1-34 è il centro del libro, solenne conclusione di quanto precede e apertura della nuova parte 57 :<br />

l’inno alla sapienza-legge, ossia alla rivelazione consegnata nella Bibbia considerata il culmine<br />

della sapienza. Essa non cessa di offrire se stessa, come i frutti della terra nella loro stagione, e<br />

rende possibile l’accesso all’albero della vita impedito in Gen 3,22: chi accoglie la rivelazione si<br />

apre alla vita.<br />

25,1-32,13: la sezione potrebbe essere catalogata come istruzione antitetica su ciò che fa vivere o<br />

danneggia. 58<br />

A) 25,1-26,18 e 26,19-28,26 prima serie, in due riprese che iniziano con i proverbi numerici<br />

(25,1-2 e 27,19); centro tematico: la buona e la cattiva moglie, l’uso della parola (parlare falso<br />

e vero 27,19-27,3 + 27,4-10.11-29, la persona pia opposta all’ingannatore, con considerazioni<br />

degli effetti sull’amicizia: svelare i segreti la rovina irreparabilmente).<br />

B) 27,30-30,13: collera, vendetta e perdono (27,30-28,26); uso del denaro: generosità e cautela<br />

nel prestito, elemosina e ospitalità (29,1-28); educazione e disciplina dei figli (30,1-13 59 );<br />

C) 30,14-32,13 la salute: riflessione generale (30,14-25), il buono o cattivo uso del denaro (31,1-<br />

11), equilibrio e uso gioioso del cibo, specie nei banchetti (31,12-30; 31,31-32,13).<br />

6 – 32,14-33,19 sembra iniziare una nuova serie (32,14-38,23) con il timore del Signore – legge e<br />

amore per la sapienza (32,14-33,6, cf 1,1-30), seguita dall’istruzione sul “duplice aspetto” del<br />

creato (33,7-15).<br />

L’appello di Ben Sira alla propria esperienza (33,16-19) apre a quattro istruzioni.<br />

A) La famiglia (amministrare il patrimonio e trattare la servitù, 33,20-33).<br />

B) L’autentica esperienza religiosa che deve guidare l’esistenza (34,1-36,17): non i sogni ma la<br />

legge e l’esperienza (i viaggi) guidate dal timore del Signore (è vera o falsa esperienza religiosa).<br />

C) Discernimento del cibo, della donna, degli amici, dei consiglieri (36,18-20.21-27; 37,1-6.7-<br />

15); conclude con l’esortazione alla preghiera (37,15).<br />

D) Vera e falsa sapienza – vero e falso saggio (37,16-26), salute (cautela nei cibi, 37,27-31, e il<br />

medico, 38,1-14), il lutto per il morto (38,16-23) che sembra anticipare i temi della sofferenza<br />

e della morte.<br />

57<br />

Sir 24 fa inclusione con l’inizio del libro (1,1-10.11-30) mediante il ricordo delle origini della sapienza e la<br />

sua relazione con la creazione, ed è collegato con Sir 51 per la ricerca della sapienza, considerata la meta fissa<br />

dell’agire umano (in ambedue segue l’invito ad accostarsi alla sapienza). Tra questi due archi, Ben Sira mostra<br />

sempre la natura e il significato della sapienza: essa sta all’inizio del mondo e della creazione, vive in molti luoghi<br />

e percorre il mondo (Sir 1), ma trova il suo luogo stabile nel tempio di Gerusalemme (Sir 24) e indica, alla<br />

fine, a coloro che la cercano, il futuro (G. SAUER, cit., p. 180).<br />

Il capitolo è inserito tra le pericopi 22,27-23,27 e 25,1-11 ben collegate per temi e parole chiave (cf<br />

23,16.22-23 e 25,1.2.7 inclusi i proverbi numerici; temi e parole chiave: 23,19.27 con 25,6.1; 23,16 e 25,2,<br />

23,23c e 25,2d, 23,1b e 25,4b.5b, 22,27d e 25,7b.8b, 23,2° e 25,5b); ci sono legami tra 23,25-26 e 24,12.16.20 e<br />

tra 23,12 e 24,8.23.<br />

58<br />

G. SAUER, cit, p. 187, classifica Sir 25,1-42,14 come «insegnamento sul comportamento, in modo particolare<br />

come membri del popolo e nella storia».<br />

59<br />

Il tema dei figli è ripreso in 3,1-16; 7,27s; 22,3-6; cf anche 16,1-5; 23,24s; 40,15-17; 41,15-17 malvagità e discendenza:<br />

l’utilità dei figli si ha nel caso della buona fama, la speranza nei figli è possibile se hanno le stesse<br />

buone qualità del padre.<br />

38


7 – 38,24-42,14: la preferenza per l’impegno del saggio rispetto ai lavori manuali (38,24-39,11) è seguito<br />

dall’inno didattico sulla funzionalità bivalente della creazione (39,12-35). In sintonia con<br />

questa bivalenza seguono:<br />

A) le antitesi dell’afflizione umana (40,1-17), il confronto dei beni per cercare quello superiore<br />

(40,18-27) e una istruzione sulla mendicità;<br />

B) l’antitesi sulla buona o cattiva morte (41,1-13) e sulla vera e falsa vergogna (41,14-42,8);<br />

chiude la serie l’istruzione sull’educazione di una figlia (42,9-14).<br />

8 – 42,15-50,26: le due grandi parti hanno un identico tema, celebrare le opere del Signore nella creazione<br />

(42,15-43,33) e nella storia (44,1-50,26). In uno sguardo di speranza e universalità, Ben<br />

Sira collega i Padri a un unico piano di salvezza dell’umanità; la lode ai Padri ha come scopo ultimo<br />

la glorificazione delle grandi opere di Dio nella storia, più che l’encomio dei grandi eroi del<br />

passato; il poema è diviso in due parti che si concludono entrambe con un invito a lodare Dio<br />

(45,25e-26 e 50,22-24) 60 .<br />

51,1-30: Il ringraziamento finale per la liberazione da una calunnia e l’elogio acrostico della sapienza,<br />

a cui Ben Sira si è dedicato e legato come a una sposa, concludono il libro (51,1-12.13-30);<br />

così il saggio profeta invita tutti alla sua «casa dell’istruzione» identificandosi praticamente con<br />

la sapienza stessa (vv.23-30). Il poema alla sapienza con l’invito ad avvicinarsi riprende lo schema<br />

del discorso della sapienza (24,1-17.19-22: presentazione – invito).<br />

La finale del libro corrisponde all’inizio: allora aveva previsto la prova (2,1-18), ora ha superato<br />

una vicenda in cui era in gioco la sua vita; allora affermava che Dio avrebbe rivelato la sapienza<br />

a coloro che lo amano (1,1-10), ora Ben Sira è tra questi (cf 24,30-34). Ma sempre più invaghito<br />

dalla sapienza avverte il compito di effonderla nel cuore dei suoi discepoli (51,23-30; cf<br />

24,33-34; 33,18). Così ha realizzato la sua missione e il suo ideale: non ha lavorato per se stesso,<br />

ma per tutti coloro che cercano la sapienza e l’istruzione 61 .<br />

3 – LA <strong>SAPIENZA</strong> – TESTO DELLE PERICOPI<br />

A illustrazione del pensiero di Ben Sira sono esaminate alcune pericopi sulla sapienza<br />

per concludere con una sintesi finale 62 .<br />

3.1 Sir 1,1-10: Introduzione – sapienza e timor di Dio<br />

3.2 Sir 4,11-19: la Sapienza educatrice maestra di vita<br />

La pericope introduce una nuova sezione (4,20-6,18) e contiene il primo discorso della<br />

sapienza: essa invita il saggio a ricercarla con amore e costanza, perché solo dopo la prova<br />

essa si rivela e si consegna a lui. Nel contesto assume la funzione di «maestra di vita» come<br />

in Pro 8.<br />

60 Cf A. NICACCI, La lode dei Padri. Ben Sira tra passato e futuro, in R. FABRIS (ed.), Initium Sapientiae, FS. F.<br />

FESTORAZZI, Dehoniane, Bologna 2000, pp.199-225. Sir 44,1-14 ha molti contatti con il ritratto ideale del saggio<br />

in 39,1-11.<br />

61 Cf M. GILBERT, «Á l’ecole de la sagesse. La Pédagogie des sages dans l’ancien Israël», Gregorianum 85<br />

(1/2004) 20-42; IDEM, «La pedagogia dei saggi nell’antico Israele», La Civiltà Cattolica 155 (2004, III) 345-358.<br />

62 Hanno particolarmente studiato le pericopi in questione: O. RICKENBACHER, Weisheitsperikopen bei Ben Sira<br />

(Orbis biblicus et orientalis 1), Universitätsverlag Freiburg/Schweiz - Vandenhoek & Ruprecht Göttingen 1973;<br />

J. MARBÖCK, Weisheit im Wandel. Untersuchungen zur Weisheitstheologie bei Ben Sira (BBB 37), Bonn 1971;<br />

ora in BZAW 272, de Gruyter, Berlin 2 1999. Mi soffermo su alcuni brani esemplificativi di quanto è stato appena<br />

riassunto; Sir 24 è già stato trattato nell’ambito del tema: «La rivelazione del mondo e la sapienza personificata».<br />

39


HA<br />

I – Il maestro<br />

11 La sapienza istruisce i suoi figli (= discepoli), /<br />

ammonisce/testimonia quanti la cercano.<br />

12 Chi la AMA, ama la vita,<br />

chi la cerca (hyvqbm) otterrà il favore del Signore.<br />

13 Chi la possiede (xykmtw) erediterà la gloria dal<br />

Signore,<br />

e lo farà dimorare [åð„ç’i−å−] nella benedizione del<br />

Signore.<br />

14<br />

Chi la venera rende culto al Santo,<br />

äéúøLî Lã÷ éúøùî<br />

e il Signore AMA coloro che la amano (ama la sua<br />

tenda, Segal).<br />

II – La Sapienza [1a persona]<br />

15 Chi mi ascolta giudicherà con equità (תמא,<br />

ºemet);<br />

e chi mi presta attenzione dimorerà negli atri della<br />

mia casa (il tempio?).<br />

16 HA omette<br />

17 HA Poiché, senza farmi conoscere camminerò<br />

con lui, (cf Esodo: Dt 8,2-5)<br />

e dapprima lo proverò con tentazioni/prove,<br />

e, al tempo in cui il suo cuore/mente sarà pieno di<br />

me,<br />

18 ritornerò, lo renderò felice,<br />

e gli rivelerò i miei segreti (wÊggillËtÔ lã mistÁray).<br />

19 Se egli si allontana, io lo respingerò,<br />

(neìawetîhû - neìah/t; mutare in nataš, «sradicare»?).<br />

e lo abbandonerò nei ceppi.<br />

Se si allontana dal seguirmi, lo rigetterò,<br />

e lo consegnerò ai devastatori.<br />

Gr<br />

I – Il maestro<br />

11<br />

La sapienza esalta i suoi figli,<br />

si prende cura di quanti la cercano.<br />

12<br />

Chi ama la sapienza ama la vita,<br />

chi la cerca di buon mattino (oi` ovrqri,zontej) sarà<br />

ricolmo di gioia (euvfrosu,nhj).<br />

13<br />

Chi la possiede (¿ êñáô§í ášôyò) erediterà<br />

la gloria; 63<br />

dovunque vada, il Signore lo benedirà.<br />

14 Chi la venera rende culto al Santo (oi` latreu,ontej<br />

auvth/| leitourgh,sousin a`gi,w|),<br />

e il Signore ama coloro che la amano.<br />

II – Il Maestro [3a persona]<br />

15<br />

Chi l’ascolta giudicherà le nazioni (’ammôt),<br />

chi le presta attenzione vivrà tranquillo<br />

(ðåðïéèþò).<br />

16<br />

Chi confida in lei l’avrà in eredità,<br />

i suoi discendenti ne conserveranno il possesso.<br />

17<br />

Dapprima lo condurrà per vie tortuose (NVg +<br />

e lo scruterà attentamente),<br />

gli incuterà timore e paura,<br />

lo tormenterà con la sua disciplina (paidei,a),<br />

finché possa fidarsi di lui e lo abbia provato con<br />

i suoi decreti.<br />

18<br />

Ma poi lo ricondurrà su una via diritta e lo allieterà,<br />

gli manifesterà i propri segreti (avpokalu,yei<br />

auvtw/| ta. krupta. auvth/j; NVg + e lo arricchirà<br />

di scienza e di retta conoscenza).<br />

19<br />

Se invece egli batte una falsa strada, lo lascerà<br />

andare<br />

e lo consegnerà alla sua rovina (ptw,sewj).<br />

63 Per il tema della gloria in Ben Sira, in genere e nei confronti di Mosè, cf F. RAURELL, «Ecli 45,1-5: la “doxa de<br />

Moisès”», RCatT 17 (1992) 1-42. LXX in Sir 45,2-3 parla della doxa con cui Mosè fu reso eguale ai santi e alla<br />

doxa con cui il Signore si manifestava. Egli investiga il Background, contesto/retroterra di tali idee. Nel<br />

Pentateuco Mosè è l’uomo dei grandi momenti rivelatori, la cui essenza è descritta con il vocabolario di “gloria”.<br />

Mentre la letteratura sapienziale e rabbinica accentua l’aspetto sociale o umano di gloria anziché un contesto<br />

religioso, i libri sapienziali in LXX tendono a usare timē più che i termini equivalenti a kābôd, i.e. doxa, con<br />

riferimento all’“onore” o “fama”. I) Nel testo Greco di Ben Sira, doxa ha il significato di a) “onore” o “fama”<br />

(33 x); b) designa la “gloria” di Dio riconoscibile nella creazione o nella storia (20 x), infine c) “opinione” (1 x).<br />

II). Il verbo doxazō esprime a) l’atto di onore verso altri uomini (14 x), b) l’atto socio-religioso di onorare i<br />

genitori (7 x), c) l’atto di riconoscere la gloria di Dio o la manifestazione con cui egli rivela la sua gloria (6 x), e<br />

d) la manifestazione dello splendore del tempio o del sacerdote (4 x). III) L’aggettivo endoxos ha significato<br />

sociale (3 x) e un significato misto socio-religioso (1 x). L’aggettivo paradoxos e il verbo paradoxazō ricorre<br />

solo una volta in LXX Sir, nel contesto dell’ira tremenda di Dio. Diversamente da questo background, Sir 45,1-5<br />

presenta Mosè alla comunità Giudeo-Ellenistica e al mondo della cultura ellenistica come l’uomo della gloria, il<br />

grande mediatore storico della gloria teofanica del Sinai, che manifesta l’origine divina della sapienza di Israele<br />

e l’identificazione della sua sapienza e della sua legge.<br />

40


3.3 Sir 6,18-37: alla scuola della sapienza – ricerca e apprendimento<br />

1. 18-22: i due quadri opposti del saggio e dello stolto – Esortazione<br />

18 FIGLIO, sin dalla giovinezza medita la disciplina (= Gr ðáéäåßáí, H Sapienza, ה ׇ<br />

מְכח) ׇ<br />

conseguirai la sapienza fino alla canizie.<br />

19 Accòstati ad essa come chi ara e chi semina<br />

e attendi i suoi ottimi frutti;<br />

poiché faticherai un po’ per coltivarla,<br />

ma presto (Hb domani) mangerai dei suoi prodotti.<br />

20 Essa è davvero aspra (‘qwbh = faticosa, insidiosa, impercorribile) per gli stolti,<br />

l’uomo insensato (בֵל רַסַח) non ci resiste;<br />

21 per lui peserà come una pietra di prova,<br />

non tarderà a gettarla via.<br />

22 La sapienza/disciplina (Gr sofi,a, Hb øñÈeí) infatti è come dice il suo nome (=<br />

mûsar/mustar?):<br />

non a tutti essa è chiara (Hb nekûÐÂh: facilmente percorribile/diritta).<br />

2 23-31: durezza e impegno dell’apprendimento –<br />

A - il giogo della sapienza = schiavo<br />

23 Ascolta, FIGLIO, e accetta il mio parere;<br />

non rigettare il mio consiglio.<br />

24 Introduci i tuoi piedi nei suoi CEPPI,<br />

il collo nel suo GIOGO (Gr. klóion = catena, giogo, Hb ‘ôl cf 51,26).<br />

25 Tendi la tua spalla e portala,<br />

non disdegnare le sue CATENE (taÐbulãt).<br />

B - Caccia<br />

26 HBGr Con tutta l’anima avvicìnati ad essa (Dt 6,5);<br />

e con tutta la tua forza custodisci le sue vie;<br />

27 cerca e scava/indaga (daraš, heqer), insegui (biqqeš) e trova,<br />

e afferrala e non lasciarla 64.<br />

28 Poiché alla fine troverai la sua pace<br />

e si trasformerà in piacere per te.<br />

A’ - Mutazione<br />

29 I suoi CEPPI saranno per te una protezione potente,<br />

le sue CATENE una veste di gloria (= veste splendida).<br />

30 Un ornamento (giogo) d’oro è il suo GIOGO 65<br />

i suoi legami sono fili di porpora violetta.<br />

31 La indosserai come una veste splendida (lett. di gloria),<br />

e come di una corona con diadema ti incoronerai.<br />

3. 32-37 – A scuola di sapienza – in generale e in specie = libertà e scelta<br />

