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Vol. VII N.1 – Giugno 1992 – Nuova Serie – N. 7

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<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7<br />

INDICE<br />

Editoriale Bruno De Maria<br />

Lavori a cura di Diego Napolitani<br />

Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

Laboratorio a cura di Bruno De Maria<br />

Di Giuliano Arrigoni Caso<br />

Commenti<br />

Dario Marcante<br />

Augusto Righi<br />

Paolo Tucci<br />

Bruno De Maria<br />

Formazione a cura di Paola Ronchetti<br />

Giovanna Jung Intervista a Giulio Gasca e Paolo Calcagno<br />

dell'APRAGI<br />

Tempora! a cura di Bruno De Maria<br />

Alberto Lampignano Vivere la morte per vivere nella bellezza<br />

Glossario a cura di Diego Napolitani<br />

Diego Napolitani Universi relazionali<br />

Recensioni a cura di Roberto Carnevali<br />

Roberto Carnevali Dietro la maschera - Sulla formazione del Sé e del<br />

falso Sé, di Edi Gatti Pertegato<br />

Roberto Carnevali Grottesche - Immagini del comico in psichiatria, di<br />

Franco Fasolo<br />

Luigi Pagliarani Parola di bambini di Paola Scalari e Franco Berto<br />

Eventi a cura di Roberto Carnevali


EDITORIALE<br />

Poche parole per presentare il contributo originale che apre questo numero<br />

della Rivista.<br />

Luciano Cofano riassume quanto egli ha offerto al dibattito in corso<br />

presso la Sezione Milanese della SGAI sul tema della Mente e degli<br />

Universi Relazionali, che è stato proposto da D. Napolitani nel numero<br />

precedente della Rivista.<br />

Questo tema si costituisce come la struttura teorica che supporta l'intero<br />

modello della gruppoanalisi, secondo l'elaborazione che si è andata via via<br />

approfondendo nell'attività di ricerca della SGAI.<br />

Lo sviluppo di questa elaborazione implica un suo progressivo<br />

radicamento in una dimensione biologica, non nel senso di una<br />

contrapposizione di questa dimensione rispetto a quella psicologica, o<br />

sociologica o antropologica, ma nel senso, al contrario, di una visione<br />

tendenzialmente unitaria del bios, cioè dell'organizzazione cognitiva<br />

(affettiva, emozionale, relazionale) dell'uomo, nella prospettiva di un<br />

superamento fenomenologico del processo di oggettivazione della mente<br />

che diverse psicologie hanno, forse necessariamente, fino ad oggi<br />

promosso.<br />

Il lavoro di Cofano ha il grande merito di rendere accessibile, attraverso<br />

un linguaggio piano e discorsivo e attraverso l'uso di grafici esemplificativi,<br />

la prospettiva eco-sistemica (con particolare riguardo ai contributi di<br />

Maturana e Varela) che fa da sfondo agli attuali sviluppi del modello<br />

gruppoanalitico. D'altra parte egli si pone una serie di interrogativi che<br />

indicano il suo personale approccio al tema in questione e che manifestano<br />

il carattere dialogico in itinere della ulteriore costruzione del nostro<br />

modello teorico.<br />

Di ciò si ha un preciso riscontro dall'esposizione della voce del Glossario<br />

("Universi Relazionali") in cui D. Napolitani ha modo di precisare alcuni<br />

concetti che in parte convergono e in parte divergono dalle proposte di<br />

Cofano. Questa testimonianza della vivacità e dell'apertura del dibattito si<br />

costituisce anche come un ulteriore invito alla partecipazione ad esso di<br />

tutti i lettori che ne siano interessati, attraverso l'invio per i prossimi numeri<br />

di loro personali contributi.<br />

Ed ora due avvertenze o precisazioni relative all'attività editoriale:<br />

1) Nel numero precedente la nostra Editrice, Frequenz Book, ha<br />

offerto in omaggio a tutti gli abbonati per l'anno <strong>1992</strong> tre CD di musica<br />

classica tra quelli elencati. I Soci, i Corrispondenti ed i Frequentatori della<br />

SGAI pagano una quota associativa che include il costo dell'abbonamento;<br />

ciò significa che per questi abbonati (se in regola con il pagamento delle<br />

quote associative) è sufficiente inviare alla Frequenz Book (Via <strong>Vol</strong>turno<br />

80 - Portici 1 -20047 Brugherio (Milano)) solo la richiesta dei CD prescelti<br />

specificando la loro qualifica societaria. Per coloro che invece intendono<br />

abbonarsi alla Rivista senza avere alcun titolo di appartenenza alla SGAI, è<br />

necessario indicare la richiesta dell'omaggio sul vaglia di abbonamento.<br />

2) Coloro che intendono compilare ed inviare alla SGAI (Via Procaccini<br />

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EDITORIALE<br />

11 , Milano) il questionario sullo "Specifico Gruppale" allegato al numero<br />

precedente della Rivista, devono farlo pervenire entro il 30 settembre <strong>1992</strong>.<br />

Chi non avesse ricevuto il Questionario in oggetto può fame richiesta alla<br />

Frequenz Book.<br />

Bruno De Maria<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

LAVORI<br />

a cura di Diego Napolitani<br />

Luciano Cofano<br />

AUTOPOIESI DELLA MENTE<br />

E DETERMINISMO STRUTTURALE<br />

Nel presentare il suo nuovo modello teorico sulla mente e sugli<br />

universi relazionali, Diego Napolitani 1 fa riferimento ad alcuni concetti<br />

fondamentali (autopoiesi, accoppiamento strutturale, dominio cognitivo,<br />

memoria) che a me sembrano essenziali per la comprensione del modello<br />

proposto.<br />

Sono concetti che appaiono forse abbastanza intuitivi, orecchiabili,<br />

ma c'è il rischio di fermarsi soltanto alla superficie del loro significato,<br />

mentre può essere molto utile e stimolante approfondirne almeno un poco<br />

la potenzialità e l'utilità per il nostro discorso sulla mente.<br />

Cercherò quindi di riproporne molto sinteticamente gli aspetti più<br />

direttamente significativi, facendo soprattutto riferimento al testo di<br />

Maturana e Varela L'albero della conoscenza 2 , dove è possibile trovarne<br />

una trattazione molto esauriente.<br />

Organizzazione e struttura.<br />

Vorrei cominciare dai concetti di organizzazione e di struttura che<br />

sono intimamente correlati fra loro.<br />

Cercherò di chiarirli con un esempio (fig. 1):<br />

1 D Napolitani, Mente e universi relazionali, Rivista Italiana di Gruppoanalisi, 1991, n 0 5-6<br />

2 H. Maturana e F. Varela, L'albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1987<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

Se si osserva l'oggetto disegnato in A, si riconosce immediatamente,<br />

"a prima vista", che si tratta di una sedia e si possono agevolmente<br />

distinguere le parti che la compongono, cioè le sue strutture costitutive,<br />

rappresentate in B: due pezzi rettangolari (il sedile e lo schienale) e quattro<br />

assi (le quattro gambe). E' molto importante notare il fatto che, agli effetti<br />

del riconoscimento, è del tutto irrilevante che queste strutture siano di<br />

legno, di metallo o di plastica, potendo inoltre assumere una amplissima<br />

varietà di forme, di colori, eccetera.<br />

Ci si rende così immediatamente conto che abbiamo riconosciuto la sedia<br />

per il modo particolare in cui erano disposte le sue parti, cioè<br />

l'organizzazione dei rapporti reciproci delle sue strutture. Infatti, se<br />

dispongo diversamente i pezzi variandone arbitrariamente l'organizzazione<br />

potrò ottenere degli altri oggetti che, anche se composti dalle stesse<br />

strutture (fig. 2: C, D), non appartengono più alla "classe" delle sedie, che è<br />

definita proprio da quelle relazioni che devono essere soddisfatte perché io<br />

possa classificare qualcosa come sedia.<br />

Possiamo quindi definire la struttura di una unità come quell'insieme<br />

di "componenti" e di rapporti che, concretamente, costituiscono quella<br />

unità particolare nella realizzazione della sua organizzazione. Questa<br />

definizione concerne sia una data struttura che le sue eventuali substrutture,<br />

sia le macro- che le microstrutture, purché correlate fra loro nella<br />

specifica architettura di quella data organizzazione.<br />

L'organizzazione di qualcosa, invece, può essere definita come<br />

quell'insieme di "relazioni" che devono verificarsi perché questo qualcosa<br />

possa essere considerato come appartenente ad una classe particolare. In<br />

altre parole, l'organizzazione di un sistema è data da quelle relazioni fra le<br />

sue componenti che devono restare in varianti affinché si mantenga<br />

l'identità del sistema, che altrimenti diventa qualcos'altro oppure "muore".<br />

Questi concetti sono fondamentali per poter comprendere meglio<br />

quelli di autopoiesi e di accoppiamento strutturale.<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

Organizzazione autopoietiea<br />

e accoppiamento strutturale.<br />

La peculiare caratteristica che consente di identificare la classe degli<br />

"esseri viventi è la loro organizzazione autopoietica, in quanto essi si<br />

producono continuamente da soli mediante il metabolismo cellulare e<br />

l'interazione con l'ambiente. I diversi esseri viventi differiscono fra loro<br />

perché hanno strutture diverse, ma sono uguali per quanto concerne questa<br />

organizzazione.<br />

Ciò che è tipico degli esseri viventi è il fatto che gli unici prodotti<br />

della loro organizzazione sono essi stessi, per cui non c'è separazione fra<br />

produttore e prodotto. L'essere e l'agire di una unità autopoietica sono<br />

inseparabili, e ciò costituisce la sua modalità specifica di organizzazione. E'<br />

come immaginare, cioè, un complesso macchinario che, invece di sfornare<br />

un qualche 'prodotto", produce se stesso.<br />

La dinamica di una cellula può fornire una chiara dimostrazione di<br />

questa caratteristica: l'attività metabolica della cellula, infatti, produce i<br />

componenti delle sue stesse strutture. Parte di questi prodotti vanno, per<br />

esempio, a costituire un contorno, una membrana che, oltre a delimitare ed<br />

isolare l'interno della cellula dallo spazio circostante, ne regola<br />

selettivamente gli scambi molecolari rendendo così possibile quella stessa<br />

rete di trasformazioni che l'hanno prodotta.<br />

L'unità cellulare, cioè, realizza e classifica in ogni istante le sue<br />

continue interazioni con l'ambiente in rapporto con la sua struttura, struttura<br />

che a sua volta è in continuo cambiamento a causa delle trasformazioni<br />

metaboliche in atto nella sua dinamica interna.<br />

In queste interazioni la struttura dell'ambiente innesca solamente i<br />

cambiamenti strutturali delle unità autopoietiche. E' importante infatti<br />

ricordare che, in rapporto al determinismo strutturale di ogni sistema<br />

vivente, l'ambiente non determina la struttura, l'unità e l'identità del<br />

sistema considerato, ma è questo, al contrario, che fra gli stimoli che gli<br />

provengono dall'ambiente seleziona quelli ammissibili e quelli non<br />

ammissibili, quelli integrabili nei cicli che definiscono la sua<br />

organizzazione (e quindi la sua identità in quanto vivente) e quelli non<br />

integrabili, realizzando così un accoppiamento strutturale fra le proprie<br />

strutture e quelle dell'ambiente.<br />

Bisogna comprendere chiaramente questo concetto, perché è uno dei<br />

presupposti su cui si fonda l'intera costruzione teorica:<br />

i processi interni che si svolgono in un dato sistema sono determinati dalla<br />

specifica organizzazione delle sue strutture e non dalle caratteristiche<br />

strutturali dell'ambiente. La membrana cellulare, per esempio, riconosce<br />

gli ioni di sodio o di calcio presenti nell'ambiente e li incorpora attivamente<br />

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nei processi di trasformazione metabolica, processi che sono innescati dalla<br />

presenza di detti ioni ma che sono specifici della organizzazione di quella<br />

cellula.<br />

Tutto ciò che accade se sono di fronte ad una fetta di torta, cioè i<br />

movimenti delle mie mani per prenderla e portarla alla bocca, la<br />

masticazione, la deglutizione, le trasformazioni biochimiche alle quali<br />

andranno incontro le sostanze che la compongono, il modo in cui verrà<br />

accumulato o consumato l'apporto energetico che ne deriva, sono tutti<br />

processi determinati dalla organizzazione strutturale del mio organismo e<br />

non espressione delle proprietà strutturali di quella torta.<br />

Si tratta, in altri termini, di una coniugazione, di una interazione fra<br />

alcune strutture specifiche del sistema ed alcune strutture dell'ambiente,<br />

riconosciute da quello che potremo chiamare il dominio cognitivo di quel<br />

sistema. Il risultato sarà una storia di mutui cambiamenti strutturali<br />

concordanti, caratteristici di quel dato accoppiamento strutturale.<br />

Si può rappresentare schematicamente questa situazione con un<br />

semplice diagramma (fig.3):<br />

Nella molteplicità degli oggetti circostanti, ogni sistema riconosce<br />

quindi soltanto un certo numero di caratteristiche ed interagisce solo con<br />

queste, il cui insieme ne costituisce l'Umwelt (J.von Uexküll), cioè il suo<br />

ambiente.<br />

Alcuni ricci di mare, per esempio, rispondono ad ogni oscuramento o<br />

diminuzione della luce disponendo i loro aculei in posizione difensiva:<br />

questa reazione si verifica invariabilmente sia che si tratti di un pericolo<br />

reale, come di un pesce che sta avvicinandosi, sia che si tratti di una nube<br />

nel cielo o di una barca di passaggio. Così, mentre il mondo che circonda il<br />

riccio di mare contiene una grande quantità di strutture e di "oggetti"<br />

diversi gli uni dagli altri, il suo ambiente contiene una sola caratteristica<br />

significativa, e cioè la variazione della luminosità.<br />

L'ambiente è visto quindi come una sorgente di perturbazioni "non<br />

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istruttive" (cioè non di input), e poiché esse possono solo innescare ma non<br />

determinare il corso della trasformazione, risulta chiara la funzione<br />

"attiva" e "autonoma" del sistema in relazione con il suo ambiente.<br />

L'autonomia di un sistema può essere infatti definita come la capacità del<br />

sistema di subordinare tutti i suoi cambiamenti strutturali alla<br />

conservazione dell'invarianza (chiusura) della sua organizzazione. Si può<br />

precisare meglio questa definizione dicendo che un sistema vivente è un<br />

sistema aperto per quanto riguarda la sua struttura ed è un sistema chiuso<br />

per quanto riguarda la sua organizzazione.<br />

Nella definizione tradizionale della nozione di adattamento<br />

l'ambiente viene considerato come primario e origine (cioè causa) dei<br />

cambiamenti del sistema, e l'adattamento viene definito come una risposta<br />

del sistema alle esigenze dell'ambiente (input-output). In una diversa<br />

concezione, invece, l'adattamento è inteso come la conservazione<br />

dell'autonomia del sistema, cioè la conservazione della invarianza dei cicli<br />

vitali che definiscono la sua organizzazione.<br />

Cosa succede allora quando nello stesso ambiente interagiscono più<br />

unità? Possiamo rappresentare questa situazione con un altro diagramma<br />

(fig. 4):<br />

All'osservatore appare subito evidente che si tratta di due sistemi distinti in<br />

rapporto con un ambiente "inerte", ma è altrettanto chiaro che per ciascuna<br />

delle due unità l'altra fa parte dell'ambiente, é, cioè, solamente una fonte in<br />

più di interazioni, di perturbazioni ambientali.<br />

Anche in questo caso, quindi, si tratterà dello stabilirsi di accoppiamenti<br />

strutturali, cioè di interazioni congruenti con l'organizzazione dei singoli<br />

sistemi.<br />

Questi criteri basilari sono ovviamente validi anche nel caso di<br />

sistemi via via più complessi, fino ad arrivare agli animali superiori e<br />

all'uomo.<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

La comparsa nella filogenesi del sistema nervoso, che con la rete dei<br />

suoi innumerevoli circuiti intrecciati realizza una continua correlazione<br />

senso-motoria, amplia in modo straordinario il dominio di interazioni di un<br />

organismo. Durante il tempo dello sviluppo dall'embrione al soggetto<br />

adulto, i neuroni si moltiplicano, si ramificano e si collegano fra loro<br />

secondo una architettura tipica della specie, in modo da garantire in ogni<br />

momento l'accoppiamento strutturale dell'organismo con il suo ambiente di<br />

interazione; e poiché il numero delle correlazioni possibili all'interno di<br />

questa rete è praticamente illimitato, anche i comportamenti possibili<br />

dell'organismo sono praticamente illimitati.<br />

D'altro canto, è proprio la plasticità del sistema di coordinamento<br />

nervoso in continua trasformazione autopoietica che garantisce il<br />

mantenimento di una congruenza degli accoppiamenti strutturali<br />

(adattamento) dell'organismo con il suo ambiente di interazione.<br />

E' importante notare che la trasformazione autopoietica di ogni essere<br />

vivente si realizza sia in una dimensione sincronica, cioè nel continuo<br />

mantenimento di un equilibrio dinamico metastabile delle sue strutture<br />

(attraverso il metabolismo cellulare), sia in una dimensione diacronica, cioè<br />

lungo tutto il processo di maturazione dall'embrione all'individuo adulto.<br />

Una caratteristica peculiare che accomuna tutti gli animali di qualsiasi<br />

specie è che ogni individuo origina da una singola cellula (uovo) dalla<br />

quale, seguendo il processo della sua specifica ontogenesi, si sviluppa<br />

l'organismo adulto. In molte specie animali, e fra queste i mammiferi e<br />

quindi anche l'uomo, parte di questa maturazione avviene durante una fase<br />

embrionale cioè "natale", mentre un'altra parte si completa dopo la nascita,<br />

cioè quando l'individuo è inserito in una relazione diretta, non mediata, con<br />

il suo ambiente esistenziale.<br />

Trovo molto suggestiva la considerazione del fatto che un feto "a<br />

termine" presenta, al momento della nascita, una maturazione pressoché<br />

completa (o comunque una autosufficienza) del suo sistema<br />

neurovegetativo e delle sue funzioni biologiche essenziali, mentre invece è<br />

solo all'inizio la maturazione del suo apparato senso-motorio e delle<br />

principali funzioni relazionali necessarie alla sopravvivenza nel suo mondo.<br />

Riprendendo il riferimento ai tre foglietti morfogenetici proposto da<br />

Napolitani, potrei forse dire che alla nascita sono prevalentemente maturati<br />

gli organi (strutture) di derivazione entodermica (apparato digerente ed<br />

apparato respiratorio), necessari agli accoppiamenti strutturali con il mondo<br />

intrauterino (o comunque pre-natale), mentre gli organi (strutture) di<br />

derivazione ectodermica (sistemi percettivi e di coordinamento sensomotorio),<br />

necessari agli accoppiamenti strutturali con il mondo esterno,<br />

debbono praticamente ancora iniziare la loro maturazione. Gli organi o<br />

strutture di derivazione mesodermica presentano una maturazione<br />

proporzionale alle loro specifiche funzioni ed alle necessità<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

comportamentali del soggetto.<br />

Quando parliamo di comportamento ci troviamo necessariamente di<br />

fronte alla distinzione fra comportamenti innati, cioè geneticamente<br />

determinati, e comportamenti appresi. Questa distinzione può essere<br />

facilmente compresa proprio nei termini di una variabilità sempre più<br />

complessa degli accoppiamenti strutturali in rapporto ad una evoluzione del<br />

sistema nervoso e degli apparati di coordinamento senso-motorio. Qualche<br />

esempio può chiarire questa variabilità.<br />

Se osserviamo al microscopio il comportamento di una ameba in<br />

presenza di un protozoo (fig.5), vediamo che l'ameba allunga degli<br />

pseudopodi, dei prolungamenti verso il protozoo e si sposta così nella sua<br />

direzione fino ad inglobarlo e digerirlo. Questo può apparirci come un<br />

comportamento guidato da una "intelligenza" sia pure elementare<br />

dell'animale, ma lo stesso fenomeno può essere compreso considerando la<br />

situazione rappresentata nel diagramma precedente (fig.4). Ciascuno dei<br />

due organismi, infatti, interagisce con l'ambiente comune modificandolo:<br />

specifici chemiorecettori della membrana cellulare dell'ameba sono attivati<br />

dalla presenza di alcuni prodotti che il protozoo immette nell'ambiente e<br />

questa perturbazione innesca cambiamenti nella struttura chimico-fisica<br />

dello strato corticale e del citoplasma dell'ameba, cambiamenti che<br />

producono una estroflessione di una parte della membrana verso queste<br />

sostanze metaboliche (chemiotassi), realizzando così un accoppiamento<br />

strutturale geneticamente preordinato.<br />

Procedendo lungo la scala dell'evoluzione filogenetica, questo tipo di<br />

relazioni fra organismo e ambiente si manifesta in comportamenti che, pur<br />

essendo estremamente più complessi di questo appena descritto, sono<br />

sempre riconducibili ad accoppiamenti strutturali filogeneticamente<br />

codificati, cioè innati: l'etologia è ricca di esempi affascinanti (e a volte<br />

anche un po' sconcertanti) di comportamenti istintivi, che appaiono<br />

intelligenti solo se osservati da un punto di vista antropomorfico, perché<br />

sono invece scomponibili in una serie di successivi moduli motori, sono<br />

cioè comportamenti assolutamente istintuali. Basta pensare, a questo pro-<br />

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posito, alla alta specializzazione riconoscibile nel comportamento di certi<br />

insetti sociali (api, termiti, ecc.), a certi rituali del corteggiamento di alcuni<br />

animali, oppure alle funzioni della riproduzione, dell'allevamento della<br />

prole, eccetera.<br />

Ai livelli più alti della evoluzione filogenetica, con la sempre più<br />

complessa varietà di accoppiamenti strutturali possibili in rapporto ai<br />

diversi livelli di sviluppo del sistema nervoso e del dominio cognitivo, si<br />

riconosce la comparsa di comportamenti appresi, cioè non precodificati<br />

geneticamente.<br />

L'apprendimento, che da questo punto di vista può essere considerato<br />

come un'espressione di quell'accoppiamento strutturale che garantisce<br />

sempre una compatibilità fra l'operare dell'organismo e l'ambiente in cui<br />

esso si trova, è una ulteriore dimostrazione della plasticità e del carattere<br />

autopoietico del dominio cognitivo. Esistono infatti delle precise e<br />

significative correlazioni fra la maturazione postnatale del sistema nervoso<br />

e le esperienze relazionali dei singoli animali.<br />

Fino dai primissimi momenti di vita, sono documentabili gli effetti<br />

ditali relazioni. Se si separa un agnellino appena nato dalla madre e li si<br />

riunisce dopo appena poche ore, si noterà che l'animale si sviluppa poi in<br />

modo apparentemente del tutto normale. L'agnellino succhia, cresce<br />

regolarmente, cammina, segue la madre e non mostra nulla di anomalo<br />

finché non osserviamo il suo comportamento in presenza degli altri<br />

agnellini, che amano giocare correndo, rincorrendosi e dandosi colpi con la<br />

testa: il nostro agnellino non interagisce con gli altri cuccioli, resta<br />

appartato e solitario, non sa giocare e non impara a giocare! Che cosa è<br />

successo? Il comportamento rivela che i suoi processi relazionali, forse lo<br />

stesso coordinamento del suo sistema nervoso, sono differenti da quelli<br />

degli altri a causa del temporaneo e breve allontanamento iniziale dalla<br />

madre. Una spiegazione attendibile è nel fatto che, durante le prime ore di<br />

vita, la madre lecca in continuazione l'agnellino, passandogli la lingua su<br />

tutto il corpo: con la separazione abbiamo impedito questa interazione<br />

assieme a tutto ciò che vi è connesso, dalla stimolazione tattile e visiva ad<br />

altri probabili contatti chimici di vario tipo, provocando così conseguenze<br />

irreversibili anche su comportamenti apparentemente lontani dal semplice<br />

leccamento, come il gioco.<br />

Ho voluto ricordare questo inquietante esperimento citato da<br />

Maturana e Varela, perché illustra in modo esemplare il rapporto fra i<br />

fattori di un determinismo genetico e l'influenza dei fattori ambientali,<br />

quale testimonianza di come il soggetto in scrive nella "struttura" del<br />

proprio apparato senso-motorio l'esperienza della sua relazione con<br />

l'ambiente vitale, non soltanto quale cristallizzazione di una qualche<br />

"memoria" residua ma quale fattore "attivo", condizionante il successivo<br />

sviluppo dei suoi processi relazionali.<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

