Capitolo settimo Il paradosso del calabrone - Blog Sicilia

Capitolo settimo Il paradosso del calabrone - Blog Sicilia Capitolo settimo Il paradosso del calabrone - Blog Sicilia

blogsicilia.it
from blogsicilia.it More from this publisher

Giuseppe Lazzaro Danzuso<br />

L’Amatori Catania rugby<br />

e il <strong>paradosso</strong> <strong>del</strong> <strong>calabrone</strong>


Giuseppe Lazzaro Danzuso, catanese, 54 anni, giornalista professionista, ha amato<br />

e ama il rugby dopo averlo lungamente praticato con risultati per nulla commisurati<br />

al suo impegno (era, per così dire, una mezza calzetta). Di rugby, e in particolare<br />

<strong>del</strong>l'Amatori Catania, ha parlato a lungo in televisione, sull'emittente privata Antenna<br />

<strong>Sicilia</strong>, anche con un programma dal titolo "Rugby Time". Ha poi scritto di incontri<br />

nazionali e internazionali per l'agenzia giornalistica Ansa, in cui ha lavorato per<br />

quindici anni. Al di fuori dal rugby, ha lavorato come giornalista per diverse testate,<br />

ha scritto una ventina di libri, prevalentemente dedicati alla <strong>Sicilia</strong>, e, da regista, ha<br />

realizzato altrettanti documentari. I suoi due figli maschi giocano o hanno giocato al<br />

rugby. Si commuove ogniqualvolta vede “Invictus”


Premessa<br />

Lo scritto che leggerete deriva dal discorso da me pronunciato il 23<br />

novembre <strong>del</strong> 2012 nello Sporting club di Catania davanti<br />

all’assemblea <strong>del</strong> Panathon, dove mi ero presentato su invito <strong>del</strong> presidente<br />

Ignazio Russo.<br />

In quell’occasione spiegai di essermi chiesto a lungo quale metodo<br />

scegliere per narrare le vicende complesse e controverse, epiche e<br />

umanissime, <strong>del</strong>l’Amatori Catania rugby,<br />

comprendendo che se avessi imboccato un<br />

sentiero razionale, di fatti documentati, dati<br />

e cifre – peraltro già presenti in un bel libro<br />

di Carlo e Giuseppe Anastasio, “Sua ovalità<br />

l’Amatori biancorosso <strong>del</strong>l’Etna” - avrei in<br />

parte tradito la filosofia di questa sgangherata<br />

e meravigliosa società sportiva.<br />

Conclusi dunque la mia introduzione sottolineando<br />

come <strong>del</strong>l’Amatori, e in particolare<br />

<strong>del</strong>la gloriosa squadra biancorossa che dagli<br />

anni Sessanta agli Ottanta fu l’unica autenticamente<br />

amatoriale <strong>del</strong>la serie A, avrei parlato<br />

con amore. O magari, con risentimento, persino con una punta<br />

d’amarezza, ma sempre con rimpianto e malinconia. E soprattutto<br />

con la gioia <strong>del</strong> ricordo, attraverso cui si possono far rivivere amici<br />

che non ci sono più e che ci mancano terribilmente. A cominciare da<br />

Benito Paolone, al quale quella serata <strong>del</strong> Panathlon era dedicata.<br />

La premessa, allora come oggi, è che quando ci si fa guidare dai sentimenti<br />

e non dai numeri e dai freddi fatti, non possono essere contestate<br />

a chi narra fantasie e visioni personalistiche.<br />

<strong>Il</strong> mio racconto sarebbe stata dunque una <strong>del</strong>le innumerevoli versioni<br />

di una incatalogabile leggenda, di un mito che vive ancor oggi in<br />

tantissimi ragazzi.<br />

I quali magari non hanno – o non hanno ancora – piena consapevolezza<br />

<strong>del</strong> loro retaggio, <strong>del</strong>la ricchissima ed evanescente eredità ricevuta,<br />

<strong>del</strong> dono prezioso che si porteranno dentro per tutta la vita e<br />

potranno trasmettere ai propri figli.<br />

E i figli ai loro figli.<br />

Giuseppe Lazzaro Danzuso


Quella dei Brogna – qui uno dei suoi esponenti - è una <strong>del</strong>le dinastie <strong>del</strong>la Pescheria di Catania<br />

NB<br />

Nel corso <strong>del</strong>la serata furono proiettate <strong>del</strong>le immagini fotografiche, tutte in bianco<br />

e nero, che vi riproponiamo, ringraziando gli autori. Quelle <strong>del</strong>la Pescheria sono<br />

<strong>del</strong>la fotografa Monica Laurentini, quelle <strong>del</strong>l’Etna <strong>del</strong> giornalista Turi Caggegi,<br />

quelle <strong>del</strong>l’Amatori degli archivi di Pippo Minnella e Pippo Puglisi. Tutte sono state<br />

fornite a titolo gratuito, nel più puro spirito amatoriale.


<strong>Capitolo</strong> primo<br />

‘A Piscaria<br />

Va in scena l’Amatori, signori: si comincia.<br />

E la scenografia è sontuosa e miserrima, variopinta e grigia, segnata<br />

da una<br />

nota alta, acutissima.<br />

È sempre un canto<br />

da muezzin che ti<br />

guida, nella Piscaria<br />

dei pisciari, in quel<br />

tunnel sotto le mura<br />

di Carlo V, tra i pochi<br />

relitti rimasti a<br />

galla <strong>del</strong>la Catania<br />

<strong>del</strong> 1693, abbattuta<br />

da quel disastroso<br />

uragano che fu il terremoto.<br />

Proprio in pescheria, negli anni Sessanta <strong>del</strong> secolo appena trascorso,<br />

quello strano sport in cui il pallone non è rotondo ma ovale e si passa<br />

all’indietro, aveva trovato l’humus adatto a svilupparsi. E ora cercheremo<br />

di scoprire per quale motivo. Ma prima attraversiamo questo<br />

ambiente, tra richiami e abbanniati: “Vivuvivuvivu!”. “Taliati chi c’è<br />

cca’!”.<br />

Le urla si incrociano, i soprannomi si intrecciano: Brogna, si chiama,<br />

un pisciaru, dal nome <strong>del</strong>la conchiglia usata un tempo come campana,<br />

per chiamare a raccolta le<br />

genti.<br />

Attraversiamo odori, profumi e<br />

lezzi, i sapori, ché da queste parti<br />

l’assaggiassi - per<br />

l’assaggiabile - è punto d’onore.<br />

E anche il tatto è coinvolto: come<br />

si fa a non infilzare con il dito<br />

il polpo o la seppia, a considerarne<br />

la consistenza, valutandone<br />

così la freschezza ?