A 32 Se vuoi, FIGLIO, diventerai saggio (Gr paideuqh,sh|);<br />

e se applichi la tua mente (cuore, Gr th.n yuch,n sou), diventerai accorto (Gr. abile/panoúrgos).<br />

33 Se ami ASCOLTARE [Gr + imparerai],<br />

se tenderai il tuo orecchio, diventerai istruito [Hb tusar/musar, Gr saggio].<br />

64 Gr «Seguine le tracce/orme e cerca, e ti si manifesterà e, venutone in possesso (enkratés genomenos), non la-<br />

sciarla».<br />

65<br />

Gr “su di sé”, legge male Hb הלֻּע ׇ בָהָז יֵלֻּע.<br />

41


B 34 Frequenta le riunioni degli anziani [Hb om. v.34]<br />

e se qualcuno è saggio, unisciti a lui.<br />

35 ASCOLTA volentieri ogni discorso su Dio (Hb riflessione)<br />

e una massima (proverbio) saggia non ti sfugga.<br />

C 36 Guarda chi è intelligente (ןיבי המ; Gr se vedi una persona intelligente) e cercalo sin<br />

dall’alba (והירחשׁו, o;rqrize pro.j auvto,n)<br />

e il tuo piede consumi la sua soglia.<br />

D 37 E (Poi) rifletti sul timore (Gr i comandamenti) del Signore (H hitbônanta indirizza la<br />

tua intelligenza),<br />

e i suoi comandamenti medita (hegeh) sempre, [lettura sapienziale, Sal 1].<br />

Ed Egli renderà intelligente/saggio (yabîn, Gr saldo) il tuo cuore,<br />

e come tu desideri, diventerai saggio (Gr e la sapienza che desideri ti sarà data; lett. il desiderio<br />

della sapienza ti sarà dato).<br />

3.4 Sir 14,20-15,10: la sapienza madre e sposa<br />

14 20 Beato l’uomo che medita sulla sapienza<br />

e considera la prudenza;<br />

21 che pone il suo cuore/mente alle sue vie<br />

e sulla (via della) sua intelligenza (S i suoi sentieri 66) riflette,<br />

22 per uscire dietro a lei esplorando (o, «come un esploratore») 67<br />

e ogni sua entrata spia;<br />

23 che osserva dietro la sua finestra<br />

e presso le sue porte origlia;<br />

24 che si accampa nei pressi della sua casa<br />

e pianta i suoi picchetti (o, fissa i cavi della sua tenda 68) nel suo muro;<br />

25 e innalza (tende) la sua tenda a lei vicino<br />

e dimora come un buon vicino (leggi: wešākan šaken Ńôb)<br />

[o: così possiede una buona dimora (leggi: wešakan šeken Ńôb)].<br />

26 Pone il suo nido tra le sue foglie 69,<br />

e tra i suoi rami pernotta:<br />

27 alla sua ombra si protegge dall’arsura,<br />

e nella sua dimora (Gr gloria) pone la tenda/dimora (šākan).<br />

15 1 Sì, chi teme il Signore, questo realizza,<br />

e chi osserva la Torah la ottiene (dārak, hiphil).<br />

2 Allora (waw cons.) essa gli verrà incontro come una madre<br />

e come la sposa della gioventù lo accoglierà,<br />

3 lo alimenterà con pane di buon senso<br />

e acqua di prudenza gli darà da bere.<br />

66 «Sentieri», secondo S, è coerente con l’altro stico; Gr «nei suoi segreti» (avpokru,foij) legge una probabile<br />

radice satar, «essere nascosto»; il testo H ha tĕbûnōtêhā, «intelligenza, ragione, prudenza» che con il verso<br />

precedente indicherebbe «la via dell’intelligenza»: cf derek tebûnôt in Is 40,14, «la via dell’intelligenza» divina<br />

nell’atto della creazione.<br />

67 «Indagando/esplorando» (beÐËqer, forma avverbiale); o participio: «come uno che indaga/esplora, beth<br />

essentiae» (beÐáqËr, cf Ger 17,10, riferito a Dio; 28,3, riferito all’uomo nell’atto di esplorare), cf Gr w`j<br />

ivcneuth.j, «come un cacciatore».<br />

68 «Picchetti o cavi», cf Is 33,10; il Gr “chiodo”, è più generico; indica i picchetti della tenda, cf Gb 4,21:<br />

«Forse non sono strappati i picchetti della loro tenda da essi, e moriranno ma non per sapienza (= da<br />

insipienti)?».<br />

69 Gr pone i suoi figli sotto il suo riparo (alla sua ombra).<br />

42


4 Se si appoggia ad essa, certo non vacillerà,<br />

se in essa confida, certo non dovrà vergognarsi,<br />

5 ma lo esalterà davanti ai suoi compagni<br />

e in mezzo all’assemblea aprirà la sua bocca.<br />

6 Gioia e letizia gli farà incontrare<br />

e un nome eterno gli darà in eredità.<br />

7 Non la possono ottenere (dārak, hifil) i falsi<br />

né gli arroganti la possono vedere.<br />

8 È lontana dai cinici<br />

e gli ingannatori non la possono ricordare.<br />

9 Non è conveniente la lode nella bocca del malvagio<br />

poiché non gli è concessa da Dio.<br />

10 Nella bocca del saggio la lode potrà risuonare<br />

e chi la possiede (= la sapienza) la potrà insegnare.<br />

3.5 Siracide 24<br />

Presentazione<br />

1 La sapienza loda se stessa,<br />

si vanta in mezzo al suo popolo.<br />

2 Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,<br />

si glorifica davanti alla sua potenza:<br />

I – Discorso della sapienza<br />

A – esodo: funzione cosmica (creatrice e sovrana/regale) - concentrazione<br />

3 «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo Gen 1,1-3<br />

e ho ricoperto come nube la terra. Gen 2,6<br />

4 Ho posto la mia tenda (êáôåóêÞíùóá) in alto (dí ›øçëïsò),<br />

il mio trono era su una colonna di nubi.<br />

5 Il giro del cielo ho percorso da sola,<br />

ho passeggiato nelle profondità degli abissi.<br />

6 Sulle onde del mare e su tutta la terra,<br />

su ogni popolo e nazione avevo dominio (½ãçóÜìçí).<br />

7 Fra tutti questi cercai un riposo (PíÜðáõóéí),<br />

una eredità (dí êëçñïíïìßu ôßíïò) in cui stabilirmi.<br />

8 Allora il Creatore di tutto mi diede un ordine,<br />

il mio Creatore fece posare (êáôÝðáõóåí) la mia tenda<br />

e mi disse: in Giacobbe poni la tenda (êáôáóêÞíùóïí)<br />

e in Israele prenditi una eredità (êáôáêëçñïíïìÞèçôé)<br />

A’/B – esodo/insediamento: funzione storica (eredità, culto) - espansione<br />

9 Prima dei secoli (ðñ’ ôï ák§íïò),<br />

da principio (PðÒ Pñ÷yò), egli mi creò;<br />

e per l’eternità (fùò ák§íïò) non verrò meno.<br />

10 Ho officiato (dëåéôïýñãçóá) nella tenda santa (dí óêçí† Qãßu)<br />

davanti a Lui, = culto<br />

e così mi sono stabilita in Sion.<br />

11 Nella città amata ugualmente mi ha fatto posare (êáôÝðáõóåí),<br />

in Gerusalemme è il mio potere (h` evxousi,a mou).<br />

12 Ho MESSO RADICI (dññßæùóá) in un popolo glorioso,<br />

nella porzione del Signore è la mia eredità (= Ziegler; Rahlfs: la sua eredità<br />

êëçñïíïìßáò ášôï)<br />

43


Sapienza e popolo fanno percorsi simili: esodo, eredità della terra, culto. Cf. la progressione dei verbi:<br />

porre la tenda, ereditare, fermarsi, riposare, porre radici – evn Iakwb kataskh,nwson kai. evn Israhl<br />

kataklhronomh,qhti(v.8); evn Siwn evsthri,cqhn (v.10); evn po,lei hvgaphme,nh| o`moi,wj me kate,pausen<br />

(v.11); evrri,zwsa evn law/| dedoxasme,nw| evn meri,di kuri,ou klhronomi,aj auvtou/ (v.12). Per il culto<br />

(v.10).<br />

I vv.13ss riprendono la funzione storica in immagini vegetali: l’albero mette radici (v.12, inizia<br />

l’immagine); cresce e si espande in mezzo al popolo (vv.13-14): è l'insediamento nella terra, dopo<br />

l’esodo, con il culto: il v.15 richiama gli elementi per la composizone dell’incenso ((cf. Es 30,23.34).<br />

Nel suo “radicarsi” la Sapienza comunica se stessa e i suoi doni/frutti (tutto il territorio è giardino<br />

e tempio).<br />

B’ – 13 Sono CRESCIUTA (Píõøþèçí) come cedro sul Libano, = Nord<br />

come cipresso sui monti dell’Ermon.<br />

14 Sono CRESCIUTA (Píõøþèçí) come palma in Engaddi, = Sud-Est<br />

come pianta di rose in Gerico,<br />

come ulivo maestoso (åšðñåðÞò) in pianura, = Ovest<br />

sono CRESCIUTA (Píõøþèçí) come un platano.<br />

15 Come cinnamòmo e balsamo (aspalato aromatico),<br />

e come mirra scelta ho diffuso profumo (åšùäßáí);<br />

come gàlbano, ònice e storàce,<br />

come fumo d’incenso nella tenda.<br />

Cf Es 30,7s.23.25.34, Sir 39,14 = culto + piacere<br />

16 Io come un terebinto ho esteso (dîÝôåéíá) i miei rami<br />

e i miei rami sono rami di gloria e grazia.<br />

17 Io come vite ho germogliato (dâëÜóôçóá) grazia<br />

e i miei fiori, frutti di gloria e ricchezza.<br />

18 [ ms 248<br />

a) Io sono la madre del bell’amore (ôyò êáëyò) e del timore<br />

e della conoscenza e della santa speranza;<br />

b) eterna, sono donata a tutti i miei figli,<br />

a quelli da Lui scelti.<br />

Vulg . In me gratia omnis vitae et veritatis<br />

‘in me omnis spes vitae et veritatis’. ]<br />

C – 19[18] VENITE A ME, voi che mi desiderate,<br />

e SAZIATEVI/riempitevi dei miei frutti (ãåíçìÜôùí).<br />

20[19] Il mio ricordo è più dolce del miele,<br />

il mio possesso più di un favo di miele. 49,1 (Giosia)<br />

21[20] Quanti mi mangiano ancora avranno fame<br />

e quanti mi bevono ancora avranno sete.<br />

22[21] Chi mi obbedisce non si vergognerà,<br />

e chi compie le mie opere (opera in/con me) non peccherà».<br />

II. Parla il Saggio: La sapienza e la legge – immagine dell’acqua (luce)<br />

A 23[22] Tutto questo è il libro dell’alleanza del Dio Altissimo,<br />

la Legge che Mosè ci ha comandato,<br />

eredità della/e comunità (óõíáãùãáé/ò/óõíáãùãÞ) di Giacobbe 70 .<br />

70 I minuscoli 542 e 797 e la versione siriaca leggono al singolare, «la comunità»; il plurale potrebbe rappresentare<br />

meglio la situazione della diaspora giudaica (Cf. O. RICKENBACHER, Weisheitsperikopen, pp. 90ss. 167). Però<br />

v.23bc è citazione letterale di Dt 34,4. Anche il primo stico, âßâëïò äéáèÞêçò èåï ›øßóôïõ, è discusso. Peters<br />

lo ritiene una glossa secondaria derivata da Bar 4,1, seguito da RICKENBACHER (ivi, pp. 124.127) che porta argomenti<br />

di tipo formale, come l’uso dei tre stichi, anziché il distico che Ben Sira preferisce. Il testo andrebbe letto<br />

così: «Tutto questo è la Legge, / che Mosè ci ha ordinato / come eredità per la/le assemblea/e di Giacobbe».<br />

Ma P.W. SKEHAN, «Structures in Poems on Wisdom: Proverbs 8 and Sirach 24», CBQ 41 (1979), p. 379, e DI<br />

44


24 [ms 248<br />

Non cessate di rafforzarvi nel Signore,<br />

aderite/incollatevi a lui, perché vi dia vigore.<br />

Il Signore Onnipotente è l’unico Dio,<br />

e non c’è altro Salvatore al di fuori di Lui.]<br />

25[23] Essa (= Legge) trabocca di sapienza (óïößáí) come il Pison<br />

e come il Tigri nei giorni delle primizie; cf 50,8 = abbondanza<br />

26[24] riempie di intelligenza (óýíåóéí) come l’Eufrate<br />

e come il Giordano nei giorni della mietitura;<br />

27[25] fa brillare (¿ dêøáßíùí) come il Nilo<br />

(= Sir je’or; Gr come luce = ’ôr) l’istruzione (ðáéäåßáí),<br />

come il Ghicon nei giorni della vendemmia. = attività costante<br />

28[26] Il primo [uomo] non ne esaurisce la conoscenza = inesauribilità<br />

né l’ultimo la può pienamente indagare.<br />

29[27] Il suo pensiero infatti è più vasto del mare = insondabilità<br />

e il suo consiglio più del grande abisso.<br />

B 30[28] E IO, come un canale sono uscito (cf v.3) da un fiume<br />

e come un acquedotto verso un paradiso-giardino (åkò ðáñÜäåéóïí),<br />

31[29] Ho detto: “Innaffierò il mio giardino (Ðïôé§ ìïõ ô’í êyðïí)<br />

e irrigherò (ìåèýóù) la mia aiuola”.<br />

Ma ecco, il mio canale è diventato un fiume,<br />

e il mio fiume è diventato un mare. cf Ez 47,1-12<br />

32[30] Farò ancora splendere (öùôé§) la mia istruzione (ðáéäåßáí) come aurora;<br />

la farò brillare (dêöáí§) molto lontano. Cf v..27(25);<br />

39,8 (il saggio: dêöáíås ðáéäåßáí äéäáóêáëßáò ášôï)<br />

33[31] Riverserò ancora l’insegnamento come profezia,<br />

(hôé äéäáóêáëßáí ©ò ðñïöçôåßáí dê÷å§)<br />

lo lascerò per le generazioni future.<br />

34[32] Vedete, non ho faticato solo per me,<br />

ma per quanti la cercano (= sapienza/insegnamento-istruzione). cf 33,18; 37,26; 39,8<br />

3.6. La sapienza in Ben Sira<br />

Ricerca e sequela della Sapienza costituiscono il tema centrale del libro. Per Ben Sira la<br />

Sapienza resta l’ideale più alto, perciò ne sintetizza i vari aspetti ereditati dalla tradizione.<br />

La sapienza è anzitutto qualità divina, impenetrabile e incalcolabile: Dio la possiede eternamente<br />

(1,1-3) e la concede agli uomini, solo a quelli che lo temono o l’amano (1,10), dei<br />

quali Ben Sira si ritiene parte; si identifica in pratica con il timore di Dio. È dunque creatura<br />

di Dio e suo dono. Egli la effonde nel mondo come ordine primordiale, primogenita di ogni<br />

creatura (1,4-9; 24,9; cf Pro 8,22-31): «esce» dalla bocca di Dio con una funzione creatrice<br />

e sovrana nel cosmo, e una funzione rivelatrice e cultuale nella storia. Nella tenda ha officiato,<br />

ha posto la sua dimora stabile e si è radicata in Sion e in Israele (24,1-8.12-17) ed è<br />

effusa in abbondanza e in modo costante come l’acqua dei fiumi del paradiso terrestre e<br />

dell’Esodo e i frutti della buona stagione (24,23ss). Essa diventa allora la fonte inesauribile<br />

e insondabile, «l’albero di vita» il cui accesso, impedito in Gen 3,22, diviene possibile: chi<br />

accoglie la rivelazione si apre alla vita. L’antica idea dei saggi di Proverbi che la sapienza<br />

rappresenti l’ordine nel mondo e nelle relazioni umane (cf Pro 8,1-31) per Ben Sira si manifesta<br />

anche e soprattutto nella rivelazione di Dio presente nella storia di Israele e consegnata<br />

nella Bibbia (Sir 24, è il senso di Torah-Legge). Essa rappresenta l’espressione più alta e<br />

migliore della sapienza e ne è l’autentica interprete nella creazione e nella storia. Perciò,<br />

LELLA (cf. SKEHAN-DI LELLA, in loco), lo ritengono un testo in prosa.<br />

45


Ben Sira legge anche la storia di Israele dal punto di vista della sapienza e del saggio (cf Sir<br />

44-50), aprendola a dimensioni universali.<br />

La sapienza si rivolge all’uomo come persona, come madre, sposa, amante (Sir 15,2) e<br />

come educatrice (4,11-19): in questo ruolo gli parla, esige docilità e sottomissione, gli impone<br />

un severo tirocinio, perché si entra gradualmente in suo possesso. Il maestro indica<br />

perciò le condizioni per cercare e trovare la sapienza. Chi la desidera, egli avverte fin<br />

dall’inizio, deve prepararsi all’inevitabile prova (2,1-18), avere il coraggio di seguirla su<br />

percorsi impraticabili, affrontando le difficoltà che essa pone sulla sua strada, ma alla fine<br />

diventa liberante (4,17-19; 15,1-6; in 51,1-12 Ben Sira mostra che concretamente la sapienza<br />

lo salvò dalla calunnia). Occorre una docilità attiva: farsi incontrare, accettare il suo giogo,<br />

amarla e cercarla con assiduità, tenacia e perseveranza (6,23-31). Il folle non la raggiunge,<br />

perché ritiene troppo ardua la fatica, mentre l’accoglie proficuamente il fedele discepolo<br />