L'etologia ha da tempo descritto l'ormai ben noto fenomeno<br />

dell'imprinting in una grande varietà di specie animali. Recentemente la<br />

stampa ha riportato i risultati di una singolare esperienza, condotta da<br />

alcuni ricercatori israeliani presso la Hebrew University di Gerusalemme,<br />

che documenterebbe la reciprocità di tali interazioni: una altissima<br />

percentuale di madri (oltre il 70%) è stata in grado, col solo tatto e benché<br />

bendate, di riconoscere il proprio figlio addormentato, sfiorandone<br />

semplicemente il dorso della mano; l'unica condizione necessaria era che<br />

ogni madre avesse trascorso con il neonato almeno un'ora al giorno dal<br />

momento della nascita. Se le manine dei piccoli erano coperte da guanti, le<br />

madri non riuscivano più a riconoscere il proprio figlio. Questo risultato ha<br />

suscitato lo stupore delle stesse madri protagoniste della ricerca.<br />

E' ben noto che certe esperienze di deprivazione durante lo sviluppo<br />

postnatale provocano, anche nell'uomo, conseguenze irreversibili in alcuni<br />

suoi specifici comportamenti relazionali e nel suo apparato mentale: il<br />

linguaggio, per esempio, se non si impara durante una certa fase dello<br />

sviluppo non potrà mai più essere appreso, anche se tutte le strutture<br />

neurologiche erano integre e potenzialmente attive alla nascita.<br />

Ci si può chiedere se lo sviluppo ontogenetico dell'organismo umano<br />

dai foglietti embrionali, ricordato da Napolitani nel suo articolo, sia da<br />

considerare soltanto come un riferimento metaforico, oppure possa<br />

rappresentare una vera analogia con l'ontogenesi del sistema cognitivo e<br />

della mente. Poiché, purtroppo, conosco in modo appena sufficiente<br />

l'organizzazione di un sistema biologico e non conosco abbastanza i reali<br />

elementi strutturali di un sistema cognitivo, non posso esprimere una mia<br />

motivata opinione in proposito ma, sia pure in modo solamente intuitivo,<br />

percepisco come significative le molte possibili analogie.<br />

Il dominio cognitivo rappresenta infatti il dominio della mente intesa<br />

come sistema (cognitivo) vivente che, in quanto tale, si specifica proprio per<br />

la sua organizzazione autopoietica: nel produrre la conoscenza e nel<br />

costituire le sue strutture mnemoniche, la mente costruisce e sviluppa se<br />

stessa quale interfaccia attiva nell'interazione con l'ambiente vitale, in un<br />

modo straordinariamente analogo a quanto detto a proposito della<br />

membrana cellulare. Anche nel sistema cognitivo, infatti, l'interazione con<br />

l'ambiente, attraverso le funzioni percettive-concepitive, produce<br />

perturbazioni che innescano vere e proprie modificazioni strutturali, le<br />

memorie, e queste, con il loro intrecciarsi e moltiplicarsi, si costituiscono<br />

come nuove strutture della stessa organizzazione mentale. Molto chiaro, a<br />

questo proposito, è quanto Napolitani dice in un brano del suo elaborato:<br />

«L'uomo, che può abitare soltanto il mondo che va producendo, [...] stabilisce i suoi<br />

accoppiamenti strutturali non Solo con quella parte di strutture mondane che<br />

risultano congruenti con gli elementi cognitivi ereditati dal suo più prossimo<br />

progenitore animale (mi riferisco a tutti i comportamenti che possono essere inclusi<br />

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nei termini dell'istintività), ma anche con quelle strutture mondane che egli stesso<br />

seleziona,manipola, conserva e trasforma.» [corsivo mio, completerei così questa<br />

frase: "componendo nuove strutture del proprio dominio cognitivo"]<br />

Da questo punto di vista, mi appare molto suggestiva la possibilità di<br />

considerare le relazioni trans-personali dell'universo immaginario come<br />

l'espressione di reali accoppiamenti strutturali, costituitisi grazie alla<br />

plasticità del dominio cognitivo che è in grado di integrare sempre nuove<br />

strutture. Il concetto di accoppiamento strutturale renderebbe infatti ragione<br />

del carattere replicativo e tendenzialmente automatico dei comportamenti<br />

indotti dalle matrici (strutture) dell'immaginario.<br />

Nel mio lavoro capita spesso che qualche paziente adoperi il termine<br />

spontaneità come sinonimo di autenticità, per riferirsi ad azioni o<br />

comportamenti che non sono frutto di scelta consapevole o di riflessione,<br />

laddove al concetto di autenticità può essere attribuito un significato molto<br />

peculiare, che potrebbe anche essere antitetico a quello di spontaneità.<br />

Infatti, dire "mi viene spontaneo..." oppure "mi viene naturale fare così..." e<br />

come dire "istintivamente" (cioè con mente istintiva), con una esplicita allusione<br />

ad una sorta di automatismo di quel dato comportamento relazionale,<br />

che rientrerebbe così nella dimensione degli accoppiamenti strutturali<br />

codificati. Anche il dire "sono fatto così...", oppure "questo fa parte del mio<br />

carattere" è un modo esplicito di fare riferimento non tanto ad una propria<br />

autentica soggettività ma piuttosto ad elementi "strutturali" appartenenti<br />

alla organizzazione relazionale del proprio mondo immaginario.<br />

Ovviamente anche la replicatività delle situazioni transferali sembra<br />

attinente al concetto di accoppiamento strutturale.<br />

Mi sembra quindi di poter affermare che nella relazione individuo/ambiente<br />

la mente possa proprio rappresentare l'organizzazione<br />

autopoietica dei suoi accoppiamenti strutturali.<br />

E questo mi sembra un buon punto di partenza per sviluppare una<br />

concezione non metafisica né metapsicologica della protomentalità, del<br />

mondo immaginario con le sue strutture mnemoniche e della specifica<br />

autopoiesi della funzione simbolo genetica.<br />

Ho voluto soffermarmi soprattutto sui concetti di accoppiamento<br />

strutturale e di dominio cognitivo perché mi sembrano fornire un<br />

fondamento essenziale ad una concezione autenticamente relazionale della<br />

mente. Altrettanto importante mi appare il concetto di plasticità legato a<br />

quello di deriva strutturale: sono concezioni che consentono di passare da<br />

un pensiero lineare ad un pensiero sistemico.<br />

E' forse superfluo ricordare che il pensiero sistemico è quello che<br />

consente di trattare concetti e nozioni fondamentali quali la teoria del<br />

controllo e dell'informazione, i principi della retroazione e degli equilibri<br />

metastabili, la teoria della complessità, la dinamica delle interazioni,<br />

eccetera.<br />

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Dalla applicazione della teoria generale dei sistemi sono stati<br />

elaborati i concetti di totalità, di gestalt, di ambiente come ecosistema, di<br />

cibernetica, ed altre discipline nuove nel campo della fisica e delle scienze<br />

umane. Qualsiasi organizzazione, anche se complessa, può essere studiata<br />

come un sistema di variabili mutuamente dipendenti. Va anche detto che<br />

questa teoria è stata talvolta usata in modo inadeguato, con risultati teoretici<br />

molto opinabili o addirittura infondati.<br />

Ricorderete che fino a non molti anni fa nelle scuole elementari si<br />

arrivava al calcolo matematico partendo dall'aritmetica (così come si<br />

arrivava alla scrittura partendo dalle famigerate aste), poi è stato introdotto<br />

l'insegnamento della insiemistica (e del metodo globale di lettura) ed io<br />

ricordo lo stupore degli insegnanti quando, già in terza o quarta elementare,<br />

sentivano porre dagli alunni problemi matematici che erano affrontabili e<br />

risolvibili solo con gli integrali o col calcolo infinitesimale.<br />

Forse in un modo analogo la comprensione del concetto di<br />

accoppiamento strutturale mi ha aiutato a rendere molto più costruttivo il<br />

concetto di relazione e, almeno per me, ha certamente aperto una<br />

prospettiva molto più ampia nella comprensione dei processi mentali<br />

potendo dare un fondamento concreto e rappresentabile a concetti astratti<br />

come matrice, idem, autòs.<br />

Autoregolazione<br />

L'organizzazione autopoietica presuppone l'esistenza di meccanismi<br />

di controllo degli equilibri dinamici necessari alla propria conservazione.<br />

Per comprendere i meccanismi di autoregolazione di un processo possiamo<br />

servirci di un semplice schema di "retroazione" (fig. 6). Supponiamo<br />

l'esistenza di un macchinario che produce un trafilato metallico che, per<br />

esempio, deve avere uno spessore di 2 cm esatti: una volta iniziata la<br />

produzione è possibile misurare con un apposito sensore lo spessore del<br />

prodotto, il dato così ricavato viene trasmesso ad un "comparatore", cioè ad<br />

un centro di controllo che verifica la corrispondenza di questa informazione<br />

con il valore codificato (2 cm), inviando poi a sua volta istruzioni ad un<br />

"regolatore" che, a monte del sistema (feed-back), modificherà<br />

opportunamente le variazioni di spessore del prodotto per garantirne<br />

"automaticamente" la conformità allo standard voluto.<br />

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Per rappresentare schematicamente un organismo autopoietico in<br />

accoppiamento strutturale con l'ambiente mi ero servito di un semplice<br />

diagramma (fig.3 e 4), ma l'esistenza di un sistema nervoso rende<br />

ovviamente molto più complessa questa schematizzazione, che ora<br />

potrebbe essere sviluppata considerando i sensori-recettori che raccolgono<br />

le informazioni relative alle specifiche variabili dell'ambiente, e quei<br />

processi interni di comparazione con la propria organizzazione strutturale<br />

che consentono di regolarne la relativa interazione con l'ambiente. Posso<br />

così riconoscere (fig.7) la presa di informazione ricavata dagli organi<br />

sensoriali, deputati ad attivare le funzioni percettive e propriocettive. Dei<br />

processi interni di un ideale comparatore faranno parte riflessi,<br />

automatismi, l'attivarsi delle emozioni e delle motivazioni relative ai diversi<br />

bisogni, la capacità di apprendimento e di memorizzazione, le strutture<br />

cognitive e l'intelligenza, l'elaborazione di pensieri e di ragionamenti, la<br />

capacità di prendere delle decisioni. L'azione sull'ambiente, che comprende<br />

anche la regolazione ed il controllo della motilità degli organi sensoriali, si<br />

esplicherà attraverso il comportamento motorio, il linguaggio ed il<br />

comportamento relazionale.<br />

Ma questa rappresentazione semplificata non tiene conto delle reali<br />

funzioni mentali dell'uomo: basta infatti considerarne solo alcune per<br />

riconoscerne immediatamente la complessità.<br />

Il soggetto, infatti, non è un recettore passivo ma ricerca attivamente<br />

l'informazione, selezionandola in funzione dei propri interessi, della propria<br />

esperienza, dei propri bisogni temporanei, delle proprie varie motivazioni<br />

(1). Inoltre, i sistemi sensoriali non sono staticamente orientati verso<br />

l'ambiente ma sono capaci di movimenti esplorativi, come per esempio<br />

quelli degli occhi o delle dita a livello della percezione visiva o tattile, che<br />

dipendono da nessi funzionali fra sensori e regolatori (2). Inversamente, il<br />

comportamento motorio dipende, per quanto riguarda la sua efficacia, dal<br />

controllo sensoriale dell'azione (3) (per es. controllo visivo, propriocettivo,<br />

ecc.) che consente di adattare l'azione alle particolarità contingenti<br />

dell'ambiente (4).<br />

Vorrei mettere in evidenza che, mentre questo schema rappresenta<br />

l'accoppiamento strutturale di un soggetto con un ambiente amorfo ed<br />

indeterminato, nella realtà ciascun individuo entra in relazione con la<br />

irriducibile complessità della sua Umwelt, cioè di un "mondo" costituito da<br />

una moltitudine di soggetti legati fra loro da una fitta rete di interazioni<br />

reciproche.<br />

Il processo di esonero<br />

La complessità di queste interazioni dimostra in modo inconfutabile<br />

che riconoscere il carattere strutturalmente determinato di un sistema<br />

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complesso non vuole assolutamente affermare che sia realizzabile una sua<br />

prevedibilità da parte di un osservatore, anche indipendentemente dal fatto<br />

che l'osservatore stesso sarebbe parte integrante della stessa rete<br />

relazionale.<br />

La mancanza di un determinismo strutturale geneticamente<br />

predisposto per interpretare adeguatamente il profluvio di stimoli e di<br />

perturbazioni afferenti da un mondo dalla struttura imprevedibile ci riporta<br />

al problema del dovere e potere concepire un mondo, cioè ad una capacità<br />

indispensabile per esonerare l'uomo dalla incompetenza originaria dovuta<br />

alla profonda inadeguatezza del suo dominio cognitivo rispetto al suo<br />

attuale ambiente esistenziale.<br />

Questa incompetenza costituisce per il bambino un vero e proprio<br />

handicap, che lo pone di fronte ad un compito incredibilmente oneroso: al<br />

suo venire al mondo egli si trova letteralmente immerso in un profluvio di<br />

stimoli interni ed esterni sconosciuti, di impressioni percettive ancora<br />

indecifrabili perché non possiede né un codice per interpretarle né risposte<br />

precostituite da realizzare. Dice infatti Gehlen 3<br />

«... egli non ha di fronte un ambiente in cui i significati siano articolati e<br />

istintivamente ovvi, ma un “mondo", cioè in termini negativi un campo di sorprese"<br />

dalla struttura imprevedibile, che va elaborato, cioè esperito con circospezione e<br />

prendendo ogni volta misure e provvedimenti. Già qui si prospetta un compito di<br />

grande rilievo fisico e vitale:<br />

l'uomo deve trovare a se stesso degli esoneri con strumenti e atti suoi propri, cioè<br />

trasformare le condizioni deficitarie della sua esistenza in possibilità di conservarsi in<br />

vita»<br />

E se il bambino può trasformare l'onere di una caotica indeterminatezza<br />

in un patrimonio di capacità che gli consentano di<br />

padroneggiare il suo ambiente vitale, dice ancora Gehlen 4 :<br />

l'uomo lo deve esclusivamente alla sua propria attività. La quale consiste, in<br />

termini generali in quei movimenti che occupano l'età infantile e nei quali a poco a<br />

poco sono esperite le cose visibili all'intorno: le cose sono viste, tastate, trattate in una<br />

serie di comunicativi movimenti di maneggio. lì risultato di questi processi, nei quali<br />

movimenti di ogni genere, in particolare delle mani, cooperano con tutti i sensi, con<br />

l'occhio in particolare, è una “elaborazione" del mondo circostante, e precisamente nel<br />

senso della disponibilità e dell'esaurimento: le cose sono maneggiate una dopo l'altra e<br />

accantonate, ma inavvertitamente arricchite, nel corso di questi procedimenti, di un alto<br />

grado di simbolicità. Ciò fa sì che alla fine il solo occhio, un organo che funziona senza<br />

fatica, le coglie nel loro insieme e in esse da ultimo vede simultaneamente valori d'uso<br />

e di maneggio...»<br />

Questa attitudine esplorativa del bambino e questa capacità di<br />

3 A. Uchien, Der Mensch, 1940; (tr. it. L'uomo, Feltrinelli, Milano, 1983, pag.63).<br />

4 A. Gehlen, op. cit. pag. 67.<br />

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muoversi nella indeterminatezza di un mondo esterno per tradurla in<br />

percorsi riconoscibili, servendosi soltanto delle risorse e dei limitati mezzi<br />

del proprio corpo rappresentano, a mio avviso,<br />

i requisiti essenziali allo sviluppo della sua mente, in una intima ed<br />

imprescindibile connessione con il suo ambiente esistenziale.<br />

Percezione/Concezione<br />

Affrontare questo problema vuol dire, per me, riflettere anche sul<br />

rapporto fra percezione e concezione.<br />

Il concetto di Umwelt si fonda sulla specificità degli accoppiamenti<br />

strutturali che, a sua volta, presuppone Ta specificità dei recettori in grado<br />

di selezionare fra le variabili dell'ambiente quelle che possono essere<br />

percepite dagli apparati sensoriali.<br />

Come ci apparirebbe il mondo se possedessimo organi di senso<br />

differenti o più numerosi dei cinque che la natura ci ha fornito? Ludwig von<br />

Bertallanffy diceva che 5 «. nella gran torta della realtà ciascun organismo<br />

vivente ritaglia quella fetta che esso può percepire e a cui può reagire<br />

mediante la propria organizzazione psicofisica, vale a dire mediante la<br />

struttura degli organi recettori ed effettori...» (Umwelt).<br />

Il nostro occhio, per esempio, può percepire solo una infima parte<br />

delle radiazioni che inondano lo spazio intorno a noi: tutta la gamma dei<br />

colori percepibile dal nostro sistema ottico è compresa in una ristrettissima<br />

banda (da 4.000 a 7.000 Amgstròng).<br />

All'esterno di questa banda si estende da una parte il campo dei raggi<br />

ultravioletti - dei raggi X, dei raggi gamma, e dall'altra il campo dei raggi<br />

infrarossi e poi quello delle onde hertziane. Se i nostri occhi fossero<br />

sensibili ai raggi X molli oggetti che noi definiamo opachi ci apparirebbero<br />

trasparenti o per lo meno traslucidi.<br />

Se invece le retine fossero sensibili alle onde hertziane noi vedremmo<br />

i programmi trasmessi dalla radio anziché ascoltarli attraverso la<br />

mediazione degli apparecchi radioriceventi. Se penso alla immensa quantità<br />

di emissioni provenienti dalla terra e dallo spazio preferisco non<br />

immaginare come mi apparirebbe il mio mondo!<br />

Le capacità percettive del nostro apparato acustico sono altrettanto<br />

limitate perché l'orecchio reagisce solo a vibrazioni di una frequenza<br />

compresa fra i 20 ed i 20.000 Hz; al di sotto si apre il campo degli<br />

infrasuoni e al di sopra si estende quello degli ultrasuoni, in relazione ai<br />

quali noi siamo letteralmente "sordi", mentre è noto che il pipistrello, per<br />

esempio, utilizza per il suo volo una sorta di radar basato sulla specifica<br />

capacità di emettere e percepire gli ultrasuoni.<br />

5 L. von Bertallanffy, Teoria generale dei sistemi, Ist. Librario Internazionale, 1971.<br />

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Il soggetto seleziona fra gli stimoli che gli provengono dall'ambiente soltanto quelli<br />

ammissibili ed integrabili nei cicli che definiscono la sua Organizzazione. realizzando un<br />

"accoppiamento Strutturale' fra le proprie strutture e quelle dell'ambiente. Una parte e solo<br />

una parte (Umwelt) delle strutture ambientali "perturba" I recettori sensoriali innescando<br />

uno specifico processo percettivo.<br />

Gli "Organi di senso" non agiscono corse "conduttori" di un "input" esterno ma<br />

sono dei veri e propri trasduttori" che trasformano le perturbazioni ambentali in "impulsi<br />

neuronali" di natura totalmente differente che, a loro volta, potranno essere interpretati dai<br />

relativi "centri nervosi" per essere poi integrati nei “processi interni".<br />

In natura non esiste né il caldo né il freddo, c'è una variazione<br />

continua del grado di agitazione molecolare, che va da un valore<br />

teoricamente nullo, lo zero assoluto (-273 0 C), a molti milioni di gradi: sono<br />

i termorecettori della nostra pelle che trasducono una ristretta banda di<br />

variazioni termiche in sensazione di caldo o di freddo rispetto alla<br />

temperatura media standard del nostro corpo. Al di sopra o al disotto di una<br />

data temperatura i nostri sensori non sono più in grado di discriminare le<br />

variazioni termiche.<br />

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E così si potrebbe continuare con numerosi altri esempi circa la<br />

selettività dei nostri recettori sensoriali.<br />

D'altra parte l'uomo, forse unico fra gli esseri viventi, è dotato di una<br />

singolare facoltà meta-operativa: molti animali, infatti, sono in grado di<br />

utilizzare strumenti o addirittura costruire strumenti per ampliare la loro<br />

capacità operativa, ma l'uomo è il solo capace di costruire uno strumento<br />

necessario per costruire un altro strumento quale estensione delle sue<br />

risorse naturali. Ovviamente, lo sviluppo tecnologico che ne è conseguito<br />

ha prodotto uno straordinario ampliamento artificiale del nostro limitato<br />

campo percettivo, ampliamento che ha ulteriormente approfondito la<br />

distanza che irreversibilmente ci separa dalla nostra originaria dimensione<br />

naturale e dai suoi codici genetici.<br />

Per sintetizzare direi che, in un mondo di variabili indeterminate<br />

tendenti all'infinito, esiste per ciascuno una minuscola porzione di variabili<br />

riconoscibili e fruibili attraverso l'accoppiamento strutturale e che, nel loro<br />

insieme, costituiscono un mondo finito, appartenente al nostro dominio<br />

cognitivo ontologicamente inadeguato, ma perfettibile grazie alla sua<br />

plasticità legata alla natura autopoietica della mente (apertura).<br />

A questo punto vorrei richiamare l'attenzione su una importante<br />

particolarità della funzione percettiva: tutti gli apparati sensoriali non si<br />

limitano ad una semplice conduzione passiva degli stimoli perturbanti ma<br />

sono dei veri e propri trasduttori, cioè trasformano l'informazione. La<br />

retina dei nostri occhi (fig.8) trasforma l'energia fisica dei fotoni che la<br />

colpiscono, codificandola in impulsi neuronali di natura chimico-fisica,<br />

cioè totalmente diversa (variazione del potenziale di membrana con<br />

conseguente attivazione ionica); analogamente, i recettori del nostro<br />

orecchio trasformano l'energia fisica delle onde sonore in altri impulsi<br />

neuronali. Ritornerò più avanti su questo particolare della trasduzione.<br />

La percezione, nell'uomo, non può essere considerata semplicemente<br />

come una acquisizione di informazioni circa un presunto "reale" perché<br />

essa è significativamente condizionata dai fattori determinanti interni del<br />

soggetto, la cui sensibilità percettiva è notevolmente correlata anche alle<br />

sue condizioni di "vigilanza" e di "attenzione" (tralasciando i problemi<br />

posti, a questo riguardo, dalle "pseudopercezioni" allucinatorie o dalle<br />

cosiddette "percezioni subliminali").<br />

L'approccio contemporaneo dei meccanismi percettivi non si basa più<br />

sulle performances dei sistemi sensoriali: non è infatti possibile descrivere<br />

in termini oggettivanti un sistema complesso le cui performances vengono<br />

costantemente modificate dallo stato momentaneo del soggetto, dalle sue<br />

esperienze passate, dai suoi bisogni e dai suoi desideri, nonché dalla sua<br />

capacità di simbolizzazione e dai suoi condizionamenti culturali.<br />

E' stato dimostrato, per esempio, che gli individui appartenenti a<br />

culture la cui lingua consente di caratterizzare un gran numero di colori,<br />

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effettivamente distinguono un gran numero di colori, mentre gli individui la<br />

cui lingua non prevede tali sfumature non sembrano capaci di<br />

discriminazioni altrettanto sottili (R. Droz, Percezione; V. Lanternari,<br />

Sensi, Enciclopedia Einaudi).<br />

E' molto suggestivo questo condizionamento, soprattutto se si pensa<br />

alle strutture mentali del soggetto derivanti dalla introiezione delle matrici<br />

parentali: da quali "intenzioni", da quali "pregiudizi" culturali sarà<br />

"pilotata" la ricerca delle informazioni ambientali ed il costituirsi degli<br />

esoneri? Peraltro, il nostro lavoro di analisi pone quotidianamente in<br />

evidenza come, in certe situazioni, ciascuno vede ciò che vuole o si aspetta<br />

di vedere, sente ciò che vuole o si aspetta di sentire, e non vede o non sente<br />

ciò che non vuole o si aspetta di non vedere o sentire.<br />

Ma torniamo al rapporto percezione-concezione. Gli impulsi<br />

neuronali codificati dai recettori sensoriali raggiungono i "centri nervosi"<br />

corrispondenti, che consentiranno di integrare questi impulsi nel complesso<br />

circuito dei processi interni. Mi sembra intuitivo che qui deve attuarsi una<br />

nuova trasformazione: la mia concezione del mondo non rassomiglia certo<br />

ad un impulso bioelettrico! C'è quindi un passaggio attraverso il quale ciò<br />

che è stato percepito può essere concepito: si potrebbe qui immaginare,<br />

cioè, un altro tipo di trasduzione, del tutto sui generis, che connette le<br />

strutture elaborate dai centri nervosi con i concetti elaborabili dalla mia<br />

mente (fig.7).<br />

Senza addentrarmi nella interminabile diatriba fra cognitivismo e<br />

costruttivismo, fra rappresentazione di una supposta realtà oggettiva ed il<br />

solipsismo di altre concezioni filosofiche, mi attengo ad una semplice<br />

considerazione: affinché qualcosa possa essere percepita deve esserci, nel<br />

processo percettivo, un qualche percettore, e così anche affinché qualcosa<br />

che è stata percepita possa essere concepita deve esserci un qualche<br />

concepitore. Per quanto riguarda la percezione, io posso facilmente<br />

rappresentarmi un sofisticatissimo apparato percettore costituito da una<br />

struttura biofisica conosciuta e ben determinata geneticamente, specifica<br />

per ciascuno dei cinque domini sensoriali.<br />

Ma come potrò rappresentarmi invece questo concepitore? (Autòs?)<br />

A me sembra di potere ricorrere ad una analogia. La natura mi ha<br />

fornito un complesso apparato che mi consente di usare la mia parola: la<br />

laringe con le corde vocali, gli specifici centri nervosi per l'articolazione<br />

della parola, coordinati da altri centri corticali, tutti facenti parte del<br />

corredo biologico che l'evoluzione filo-genetica ha perfezionato e che può<br />

essere minuziosamente descritto ed illustrato negli atlanti anatomici ed<br />

istologici. Ma nulla di tutto ciò potrà neanche lontanamente alludere a<br />

quanto io potrò dire usando questo apparato del linguaggio. Analogamente,<br />

mentre tutti i miei apparati recettori sono stati predisposti dalla mia natura<br />

biologica, nulla di ciò che io potrò concepire può essere cercato nelle eliche<br />