Ma è soprattutto l’occhio a godere, tra i pesci variopinti di tutte le<br />

forme e le dimensioni, banconi di legno e marmo, bronzee stadere,<br />

mannaie e coltelli, cassette accatastate, frattaglie puzzolenti, vasche<br />

d’acqua salata e munnizza, munnizza, munnizza.


Poi, salite due scale<br />

- quelle che portano<br />

alla fontana <strong>del</strong> Tritone,<br />

l’acqua a linzolu,<br />

eretta sopra<br />

l’Amenano, fiume<br />

sotterraneo <strong>del</strong>la<br />

memoria - ecco il<br />

cuore di Catania: la<br />

piazza <strong>del</strong> duomo<br />

con l’elefante, il liotru,<br />

sormontato da<br />

un obelisco egizio,<br />

ché, da queste parti, non ci facciamo davvero mancare nulla.<br />

E, a dominare su tutto, là, sullo sfondo, immenso, l’Etna.<br />

Se vi chiedete come uno sport chiamato rugby, in cui per andare avanti<br />

il pallone si passa indietro – immaginate chi traficu! - abbia potuto<br />

attecchire in quella Catania considerata la capitale mondiale<br />

<strong>del</strong>l’indolenza la risposta è: grazie all’Etna.<br />

<strong>Il</strong> gigante che è ghiaccio fuori e fuoco dentro, il dio capace di donare<br />

terre fertili e distruggere intere città. Come prezzo da pagare per vivere<br />

in uno dei luoghi più belli al mondo.


L’Etna ha insegnato ai catanesi a ricominciare sempre da capo:<br />

un’eruzione ti mette in ginocchio mentre stai correndo verso la meta?<br />

Proteggi la palla e aspetta i compagni, per una nuova fase di gioco.<br />

È stato grazie a questi terribili disastri che un popolo reso profondamente<br />

individualista dalle continue dominazioni che l’hanno diviso,<br />

frammentato, ha scoperto la forza <strong>del</strong>la socialità, <strong>del</strong>la comunità, <strong>del</strong>la<br />

squadra.


<strong>Capitolo</strong> secondo<br />

‘U Villaggiu<br />

L<br />

’ Amatori, dunque, nasce<br />

all’ombra <strong>del</strong>l’Etna<br />

e ha due patrie: la Piscaria<br />

e il Villaggio Santa<br />

Maria Goretti. Della prima<br />

abbiamo già parlato e parleremo<br />

ancora. La seconda è<br />

un grumo di case popolari<br />

gettato lì sul margine estremo<br />

<strong>del</strong>la città.<br />

Un posto turistico, lo definivano<br />

gli abitanti, con l’amara<br />

autoironia dei catanesi, non solo per la vicinanza con l’aeroporto, ma<br />

per via <strong>del</strong> meritatissimo soprannome di Venezia etnea: con due gocce<br />

d’acqua, ancor oggi, le strade <strong>del</strong> Villaggio si trasformano in canali.<br />

Due immagini che dimostrano come il Villaggio abbia meritato il nomignolo di Venezia Etnea<br />

E i suoi abitanti sacramentano con la stessa dovizia di particolari di<br />

quelli <strong>del</strong>la città lagunare.<br />

Dove li trovi, avrà pensato Benito Paolone, missionario <strong>del</strong> rugby, ragazzi<br />

altrettanto abituati a ricominciare da capo dopo una batosta, un<br />

placcaggio duro, un pugno o un insulto razzista?


Ragazzi che hanno nelle gambe la più<br />

veloce fuga dall’autorità costituita. Ragazzi<br />

che, inconsapevoli dei loro modestissimi<br />

mezzi fisici, non temono alcuno.<br />

Ragazzi pieni di sogni, di voglia di vivere,<br />

di voglia di vincere.<br />

In più c’era il fatto territoriale: tra il Villaggio<br />

e l’aeroporto si trovava il campo<br />

in cui l’Amatori giocava: Fontanarossa.<br />

Sul malconcio muro di fronte alle tribune<br />

stava una scritta zoppicante che invitava<br />

gli “stranieri” a perdere ogni speranza,<br />

ché sarebbero caduti sotto i colpi<br />

dei giganti biancorossi, al grido di Arriba.<br />

Chissà se Gianfranco Puglisi, promotore<br />

<strong>del</strong>l’urlo di guerra, sapeva che era lo<br />

stesso <strong>del</strong>la falange spagnola e rischiavamo<br />

tutti l’arresto per tentata ricostituzione<br />

<strong>del</strong> disciolto partito fascista.<br />

In ogni caso, per chi, come me, vi venne<br />

paracadutato dai quartieri alti a quindici<br />

anni, Fontanarossa era una specie<br />

d’inferno: brutto, sporco, squallido e<br />

soprattutto estremamente pericoloso.<br />

Ricordo che il terreno di gioco, piuttosto<br />

che il prescritto manto erboso, vantava<br />

non solo acuminati sassi d’ogni forma e<br />

dimensione, ma anche innumerevoli,<br />

luccicanti, frammenti di vetro, opportunamente<br />

sparsi per ogni dove.<br />

Fu su quel campo in cui la terra aveva il<br />

colore <strong>del</strong>la torba <strong>del</strong> caffè che uno dei<br />

miei maestri di rugby e di filosofia mi<br />

disse con voce roca: “Placcami!”. E io<br />

Benito Paolone<br />

ebbi un mancamento, perché si trattava<br />

di un incredibile Hulk ante-litteram, un essere leggendario.


