C on V - Rivista IDEA

meno quel problema, perché
sono felice di aver vissuto questi
sette anni, e, in prospettiva, spero
di viverne altri venti. Dopo certe
esperienze si di venta anche consapevoli
del fatto che non siamo
eterni. Quando hai una malattia
di questo tipo ca pisci anche che,
se vivi tanto, ma male, senza la
consapevolezza dell’importanza
di godere di cose semplici, conta
poco; ti rendi conto del profondo
significato della frase di Ghandi:
“Vivi come se dovessi morire
domani, impara come se dovessi
vivere per sempre”. Non vorrei
che si pensasse che io sia di -
ventato un filosofo. Ero e ri man -
go una persona con i piedi per ter -
ra, ma, anche nei momenti di difficoltà
sul lavoro, l’atteggiamento
ora è diverso e questo è im -
portante anche per le persone che
lavorano con me. Prima ero rigido,
adesso sono più disponibile.
Nei rapporti con la gente cerco di
cogliere il positivo, non ho più
riserve mentali. I giovani chiedono
spesso di lavorare con me, per -
ché sono sereno e propositivo».
Non mi pare fuori luogo dire che
vivi meglio adesso rispetto a
prima della malattia...
«Per me la malattia è stata una
fortuna; ciò che pensavo fosse
prioritario, oggi lo è relativamente.
Il fatto di essere qui a parlarne
è ciò che conta per me».
Hai mai pensato di non farcela?
«Due volte: la prima poco tempo
dopo l’inizio delle cure. Ho pianto
perché ero veramente intimorito
per una situazione particola-
re. La seconda quando ho avuto
un’infezione molto grave. Ma è
durato un giorno».
Quanto hanno contato i medici?
«Sono tra quelli che sostengono la
rivalutazione del medico di base,
perché può cambiare la vita di un
malato, migliorare la terapia e i
tempi di recupero. Ho un’altissima
considerazione della sanità
pubblica, assoggettata forse anche
alla fortuna che ho avuto, mentre
altri non possono sostenere la
stessa tesi. Ho trovato un medico
di base eccezionale, Paolo Siccardi,
ho conosciuto degli ematologi
splendidi, competenti, alcuni
dei quali non hanno curato la
malattia, ma il malato. Mi sono
sentito parte di un progetto comune.
Quando abbiamo presentato il
libro, l’ema tologa Silvia Tavera si
è messa a piangere, ricordando
quando andavo a fare gli esami ed
ero io che chiedevo come stavano
e a informarmi delle loro famiglie.
Ho sempre cercato di sta bilire un
rapporto alla pari (da subito ha
rifiutato di essere associato al
numero di cartella, D366, e si è
fatto chiamare per nome e cognome,
ndr). Sono stato fortunato,
ma dico anche che fondamentale
è il rapporto di condivisione e di
fiducia che si instaura tra medico
e paziente».
Il saviglianese ha
presentato il suo libro
e raccontato la sua storia
in più incontri, sempre
molto partecipati.
A sinistra è immortalato
durante il suo intervento
presso la fondazione
“Ferrero” di Alba
e, sotto, a fianco di Maria
Vittoria Oddero, direttore
del Reparto di medicina
interna dell’ospedale
“San Lazzaro” di Alba.
In basso è ritratto
un maestro afghano
con il volume scritto
da Fulvio D’Alessandro,
a dimostrazione di come
non sia solo il dirigente
tecnico della “Mondo”
a essere spesso
in giro per il mondo
14 luglio 2011 Ü 11