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del mio DNA. Come i raggi luminosi non oltrepassano la soglia della mia<br />

retina, così il dominio delle strutture geneticamente predeterminate arriva<br />

fino al mio poter percepire ma non oltrepassa la soglia del mio poter<br />

concepire.<br />

E' qui che mi piace immaginare l'interfaccia ineffabile del<br />

protomentale" e l'accesso al mondo delle "emozioni" e degli "universi<br />

relazionali". Potrei forse dire che Io come soggetto (autòs?) comincio ad<br />

essere là dove incontro e concepisco il mondo che finisce nella percezione<br />

dei miei sensi.<br />

Ci si trova qui di fronte al ben noto dualismo fra una dimensione<br />

matenale ed una supposta dimensione spirituale dell'uomo, la differenza fra<br />

res cogitaris e res extensa di cartesiana memoria, che divide<br />

concettualmente il dominio scientifico di una fisiologia corporea da quello<br />

di una psicologia della mente.<br />

Maturana e Varela, superando in modo radicale questo dualismo nella<br />

loro costruzione teorica, tendono a dimostrare che anche i processi mentali<br />

sono l'espressione dell'organizzazione che regola gli accoppiamenti<br />

strutturali fra individuo e ambiente. Secondo questi autori non si<br />

tratterebbe, quindi, di una reale separazione fra il mondo della materia<br />

biologica ed un mondo "altro" della mente, ma di una continuità dei<br />

"processi interni" che, nell'uomo, sono determinati dalla interazione fra<br />

"strutture" di indefinibile livello di "complessità".<br />

Personalmente, preferisco rappresentarmi la differenza esistente fra<br />

queste due dimensioni come l'espressione di una discontinuità (apertura di<br />

Napolitani?) assimilabile, in un certo modo, al già descritto processo di<br />

trasduzione fra sistemi strutturali in relazione fra loro secondo<br />

l'organizzazione che li caratterizza.<br />

Nel mio ultimo soggiorno in Grecia ho scoperto con una certa<br />

emozione che il termine “creatività” si traduce in greco nel termine<br />

δεμιυργηια (demiurghia), un termine che mi induce a considerare il<br />

soggetto concepitore come il demiurgo che è in ciascuno di noi.<br />

Sono convinto che parlare del cervello e delle sue strutture<br />

neurobiologiche non vuol dire parlare della mente umana, ma sono<br />

altrettanto convinto che se ci chiediamo che cosa é la mente non possiamo<br />

prescindere dalla conoscenza delle specifiche strutture biologiche che ne<br />

consentono lo sviluppo e la funzione relazionale. Ovviamente, parlare poi<br />

dei suoi contenuti o di un modello teorico che ci consenta di riflettere sulla<br />

loro organizzazione vuol dire spostarci idealmente ad un diverso livello<br />

concettuale.<br />

Servendomi ancora una volta della analogia con la facoltà del<br />

linguaggio, potrei dire che se vogliamo studiare "che cosa è" e come si<br />

struttura" il linguaggio umano dobbiamo prendere in considerazione un<br />

insieme di conoscenze che vanno dallo sviluppo e dalla interazione dei<br />

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centri nervosi, deputati alla articolazione della "parola" ed ai nessi<br />

associativi dei suoi "codici", fino alle caratteristiche della sua struttura<br />

semantica o sintattica, necessarie per la comunicazione dell'informazione.<br />

Se invece vogliamo esaminare il contenuto della comunicazione o i suoi<br />

aspetti espressivi, dobbiamo necessariamente riferirci ad un diverso livello<br />

teorico.<br />

Occuparci della mente in quest'ultima prospettiva significa infatti<br />

entrare nel merito degli "universi relazionali" proposti da Napolitani nel suo<br />

modello teorico. In queste brevi note ho cercato di riportare solo degli<br />

accenni ad alcuni presupposti biologici (o "psico-fisici") che penso possano<br />

servire da introduzione al discorso che si apre su questi modelli relazionali.<br />

Vorrei solo aggiungere che queste considerazioni mi hanno aiutato,<br />

tra l'altro, a sgomberare il mio pensiero da tutte le implicazioni relative al<br />

vasto campo dei "riflessi" e degli "automatismi": i primi come risposte alle<br />

perturbazioni che attivano gli accoppiamenti strutturali predisposti in un<br />

codice geneticamente determinato; gli "automatismi comportamentali",<br />

invece, come risposte che sono l'espressione di accoppiamenti strutturali<br />

instaurati dalla progressiva fondazione di un codice culturalmente acquisito.<br />

Non appartengono forse a questa dimensione anche le "abitudini"? E il<br />

cosiddetto "transfert"?<br />

Il concetto del "concepire" è certamente in relazione con la<br />

conoscenza e con la plasticità del nostro dominio cognitivo: che differenza<br />

possiamo allora supporre fra il conoscere ed il riconoscere?<br />

Verosimilmente, ciò che al nostro concepire risulta nuovo, sconosciuto,<br />

deve essere incontrato e conosciuto (esonero), mentre ciò che è già noto<br />

viene riconosciuto proprio nella misura in cui trova una struttura<br />

corrispondente codificata nel dominio cognitivo (idem?) dei nostri processi<br />

mentali.<br />

E che differenza c'è poi fra le emozioni ed i sentimenti? Mi piace<br />

immaginare le emozioni come espressione immediata di una sorta di<br />

ulteriore trasduzione, operata dalla nostra funzione concepitiva<br />

(protomentale?), ancora non elaborata dal nostro codice culturale, mentre i<br />

sentimenti sarebbero il risultato di una storicizzazione delle emozioni,<br />

interpretate ed arricchite dalla nostra esperienza vissuta, associate cioè ad<br />

oggetti relazionali già acquisiti.<br />

Per concludere, vorrei accennare ad alcune considerazioni personali<br />

circa la supposta caratteristica embrionica dell'uomo, alla luce di quanto<br />

detto in queste brevi note. L'uso metaforico del concetto di embrione allude<br />

verosimilmente alla indeterminatezza strutturale dell'uomo, che riguarda<br />

non certo la sua natura biologica ma la sua natura culturale<br />

indefinitamente aperta.<br />

Nell'esporre il suo modello teorico Napolitani, in accordo con alcuni<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

autori, propone l'ipotesi di una inesplicabile bizzarria mutazionale, in<br />

seguito alla quale l'organizzazione specie-specifica del genere umano,<br />

mantenendosi ad un livello embrionale, presenterebbe un difettoso<br />

compimento evolutivo ontogenetico.<br />

A me sembra che gli studi di paleoantropologia testimonino una<br />

costante progressione nel corso del processo evolutivo umano, scandito<br />

dalle successive tappe epocali della cosiddetta civiltà, cioè delle progressive<br />

acquisizioni e trasformazioni di un codice culturale. Se, come abbiamo<br />

detto, ciò che consente di classificare un essere vivente è la sua<br />

organizzazione, e poiché la nostra organizzazione presuppone strutture e<br />

funzioni massimamente specializzate come (cito Napolitani) ... il<br />

linguaggio, il pensiero astratto e riflessivo, l'attribuzione di significazioni e<br />

di valori», eccetera, che consentono all'uomo «accoppiamenti strutturali<br />

che hanno una variabilità ed una estensione incommensurabili rispetto alle<br />

altre specie», non mi sembra del tutto appropriata l'attribuzione di una<br />

caratteristica "difettosa" alla organizzazione dell'essere umano.<br />

La specificità che contraddistingue la dimensione umana credo possa<br />

riguardare, a partire da un certo momento della sua preistoria, il progressivo<br />

affermarsi per l'uomo di un dominio culturale, i cui codici hanno istituito<br />

strutture sempre più irreversibilmente ed incolmabilmente lontane da quelle<br />

del semplice ambiente naturale, fino a costituire una vera e propria natura<br />

culturalizzata o, per dirla con Gehlen, oggi la cultura é l'unica natura<br />

dell'uomo.<br />

L'evoluzione filogenetica non ha certo fornito l'uomo moderno di un<br />

dominio cognitivo innato capace di predisporre l'organizzazione di tutti i<br />

possibili accoppiamenti strutturali con questo suo ambiente-cultura, ma in<br />

compenso lo ha dotato di strutture specializzate (apertura e plasticità della<br />

mente) capaci di colmare questa profondissima discrepanza, come ha<br />

minuziosamente descritto Gehlen parlando del processo di esonero.<br />

Piuttosto che parlare di "accoppiamento difettoso", quindi, sarebbe forse<br />

meglio parlare di accoppiamenti strutturali non ontologicamente<br />

predisposti, ma acquisibili attraverso un processo di maturazioneadattamento.<br />

E questo processo, indissolubilmente connesso al dominio cognitivo<br />

della mente, ci riporta al lavoro di Napolitani sulla complessa articolazione<br />

degli universi relazionali, del quale queste note, ripeto, vogliono soltanto<br />

rappresentare una (spero) utile premessa.<br />

Concludo riportando un brano tratto dalla Oratio de hominis<br />

dignitate, scritta da Giovanni Pico della Mirandola nel 1486 (!)e che io<br />

trovo di incredibile attualità oltre che di sorprendente pertinenza:<br />

«Nec certam sedem, nec prnpriamfaciem, nec munus ullum peculiare<br />

tibi dedimus, o Adam, ut quam sedem, quem fiaciem, quae munera tute<br />

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Luciano Cofano Autopoiesi della mente e determinismo strutturale<br />

optaveris, ea, pro voto, pro tua sententia, habeas et possideas. Definita<br />

ceteris natura intra praescriptas a nobis leges coercetur. Tu, nullis<br />

angustiis coercitus, pro tuo arbitrio, in cuius manu te posui, tibi illa<br />

praefinies. Medium te mundi posui, ut circumspiceres inde commodius<br />

quicquid est in mundo. Nec te caelestem ne que terrenum neque mortalem<br />

neque immortalem fecimus ut tui ipsius quasi arbitrarius honorariusque<br />

plastes et fictor, in quam malueris tuteformam effingas...».<br />

("Non ti diedi né volto né luogo che ti sia proprio, né alcun dono<br />

che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi<br />

doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo. La natura racchiude altre<br />

specie in leggi da me stabilite. Ma tu che non soggiaci ad alcun limite, col<br />

tuo proprio arbitrio, al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho<br />

posto al centro del mondo, affinché tu possa contemplare meglio ciò che<br />

esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né<br />

immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto<br />

scultore, tu plasmi la tua immagine...")<br />

Luciano Cofano<br />

Via Procopio, 4<br />

20146 Milano<br />

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Giuliano Arrigoni L'agito occulto<br />

Giuliano Arrigoni<br />

L'agito occulto<br />

Vedo Emanuela da sei anni tre volte la settimana. Venuta da me a 30<br />

anni per bulimia combattuta inutilmente da tanti anni, senza per altro essere<br />

obesa, ha rivelato una problematica complessa sul piano dell'identità<br />

personale e sessuale, dell'autostima e della autonomia. E' stato un rapporto<br />

analitico difficile e complesso per l'intreccio dei movimenti transferali e<br />

controtransferali, per l'intensità delle reazioni emotive e per la forza della<br />

persistenza. Emanuela è rimasta segnata da una vicenda familiare<br />

drammatica di cui riporto gli aspetti più salienti: il vissuto di una madre<br />

vittima di un marito folle e violento, poco affettuosa, giudicante, che fa<br />

sempre le cose bene e che ha sempre ragione, con la quale Emanuela aveva<br />

frequenti litigi che la portarono ad andare a vivere da sola poco prima di<br />

iniziare la terapia. Il padre, carabiniere in congedo per turbe psichiche<br />

diagnosticate come sindrome schizoparanoide, dalla prima infanzia della<br />

paziente fino ai quindici anni, andava a trovarla di notte per masturbarla e<br />

farsi masturbare. Quando la ragazza disse al padre di non venire più ed egli<br />

le obbedì, ella ne subì il contraccolpo ritenendo che al padre non importasse<br />

niente di lei. A diciott'anni sostenne la madre nella decisione di separarsi<br />

dal marito, il quale ritornò nel paese d'origine in Meridione dove dopo<br />

qualche anno, solo e malato, morì. Gli episodi di bulimia cominciarono<br />

all'età di otto anni in concomitanza con la nascita del fratello che le<br />

comportò uno spiazzamento sia nei confronti della madre sia del padre.<br />

Emanuela non è mai riuscita ad avere relazioni sentimentali stabili, anche<br />

perché sceglieva persone sposate o troppo lontane o non diposte a rapporti<br />

seri. L'autunno scorso incontrò un ragazzo più giovane di otto anni con il<br />

quale ebbe una relazione importante che, per quanto burrascosa, con<br />

separazioni e riconciliazioni, sembrava avviarsi al matrimonio. Invece<br />

Emanuela in giugno lasciò Marco malgrado egli avesse fatto di tutto per<br />

recuperare il rapporto. Durante le vacanze ed in seguito, i due si sono visti e<br />

telefonati: lei, per quanto incerta, vorrebbe tornare con lui; egli ha paura e<br />

non si sente di rischiare di soffrire per un ulteriore abbandono. Dopo le<br />

vacanze estive, Emanuela ha manifestato una particolare vivacità e mobilitazione<br />

superando ripetitività e persistenze per me, a volte, disarmanti. E'<br />

autonomamente consapevole di quanto le accade, coglie lo scarto tra come<br />

vorrebbe comportarsi in base a ciò che di sé ha compreso e come agisce di<br />

fatto, si compiace di comportamenti nuovi che giudica più soddisfacenti, si<br />

piace fisicamente, è più contenta di sé. In questo contesto è avvenuto<br />

l'episodio imprevisto e sorprendente di cui vi narro. Emanuela mi parla<br />

mostrandomi la contentezza e lo stupore per reazioni nuove che va<br />

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Giuliano Arrigoni L'agito occulto<br />

sperimentando: "Mi sento bene. Mi accorgo che mi vedo diversa, mi<br />

piaccio. Ho fatto accorciare dei vestiti vecchi che non potevo mettere perché<br />

mi erano stretti: prima non mi piacevano, adesso invece me li sento<br />

bene. Mi sembra che sia cambiato anche il mio corpo. Quando mi guardavo<br />

allo specchio per vedere come stavo con un vestito non mi piacevo, trovavo<br />

sempre dei difetti, non mi piaceva il sedere; ieri guardandomi mi sono detta<br />

che ho una bella figura ed anche la forma del sedere mi piaceva. Mi ha<br />

telefonato Marco in ufficio; ne sono stata contenta. Gli ho chiesto come<br />

dovevo intendere la sua telefonata. Mi ha risposto di non saperlo. Mi fa<br />

piacere che non mi dimentichi. Non capisco se vorrei ritentare.". Le chiedo<br />

se fosse contenta perché lui la ricordava ed evitava il dolore della<br />

dimenticanza o perché aveva piacere di parlare con lui perché era lui. "Non<br />

so, non capisco; no, non mi viene da pensare che avevo piacere di parlare<br />

con lui perché era lui. Sì, mi dicevo che non è stupido, che non diceva cose<br />

banali come pensavo prima, quando ho deciso di lasciarlo." Si turba, la<br />

voce si abbassa, rotta: "Ma io mi immagino un uomo che mi possa<br />

insegnare qualcosa; mi viene in mente Pertini, sì, un uomo da cui io possa<br />

imparare". Penso si stia riferendo a me, ma non mi è chiaro e le dico:<br />

"Perché proprio un uomo da cui possa imparare? Di solito, poi, quando ha<br />

l'impressione che qualcuno le voglia insegnare qualcosa, lei diventa<br />

insofferente, si arrabbia: lo abbiamo visto parecchie volte con me, le<br />

succedeva con Marco. Forse ha sempre sognato un uomo ideale che fosse<br />

l'opposto di suo padre, il quale le ha comportato tanti problemi, che non<br />

stimava". Emanuela mi risponde con slancio: Ma mio padre era molto<br />

intelligente! Sapeva tante cose, era autodidatta; mi parlava di problemi di<br />

politica, non come mia mamma che da quel lato non valeva niente. Mi<br />

piaceva quando lui mi parlava e mi insegnava tante cose. Dopo che non<br />

c'era più, tante volte, quando non sapevo qualcosa, avrei voluto<br />

chiederglielo e sentivo la sua mancanza". Resto stupito e disorientato da<br />

questa medita visione delle cose. Ero convinto di aver esplorato attraverso i<br />

giochi transferali e controtransferali tutta la vicenda familiare, sia sul<br />

versante materno che paterno. Per quanto riguarda il transfert materno in<br />

particolare, mi si facevano presenti le oppositività e le ribellioni, tutte le<br />

volte che le sembrava volessi insegnarle qualcosa: da una parte Emanuela<br />

mi chiedeva di svolgere una funzione rimproverante, di guida e di controllo<br />

e dall'altra si ribellava e si arrabbiava sentendosi sottomessa, limitata,<br />

svalutata. Sul versante paterno si sono succeduti e intrecciati il desiderio e<br />

l'angoscia dell'intimità con me; la paura e la colpa di sentirsi un'adescatrice<br />

se desiderava - temeva che io potessi cedere alle sue seduzioni; la pretesa di<br />

essere la mia preferita e la delusione e la rabbia di non esserlo e di dovermi<br />

dividere con altri; la difficoltà ad abbandonarsi in un rapporto intenso con<br />

me, convinta che comunque l'avrei abbandonata; le ripetute decisioni di<br />

interrompere l'analisi se avvertiva un'intimità per lei eccessiva o per<br />

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Giuliano Arrigoni L'agito occulto<br />

mettermi alla prova per vedere se l'avessi lasciata andare come il padre o se<br />

l'avessi trattenuta.<br />

Ed ora questa nuova versione del rapporto col padre. Eppure, tutte le<br />

volte che me ne aveva dato lo spunto, avevo cercato di evidenziare gli<br />

aspetti buoni e rimpianti del suo rapporto col padre. Intanto un pensiero<br />

confuso prendeva forma in me; mi ero chiesto tante volte, senza riuscire a<br />

capirlo, perché con questa paziente mi capitava di fare delle digressioni<br />

attorno a qualche argomento di cui ella mi parlava, che non servivano alla<br />

comprensione del suo mondo interno e relazionale, ma che erano<br />

l'espressione di un mio sapere. Ed allora le dico: "Era molto bello per lei<br />

stare con suo papà che le insegnava le cose! Si sentiva importante e in pace,<br />

non come quando veniva di notte". "Si". "Credo abbia sempre desiderato<br />

poter rivivere quei momenti; mi accorgo ora che con lei mi capita di parlare<br />

di argomenti che non riguardano strettamente la sua persona e quando<br />

succede lei è molto contenta, mi fa domande e accompagna il mio dire con<br />

dei: "Eh sì, già,", "E' vero" dice con partecipazione. Dopo una pausa<br />

aggiungo: "Quando faccio le mie digressioni, lei si sente valorizzata e<br />

importante come le succedeva con suo padre quando le insegnava tante<br />

cose". Sul piano controtransferale, mi ha colpito il fatto che mentre mi era<br />

chiaro quando venivo investito transferalmente del ruolo materno e degli<br />

aspetti conflittuali del transfert paterno, non mi ero accorto di agire il ruolo<br />

paterno positivo e valorizzante. Mi sono allora ricordato la mia fanciullezza<br />

ed adolescenza fortemente problematiche, l'atteggiamento giudicante,<br />

intrusivo, svalorizzante, sfiduciato di mia madre e la fiducia e il sostegno di<br />

mio padre, anche nei momenti in cui meno avrei potuto aspettarmeli.<br />

Mi è stato facile, di conseguenza, identificarmi con Emanuela,<br />

rispetto al suo rapporto con la madre assoggettante e intrusiva. Mi è stato<br />

possibile evidenziare la relazione di ruolo che cercava costantemente di<br />

riprodurre con me, una relazione conflittuale e sofferta che tuttavia le<br />

garantiva una condizione di sicurezza: le consentiva, cioè, di mantenere il<br />

rapporto nelle forme da lei sperimentate, di evitare la separazione e<br />

l'autonomia che desiderava, ma che non riusciva a realizzare perché le<br />

procurava insopportabili sentimenti di vuoto e di solitudine. Sul versante<br />

paterno Emanuela, dopo aver vissuto transferalmente gli aspetti relativi alla<br />

vicenda sessuale, con particolare riferimento all'affermazione narcisistica e<br />

allo svilimento nella successione tra visite e abbandoni paterni, ha cercato<br />

di ricostituire con me lo stato ideale vissuto nel rapporto valorizzante col<br />

papà "insegnante". Mi sono allora reso conto che la comprensione di tale<br />

investimento transferale e della mia risposta controtransferale, mi è rimasta<br />

preclusa sino alla seduta citata a causa della mia forte identificazione con<br />

mio padre nel suo ruolo valorizzante di dispensatore di fiducia e di stima.<br />

Così mi scopro come padre. Così mi sono reso conto di essere stato con<br />

Emanuela attraverso le mie "digressioni insegnanti", agite e mai prima d'ora<br />

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Giuliano Arrigoni L'agito occulto<br />

comprese e interpretate. L'agito occulto manteneva Emanuela legata ad un<br />

rapporto ideale desiderato e rimpianto, e concorreva ad impedirle di<br />

separarsene per investire fino in fondo in altri rapporti affettivi.<br />

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COMMENTI AL CASO DI G. ARRIGONI<br />

Dario Marcante<br />

Il testo del collega mi pare poco interlocutorio, quasi volesse comunicare<br />

un suo sapere del caso clinico di cui non c'è nient'altro da sapere, perché tutto e già<br />

stato spiegato. La sua scrittura fitta m'è sembrata assimilabile proprio a quel<br />

genere di colte digressioni che egli si ritrova a fare coli la paziente. Ma come il<br />

testo, al di là di uno stile che tende a saturare ogni curiosità del lettore, nasconde<br />

tra le righe qualcosa di più autentico e problematico di un sapere psicoanalitico da<br />

manuale, suppongo che anche le digressioni elargite a Emanuela possano aver<br />

celato una voce più viva e personale di quella, registrata, di un padre consolatore.<br />