<strong>Capitolo</strong> terzo<br />

Nino Puglisi e gli altri<br />

Nino Puglisi si chiamava – è morto nel 2008 a 62<br />

anni per un infarto – e si narrava avesse divelto<br />

a mani nude una panchina di marmo dalla stazione<br />

ferroviaria di Frascati. E che l’avesse poi sollevata<br />

alta sulla testa per far atto di scagliarla contro un centinaio<br />

di tifosi decisi a far la festa all’Amatori, reo di aver<br />

condannato la squadra di casa alla retrocessione. Nino,<br />

con i suoi 130 chili di muscoli e raffinatissima tecnica<br />

era stato un emblema <strong>del</strong>l’Amatori.<br />

Aveva poi continuato nel Cus Catania, perché qualunque<br />

rugbista degno di questo nome sente il bisogno insopprimibile<br />

di insegnare ai ragazzi le meraviglie <strong>del</strong>la<br />

palla ovale, salvando così la loro vita dalla banalità <strong>del</strong><br />

Nino Puglisi<br />

calcio.<br />

La macelleria di Nino Puglisi fu, tra gli anni Sessanta e Ottanta, il<br />

punto dei ritrovo dei rugbisti. Sul muro esterno troneggiava, ingiallito<br />

dagli anni e dalle intemperie, un enorme manifesto con il volto arcigno<br />

di Benito Mussolini, a dichiarare una fede che personalmente non<br />

condividevo ma rispettavo.<br />

Nino Puglisi in azione con la maglia <strong>del</strong>l'Amatori, seguito da Vito Grasso, mentre Cicero fa velo


Da sinistra: Pippo Puglisi con Sergio Pugelli e Nino Amato<br />

<strong>Il</strong> locale era minuscolo,<br />

ma c’era la Piscaria, la<br />

strada: i banconi di legno<br />

erano i medesimi<br />

per la carne e per il pesce.<br />

E su quei banconi<br />

Nino – un suo solo dito<br />

era largo quanto quattro<br />

<strong>del</strong>le mie – inteneriva la<br />

carne con micidiali sganassoni<br />

prima di tagliarla.<br />

Una formazione <strong>del</strong>l’Amatori. Da sinistra in alto: Pippo Puglisi, Casella, Strano, Franco Di Maura,<br />

Gullo, Cicero, Cristaudo, Amato. Accosciati: Mignemi, Fusco, Failla, Falsaperla, Lucchese, Elio Di<br />

Maura, Luca. Una notazione: guardando la foto e i ceffi, il mio figlio minore, Micio, rugbista in erba,<br />

mi ha chiesto come mai quei signori indossassero la divisa da carcerati<br />

Su un tavolo, intanto, la madre si occupava dei “preparati”: polpettoni,<br />

falsomagri farciti di uova sode e prosciutto, involtini e soprattutto<br />

spiedini di vari tipi di carne, oppure di carne e formaggi.<br />

La signora Puglisi era abilissima e rapidissima nell’assembleare. Ma<br />

voleva, o meglio pretendeva, che qualcuno le tagliasse il formaggio, le<br />

sbucciasse le uova sode eccetera. Questo qualcuno avrebbe dovuto essere<br />

il figlio Nino, che però sarebbe stato così strappato alle consuete<br />

dissertazioni. Perché la chianca dei Puglisi era soprattutto un cenacolo,<br />

un luogo in cui si parlava e si parlava: di politica, filosofia e, naturalmente,<br />

di rugby.


Paolo Licandro vola in touche, Nino Puglisi scatta in aiuto, Gemmellaro prende in mano la situazione<br />

La pescheria, allora, brulicava di giocatori di palla ovale. Oltre a Nino<br />

c’era suo fratello Pippo Puglisi, uno dei miei amici più cari. C’era Turi<br />

Gemmellaro, macellaio noto per gli innumerevoli soprannomi, che<br />

<strong>del</strong>l’Amatori fu anche, per lunghissimo tempo, allenatore.<br />

L’Amatori annata 1964-65. Da sinistra in alto Gemmellaro, Fleres, Leonardi, Pippo Puglisi, Mannanici,<br />

Gianfranco Puglisi, D’Emanuele, Pugelli. Accosciati: Annino, Roccasalvo, Leotta, Zinna, Mignemi,<br />

Paolone


Pippo Puglisi ( a sinistra) con "Mariano" Falsaperla<br />

che i suoi parenti, ma faceva<br />

una magnifica imitazione<br />

di padre Mariano,<br />

capuccino <strong>del</strong>la tv<br />

negli anni Sessanta - e<br />

Paolo Licandro, anche<br />

lui prematuramente<br />

scomparso.<br />

Ancora bambini erano i<br />

fratelli Minio, Puccio e<br />

Salvo, cresciuti nella<br />

trattoria <strong>del</strong> nonno, nel<br />

cuore <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong><br />

pesce. E ragazzo Totò<br />

Trovato, che tanto<br />

C’erano Tino Maugeri, detto Tinu<br />

Ova, che aveva una salumeria<br />

– con rivendita di uova - in<br />

via Gisira, Tuccio Strano inteso<br />

catinella, anche lui macellaio,<br />

Loreto Gaeta, morto giovanissimo,<br />

che di un chianchieri <strong>del</strong>la<br />

pescheria era figlio.<br />

Oltre agli stanziali c’erano poi i<br />

frequentatori, a cominciare naturalmente<br />

da Benito Paolone,<br />

che fece <strong>del</strong>la Pescheria il suo<br />

quartier generale politico.<br />

E rispondevano ai nomi – e ai<br />

soprannomi – di Turi Pappalardo,<br />

arriulativi, Santo Mascali,<br />

Franco Pintaldi taralla.<br />

C’erano poi l’avvocato Nino<br />

Scuderi, il povero Vito Grasso<br />

convinto di parlare in francese<br />

(talòn, talòn, usci balòn), e ancora<br />

il vichingo Franco Di Maura<br />

e suo fratello Elio, Gianni Fichera,<br />

detto pulici, Mariano<br />

Falsaperla – il vero nome proprio<br />

non lo ricordano più nean


Fontanarossa: da sinistra si riconoscono Pippo Puglisi, Nino Puglisi, Pio Failla e un giovanissimo<br />