(6,18-22). Per conquistarla egli deve possedere l’abilità del cacciatore e la passione<br />

dell’amante (14,20-15,10). In concreto, chi vuole diventare saggio deve cercare la compagnia<br />

dei saggi e scegliersi un maestro da seguire ogni giorno con zelo e passione, riflettere<br />

sulla Torah secondo il metodo sapienziale per farne un progetto di vita (6,18-37), contemplare<br />

il mondo (42,15-43,33), osservare i precetti (è mettere in pratica la sapienza, 19,21) e<br />

pregare fin dal mattino, perché essa è dono di Dio (39,5ss, cf Sap 9). In tal modo si acquista<br />

il favore di Dio (Sir 4,12, cf Prov 8,35).<br />

Ma c’è qualcosa di più grande: amare e cercare la sapienza è amare e cercare Dio, diventa<br />

un atto liturgico. Non si può penetrare il mistero del Dio che si rivela e ci chiama a sé<br />

se non mediante una attenzione amorosa continua. Ci incoraggia non solo il pensiero che<br />

Dio al termine si rivelerà totalmente, ma anche che fin dai primi passi la sapienza di Dio si<br />

fa nostra compagna (Sir 4,17-18). Il saggio è quindi assimilato alla sapienza stessa che «ha<br />

ufficiato nella tenda santa» (Sir 24,10) e riceve la gloria del sommo sacerdote: i legami della<br />

sapienza diventano una cintura di porpora violetta (6,29-31) e riflettono le vesti sacerdotali<br />

(cf Es 28,39; Sir 45,7-13). Allora si conoscerà la pienezza della gioia nell’unione perfetta<br />

con la Sapienza di Dio. Tutto ciò che poteva sembrare un giogo o un ostacolo al nostro<br />

cammino, è in realtà ciò che costruisce la nostra dignità; il cammino, per quanto austero,<br />

non è un percorso da schiavi, bensì da sacerdoti che rendono a Dio il culto dovuto 71 .<br />

Ben Sira ci comunica l’esperienza personale della sapienza in termini di passione, scoperta,<br />

stupore. Il poema alfabetico finale dedicato alla sapienza (Sir 51,13-22) mostra come<br />

egli stesso sia stato preso dalla sapienza, l’abbia perseguita come un innamorato e si sia legato<br />

a lei con fedeltà. Allora, dandole voce e identificandosi in un certo modo con essa, egli<br />

avverte il compito di invitare alla sua scuola quanti la cercano per prolungarne l’insegnamento<br />

(51,23-30). Così, divenuto un saggio eminente e un modello per i discepoli, realizza<br />

il suo ideale di lavorare non solo per sé ma anche per quanti cercano la sapienza e l’istruzione<br />

(24,34; 33,18; 39,6-8.12-13). Offrendo ai discepoli la sua istruzione, insegnando loro<br />

le condizioni per accedere alla sapienza e le caratteristiche di colui che la scopre, egli giunge<br />

allo scopo ultimo della formazione: la gioia di lodare Dio. 72<br />

71 Cf. M. GILBERT, «La sequela della Sapienza. Lettura di Sir 6,23-31», in PSV 2 (1980) 53-70, in specie, p. 70.<br />

72 Cf M. GILBERT, «La pedagogia dei saggi nell’antico Israele», La Civiltà Cattolica 155 (2004, III) 345-358, cf<br />

«À l’école de la Sapesse», Gregorianum 85 (1/2004), pp. 20-42.<br />

46


Testo<br />

LIBRO DELLA <strong>SAPIENZA</strong><br />

Elogio della Sapienza: Sap 7,22-8,1<br />

I. Spirito della S - natura (21 attributi)<br />

7, 22b In essa c’è uno spirito intelligente, santo,<br />

unico, molteplice, sottile,<br />

mobile, penetrante, senza macchia, terso,<br />

inoffensivo, amante del bene, acuto,<br />

23 libero(incoercibile), benefico, amico dell’uomo,<br />

stabile, sicuro, senz’affanni<br />

onnipotente, onniveggente,<br />

e che pervade tutti gli spiriti<br />

intelligenti, puri, sottilissimi.<br />

II. a) Sapienza: natura – origine<br />

24 La Sapienza è il più agile di tutti i moti;<br />

per la sua purezza si diffonde-attraversapervade<br />

e penetra in ogni cosa.<br />

25 È un’emanazione della potenza di Dio,<br />

e un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente,<br />

per questo nulla di contaminato in essa s’in-<br />

filtra.<br />

26 È un riflesso della luce perenne,<br />

uno specchio senza macchia dell’attività di Dio,<br />

e un’immagine della sua bontà.<br />

b) Sapienza: attività nell’uomo e nel cosmo<br />

27 Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo<br />

in se stessa, tutto rinnova<br />

e attraverso le età entrando nelle anime sante,<br />

forma amici di Dio e profeti.<br />

28 Nulla infatti Dio ama se non chi abita con la<br />

sapienza.<br />

29 Essa in realtà è più bella del sole<br />

e supera ogni costellazione di astri;<br />

paragonata alla luce, risulta superiore;<br />

30 a questa, infatti, succede la notte,<br />

ma contro la sapienza la malvagità non può pre-<br />

valere.<br />

8, 1 Essa si estende da un confine all’altro con<br />

forza<br />

e governa in modo eccellente ogni cosa.<br />

στν γ ν τ πνµ νν γν<br />

µνγνέ πλõµέ λπτν<br />

κίντν τνν µλõντν<br />

σφέ πήµντν φλάγθν ξ<br />

κώλõτν γτκν φλάνθùπν<br />

βέβν σφλέ µέµνν<br />

πντδνµν πνπίσκπν<br />

κ δ πάντùν χùν πνõµάτùν<br />

νν κθν λπττάτùν.<br />

πάσ γ κνήσù κντκώτν σφί,<br />

δήκ δ κ χù δ πάντùν δ τν<br />

κθττ<br />

τµ γά στν τ τ θ δõνάµù<br />

κ π τ τ πντκάτ δξ<br />

λκνή<br />

δ ττ δν µµµµένν τν<br />

πµπίπτ.<br />

πγσµ γά στν φùτ ̓δίõ<br />

κ σπτν κλίδùτν τ τ θ νγί<br />

κ κν τ γθττ τ.<br />

µί δ σ πάντ δντ κ µένõσ ν<br />

τ τ πάντ κνίζ<br />

κ κτ γν ψõχ σί µτβίνõσ<br />

φίλõ θ κ πφήτ κτσκõάζ<br />

θν γ γπ θ µ τν<br />

σφίu σõνκντ<br />

στν γ τ ππστέ λίõ<br />

κ π πσν στùν θέσν.<br />

φùτ σõγκνµέν ίσκτ πτέ<br />

ττ µν γ δδέχτ νξ<br />

σφί δ κτσχ κκί.<br />

δτίν δ π πέτ π πέ ώστù<br />

κ δκ τ πάντ χστ.<br />

Contesto<br />

• 6,22-25: introduzione<br />

• 7,1-6: Salomone, dopo aver ricordato di essere un uomo come tutti (= la S. è accessibile a<br />

tutti), in 7,7-12.13-21 (o 22a, secondo la numerazione), presenta la S come il bene superiore (a<br />

47


icchezza, potere, salute e bellezza, cioè ai beni fisici, morali e culturali). È un tesoro che attira<br />

l’amicizia di Dio in chi lo possiede (v.14); è γντί, madre, generatrice di tutti i beni<br />

(v.12); τχνίτ, artefice di tutte le cose (v.21, cf 8,6). Perciò, «supplicai, invocai, preferii,<br />

stimai, amai, ho goduto» (= S sposa, cf 8,2-16).<br />

• 7,22-8,1: elenca qualità e natura - attività o risultati. È la strofa centrale della seconda parte.<br />

• 8,2-9.10-16: allora Salomone la chiede in sposa, esaltandone i beni, tutti desiderabili, e riconoscendo<br />

che è la migliore compagna del giusto saggio.<br />

• 8,17-21: però è dono di Dio; occorre invocarla. Segue perciò la preghiera.<br />

preghiera (c.9)<br />

vv.1-6: senza S l’uomo è nulla (S intronizzata, πάδν, governa il mondo);<br />

vv.7-12: S dal cielo (conosce e mostra, guida a e realizza le virtù);<br />

vv.13-18: la S e i disegni di Dio (con la S l’uomo li conosce; S e salvezza).<br />

Struttura<br />

I. Lo Spirito della S (7,22-23: στν γ dí ášô† πνµ νν...): 21 attributi ne<br />

designano la natura.<br />

II. La Sapienza (7,24-8,1, cf inclusione: v.24b penetra in ogni cosa; 8,1b: governa ogni<br />

cosa)<br />

1) 7,24-26: sua natura e origine (soggetto è σφί)<br />

2) 7,27-8,1: attività nell’uomo e nel cosmo = µί δ σ πάντ δντ<br />

Analisi<br />

I. 7,22-23: Lo Spirito della S.<br />

Lo Spirito era già stato presentato in 1,6-10 (la sua inquisizione) e 7,5.<br />

I titoli<br />

• Non si tratta di una definizione, ma dell’accumulo di sinonimi, per lo più contenenti<br />

alfa privativo, per meglio descrivere l’inafferrabile; tale è la ricchezza da rendere<br />

impossibile una descrizione completa. Non si parla di Salomone, ma della S e del<br />

suo Spirito, con cui è spesso identificata 73 .<br />

La terminologia è filosofico-religiosa, vicina al mondo greco. Molti epiteti appartengono<br />

al lessico stoico: si pone in raffronto con il “bene” stoico, qui spiritualizzato<br />

(De Places) 74 .<br />

S. Basilio userà il medesimo linguaggio per descrivere lo Spirito Santo (Trattato:<br />

«Su lo Spirito Santo» 9,22-23; PG 32,107-110, cf Martedì VII settimana di Pasqua).<br />

73 Identificazione tra S e Spirito (nota 71, p. 256, CAPPELLETTO - MILANI). – Sono entrambi il principio<br />

interno della vita fisica e morale: compiono le stesse azioni (9,17 per conoscere il disegno di Dio; 7,17<br />

entrando nelle anime la S forma amici di Dio e profeti, ciò che in campo profetico era attribuito allo Sp),<br />

sono interscambiabili (1,4-6; 9,17; 7,22-24, principio di vita dei giusti, penetra in essi), mostra e comunica<br />

le virtù, le produce (7,27; 8,7cd; 9,18; 6,25). – S e Sp nell’azione cosmica (= natura divina): 7,22 azione<br />

cosmica dello Sp, abbozzata in 1,4-7, come la S.<br />

74 Per il raffronto con lo stoicismo, cf É. DE PLACES, «Épithètes et attributs de la “Sagesse”», Bib 57<br />

(1976) 414-419. G. SCARPAT, Libro della sapienza, Vol. II, pp. 112s, offre il testo dell’inno di Cleante a<br />

Zeus: inno al «Bene», riportato da Clemente di Alessandria (Protr. 6,72,2), che lo identifica con Dio.<br />

«Chiedi: “Il bene com’è?”. Stammi a sentire: / Ben ordinato, giusto, santo e pio, / Padron di sé, giovevol,<br />

bello, debito, / Austero, aperto e franco, utile sempre, / Ignaro di timore e di tristezza, / Profittevole,<br />

privo di dolore, / Benefico, piacevole, sicuro, / Caro, onorato, grato, coerente, / Di buon nome,<br />

discreto, premuroso, / Mansueto ed energico e tenace, / Incensurabile, sempre duraturo» (trad. Festa).<br />

48


• Il numero 21 è multiplo di due numeri sacri: 3 x 7 (3 = Es 23,17; Dt 16,16; 7 = Lv<br />

23,8; 1Re 2,5; Prov 9,1; Tb 12,15). L’ordine più che alla logica sembra rispondere a<br />

una preoccupazione retorica (cf µνγνέ / πλõµέ, πντδνµν / πνπίσκπν).<br />

• Una prima difficoltà appare nel v.22: nei manoscritti le varianti oppongono dí<br />

ášô† (= «in essa c’è», codici B C S) e τή (= «essa è», codice A - Alessandrino,<br />

V sec.). Le dispute trinitarie hanno basato le loro argomentazioni su questo stico:<br />

τή sarebbe la lezione originaria, ν τ sarebbe la correzione cristiana comoda<br />

a qualcuno nella polemica teologica. Ma le due espressioni possono essere considerate<br />

equivalenti.<br />

v.22<br />

1) νν, intelligente: perché la S è confidente del pensiero divino (8,4 e 9,9) e sa tutto<br />

(8,8; 9,11).<br />

2) γν, santo: origine divina – introduce nell’ambito divino (vv.25ss; 9,17). È titolo<br />

più biblico che greco.<br />

3) µνγνέ, unico più che unigenito: nella S non c’è altro Spirito, è incomparabile<br />

per il suo modo di essere e agire (v.27, µ), unico nel suo genere e nel suo rapporto<br />

con Dio; in ebraico jāhîd corrisponde sia a µνγνέ che ad γπτ: amato<br />

in modo eccezionale, prediletto.<br />

4) πλõµέ, molteplice, non per gli elementi ma per le virtù e potenzialità e per le sue<br />

attività universali (cf v.27; 8,1; 1Cor 12,4): unico nella sua essenza, è molteplice nelle<br />

manifestazioni e doni. L’autore conosce la dottrina dell’anima del mondo: vi appone<br />

le molteplici virtualità e manifestazioni della S (cf il vocabolario stoico; Platone<br />

lo collega con il movimento).<br />

5) λπτν, sottile: non è opposto alla materia; ma delicato, leggero, cf spirito sottilissimo;<br />

è il termine più vicino a “immateriale”. Così il ν di Anassagora è al di là di<br />

ogni cosa “sottile”.<br />

6) κίντν, mobile, dotato di movimento (più che “agile”); non conosce ostacoli,<br />

perché immateriale, tanto che può penetrare anche negli spiriti più sottili (v.23). È<br />

qualità inerente agli esseri superiori: per gli stoici è qualità del Principio e Causa supremi.<br />

Diversamente da Aristotele, per essi la causa prima non è immobile, ma<br />

mobile: agisce e muove l’universo.<br />

7) τνν, penetrante (radice τν- di τ-τνù, “perforare”): a motivo della sottigliezza<br />

o immaterialità può penetrare anche nei corpi (per 6 e 7, cf v.24 e 1,4). Oppure<br />

“chiaro, trasparente” (cf Is 35,6 LXX), simile a σφέ.<br />

8) µλõτν, immacolato, senza macchia (hapax in Sap, assente in LXX): cf v.24 (νõ<br />

µλõσµ, cf 2Cor 7,1: «purificatevi da ogni macchia-inquinamento della carne e<br />

dello spirito»); o meglio, incoinquinabilis (Cornely), che non può macchiarsi (cf aggettivi<br />

greci in -ôïò che equivalgono ai latini sia in -tus che in -bilis). La S non può ricevere<br />

macchie perché aborre da ogni delitto o debolezza.<br />

9) σφέ, terso o lucido, limpido: trasparente per la sua purezza, nel senso di “veritiero”<br />

(Scarpat).<br />

10) πήµντν, inoffensivo (in senso attivo = non porta dolori, non arreca danno: non<br />

arreca male perché per natura amante del bene, cf l’attributo seguente, Scarpat; contro<br />

l’idea popolare greca del dio che si vendica, invidia, fa del male); o invulnerabile<br />

49


(Lindez), impassibile (BJ, in senso passivo = non patisce deformazioni, rimane inalterato,<br />

mentre il creato è “sofferente”, πάσχν).<br />

11) φλάγθν, amante del bene o pieno di bontà, perché santo e nemico del male e<br />

dell’invidia:<br />

Non mi accompagnerà con l’invidia che consuma,<br />

poiché essa non ha nulla in comune con la S (6,23).<br />

È aggettivo ignoto ai LXX e hapax in Sap, molto raro nella grecità profana. Impiegato<br />

da Aristotele (m. mor. 2,14,3 [1212b18): «è quindi amante del bene (φλάγ-<br />

θ), non di se stesso (φίλõτ)»; Filone pone la φλγèί tra le virtù del legislatore,<br />

specificando che “l’amor del bene” è «accogliere le cose buone per natura<br />

e procurarle, senza fini speculativi, a quelli che le meritano, affinché le usino senza<br />

restrizioni» (π φθντάτν χσν, la frase ricorda Sap 7,13: δλù τ<br />

µθν, φθν τ µτδίδùµ, «senza frode imparai e senza invidia io dono»);<br />

sono doti richieste nei trattati al saggio al legislatore e al re.<br />

12) ξ, acuto, ossia perspicace, tutto penetra sin nei più reconditi angoli dell’animo (cf<br />

v.24); altri intendono non nel senso di ingegno acuto o penetrante ma veloce nell’azione<br />

(cf Prov 22,29LXX «un uomo veloce, ξ, nelle sue azioni»; Am 2,15:<br />

«l’uomo veloce, ξ, nei suoi piedi»; Rm 3,15: «veloci i loro piedi a versare sangue»).<br />

v.23<br />

13) κώλõτν, libero, incoercibile: è libertà assoluta e sovrana; applicato dagli stoici ai<br />

saggi o a Legge, Natura e Destino, in quanto realtà supreme. Con questo avverbio<br />