Di occulto, infatti, non credo ci sia solo l'agito. La sequenza della seduta mi ha<br />

richiamato quel luogo comune dell'opera buffa in cui due amanti, all'insaputa l'uno<br />

dell'altra, sono costretti da qualche intrigo a nascondersi sotto un travestimento.<br />

Si incontrano, ma non si riconoscono, finché la rivelazione casuale di un<br />

qualche tratto del tutto inconfondibile permette loro di ritrovarsi, uniti nello<br />

sconcerto di scoprire l'altro proprio laddove non avrebbero mai pensato di<br />

incontrarlo. In questo caso penso che la scoperta dell'incontro sia rimandata a un<br />

altro atto; forse, troppo turbati, i due protagonisti hanno preferito continuare a<br />

fingere di non conoscersi direttamente, ma solo per interposta persona. Ecco la<br />

scena che ho immaginato. Una giovane donna è intenta in una sorta di amorosa<br />

reverie. Protetta dal suo ruolo di paziente, si sente sicura di non essere riconosciuta<br />

da nessuno. Accanto a lei un uomo, l'analista, nei panni di un padre della patria.<br />

Un'innocente domanda dell'uomo sconvolge, all'improvviso, il fraseggio pacato.<br />

Egli ha chiesto quale sia il vero oggetto d'amore della donna e la risposta, commossa,<br />

è stata: "un uomo vestito da padre".<br />

Qui m'è parso che l'analista, riconoscendosi e sentendosi ambiguamente<br />

riconosciuto, non abbia voluto farsi riconoscere come uomo. Un uomo che, come<br />

ogni uomo, ha una storia, delle paure, dei desideri e dei limiti che, forse, in questo<br />

caso, potevano emergere più liberamente soltanto nel lapsus di una digressione,<br />

nell'autenticità dell'inantenticità. Riconoscerlo avrebbe probabilmente aiutato la<br />

paziente a riconoscere nell'equivoco le possibilità dell'incontro.<br />

Commenti al Caso di G. Arrigoni


Augusto Righi<br />

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"Ho letto il tuo tema", mi dice il Sig. Preside Gambadilegno,<br />

soprannominato così per via di un accidente accorsogli durante la prima guerra<br />

mondiale e, fissandomi da dietro i suoi occhiali inespressivi, aggiunge "caro".<br />

Sapevo per esperienza passata che, al termine affettuoso, solitamente<br />

accompagnato da un sorriso appena abbozzato, faceva eco il terremoto. "Ti<br />

consiglio vivamente di lasciar perdere: l'esame di Licenza Superiore è una cosa<br />

seria e "Noi" ci teniamo, "Noi" di questo Liceo Classico. Puoi andare, grazie!".<br />

Era il maggio del 1969, da lì a circa due mesi avrei dovuto sostenere l'esame di<br />

maturità. Questo episodio, assopito da qualche parte, si risveglia dopo aver letto il<br />

caso proposto da Arrigoni, consegnatomi in tutta fretta con la cortese sollecitazione<br />

di un breve scritto entro due giorni. Entrambi questi stimoli, il caso clinico,<br />

ma anche la richiesta di un rapido riscontro per motivi editoriali, avviluppati in un<br />

unico modo che mi hanno fatto ritornare alla mente l'episodio che si riferisce al<br />

commento di un tema di italiano: una frase tratta dall'Edipo Re, il cui senso è "la<br />

sofferenza, il soffrire insegna" (epatzon matzein). Come commento avevo scritto<br />

un racconto, che aveva suscitato un gustoso dibattito nel Consiglio dei docenti: se<br />

fosse adeguato o no scrivere un racconto quando si richiede un commento.<br />

"Gambadilegno" aveva tagliato la testa al toro.<br />

"Con tante passioni sempre in urto, che fare? Col tormento che provo per l'opre mie, che<br />

fare?<br />

So che, con l'alta pietà, vuoi perdonarmi i falli, ma Tu,<br />

m'hai visto peccare: con tale scorno, che fare?"<br />

(O.Khayyam - da M.M.R. Khan in Trasgressioni pag. 68).<br />

Come sempre i poeti ci aiutano. Questa sensazione, quella di essere nel<br />

peccato, è esattamente quella provata leggendo lo scritto di Arrigoni, unitamente<br />

al riaffiorare del mio ricordo. Per Arrigoni essere in "peccato culturale/originale",<br />

per me, colpevolizzato da Gambadilegno, l'essere convinto di aver osato troppo.<br />

Spesso, ostentando la nostra laicità, lo siamo in termini "praticanti",<br />

dimenticandoci della cultura che ci ha informati. Anche quando parliamo di<br />

Narciso odi Edipo si è molto praticanti: è fl l'Altare Sacro! Nella calma piatta dei<br />

"due Mari", il "Mar Transfert" e il "Mar Controtransfert", come sembra proposta<br />

dal terapeuta, Emanuela forse si dibatte per non affogare e parla di un amore nel<br />

peccato "che mi insegnava tanto": è lì il suo Altare Sacro! E per stare insieme<br />

bisogna incontrarsi, cioè peccare, bisogna nel senso che lo si sa di peccare, come<br />

ci hanno insegnato al Catechismo. Ma per stare insieme bisogna negoziare l'attesa,<br />

esperienza fondante di autenticità per sperimentare se stessi e il muoversi con gli<br />

altri.<br />

Se guardiamo la Cultura che ci riguarda, vediamo come non ci sia attesa<br />

senza un'esperienza di morte e, inoltre, come il fallo, l'attesa e la morte siano legati<br />

fra loro. Come forse, per altri versanti, nella storia del padre di Emanuela, morto<br />

da peccatore "solo e malato dopo qualche anno".<br />

Rileggo Eliot in Assassinio nella cattedrale: il coro di donne così esprime il<br />

dramma dell'attesa di un evento di morte: "Ma ora una grande paura è sopra di noi,<br />

una paura non di una, ma di molti, una paura simile alla nascita e alla morte,<br />

Commenti al Caso di G. Arrigoni


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quando vediamo la nascita e la morte, esse sole e nient'altro, come isolate nel<br />

vuoto. Siamo invase da una paura che non possiamo conoscere, che non possiamo<br />

affrontare, che nessuno può capire.<br />

E ci strappano il cuore, ci sbucciano il cervello a strati, come una cipolla, ci<br />

sentiamo perdute, perdute in un terrore totale, che nessuno può capire.<br />

O Tommaso Arcivescovo, Tommaso nostro signore, lasciaci e lasciaci<br />

vivere nell'umile e opaca cornice della nostra esistenza. Allontanati. Non chiederci<br />

di assistere alla rovina della casa, alla rovina dell'Arcivescovo, alla rovina del<br />

mondo. Arcivescovo, tu sei sicuro del tuo destino e impavido affronti le ombre<br />

senza esitare, come puoi non capire che cosa ci stai chiedendo, come puoi non<br />

capire che cosa significa per la piccola gente trascinata nella trama del destino, per<br />

la piccola gente che vive di piccole cose, il sussulto che attraversa il cervello della<br />

piccola gente, davanti alla rovina della casa, alla rovina del suo signore, alla rovina<br />

del mondo? O Tommaso Arcivescovo, lasciaci, lasciaci...".<br />

Ma forse questa è un'altra storia? L'esame di maturità lo superai<br />

brillantemente: al Ministero della Pubblica Istruzione pensarono a tagliare tutte le<br />

teste ai tori e per un peccatore renitente come me, fu il tema più falso mai fatto: il<br />

tema "giusto" era stare nella Tradizione e così facendo tradivo me stesso, così<br />

andai a confessarmi. Per quanto riguarda l'altro filo del nodo aggrovigliato, il<br />

"riscontro veloce", mi conosco abbastanza da sapere che la fretta uccide il mio<br />

pensiero. Non rimane altro che la Tradizione nel racconto che potrei scrivere. Ma<br />

da che parte mettere la sensazione provata di scivolare nell'inautenticità: in una<br />

"autorità" che non vuol vedere e sperimentare fatti nuovi e che forse non mi<br />

riguarda esclusivamente? Ma forse, questa è un'altra (vecchia?) storia.<br />

Paolo Tucci<br />

Può un padre folle e violento, che ha consumato un rapporto incestuoso con<br />

la figlia dall'infanzia fino ai suoi quindici anni, essere anche una figura di<br />

sostegno, valorizzante, con cui è possibile condividere momenti di pace? Questa è<br />

la prima domanda che mi sono posto leggendo il caso; ma, ridotta la figura paterna<br />

a queste due polarità estreme, così come mi sembra avvenga nel racconto, non vi<br />

era più corrispondenza, non dico letterale, ma d'atmosfera con il caso descritto - e<br />

dello scritto parlo, non dell'esperienza clinica in sé, perché io, che non ho alcuna<br />

conoscenza dell'autore credo che tra le due cose vi sia una sostanziale differenza.<br />

Poi ad una seconda lettura, interrogandomi sul senso dell'insegnamento<br />

paterno di cui parla Emanuela, mi è sembrato di scorgere nella relazione analitica<br />

la presenza sottaciuta di un padre fallito, messo in congedo prima sul lavoro e poi<br />

in famiglia, che ha con la figlia esperienze sognanti ma marginali, occasionali; di<br />

un padre che si porta dentro un vissuto fallimentare del proprio ruolo e della<br />

propria esistenza, di un uomo i cui "insegnamenti", anche quando non sono<br />

all'insegna della violenza, si producono comunque all'interno di un non sufficiente<br />

grado di fiducia ed al riparo della figura materna. Al tempo stesso questa mamma<br />

poco affettuosa e giudicante, ma che fa sempre le cose per bene, rende possibile<br />

una relazione sognante tra il marito e la figlia, relazione che avviene quindi -<br />

paradossalmente - anche al suo riparo.<br />

Credo che una tale figura di padre possa rimanere a lungo nascosta, non<br />

Commenti al Caso di G. Arrigoni


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solo a causa delle identificazioni che produce, ma anche in ragione della sua<br />

debolezza, del suo non voler mai apparire in piena luce, per cui si rende persistente<br />

e occulta. Questa mia impressione fa riferimento alla storia di Emanuela, ma anche<br />

alla descrizione fatta da Arrigoni della relazione analitica lì dove, ad esempio,<br />

riferisce di sue digressioni che non servivano alla comprensione di ciò che<br />

avveniva in analisi, ma che erano l'espressione di un suo sapere. Ora, se questo<br />

sapere non riguarda le due persone in causa, ma è qualcosa d'altro, di estraneo,<br />

esso diventa il riparo, l'impedimento a che una relazione dialogica, aperta, possa<br />

avere luogo.<br />

Un padre debole, sfiduciato è, in modo più o meno esteso, presente in<br />

ognuno di noi e può essere evocato anche attraverso linguaggi extraverbali, per un<br />

leggero affanno, per la contrazione di un polpaccio, per il calar del tono della<br />

voce. Ma questo padre, le cui debolezze si confondono con le tenerezze, può, se<br />

accolto coscientemente, svolgere una funzione utile.<br />

Infatti, se nel caso in oggetto la relazione con la figura paterna viene<br />

ridotta alle due figure scisse estreme - quella violenta ed incestuosa e quella<br />

comprensiva e amorevole - ne deriverà un vissuto molto instabile, perché ad ogni<br />

momento si potrà fare l'esperienza di vedere dietro la seconda figura la prima, cioè<br />

di una trasformazione improvvisa, resa maggiormente terrificante dalla sua<br />

imprevedibilità e dalla sua incomprensibilità. Per l'analista sarà allora difficile<br />

sentirsi - o, se vogliamo, anche essere - quel padre, perché, pressato dagli aspetti<br />

inquietanti legati all'incesto, non disporrà di un suo tempo o di un suo spazio per<br />

accoglierlo e, avendo rimosso le sue parti perdenti, si sentirà di non poter fallire.<br />

Invece la figura più decifrabile di un padre debole sarà un mezzo per<br />

comprenderne dall'interno l'immagine violenta. Nello stesso tempo il riconoscimento<br />

della figura di un padre debole rende possibile distinguere "l'agito occulto"<br />

dalle relazioni più autentiche e trasparenti.<br />

Bruno De Maria<br />

Il gioco del testimone<br />

V'è un gioco in atletica che si chiama la staffetta. Si tratta di correre per un<br />

buon tratto di pista, consegnando un pezzo di legno (chiamato "testimone") ad un<br />

latro corridore che, a sua volta, scatterà in avanti per consegnarlo ad un altro; e<br />

questo, via via, sino alla fine della corsa. Ovviamente, se un corridore impazzito<br />

od eccentrico, prendesse il "testimone" per correre in senso contrario, sino al punto<br />

di partenza, magari ponendosi problemi epistemologici sul perché correre in avanti<br />

o non piuttosto indietro, costui, non stando alle regole del gioco, verrebbe<br />

immediatamente squalificato e forse invitato a fare due chiacchiere con lo<br />

psichiatra. Questa breve divagazione sportiva per dire che, in analisi, il gioco della<br />

staffetta viene completamente stravolto. Non solo non bisogna mai partire a tutta<br />

birra allorché il paziente ci consegna il "testimone", ma addirittura occorre<br />

soffermarsi per chiedersi: "Perché mai io devo essere il portatore del tuo<br />

"testimone"?" . E (ancor peggio) "Sei proprio sicuro che il "testimone" che vuoi<br />

affidarmi è proprio il tuo?". Nella storia clinica che il Dr. Arrigoni ci narra (tra<br />

l'altro con uno stile un po' neutro, tipo verbale di polizia), veniamo a sapere di una<br />

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bimba, figlia di un carabiniere in congedo con turbe psichiche di tipo schizoparanoide,<br />

la quale, dalla prima infanzia sino ai 15 anni, viene visitata nottetempo<br />

dal padre, che la masturba e si fa a sua volta masturbare. Quando, dopo un certo<br />

numero di anni, la ragazza disse al padre di non venire più, costui disse:<br />

"Obbedisco!" ed ella, scrive Arrigoni, ne subì il contraccolpo, ritenendo che al<br />

padre non importasse niente di lei. A diciott'anni la ragazza sostenne la madre<br />

nella decisione di separarsi dal marito, il quale tornò in Meridione, nel suo paese<br />

d'origine dove, scrive Arrigoni, "dopo qualche anno, solo e malato, morì".<br />

Sottolineo a bella posta questa frase perché sembra già mobilitare una petizione<br />

conciliata sui buoni sentimenti ove il bene trionfa sul male ed il vilain sconta il<br />

castigo. (Forse autenticamente pentito, chissà). E questo per quanto riguarda il<br />

passato. Torniamo in diretta, ove il collega Arrigoni ci racconta delle successive<br />

esperienze di Emanuela (tale il nome della ragazza). "Emanuela - scrive l'autore -<br />

non è mai riuscita ad avere relazioni sentimentali stabili, anche perché sceglieva<br />

persone sposate, o troppo lontane o non disposte a rapporti seri". Incontra poi un<br />

ragazzo, Marco, di otto anni piò giovane, con il quale ha una relazione importante,<br />

ancorché burrascosa, con separazioni e riconciliazioni; tirava persino aria di<br />

matrimonio, quando in giugno Emanuela lo piantò in asso, nonostante i tentativi<br />

dell'abbandonato di ricucire il rapporto. Passano i mesi, questa volta è lei che torna<br />

alla carica, ma lui ha paura di dover rischiare un ulteriore abbandono. (Bel gioco a<br />

rimpiattino tra padre e figlia, verrebbe da dire). "Dopo le vacanze estive, scrive il<br />

collega, Emanuela ha manifestato una particolare vivacità e mobilitazione,<br />

superando ripetitività e persistenze per me a volte disarmanti". Quali? Allude forse,<br />

il collega Arrigoni, al fatto che si compiace di comportamenti nuovi si piace<br />

fisicamente è più contenta di sé è contenta di poter rientrare in vestiti vecchi,<br />

che prima le andavano stretti adesso si piace, le piace anche il suo sedere"?<br />

Si riallaccia il rapporto con Marco.<br />

Ora, spiega Emanuela, si rende conto di averlo piantato in giugno perché<br />

diceva cose banali. A questo punto, scrive l'Arrigoni, Emanuela si turba e dice: "Io<br />

mi immagino un uomo che mi possa insegnare qualcosa, mi viene in mente<br />

Pertini, sì, un uomo da cui io possa imparare". Il terapeuta, constatando che<br />

quando voleva insegnarle qualcosa, lei si arrabbiava, fa allora questa ipotesi:<br />

Forse lei ha sempre sognato un uomo ideale che fosse l'opposto di suo padre, il<br />

quale le ha comportato tanti problemi, che non stimava". Emanuela, di slancio,<br />

propone un'apologia del padre: Mio papà era molto intelligente mi piaceva<br />

quando lui mi parlava e mi insegnava tante cose. Dopo che non c'era più, tante<br />

volte, quando non sapevo qualcosa, avrei voluto chiederglielo e sentivo la sua<br />

mancanza".<br />

Il terapeuta resta stupito e disorientato di questa medita visione delle cose.<br />

Lui, tutte le volte che si presentava lo spunto, aveva cercato di evidenziare gli<br />

aspetti buoni e rimpianti del suo rapporto col padre E intanto si fa strada in<br />

Arrigoni un pensiero confuso: lui, il terapeuta, senza apparente motivo, si<br />

abbandonava spesso con la paziente a "digressioni intorno a qualche argomento di<br />

cui ella mi parlava, che non servivano alla comprensione del suo mondo interno e<br />

relazionale, ma che erano l'espressione di un mio sapere". E' a questo punto, a mio<br />

avviso, che, stando alla metafora sportiva, il terapeuta prende ad occhi chiusi il<br />

"testimone" della paziente e comincia a correre, senza voltarsi indietro, tutto teso a<br />

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un happy-end pervaso di buoni sentimenti. In un certo senso, è come se il<br />

terapeuta prendesse direttamente il "testimone" dal padre morto solo e malato in<br />

meridione, per fargli dire che, in fondo, a parte certe eccentricità notturne, egli<br />

pensava solo alla cultura della figlioletta e anche l'iniziazione sessuale era materia<br />

d'insegnamento. Forse, in base a un concetto mal digerito della "sofo-filia"<br />

,Arrigoni pensa che l'amore per le proprie origini, comporti uno splitting, una<br />

purificazione del grano dalla crusca, una negazione della complessità a favore<br />

della semplicità, ove viga il principio di non contraddizione, e tutto sia diviso e<br />

distinto, ed il peggio sia sepolto in Meridione. Il collega Arrigoni, vittima forse di<br />

una psicoanalisi che non tollera né l'ambiguità del conflitto, né lo spirito della<br />

tragedia, ma che vuoi essere ad ogni costo salvifica, scambia la coazione a ripetere<br />

per il nuovo tout-court e così si pronuncia: "Era molto bello per lei stare con suo<br />

papà, che le insegnava le cose! Si sentiva importante e in pace, non come quando<br />

veniva di notte". E il terapeuta incautamente aggiunge: "Quando faccio le mie<br />

digressioni, lei si sente valorizzata e importante come le succedeva con suo padre<br />

mentre le insegnava tante cose". Detto questo, il terapeuta si accorge di agire un<br />

ruolo paterno. positivo e valorizzante, del tutto simile a quello di cui lui ha goduto<br />

nell'infanzia, rispetto ad una madre svalorizzante. In breve: il terapeuta si<br />

identifica acriticamente con Pertini, maestro di saggezza desessualizzata, senza<br />

accorgersi che la disgressione dalla paziente, richiesta e ottenuta, era proprio<br />

quella vicendevole "masturbazione" che aveva solo bisogno di un alibi edificante<br />

per continuare imperterrita, come eterna staffetta votata alla ripetizione.<br />

Non diversamente molte coppie, pensando di avere a portata di mano il<br />

traguardo finalmente soggettivizzato, corrono a perdifiato, guidate dalle proprie<br />

matrici barche controcorrente risospinte senza posa verso il passato" (F.S.<br />

Fitzgerald).<br />

Commenti al Caso di G. Arrigoni


P. Ronchetti FORMAZIONE<br />

FORMAZIONE<br />

a cura di Paola Ronchetti<br />

Giovanna Jung intervista Giulio Gasca, Presidente<br />

dell'A.PR.A.G.I. (Associazione Piemontese per la Ricerca e la formazione<br />

in Psicoterapia di Gruppo e Analisi Istituzionale), e Franco Calcagno,<br />

Responsabile dell'area didattica "Gruppoanalisi" della Scuola di<br />

Formazione dcll'A.P.R.A.G.I.<br />

- Da quanti anni funziona la vostra attività di formazione?<br />

- La nostra attività di formazione funziona dall'inizio dell'APRAGI,<br />

ossia da sette anni, anche se è stata formalizzata come scuola da quattro<br />

anni.<br />

- La vostra associazione comprende due sezioni, quella gruppoanalitica<br />

e quella psicodrammatica. Come è nata l'idea di coniugare<br />

psicodramma e gruppoanalisi?<br />

- La nostra associazione è nata dall'incontro di alcuni operatori, che<br />

allora erano quasi tutti in istituzioni pubbliche. Di questi operatori, i<br />

gruppoanalisti da un lato e gli psicodrammatisti dall'altro si sono trovati a<br />

rappresentare le due componenti più consistenti, sia per la quantità di cose<br />

che venivano messe in atto nelle istituzioni pubbliche, sia per i discorsi<br />

teorici che venivano proposti. Ad un certo punto (e all'inizio non era così)<br />

queste due componenti si sono trovate ad avere quasi tutto lo spazio<br />

dell'APRAGI, e hanno sviluppato un dialogo tra loro, scoprendo anche<br />

notevoli punti di contatto tra teorie che avevano un'origine molto diversa.<br />

- Per l'iscrizione ai corsi che tipo di requisiti richiedete ai candidati?<br />

- Attualmente richiediamo la laurea in medicina o in psicologia, ed<br />

effettuiamo, per ogni candidato, un colloquio di ammissione per verificarne<br />

l'attitudine, l'impegno e la serietà. Pensiamo infatti che certi requisiti<br />

possano essere verificati solo attraverso un contatto diretto con la persona.<br />