Gianni Luca. Sotto, ancora Pippo Puglisi con i caratteristici baffoni alla Sandokan<br />

frequentò la Pescheria da sposare la sorella dei<br />

Minio. C’erano poi personaggi straordinari come il<br />

compianto Alfio Gullo – detto facc’i prastica, da<br />

giacchetta verde, arbitrava con la sigaretta in bocca<br />

-, Giovanni Mignemi, il povero Natale Lucchese,<br />

Sergio Pugelli ‘u rossu – abbiamo recuperato una<br />

foto in cui era magrissimo e con un improbabile atteggiamento<br />

da latin lover -, Carmelo Caponnetto,<br />

signo’ senta e Nino Amato, testa di cippu, tallonatore-ariete.<br />

E ancora l’attore Aldo Cicero, detto bara<br />

per via di un cappottone militare che lo irrigidiva<br />

come in preda al rigor mortis, Carmelo Casella,<br />

Carmelo Brioscia Cristaudo – è peccato, per un<br />

trequarti essere moddu, ossia lento - Carlo Guido,<br />

Sergio Zinna, Franco Cimino, soprannominato bi<strong>del</strong>la<br />

perché quando Paolone disegnava gli schemi<br />

sulla lavagna, gli faceva da assistente.<br />

E tanti altri.<br />

La seconda generazione sarebbe stata quella di<br />

Ezio Vittorio, figlio <strong>del</strong>la gemella di Nino Puglisi e<br />

di Foffuccio Vittorio, uno dei pisciari <strong>del</strong>la cosid-


detta cooperativa,<br />

e Lorenzo, figlio di<br />

Nino.<br />

Ma torniamo proprio<br />

a Nino Puglisi:<br />

quando voleva continuare<br />

a discutere<br />

in santa pace senza<br />

incorrere nelle ire<br />

nella madre, aveva<br />

un’ancora di salvezza:<br />

i ragazzi <strong>del</strong><br />

rugby. Appena ne<br />

adocchiava uno ad<br />

aggirarsi sfaccendato per la Pescheria, lo arpionava per il cozzu con<br />

una <strong>del</strong>le sue manone e gli appioppava il compito di tagliare il formaggio.<br />

La cosa funzionava e non funzionava.<br />

Nel senso che Nino giudicava accettabile<br />

che il ragazzo addetto mangiasse la metà<br />

<strong>del</strong> formaggio o <strong>del</strong>le uova. Ma finiva per<br />

licenziarlo quando, avvisato dalla serafica<br />

comunicazione <strong>del</strong>la madre – “Chistu<br />

si manciau tutti cosi!” -, si rendeva conto<br />

che la voracità <strong>del</strong> giovinotto era stata<br />

eccessiva.<br />

Devo confessarvi di esser stato licenziato<br />

diverse volte.<br />

E in questi casi, Nino, che aveva un cuore<br />

grande quanto la pescheria, se non quanto<br />

l’intera Catania, mi prendeva – sconquassandomi<br />

– sotto braccio. E a mo’ di<br />

risarcimento mi conduceva a scoprire<br />

prelibatezze che fino allora mi erano<br />

ignote per via <strong>del</strong>la mia formazione borghese:<br />

sanceli, quarumi, mauru, cacuc-<br />

Fontanarossa: un plastico volo di Franco Di<br />

Maura, protetto da Tuccio Strano<br />

Fontanarossa: Antonio Abdullah Failla esce da una mischia protetto da Pippo<br />

Puglisi e Giovanni Balbo<br />

ciulìddi spinusi, pane di Napoli e uno<br />

straordinario idrogenato di caffè che il<br />

vippitaru preparava apposta per lui.


<strong>Capitolo</strong> quarto<br />

I “ragazzacci di strada”<br />

Fu così che io, ragazzo dei quartieri<br />

alti, grazie al rugby scoprii tutte le<br />

leccornie offerte dalla Piscaria e<br />

molte altre cose.<br />

Per esempio che i “ragazzacci di strada”,<br />

come li chiamava mia madre, <strong>del</strong> Villaggio<br />

non solo erano molto più veloci e<br />

‘sperti di me, ma, a parte gli atteggiamenti<br />

da bullo, avevano un gran cuore. E andavano<br />

rispettati, anche perché vivevano con<br />

grandissima dignità uno stato di disagio<br />

materiale inimmaginabile.<br />

Scoprii, grazie alla meravigliosa intuizione<br />

che portò personaggi come Benito Paolone<br />

a mescolare ceti sociali diversi, che<br />

l’atteggiamento <strong>del</strong>la mia Catania - quella<br />

dei professionisti, dei ricchi -, rispetto ai<br />

confinati nelle orride periferie, era cieca e<br />

razzista. Perché il pregiudizio nei confronti<br />

degli abitanti di<br />

Concetto Angelozzi con Maurizio Balbo<br />

Maurizio Balbo con Nino Sapuppo, due dei<br />

biancorossi provenienti dal Villaggio Goretti<br />

certi quartieri era, allora, ben più forte che<br />

oggi.<br />

È per questo che voglio rendere onore a<br />

questo grande uomo di sport e a tutti coloro<br />

i quali condivisero quegli ideali, a cominciare<br />

da Santino Granata, Turi Giammellaro,<br />

Pippo Puglisi. Così come a coloro che continuano<br />

a perpetrarli, sia nell’Amatori, sia<br />

nella mia squadra, il Cus Catania, sia, specialmente<br />

nella Librino dei tifosi di calcio<br />

assassini. È stato grazie a questi uomini se il<br />

pregiudizio nei confronti degli abitanti <strong>del</strong>le<br />

periferie si è ridotto. Quando cominciai a fare<br />

il giornalista per esempio, mi capitò di<br />

parlare ai colleghi <strong>del</strong>la Banda di Santa Maria<br />

Goretti. E i cronisti di nera si misero subito<br />

in agitazione prima che potessi spiega-


L’Amatori Catania era l’unica squadra di rugby al mondo che annoverare tra i propri supporters<br />

un’intera, per quanto piccola, banda musicale: quella <strong>del</strong> Villaggio Santa Maria Goretti<br />

re: si trattava di volenterosi ragazzi impegnati a suonare marcette<br />

prima <strong>del</strong>le partite <strong>del</strong>l’Amatori.<br />

Ma i sospetti restarono.<br />

Quando, alla fine degli anni Settanta, cominciai a praticare full time la<br />

professione <strong>del</strong> giornalista, speravo di continuare a giocare almeno le<br />

partite in casa. Ma mi meritai, da un tecnico <strong>del</strong> suono di Antenna <strong>Sicilia</strong>,<br />