Luca conclude gli Atti degli Apostoli: Paolo continuava a predicare il regno di Dio e<br />

a insegnare «con tutta franchezza senza impedimento alcuno (µτ πάσ π-<br />

σί κùλτù)» (At 28,31).<br />

14) γτκν, benefico: realizza, non solo osserva e vede il bene. In Filone, il Dio di<br />

Giacobbe non mostrerà più il suo aspetto di dominatore (τ δσπτκν), ma<br />

l’aspetto benefico (τ γτκν) della sua pietà universale e della sua potenza<br />

salvatrice (σùτίõ δõνάµù, Plant. 90); anche per Crisippo (Stoic. rep. 1051E) è<br />

questo un attributo della divinità.<br />

15) φλάνθùπν, amico dell’uomo (cf 1,6), che comporta: misericordia, clemenza, moderazione,<br />

qualità che Dio rivela nella pedagogia con l’uomo (cf 12,19). 14) e 15)<br />

sono attributi stoici della Provvidenza, aprono alla speranza, non sono solo consolatori.<br />

16-17) βέβν, σφλέ, stabile, sicuro: sono sinonimi; uno è positivo, l’altro negativo:<br />

non vacilla nei passi e nelle decisioni; stabilità e costanza, fermezza sono qualità della<br />

virtù, proprie dei saggi stoici: l’uomo può star sicuro. «Solo il saggio dice la verità<br />

e ha della verità una conoscenza ferma/sicura [πστήµν χ τλθ ββίν]»<br />

(Sesto empirico, in SVF III, nr.657). Così lo “spirito della S” è conoscenza sicura,<br />

con valore attivo: «guida sicura alla conoscenza». Nell’inno di Cleante σφλέ significa<br />

«che non fallisce», ma anche «che non inganna».<br />

18) µέµνν, senz’affanni, libero da preoccupazioni e turbamenti che travagliano la vita<br />

umana, soprattutto quella degli empi e stolti (cf 6,15b: «chi veglia per lei sarà presto<br />

senza affanni»). È una conquista della saggezza: «Affinché il filosofo acquisti e<br />

conservi, con cura e attenzione, la tranquillità dell’animo (µµνίν), rimanendo<br />

50


sempre esente da caduta e da colpa». Corrisponderebbe al latino securus, securitas,<br />

condizione tipica della divinità (Seneca, Ep. 53,12).<br />

19) πντδνµν, onnipotente: è attributo divino (cf 11,17; 18,15), ma anche la S, «essendo<br />

unica, può tutto» (v.27, πάντ δντ); ha fatto tutto (τχνίτ, v.21b;<br />

8,6).<br />

20) πνπίσκπν, onniveggente (hapax in Sap, assente in LXX): lo Spirito del Signore è<br />

presente in tutto l’universo, compie l’ispezione (1,7-8, cf Sir 15,18) e governa tutto<br />

(8,1).<br />

21) δ πάντùν χùν πνõµάτùν, pervade o penetra in tutti gli spiriti: è lo spirito/vento<br />

superiore a tutti gli altri. Penetra essendo più sottile, ma anche per affinità:<br />

gli spiriti sono intelligenti, puri, sottilissimi (νν, κθν, λπττάτùν), come gli<br />

angeli. Negli spiriti si ravvisano genericamente le creature più alte dell’universo, ma<br />

potrebbe trattarsi nei tre aggettivi delle anime umane così qualificate in opposizione<br />

al corpo, come in Filone che ravvisa nel pneuma la parte spirituale dell’uomo, la parte<br />

superiore dell’anima, che è degna di quegli attributi: «La razza dell’anima, razza<br />

che è intelligente e celeste giungerà fino all’essere il più puro come verso il padre<br />

suo» (Her. 283).<br />

II. 7,24-8,1: La Sapienza. Origine, natura e attività<br />

NB. vv.24-26 = 8 emistichi; vv.28-8,1: uomini e cosmo = 8 emistichi; al centro v.27<br />

= 4 emistichi<br />

a) vv.24-26: origine divina della S<br />

v.24: Soggetto è la S che richiama alcuni precedenti attributi, affermandoli ad un grado<br />

più intenso.<br />

• Il più agile, mobile in senso attivo, di tutti: è supremazia su tutti gli esseri (cf v.22).<br />

• Sua purezza e dilatato potere penetrante ed espansivo (cf 22c), vicino al concetto<br />

di immaterialità: δκν, attraversare, e χùν, penetrare, sono termini stoici applicati<br />

alla divinità; la S introduce nell’ambito divino. L’autore purifica i platonici e gli<br />

stoici da elementi panteistici riferiti all’anima del mondo e al logos e pneuma, e li<br />

applica alla S che è spirito, cioè πνέõµ spiritualizzato.<br />

vv.25-26: Usa cinque metafore, non concetti puri (cf Sir 24,3 e Prov 8,23 aggiornati),<br />

per indicare l’origine divina della S, e affermare che è ineffabile.<br />

Le prime due appartengono al campo simbolico dell’acqua:<br />

• τµί, effluvio o emanazione della potenza divina;<br />

• π, emanazione della gloria genuina (τ... δξ λκνή) di Dio, o scaturisce<br />

pura dalla gloria dell’Onnipotente (Cei: emanazione genuina).<br />

Accentua l’origine divina e la purezza: Dio è la sorgente segreta di quest’acqua purissima.<br />

Interessa la provenienza e l’intimità con Dio (cf Sir 24,3); si sottolinea l’aspetto dinamico<br />

e divino della potenza di Dio. L’accento è sui sostantivi: gloria, è segno di chi è<br />

invisibile; onnipotente = Dio creatore, in concreto “può tutto” (cf vv.23.27). Potenza e<br />

gloria, cf Sal 29,1.<br />

Le altre tre accentuano il fenomeno luminoso:<br />

• πγσµ, riflesso, lampo, riverbero della luce perenne. Si identifica con Dio luce<br />

(cf Ab 3,4; Is 60,1.19-20; 1Gv 1,5 e nei “simboli”: “Luce da Luce”).<br />

51


• σπτν κλίδùτν, nitido specchio, in cui possiamo vedere riflessa l’attività (ν-<br />

γί, cf v.17; 13,1 con v.21; 8,6) di Dio: la sua attività è quella di Dio, è collaboratrice<br />

nella creazione;<br />

• κών, immagine della sua bontà: in qualche modo è presente in essa, cf Spirito “amico<br />

del bene” (22d), benefattore e amico dell’uomo (v.23a e 8,16).<br />

b) 7,27-8,1: attività della S<br />

Al v.27, la premessa richiama i precedenti attributi: – µί, unica, inconfondibile, esclusiva,<br />

rimane se stessa; ma molteplice è la sua attività, come lo spirito.<br />

Dopo aver ricordato la sua attività illimitata («può tutto», πάντ δντ) e la sua<br />

forza rinnovatrice universale («tutto rinnova», τ πάντ κνίζ), si afferma che la S<br />

è per l’uomo la via che porta a Dio (vv.27-28): «Scende nelle anime sante (ò ψõχ<br />

σί) e rende amici di Dio e profeti. Dio, infatti, non ama nessuno, se non chi abita<br />

con la S».<br />

- La sua azione è soprattutto interiore: è principio di vita religiosa e morale. L’autore identifica<br />

o coniuga la S con la profezia (27c-28).<br />

- È anche la via-sposa (8,2-16) che assicura l’immortalità (8,17, cf 6,17-19); la madre<br />

di tutti i beni (γντί, 7,12).<br />

Per il cosmo (7,29-8,1): dopo avere esaltato il ruolo attivo della S nella creazione (τ-<br />

χνίτ ossia artefice di ogni cosa, 7,21[22a]; 8,4-6), ora afferma che per mezzo suo<br />

Dio governa il mondo. Sembra esaltare la mobilità: si estende... con vigore, δτίν...<br />

ώστù; governa “il tutto” in modo eccellente, δκ τ πάντ χστ (cf Sir<br />

24,3ss). È l’anima del mondo. Perciò è superiore e antecedente a tutte le realtà più splendide<br />

(sole, astri, luce). L’immagine di luce/tenebre la presenta come perenne vincitrice<br />

su ogni tenebra/male.<br />

In conclusione, oltre alla S umana tradizionale (cf Sap 7 con 1Re 3,9-14, S in Salomone),<br />

appare la S divina: è realtà oggettiva (personificazione), in relazione con Dio, appartiene<br />

all’ambito divino, è di ordine divino (sposa, emanazione, specchio). Acquista le<br />

funzioni di Dio.<br />

L’autore ne parla come parla di Dio: potrebbe essere sostituita da Dio, Potenza, Spirito<br />

(cf 1,3-7). Ha un ruolo attivo nella creazione: «artefice» del mondo è attributo divino<br />

( πάντùν τχνίτ, 7,21; τν ντùν... τχνίτ, 8,6; in Is 13,1 è detto di Dio);<br />

penetra dovunque (= universale presenza); intronizzata (πάδν) presso Dio (9,4),<br />

governa il mondo assicurando la coesione e l’ordine del cosmo (7,24; 8,1).<br />

Tuttavia, non è una dea, personalità indipendente da Dio, ma attributo divino personificato:<br />

presente in ogni luogo (cf Sir 15,18), saggiamente dirige e governa il mondo (cf<br />

Sap 15,1, che dice di Dio: «con misericordia governi l’universo / λέ δκν τ<br />

πάντ»).<br />

La personificazione serve ad esprimere l’azione di Dio nel mondo (in 9,1b-2 è identificata<br />

con la parola creatrice: πήσ τ πάντ ν λγ σõ κ τ σφίu σõ<br />

κτσκõάσ νθùπν) e la sua presenza nell’universo (1,7; 7,24), nell’uomo (madre-γντί<br />

di tutti i beni, 7,12) e, in particolare, nei giusti (7,27, cf spirito amico<br />

dell’uomo, 1,4-6; sposa 8,2-8; convive con Dio e con il saggio = intimità coniugale, 3,9;<br />

«sia al mio fianco e si affatichi con me», 9,10-12). Ma senza rinunciare al monoteismo.<br />

È il massimo tentativo di accogliere la cultura ellenistica.<br />

52


Appare il duplice ruolo o dimensione della S. A) È la presenza attiva di Dio nel mondo,<br />

“anima del mondo”. B) Rappresenta il culmine dell’esperienza umana.<br />

Oltre all’origine natura e attività, l’autore tratta anche dell’accessibilità e della ricerca della<br />

S, ricordando le condizioni:<br />

- È accessibile a tutti; chiunque la desidera deve però implorarla.<br />

- La Qìáñôßá impedisce alla S di entrare nell’uomo (1,4ss). Tuttavia, la S non è totalmente<br />

impotente di fronte al peccato.<br />

- Essa stessa prende l’iniziativa, si fa trovare (6,12-21, cf Prov 1; 8; 9; Sir 15,2ss) e non si<br />

rifiuta a chi la cerca. Quando un uomo la desidera e la accoglie (6,16), si avvicina a Dio,<br />

ottiene ogni bene, in specie l’eternità (6,18-19; 8,17). Perciò, la sua attività nel mondo<br />

non può che dare il bene alle persone.<br />

53


Preghiera per ottenere la sapienza (Sap 9,1-18)<br />

1a strofa<br />

A 1 “Dio dei padri e Signore di misericordia,<br />

che tutto hai creato con la tua parola,<br />

2<br />

PER MEZZO DELLA tua <strong>SAPIENZA</strong> hai formato l’UOMO,<br />

perché domini sulle creature fatte da te,<br />

3<br />

e governi il mondo con santità e giustizia<br />

e pronunzi giudizi con animo retto,<br />

4<br />

B DAMMI LA <strong>SAPIENZA</strong>, che siede in TRONO accanto a te<br />

C<br />

2a strofa<br />

D<br />

E<br />

e non mi escludere dal numero dei tuoi figli,<br />

5 perché io sono tuo servo e figlio della tua ancella,<br />

UOMO debole e di vita breve,<br />

incapace di comprendere la giustizia e le leggi.<br />

6 Infatti, anche se UNO fosse il più perfetto tra gli uomini,<br />

senza la <strong>SAPIENZA</strong>, sarebbe stimato un nulla.<br />

7 Tu mi hai prescelto come re del TUO POPOLO<br />

e GIUDICE dei tuoi figli e delle tue figlie;<br />

8 mi hai incaricato di costruirti un tempio sul tuo santo monte,<br />

un altare nella città dove hai posto la tua tenda,<br />

immagine della tenda santa che preparasti al principio.<br />

9 Con te è la Sapienza CHE CONOSCE le tue opere,<br />

che era PRESENTE quando creasti il mondo;<br />

essa conosce CIÒ CHE ti È GRADITO<br />

e ciò che è retto secondo i tuoi comandamenti.<br />

10<br />

B’<br />

Mandala dai cieli santi,<br />

INVIAla dal tuo TRONO glorioso,<br />

E’ perché sia PRESENTE vicino a me e mi affianchi nella fatica<br />

e io sappia CIÒ CHE ti È GRADITO.<br />

11<br />

Essa infatti tutto CONOSCE e comprende;<br />

mi guiderà con prudenza nelle mie azioni<br />

e mi proteggerà con la sua gloria.<br />

12<br />

D’ Così le mie opere ti saranno gradite;<br />

io GIUDICHERÒ il TUO POPOLO CON EQUITÀ<br />

e sarò degno del trono di mio padre.<br />

3a strofa<br />

13<br />

C’ QUALE UOMO può conoscere il volere di Dio?<br />

Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?<br />

14<br />

I RAGIONAMENTI dei mortali sono timidi<br />

e incerte le nostre riflessioni,<br />

15<br />

perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima<br />

e la tenda d’argilla grava la mente agitata dai molti pensieri.<br />

16<br />

A stento noi ci raffiguriamo le cose terrestri,<br />

e quelle a portata di mano noi le scopriamo con fatica;<br />

ma le cose del cielo CHI può rintracciarle?<br />

17<br />

E chi avrebbe potuto conoscere il tuo volere,<br />

B’’ se tu non gli avessi DATO la <strong>SAPIENZA</strong><br />

e non gli avessi INVIATO il tuo santo spirito dall’alto?<br />

A’ 18 Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;<br />

e gli UOMINI furono ammaestrati in ciò che ti è gradito;<br />

essi furono salvati PER MEZZO DELLA <strong>SAPIENZA</strong>”.<br />

54


CANTICO DEI CANTICI<br />

1 - “Interpretazioni” e Bibliografia (Cappelletto–Milani, 2010 4 )<br />

Bibliografia<br />

L. ALONSO SCHÖKEL (traduzione di B. Costacurta), Cantico dei Cantici. La dignità dell’amore, Piemme, Casale<br />

Monferrato [AL] 1993.<br />

G. BARBIERO, Cantico dei Cantici (I libri biblici, Primo testamento 24), Paoline, Milano 2004.<br />

IDEM, Non svegliate l’amore. Una lettura del Cantico dei Cantici (La Parola e la sua ricchezza 21), Paoline,<br />

Milano 2007.<br />

D. BERGANT, Il Cantico dei Cantici, Città nuova, Roma 1998.<br />

G. GARBINI, Cantico dei Cantici, Paideia, Brescia 1992.<br />

H. GOLLWITZER, Il poema biblico dell’amore tra uomo e donna. Cantico dei Cantici, (Piccola collana moderna<br />

– serie biblica 100), Claudiana, Torino 2004 2 (introduzione, nuova versione dall’ebraico e note di<br />

G. Garrone).<br />

O. KEEL, Das Hohelied. Mit 168 Abbildungen (ZB/Zürcher Bibel 18.2), Zürich 1986.<br />

T. LORENZIN, Cantico dei Cantici, (Dabar-Logos-Parola), Edizioni Messaggero, Padova 2001.<br />

D. LYS, Le plus beau chant de la création. Commentaire du Cantique des cantiques, (LD/Lectio Divina 51),<br />

du Cerf, Paris 1968.<br />

A. LUZZATO, Una lettura ebraica del Cantico dei Cantici, Giuntina, Firenze 1997.<br />

V. MORLA, Poemi d’amore e desiderio. Cantico dei Cantici, Borla, Roma 2006 (ed. spagnola: Estella 2004).<br />

Y. SIMOENS, Il Libro della Pienezza. Il Cantico dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica, EDB, Bologna<br />

2008.<br />

M.H. POPE, Song of Songs (Anchor Bible 7C), Doubleday, New York 1977.<br />

G. RAVASI, Il Cantico dei Cantici. Commento e attualizzazione, EDB. Bologna 1992.<br />

A. ROBERT-R. TOURNAY-A. FEUILLET, Le Cantique des cantiques. Traduction et commentaire (Etudes Bibliques),<br />

Gabalda, Paris 1963.<br />

J.G. SNAITH, Song of Songs (The New Century Bible Commentary), Eerdmanns Publishing Company, Grand<br />

Rapids 1993.<br />

Dalla tradizione<br />

L. DE LEON, Commento al Cantico dei Cantici, Città Nuova, Roma 2003.<br />

RASHI (RABBI SHELOMÒ BEN JIZCHAQ) DI TROYES, Commento al Cantico dei Cantici, Qiqajon, Comunità di<br />

