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imp MN 18 - Mare Nostrum

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La corsa degli scalzi<br />

conta fino a 4.000 partecipanti.<br />

A piedi nudi<br />

e vestiti con la caratteristica<br />

tunica bianca,<br />

corrono per antiche<br />

strade sterrate trasportando<br />

il simulacro di<br />

San Salvatore. Le origini<br />

ed i significati di<br />

questa massacrante<br />

corsa a piedi scalzi non<br />

sono ben definite ed in<br />

realtà molto è legato<br />

alla leggenda. Un<br />

evento carico di fascino<br />

e suggestione.<br />

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a m b i e n t e<br />

Il Vaporetto<br />

A poco meno di un miglio dall’isola di Mal di Ventre, in direzione Sud-est, il mare custodisce il relitto di una<br />

piccola nave a vapore del secolo scorso. Il mercantile, lungo in tutto una ventina di metri, è adagiato in posizione<br />

di navigazione su una distesa di detrito, leggermente inclinato su un fianco. Secondo le poche notizie<br />

disponibili, il cargo, che trasportava alimenti, sarebbe entrato in collisione con uno dei tanti scogli che affiorano<br />

intorno all’isola colando a picco in pochi minuti. L’immersione si presenta abbastanza semplice in teoria,<br />

in pratica, come d’altra parte tutte le immersioni su relitti, anche questa richiede una buona dose di attenzione<br />

ed una buona pianificazione. Si scende sul fondo di posidonia a quota -<strong>18</strong> e ci si dirige a sud-est inoltrandosi<br />

sul detrito. A poche decine di metri dal limite della prateria, si intravede la sagoma del relitto. Non<br />

essendo molto grande, il relitto può essere esplorato comodamente in un’unica immersione. Lo scafo si presenta<br />

in pratica intatto. Lo scorcio della prua e dell’ampia fiancata fittamente popolata da grandi spirografi è<br />

una visione di grande effetto ed un ottimo soggetto per belle riprese col grandangolare. Sul ponte è ancora presente<br />

la grossa caldaia, mentre la sala macchine è invasa da lamiere, ferraglia e tubazioni. In questo intrico<br />

hanno trovato dimora grosse murene, gronghi, scorfani, re di triglie e qualche bel sarago.<br />

Oltre alle tante bellezze naturali terrestri e marine, il Sinis offre testimonianze di un passato che parte dal<br />

Neolitico fino al Medio Evo. La più antica testimonianza della presenza umana nel Sinis sono le tombe, databili<br />

intorno al 4000 a.C., rinvenute sull’isolotto di Cuccuru S’Arriu. Nei corredi funerari si legge la religiosità<br />

tipicamente mediterraneo del periodo, il culto del dio Toro e della dea Madre.<br />

Negli anni 70, mentre si procedeva con gli scavi del canale scolmatore dello stagno di Cabras, vennero alla<br />

luce perimetri di capanne di un villaggio del Neolitico medio. La campagna di scavo immediatamente avviata<br />

rivelò la presenza di una necropoli a Domus de Janas composta da 19 sepolture ricche di pregevoli corre-<br />

di, di un villaggio meno antico, probabilmente del Neolitico Recente, e di un tempio a pozzo di età nuragica<br />

di eccellente fattura. Numerosi reperti sono presso il Museo Archeologico di Cabras, altri sono esposti nel<br />

Museo Archeologico di Cagliari.<br />

Altro sito risalente al Neolitico è il pozzo sacro di San Salvatore. La forma attuale con sei stanze ed un corridoio<br />

che immette al pozzo si deve al tardo periodo Romano. E’ presente anche un betilo, una pietra sacra,<br />

risalente al periodo nuragico. L’ipogeo venne in un primo momento utilizzato per il culto delle acque alle quali<br />

venivano attribuite proprietà terapeutiche e successivamente dedicato dai Punici al culto del dio Sid. Poi i<br />

Romani lo consacrarono ad Asclepio ma vi si adoravano anche Marte e Venere. Più recentemente, con l’introduzione<br />

della religione cristiana, al di sopra del tempio, cui si accede per mezzo di una botola, fu edificata<br />

la chiesa dedicata a San Salvatore.<br />

Valutando l’alto numero di nuraghi presenti nell’area, la civiltà nuragica doveva essere molto sviluppata. Molto<br />

particolare è la disposizione di otto di questi, in perfetto allineamento. I nuraghi, manco a dirlo, hanno nomi<br />

legati a toponimi, Silanu mannu, Silaneddu, Serra ‘e cresia, S’argua, Sa Tiria, Figu ‘e cane, Mate ‘e tramontis<br />

e Gianni Nieddu. Poco distante, parallelamente a questi se ne trovano alcuni altri, Leporado, Caombus,<br />

S’arruda, Angina Corruda e Zricotti. Non meno <strong>imp</strong>ortanti sono i siti di Palas de Casteddu e di Konka Illonis.<br />