Ino Di Mauro, l’azzeccatissimo soprannome di Lacero Contuso:<br />

impegnato in un ruolo complicato come quello <strong>del</strong> pilone alle 11 <strong>del</strong><br />

mattino, quando dovevo condurre in studio la trasmissione sportiva a<br />

volte non ero propriamente al massimo <strong>del</strong>la forma.<br />

Più Lacero Contuso che Lazzaro Danzuso.<br />

Così, davvero a malincuore, fui costretto a rinunciare.


<strong>Capitolo</strong> quinto<br />

I sermoni di Paolone<br />

Naturalmente continuai a seguire l’Amatori da cronista televisi<br />

vo, sfuggendo, con la scusa di dover andare a montare il servizio,<br />

ai terribili sermoni post partita di Paolone<br />

Benito, diciamolo, era un po’ futurista, con i suoi bam! Vvvvamm!<br />

Fffummm!<br />

Ma nessuno che<br />

abbia giocato a<br />

rugby a Catania<br />

dimenticherà mai<br />

quella voce afona e<br />

tutta la bruciante<br />

passione che c’era<br />

dietro.<br />

Nessuno dimenticherà<br />

il suo sogno,<br />

in parte, purtroppo,<br />

naufragato, di veicolare<br />

il verbo <strong>del</strong><br />

rugby attraverso<br />

decine, centinaia di<br />

docenti di educazione fisica.<br />

Ci conoscevamo da tempo, ma diventammo davvero amici litigando<br />

per tre mesi di seguito, ogni sera, dal lunedì al venerdì, nella sala<br />

<strong>del</strong>l’Hotel Royal di Palermo.<br />

Era il 1988: io ero stato assunto dall’Ansa, lavoravo nella sede palermitana<br />

<strong>del</strong>l’Agenzia che era a due passi dal Royal, dove dormivo. E<br />

dove stava anche lui, che era a Palermo per la sua attività di deputato<br />

regionale.<br />

Scoprimmo la coincidenza in una fredda serata di febbraio. E da allora,<br />

sera per sera, se si escludeva il fine settimana, ci ritrovavamo dopo<br />

cena davanti a una tazza di camomilla – lui diceva che ci permetteva<br />

di litigare serenamente – e… dissentivamo su tutto.<br />

Divertendoci da matti.<br />

Non dimenticherò mai quel suo sorriso birichino da bimbo che stringe<br />

il musetto inalberato quando pensava di averti inchiodato con un ragionamento<br />

stringente.


La Trimurti: Santino Granata, Benito Paolone e Turi Gemmellaro<br />

Né gli occhi sbarrati e le mani allargate <strong>del</strong>la sua migliore espressione<br />

stupefatta quando lo mettevi all’angolo.<br />

O il tic di sistemarsi la giacca tirandola dai petti.<br />

O ancora il vezzo di farti sentire quanto ancora erano ferrei i suoi addominali:<br />

“Tocca qui, tocca qui!”.<br />

<strong>Il</strong> punto focale dei nostri litigi era Pippo Puglisi.<br />

Penso che Benito invidiasse la forza <strong>del</strong>la nostra amicizia, nata quando<br />

avevo quindici anni e lui era il mio insegnante di educazione fisica.<br />

“Quello che dice Pippo, per me va bene” affermavo.<br />

E lui, con quel sorriso birichino di cui vi dicevo, le sparava grosse, inventando<br />

storie incredibili. Ma poi rivelava subito che si trattava di<br />

uno scherzo.<br />

“Pippo vuole i ruoli! – mi urlava in faccia, fingendosi scandalizzato (le<br />

prime volte il barman era accorso per intervenire a sedare la lite, poi<br />

aveva capito che era tutta scumazza e ci aveva lasciato perdere).<br />

“Pippo vuole i ruoli in una società che è un’armata Brancaleone!”<br />

Io sostenevo che Puglisi aveva ragione e andavamo a letto restando<br />

ciascuno <strong>del</strong>la sua propria opinione.<br />

Ma l’affetto, sera dopo sera, cresceva.


Luciano Catotti, Concetto Angelozzi, Pio Failla e Turi Forte<br />

E una sera Benito capitolò:<br />

“Di ruoli non se ne parla,<br />

ma sarei felice di mettermi<br />

al servizio di Pippo per fare<br />

nuovi ragazzi”.<br />

Ci credeva davvero.<br />

Voleva bene a Pippo, che<br />

ammirava per la sua correttezza.<br />

E avrebbe davvero<br />

fatto il portatore d’acqua a<br />

chiunque lavorasse sinceramente<br />

per il rugby. Ma<br />

ovviamente non avrebbe<br />

mai avuto il tempo. Direte che era portato a strafare, e forse era così.<br />

Ma soltanto a causa <strong>del</strong>la sua grandissima generosità.<br />

Ebbi la certezza che mi voleva bene quando, in un servizio su Antenna<br />

<strong>Sicilia</strong>, lo presi in giro per via <strong>del</strong> megafono che adottò quando lo costrinsero<br />