Bose 1997 (Introduzione, traduzione e note a cura di A. Mello).<br />

J. GUYON, Commento mistico al cantico dei Cantici (Le vie 3), Marietti 1820, Genova 1997.<br />

Il Cantico dei cantici è uno dei libri più commentati e discussi della Bibbia. Il nome esprime<br />

un superlativo, «il canto per eccellenza», «il più bel canto». In realtà, raccoglie tanti<br />

poemi, classificabili secondo diversi generi, che interpretano i molteplici volti dell’unico<br />

tema, l’amore, cantato in tutto il mondo, in tanti modi e in ogni epoca. Se la sofferenza è<br />

esperienza universale, non lo è da meno l’amore. La Bibbia ha voluto inserire nel canone<br />

questo libro, nonostante alcune discussioni al riguardo, finché rabbi Aqibah non lo classificò<br />

come «il più santo» dei libri.<br />

Protagonisti sono due giovani: «Lui e lei, senza un vero nome, sono tutte le coppie della<br />

storia che ripetono i miracolo dell’amore ». Queste parole di L. Alonso Schökel orientano<br />

all’interpretazione letterale e simbolica, perché l’amore di Dio si svela a partire da una coppia<br />

che si ama. Occorre partire dall’amore umano; poi, senza dimenticarlo, entrare nella<br />

dimensione simbolica e riconoscervi il segno dell'amore di Dio per l’uomo e il suo popolo.<br />

Questa interpretazione si salda alla lettura intertestuale che valorizza il nuovo contesto<br />

biblico e liturgico nel quale il libro è inserito e vive. Il linguaggio del Cantico si accorda<br />

con quello profetico di Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele, con il Nuovo Testamento che vede<br />

Cristo sposo della chiesa, e con la liturgia giudaica che legge il libro a Pasqua come segno<br />

dell’alleanza tra il Signore/Yhwh liberatore e il suo popolo. La liturgia cristiana non ha<br />

mancato di accostare il Cantico alla figura di Maria, madre di Gesù, e il vangelo di Giovanni<br />

in Maddalena davanti al sepolcro potrebbe alludere alla ricerca della ragazza che non<br />

55


trova più il suo amato (Gv 20,1ss; Ct 3,1-5). Il libro mantiene dunque più significati. Questa<br />

lettura permette di recepire meglio il valore teologico del Cantico che riporta l'amore umano<br />

nell’ambito del progetto di creazione.<br />

Si differenzia dalla lettura allegorica o mistica, diffusa nel giudaismo e tra i Padri della<br />

chiesa, che salta il significato letterale: l’amato è Dio o Cristo e la donna è il popolo di Israele<br />

o la chiesa. Il poema sarebbe anche il canto alla gloria dell’amore puro, che celebra le<br />

nozze dell’anima con Dio, oppure un’allegoria che descrive i compimenti escatologici di Israele:<br />

le diverse situazioni degli innamorati rappresentano la storia simbolica di Israele. In<br />

questo orizzonte si può collocare anche la lettura «antologica» di Robert-Tournay-Feuillet,<br />

per altro un ottimo commento, che considera il Cantico un tessuto di citazioni bibliche soprattutto<br />

profetiche.<br />

In tempi recenti si è sviluppata la teoria drammatica e soprattutto l'interpretazione cultuale<br />

che trae origine dallo studio comparativo delle religioni e rileva corrispondenze verbali<br />

con il nostro testo. Il Cantico trarrebbe origine dal mitologico rituale di fertilità con riferimento<br />

al matrimonio sacro tra gli dei (Dumuzi e Inanna dei Sumeri, Marduk e Ishtar dei<br />

Babilonesi, Baal e Anat di Ugarit, Iside e Osiride di Egitto), oppure dai riti funerari<br />

dell’Antico Oriente impregnati di erotismo e accompagnati da vino e canti (Pope) 75 . Benché<br />

qualche allusione mitica non sia da escludere (cfr. Ct 4,8), si deve riconoscere che Israele ha<br />

demitizzato i racconti antichi, liberando il campo da ogni sacralizzazione della sessualità,<br />

concependo il matrimonio come realtà umana inserita nell’ordine della creazione (cfr. Gen<br />

2). I due amanti non sono divinità, ma due giovani che concepiscono il loro amore come unico<br />

ed eterno, forte come la morte.<br />

La data è discussa in base ai molti paralleli con le letterature erotiche dell’Antico Oriente.<br />

Si va da un tempo alto, con l’attribuzione a Salomone e al clima culturale e psicologico del<br />

suo «umanesimo», all’epoca di Ezechia con la quale i canti erotici egiziani avrebbero più<br />

stretti rapporti, fino al periodo ellenistico per una serie paralleli con i poeti erotici del tempo<br />

(Callimaco, Apollonio Rodio e Teocrito). L’ultima redazione del testo potrebbe essere collocata<br />

a quest’epoca, probabilmente quella dei Tolomei, che spiega sia l’influsso egiziano<br />

antico per l’ambiente culturale raffinato sia quello di Teocrito.<br />

2 – Struttura del libro<br />

Nonostante numerosi tentativi, rimane difficile dare un quadro del Cantico. Offro una visione<br />

d’insieme dell’attuale testo che articolo in due parti e una conclusione 76 .<br />

Sintesi<br />

1,1 Titolo: Cantico dei Cantici (superlativo)<br />

I - parte: 1,2-5,1<br />

I. 1,2-2,7: Prologo – incontro<br />

A - 1,2-4 – desiderio e sogno: tenerezza dei baci (mi introduca // 8,1-4)<br />

B - 1,5-17 apre al mondo – sguardo e abbraccio: la ragazza prende coscienza di sé<br />

B’ 1,5-11: Esterno (Io)- tra le tende dei pastori, ricerca («esci»): tema unicità<br />

B’’ 1,12-2.,3: Interno (Eccoti, bella) / (Io)– in casa, sul divano, nel contesto di un simposio:<br />

tema intimità<br />

A’ - 2,4-7: Conclusione (mi ha introdotto)<br />

75 M.H. Pope, Song of Songs (Anchor Bible 7C), Doubleday, New York 1977. Lo stesso autore offre una lunga<br />

rassegna delle interpretazioni (pp. 89-229), compresa quella cultuale di Schmökel (pp. 42-44).<br />

76 Lo schema di Luis Alonso Schökel (La Bibbia, Marietti, cf Cappelletto-Milani, 3 a edizione) metteva in risalto<br />

l’andamento dialogico e drammatico delle scene.<br />

56


II. 2,8-3,5 avvicinamento - due canti dell’amata: 2,8-17 – mattutino + 3,1-5 notturno: si intersecano<br />

voce e movimento («viene-vattene»), rito e parola, assenza e riunificazione;<br />

3,6-11 il corteo nuziale con invito: «uscite, vedete, figlie di Sion!»; il mondo vitale (femminile) è<br />

coinvolto (preparazione all’incontro).<br />

III. 4,1-5,1 bellezza e incontro - due canti dell’amato: 4,1-11; 4,12-5,1 (Eccoti, bella) contemplazione<br />

del corpo e desiderio riassunto nel dialogo: «vieni-sono venuto»; nel grido conclusivo:<br />

«mangiate, amici-bevete!», il mondo vitale (maschile) è ancora coinvolto.<br />

II Parte: 5,2-8,7<br />

È dominata dai canti del corpo: 1) 5,10-16 Lei vede lui; 2) 6,4-12 Lui vede Lei; 3) 7,1-17 il corpo<br />

di Lei nella danza (coro-amato). I poemi si concludono con la discesa nel giardino-corpo della ragazza<br />

o la salita.<br />

I. 5,2-6,3 dialogo (domanda e risposta- Io) con l’amore perduto e ritrovato; contemplazione del<br />

corpo maschile; l’azione si conclude con il diletto che «scende» nel suo giardino: emerge<br />

l’unicità e il dono reciproco (6,3).<br />

II. 6,4-12 A. visione del corpo femminile dall’alto al basso – azione: «sono sceso»<br />

7,1-11 B. visione del corpo femminile dal basso all’alto (nella danza) – azione: «salirò», con desiderio<br />

e ulteriore dono di sé (7,11).<br />

III. 7,12-8,7: Epilogo – i luoghi dell’amore:<br />

Dal desiderio-sogno alla realizzazione dell’incontro con scene tra esterno e interno, campagna<br />

(«uscire», 7,12-14) e casa («entrare/introdurre», 8,1-4): è l’esodo della coppia (cf Gen 2,18-23);<br />

continua il dono nel verbo natan-dare.<br />

Ct 8,1-4 fa inclusione con 1,2-4 (in ebraico vi è assonanza tra verbi: baciare-attirare-dar da bere<br />

o irrigare); ritorna l’alternanza esterno-interno del prologo.<br />

8,5.6-7: L’amore sopito si risveglia e si imprime (sigillo e fuoco – amore forte come la morte).<br />

Conclusione: l’amore maturo<br />

8,8-10: Coro e ragazza: la vigna incustodita diventa “città fortificata”, ma pacifica e aperta al diletto.<br />

8,11-14: L’amore non si compera; le questioni economiche (= la dote) sono superate nella libertà<br />

(«fuggi»).<br />

Titolo: 1,1 – Cantico dei Cantici, di Salomone<br />

I. PARTE: Ct 1,2-5,1<br />

Nella prima parte due cesure (2,7 e 3,5, cf 8,4) delimitano due sezioni.<br />

I - Prologo: 1,2-2,7 – Incontro<br />

A - 1,2-4 (cf 8,1-4) con baci, vino e profumi - entrare: desiderio intenso, gioia della ragazza<br />

per l’incontro (sognato?) degli amanti nella stanza materna. Le due brevi strofe (1,2-<br />

3.4) si concludono alludendo alle “altre” ragazze, che stanno a guardare e lo amano, ma<br />

lei è con lui (cf le finali dei vv.3.4). Il tema ritornerà accentuando l’unicità dell’uno per<br />

l’altro: «il mio amato è unico».<br />

Amore e vino rappresentano l’ebbrezza dell’amore. Così «baciare» e «attirare». Il testo<br />

mette in risalto l’assonanza tra yiššäqëºnî (“mi baci”, 1,1) e mašqëºnî (“attirami, trascinami”,<br />

1,4): il bacio rapisce e inebria 77 . La gioia dell’incontro, con i gesti di tenerez-<br />

77 Alonso nota l’assonanza tra «baciare» (nāšaq) e «irrigare, innaffiare» (šäqäh, hifil causativo): yiššäqëºnî minnüšîqôt<br />

(«mi baci con i baci») / yašqëºnî («irrigami, dammi da bere»). Isaia 27,3: «Io sono Jhwh suo (della vigna)<br />

custode, con frequenza ogni momento la “irrigo-bacio” (´ašqeºnnâ), perché non venga meno<br />

l’appuntamento (pāqad)». Nel Cantico il gioco tra «baciare e irrigare» è alla fine del poema, con inclusione, per<br />

assonanza, con l’inizio (baciare – attirare); vi ritorna anche la stanza nuziale (8,1-4).<br />

57


za, contiene desiderio ed ebbrezza (o l’ebbrezza del desiderio). L’amore è più inebriante<br />

di vino e profumi scelti (ìôbîm).<br />

«Egli-tu/io-tu… le altre» richiamano un corteo (cf 3,6-12), fuori: sono le grida di gioia<br />

delle nozze. È un mondo che si crea e definisce rispetto al resto. Avviene anche il passaggio<br />

al «noi»: il rapporto «io–tu» porta al «noi» (corriamo, gioiremo, ci allieteremo,<br />

ricorderemo).<br />

B - 1,5-17: incontro che apre al mondo – sguardo e abbraccio<br />

Il testo è composto di due scene (esterno e interno; o entrambe all'aperto?) e una conclusione:<br />

è scena aperta; anche la camera guarda al cielo. Dalla reazione istintuale (1,1-4), quasi<br />

in sogno, la ragazza passa a una riflessione su di sé e prende coscienza della sua bellezza<br />

e del suo corpo/vigna, in un dialogo con il suo diletto nel contesto di un simposio (cf 1,12 //<br />

2,4), con sguardo e abbraccio.<br />

• B’ – Esterno: Prima scena all’aperto, tra le tende dei pastori – tema: unicità e ricerca<br />

(1,5-8.9-11); la bellezza: «sono bella (si guarda) / sei bella» (risposta), sguardo (vv.9-<br />

11).<br />

• B’’ – Interno: Seconda scena, interna, sul divano nel contesto di un banchetto – tema:<br />

intimità (1,12-2,3). Profumi, abbraccio e riposo 78 .<br />

A’ - 2,4-7 conclusione (mi ha introdotto). In 2,4-7 vi è alternanza tra descrizione (vv.4.6) e<br />

appello (vv.5.7).<br />

Il desiderio iniziale, “mi introduca”, si realizza, “mi ha introdotto”. Dall’unicità (1,7-<br />

8) all’intimità (2,3-4) si giunge al tatto-gusto dell’altro, fino al riposo (v.13). La bellezza<br />

percepita con lo sguardo (Eccoti, bella-bello, 1,15s, cf 4,1) produce dolcezza e piacere,<br />

gusto e riposo! Vi è coscienza della bellezza (1,5.8.10). La ragazza ha un fascino che dà<br />

pace (1,12-13; 8,5-6), accompagnata da profumi di aromi e frutti e del proprio corpo.<br />

Sguardo e abbraccio portano alla scoperta del mondo; da parte sua il mondo con i<br />

suoi simboli fa da contrapunto alla coppia. All’abbraccio di lei (1,13) risponde<br />

l’abbraccio di lui (2,6-7), con intimità serena (riposa, nella nostra casa, la «casa del vino»<br />

o sala del banchetto). È sguardo reciproco, appoggiati uno sull’altra (1,15-16). Insieme<br />

scoprono il cielo (scena all’aria aperta, 1,16-17), perché l’amore rivela e dà senso<br />

al mondo circostante (il giaciglio è verde, travi sono i cedri, soffitto sono i cipressi); e<br />

nel mondo i due amanti riscoprono se stessi. È apertura anche all’Amore più grande e<br />

ultimo?<br />

Se l’amore comporta dolcezza connota anche battaglia, nella metafora della malata o<br />

ferita d’amore (cf 6,4.10: bella-leggiadra-terribile).<br />

II. 2,8-3,11(2,8-17; 3,1-5.6-11): avvicinamento- due canti dell’amata<br />

Ct 2,8-3,5 appaiono come unità con tema unitario nell’attuale contesto. Il ritornello in<br />

3,5 e 2,7 fa pensare a una intenzionale cesura operata dal redattore. Il poema di 3,1-5, con la<br />

ricerca, prolunga e supera le paure che stanno sullo sfondo della finale del canto precedente.<br />

La prima parte sembra ambientata di giorno, di notte la seconda.<br />

• 2,8-17: mattutino:<br />

2,8-15 (in due riprese vv.8-13b e vv.13c-15: “alzati”): dalla voce al volto; vocedialogo<br />

e movimento si concludono al v.14: fammi vedere / fammi udire; v.15: “af-<br />

78 Per i profumi e la scena sul divano, cf Ester. Est 2,12: è profumata per sei mesi con “olio/profumo di mirra”;<br />

sei mesi con aromi e altri cosmetici usati dalle donne = 12 mesi di profumi prima di entrare dal re (cf anche Salmo<br />

45,9). Est 7,7-8, il banchetto e il divano sul quale si trovava Ester, il re entra (v.8) nel bêt mišteh hayyiain =<br />

sala del banchetto; Aman è scoperto “pendente” presso il divano di Ester; cf Gdt 10,3-5; 12,13-20.<br />

58


ferrate”, si accorda con “lo afferrai” (3,4). È invito a togliere gli ostacoli e i pericoli<br />

all’amore appena germogliato (viti in fiore, primi fichi).<br />

2,16-17 le ombre che fuggono o si allungano: indicano l'avvicinarsi del giorno o della<br />

notte? nasû, “fuggire”; Cei “allungarsi”.<br />

• 3,1-5 notturno: ricerca e ritrovamento, assenza e timore di perdere l’amore (cf 2,17;<br />

anticipa 5,2-8).<br />

La donna che ha preso coscienza di sé, accetta la relazione che «umanizza», rende sociali,<br />

fa uscire per dialogare e incontrare (cf uscire-entrare). L’incontro determina<br />

l’avvicinamento personale che rende le cose comuni (“noi”, “nostro”) e supera l’isolamento<br />

“selvaggio”. La venuta dell'amato diventa liberazione: dal rumore (qôl, v.8) si passa al dialogo<br />

(v.10); rumore e parola mettono in moto il movimento (alzati!, vv.10.13). Ed è primavera,<br />

stagione dell’amore (vv.10-13, cf 7,12-13).<br />

Emergono alcuni schemi significativi:<br />

1. Anzitutto il movimento di lui (balza, si ferma per osservare e spiare) e di lei (alzarsi,<br />

venire), segno di avvicinamento e incontro.<br />

L’incontro è propiziato dal “rito” che porta a una progressiva manifestazione delle<br />

persone (cf 4,1ss: (vedere – occhieggiare, spiare, lasciarsi vedere – udire): lei segue tutto,<br />

fingendo di non vedere, ma si lascia guardare e sembra guidare il gioco, fino a manifestarsi<br />

apertamente. Uscire dagli anfratti, dai dirupi supera la solitudine (la ragazza<br />

sembra un po’ scontrosa o timida) per un incontro che immette nella società. L’amore fa<br />

uscire, rende “umano” l’incontro; alla fine fa entrare. Uscire-entrare richiamano i gesti<br />

quotidiani nello schema dell’esodo (cf Sal 121,8): l’amore mette in moto la vita 79 .<br />