Il colloquio serve anche ai candidati per avere informazioni e chiarimenti<br />

su ciò che sarà effettivamente il Corso.<br />

- Puoi spiegare come è articolato l'insegnamento relativamente ai<br />

due tagli teorici?<br />

- Ci sono state diverse fasi. Inizialmente avevamo cominciato<br />

proponendo un primo biennio comune e differenziando solo<br />

successivamente: l'idea era che fosse utile comunque avere esperienza di<br />

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P. Ronchetti FORMAZIONE<br />

tutte e due le componenti, e in seguito approfondirne una. Successivamente<br />

ci siamo accorti che per il training la scelta doveva essere iniziale, perché<br />

quattro anni sono un tempo a nostro avviso appena sufficiente ad<br />

approfondire la materia in uno dei due ambiti. Inoltre si è potuto cogliere<br />

tutta l'ampiezza del corpus teorico da trasmettere nel momento in cui i<br />

gruppi di lettura sono stati attivati in pieno; abbiamo visto così che era<br />

impensabile un corso che, articolandosi in quattro anni, prevedesse sia i<br />

fondamenti della teoria gruppoanalitica sia quelli dello psicodramma. Le<br />

due specialità hanno dunque ora due training differenziati. Nel primo<br />

biennio ogni allievo effettua un training personale al di fuori dell'orario<br />

propriamente della Scuola, con modalità tipiche dell'indirizzo prescelto; a<br />

fianco di questo la Scuola prevede gruppi di formazione teorica, anch'essi<br />

differenziati, e, nel secondo biennio, gruppi di supervisione che vengono<br />

incentrati sull'una o l'altra tecnica.<br />

Come spazi comuni ci sono dei seminari (il primo anno), con ampia<br />

possibilità di dibattito, per cui anche punti di vista molto diversi possono<br />

essere confrontati, e gruppi di sensibilizzazione in cui i futuri<br />

psicodrammatisti possono sperimentare un gruppo condotto con tecnica<br />

gruppoanalitica, e i futuri gruppoanalisti possono sperimentare un gruppo<br />

condotto da psicodrammatisti.<br />

- Sono previsti due diplomi differenti?<br />

- Il diploma dell'APRAGI è unico, ma in esso viene precisato se è<br />

relativo alla formazione in Gruppoanalisi o a quella in Psicodramma.<br />

- Attivate un nuovo corso ogni anno?<br />

- In pratica ogni due anni, ma se un allievo si inserisce tra un anno e<br />

l'altro viene aggregato all'anno successivo.<br />

- Come reperite docenti che siano in grado di articolare i diversi<br />

momenti teorici secondo le due specialità?<br />

- Per il momento non abbiamo ancora dei docenti che siano formati in<br />

ambedue gli ambiti; forse questo avverrà con la nuova generazione.<br />

Comunque i docenti devono avere un'apertura mentale tale da metterli in<br />

grado di confrontarsi con altri punti di vista. Stare nell'APRAGI significa<br />

infatti prima di tutto questo: accettare un confronto con una serie di<br />

posizioni diverse, e non solo in riferimento allo psicodramma e alla<br />

gruppoanalisi; inoltre, naturalmente, sapersi confrontare con le diverse<br />

posizioni che ci sono tra di noi, all'interno della gruppoanalisi e dello<br />

psicodramma.<br />

- Qual è nella vostra esperienza lo strumento più efficace per<br />

l'insegnamento e la formazione?<br />

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- Lo strumento più efficace è senza dubbio sperimentare nel vivo<br />

l'esperienza, nella situazione, diciamo, di paziente prima e di conduttore<br />

poi, per i primi tempi con un controllo. Nello psicodramma, ad esempio,<br />

viene fatta una conduzione di gruppi in presenza di un supervisore.<br />

Naturalmente occorrono anche workshops e formazione teorica.<br />

Senza formazione teorica tutto il resto non avrebbe senso.<br />

- Qual è il rapporto tra gli allievi e i soci dell'APRAGI?<br />

- Il problema non si è mai posto. Gli allievi sono definiti Soci<br />

Frequentatori; per quei soci che sono anche docenti si ha un rapporto a<br />

livello dei gruppi, che viene gestito con le regole proprie di ciascun gruppo.<br />

Nello psicodramma uno può entrare e uscire da un ruolo, e impara a gestire<br />

i diversi ruoli senza fare confusione; siamo dunque addestrati ad avere un<br />

ruolo in un gruppo ed un ruolo diverso in un'altra situazione.<br />

Quei soci che non sono docenti possono frequentare i seminari<br />

teorici, e si hanno così ulteriori occasioni di incontro e confronto fra soci e<br />

allievi.<br />

- Dopo il corso gli allievi diventano soci automaticamente?<br />

- Se dopo aver terminato il corso lo richiedono, noi ci riserviamo di<br />

valutare caso per caso.<br />

- Cosa pensate dell'ipotesi COIRAG di istituire una scuola secondo i<br />

requisiti richiesti per essere riconosciuti a livello della legislazione<br />

vigente?<br />

- Riteniamo che come numero di ore e come impegno sia praticamente<br />

impossibile per un piccolo gruppo condurre una scuola con tutti i requisiti<br />

richiesti dal Ministero. Il discorso COIRAG sembra condurre ad una<br />

prospettiva che tende ad evidenziare un aspetto generale comune a tutte le<br />

consociate, anche se abbastanza dialettico, e a salvaguardare alcuni spazi<br />

particolari per la specificità dei vari insegnamenti. Tutte le consociate<br />

sanno benissimo che non ce la possono fare da sole ad essere riconosciute,<br />

e che perciò il riconoscimento deve passare attraverso una confluenza in<br />

uno spazio comune gestito come COIRAG. Esistono anche poi una serie di<br />

problemi pratici, come quello dei costi o del reperimento dei docenti, e<br />

pensiamo che nella COIRAG si stia lavorando anche in tal senso. E' chiaro<br />

comunque che il momento della realizzazione di una scuola COIRAG non<br />

appare vicino.<br />

A noi però sembra che questa sia l'unica strada percorribile, a meno che per<br />

qualche motivo (che però non riusciamo ad immaginare quale potrebbe<br />

essere) non si decida di rinunciare al riconoscimento delle scuole, e di<br />

mantenerle dunque strutturate secondo i criteri di ciascuna associazione.<br />

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A. Lampignano Vivere la morte per vivere la bellezza<br />

TEMPORA!<br />

a cura di Bruno De Maria<br />

Alberto Lampignano<br />

VIVERE LA MORTE PER VIVERE NELLA BELLEZZA.<br />

LA PREGHIERA DI ROSARIA COSTA, GIOVANE VEDOVA DI<br />

MAFIA.<br />

Mi sono commosso e ho pianto anch'io una sera di metà maggio<br />

davanti alla televisione. Rosaria Costa, fresca e giovane vedova di un<br />

agente di scorta del giudice Falcone, s'è straziata davanti alla folla di una<br />

chiesa e dei tele spettatori per testimoniare il suo amore per l'amore e per la<br />

giustizia. Il suo gesto ci ha mostrato come si pur "vivere la morte" e per un<br />

poco vincerla: come portare i 'enorme peso del dolore senza soccombere,<br />

anzi riuscendo ad arrivare fino a noi per toccarci nel nostro intimo più vero.<br />

Ma che cosa è realmente accaduto? Si stavano celebrando i funerali<br />

delle vittime dell'ultima strage mafiosa avvenuta sull'autostrada nei pressi<br />

di Palermo. Le automobili maciullate e il fondo stradale arato da un bue<br />

impazzito ci avevano fatto fremere solo un paio di giorni prima. Ora la<br />

televisione entrava in chiesa a intrufolarsi nelle pieghe di anime abbattute e<br />

sdegnate e ci riportava qualche brandello del giusto rito funebre. Inquadrata<br />

una giovane, la cui disperazione aveva intaccato ma non distrutto la<br />

bellezza del volto. Stava recitando a fatica, con voce rotta, una preghiera<br />

rivolta agli "uomini di mafia". Era davanti a un leggio e a un microfono,<br />

assistita da un prete occhialuto, acutamente concentrato sulla performance<br />

della donna. Il testo del copione voleva che le parole fossero di denuncia e<br />

di perdono. Non parole usuali, dense. Che aprivano lì e subito un dialogo<br />

con supposti presenti mafiosi. Questi venivano senza mezzi termini invitati<br />

ad abbandonare la loro pratica di morte ed a inginocchiarsi sull'altare per<br />

chiedere perdono delle loro malefatte. Il perdono Rosaria era disposta a<br />

concederlo se fossero stati capaci di cambiare.<br />

Il flusso delle emozioni e dei sentimenti ha impresso però alla sua<br />

preghiera una direzione diversa da quella preventivata. Il testo, carico di<br />

carità cristiana ("sappiate che vi perdono, ma voi dovete mettervi in<br />

ginocchio... se avete il coraggio di cambiare"), un po' troppo illuministica in<br />

quel momento, non era riuscito ad ingabbiare il montare di un sentimento<br />

personale che quel testo mortificava. L'ingorgo dei sentimenti ha rotto gli<br />

argini del solco tracciato in precedenza, ma non s'è disperso in un informe<br />

allagamento emotivo. La sua espressività ha disarticolato la fin troppa<br />

nobiltà del suo preordinato intervento e l'ha intessuto di annotazioni umane,<br />

fatte di pause, di singhiozzi, di inceppamenti del discorso, di ondeggiamenti<br />

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del corpo, incapace di contenere il mare delle emozioni. E la sua voce<br />

scorata nel pianto a dire, ossia a contraddire:<br />

"ma loro non cambiano". E ancora: "Signore, fa' di Palermo una città<br />

di pace, di amore", secondo il testo stabilito, che veniva di nuovo<br />

contraddetto: "ma qui non c'è amore, non c'è amore" con sfiduciata<br />

desolazione.<br />

Lo spirito cristiano che informava quel discorso e che ha presumibilmente<br />

persuaso Rosaria a dare la sua voce per testimoniarlo con<br />

icasticità nel suo dolore era sicuramente in sintonia con quel sacerdote che<br />

avrà con ogni probabilità stilato la preghiera, ma non con lo stato d'animo<br />

della donna, privata da poco di un grande affetto e alle prese con un dolore<br />

insopportabile.<br />

Il contenuto emozionale che Rosaria ha comunicato a me, come,<br />

penso, a tutti quelli che hanno assistito direttamente o indirettamente alla<br />

recita della preghiera pubblica, era fondamentalmente connesso al suo<br />

essere riuscita ad esprimere l'indicibile sofferenza personale con movenze e<br />

parole originali. Senza soffocare se stessa e insieme senza stravolgere il<br />

quadro sociale entro cui s'era riproposta di testimoniare il suo dolore.<br />

L'abbraccio finale con il prete che era al suo fianco e che a molti è<br />

sembrato un troppo zelante cane da guardia, tempestivo ad allontanare il<br />

microfono non appena Rosaria si discostava dal testo prescritto, voleva<br />

essere credo un'ultima quasi impossibile ricomposizione di quell'equilibrio<br />

espressivo che le sue ultime parole di desolata sfiducia nella capacità di<br />

cambiamento dei mafiosi avevano incrinato. Questo suo dipanarsi tra essere<br />

personaggio e persona, tra il dover essere e l'essere, ha avuto movenze di<br />

grande suggestione e bellezza.<br />

Abbiamo assistito a tanti funerali in TV. Dietro la bara abbiamo visto,<br />

di volta in volta, persone affrante ma composte, oppure persone sfatte dalla<br />

sofferenza, urlanti e gesticolanti. Nel nostro Meridione le forme del dolore<br />

assumono, a volte, aspetti che in altre parti vengono sentite come<br />

esibizionistiche. Questa giovane grande donna non s'è adeguata a nessuno<br />

di questi stereotipi.<br />

Rosaria infatti secondo la sua cultura aveva almeno tre possibilità<br />

convenzionali di esprimere in pubblico, al funerale del marito, il suo dolore.<br />

Poteva tenersi in disparte e soffrire in silenzio, lontana dagli occhi<br />

indiscreti della gente, pur presente di persona a compartecipare al lutto di<br />

chi come lei era stata colpita dalla disgrazia.<br />

Oppure - seconda ipotesi - poteva, mossa da spirito cristiano e<br />

tensione civile, concordare insieme ai suoi consiglieri un atteggiamento<br />

pubblico che fosse di testimonianza e insieme edificante. Come in effetti<br />

Rosaria si apprestava a fare, quasi riuscendo nel suo intento sacrificale.<br />

Oppure ancora: poteva consentire che 1 'erompere dei suoi sentimenti<br />

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travolgesse in strepiti e urla la sua anima abbandonata.<br />

Rosaria ne ha inventata una quarta tutta sua, fuori dalle previsioni e<br />

dalle regole. Il suo atteggiamento è stato una sintesi altamente originale, in<br />

cui il suo vissuto personale e le componenti sociali si sono di continuo<br />

rimandati segnali, scosse, invasioni, in un equilibrio sempre precario e<br />

continuamente mantenuto. Quasi che i due elementi fossero alle prese con<br />

una lotta mortale. Non ha vinto nessuno dei due. Ha vinto Rosaria. Anche<br />

sulla morte. E' riuscita a slegare il suo irrefrenabile sentire dall'immobilità<br />

della morte e contemporaneamente a intridere di vita palpitante la cornice<br />

istituzionale, che doveva essere salvaguardata perché il significato del suo<br />

dolore fosse maggiormente comprensibile e trasmissibile. Rosaria ha reso<br />

così più bello il suo sentimento e il messaggio sociale che aveva deciso di<br />

inviarci. Quest'ultimo poteva assumere un gusto caramelloso e freddo di<br />

circostanza, il suo sentimento poteva assumere gli irrigidimenti di un corpo<br />

scomposto e disarticolato. Ha avuto invece i lineamenti profondi di<br />

un'anima bella.<br />

Dobbiamo essere tutti grati a questa donna per averci donato un opera<br />

di grande autenticità espressiva, che seppur evanescente rimarrà a lungo<br />

impressa nei nostri cuori. Proprio come tutte le cose vere, essa ha in sé le<br />

qualità della precarietà e della permanenza.<br />

Personalmente le sono riconoscente per essere stata capace di<br />

prendermi via da usuali ottundimenti e di avermi fatto accedere al fuoco<br />

dell'esistenza, con le sue lacerazioni e ispirazioni. Allora il cuore si gonfia e<br />

le lacrime screpolano un tessuto un po' troppo compatto. E' la giusta<br />

sofferenza per chi vuole vivere veramente. Quella sofferenza che sfuma<br />

nella gioia della bellezza.<br />

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GLOSSARIO<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7<br />

a cura di Diego Napolitani<br />

Universi relazionali<br />

A. A parità di qualsiasi altra organizzazione vivente, l'uomo è definibile per la<br />

specificità dei modi con i quali entra in relazione con il mondo. Ogni definizione<br />

che l'uomo fa di se stesso, e per estensione del genere umano, scaturisce dalla<br />

complessità delle sue esperienze interpersonali (emotive, affettive, cognitive), pur<br />

se egli tende ad agganciarla direttamente a dati "puramente" empirici o<br />

sperimentalistici o ad assunti metafisici o a deduzioni logico-analitiche. Le<br />

esperienze fondative di ogni atto definitorio dell'uomo sull'uomo - come di<br />

qualsiasi altra interazione dell'uomo con l'ambiente - possono, nella loro estrema<br />

variabilità, essere raggruppate in tre aree definibili dalle tre coniugazioni<br />

fondamentali dell'uomo coi suo ambiente, che sono l'esser(ci), l'avere e il fare. Per<br />

quanto intimamente correlate tra loro, tanto da costituire nel loro insieme il<br />

dominio cognitivo (v. in seguito) specificamente umano, ciascuna di queste aree<br />

esperienziali può assumere, rispetto alle altre, una posizione egemonica, per<br />

quanto relativa e transitoria, ma sufficiente perché tutti gli elementi della relazione<br />

attuale dell'individuo con l'ambiente vengano organizzati in un campo emozionale,<br />

configurazionale e prassico ad essa isomorfo. Ciascuno di questi campi costituisce<br />

dunque un universo relazionale, dotato di una propria struttura sintattica, di una<br />

propria 'regolarità', di una propria funzione rispetto all'ecclissarsi, al ricomparire e<br />

al trasformarsi degli altri universi relazionali. Ciò implica che la cognizione umana<br />

nel suo complesso è multi-versale, a differenza dei domini cognitivi delle altre<br />

organizzazioni viventi che, nelle loro rispettive differenze, si accomunano per il<br />

fatto di non fondarsi su esperienze vissute* e di essere quindi mono-versali e universalizzabili.<br />

B. «Un sistema cognitivo è un sistema la cui organizzazione determina un<br />

dominio di interazioni nel quale esso può agire in modo pertinente al<br />

mantenimento di se stesso, ed il processo di cognizione è l'effettivo (induttivo)<br />

agire o comportarsi in questo dominio. I sistemi viventi sono sistemi cognitivi, ed il<br />

vivere in quanto processo è un processo di cognizione. Questa dichiarazione è<br />

valida per tutti gli organismi, con o senza un sistema nervoso.» (Maturana e<br />

Varela, 1980). Questo enunciato implica tre postulati fondamentali:<br />

1. ogni organizzazione vivente è definibile non in sé ma per la qualità e la<br />

quantità di relazioni che essa stabilisce con l'ambiente (il suo “dominio<br />

cognitivo”);<br />

2. ogni organizzazione può conservare la propria identità solo se può interagire<br />

con quell'ambiente che sia congruente con il proprio sistema cognitivo; le<br />

interazioni sono specie-specifiche e sono definite accoppiamenti strutturali;<br />

3. i processi cognitivi sono di competenza cellulare sia nelle organizzazioni<br />

protozoiche che metazoiche, indipendentemente dal fatto che alcune cellule in<br />

organismi superiori si specializzino in funzioni senso-motorie e si raggruppino in<br />

organi e sistemi nervosi. Attraverso quest'ultimo postulato il sistema cognitivo è di<br />

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competenza dell'organizzazione nel suo insieme, pur se alcuni distretti cellulari ne<br />

canalizzano e ne elaborano specialisticamente i processi.<br />

Ciò che questo enunciato, così come tutta l'opera di Maturana e Varela (v.<br />

anche Maturana e Varela, 1984), statuisce è il carattere universale del dominio<br />

cognitivo specie-specifico: ogni individuo è immerso in un unico universo<br />

relazionale definito dalla circolarità tra un numero chiuso di stimoli, endogeni ed<br />

esogeni, ed un numero altrettanto chiuso di risposte comportamentali. Questa<br />

circolarità è stabilizzata nel corso della deriva filogenetica specifica per ogni<br />

specie, e la plasticità adattativa dell'individuo, i suoi apprendimenti ed anche la<br />

capacità di trasmissione transgenerazionale di tali apprendimenti non modificano<br />

il carattere quasi automatico ditale circolarità.<br />

In un'ottica linearmente evolutiva il dominio cognitivo umano si<br />

differenzierebbe da quello di ogni altra organizzazione vivente per la maggiore<br />

quantità e complessità di interazioni delle cellule deputate a fare da tramite tra<br />

l'individuo e l'ambiente (le cellule nervose): questa prospettiva dovrebbe produrre<br />

una definizione del dominio cognitivo umano nei medesimi termini di circolarità<br />

quasi automatica tra un definito numero di stimoli ed un altrettanto definito<br />

numero di comportamenti, per quanto enormi possano essere questi numeri e per<br />

quanto estesa possa essere la plasticità relativa degli adattamenti dell'uomo al suo<br />

specifico mondo proprio, al suo mondo soggettivo, alla sua esclusiva Umwelt<br />

(Uexkull e Kriszat, 1967). La chiusura circolare del dominio cognitivo anche a<br />

livello umano dovrebbe implicare una sostanziale invarianza dell'identità<br />

dell'uomo correlata alla sostanziale invarianza del mondo da esso abitato.<br />

Il pensiero moderno, nelle sue speculazioni filosofiche, antropologiche e<br />

psicologiche, non considera più esaustivo questo concetto di chiusura se applicato<br />

al dominio cognitivo dell'uomo e lo accoppia quindi, indissolubilmente, con il<br />

concetto di apertura: l'organizzazione umana non si esaurisce nei suoi processi<br />

autopoietici (Maturana e Varela, op. cit.) nell'ambito del suo metabolismo<br />

adattativo in rapporto all'ambiente esterno/interno, ma essi si estendono ad una<br />

pratica di destrutturazione/ristrutturazione, cioè di trans-formaziane dell'ambiente<br />

e quindi dei propri accoppiamenti strutturali con esso. Si potrebbe cioè dire che<br />

l'invarianza specifica del dominio cognitivo umano consiste nella necessità di<br />

rifondare incessantemente il mondo in cui nasce e quindi il proprio rapporto con<br />

esso. Da ciò deriva che non è pensabile una definizione ultimativa dell'uomo,<br />

perché questo suo prodotto si trasforma indefinitamente con il trasformarsi del suo<br />

intero dominio cognitivo. Per una piò estesa illustrazione di questa tematica<br />

rimando a D. Napolitani, 1987, 1989, 1991, e L. Cofano, <strong>1992</strong>.<br />

C. La costruzione psicoanalitica, per la molteplicità dei suoi riferimenti<br />

filosofici, antropologici e biologici, può essere letta ed interpretata nei modi più<br />

diversi, il che legittima l'enorme diversità teoretica delle diverse scuole che ne<br />

sono derivate, ciascuna autoproclamantesi quale "vera" erede del pensiero del<br />

Maestro. Ciò che ha finito col prevalere nella maggior pane di queste scuole, e<br />

quindi per un ceno aspetto con l'accomunarle, si può riassumere in una visione<br />

individualistica della psiche, in una sua oggettivazione o entificazione scientista,<br />

ed in una rappresentazione adattativa o mediativa dei suoi "meccanismi" fra suoi<br />

tropismi positivi o negativi (libido e destrudo) verso oggetti ad essa congruenti e<br />

la Realtà, naturale o culturale, in cui questi oggetti sono disposti. Questo modello<br />

rientra a pieno titolo nel paradigma della chiusura del dominio cognitivo dell'uomo<br />

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a parità (come lo stesso Freud più volte esplicitamente sostiene) delle strutture<br />

eco-sistemiche di qualsiasi altra organizzazione vivente. Ciò che appare esulare da<br />

questo paradigma nel comportamento umano, la sua creatività e la sua trasformazione<br />

dell'ambiente, vi rientra a pieno titolo pur che lo si consideri<br />

espressione dei "meccanismi" adattativi e mediativi della "psiche" (sublimazione,<br />

spostamento, negazione, ecc.), e non come manifestazione tipica e del tutto<br />

caratteristica della sua organizzazione biologica.<br />

L'attitudine creativa consiste in prima istanza nella facoltà di costruire<br />

strumenti idonei a produrre strumenti, ovvero, sul piano logico-linguistico, di<br />

rivolgere il proprio pensiero sul proprio stesso dominio cognitivo in modo<br />

fattualmente trasformativo. Questa caratteristica può essere intesa come<br />

espressione diretta ed altamente specifica della struttura incompiuta, imperfetta,<br />

cioè permanentemente embrionale dell'organizzazione umana, tale che per l'essere<br />

umano è stato coniato il termine di "animale embrionico" (Bolk, cit. da Geblen,<br />

1983). Si tratta in sostanza di una prospettiva teorica per la quale da un primate<br />

che aveva raggiunto il massimo di complessità degli accoppiamenti strutturali<br />

rispetto a tutte le specie viventi, si genera un'unità la cui organizzazione presenta<br />

la caratteristica di una difettosa maturazione evolutiva: la sua organizzazione si<br />

mantiene su un livello embrionale, tale da consentirgli di disporre di un bagaglio<br />

molto limitato, rispetto a tutte le altre specie viventi, di comportamenti adattativi<br />

con l'ambiente trasmessi filogeneticamente (i comportamenti istintivi). Sulla base<br />

di tale difetto, l'organizzazione umana si realizza come messa in atto di quei<br />

dispositivi che nelle specie immediatamente progenitrici avevano un carattere<br />

transitorio, appunto embrionale, rispetto alla loro ottimizzazione evolutiva (v. in<br />

seguito). Ciò implica un incompleto accoppiamento strutturale con l'ambiente, un<br />

difetto nella costituzione di quel mondo soggettivo, l'Umwelt, che qualifica<br />

l'identità specie-specifica. Un'organizzazione a carattere embrionale implica la<br />

necessità che, per la sua sopravvivenza, essa produca un mondo a sua misura, un<br />

mondo con il quale possa correlarsi per la sua mutevolezza, provvisorietà,<br />

transizionalità, in una parola, per la sua corrispondente "embrionalità". Questo<br />

mondo è la cultura, o per meglio dire, la natura culturalizzata, secondo l'enunciato<br />

di Gehten (1983) per cui "la cultura è l'unica natura dell'uomo".<br />

Il dominio cognitivo dell'uomo consiste dunque non solo nel toccare il<br />

mondo o una parte di mondo prefigurata nella Umwelt dei suoi immediati<br />

progenitori, ma consiste nel Jure mondo attraverso una molteplicità di<br />

accoppiamenti strutturali pertinenti centralmente alle interazioni linguistiche.<br />

Questo fare mondo, cioè questa specifica modalità autopoietica<br />

dell'organizzazione umana, definisce la chiusura della sua identità, la sua specifica<br />

invarianza, che se non trova il modo di realizzarsi attraverso i suoi specifici<br />

accoppiamenti strutturali, entra in uno stato di sofferenza fino alla sua dissoluzione<br />

in quanto unità. Il carattere embrionale di questa unità, determinata filogeneticamente,<br />

fa coincidere la sua chiusura (la necessità replicativa, ciclica, secondo<br />

norme o leggi delle relazioni tra le sue componenti biologiche evolutivamente<br />