in tribuna per una squalifica.<br />

Litigammo e fece l’offeso per un po’, ma durò davvero poco.<br />

Io, nonostante fossi stato assunto dall’Ansa, tornato a Catania continuai,<br />

in tv, a cantare le gesta di molti di coloro i quali da ragazzo incontravo<br />

o sull’autobus per raggiungere Fontanarossa oppure in campo<br />

per le partite di<br />

giovanile.<br />

E qui parte l’elenco telefonico:<br />

Luciano Catotti,<br />

Pippo Minnella,<br />

Pippo Signeri, Giovanni<br />

Petralia, Giovanni<br />

Di Bella, Alberto<br />

Paolone, Umberto<br />

Trebar, Franco Abramo,<br />

Saro Buscema,<br />

Mario Nicolosi, che<br />

aveva giocato con me<br />

al Cus insieme al po-<br />

Mario Nicolosi, Salvo Minio, Totò Trovato e Puccio Minio<br />

vero Roberto Maccarrone, Turi Forte, Mario Finocchiaro, detto King<br />

(nel senso di Kong), Concetto Angelozzi, Roberto Cafaro, Luciano Bellaprima,<br />

Carmelo Ravidà, Mimmo e Luigi Marchese, Luca Ferlito, i<br />

fratelli Nicola e Nino Sapuppo, i fratelli Amore, gli innumerevoli Balbo,<br />

compreso il generosissimo Giovanni.<br />

Gianni Balbo.


Gli vidi, una volta, giocare una partita con un<br />

braccio solo, ché l’altro se lo era rotto in una<br />

mischia. Ma si potevano più effettuale sostituzioni<br />

e, nonostante il dolore terribile, non voleva<br />

lasciare la squadra con un uomo in meno.<br />

Beh, rischiò persino di fare una meta.<br />

Era la generosità personificata Gianni Balbo,<br />

ma, in anni in cui la vita umana a Catania contava<br />

pochissimo, venne<br />

ucciso. Gli spararono. E<br />

si fecero mille, sballate<br />

ipotesi, per via <strong>del</strong> pregiudizio<br />

nei confronti di<br />

chi abitava le periferie.<br />

Alla fine si scoprì che<br />

quel gladiatore indoma-<br />

Gianni Balbo<br />

Nino Balbo in ospedale<br />

bile era morto per un motivo banalissimo: aveva contestato il lavoro a<br />

un muratore e quello aveva pensato bene di prendere la pistola e ammazzarlo.<br />

Da cronista seguii non solo quell’omicidio così triste e insensato, ma<br />

anche, con trepidazione le sorti <strong>del</strong> fratello minore di Giovanni, Nino<br />

Balbo – c’era anche un altro fratello rugbista, Maurizio - , che stava<br />

per morire dopo una partita in cui gli si era rotta la milza cadendo sul<br />

pallone.


<strong>Capitolo</strong> sesto<br />

L’Amatori e i suoi miti<br />

Sono innumerevoli i fatti,<br />

un po’ veri e un po’ inventati,<br />

sui quali si basa il mito<br />

<strong>del</strong>l’Amatori Catania. E passano<br />

tutti da personaggi decisamente<br />

fuori dall’ordinario.<br />

Uno di questi si chiama Gianni<br />

Luca.<br />

Qualche decennio fa, con uno<br />

pseudonimo, tenevo una rubrica<br />

semiseria dedicata al rugby<br />

su una rivista locale. Una volta<br />

scrissi che Gianni, il quale non<br />

era certo un omone – ma sopperiva<br />

con la grinta: una volta<br />

balzò sulle spalle di Mariano<br />

Falsaperla per schiaffeggiare il<br />

colossale neozelandese Toki -,<br />

più che un’ala trequarti pareva<br />

un’ala di pollo.<br />

Qualche giorno dopo l’uscita<br />

<strong>del</strong> giornale mi telefonò la direttrice,<br />

terrorizzata dalla visita<br />

in redazione di un figuro che<br />

cercava Lord Hullabaloo – non<br />

scervellatevi, significa baccano,<br />

casino, ed era, ovviamente, il nome con cui mi firmavo – pi’ scipparici<br />

‘a testa comu ‘na masculina.<br />

La rubrica venne soppressa.<br />

Gianni Luca era uno dei miei miti: non so più in che anno, mi pare il<br />

1974, capitò a Catania con la maglia <strong>del</strong>l’Maa Milano tal Marcello Fiasconaro,<br />

che aveva stabilito nel 1972 un record mondiale indoor dei<br />

400 metri piani e l’anno dopo era stato primatista mondiale anche<br />

degli 800. Poi, avendo cominciato, in Sudafrica, come rugbista, era<br />

tornato al vecchio amore.<br />

Marcello Fiasconaro mentre stabilisce il record degli 800


Gianni Petralia vince un pallone in touche. Di Maura, Catotti, Nicolosi e Puglisi accorrono in suo aiuto<br />

A Catania Fiasconaro – la sua famiglia, per la cronaca, era originaria<br />

di Castelbuono - dimostrò la sua classe placcando plasticamente proprio<br />

Gianni Luca nell’area dei Ventidue <strong>del</strong> Milano.<br />

Si involò poi con passo di ghepardo verso la meta <strong>del</strong>l’Amatori: scartò<br />

il primo, il secondo, il terzo, il quarto, accelerò, con quella sua meravigliosa<br />

falcata e si predispose a lanciarsi in meta, plasticamente, in<br />

tuffo.<br />

Ma il tempo, incredibilmente, si fermò.<br />

Conoscerete il <strong>paradosso</strong> <strong>del</strong> <strong>calabrone</strong>: i principi fisici – forma, peso,<br />

lunghezza <strong>del</strong>le ali – gli<br />

impedirebbero di volare.<br />

Ma lui non conosce i principi<br />

fisici.<br />

Gianni Luca era ignorante<br />

come il <strong>calabrone</strong>: non<br />

leggeva i giornali e il lavoro<br />

duro che lo impegnava<br />

fin dal mattino presto gli<br />

impediva di sapere chi diavolo<br />

fosse Fiasconaro. Sapeva<br />

di lui, soltanto, che si<br />

Turi Forte da una moule apre il pallone a King Finocchiaro<br />

era permesso di placcarlo.