2. Udire – vedere. Il mondo fa eco agli innamorati. Fino a «fammi udire, fammi vedere»:<br />

dal sentire all’ascoltare (cf v. 8. vv.12.14), dal vedere al mostrare, rivelare se stesso. Si<br />

vedano anche i segnali reciproci: parole e segni, discorso non verbale che si interseca ai<br />

dialoghi.<br />

3. Domina ancora la bellezza (nawâ: in 1,5; 1,10 guance; in 2,14 è il volto grazioso che si<br />

manifesta; in 3,6-11 tutto il corpo è presente).<br />

4. I possessivi: dal io-tu al noi-nostro; il muro, la terra, le vigne diventano esperienza comune.<br />

5. Le stagioni: è la primavera (opposta all’inverno). Con il canto e gli animali vengono i<br />

germogli, i fichi primaticci, le viti inturgidite. È amore entusiasta, giovane, che balza e<br />

grida di gioia, sta sbocciando come fico e vite, ed è fragrante. Ma ancora tenero e fragile:<br />

le volpi possono danneggiarlo; e vi è la «fessura» da cui bisogna uscire. Emerge<br />

l’ansia e qualche paura, accentuata in 3,1-5 (l’assenza), insieme a una richiesta di aiuto e<br />

protezione. Bisogna evitare ciò che può danneggiare l’amore o distruggerlo, occorre irrobustirlo<br />

perché resista alla prova. Convivono desiderio e ansia, entusiasmo e timore.<br />

In definitiva, il tema centrale di questa parte è l'avvicinamento, predominante nei verbi<br />

di movimento e nelle fasi del “rito” che intercorre tra i due amanti; anche la voce è funzionale<br />

all’incontro. E vi è il «girare» e il pericoloso allontanamento che si confonde con le<br />

«ombre che fuggono» (2,17); si manifesta nell’assenza dell’amato, che se n’è andato, e nella<br />

sua ricerca (3,1-5). Il movimento tende a stabilizzarsi nel primo «fermarsi» del diletto; si<br />

conclude con la presenza perenne nella casa: «Lo afferrai, non lo lascerò più, lo introdurrò»<br />

(3,4), che apre al corteo nuziale (3,6-11).<br />

3,6-11 – Corteo nuziale che coinvolge i mondi vitali: figlie di Sion, “uscite!” (cf 5,1) è collegato<br />

con l’ultima scena: “i compagni” sono invitati a “mangiare”, cioè ad assaporare le<br />

gioie dell’amore (5,1).<br />

79 Cf. Adamo ed Eva, Enkidu e la donna dell’amore.<br />

59


Per il corteo, cf Salmo 45 con i due cortei, del re e della regina sposa, e l’intervento del<br />

poeta. Così nel Cantico i due giovani sposi sono entrambi re e regina, come Salomone e la<br />

sua regina (di Saba?). La moglie è corona del marito (Prov 12,4; Is 62,3).<br />

• Il corteo è annunciato dalla lettiga (mittatô) o baldacchino (’appiriôn = phoreion?) decorata<br />

all’interno con scene d’amore e ornamenti (most lovely, Ginsburg, cf Am 6,4-7:<br />

letti d'avorio; e Ugarit in Pope [p.445]).<br />

• Il corteo è accompagnato: giovani armati contro i pericoli della notte; le ragazze formano<br />

il coro: lo sposo è visto con occhi femminili... e la preponderanza della madre!<br />

• Le armi dei giovani ostentano protezione alla donna (terrori della notte = forze demoniache<br />

da debellare? o amore guerriero? Battaglia o pretesa di un pedaggio dallo sposo?)<br />

• L’immagine della colonna di fumo d’incenso che viene dal deserto ha connotazioni religoiose?<br />

III – Nuovo avvicinamento e incontro (coinvolgimento dei mondi vitali)<br />

4,1-5,1 – bellezza e unità – due canti dell’amato (4,1-11; 4,12-5,1)<br />

(Eccoti, bella cf 1,15s) contemplazione del corpo e desiderio (vieni – sono venuto) –<br />

“mangiate-bevete”.<br />

Temi: unità e bellezza (come sei bella!) in due parti: a) 4,1-7 + 8-11: elemento bellezza,<br />

il corpo; b) 4,12-5,1: fonte e giardino, fecondità-fedeltà<br />

Elementi di strutturazione: Sei bella! / vieni v.8 – venga v.16; v.8 vieni / 5,1 vengo. Il<br />

poema passa dalla contemplazione all’azione; il diletto scende nel suo giardino. – Simboli:<br />

acqua e frutti, vento e profumi, mangiare e bere a sazietà; è festa di gioia e dei sensi.<br />

Sono elencati i singoli elementi, ma tutto il corpo è monte e collina con i suoi profumi<br />

(monte della mirra, colle dell’incenso): il corpo della donna assume la forma della terra<br />

promessa (fecondità); persiste lo schema guerriero al v.9 (ferito al cuore). Nei vv.8-11 si<br />

accenna al fatto che «viene da lontano», per dire che è inaccessibile o pericolosa? Ma<br />

l’amore attrae e avvicina (forse un antico inno alla dea dell’amore viene adattato<br />

dall’autore al proprio scopo).<br />

II Parte: 5,2-8,7<br />

È dominata dai “canti del corpo”: 1) 5,10-16 Lei vede lui; 2) 6,4-12 Lui vede Lei; 3) 7,1-<br />

17 il corpo di lei nella danza (coro). I poemi si concludono con la discesa/entrata o la salita<br />

nel giardino-corpo della ragazza.<br />

I. 5,2-6,3: Visione del corpo maschile con dialogo – “scendere”<br />

Domanda e risposta: 5,2-8 + 9.10-16; 6,1.2-3. Alla fine il diletto scende ed entra nel suo<br />

giardino (sono sceso nel giardino del noce). In 5,8 la domanda meravigliata introduce la risposta:<br />

il mio amore è unico! (vv.10-16). Tutto converge nel desiderio: l’amore attrae irresistibilmente;<br />

l’amato è «tutto» desiderabile. Il tono è didascalico, ma acquistano valore i<br />

colori. Alcuni elementi fanno allusione al tempio.<br />

II. 6,4-12 A - Visione del corpo femminile dall’alto al basso: “sono sceso” nel giardino,<br />

per vedere la valle (v.11). Il corpo della donna sembra alludere al tempio (cf Sal 144,12;<br />

Sir 26,15-18). Ritorna l’immagine militare dell’amore (vv.4.10).<br />

7,1-11 B - Visione del corpo femminile (coro che interpreta) dal basso verso<br />

l’alto: danza - “salire”. Prevalgono movimento e contemplazione con desiderio<br />

che si conlude nel dono (v.11).<br />

60


• 7,1-7 dal basso, partendo dai piedi, la donna è contemplata nella danza; alla<br />

fine: «quanto sei bella» (cf 4,1);<br />

• 7,8-11: salirò sulla palma, coglierò i suoi datteri (v.9); il palato con vino squisito<br />

(Kéyên †ôb, v.10). Metafore: palma, vite, melo.<br />

• Alla fine, la ragazza è consapevole di suscitare il desiderio erotico, ma è pronta a essere<br />

totalmente dell’amato (v.11).<br />

III. 7,12-8,7 - Epilogo: esterno – interno, campi (uscire) e casa/città (entrare): i luoghi<br />

dell’amore, esodo della coppia (cf Gen 2,18-23)<br />

Dominano schemi di spazio e movimento; i due luoghi sono uniti dal movimento, uscire-entrare/esterno-interno<br />

(cf prologo).<br />

7,12-14: vieni nei campi /usciamo (yäcä´);<br />

8,1-4: conclusione – ti introdurrò (Bô´) nella casa di mia madre; «ti farò bere vino aromatico»<br />

(v.2).<br />

Ct 8,3-4 ripete il ritornello di 2,6-7 e 3,5. È la ragazza a prendere l'iniziativa. Ritorna lo<br />

schema: uscire-entrare (esodo della coppia e sintesi della vita quotidiana, Sal 121,6-8;<br />

139,1-5), che si alterna al precedente scendere-salire. La scena si conclude con l’entrata<br />

nella casa e il ritornello.<br />

8,1-4 inclusione con 1,2-4: dall’amore iniziale sognato e desiderato alla realizzazione<br />

nell’incontro. Vi è convergenza di simboli e termini (vino, baci e la stanza nuziale, opposizione<br />

tra esterno e interno). Il gioco di parole, «baciare e irrigare/dar da bere», fa eco a «baciare<br />

– attirare», e potrebbe formare una buona inclusione, per assonanza:<br />

8,1: se ti trovassi fuori ti bacerei (´eššaqKä) senza che nessuno mi possa disprezzare; 8,2:<br />

ti darei da bere/irrigherei (´ašqëh) con vino aromatico.<br />

8,5.6-7: l’amore sopito (8,4) si risveglia e si imprime (sigillo e fuoco inestinguibile –<br />

forte come la morte). Riprende e conclude, in senso positivo, le scene del sonno… e dei sogni.<br />

Conclusione: 8,8-14 – l’amore maturo (con i temi principali)<br />

8,8-10: il coro [dei fratelli] e la ragazza ormai pienamente consapevole di sé – da vigna a<br />

città. La vigna incustodita diventa “città fortificata”, ma pacifica e aperta per il diletto.<br />

8,11-14: Il denaro (dote-môhar) è superato dalla libertà.<br />

La ragazza aveva già preso coscienza di sé, del suo corpo (1,5-6): ora la «vigna incustodita»<br />

è diventata una «città fortificata», cosciente e sicura, ben difesa con muro, porte e torri,<br />

ma aperta e disponibile all'amato (come il «giardino sigillato»), e pacificata. Non più in<br />

difesa o rintanata nelle rocce (2,14) né incustodita, ma pronta a donarsi a lui. La finale riprende<br />

i motivi sparsi nei poemi. È il passaggio da un tempo a un altro, da un luogo a un altro<br />

e da un attore a un altro, cioè dalla relazione tra «te» e «tua madre» a «te» e «me», in cui<br />

la figura del «sigillo» marca l’identità nuova. Tutto è centrato sul desiderio: l’autore articola<br />

progressivamente i due amanti in una coppia, cioè una «totalità», «che è unità di desiderio,<br />

che suppone la strabiliante riuscita della tensione tra il desiderante e l’alterità del desiderio…<br />

Il desiderio, tensione lancinante dell’attrattiva di una congiunzione sempre differita,<br />

esplode con potenza. Esso diviene la forza invincibile che fa esplodere ogni spirito di possessività,<br />

sia nell’ordine sociale delle proprietà dei proprietari che nell’ordine dell’unione<br />

degli amanti». 80<br />

80 L. PERRIN, «Lecture du Cantique des Cantiques», Sémiotique et Bible 108 (2002), p. 19.<br />

61


Schema Barbiero 81 . Il Cantico è opera «lirica con elementi drammatici» (cf D. Lys). Struttura i poemi secondo:<br />

personaggi, ripetizione di parole e motivi, determinazioni di tempo (risveglio, mattino, notte, ecc.) e spazio, itinerario<br />

amoroso. Articola il libro in 2 parti con 6 sezioni, un prologo e un epilogo:<br />

Titolo (1,1) – presenta il poema informa unitaria (Cantico, non “canti d’amore”)<br />

Prologo<br />

Ct 1,2-2,7<br />

Parte I<br />

Ct 2,8—5,1<br />

Parte II<br />

Ct 5,2-8,4<br />

Epilogo<br />

Ct 8,5-14<br />

Canti dell’amata Mattutino Ct 2,8-17<br />

Intermezzo corale<br />

Canti del diletto<br />

Notturno Ct 3,1-5<br />

Corteo nuziale Ct 3,6-11<br />

Contemplazione Ct 4,1-7<br />

Incontro Ct 4,8-5,1<br />

Nuovi canti dell’amata Ricerca Ct 5,2-8<br />

Descrizione Ct 5,9-16<br />

Incontro Ct 6,1-3<br />

Nuovi canti del diletto Contemplazione Ct 6,4-12<br />

Desiderio Ct 7,1-11<br />

Ultimi canti dell’amata Amore nella natura Ct 7,12-14<br />

Amore nella città Ct 8,1-4<br />

Mal d’amore 2,5<br />

Abbraccio 2,6<br />

Risveglio 2,7<br />

Appartenenza reciproca<br />

Pascolare tra i fiori di loto<br />

2,16<br />

Passaggio del giorno<br />

Cerbiatto sui monti 2,17<br />

Risveglio 3,5<br />

Ascensione 6,6<br />

Pascolare tra i fiori di loto 4,5<br />

Il cerbiatto sui monti 4,5-6<br />

Mal d’amore 5,8<br />

Appartenenza reciproca 6,3<br />

Pascolare tra i fiori di loro 6,3<br />

Appartenenza reciproca 7,11<br />

Abbraccio 8,3<br />

Risveglio 8,4<br />

Ascensione 8,5<br />

Cerbiatto sui monti 8,14<br />

L’itinerario amoroso: la rielaborazione dei poemi che il redattore ha cercato di attuare, in presenza<br />

probabile anche di materiali precedenti, rivela un progresso da una situazione iniziale di separazione<br />

a una finale di unione riscontrabili sia in 2,8-5,1 che in 5,2-8,4 (considera dunque due parti).<br />

PERRIN propone sette poemi 82 :<br />

I: Ct 1,1-2,7 (centrato sugli attori, cf i pronomi);<br />

II: 2,8-17 (volpe e colomba, indicativo-ingiuntivo);<br />

III: 3,1-11 (spazio/letto-tempo/notte);<br />

IV: 4,1-5,1 (spostamento);<br />

V: 5,2-6,3 (spazio costruito tra un interno e un esterno, in tensione);<br />

VI: 6,4-7,10 (idem, ma emerge la «città», come Gerusalemme, con l’appello a ciò che è «celeste»);<br />

VII: 7,1-8,14 (la figura del «risveglio» ossia il passaggio).<br />

3 – Il decalogo dell’amore (cf Cappelletto-Milani)<br />

4 - Messaggio<br />

L’amore umano e la sessualità sono considerati positivamente. Il simbolo della coppia<br />

esprime il passaggio da un tempo a un altro, da un luogo a un altro e da un attore a un altro,<br />

cioè dalla relazione tra «te» e «tua madre» a «te» e «me», in cui la figura del «sigillo» mar-<br />

81 Barbiero, cit., per le sue osservazioni, parte da M.T. ELLIOT, The Literary Unity of the Canticle (EHS), Frankfurt<br />

a.M. 1989 (= 1,2-2,5: prologo; 8,5-14: epilogo; I parte: 2,8-3,4; II parte 3,6-5,1; III parte: 5,2-6,2; IV parte:<br />

6,4-8,2); H.-J. HEINEVETTER, «Komm nun, mein Liebster, Dein Garten ruft dich!», Das Hohelied als programmatiche<br />

Komposition (BBB 69), Frankfurt a.M. 1988 (= 1,2-2,7: introduzione; due parti: 2,8-5,1 e 5,2-8,6; aggiunta:<br />

8,7-14).<br />

82 L. PERRIN, cit., Sémiotique et Bible 108 (2002) 3-20.<br />

62


ca l’identità nuova e definitiva. Tutto è centrato sul desiderio: l’autore articola progressivamente<br />

i due amanti in una coppia, cioè una «totalità», che è unità di desiderio, che suppone<br />

la strabiliante riuscita della tensione tra il desiderante e l’alterità del desiderio. Il desiderio<br />

esplode con potenza. Esso diviene la forza invincibile che fa esplodere ogni spirito di<br />

possessività, sia nell’ordine sociale delle proprietà dei proprietari che nell’ordine<br />

dell’unione degli amanti 83 . È amore che apre e mette in moto, come Abramo e i profeti<br />

(«va’, vattene, fuggi»). Al contrario di Gen 3,16, dove il marito tende a dominare, qui, a<br />

conclusione di una scena altamente erotica, segnata dalla danza, la ragazza, cosciente del<br />

desiderio dell’amato, conclude: «Io sono del mio amato, e la sua brama è per me» (7,11).<br />

Ognuno degli amanti appartiene all’altro; il dominio è superato e vinto nel dono.<br />

Nel contesto biblico in cui è oggi inserito, gli autori vedono un legame, anche verbale,<br />

tra il Cantico e i racconti della creazione. Come in quei testi, il Cantico esprime l’originaria<br />

attrazione dei sessi e la realizzazione della piena unità della coppia, in un ambiente dai connotati<br />

paradisiaci. La sessualità è vissuta con emozione gioiosa e serena. A ragione dunque<br />

il Cantico è da considerare il manuale della «rivelazione sull’amore e la sessualità» inseriti<br />

nell'ordine della creazione. L’uomo aderisce alla sua donna e realizza con lei «una sola carne»<br />