"imperfette") con l'apertura ad un suo divenire ontogenetico nei termini di una<br />

trasformazione del mondo di cui è parte.<br />

Alla maturazione completa e filogeneticamente predeterminata del<br />

dominio cognitivo degli animali superiori pre-umani concorrono in modo<br />

totalmente integrato le sub-organizzazioni cellulari derivate dai tre distretti<br />

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morfogenetici embrionari (i foglietti eso, ento e meso-dermici). Ognuna di queste<br />

sub-organizzazioni raggiunge la sua piena ed ultimativa maturità ad un certo<br />

momento dello sviluppo ontogenetico individuale, e questa maturazione perfetta si<br />

realizza nell'indistinguibile intreccio funzionale degli organi di diversa derivazione<br />

embrionaria ai fini della costruzione dell'universo soggettivo (la Umwelt).<br />

Seguendo congruentemente il percorso bio-antropologico segnato dai<br />

concetti di organizzazione embrionica o di neotenia radicale (Napolitani, 1988) si<br />

può avanzare l'ipotesi che la multi-versità umana, con il suo intrinseco carattere di<br />

trasformatività, sia l'espressione di due condizioni fondamentali:<br />

1) le suborganizzazioni cellulari, ciascuna di derivazione dal proprio foglietto<br />

morfogenetico, conservano un potenziale accrescitivo indefinito: questo<br />

accrescimento non consiste in una modifica quantitativa della loro struttura<br />

molecolare o cellulare, ma in un'incessante neoproduzione di costrutti culturali,<br />

cioè di forme relazionali nuove con l'ambiente che ne risulta incessantemente<br />

trasformato, con l'esito di una correlata trasformazione dello stesso autore di tali<br />

trasformazioni. In altri termini, la specifica attività autopoietica<br />

dell'organizzazione umana non si esaurisce nel mantenimento del suo equilibrio<br />

ecosistemico ma manifesta il suo intrinseco potenziale accrescitivo accrescendo<br />

transitivamente il mondo dei propri costrutti simbolici e istituzionali che a loro<br />

volta inducono trasformazioni accrescitive del dominio cognitivo umano.<br />

2) Se per un verso il dominio cognitivo umano risulta complessivamente come un<br />

prodotto (non perfetto, ma in divenire) della intima correlazione tra i processi<br />

inerenti a ciascun distretto rispettivamente di derivazione eso, ento e mesodermica,<br />

esso è fenomenologicamente scomponibile nei suoi processi poietici e<br />

nei prodotti culturali che ne derivano in aree esperienziali distinte che sono quelle,<br />

di esclusiva competenza antropologica, dell'essere, dell'avere e del fare. Un<br />

ingenuo antropomorfismo può applicare queste coniugazioni tra individuo e<br />

ambiente anche all'osservazione empirica del comportamento di ogni<br />

organizzazione vivente, ma ciò che rende di esclusiva competenza umana tale<br />

ordine di coniugazioni risiede nella neo-produzione di costrutti, specifici per ogni<br />

forma coniugativa e capaci di trasformare il mondo e lo stesso osservatore che ne<br />

fa irrisolvibilmente parte.<br />

D. Senza entrare qui nel merito della fenomenologia differenziale degli<br />

Universi relazionali (per la quale si rimanda alle rispettive voci: il Reale*,<br />

l'Immaginario e il Simbolico*) vengono qui solo brevemente accennati i criteri che<br />

connettono ciascuna delle sub-organizzazioni embrionarie ai loro specifici<br />

costrutti culturali.<br />

1) L ' eso-derma e la produzione del Reale. Questo sub-dominio cognitivo riguarda<br />

ciò che capita (nei termini di uno specifico atto cognitivo) nell'interfaccia tra un<br />

individuo umano e quell'ambiente con cui entra in contatto. Questa interfaccia è<br />

costituita da quello spazio che intercorre tra due sistemi in interazione, lì dove<br />

l'individuo risulta avvolto da una membrana, la cute ed i suoi annessi, dotata di<br />

particolari organi che consentono una cognizione percettiva, che si prolungano<br />

fino ad un sistema nervoso centrale, e da cui emanano tutti i filamenti nervosi che<br />

si irradiano in tutti i distretti dell'unità individuale. Cute, organi di senso e sistema<br />

nervoso sono tutti di derivazione eso-dermica e nell'organizzazione animale essi<br />

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svolgono una funzione o un insieme di funzioni predisposte per accoppiamenti<br />

strutturali di tipo senso-percettivo e dei correlati automatismi motori<br />

esclusivamente con quelle strutture dell'ambiente che siano con loro<br />

sufficientemente congruenti.<br />

Lo sviluppo embrionico del foglietto eso-dermico nella specie umana predispone<br />

l'individuo ad accoppiamenti attraverso i quali entra nel dominio cognitivo<br />

una quantità indefinibile di stimoli che non hanno alcuna collocazione nel mondo<br />

soggettivo predefinito come Umwelt, stimoli cioè che torrentiziamente invadono il<br />

dominio cognitivo dell'uomo senza che per questi siano filogeneticamente<br />

predisposti prefigurati accoppiamenti strutturali. Bisogna supporre che questo<br />

allagamento della cognizione senso-percettiva impedirebbe qualsiasi possibilità di<br />

orientamento dell'individuo umano nel mondo e che pertanto si rende necessario<br />

una sorta di filtro selettivo degli stimoli che lo esoneri (Gehlen, op. cit.) dal<br />

compito insostenibile di fronteggiarne simultaneamente un numero praticamente<br />

infinito, pur se all'interno di una gamma definita dei mezzi fisici di trasmissione<br />

degli stessi (Cofano, <strong>1992</strong>). Questo esonero è in età perinatale fondamentalmente<br />

condizionato dalla prematurità e quindi dalla incompiuta efficienza degli organi<br />

senso-percettivi, ma successivamente esso è prodotto dalla selezione insegnante<br />

(v. in seguito i processi pertinenti all'Universo Immaginario) che l'ambiente opera<br />

per lui ed in lui. Ma per quanto le pratiche pedagogiche possano circoscrivere<br />

numero ed intensità degli stimoli percettibili, creando una sorta di nicchia sensopercettiva<br />

che diventa il mondo abitudinario, cioè abitabile in condizioni di sufficiente<br />

esonero e quindi di orientamenti sufficientemente certi, resta pur sempre<br />

attiva l'attitudine neotenica del bambino a dare una significazione personale a<br />

quella porzione di realtà non esonerata. Priva di tale significazione, quella<br />

porzione di realtà appare come un evento, ciò che viene fuori dal già-noto e dal<br />

prevedibile come un punto cieco del mondo, un puro Nulla che ha il potere<br />

eccitante e terrifico della "vertigine del vuoto". E' all'evento, così inteso, che si<br />

rivolge l'attitudine autopoietica della sub-organizzazione eso-dermica, ed il<br />

prodotto specifico di questa poiesi è la trasformazione di quel "puro Nulla" in un<br />

campo estetico, in un'esperienza totalizzante di bellezza che è il fondamento di un<br />

nuovo segmento di Reale che si apre alla possibilità di nuovi accoppiamenti<br />

strutturali nell'ordine simbolico (v. in seguito). Ma ancor prima che si avviino e si<br />

stabilizzino nuovi processi di significazione, l'esperienza vissuta di bellezza è<br />

quella in cui si compie quel particolare atto cognitivo che si riassume nella<br />

coniugazione dell'essere, in quanto esserci in un Reale che unifica<br />

prodigiosamente il Sé individuale col mondo.<br />

In conclusione, pur tenendo in debito conto ciò che l'uomo eredita<br />

filogeneticamente dai domini i cognitivi saturi dei primati da cui deriva, non è<br />

praticabile la strada che ri(con)duce la complessità dell'essere umano in quanto<br />

esserci alle relazioni sature che caratterizzano gli accoppiamenti strutturali tra le<br />

altre organizzazioni viventi e l'ambiente. L'esserci comprende un sistema sensopercettivo<br />

ed una motricità secondo il paradigma dell'arco riflesso, per quanto<br />

complessificato esso possa essere diventato nei primati e quindi nell'uomo. Ma<br />

l'esserci non può essere compreso da (o secondo) questi modelli per lo scarto che<br />

in esso si produce in rapporto alla sua specifica produttività embrionica.<br />

L'interfaccia tra individuo umano e ambiente non è dunque attivata soltanto dalle<br />

produzioni eso-dermiche filogeneticamente compiute, ma essa è attualizzata in<br />

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termini di produzioni estetiche dal sub-dominio cognitivo di derivazione eso-dermica,<br />

attraverso le quali l'individuo fa esperienza (vissuta) del suo esserci nel<br />

mondo.<br />

2) L'ento-derma e la produzione dell'immaginario. Come abbiamo<br />

connesso l'esserci nell'ordine reale ad una particolare produzione della cognizione<br />

di derivazione eso-dermica, possiamo connettere qui l'avere nell'ordine<br />

immaginario ad una particolare produzione delta cognizione di derivazione entodermica.<br />

La biologia ci indica l'ento-derma come quella parte dell'embrione da cui<br />

si sviluppano l'apparato respiratorio e l'apparato digerente. Questi apparati<br />

costituiscono il dominio cognitivo nel regno animale nei modi dell'assimilazione<br />

che si produce in un accoppiamento strutturale tra animale ed ambiente per il<br />

quale elementi di questo vengono assunti nella struttura di quello. L'animale<br />

include nella propria unità strutturale quegli elementi che una memoria<br />

filogenetica seleziona come congruenti a se stessa (l'in-gestione) e trasforma<br />

questi elementi o loro parti in micro-strutture assimilabili al proprio organismo (la<br />

di-gestione, “il trasmettere di qua e di là"), evacuando infine le parti non<br />

assimilabili o i prodotti residui dai processi di trasformazione.<br />

Pur persistendo nell'uomo quanto egli ha ereditato filogeneticamente del<br />

sub-dominio cognitivo assimilativo, questo non si esaurisce nell'ambito degli<br />

scambi energetici con l'ambiente “naturale" ma si estende all'ambito del suo<br />

ambiente culturale. Qui le cose si complicano per il fatto che gli elementi<br />

culturalmente assimilabili non sono soltanto elementi inerti a disposizione<br />

dell'eventuale selezione che l'uomo opera nei loro confronti, ma sono anche<br />

elementi attivamente penetranti, tendenzialmente invasivi nel dominio cognitivo<br />

dell'uomo, e dotati di una intenzionalità fattuale, capace di rendere assimilato al<br />

proprio ordine di significazioni l'attitudine significante dell'uomo in cui penetrano.<br />

In altri termini, l'uomo non ap-prende soltanto ciò con cui eventualmente entra in<br />

un accoppiamento assimilativo, ma apprende anche ciò che attivamente esercita su<br />

di lui un in-segnamento. Quando all'insegnamento non corrisponde un<br />

apprendimento selettivamente critico, quando cioè esso penetra l'intima<br />

compagine organizzazionale dell 'uomo senza che questi abbia la possibilità di<br />

filtrarlo attraverso suoi dispositivi discrezionali di ordine affettivo o razionale, l'insegnamento<br />

si organizza nei termini della memoria strutturata come<br />

comportamento o come giudizio 'a priori'. A differenza dei processi assimilati vi<br />

per i quali le sostanze ingerite perdono per degradazioni successive la loro identità<br />

originaria e soltanto in funzione ditale sminuzzamento possono essere assimilate<br />

dall'organizzazione che se ne è alimentata, la cognizione assimilativa umana, per<br />

la sua componente embrionica, si accoppia con le presenze intenzionali nella loro<br />

interezza, o per segmenti della loro interezza. Queste presenze conservano una<br />

loro autonoma necessità auto-conservativa, replicativa, e la loro specifica<br />

attitudine poietica consiste nella tendenza ad esercitare il proprio dominio<br />

(cognitivo) sullo stesso soggetto che ne diventa il portatore inconsapevole.<br />

Possiamo darci un senso del fatto che l'organizzazione vivente a livello<br />

umano necessita di apprendere quanto le viene in-segnato, richiamandoci al suo<br />

carattere embrionico, quindi insaturo. Nel difetto di una congruenza stabile<br />

filogeneticamente trasmessa tra organizzazione ed elementi assimilabili<br />

dell'ambiente, l'uomo necessita che questa congruenza venga stabilita con gli<br />

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elementi che intenzionalmente gli vengono incontro dal suo proprio ambiente<br />

culturale: da questi accoppiamenti assimilativi si costituisce il fondamento<br />

dell'identità individuale, una memoria dimentica di sé che surroga il potere<br />

orientativo dell'istinto, con la medesima perentorietà e quindi con la medesima<br />

produzione di automatismi selettivi che l'istinto opera in lui per le parti filogeneticamente<br />

sature. L'uomo cioè necessita di essere intenzionato ("Tu sei e/o sarai, tu<br />

hai e/o avrai, tu fai e/o farai in un mondo, di cui fai pane, che io ti insegno come<br />

realtà oggettiva", Napolitani, 1985) Ma di questa complessità in-segnata fa<br />

ovviamente parte lo stesso in-segnamento come accoppiamento strutturale che fa<br />

dell'apprendista un "soggetto" nel senso illusorio della certezza "naturale" dei suoi<br />

orientamenti e nel senso quindi della sua attitudine a replicare l'in-segnamento nei<br />

confronti di chi si presta, a sua volta, ad essere intenzionalmente assoggettato.<br />

3) Il meso-derma e la produzione del Simbolico. Dallo sviluppo morfogenetico<br />

del foglietto meso-dermico si producono gli organi preposti alla dislocazione,<br />

(l'apparato scheletrico e muscolare), il tessuto connettivo che fa da collante tra i<br />

diversi organi e tra le parti diverse di ciascuno, il sistema vascolare ed il sangue,<br />

molte ghiandole a secrezione interna, ed infine, se non in-primis nel contesto del<br />

nostro discorso, l'apparato sessuale. Come gli organi di derivazione eso-dermica<br />

sono quelli in cui consistono i processi di contatto senso-percettivo-motori<br />

dell'unità individuale con l'ambiente, e come gli organi di derivazione entodermica<br />

sono quelli in cui consistono i processi assimilativi, così in quelli di<br />

derivazione meso-dermica consistono i processi di mobilitazione discreta (non<br />

secondo il modello dell'arco riflesso) dell'individuo nell'ambiente, i processi che<br />

mantengono correlate le parti diverse nella stessa unità individuale ed i processi<br />

per i quali si determina un eccitamento dell'intera unità individuale nella ricerca e<br />

nell'accoppiamento con un altro individuo ai fini della riproduzione, cioè ai fini<br />

della produzione di una unità terza che non inerisce al circolo della propria<br />

individuale necessità sopravvivenziale.<br />

Il sub-dominio cognitivo umano di derivazione meso-dermica si realizza<br />

attraverso accoppiamenti strutturali con l'ambiente idonei a produrre una nuova<br />

unità capace di una sua esistenza autonoma rispetto a chi la ha prodotta. Nella<br />

deriva filogenetica questa unità è paradigmaticamente rappresentata dal "figlio",<br />

generato dall'accoppiamento sessuale con un individuo di sesso diverso. Ma la<br />

generatività sul piano embrionico e quindi culturale che qualifica la condizione<br />

umana, non si esaurisce nella (ri)produzione di una nuova cosa vivente, ma si<br />

riferisce a quell'esperienza che indichiamo con il termine creatività. L'area<br />

semantica del concepire occupa lo spazio intermedio tra l'esperienza vissuta del<br />

creare e l'esperienza empirica del (ri)produrre. Concepire è letteralmente un<br />

"prendere insieme" e l'ibrido che ne risulta è il concepito, ovvero il concetto. Ciò<br />

che nasce dagli accoppiamenti strutturali di derivazione meso-dermica è dunque<br />

“figlio dell'uomo”, coincida questo con il prodotto di un'ibridazione sessuale o che<br />

si manifesti in qualsiasi altro prodotto compiuto di cui l'uomo, nei suoi<br />

accoppiamenti "creativi" sia l'autore.<br />

Ma da quale tipo di accoppiamento strutturale vengono generati quei<br />

prodotti compiuti che chiamiamo propriamente concetti? Da dove nascono quegli<br />

ibridi concezionali che, in quanto rappresentazioni del mondo, entrano<br />

fattualmente, trasformativamente nel rapporto dell'uomo col mondo? Abbiamo<br />

visto che l'ambiente intenzionante, da cui ogni individuo viene - per parti e con<br />

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intensità variabili - assimilato e che egli assimila, acquista per lui un potere<br />

orientativo talmente certo da essere da lui sperimentato come un dato pertinente<br />

alla naturalità del mondo di cui fa parte. Di fronte a questa sorta di<br />

naturalizzazione della cultura, l'uomo si trova esposto alla sua necessità<br />

embrionica di rifondarla attraverso quei processi squisitamente estetici che<br />

caratterizzano l'Universo Reale. Ma la realtà di cui nulla si può dire se non nei<br />

termini della sua trasfigurazione in un Reale personale, contingente, per quanto<br />

più o meno diffusamente condivisibile, è lo stesso mondo internalizzato - insegnato<br />

ed appreso - che permea la più intima compagine organizzazionale<br />

dell'individuo, sotto forma di memoria dimentica di sé. Anche di questa realtà<br />

'interna' nulla si può dire se non attraverso un'opera di trasfigurazione estetica,<br />

quale premessa per quel processo di concepimento che cade nel mondo Sotto<br />

forma di narrazione, quale che sia la struttura sintattica o la forma espressiva<br />

attraverso cui la narrazione si compie. Ogni narrazione è dunque un prodotto<br />

simbolico, in quanto esito dell'accoppiamento nel sub-dominio di derivazione<br />

mesodermica dell'individuo con la sua indicibile memoria.<br />

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Napolitani D. (1991), Mente e Universi relazionali, Accordi -Riv. It. Gruppoan.- VI, 1-2,<br />

1991.<br />

Von Uexkull J. e Kriszat L. (1913), Streifzüge durch die Umwelt von Tier und Mensch,<br />

Tr. It. Ambiente e comportamento, Il Saggiatore, 1967.<br />

D. Napolitani GLOSSARIO


RECENSIONI<br />

a cura di Roberto Carnevali<br />

RECENSIONI<br />

Edi Gatti Pertegato, DIETRO LA MASCHERA <strong>–</strong> Sulla formazione del Sé e<br />

del falso Sé, Franco Angeli, Milano, 1987.<br />

Questo libro si inscrive in un genere di difficilissima realizzazione.<br />

Appartiene cioè alla categoria dei libri che cercano di sintetizzare il<br />

pensiero di un autore (nella fattispecie Winnicott) incentrando l'attenzione<br />

su un tema particolare (in questo caso il rapporto “vero Sé-falso Sé"). Le<br />

difficoltà di offrire un testo valido in questo campo sono molteplici, sia sul<br />

piano dei contenuti sia su quello dello stile. E' infatti facile produrre<br />

un'opera che, nel tentativo di rispettare pienamente il pensiero dell'autore in<br />

questione, proponga solamente un riassunto ,in genere impoverito, che<br />

nulla di nuovo ci offre in merito agli argomenti trattati; oppure, al contrario,<br />

sulla scia di una malintesa creatività, produrre un pensiero originale<br />

attribuendone la paternità all'autore trattato, tirando per i capelli<br />

interpretazioni arbitrarie di alcuni passi delle sue opere. Sul piano stilistico<br />

si tende poi sempre a muoversi fra i due estremi di un'ampollosa<br />

celebrazione odi un'ossessiva critica punto per punto, entrambi poco<br />

gradevoli per il lettore che ama trovare anche nella saggistica una veste<br />

letteraria almeno dignitosa.<br />

Confesso che quando l'autrice mi ha dato una copia del libro perché<br />

lo recensissi temevo di farle un cattivo servizio, perché raramente riesco a<br />

trovare parole di apprezzamento per libri di questo tipo.<br />

Devo dire al contrario che Dietro la maschera rappresenta un raro caso di<br />

felice equilibrio stilistico e di contenuto, in cui il pensiero dell'autore<br />

trattato è rispettato senza cadute nell'ossequio idealizzante, e in cui l'autrice<br />

riesce a proporre contributi creativi differenziando in modo rapido ed<br />

esplicito ciò che è di Winnicott e ciò che è proprio. Lo stile espositivo è<br />

chiaro e ben espresso, e certamente invoglia alla lettura dei testi dai quali<br />

attinge per formulare un discorso articolato ed esauriente.<br />

Rispetto ai contenuti possiamo dire che il libro si suddivide in tre<br />

parti, le prime due introduttive del concetto di Sé, la terza più propriamente<br />

tesa ad esporre le tesi di Winnicott (e dell'autrice) sul falso Sé. Nella<br />

seconda parte si segnala in modo particolare il capitolo "Il concetto del Sé",<br />

riscritto dopo la prima edizione (il libro ha avuto tre edizioni, l'ultima,<br />

definitiva, nel 1991), ed evidentemente esprimente un tema che l'autrice ha<br />

lungamente rielaborato, cercando di trovare una concettualizzazione<br />

soddisfacente.<br />

Non mancano i riferimenti letterari, soprattutto nella terza sezione,<br />

dedicata al falso Sé. Pirandello è l'autore che più d'ogni altro viene citato, a<br />

partire dal titolo Dietro la maschera che rimanda a quello dell'intera opera<br />

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RECENSIONI<br />

teatrale del drammaturgo siciliano, denominata Maschere nude.<br />

<strong>Vol</strong>endo proporre qualche considerazione sui temi trattati, cercando<br />

di porli in relazione con il pensiero gruppoanalitico, possiamo dire che<br />

l'immediato riferimento che viene alla mente è la bipolarità tra idem e<br />

autòs. Quale rapporto può essere istituito tra questa e il rapporto tra vero Sé<br />

e falso Sé? Proprio partendo dal riferimento a Pirandello cercherò di<br />

proporre qualche riflessione sull'argomento.<br />

Se infatti il pensiero di Winnicott è rispettato e ben riproposto, io<br />

credo non si possa dire altrettanto di quello di Pirandello. Sulla scia del<br />

discorso del falso Sé Edi Gatti ci propone una visione pirandelliana<br />

"pessimistica" in cui l'uomo si trova ad essere alienato nell'immagine<br />

dell'altro, ed è dunque forzatamente indotto a recitare una parte.<br />

E' possibile che qualcosa di questo tipo sia presente qua e là nelle<br />

opere di Pirandello, ma certamente la sua prospettiva di fondo è molto<br />

meno radicale, e collocata, per così dire, sul crinale che divide realtà e<br />

finzione. Cito ad esempio uno dei drammi più significativi, Così é se vi<br />

pare, che si conclude con una situazione lasciata totalmente nell'ambiguità.<br />