Mario King Finocchiaro affronta un avversario seguito da Luigi Marchese e Pio Failla<br />

Così, ricordandosi che sugli spalti lo chiamavano Kawasaki – moto<br />

allora ambitissima in certe zone di Catania per la bruciante ripresa,<br />

ideale dopo scippi e rapine -, piombò come un proiettile sul malcapitato<br />

primatista mondiale, lo sbatacchiò qua e là, gli prese la palla e,<br />

fatto dietrofront, s’involò verso la meta <strong>del</strong> Milano.<br />

Sul Fontanarossa l’atmosfera era irreale: nessuno fiatava, come davanti<br />

a un miracolo – persino i calabroni, per spirito di corpo probabilmente,<br />

avevano smesso di ronzare - mentre Gianni Luca saettava<br />

tra gli avversari imbambolati.<br />

E l’urlo di gioia repressa esplose incontenibile solo dopo ch’ebbe piazzato<br />

l’ovale oltre la linea.


<strong>Capitolo</strong> <strong>settimo</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>paradosso</strong> <strong>del</strong> <strong>calabrone</strong><br />

Ribadisco che gran parte degli<br />

atleti <strong>del</strong>l’Amatori di allora<br />

non aveva affatto il fisico<br />

per scontrarsi con i preparatissimi<br />

e nerboruti rugbisti <strong>del</strong>le<br />

squadre <strong>del</strong> nord. Ce n’era persino<br />

uno, Pippo Campagna, che chiamavano<br />

Gamba di legno, perché<br />

afflitto da una leggera zoppia.<br />

In compenso, quei giovani – tutti,<br />

nessuno escluso - avevano ben altro:<br />

coraggio da vendere, intuito,<br />

intelligenza, cuore.<br />

E una propensione alla fuga che<br />

neanche Houdinì.<br />

Erano imprendibili certi trequarti<br />

<strong>del</strong>l’Amatori, si infilavano in ogni<br />

buco <strong>del</strong>la difesa avversaria, con<br />

rapidissimi cambi di direzione.<br />

Alcuni, questa caratteristica,<br />

l’avevano addirittura scritta nel<br />

proprio cognome. Prendete i fratelli<br />

Failla, ossia faidda, favilla.<br />

Cioè quella minutissima, scintillante<br />

particella che si stacca da un fuoco e s’invola, serpeggiando, velocissima<br />

e inafferrabile, fino a svanire.<br />

Insomma, se davi la palla in mano a quei due,<br />

per parafrasare Quasimodo, era subito meta.<br />

Ma non era solo gran parte degli atleti <strong>del</strong>l’Amatori Catania a non<br />

avere coscienza <strong>del</strong>le miserrime condizioni fisiche in cui versavano<br />

per altezza e peso. Anche i dirigenti ignoravano – volenti o nolenti –<br />

le altrettanto infime condizioni economiche <strong>del</strong>la società.<br />

Meravigliosamente incoscienti, ignoranti come calabroni sono stati,<br />

negli anni, Pippone Guerrera, Lino Castagnola, Silvestro Stazzone,<br />

Wladimiro Della Porta, Edo Ferlito, Giuseppe Catania Dimitriu e tanti<br />

altri appassionati sportivi.<br />

“Puzziddu” Petralia salta più alto di tutti


Abramo apre la palla, Marculescu vigila<br />

E in tempi di spending rewiew,<br />

uno come Santino Granata ce lo<br />

saremmo ritrovato ministro.<br />

Un giorno un ex biancorosso diventato<br />

inviato <strong>del</strong> Tg1, Nuccio<br />

Puleo, sorprese l’Italia <strong>del</strong>lo sport<br />

mostrando al Paese la nuova sede<br />

<strong>del</strong>l’Amatori Catania: la fiammante<br />

Fiat 500 di Granata, per<br />

l’appunto, strategicamente parcheggiata<br />

in piazza Trento, allora<br />

quartier generale <strong>del</strong>la squadra.<br />

In quei tempi al campo si andava<br />

con il cambio nelle sporte di nylon<br />

<strong>del</strong>la Sivad, il primo supermercato<br />

di Catania, ché non erano<br />

tempi da borse sportive firmate,<br />

e le scarpette bullonate venivano<br />

passate dai più grandi ai ragazzi<br />

<strong>del</strong>le giovanili.<br />

Non parliamo poi <strong>del</strong>le maglie,<br />

con ogni genere di rammendo e colori indefinibili.<br />

Santino Granata s’industriava e faceva di tutto perché Paolone, con la<br />

sua proverbiale generosità, non si riducesse sul lastrico mettendo<br />

troppo spesso le mani in tasca.<br />

Così organizzava improbabili – e interminabili - trasferte in treno approfittando<br />

<strong>del</strong>la benevolenza dei controllori di tutt’Italia che chiudevano<br />

tutti e due gli occhi sull’esiguità <strong>del</strong> numero dei biglietti rispetto<br />

a quello dei passeggeri. Quei padri di famiglia avevano imparato ad<br />

amare l’accozzaglia di ragazzi<br />

piuttosto male in arnese di cui<br />

leggevano le gesta sui giornali:<br />

due giorni di viaggio per andare<br />

a prendere cento punti e un<br />

sacco di botte a Treviso, nella<br />

neve.<br />

Sopportando con pazienza anche<br />

la molesta ironia di noi<br />

giornalisti.<br />

Eroici guasconi, erano. Che la<br />

<strong>Sicilia</strong> amava e l’Italia <strong>del</strong><br />

Granata e Paolone in aereo per una trasferta <strong>del</strong>l’Amatori<br />

grande rugby sopportava con<br />

malcelato disprezzo, lo stesso


<strong>del</strong>le eleganti e pingui guardie <strong>del</strong> cardinale nei confronti degli scalcinati<br />

moschettieri.<br />

Lo zio Santino Granata per decenni aveva messo al bando l’aereo,<br />

marchiandolo come mezzo “innaturale”. Poi però arrivò qualche soldo<br />

e l’Amatori si seppe far conoscere e apprezzare anche negli aeroporti<br />

di tutt’Italia.<br />

Paolone L’Amatori scopre l’aereo. Da sinistra Mario King Finocchiaro, Turi Forte, Roberto Cafaro,<br />