(Gen 2,24), riassumendo in questa espressione unione fisica e spirituale, fusione di affetti,<br />

sentimenti e corporeità. La figura femminile, che prende l’iniziativa (Ct 8,5), mostra, a<br />

differenza delle istituzioni esistenti e in contrasto con esse, la forza elementare dell’amore<br />

tra uomo e donna. Allora il «paradiso» primordiale non appare più un bene perduto, ma un<br />

ritorno possibile. Il giardino non è solo metafora del corpo della donna, ma luogo dove gli<br />

amanti si incontrano godendo serenamente e appassionatamente del loro amore. L’amore<br />

diventa sigillo e fuoco inestinguibile che nessun torrente può spegnere (8,6-7), forte come/più<br />

(del)la morte. L’amore dà vita, sfida i conflitti e l’assenza, crea nuova consapevolezza<br />

e lotta per essere perpetuo e fedele.<br />

In questa forza, che deriva dalla creazione, l’amore umano cantato nel Cantico diventa<br />

parabola dell’amore liberante di Dio per il suo popolo, luogo teologico, rivelatore del modo<br />

con il quale Dio ama. Perciò, la liturgia pasquale giudaica legge il Cantico. Si avvera anche<br />

il contrario: l’amore umano trova ispirazione da Dio sperimentato e rivelato nella storia<br />

come «Amore» (1Gv 4,7-8) sia nei testi dei profeti che nella figura della sapienza (cfr. Sir<br />

14,15-15,10; 51,13-30; Sap 8,2-16) e manifestato nell’Incarnazione del Verbo-Agnello sposo<br />

della chiesa (Ap 19-22; Ef 5,21-33).<br />

5 – Contatti culturali<br />

Lo stile del Cantico riflette una lunga tradizione di canti erotici. Gli autori si sono sbizzarriti<br />

a raccogliere paralleli nella letteratura, fino a quella indiana 84 . La ricerca si è estesa al<br />

confronto con la letteratura amorosa delle civiltà vicine, Egitto e Mesoptamia. L’autore<br />

sembra avere dimestichezza con tale genere di canti. In genere mostra, per forma e contenuto,<br />

una maggiore vicinanza con i canti egiziani, databili all’epoca del «nuovo regno» (tra il<br />

1300 e il 1150, cf Keel e Barbiero), ma tramandati nel tempo; la loro origine è da cercare in<br />

ambiente di corte. Essi cantano l’amore in sé, la sua forza di attrazione, la reciprocità, con la<br />

presenza di metafore e similitudini spesso tratte dalla natura, con l’appellativo di «sorella» e<br />

«fratello», e il bacio come scambio di profumi.<br />

Non mancano affinità con la letteratura ellenistica, come la ricerca di una vita più vicina<br />

alla natura, luogo naturale dell’intimità amorosa, mentre la città appare ostile all’amore<br />

83 L. Perrin, «Lecture du Cantique des Cantiques», Sémiotique et Bible 108 (2002), p. 19.<br />

84 C. Rabin, «The Song of Songs and Tamil Poetry», SR/Studies in Religion/Sciences religieuses 3 (1973) 205-<br />

219, riporta il Cantico al tempo di Salomone e ipotizza la sua scrittura in Sud Arabia da un autore che avrebbe<br />

viaggiato colà e in India.<br />

63


(Teocrito), il valore dato alla donna e ai sentimenti, la presenza del triclinio (mesab, 1,12) e<br />

della lettiga (appiryon, 3,6-10), l'incoronazione dello sposo (3,11), le ronde notturne in città<br />

(3,3; 5,7). Tuttavia, il Cantico si distanzia, soprattutto nel concetto di amore: non è un gioco<br />

ma «fuoco» che consuma. Il poema, come Qohelet, sarebbe una risposta di Israele alle provocazioni<br />

della cultura ellenistica circostante.<br />

64


Capitolo 1<br />

Titolo<br />

[1] Cantico dei cantici, di Salomone.<br />

I - 1,2-2,7. PROLOGO: incontro // 71,8-4<br />

CANTICO DEI CANTICI<br />

Testo<br />

I Parte<br />

A – 1,2-4: “mi introduca” - desiderio e sogno (cf 8,1-4), tenerezza dei baci<br />

L’amata<br />

[2] Mi baci con i baci della sua bocca!<br />

(yiššäqëºnî/[ yašqëºnî -irrighi? BHS] minnüšîqôt pîhû)<br />

Sì, più inebrianti (tôbîm) del vino sono le tue tenerezze, 4,10<br />

[3] più soavi (†ôBîm) dell’odore dei tuoi profumi (šēmen):<br />

profumo versato è il tuo nome (šeºmen Tûraq šümeºkä).<br />

Perciò le giovinette ti amano.<br />

[4] Attirami (mašqëºnî) dietro a te, corriamo!<br />

M’INTRODUCA (ha introdotto) il re nelle sue stanze...<br />

gioiamo e rallegriamoci con te,<br />

ricorderemo le tue tenerezze più del vino.<br />

A ragione ti amano!<br />

B – 1,5-11: Esterno - Tra vigne e tende dei pastori: tema unicità<br />

L’amata<br />

[5] Bruna IO sono e graziosa (nä´wäh),<br />

o figlie di Gerusalemme,<br />

come le tende di Kedar,<br />

come i padiglioni di Salma (o cortine di Salomone).<br />

[6] Non guardate a me, se IO sono bruna,<br />

se mi ha abbronzato il sole.<br />

I figli di mia madre si sono sdegnati con me:<br />

mi hanno posto a guardia delle vigne…; 7,13; 8,11<br />

la mia vigna, la mia, non l'ho custodita. 8,12<br />

[7] Dimmi, o amore dell'anima mia (colui che la mia anima ama), 3,1.2.4<br />

dove vai a pascolare,<br />

dove fai riposare al meriggio,<br />

perché io non sia come una “velata”<br />

presso (‘al) i greggi dei tuoi compagni.<br />

Coro<br />

[8] Se non lo sai, bella tra le donne,<br />

escitene sulle orme del gregge<br />

e pasci le tue caprette<br />

presso le dimore dei pastori.<br />

65


B’ – 1,9-2,3: Interno - Sul divano in un simposio: tema intimità<br />

Il diletto (dialogo e sguardo; colori, profumi, gusto)<br />

[9] A una cavalla del cocchio del faraone<br />

io ti assomiglio, amica mia.<br />

[10] Graziose sono (nä´wû) le tue guance fra i pendenti,<br />

il tuo collo fra i vezzi di perle.<br />

Coro<br />

[11] Faremo per te pendenti d'oro, (= orecchi)<br />

con grani d'argento.<br />

L’amata<br />

Lei [12] Mentre il re è nel suo recinto,<br />

il mio nardo dà (natan) il suo profumo.<br />

[13] Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra,<br />

RIPOSA sul mio petto.<br />

[14] Il mio diletto è per me un grappolo di cipro<br />

nelle vigne di Engàddi.<br />

Lui [15] Eccoti, bella, amica mia, eccoti, bella! = 4,1<br />

I tuoi occhi sono colombe.<br />

Lei [16] Eccoti, bello, mio diletto,<br />

veramente (´ap) soave (nä`îm)!<br />

Davvero (´ap) il nostro letto è verdeggiante.<br />

[17] Le travi della nostra casa sono cedri,<br />

nostro soffitto sono cipressi.<br />

Capitolo 2<br />

Lei [1] IO sono un narciso di Saron,<br />

un giglio (fior di loto) delle valli.<br />

Lui [2] Come un giglio (fior di loto) fra i cardi,<br />

così l’amica mia tra le fanciulle.<br />

Lei [3] Come un melo tra gli alberi del bosco,<br />

il mio diletto fra i ragazzi (i figli).<br />

Alla sua ombra anelai e mi SEDETTI<br />

e il suo frutto fu dolce al mio palato.<br />

A’ – “Mi ha introdotto” – unione<br />

[4] Mi ha INTRODOTTO (bo’) nella casa del vino<br />

e suo vessillo (degel/diglô) su di me è Amore. 5,10; 6,4.10<br />

[5] Sostenetemi con uva passa,<br />

rinfrancatemi con mele,<br />

perché (sono) malata d'amore, IO. 5,8<br />

[6] La sua sinistra è sotto il mio capo, 8,3-4<br />

la sua destra mi abbraccia.<br />

[7] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, 3,5/8,4<br />

per le gazzelle o per le cerve dei campi:<br />

non destate, non scuotete dal sonno l'Amore,<br />

finché non lo voglia.<br />

66


II - 2,8-3,5 (cf 4,1-5,1) Canti dell’amata<br />

avvicinamento e incontro<br />

1 – mattutino: Voce e movimento – vedere-udire – rito e parola<br />

L’amata<br />

A – uomo<br />

[8] Una voce (qôl)! Il mio diletto! (o: la voce del mio diletto!)<br />

Eccolo, VIENE (bo’) 4,8<br />

salta sui monti,<br />

balza sulle colline.<br />

[9] Somiglia il mio diletto<br />

a un capriolo/gazzella o ad un cerbiatto. v.17<br />

Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;<br />

occhieggia dalla finestra,<br />

spia dalle inferriate.<br />

B – donna<br />

[10] Parla il mio diletto e mi dice:<br />

«Alzati, va’, amica mia, v.13b; 3,2, 5,5<br />

mia bella, vattene: (kî = :)<br />

[11] Ecco, l'inverno è passato (‘abar),<br />

la pioggia è cessata, se n'è andata;<br />

[12] i fiori si vedono (ra’ah) nella terra,<br />

il tempo del canto/potatura è arrivato<br />

e la voce (qôl) della tortora ancora si ode nella nostra terra.<br />

[13] Il fico ha messo fuori i primi frutti<br />

e le viti in fiore (gefanîm smadar) emettono profumo (reach). 7,13<br />

B’ – donna<br />

Alzati, vattene (va’ per te), amica mia, v. 10; 3,2; 5,5<br />

mia bella, vattene<br />

[14] O mia colomba, nelle fenditure della roccia,<br />

nei nascondigli dei dirupi,<br />

fammi vedere (ra’ah) il tuo viso (mar’eh),<br />

fammi udire la tua voce, (qôl, cf vv.8.12; 8,13)<br />

perché la tua voce è soave (‘ārēb),<br />

il tuo viso è grazioso (na’weh)».<br />

[15] Afferrateci le volpi,<br />

le volpi piccoline<br />

che guastano le vigne,<br />

le nostre vigne in fiore.<br />

A’ – uomo<br />

[16] Il mio diletto è per me e io per lui;<br />

pascola fra i gigli/fior di loto.<br />

[17] Finché spira il giorno<br />

e si allungano/fuggono le ombre,<br />

gira (sabab=sob), somiglia, mio diletto, v.9 3,2<br />

a una gazzella/capriolo o a un cerbiatto,<br />

sopra i monti degli aromi (di Beter/divisi). 4,6; 8,14<br />

67


Capitolo 3<br />

2 – Notturno: Assenza, ricerca e ritrovamento (cf 5,2-8)<br />

L’amata<br />

[1] Sul mio letto, di notte (Ballêlôt),<br />

ho cercato colui che amo (colui che la mia anima ama 85 ); 1,7<br />

l'ho cercato, ma non l'ho trovato.<br />

[2] «Mi alzerò e farò il giro (sabab) della città; 2,10.13b / 2,17<br />

per i mercati (strade) e le piazze;<br />

Cercherò colui che amo (colui che la mia anima ama)».<br />

L'ho cercato, ma non l'ho trovato.<br />

[3] Mi hanno trovata le guardie di ronda (hassobebîm, che girano) nella città:<br />

«Avete visto colui che amo (colui che la mia anima ama)?».<br />

[4] Ero appena passata (‘abar) da loro,<br />

quando trovai colui che amo (colui che la mia anima ama).<br />

Lo afferrai e non lo lascerò<br />

finché non l'abbia INTRODOTTO in casa di mia madre,<br />

nella stanza della mia genitrice. 8,2; 1,4; 2,4<br />

[5] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, 2,7; 8,4<br />

per le gazzelle e per le cerve dei campi:<br />

non destate, non scuotete dal sonno l'Amore<br />

finché non lo voglia.<br />

3,6-11: corteo nuziale cf Sal 45<br />

Coro - la “colonna d’incenso”<br />

[6] Che è che sale dal deserto 8,5<br />

come colonna di fumo, (cf Gl 3,3)<br />

incensata di mirra e d'incenso cf 4,6<br />

con ogni polvere del mercante d’aromi?<br />

[7] Ecco, la sua lettiga (miïïatô), quella di Salomone:<br />

sessanta prodi la circondano, cf 6,8<br />

tra i prodi d'Israele,<br />

[8] tutti abili (= afferranti la) di spada,<br />

esperti nella guerra;<br />

ognuno con la sua spada al suo fianco<br />

contro il terrore della notte.<br />

[9] Un baldacchino (’appirion) s'è fatto il re Salomone,<br />

di legno del Libano.<br />

[10] Le sue colonne ha fatto d'argento,<br />

la sua spalliera d'oro, il suo seggio di porpora,<br />

il suo interno un ricamo d'amore<br />

delle figlie di Gerusalemme.<br />

85 Ballêlôt al plurale indica le varie fasi della notte (le veglie) o “in piena notte”, “durante la notte”.<br />

L’espressione “colui che io-la mia anima ama” (´ët še´ähábâ napšî) torna 4 volte come “cercare e “trovare”,<br />

che esprime il senso della totalità. L’ebraico ha nepeš significa lett. “gola”, donde stomaco, desiderio, anima, “Io”,<br />

la parte più intima della persona, la parte cosciente. Possiamo tradurre: “L’amore della mia vita”, “l’amore<br />

mio” o “l’amore del mio desiderio”, cioè “l’amore mio desiderato”, in sintonia con la ricerca insistente.<br />

68


Coro- o poeta<br />

[11] Uscite a vedere, figlie di Sion: cf 5,1b<br />

il re Salomone<br />

con la corona con la quale l’incoronò sua madre, Prov 12,4 (= sposa)<br />

nel giorno delle sue nozze,<br />

nel giorno di gioia del suo cuore. cf Ger 7,34; 16,9; 25,10; 33,11<br />

III. Canti dell’amato - Nuovo avvicinamento e incontro (mondi vitali coinvolti)<br />

4,1-5,1: bellezza e unità/incontro- contemplazione – desiderio<br />

(andare/venire-entrare) (1-7.8-11) cf 1,9-17<br />

Capitolo 4<br />

1 - Bellezza (1-7) cf 6,4-9<br />

Il diletto – andare<br />

[1] Eccoti, bella, (yafah) amica mia, eccoti! v.7; 1,15ss<br />

Gli occhi tuoi sono colombe, 5,12<br />

dietro il tuo velo,<br />

i tuoi capelli un gregge di capre,<br />

che scendono dalle pendici del Gàlaad.<br />

[2] I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, 6,6<br />

che risalgono dal bagno;<br />

tutte sono appaiate, [han partorito gemelli]<br />

non ne manca una. [ nessuan è prova di figli]<br />

[3] Come nastro di porpora le tue labbra<br />

e le tue parole son graziose;<br />

come spicchio di melagrana la tua gota<br />

dietro il tuo velo.<br />

[4] Come torre di Davide il tuo collo,<br />

costruita a guisa di fortezza (o perfetta?).<br />

Mille scudi vi sono appesi,<br />

tutte armature di prodi.<br />

[5] I tuoi seni come due cerbiatti,<br />

due gemelli di gazzella,<br />

che pascolano fra i gigli.<br />

[6] Finché spira (yafuach) il giorno 2,17; 8,14<br />

e si allungano/fuggono le ombre,<br />

me ne ANDRÒ (halak, 2,7) al monte della mirra,<br />

alla collina dell'incenso. 3,6<br />

[7] Tutta bella (yafah) tu sei, amica mia, v.1<br />

nessuna macchia è in te.<br />

2 – Incontro (4,8-5,1) – inclusione: venire (4,8 / 4,16; 5,1)<br />

sguardo e baci, giardino e fonte/acqua-bevanda gusto; vento e profumi<br />

Il diletto – sguardo<br />

A [8] Con me dal Libano, o sposa,<br />

con me dal Libano, VIENI! v.16; 5,1, cf 2,8<br />

Osserva dalla cima dell'Amana,<br />

dalla cima del Senìr e dell'Ermon,<br />

dalle tane dei leoni,<br />

69


dai monti dei leopardi.<br />

[9] Tu mi hai rapito/ferito il cuore (liBBabTìºnî), sorella mia, sposa,<br />

tu mi hai rapito il cuore<br />

con un solo tuo sguardo,<br />

con una perla sola del tuo collo!<br />

B [10] Come sono belle sono le tue tenerezze, sorella mia, sposa (kallâ) = baci 1,2-4<br />

quanto buone (mah ìábï), più del vino, le tue tenerezze!,<br />

e l’aroma (rëªH) dei tuoi profumi (šemānîm) più d'ogni balsamo (büSämîm)!<br />

[11] Stillano miele vergine le tue labbra, o sposa (kallâ):<br />

miele e latte sotto la tua lingua 5,1<br />

e l’aroma delle tue vesti è come l’aroma del Libano.<br />

B’ [12] Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa,<br />

giardino chiuso, fontana sigillata.<br />

[13] I tuoi germogli (šüläHaºyik) sono un giardino/paradiso (ParDës) di melagrane,<br />