Sarebbe fare un torto a Pirandello cercare di appurare se la dama velata è la<br />

figlia della signora Frola o la seconda moglie del signor Ponza: essa é ciò<br />

che gli altri ritengono che sia. E' proprio il concetto di verità ciò che<br />

Pirandello mette in gioco, e non, come l'autrice ci induce a ritenere, un<br />

confronto fra un'identità vera e una mascherata. Non a caso le maschere di<br />

Pirandello sono "nude", a sottolineare che forse non è possibile trovarvi<br />

qualcosa "dietro", come invece Edi Gatti sembra dare per scontato.<br />

Ci ritroviamo dunque a mettere in discussione la dicotomia 'verofalso"<br />

pensata come tale, e ritengo che da qui possa nascere un'analoga<br />

riflessione in relazione all'idem e all'autòs. Se pensassimo, come<br />

un'immediatezza un po' semplificante potrebbe suggerire, all'idem come<br />

equivalente del falso Sé (in quanto entrambi depositari di ciò che viene<br />

assunto dall'ambiente, o, in altri termini, espressioni del "desiderio<br />

dell'altro") e all'autòs come equivalente del vero Sé (per le caratteristiche di<br />

autenticità, creatività, ecc...). tracceremmo un confine netto, come netta è la<br />

separazione tra vero e falso, tra due elementi che, al contrario, si danno<br />

soltanto dall'intreccio dei due.<br />

L'identico fonda l'autentico, e questo attinge da quello a piene mani<br />

per potersi articolare in tutte le sue forme espressive. Altrettanto non si può<br />

dire del vero e del falso Sé, che inevitabilmente si contrappongono, laddove<br />

autòs ed idem non tanto si giustappongono, quanto si intrecciano<br />

inscindibilmente. Anche a livello di prassi le due visioni si discostano l'una<br />

dall'altra, e mentre quella winnicottiana, mediata dall'autrice, suggerisce un<br />

operare teso alla "sconfitta" del falso Sé, quella gruppoanalitica preferisce<br />

incentrarsi su una prospettiva di "ricerca", che mantenga il soggetto esposto<br />

all'insanabile contraddizione dei due poli, ma teso ad un universo sempre<br />

"al di là". Roberto Carnevali<br />

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RECENSIONI<br />

Franco Fasolo, GROTTESCHE - Immagini del comico in psichiatria,<br />

Libreria Cortina, Padova, 1991.<br />

Nella mia antologia del liceo ricordo di essere stato colpito da uno<br />

scritto di un tal Traiano Boccalini, vissuto a cavallo tra il '500 e il '600 che,<br />

acceso denigratore dello storico Francesco Guicciardini, aveva immaginato<br />

una situazione di questo tipo: un condannato a morte, a cui era stata offerta<br />

la lettura della Storia d'italia come alternativa all'essere murato vivo, vista<br />

la noia mortale che le pagine di quell'opera gli suscitavano, sceglieva 'naturalmente"<br />

di essere murato. Il curatore dell'antologia, che evidentemente era<br />

un estimatore di Guicciardini, commentava che Boccalini cadeva in un<br />

paradosso, perché per criticare la prolissità del Guicciardini si produceva in<br />

un brano con periodi lunghi e mal articolati, dando un esempio proprio di<br />

ciò che considerava degno di disprezzo e di ironia. Come dire: "Se ti<br />

permetti di criticare lo stile di qualcuno, fallo con uno stile migliore del<br />

suo!".<br />

Applicando rigorosamente questo criterio potremmo dire anche che<br />

chi vuole affrontare un tema come il comico deve saperlo fare con uno stile<br />

che renda giustizia all'argomento trattato, per non cadere in una<br />

contraddizione che risulterebbe ancor più irritante del paradosso in cui è<br />

caduto il povero Boccalini. Poche cose infatti risulterebbero sgradevoli al<br />

lettore quanto un libro che trattando del comico risultasse noioso!<br />

Franco Fasolo è una persona coraggiosa e dotata di senso<br />

dell'umorismo, e accingendosi a produrre un libro come questo deve essersi<br />

certamente reso conto del rischio a cui si esponeva. Nello specifico<br />

dell'argomento è infatti presente anche la possibilità di un eccesso opposto:<br />

un'opera così "poco seria" da risultare una sorta di 'scherzo", poco credibile<br />

e inaccettabile ai più.<br />

Tra Scilla della seriosità noiosa e Cariddi della burla troppo<br />

licenziosa Fasolo naviga bene. Come un regista di grande professionalità<br />

che sa dove collocare le scene "ad effetto" (non per basso interesse di<br />

cassetta, ma per tenere desto l'interesse dello spettatore smaliziato con un<br />

“timing" appropriato), l'autore (e curatore) di questo libro distribuisce le<br />

dosi dei suoi ingredienti in modo eccellente. La trovata delle figure<br />

bianche, o quella della distribuzione atipica delle informazioni sul libro<br />

stesso (l'indice ad esempio compare in una nota) offrono quel tanto di<br />

sconcertante che fa perdonare le tirate un po' prolisse di qualche collega che<br />

antepone il rigore espositivo allo stile brillante e stimolante. E nel contempo<br />

la vibrante prosa di Fasolo stesso, o di altri analisti-umoristi quali<br />

Schòn o Pagliarani, dotati di uno stile corposo e ricco che mai scade nel<br />

banale, consente di mantenere un livello sempre alto che soddisfa i palati<br />

raffinati anche dei più "seri".<br />

Non mi addentrerò nei contenuti, perché una delle caratteristiche di<br />

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RECENSIONI<br />

questo libro è il non essere in alcun modo riassumibile.<br />

In tal senso il sottotitolo è quanto mai appropriato: immagini del<br />

comico sta infatti a sottolineare non la frammentarietà dispersiva, ma la<br />

poliedricità degli argomenti, e l'irriducibilità di questi ad un'unità.<br />

C'è il rischio di fare "indigestione"? Forse sì e, se proprio si vuole<br />

trovare un difetto a questo libro, vi si può riscontrare una certa eccedenza di<br />

stimoli, per così dire, trasgressivi. Il lettore è quasi costantemente "sfidato"<br />

a capire quell’“oltre" insito nel testo, eccitato a chiedersi se è "tutto lì" quel<br />

che va capito o se c'è dell'altro, "crittografato" fra le righe (e quasi sempre<br />

c'è; o forse dico così per convincermi di aver capito tutto?).<br />

Forzando forse un po' la mano voglio però provare a proporre un<br />

tema caro a Fasolo come sottile filo conduttore di questo libro. Il "pensiero<br />

intermedio", come possibilità di tenersi in un'area di sospensione dalla<br />

quale può nascere un capire (ed un operare) riflessivo, si connette<br />

profondamente con l'umorismo e il comico. Chi riesce a collocarsi nell'area<br />

intermedia della riflessività spesso ha il senso del tragico, ma sempre ed<br />

inevitabilmente ha il senso dei comico. Come spesso viene sottolineato in<br />

questo libro, è frequente la coincidenza di un momento di insight particolare<br />

e dell'esplodere del comico. Così come il senso dell'ironia, e<br />

dell'autoironia, sono segnali di una comprensione “totale", che va al di là di<br />

un lavoro puramente cerebrale o razionalizzante. L'analista ha da essere<br />

dunque anche un umorista, o perlomeno un soggetto in grado di cogliere il<br />

comico laddove c'è. In assenza di questa caratteristica il lavoro analitico<br />

corre infatti il rischio di diventare una sorta di decodifica, privata di<br />

quell'aspetto emozionale che nel comico trova una possibile compiutezza.<br />

Questo discorso rimanda ad un altro ad esso intimamente legato: il<br />

tema della complessità. L'umorismo non solo racchiude in sé quegli aspetti<br />

intermedi connessi all'area riflessiva propriamente detta, ma, fungendo da<br />

punto d'unione fra innumerevoli stimoli diversificati, rimanda alla<br />

complessità offrendo il riso, e dunque il comico, come uno dei luoghi di<br />

sintesi della fusione fra ciò che è innato e ciò che è culturalmente appreso,<br />

fra l'autentico e l'identico, fra sé e il mondo, in una circolarità di continui<br />

rimandi che ha l'opportunità di essere "fermata" solo in attimi ineffabili<br />

come quelli, appunto, del comico soggettivamente vissuto.<br />

Un ultimo rilievo, che è anche un suggerimento. Visto che il libro si<br />

presta ad essere letto in molti modi, ne propongo uno che personalmente ho<br />

trovato molto stimolante: chi vuole può provare a leggere una dopo l'altra<br />

tutte le note del libro, che compaiono raggruppate in fondo ad ogni<br />

capitolo. E' una modalità che in generale risulta spesso divertente, se non<br />

altro perché invita a ricostruire ciò cui la nota stessa si riferisce; qui<br />

acquista però un significato particolare, perché consente di rintracciare una<br />

sorta di percorso, uno zibaldone a margine ricco di spunti e di trovate a<br />

volte veramente geniali.<br />

E visto che temo di avere affrontato il tema della complessità (pur<br />

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RECENSIONI<br />

brevemente) in modo eccessivamente "serioso" rispetto al contesto di<br />

questa recensione (non voglio cadere nell'ormai codificato "paradosso di<br />

Boccalini"!), ne offrirò qui una visione più naive, tratta per l'appunto dalle<br />

note di questo libro (e con questo, spero degnamente, concludo):<br />

C'era un finocchio di Mondovì<br />

che con una lesbica a letto finì:<br />

e discussero fino al mattino<br />

chi avesse il diritto divino<br />

di far che, con che cosa<br />

e a chi.<br />

(Grottesche, pag. 45).<br />

..più complesso di così!<br />

Roberto Carnevali<br />

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RECENSIONI<br />

P. Scalari, E Berto, PAROLA DI BAMBINI, Pagus, Paese (Treviso), <strong>1992</strong><br />

Per noi adultescenti<br />

Presentazione - con un allegato - di Luigi Pagliarani<br />

Cara mamma ti voglio tanto bene.<br />

Badi a me, grazie mamma che mi fai<br />

tutto quello che voglio<br />

non farmelo più. Grazie di tutto.<br />

Sergio<br />

Così a 6 anni il giorno della Festa della Mamma, 8 maggio 1981<br />

Libertà,<br />

mi ricordi il bel mare<br />

d'estate,<br />

la mia voglia matta<br />

di tuffarmi,<br />

la mia grande paura<br />

di annegare,<br />

il mio immenso bisogno del<br />

papà vicino.<br />

Parole di Tania<br />

L'amore?<br />

E' la mia unica ideologia.<br />

(Gabriel Garcia Marquéz)<br />

In principio era il verbo. Già! Ma poi bisogna saperlo coniugare.<br />

Nell'appassionata, dotta - e lunga - introduzione ricorre molte volte la<br />

parola "ricerca". Queste pagine, insieme alle altre che compongono<br />

Prospettive, mi sento dì riassumerle così: Paola Scalan e Francesco Berto<br />

dimostrano di saper coniugare i due verbi fondamentali dell'educazione.<br />

Allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo<br />

quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare<br />

questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far<br />

nascere quel che prima non c'era. Tutti agiscono da "coniugi" e diventano<br />

'genitori", coautori della scoperta. Frutto, appunto, della comune ricerca.<br />

Che, nel nostro caso, ha come protagonisti a pieno titolo, accanto ai<br />

promotori, i 18 bambini, allievi di una scuola elementare di Venezia.<br />

Ogni incontro - non voglio sminuire, chiamandole "capitoli", le parti<br />

in cui il libro si articola, perché di incontri veri si tratta - avviene nella<br />

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RECENSIONI<br />

coniugazione ( da intendersi alla lettera, proprio come "unione, sposalizio")<br />

e in tutte le tre forme del verbo: attiva, passiva e riflessiva. Cerco di<br />

provarlo scegliendo il resoconto intitolato " Mamma ", che viene dopo<br />

"Fiaba", "Paura", "Cambiamento", "Bugia", cioè lungo un itinerario -<br />

meglio: un processo d'indagine, un'istruttoria - di cui il lettore attento e<br />

intelligente saprà scoprirne il senso profondo.<br />

Si comincia con un antefatto. Nell'atrio della scuola invano Nicolò<br />

cerca di convincere la mamma a dire al maestro che "non ho potuto studiare<br />

la poesia a memoria perché ieri ho dovuto ubbidirti e venire con te dalla<br />

nonna". Al bisticcio assistono, solidali, i compagni di Nicolò. Una volta in<br />

aula da più voci emerge il coro:<br />

"Le mamme non sanno proprio ascoltare i figli". Su iniziativa del<br />

maestro - che mette a frutto l'incidente - s'improvvisa la ricerca. Di passo in<br />

passo si arriva al tema cruciale della bontà e della cattiveria, del bene e del<br />

male, del "sì" e del "no". E il quadro si complica con l'emergere di<br />

situazioni in cui parrebbe che i "no" del figlio, il disubbidire alla mamma<br />

non sempre siano da condannare ("Se i figli dicessero sempre di sì alle loro<br />

mamme non diventerebbero mai capaci di pensare da soli.")<br />

Si è appena profilata questa scoperta tranquillizzante che subito la<br />

riflessione di Manuele - "Io ho capito che ci sono dei nostri no alle mamme<br />

che non significano disubbidienza, cattiveria, prepotenza o poco bene" -<br />

crea nuovo sconcerto. Il più interdetto è Sandro, che rompe il silenzio<br />

minacciando Manuele di spaccargli il muso se non spiega la nuova storia<br />

dei no che ha tirato fuori: "Io so solamente che quando dico no alla mamma<br />

sono un figlio disubbidiente e cattivo! Quali sono questi altri significati?<br />

Non vorrai per caso farmi credere che sono invece ubbidiente e buono!". A<br />

questo punto il maestro fa due cose. Attenua l'aggressività e trasforma il<br />

contrasto in stimolo, proponendo - si direbbe col vocabolario del ricercatore<br />

serio - un'ipotesi di lavoro. Questa: se vi siano no" validamente motivati, da<br />

non ritenere perciò "come il simbolo della vostra cattiveria". Ricomincia il<br />

cammino che, attraverso testimonianze e riflessioni di ognuno, approda<br />

all'affermazione condivisa:<br />

Abbiamo scoperto che cresciamo sia con i sì che con i no delle nostre<br />

mamme, ma abbiamo anche scoperto che le mamme ci fanno crescere<br />

permettendoci di dire loro sì ed anche no.<br />

Conclude una voce dal fondo: "Però, che faticaccia!"<br />

Qui mi son detto: "Sarebbe piaciuto a Bion. Lo farò leggere a sua<br />

figlia Parthenope". Non posso, e non sarebbe il caso, illustrare qui gli<br />

apporti decisivi - spesso misconosciuti, talora proprio dalla psicoanalisi<br />

dogmatica, cristalizzata - di questo psicoanalista, tanto grande quanto<br />

modesto. Voglio invece indicare una qualità del suo genio, che lo portava<br />

sempre a cogliere in ogni fenomeno la compresenza simultanea dei<br />

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RECENSIONI<br />

contrari. In una nota in calce ad un suo seminario appare la semplice e<br />

stupefacente osservazione, secondo cui la condizione umana soffre<br />

contemporaneamente la dipendenza e la libertà; ed entrambe le situazioni<br />

hanno un lato positivo e negativo. Buono è il senso della dipendenza - dal<br />

maestro, dal genitore - quando aiutano, quando appagano un bisogno.<br />

Cattivo quando diventa gabbia, imposizione, soffocamento, vincolo<br />

imprigionante. Buona e bella è la libertà, se però non diventa nera<br />

solitudine, desolazione, abbandono. Tania non ha letto Bion, ma grazie agli<br />

incontri in classe è arrivata a scoprirlo e a dirlo con le sue parole 1 .<br />

Cosa è accaduto in sostanza? C'è stato un parto. Se confrontiamo<br />

l'inizio della vicenda con la fine, vediamo che c'è stata una trasformazione<br />

di tutti, col contributo di tutti. La più visibile - comica e commovente - è<br />

quella di Sandro. Prima voleva spaccare il muso, adesso urla convertito:<br />

"Ho capito che i figli crescono non solo con i no, ma anche con i sì delle<br />

loro mamme". E subito altri giustamente precisano, senza smentire ma<br />

perfezionando: "E' vero, però cresciamo anche quando i sì ed i no li diciamo<br />

noi alle mamme."<br />

Quanta differenza se si pensa a quelle aule che impartiscono soltanto<br />

istruzione. Buona che sia - spesso però è di pessima fattura - non produce<br />

cambiamenti, scoperte e tanto meno l'entusiasmo di apprendere. Come mai<br />

una scuola non natalizia? Perché una così diffusa intolleranza verso la<br />

trasformazione? Cercare implica il soffrire ("Che faticaccia!"), mettersi in<br />

crisi, buttare via le abitudini, gli abiti del pensiero acquisito e trovarsi nudi<br />

in attesa, nella speranza di indossare nuovi vestiti-costumi, sopportando la<br />

paura disperata di non trovarli mai. In una parola: essere sofferenti invece<br />

che insofferenti.<br />

Ma - come si suoi dire - ne vale la pena. La sofferenza risulta<br />

pagante. Nell'esempio qui riferito si vede come i ragazzi abbiano appreso la<br />

lezione della complessità, sperimentato in vivo che il caos può essere il<br />

grembo di insospettate conoscenze, come si possa evolvere dal disagio<br />

dell'ambivalenza all'espansione dell'ambiguità. Mi spiego. Le due parole,<br />

correntemente usate come sinonimi, assumono in psicologia un significato<br />

diverso, addirittura antitetico. Se lo stato di ambivalenza provoca dolore<br />

nello scoprirsi animati da sentimenti di amore e di odio verso lo stesso<br />

oggetto (del figlio verso la mamma, e viceversa) fino a provare uno<br />

schiacciante e talora vergognoso senso di colpa, l'ambiguità - abitata<br />

positivamente, non patologica - amplifica l'orizzonte affettivo in quanto ci<br />

fa approdare ad una percezione di sé e dell'altro più realistica ed umana.<br />

Sicché la lezione di vita che ne deriva è duplice: una relativa all'universo<br />

delle emozioni, l'altra di conoscenza non nozionistica. I temi della<br />

1 Così pure Mirco (" Perché sparisci, / o mia Libertà, / non appena mamma e papà / si<br />

accorgono che ti ho?") e Sandro ("Libertà, / sei impossibile /Io ti amo o ti odio,/ ma lo so<br />

solo dopo / che ti ho assaggiata.")<br />

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RECENSIONI<br />

complessità, del caos, delle verità al plurale contro la verità infiammano<br />

oggi il dibattito scientifico mondiale. Chissà, forse il maestro Franco Berto<br />

questo non lo ha detto ai suoi scolari, ma gliel'ha fatto vivere nel cuore e<br />

nella testa, in un modo che non lo dimenticheranno più.<br />

Anche perché il processo messo in atto con la mamma viene<br />

rinnovato in ognuno degli altri soggetti escogitati, e talvolta con scoperte<br />

ancora più sconvolgenti e perciò largamente retributive. Basti qualche<br />

breve citazione, per invogliare alla lettura non distratta: - "Nella fiaba si<br />

nasce buoni o si nasce cattivi e non si può più cambiare per tutta la vita.<br />

Nella vita vera si nasce buoni e cattivi ed è per questo che si vive<br />

cambiando sempre" (da La fiaba, dove si assiste - francescanamente - anche<br />

alla riconsiderazione del cattivo: "Povero lupo, è il solo che ci rimette<br />

sempre!").<br />

-"Abbiamo capito che non abbiamo paura dei mostri e dei diavoli, ma<br />

abbiamo paura di noi quando crediamo di essere cattivi e feroci come loro<br />

perché se siamo cattivi nessuno ci vuole più. Abbiamo capito che abbiamo<br />

paura dei nostri genitori quando ci sembra che, per colpa nostra, siano<br />

diventati diavoli o mostri e ci mandino via da loro. Abbiamo capito che<br />

dietro ai mostri c e la nostra paura di non poter stare insieme ai grandi<br />

perché i bambini cattivi non li vuole nessuno." [da La paura, dove Tania<br />

conclude: "Se non ci fossero i mostri, poveri bambini" 2 ].<br />

- "Tutti, passata la paura del cambiamento, abbiamo pensato di essere<br />

più grandi, più capaci, più coraggiosi, più bravi, più abituati, più sicuri, più<br />

forti, più eleganti. Allora abbiamo capito che: Dopo la paura di dover<br />

cambiare si sente la felicità di essere stati capaci di cambiare" (da Il<br />

cambiamento che una voce singola conclude così: "Io ho pensato che,<br />

adesso che abbiamo cambiato due volte scuola siamo diventati tutti due<br />

volte più grandi perché abbiamo vinto due paure di cambiare scuola."<br />

- "La bugia non cambia la realtà perché noi restiamo come siamo ed i<br />

genitori si tengono il figlio che hanno. Quando raccontiamo una bugia per<br />

cercare di apparire migliori di quello che in realtà siamo, i genitori i maestri<br />

ed i compagni non vogliono più bene a noi, ma a quelli che facciamo finta<br />

di essere. Noi raccontiamo le bugie per farci accettare di più, invece il<br />

bambino che i genitori, il maestro o i compagni accettano è un bambino che<br />

non esiste. Siccome adesso sappiamo che i genitori vogliono bene ad un<br />

bambino che non esiste, ci sentiamo ancora più rifiutati di quando avevamo<br />

detto la bugia per farci accettare di più. Adesso non capisco più se sono<br />

contento quando credono alla bugia o quando invece mi scoprono 3 ."<br />

2 Stupefacente! Questi bambini hanno scoperto in vivo quella cosa difficile che i kleiniani<br />

chiamano "identificazione proiettiva. E penso all'insigne psicologo, esimio conoscitore di<br />

Piaget, che in un momento di distrazione sconsigliava di raccontare favole ai bambini?<br />

3 Qui siamo vicini a Mallarmé ("Io è un Altro". E ancora alle concezioni di Bion quando<br />

afferma che la verità è il cibo della mente, la menzogna il veleno. Queste pagine sulla<br />

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RECENSIONI<br />

Queste poche citazioni bastano a far risaltare un altro merito del<br />

metodo. Il passaggio dalla logica dei bisogno - che vede nel minore soltanto<br />

le carenze e le necessità - alla logica della capacità, per la quale il bambino<br />

è anche portatore di abilità, attuali e potenziali, da attivare e valorizzare ("...<br />

ci sono riuscita e dentro di me ho sentito la bravura", dice la bambina che<br />

ad ogni passo cadeva). Una tale dialettica fa sì che la relazione - luogo di<br />

ogni possibile difficoltà - si imponga, al tempo stesso, risorsa primaria per<br />

affrontare efficacemente ogni situazione problematica. Ad una condizione:<br />

che vi sia tra i componenti ascolto reciproco. Mentre le innumerevoli<br />

testimonianze addotte mostrano quanto sordo sia l'orecchio adulto alla<br />

parola o al segnale emessi dalla voce infantile 4 . Paradossalmente c'è<br />

inascolto anche quando il genitore, il maestro sono totalmente dediti ad<br />

appagare i bisogni - reali e presunti - del figlio-allievo. Un tale<br />

comportamento, apparentemente orientato al piccolo, in effetti mira ad<br />

appagare quello che <strong>–</strong> se non ricordo male - Erikson chiamava need of<br />

needness, bisogno di bisognità. Cioè l'adulto per sentirsi lui esistente ha<br />

bisogno di un bambino solamente bisognoso (negato nella sua "bravura"),<br />

con ciò schiavizzandolo al proprio ingeneroso, castrante sacrificio.<br />

Ne deriva una insana relazione pedagogica, che contrappone su due<br />

fronti, separati ed ostili, adulto ed adolescente. ADULTO, inteso<br />

letteralmente come "cresciuto", "sistemato" in modo definitivo.<br />

ADOLESCENTE, come participio attivo indicante colui che cresce. Certo,<br />

guai a non distinguere i due stati. Ma è anche un guaio separarli con<br />

rigidità, o addirittura renderli nemici, incompatibili. Non si è mai cresciuti<br />

definitivamente. La ricerca, se si vuol essere vivi, non ha fine. E nel<br />

bambino - coi suoi drammi, le sue bugie, le sue malefatte, i suoi desideri, le<br />

sue opere, i suoi sguardi, le sue cattiverie - c'è pure un richiamo adulto,<br />

tutt'altro che puerile. La salvezza per entrambi - e non sono il solo ad<br />

affermarlo - sta nel far coesistere i due stati e nella relazione e nel mondo<br />

interno di ognuno. Rapportarsi vicendevolmente da... ADULTESCENTI. Il<br />

termine che propongo è - ne convengo - sgraziato, quasi sconcio. Ma per<br />

ora non me ne viene uno più estetico. Si offenderanno Paola Scalari e<br />

Francesco Berto se dico che io li vedo adultescenti nel loro lavorare?<br />

A scongiurare equivoci ed eventuali ritorsioni mi premunisco con<br />

l'aiuto di Kandinskji, acuto pensatore oltre che originalissimo pittore. In<br />

bugia sono anche le più spassose e ammaestranti nel farci vedere come nel mentire i<br />

bambini crescano alla scuola degli adulti ("Io ho capito che la bugia serve ai bambini per<br />

poter assomigliare ai grandi." 'Delle volte con la bugia riusciamo a comandare ai grandi<br />

senza che essi se ne accorgano, altrimenti ci disubbidirebbero.") Si rivela anche che la<br />

grande bugia, la bugia più accreditata, capace di ridurre i genitori all'ubbidienza, è il mal di<br />

pancia.<br />

4 "Io ho pensato che avevo sbagliato casa e che quella non era la mia mamma", dice il<br />

bambino meravigliato che, nel rincasare, fruisce dell'ascolto materno invece che patire la<br />

sgridata.<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7


RECENSIONI<br />

Strutture melodiche e sinfoniche Kandinskji, meglio di qualsiasi storico<br />

dell'arte, mostra come ogni generazione di artisti, nel rifiutare l'ordine<br />

estetico costituito, allorché appare in preda al caos, fondi a fatica un nuovo<br />

ordine secondo nuove leggi e che di fatto si rivela superiore al presunto<br />

ordine precedente perché opera sintesi ulteriori, unisce quel che prima era<br />

ancora diviso, oppone all'aut-aut l'e che connette. E dice: "Quest'ordine<br />

abbandona la vecchia base dell'aut-aut e raggiunge lentamente una nuova<br />

base, quella dell'e. Il XX secolo sta sotto il segno e." E poco dopo<br />

aggiunge:<br />

"Cosa che va molto oltre i limiti dell'arte e che prima o poi avrà<br />

ripercussioni su ogni importante settore dell'evoluzione umana."<br />

Rivelandosi veggente, come cercherò di evidenziare dopo, guardando alla<br />

sfera politica. Adesso ho fretta di sottolineare che il maestro e la psicologa,<br />

con lo stimolare i bambini alla ricerca, a porsi domande invece che fornire<br />

loro risposte già confezionate, li iniziano al fondamentale passaggio<br />

dall'incompatibilità tra le parti opponentisi alla compatibilità dei contrari. E<br />

cioè dalla sterilità della guerra alla fertilità della coesistenza pacifica 5 .<br />