Pio Failla e Concetto Angelozzi<br />

Si deve a loro, ad esempio, l’invenzione degli espositori dei cornetti<br />

accessibili solo al barista. (Se non l’avete capita, evidentemente non<br />

avete mai giocato al rugby, perlomeno non a Catania)<br />

Fu in quegli anni di vitelli grassi che l’Amatori colse il suo miglior risultato<br />

di tutti i tempi: il secondo posto a pari merito con Treviso nel<br />

primo anno <strong>del</strong> campionato con poule scudetto e poule retrocessione,<br />

il 1981-82.<br />

Ricordo ancora la festa: dopo estenuanti trattative lo<br />

zio Santino aveva strappato al ristorante Pagano a mare<br />

un menù da favola – sempre considerando qual era<br />

lo stile Amatori – al prezzo di una sporta di panini al<br />

prosciutto.<br />

L’allegria raggiunse il culmine quando Elio Di Maura,<br />

con un tovagliolo a frange in testa a simulare un copricapo<br />

beduino si mise a parlare in arabo e io lo intervistai<br />

spacciandolo per il nuovo straniero <strong>del</strong>l’Amatori.<br />

Pippo Minnella<br />

<strong>Il</strong> primo straniero vero, Murray Blandford, ribattezzato Mario Branciforti,<br />

sarebbe arrivato in realtà soltanto quattro anni dopo. Quando<br />

già era in squadra l’incredibile Catalin Marculescu, ex nazionale romeno<br />

naturalizzato italiano.


Si festeggiò il titolo di vicecampione<br />

d’Italia, dunque,<br />

ma la federazione<br />

mandò medaglie da terzo<br />

posto, inventandosi la regola,<br />

prima inesistente,<br />

<strong>del</strong>la differenza mete.<br />

Una beffa.<br />

Granata le restituì, quelle<br />

medaglie bugiarde.<br />

Perché la dignità è sempre<br />

stato uno dei punti di<br />

forza <strong>del</strong>l’Amatori.<br />

E sulla dignità si costruisce,<br />

si cresce.<br />

Vennero così il nuovo<br />

campo di Santa Maria Goretti,<br />

inaugurato con Italia-Russia,<br />

il fantastico<br />

Seven che rese Catania Concetto Angelozzi si esibisce in un calcio a seguire<br />

una <strong>del</strong>le capitali mondiali<br />

<strong>del</strong>la palla ovale, gli altri prestigiosi incontri internazionali. E poi<br />

vennero i grandi stranieri, a cominciare da<br />

Johannes Breedt, e gli atleti catanesi che tutti<br />

ci invidiavano: Orazio Arancio, Andrea Lo Cicero,<br />

Mario Privitera. E poi tante altre cose<br />

che esaltavano quei ragazzi abituati a partire<br />

come emigrati per farsi massacrare di mazzate<br />

e mete sui campi gelati <strong>del</strong> nord.<br />

Oggi, va un po’ meno bene, rispetto ai tempi<br />

belli.<br />

Ma va infinitamente meglio che all’inizio.<br />

<strong>Il</strong> vero problema è, forse, lo scoramento dovuto<br />

al fatto che i grandi padri non ci sono<br />

più.<br />

Tocca ai figli.<br />

O a chiunque abbia l’animo di farlo.<br />

L’ovale è a terra e bisogna impadronirsene.<br />

Pronti a prendersi anche le botte.<br />

Ogni tanto sento parlare di soldi che non ci<br />

sono. E penso a quando di soldi non c’erano davvero e le cose venivano<br />

bene lo stesso.<br />

Forse meglio.


Da sinistra: Gemmellaro, Trebar, Paolone, Catotti e Petralia<br />

Certo, c’era Paolone, sempre pronto a mettere le mani in tasca. Sempre<br />

pronto a inventarsi qualcosa per quei ragazzi che, urlava con occhi<br />

brucianti, erano patrimonio di tutti.<br />

Ma uno come Benito non si trova certo a ogni angolo di strada.<br />

“Giuseppe – mi diceva a volte, ridendo – ma ti rendi conto che con<br />

tutto quello che ho speso con l’Amatori avrei potuto essere un principe!”.<br />

La conoscevamo entrambi la risposta: è stato ben di più, Benito Paolone,<br />

per il rugby catanese.<br />

È stato un re.


<strong>Capitolo</strong> ottavo<br />

Concludendo…<br />

Vorrei concludere dicendo che, poche settimane fa, è emerso un<br />

dato economico agghiacciante, ma che non mi ha affatto sorpreso:<br />

Catania è, sotto il profilo <strong>del</strong> lavoro, la città più precaria<br />

d’Italia.<br />

Viene così certificato che per noi catanesi il destino segue le stesse<br />

imprevedibili vie di una palla ovale quando rimbalza a terra.<br />

Eppure ce l’abbiamo sempre fatta, tra terremoti, eruzioni, guerre di<br />

mafia, corruzione, malapolitica e chi più ne ha più ne metta.<br />

Ce la farà anche l’Amatori, quello di oggi.<br />

Che è quello di ieri, quello di sempre.<br />

L’Amatori di Max Vinti e Vincenzo Delfino, di Salvo Garozzo e Fabio<br />

Borina, di Rosario Di Paola e Johnny Strazzeri. E di tanti altri meravigliosi<br />

ragazzi <strong>del</strong>la squadra allenata da Ezio Vittorio e Giuseppe Costantino.<br />

Ce la farà, l’Amatori.<br />

Basta che si ricordi <strong>del</strong>la sua storia, così simile al soggetto di un film<br />

di Billy Wilder.<br />

Basta che gli anziani la raccontino ai più giovani, questa storia.<br />

E trasmettano loro l’orgoglio <strong>del</strong>l’appartenenza a questa leggendaria<br />

società sportiva.<br />

Basta che tutti tengano sempre bene a mente il <strong>paradosso</strong> <strong>del</strong> <strong>calabrone</strong>.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!