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relazione - Consiglio Ordine Avvocati di Salerno

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comportava la presunzione <strong>di</strong> violenza in capo al soggetto agente - alla considerazione<br />

della con<strong>di</strong>zione soggettiva dell' agente <strong>di</strong> abusare, <strong>di</strong> agire consapevolmente<br />

approfittando delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> inferiorità fisica o psichica del partner. La Suprema<br />

Corte ha poi precisato che "L’induzione si realizza quando, con un’opera <strong>di</strong> persuasione spesso<br />

sottile e subdola, l’agente spinge o “convince” il patner a sottostare ad atti che <strong>di</strong>versamente non<br />

avrebbe compiuto. L’abuso, a sua volta, si verifica quando le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> menomazione sono<br />

strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficoltà, viene ad essere ridotta al rango <strong>di</strong> un mezzo per il sod<strong>di</strong>sfacimento della sessualità altrui.<br />

E’, pertanto, dovere del giu<strong>di</strong>ce espletare un’indagine adeguata per verificare se l’agente abbia avuto<br />

la consapevolezza non soltanto delle minorate con<strong>di</strong>zioni del soggetto passivo ma anche <strong>di</strong> abusarne<br />

per fini sessuali”.<br />

Orbene, nel proce<strong>di</strong>mento de quo, il Collegio giu<strong>di</strong>cante - alla luce delle censure mosse<br />

dalla <strong>di</strong>fesa dell'imputato attraverso l'impugnazione della sentenza <strong>di</strong> primo grado –<br />

veniva appunto chiamato ad espletare un'indagine volta a verificare se l'imputato avesse<br />

avuto consapevolezza delle minorate con<strong>di</strong>zioni della persona offesa e ne avesse abusato<br />

per fini sessuali. Sotto il primo profilo, la Corte rilevava che dalla corposa documentazione<br />

me<strong>di</strong>ca agli atti nonchè dalla <strong>relazione</strong> peritale eseguita nel corso del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> primo<br />

grado, emergeva un dato incontrovertibile: la persona offesa risultava affetta da sindrome<br />

schizofrenica con decorso variabile, in cui a fasi acute – alle quali corrispondevano<br />

manifestazioni cliniche della patologia estremamente evidenti e riconoscibili anche da<br />

profani – si alternavano perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> quiescenza clinica, durante i quali risultava<br />

indubbiamente più <strong>di</strong>fficile, per un soggetto privo <strong>di</strong> adeguate conoscenze tecniche,<br />

riconoscere la presenza e l'entità della patologia, potendo il paziente apparire<br />

esteriormente solo non del tutto adeguato e conforme alla realtà circostante; in tali<br />

con<strong>di</strong>zioni una carente conoscenza del soggetto, come può verificarsi nel corso <strong>di</strong> incontri<br />

occasionali e <strong>di</strong> breve durata, avrebbe potuto non rendere palesi le reali con<strong>di</strong>zioni<br />

psichiche della persona offesa. Alla luce <strong>di</strong> tali risultanze, era dunque <strong>di</strong> fondamentale<br />

importanza, ai fini dell'accertamento della consapevolezza da parte dell'imputato delle<br />

minorate con<strong>di</strong>zioni psichiche della persona offesa, acclarare quali fossero le reali<br />

con<strong>di</strong>zioni cliniche <strong>di</strong> quest'ultima all'epoca del fatto: a fronte delle <strong>di</strong>chiarazioni rese nel<br />

corso dell'esame testimoniale dai fratelli della persona offesa – i quali riferivano che in<br />

quel periodo il <strong>di</strong>sagio mentale della stessa era noto a tutto il quartiere anche perchè la

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