con i frutti più squisiti,<br />

alberi di cipro con nardo,<br />

[14] nardo e zafferano, cannella e cinnamomo<br />

con ogni specie d'alberi da incenso;<br />

mirra e aloe con tutti i migliori balsami (büSämîm)<br />

[15] Fontana di giardini,<br />

pozzo d'acqua viva e sgorgante (wünözlîm) dal Libano. Prov 5,18<br />

L'amata (dialogo/invito: vieni)<br />

A’ [16] Lèvati, aquilone, e tu, austro, VIENI,<br />

soffia (häpîºHî[pûªH] gannî) il mio giardino<br />

si effondano/sgorghino i suoi balsami (yizzülû büSämäyw).<br />

VENGA il mio diletto nel suo giardino<br />

e ne mangi i frutti squisiti.<br />

Capitolo 5<br />

Il diletto (dialogo/risposta: son venuto)<br />

[1] SON VENUTO nel mio giardino, sorella mia, sposa:<br />

ho raccolto la mia mirra con il mio balsamo (büSämî);<br />

mangio il mio favo con il mio miele, 4,11<br />

bevo il mio vino con il mio latte.<br />

Coro-poeta<br />

Mangiate, amici, bevete 3,11<br />

fino a inebriarvi, diletti.<br />

I – 5,2-6,3 dialogo (domanda e risposta)<br />

II. Parte<br />

A – Notturno: l’amore perduto (assenza, ricerca) 3,1-5<br />

L’amata (Io)<br />

[2] IO sono addormentata, ma il mio cuore è sveglio.<br />

Un rumore! Il mio diletto (qôl dôdî) bussa: 2,8<br />

«Aprimi, sorella mia, amica mia (ra`yätî)<br />

70


mia colomba, mia perfetta;<br />

perché il mio capo è pieno di rugiada,<br />

i miei riccioli di gocce notturne».<br />

[3] «Mi sono tolta la mia tunica;<br />

come indossarla ancora?<br />

Mi sono lavata i piedi;<br />

come ancora sporcarli?».<br />

[4] Il mio diletto tese la sua mano dallo spiraglio (haÐōr),<br />

le mie viscere fremettero per lui. Cf Sir 51,21<br />

[5] Mi alzai IO per aprire al mio diletto 2,19.13b; 3,2<br />

e le mie mani stillarono mirra,<br />

le mie dita mirra fluente<br />

sulla maniglia del chiavistello.<br />

[6] Aprii IO al mio diletto,<br />

ma il mio diletto gia si era ritirato, se ne n'era andato.<br />

La mia vita uscì (napšî yä|c´â = venni meno?) al suo dileguarsi 86<br />

Lo cercai, ma non lo trovai,<br />

lo chiamai, ma non mi rispose.<br />

[7] Mi trovarono le guardie di ronda (che girano) nella città;<br />

mi percossero, mi ferirono,<br />

mi alzarono il mantello/la vestaglia le guardie delle mura.<br />

Dialogo (amata-coro)<br />

[8] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,<br />

se trovate il mio diletto,<br />

certo (mà) ditegli che sono malata d'amore, IO! 2,6<br />

Coro<br />

B - [9] Che ha (mà) il tuo diletto più di un altro,<br />

bella fra le donne?<br />

Che ha (mà) il tuo diletto più di un altro,<br />

ché così ci scongiuri?<br />

Risposta: ricordo – il corpo maschile (scendere)<br />

L'amata – unicità<br />

[10] Il mio diletto è bianco e vermiglio,<br />

insigne (Dägûl = un vessillo) fra mille e mille.<br />

[11] Il suo capo è oro puro (= prezioso e splendido),<br />

i suoi riccioli grappoli di palma,<br />

neri come il corvo.<br />

[12] I suoi occhi, come colombe = 4,1<br />

su ruscelli di acqua,<br />

lavate nel latte,<br />

poste su un castone.<br />

86 Il verbo b e dabbĕrô, da Däbar è tradotto “al suo parlare” (Vetus Latina: in verbo eius; Vulgata: ut locutus est),<br />

ma Däbar significa anche “ritirarsi”, quindi “seguire”, “nell’inseguirlo”. La donna che insegue il suo amato, esprime<br />

l’ansia (le esce l’anima, viene meno) per il fatto che egli se ne è andato. Si può intendere anche: “Io uscii<br />

quand’egli si ritirò / dileguò” (napšî yä|c´â, nepeš sta per “Io”). Nuova Cei: “Io venni meno, per la sua scomparsa”.<br />

71


[13] Le sue guance, come aiuola di balsamo (ka- ‘arûgat ha-bośem), = 6,2<br />

torri profumate;<br />

le sue labbra gigli (fior di loto),<br />

stillanti mirra fluente. 5,1<br />

[14] Le sue mani anelli d'oro,<br />

ripieni di gemme di Tarsis.<br />

Il suo ventre un disco d'avorio,<br />

tempestato di zaffiri.<br />

[15] Le sue gambe colonne di alabastro,<br />

fondate su basi d'oro puro.<br />

Il suo viso come il Libano,<br />

elevato come i cedri. (= i cedri del Libano)<br />

[16] Il suo palato è dolcezza,<br />

tutto egli è fascino/desiderio! 4,7<br />

Questo è il mio diletto, questo il mio amico,<br />

figlie di Gerusalemme.<br />

Capitolo 6<br />

C - L'amore ritrovato<br />

Coro<br />

[1] Dov'è ANDATO (hālak) il tuo diletto,<br />

bella fra le donne?<br />

Dove si è volto (Pänâ) il tuo diletto?<br />

Lo cercheremo con te.<br />

L'amata<br />

[2] Il mio diletto è sceso al suo giardino (appartiene a lui, cf 5,1: vengo),<br />

all’aiuola del balsamo(la`árûgôt haBBöºSem) = 5,13<br />

per pascolare nei giardini,<br />

per cogliere gigli (fiori di loto).<br />

[3] IO sono del mio diletto e il mio diletto è mio;<br />

egli pascola tra i gigli (fiori di loto).<br />

II – Visione del corpo femminile<br />

A – 6,4-12 visione del corpo dall’alto al basso (sono sceso) cf 4,1-7<br />

Il diletto<br />

[4] Bella (yäpâ) Tu, amica mia, come Tirza,<br />

graziosa (nä´wâ) come Gerusalemme,<br />

terribile come vessilli spiegati/esercito schierato (´áyummâ KannidGälôt). 6,10; 5,10; 2,4<br />

[5] Distogli (gira, sabab) i tuoi occhi da me (da davanti a me),<br />

perché mi turbano (šeºhëºm hirhîbùºnî).<br />

I tuoi capelli sono come un gregge di pecore (|`izzîm)<br />

che scendono dal Gàlaad. Gen 31,38 `izzîm //reHëlîm<br />

[6] I tuoi denti come un gregge di capre 4,2<br />

che salgono dal bagno.<br />

Tutte sono appaiate (o: han partorito gemelli?),<br />

non ne manca una (nessuna è priva di figli?).<br />

[7] Come spicchio di melagrana la tua gota,<br />

dietro il tuo velo.<br />

[8] Sessanta sono le regine, 3,7 (ragazzi)<br />

72


ottanta le concubine, le ragazze, .<br />

[9] è la mia colomba, la mia perfetta,<br />

è per sua madre, splendida (Bärâ hî´ - Bärar) per la sua genitrice.<br />

L'hanno vista le ragazze e l'hanno proclamata beata,<br />

le regine e le concubine e l’hanno lodata. Prov 31,28<br />

Coro 3,6; 8,5<br />

[10] «Chi è costei che si affaccia (dal cielo) come l'aurora (šäºHar),<br />

bella come la luna piena (yäpâ kallübänâ),<br />

splendida come il sole (Bärâ Ka|Hammâ),<br />

terribile come vessilli spiegati (esercito schierato, ´áyummäH KannidGälôt)?». 6,4; 5,10; 2,4<br />

Il diletto (scendere)<br />

[11] Nel giardino dei noci sono sceso (yäraºdTî),<br />

per vedere i germogli della valle/torrente (hannäºHal),<br />

per vedere se la vite era fiorita, (hápä|rHâ haGGeºpen) 7,13; 2,13.15<br />

se mettevano gemme i melograni (hënëºcû [näcac] härimmönîm).<br />

[12] Non conobbi - il mio desiderio (lö´ yädaº`Tî napšî) -<br />

mi ha posto/reso [come] carri di Ammi-nadìb (popolo mio nobile).<br />

Capitolo 7<br />

B – 7,1-11 visione del corpo dal basso all’alto (sono salito)<br />

Danza – desiderio/dono<br />

Coro<br />

[1] «Gira, gira (šûºbî šûºbî), Sulammit,<br />

gira, gira: vogliamo ammirarti!».<br />

Il diletto (o l’amata) – coro (?)<br />

«Che (mà) ammirate nella Sulammit<br />

quando danza a due schiere (due campi)?».<br />

Il diletto<br />

[2] «Quanto sono belli i tuoi piedi<br />

nei sandali, figlia di principe (bat-nadib)!<br />

Le curve delle tue cosce sono come monili,<br />

opera di mani d'artista.<br />

[3] Il tuo ombelico è una coppa rotonda<br />

Non manca il vino aromatico (ha-mazeg).<br />

Il tuo ventre è un mucchio di grano,<br />

circondato da gigli (fior di loto).<br />

[4] I tuoi due seni come due cerbiatti,<br />

gemelli di gazzella.<br />

[5] Il tuo collo come una torre d'avorio;<br />

i tuoi occhi come laghetti di Chesbòn,<br />

presso (`al) la porta di Bat-Rabbìm;<br />

il tuo naso come torre del Libano<br />

sentinella (côpè) verso Damasco.<br />

[6] Il tuo capo su di te è come il Carmelo<br />

e la chioma (tessitura, ordito, dalläh) del tuo capo come la porpora;<br />

un re è stato catturato nelle trecce».<br />

73


[7] Quanto sei bella e quanto graziosa (mà-yyäpît ûmà-nnä`amT),<br />

amore, tra le (più delle) delizie! 87<br />

[8] La tua statura è simile a una palma<br />

e i tuoi seni a grappoli.<br />

[9] Ho detto:<br />

«Salirò sulla palma,<br />

afferrerò i suoi grappoli (di datteri);<br />

e siano i tuoi seni come grappoli di vite<br />

e il profumo del tuo respiro come mele<br />

[10] e il tuo palato come vino squisito (Küyên ha††ôb)»,…<br />

(L'amata?)<br />

Va al mio diletto, diritto,<br />

fluisce a labbra purpuree (Siptê yüšënîm = Siptê šënîm).<br />

[11] Io sono del mio diletto<br />

e su di me è la sua brama.<br />

III - 7,12-8,7 Epilogo: I luoghi dell’amore<br />

nei campi (uscire) – in casa (entrare), dono (natan) – esodo della coppia<br />

L’amata<br />

A – Uscire nei campi<br />

[12] «VA’, mio diletto, usciamo (yÂêÂù) nei campi,<br />

passiamo la notte nei villaggi.<br />

[13] All’aurora alziamoci (našKîºmâ) verso le vigne;<br />

vediamo se fiorisce la vite (´im Pä|rHâ haGGeºpen)<br />

se sboccia la (vite) in fiore (PiTTaH hassümädar cf haGGüpänîm sümädar, 2,13.15; cf 6,11<br />

hápä|rHâ haGGeºpen hënëºcû härimmönîm)<br />

se mettono gemme i melograni (hënëºcû härimmônîm):<br />

là ti darò le mie carezze!<br />

[14] Le mandragore danno (natan) profumo;<br />

e alle nostre porte (`al-PütäHêºnû)<br />

c'è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi;<br />

mio diletto, li ho serbati per te».<br />

Capitolo 8<br />

B – Entrare in casa: dal desiderio-sogno all’incontro reale (1,1-4: incl.)<br />

[1] Chi mi darà te (natan) come fratello,<br />

lattante ai seni di mia madre!<br />

Trovandoti fuori ti bacerei (´eššäºqkä - näšaq)<br />

senza che nessuno mi disprezzi.<br />

[2] Ti guiderei, ti INTRODURREI (báù) nella casa di mia madre;<br />

[+ LXX e nella stanza della mia genitrice]<br />

- Fammi da maestro! -<br />

Ti darei da bere (´ašqükä - šäqah) del vino aromatico, 7,14; 5,1<br />

succo del mio melograno.<br />

87 Potremmo rendere l’esclamazione: «Quanto bello e quanto grazioso è amore (femminile) tra le delizie». Sarebbe<br />

un intermezzo o premessa all’atto di amore, nel quale il ragazzo può “gustare” l’abbraccio e il bacio<br />

dell’amata (grappoli, mele, vino).<br />

74


[3] La sua sinistra è sotto il mio capo, 2,6; cf 8,6<br />

la sua destra mi abbraccia.<br />

[4] Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, 2,7; 3,5<br />

non destate, non scuotete dal sonno l'Amore,<br />

finché non lo voglia.<br />

L’amore sopito si risveglia e si imprime 8,5.6-7 (sigillo e fuoco)<br />

Coro<br />

[5] Chi è colei che sale dal deserto, 3,6; 6,10<br />

appoggiata al suo diletto?<br />

L'amata (sigillo e fuoco, amore forte come la morte)<br />

Sotto il melo ti ho svegliato;<br />

là, gemette per te tua madre,<br />

là, gemette colei che ti partorì.<br />

[6] Mettimi come sigillo sul tuo cuore,<br />

come sigillo sul tuo braccio;<br />

perché forte come la morte è l'amore,<br />

dura come lo Sheol la passione/gelosia:<br />

le sue vampe sono vampe di fuoco,<br />

una fiamma del Signore! (= inestinguibile)<br />

[7] Le grandi acque non possono<br />

spegnere l'amore<br />

né i fiumi travolgerlo.<br />

Se uno desse tutto il tesoro della sua casa per amore, (cf Prov 6,31)<br />

sarebbe per lui solo vergogna (riceverebbe solo disprezzo).<br />

Conclusione: 8,8-14: l’amore maturo – ricapitolazione dei motivi<br />

La vigna è divenuta “città fortificata” ma pacifica 8,8-14<br />

Coro<br />

[8] Una sorella abbiamo, piccola,<br />

non ha ancora i seni.<br />

Che faremo alla nostra sorella,<br />

nel giorno in cui la si inseguirà (? per il corteggiamento / dabar).<br />

[9] Se fosse un muro,<br />

le costruiremmo sopra merli d'argento;<br />

se fosse una porta,<br />

la rafforzeremmo con tavole di cedro.<br />

L'amata<br />

[10] Io sono un muro<br />

e i miei seni sono come torri!<br />

Ma ora son diventata ai suoi occhi<br />

come colei che ha trovato pace!<br />

Coro – L’amore non si compera<br />

[11] Una vigna aveva Salomone a Baal-Hamòn.<br />

Diede la vigna ai custodi;<br />

ciascuno gli doveva recare come suo frutto<br />

mille sicli d'argento.<br />

75


L'amata<br />

[12] La vigna, la mia, è davanti a me: 1,6<br />

i mille (sicli) a te, Salomone,<br />

e duecento per i custodi del suo frutto!<br />

Il diletto<br />

[13] Tu che abiti nei giardini<br />

– compagni stanno attenti alla tua voce –<br />

(la tua voce) fammi sentire. 2,14<br />

L'amata<br />

[14] «Fuggi, mio diletto,<br />

e sii simile a una gazzella<br />

o ad un cerbiatto,<br />

sopra i monti dei balsami (beśāmîm)»!<br />

76


Indice<br />

Programma p. 2<br />

Bibliografia p. 2<br />

<strong>TESTI</strong> SAPIENZIALI ED ESEGESI p. 3<br />

• Elogio della sapienza inaccessibile: Gb 28 p. 3<br />

Il libro dei Proverbi p. 5<br />

• La sapienza come i profeti: Prov 1,20-33 p. 8<br />

• Discorso della sapienza maestra di vita: Prov 8,1-36 p. 12<br />

• Prov 31,10-31: Elogio della buon a moglie p. 15<br />

Qohelet p. 30<br />

Bibliografia p. 30<br />

• Introduzione p. 30<br />

• Struttura e contenuto p. 30<br />

• Messaggio p. 33<br />

• Contatti culturali p. 35<br />

• Esegesi: Qoh 3,1.15 p. 36<br />

Ben Sira – Un libro alla frontiera del Canone p. 37<br />

Bibliografia p. 37<br />

• 2 - L’opera letteraria di Ben Sira p. 37<br />

• 2.3 Contenuto e struttura p. 37<br />

• 3- La Sapienza – pericopi: testi p. 39<br />

• 3.1 Sir 1,1-10: Introduzione - Sapienza e timor di Dio p. 39<br />

• 3.2 Sir 4,1-19: La sapienza maestra di vita p. 39<br />

• 3.3 Sir 6,18-37: Alla scuola della sapienza p. 41<br />

• 3.4 Sir 14,20-15,10: La sapienza madre e sposa p. 42<br />

• 3.5 La sapienza in Ben Sira p. 43<br />

• Sir 24 p. 45<br />

Libro della Sapienza p. 48<br />

• Elogio della Sapienza: Sap 7,22-8,1 p. 48<br />

• Preghiera per ottenere la sapienza (9,8-18) p. 55<br />

Cantico dei Cantici p. 56<br />

• 1 – Interpretazioni e bibliografia p. 56<br />

• 2 – Struttura del libro p. 57<br />

• 3 – Il decalogo dell’amore p. 63<br />

• 4 – Il messaggio p. 64<br />

• 5 – Contatti culturali p. 64<br />

• Testo del Cantico p. 66<br />

Indice p. 78<br />

77

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