Il sito archeologico di maggior rilevanza è il grande insediamento di Tharros, fondata dai fenici nell’VIII secolo<br />

a.C. su due abitati dell’era nuragica. Di questi abitati come anche delle costruzioni del periodo fenicio rimane<br />

ben poco, le testimonianze più antiche provengono dalle due necropoli risalenti alla metà del VII secolo<br />

a.C. e dallo strato più antico di utilizzazione del Tofet sulla collina di Muru Mannu. Le due necropoli sorgevano<br />

una nei pressi della spiaggia di S.Giovanni, l’altra nelle vicinanze del promontorio di Capo S.Marco. Nel<br />

VI secolo a.C., a seguito della conquista da parte dei Cartaginesi e fino al successivo insediamento dei Romani<br />

del 238 a.C., la città giunse ad un notevole sviluppo e ad una indubbia influenza politica. I gioielli d’oro rinvenuti<br />

nei corredi funerari ne sono testimonianza. In età romana la città continuò a prosperare raggiungendo<br />

il massimo splendore intorno al III sec.d.C., periodo al quale risalgono gli edifici pubblici più rilevanti, le<br />

terme, il tempio tetrastilo del quale si possono ammirare due colonne ancora erette come a sfidare i secoli, le<br />

antiche botteghe e le abitazioni dotate di cisterna.<br />

Nel XI secolo gli abitanti di Tharros, divenuta capitale del regno di Arborea, stanchi delle continue incursioni<br />

barbaresche, abbandonarono la città per cercare un luogo più sicuro ad una certa distanza dalla costa. Così<br />

nacque Masone de Capras, l’odierna Cabras, sorta attorno ad un castello costruito sulle sponde orientali dello<br />

stagno di Mar’e Pontis.<br />

L’antica chiesa paleocristiana di San Giovanni di Sinis, si trova alla periferia dell’omonimo borgo di pescatori.<br />

La costruzione, rustica e massiccia, denota due distinte fasi. Dapprima fu eretto il corpo centrale e successivamente,<br />

nel IX - XI sec., assunse l’aspetto odierno, con tre navate edificate con pietra arenaria locale. Al suo<br />

interno, di grande austerità, basse arcate rette da <strong>imp</strong>onenti pilastri, antichi altarini e un fonte battesimale.<br />

Lungo il litorale di Cabras si ergono alcune torri che avevano il compito di sorvegliare le coste a causa delle<br />

frequenti incursioni dei pirati barbareschi. La più <strong>imp</strong>ortante e complessa è la torre spagnola di San Giovanni<br />

di Sinis, risalente alla fine del ‘500, che domina l’intero promontorio di Capo San Marco. Seconda per <strong>imp</strong>ortanza<br />

è la torre del Sevo, chiamata Turr’e Seu, compresa nel territorio del parco naturalistico, utilizzata fino<br />

al <strong>18</strong>67, data della completa dismissione dell’intero sistema di difesa costiero.<br />

Per quanto riguarda le tradizioni popolari, da segnalare è senza dubbio la festa di san Salvatore che si conclude<br />

la prima domenica di Settembre. Il sabato all’alba la processione parte da Cabras portando la statua del<br />

Santo. Fino a 4.000 partecipanti, scalzi e vestiti con la caratteristica tunica bianca, corrono per antiche strade<br />

sterrate fino al villaggio di San Salvatore dove il simulacro viene deposto all’interno della chiesetta. La domenica<br />

pomeriggio “gli scalzi” fanno il percorso inverso, riportando il Santo a Cabras sino al sagrato della chiesa<br />

maggiore. Le origini ed i significati di questa massacrante corsa a piedi scalzi non sono ben definite ed in<br />

realtà molto è legato alla leggenda. Anche per questo aspetto l’evento è forse così carico di fascino e suggestione.<br />

Gli amanti delle tradizioni eno-gastronomiche potranno trovare “pane per i loro denti”. Alcune si perdono nell’antichità.<br />

A Tharros una stele funebre ricorda un produttore di vino, segno che la coltivazione della vite e la<br />

vinificazione hanno tradizioni davvero antiche. Nella cucina i prodotti della pesca sono protagonisti assoluti.<br />

Delicati brodi di pesce chiamati “cassoas”, la bottarga di muggine, orate, spigole e anguille. In particolare il<br />

muggine, nel dialetto locale “pisci ‘e scatta”, viene preparato in diversi modi: bollito in acqua aromatizzata<br />

con prezzemolo, cipolla e pomodoro, alla brace con una salamoia di aglio, infarinato e fritto in olio bollente.<br />

Vi è poi un curioso ed antico processo di preparazione, la merca. Il muggine viene bollito in acqua salata e<br />

poi avvolto nella Zibba, una particolare erba aromatica dalle foglie carnose. Con le anguille si prepara la<br />

“anguidda incasada”. Dopo la bollitura e la scolatura le anguille vengono ricoperte da abbondante formaggio<br />

pecorino. Altri prodotti tipici locali sono il pane, l’olio d’oliva e vari salumi. Il tutto deliziosamente accompagnato<br />

da vini di ottima qualità come il Nieddera sia rosso che rosato, il Cannonau ed il Vermentino di<br />

Sardegna. E per concludere, con i dolci di mandorle, i famosi gueffus, la delicatissima Vernaccia.<br />

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