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relazione - Consiglio Ordine Avvocati di Salerno

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determinavano a stare intere giornate fuori casa, in evidente stato <strong>di</strong> abbandono - l'unico<br />

dato documentale acquisito agli atti era costituito da un referto me<strong>di</strong>co rilasciato in data<br />

imme<strong>di</strong>atamente precedente a quella del fatto dal Dipartimento <strong>di</strong> Salute Mentale<br />

dell'ASL <strong>di</strong> <strong>Salerno</strong>, da cui risultava invece che la paziente era "ben orientata, tranquilla, e<br />

risponde[va] alle domande con coerenza". In base a tale dato la Corte affermava <strong>di</strong> non<br />

potersi ritenere acquisita la prova, in termini <strong>di</strong> certezza tecnica, che in quella fase della<br />

patologia la situazione <strong>di</strong> inferiorità psichica determinata dalla malattia fosse evidente ai<br />

terzi e, <strong>di</strong> conseguenza, all'imputato, non potendosi con<strong>di</strong>videre la motivazione fornita sul<br />

punto dal Giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Prime Cure, secondo cui le modalità <strong>di</strong> approccio alla vittima<br />

(conosciuta occasionalmente in strada ed invitata dall'imputato a salire a bordo della<br />

propria vettura), nonchè la durata del viaggio necessario per raggiungere il luogo<br />

appartato in cui si era consumato il rapporto sessuale (30 minuti circa, secondo la<br />

deposizione della persona offesa) avrebbero reso pressochè impossibile per l'imputato non<br />

accorgersi delle con<strong>di</strong>zioni mentali della donna.<br />

Riguardo al secondo aspetto da acclarare, relativo alla presunta condotta <strong>di</strong> abuso<br />

contestata all'imputato, la Corte considerava parimenti fondate le censure della <strong>di</strong>fesa, non<br />

essendo dato riscontrare dalle <strong>di</strong>chiarazioni della persona offesa, nè dalle altre risultanze<br />

processuali, atteggiamenti <strong>di</strong> induzione da cui desumere un manifestato volere contrario<br />

che l'imputato avrebbe superato con opere <strong>di</strong> artificiosa persuasione o con una vera e<br />

propria sopraffazione nei confronti della donna, la quale non avrebbe <strong>di</strong>versamente<br />

aderito se non soggiacendo al volere dell'imputato. Anche su questo punto il Giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

Appello si <strong>di</strong>scostava da quanto ritenuto dal Giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Prime Cure, che aveva desunto la<br />

sussistenza dell'elemento dell'abuso dalle modalità <strong>di</strong> approccio riferite dalla persona<br />

offesa (consistite nell'iniziale invito rivoltole dall'imputato a fare un giro in macchina,<br />

seguito dal titubante <strong>di</strong>niego della donna e dalla reiterazione dell'invito ad accompagnarla<br />

dovunque dovesse andare, invito infine accettato): orbene, secondo il Giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Prime<br />

Cure la pochezza dello sforzo con cui l'imputato, a fronte del primo <strong>di</strong>niego della persona<br />

offesa a seguirlo a bordo dell'autovettura, ottenne il risultato voluto, rappresentava<br />

elemento significativo non solo della superiorità psichica dell'agente nei confronti della<br />

vittima, ma anche e soprattutto <strong>di</strong> come <strong>di</strong> tale superiorità costui si fosse avvalso<br />

sopraffacendo la volontà della donna, in tal modo integrando il proprio comportamento<br />

entrambi gli elementi dell'abuso e della induzione – quest'ultima evidente nell'assenza <strong>di</strong>

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