"Noi abbiamo voluto prospettare un metodo - affermano gli Autori -<br />

che non si fonda su una sistematica trasmissione del sapere, bensì che<br />

sviluppa strategie che non danno indicazioni circostanziate degli atti da<br />

compiere, ma solo dello spirito e dello schema globale entro cui<br />

l'apprendimento può aver luogo. La ricerca è conquista e riconquista<br />

attraverso la disarmonia delle parti, l'analisi dei conflitti, l'attuazione di<br />

compromessi." Nella frase spiccano ai miei occhi due parole: disarmonia e<br />

conflitti. La prima ci riporta a quell'antica favola che è il mito di Armonia.<br />

Figlia di Venere e di Marte. Della dea della bellezza, dell'amore, della<br />

verità e del dio della guerra. Sorella del Terrore e dello Spavento. Questa<br />

fantasia ci ammonisce che l'avvento dell'armonia può solo venire<br />

dall'accettazione del contrasto e che rasenta la grande paura. Così come la<br />

musica è armonica non perché suoni all'infinito la stessa nota con un unico<br />

strumento, o perché tenga rigidamente separati i bassi dagli alti, i fiati dagli<br />

archi e dagli ottoni; al contrario mette in lizza - ma non in guerra<br />

reciprocamente distruttiva - tutte le parti affinché generino la sinfonia,<br />

creino il concerto:<br />

La pioggia è musica,<br />

il vento è musica,<br />

le nostre parole sono musica:<br />

E' il concerto<br />

del brutto tempo.<br />

[Da Il concerto di Alberto]<br />

5 Dove pacifica non significa indolore, anzi. Ancora un kleiniano vi vedrebbe la conquista<br />

della posizione depressiva, nell'abbandono della posizione schizo-paranoide.<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7


RECENSIONI<br />

Questa è la legge che fa nascere la composizione. Così viene alla luce<br />

la nuova creatura. La guerra al contrario distrugge le creature - persone e<br />

cose - prima esistenti.<br />

Fossi in aula immagino che subito uno scolaro mi obietterebbe:<br />

"Fammi capire! Ora sei a favore del conflitto, ora sei contro. Insomma, da<br />

che parte stai?". Domanda cruciale, che tormenta l'uomo da sempre. Già<br />

Eraclito affermava, come si sa, che il conflitto è il padre di tutte le cose.<br />

Sennonché altri lo ha tradotto con "la guerra è la madre di tutto". Come<br />

venirne fuori? Mi aiuta ancora Bion, quando dice che il conflitto ha bisogno<br />

di conoscere ed ha bisogno di negare. Se prevale il conoscere considera<br />

responsabilmente tutte le parti in causa, mettendosi nella difficile, drammatica,<br />

angosciante ricerca di una composizione armonica, di un<br />

compromesso. Il che richiede la capacità di abitare complessità, caos,<br />

ambiguità. Paradossalmente la fondazione della pace non è pacifica. Se<br />

prevale invece il negare - nella paura del vuoto, perché riesce impossibile<br />

sapere aspettare il configurarsi di una soluzione della crisi - l'uomo si butta<br />

nella guerra, illudendosi di vincere e di risolvere una volta per tutte il<br />

conflitto; in realtà la pace postbellica raggiunta è soltanto provvisoria;<br />

prima o poi il contrasto si ripresenterà riproponendo il dilemma: conoscere<br />

o negare? Aut-aut o e? Posizione depressiva o posizione schizo-paranoide?<br />

Dove è chiaro che la pace non è uno stato perenne, di tanto in tanto<br />

sconvolto dalla guerra, è tutt'altro che tranquilla ma un processo quotidiano<br />

di trasformazione, difficile a praticarsi, ma che l'intelligenza riesce a<br />

concepire:<br />

Ci sarà<br />

un giorno<br />

in cui<br />

nel mondo<br />

crescerà<br />

la pace? 6<br />

Così s'interroga Fabrizio; si badi: parla di un giorno e del crescere<br />

della pace. A sua volta Alvise disegna la tragica, stupida giostra<br />

dell'alternarsi di guerra e di pace generato dall'incapacità di affrontare<br />

realisticamente il conflitto:<br />

6 Segnalo a chi sia interessato al pensiero di Bion l'articolo di Susanna Isaacs-Blmhirst<br />

Bion and Babies (Bion e i bambini) in The Annual of psycho-analysis, <strong>VII</strong>I (1980) 155-<br />

167, New York International Universities Press. Di più facile reperimento Psicosocionalisi<br />

e crisi delle istituzioni - Il pensiero di Bion nel dibattito attuale a cura di E. Cassani e G.<br />

Varchetta, Guerini e Associati ed., Milano, 1990.<br />

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C'è chi corre dietro alla guerra<br />

quando c'è la pace<br />

sulla Terra.<br />

C'è chi corre dietro alla pace<br />

quando c'è la guerra<br />

sulla Terra.<br />

C'è chi sta fermo ed aspetta<br />

quando c'è la pace<br />

sulla Terra.<br />

C'è chi sta fermo ed aspetta<br />

quando c'è la guerra<br />

sulla Terra.<br />

Con troppe umanità<br />

non si pone fine<br />

alla guerra<br />

sulla nostra Terra.<br />

RECENSIONI<br />

Parole e sentimenti suggeriti dalla Guerra del Golfo. Da allora e<br />

passato del tempo e stiamo vedendo gli esiti di quella sedicente operazione<br />

chirurgica. Mentre scrivo queste righe è in atto un altro forsennato<br />

spargimento di sangue e di rovine in Yugoslavia. Scontro interetnico. E non<br />

è il solo. "Troppe umanità", dice Alvise, al plurale. I vuoti aperti dalla<br />

perestrojka infiammano l'ostilità tra etnie diverse. Mors tua vita mea, invece<br />

che vita tua vita mea. Si ripropone la saggezza di Kandinskji per la fine del<br />

XX secolo, ora per l'area della politica. L'ardimentosa virtù dell'e, del<br />

congiungere, contro l'inefficace, anche se più spontanea, tentazione dell'autaut.<br />

Ecco perché mi sento di sostenere che l'opera della Scalari e di Berto,<br />

oltre che psico-pedagogica, è anche civica, di socializzazione, politica.<br />

Perché è al servizio degli individui e della polis, della città, della<br />

collettività 7 . Opera di insolita, splendida formazione in quanto in<br />

quell'irripetibile occasione di vita, che è per ogni allievo la scuola, immette<br />

7 E' già lunga questa presentazione. L'idea l'ho già sviluppata in un'altra presentazione, qui<br />

allegata. Non è pigrizia. Ritengo l'abbinamento importante, perché anche il lavoro di<br />

Mariuccia Poroli è stato possibile grazie alla sensibilità di un ente pubblico. A<br />

dimostrazione che se abbondano in Italia istituzioni e scuole allo sfascio, non mancano<br />

quelle che funzionano egregiamente. Sono modelli da far conoscere, da divulgare. Un mio<br />

auspicio che non mi vergogno di ripetere ad ogni occasione è che si crei un'alleanza tra le<br />

istituzioni bene operanti affinché il loro modello stimoli i renitenti. Il che - ne sono<br />

convinto - varrebbe più di qualsiasi conclamata riforma di là da venire.<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7


RECENSIONI<br />

- curandolo poi gelosamente - lo spazio di scoperta, senza il quale non c'è<br />

lezione che valga. Insolita, splendida formazione perché matrice di<br />

trasformazione nei soggetti e nelle relazioni, e non - misfatto di tante<br />

cattedre - di deformazione. Donde l'innegabile diritto - socialmente utile -<br />

di proporsi come modello per la rigenerazione della scuola. "E' possibile<br />

pensare allora - si chiede Paola Scalari - che un insegnante impari e offra<br />

qualcosa di utile se è in grado di tener conto dell'inconscio? Ovviamente il<br />

sapere psicoanalitico non può dare indicazioni su come insegnare, ma può<br />

aiutare a far sì che l'incontro maestro-scolari sia il più possibile arricchente<br />

per tutti. Il maestro non deve né può assumere il punto di vista terapeutico<br />

nel rapporto con i suoi allievi, ma può tener conto dei profondi sentimenti<br />

che caratterizzano l'universo psichico di un individuo e che determinano i<br />

suoi rapporti con gli altri."<br />

Mi chiedo quanto questa tesi possa allarmare certi insegnanti non<br />

disposti verso il vertice psicoanalitico. Sbaglierebbe chi liquidasse una tale<br />

indisponibilità interpretandola come resistenza e difesa. A parte che<br />

"resistenza" è anche parola nobile, e che il codice prevede la "legittima<br />

difesa", se davvero ci si pone nella congiunzione e vanno capite allora fino<br />

in fondo le buone ragioni dell'aut-aut, condizione necessaria a che cadano<br />

quelle cattive. I pacifisti, per me, sono anime belle; non così i partigiani<br />

della pace", come Manzoni li chiamava.<br />

Dov'è allora il gancio? Secondo me in quella condizione che ci fa<br />

tutti uguali e simultaneamente ognuno diverso, unico. La condizione di<br />

FIGLIO, con cui nasciamo e che - se ci riconosciamo adultescenti - è<br />

vitalizia. Questo è l'episteme che non va negato, dentro e fuori di ognuno di<br />

noi, alla luce del quale si può pensare l'impensato, far succedere oggi quel<br />

che fino ieri non è successo. Di qui può provenire la cultura necessaria al<br />

vivere e al sopravvivere. Una puer-cultura, come la chiamo io, da inventare,<br />

da fondare e da coltivare . Creativamente e riparativamente 8 .<br />

"Maestro - reclamano gli scolari - ci fai fare un'altra ricerca per<br />

farcelo sapere?" E' infatti rimasta sospesa la domanda: "E' più bello vivere<br />

nella fiaba o nella realtà?". Non so se la ricerca abbia poi avuto luogo. Mi<br />

preme però una curiosità che voglio comunicare. La favola di Cappuccetto<br />

Rosso ha due finali differenti. Nella versione dei fratelli Grimm si ha la<br />

rinascita della bambina e della nonna dalla pancia del lupo. In quella di<br />

Perrault Cappuccetto Rosso è divorato e basta. Lo stesso accade con Pinocchio.<br />

Collodi terminava la primitiva Storia di un burattino con 1<br />

'impiccagione di Pinocchio a un ramo di una quercia. Una scena straziante:<br />

"A poco a poco gli occhi gli si appannavano; e sebbene sentisse avvicinarsi<br />

la morte, pure sperava sempre che da un momento all'altro sarebbe capitata<br />

8 Senza demagogia e senza retorica il bimbo di Bagdad, il suo pianto senza speranza che è<br />

nei pensieri di Francesco, può pure coniugarsi col puer di ognuno per istigare un<br />

interrogativo per poi inventare insieme la risposta.<br />

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RECENSIONI<br />

qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che<br />

non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo<br />

povero babbo... e balbettò quasi moribondo: 'Oh, babbo mio! se tu fossi<br />

qui!...' E non ebbe fiato per dir altro." Struggente e strana somiglianza con<br />

lo spirare di Gesù sulla croce in quella che Lorenzini-Collodi - scrivendo<br />

al redattore de Il giornale per i bambini - chiamava "bambinata". Un anno<br />

dopo, su pressione dell'editore, l'Autore riprese la storia e il giornalino<br />

annunciava: " Vi ricorderete del povero burattino che il signor Collodi<br />

lasciò attaccato a quell'albero che pareva morto? Ebbene, ora lo stesso<br />

signor Collodi ci scrive per annunziare che Pinocchio non è morto, anzi è<br />

più vivo che mai e che gli sono accadute delle cose che pare impossibile."<br />

Resurrezione anche di Pinocchio. Come mai? E perché non ha avuto<br />

fortuna la versione di Perrault di Cappuccetto Rosso? Perché si racconta<br />

sempre quella dei Fratelli Grimm? Eppure la morale di Perrault non è<br />

superata dai nuovi tempi. Recita, proprio nella traduzione di Collodi:<br />

"La storia di Cappuccetto Rosso fa vedere ai giovinetti e alle<br />

giovinette, e segnatamente alle giovinette, che non bisogna mai fermarsi a<br />

discorrere per la strada con gente che non si conosce; perché dei lupi ce n'è<br />

dappertutto e di diverse specie, e i più pericolosi sono appunto quelli che<br />

hanno faccia di persone garbate e pieni di complimenti e di belle maniere."<br />

Eccesso di diffidenza o messa in guardia contro le strumentalizzazioni<br />

dell'infanzia in sembianze d'attenzione e d'amore? La ricerca<br />

continua...<br />

Questo libro, per finire, ha un ennesimo merito. Aiuta pure a risolvere<br />

il problema del regalo nel giorno della festa della mamma e del papà 9 .<br />

Luigi Pagliarani<br />

9 "Non far storie !", "Ma che storie sono queste?": frasi ricorrenti che segnalano ai bambini<br />

il disappunto, la contrarietà dei grandi. Ferruccio Marcoli, psicologo svizzero, ne ha<br />

ribaltato il senso, invitando gli scolari in difficoltà a "far storie" all'interno di un<br />

trattamento psico-pedagogico sperimentale, che sta provatamente dimostrando un'indubbia<br />

efficacia. Ecco un altro alleato, un possibile compagno di strada. Lo si può contattare<br />

all'IRG (Istituto di Ricerche di Gruppo e di psicopedagogia analitica), di cui è il direttore<br />

(Sentiero Vinorum 2, Lugano-Massagno, Canton Ticino). Sta terminando un resoconto<br />

della sua esperienza col titolo Fare storie con i bambini - Elementi di tecnica di intervento.<br />

Presso l'editore Armando ha pubblicato nel 1988 Wilfred R. Bion e le Esperienze nei<br />

gruppi.<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7


a cura di Roberto Carnevali<br />

EVENTI<br />

EVENTI<br />

Il <strong>1992</strong> saluta la nascita di un bollettino COIRAG in una veste editoriale<br />

molto curata, e con una diffusione che comprende tutti gli affiliati alle<br />

confederate. Questo fatto, che accogliamo con soddisfazione, rende<br />

pleonastica, sulla nostra rivista, la presenza della rubrica Notizie COIRAG<br />

(che viene pertanto soppressa), e ci induce a modificare l'assetto della<br />

rubrica Eventi. Da un lato viene meno la necessità di offrire un resoconto,<br />

elemento spesso presente nei numeri precedenti, e dunque la funzione<br />

informativa, non più considerata preponderante, cede il passo ad una<br />

ricerca di spunti riflessivi intorno ad alcuni avvenimenti relativi al campo<br />

della psicologia, della psicoanalisi e della psichiatria, dove gli autori sono<br />

invitati ad essere critici prima ancora che cronisti; dall'altro viene esteso il<br />

campo dell'interesse anche ad argomenti non strettamente inerenti alla<br />

gruppoanalisi e alla "gruppologia" in generale, spaziando in campi fino ad<br />

oggi inconsueti, con un occhio di riguardo all'ambito pubblico e<br />

istituzionale. I lavori qui presentati sono già un esempio di questa nuova<br />

impostazione.<br />

DIRITTO E PSICHIATRIA<br />

Chi lavora nel privato sente spesso parlare delle leggi sull'assistenza<br />

psichiatrica in termini molto vaghi, e può facilmente formarsi convinzioni<br />

su alcuni aspetti di tali leggi che sono frutto più di pregiudizi che di una<br />

reale conoscenza. Per fare chiarezza in quest'ambito, rivolgendosi agli<br />

operatori del settore, ma anche a tutti coloro che potevano essere interessati<br />

all'argomento, il l2.5.92, presso l'Istituto "Villa S. Ambrogio" di Cernusco<br />

sul Naviglio (MI), si è tenuto il Convegno "DIRITTO E PSICHIATRIA" in<br />

merito alla tutela giuridica del malato di mente e del disabile psichico (in<br />

particolare si è ampiamente discusso delle attuali carenze normative ed è<br />

stata presentata una bozza di proposta innovativa della materia).<br />

L'importanza dei temi trattati e la loro novità ha richiamato sia operatori del<br />

settore sia volontari, ed è stata notata anche la presenza di qualche<br />

amministratore di istituzioni pubbliche.<br />

Prima divenire allo specifico dei temi presentati può essere interessante<br />

far rilevare come i problemi giuridici che si connettono alla malattia<br />

mentale siano un argomento che riguarda tutti coloro che si interessano di<br />

psicologia clinica, in quanto mettono in gioco le problematiche connesse al<br />

rapporto fra l'opportunità di favorire l'emergere della soggettività e la<br />

necessità di "fare i conti" con tutti gli aspetti "istituiti" connessi al vivere<br />

civile. In altri termini ci troviamo di fronte al problema, squisitamente<br />

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EVENTI<br />

gruppoanalitico, di confrontare ciò che la psichiatria istituita giudica<br />

"patologico" con le possibilità espressive del soggetto, nella dialettica che si<br />

dà fra ogni processo liberatorio e le convenzioni che la società impone ai<br />

suoi membri per mantenere un assetto organizzato.<br />

Le relazioni sono state tenute dal Prof. P. Cendon, Ordinario di<br />

Istituzioni di diritto privato dell'Università di Trieste, dalla Dott.ssa M.A.<br />

Guida, Giudice Tutelare presso la Pretura di Milano, dal Dott. G. Cavallari,<br />

Psichiatra forense, e dalla Sig.ra R. Maestrini Massazza, rappresentante del<br />

Movimento Federativo Democratico - Tribunale per i diritti del Malato. Al<br />

Convegno ha presenziato anche il Dott. Falanda, sottosegretario al Ministero<br />

della Sanità, che si è impegnato a farsi portavoce presso il nuovo<br />

Governo dei problemi e delle proposte lì emerse.<br />

Il Prof. Cendon ha svolto una relazione/lezione di grande interesse,<br />

catturando l'attenzione del pubblico su di un argomento che spesso risulta<br />

complesso e di difficile comprensione: l'attuale statuto civilistico per il<br />

malato di mente e la necessità di una nuova normativa in merito, capace di<br />

rendere effettiva la tutela giuridica dei malati di mente e dei disabili<br />

psichici. Esaminando da vicino il vigente sistema di tutela legislativa (in ciò<br />

condotti per mano dall’affascinante oratoria del relatore) ci si è presto resi<br />

conto dell'esistenza di innumerevoli situazioni di persone (infermi mentali,<br />

anziani, portatori di handicap fisici, carcerati, alcolisti, lungodegenti, ecc.)<br />

che non sono in grado di provvedere a se stesse ad ai propri interessi, pur<br />

non essendo soggette né assoggettabili al regime dell'interdizione e<br />

dell'inabilitazione, né in fase di trattamento sanitario obbligatorio. Per<br />

queste persone, e comunque per tutti coloro che si trovano in difficoltà<br />

nella gestione dei propri beni e servizi, l'attuale Codice Civile (che risale al<br />

1942!) dispone solamente dell'istituto estremo e severo dell'interdizione<br />

(ormai sproporzionato rispetto alle necessità di salvaguardia della grande<br />

maggioranza dei sofferenti psichici) e dell'inabilitazione (istituto anch'esso<br />

di stampo punitivo, di scarsa utilità pratica e fallito nella prassi quotidiana).<br />

S'impone quindi la necessità di riformare il nostro Codice Civile,<br />

individuando uno strumento capace di fornire ai problemi non "la" risposta<br />

unica, ma un pacchetto di soluzioni flessibili e duttili, in grado di cambiare<br />

seguendo il trasformarsi del malato mentale o del disabile comunque inteso.<br />

Sinteticamente: è necessario introdurre nuove linee di equilibrio fra le<br />

opposte esigenze di libertà e di protezione della persona disabile; assicurare<br />

cioè all'infermo tutta la libertà possibile mantenendo un livello di<br />

protezione adeguato. La bozza di riforma presentata tenta appunto di<br />

rispondere alle esigenze sopra accennate: il testo è stato messo a punto già<br />

nel 1987 dall'istituto giuridico della Facoltà di Economia e Commercio<br />

dell'Università di Trieste, con la collaborazione di noti studiosi e giuristi<br />

facenti capo al Circolo di Venezia, ed è poi stato oggetto di osservazioni di<br />

<strong>Vol</strong>. <strong>VII</strong> <strong>N.1</strong> <strong>–</strong> <strong>Giugno</strong> <strong>1992</strong> <strong>–</strong> <strong>Nuova</strong> <strong>Serie</strong> <strong>–</strong> N. 7


EVENTI<br />

giuristi impegnati nella ricerca C.N.R. Infermità di mente e riforma del<br />

codice civile. Il nuovo istituto ha preso il nome di Amministrazione di<br />

Sostegno, per sottolineare la funzione di sostegno, di aiuto e non di mera<br />

sostituzione di terzi alla persona in difficoltà: già la terminologia usata<br />

vuole quindi suscitare l'impressione che la questione da risolvere sia<br />

soltanto quella di un 20 o di un 30% in più da fornire rispetto ad un 70 o<br />

80% che già esiste. Insomma, quasi l'idea di un semplice bastone per<br />

aiutare chi in quel momento non riesce a camminare da solo, ma sarebbe<br />

quasi in grado di farcela. Amministrazione per evocare l'idea che il problema<br />

da risolvere sia più quello di un patrimonio da gestire che non quello di<br />

un individuo su cui intervenire: quindi il meno stigmatizzante possibile.<br />

Poiché la filosofia di base di tutto il nuovo progetto sta nel fatto che è stato<br />

concepito non "contro" ma "per" la persona in difficoltà, in esso vengono<br />

stabilite una quantità di norme garantiste, sia per chi ne farà uso in prima<br />

persona sia per i terzi che con questa verranno in contatto in occasione di<br />

richiesta di servizi o stipula di contratti o commerci di qualsiasi tipo (dalla<br />

compravendita di beni al matrimonio al testamento). E' importante<br />

sottolineare che l'amministrazione di sostegno riduce o attenua la capacità<br />

del'beneficiario" solo in relazione ad alcuni atti della vita civile (stabiliti dal<br />

giudice di volta in volta e circoscritti nella loro estensione temporale con<br />

decreto): per tutto il resto il disabile conserva intatta la sua capacità.<br />

Vengono altresì previste norme tendenti ad eliminare il più possibile<br />

lungaggini e vischiosità burocratiche, sempre avendo comunque ben<br />

presente l'importanza di "garantire" il soggetto del provvedimento da<br />

interventi poco chiari nei suoi riguardi o comunque dettati da interessi<br />

illeciti. Ovviamente tale testo di riforma non pretende di essere la panacea<br />

per tutti i mali presenti e futuri né, tantomeno, di risultare esaustivo da<br />

subito per tutti i problemi. E' anzi probabile che l’“immagine" definitiva di<br />

tale istituto sarà quella che verrà man mano precisandosi, sociologicamente,<br />

attraverso l'uso generale che ne verrà fatto nella prassi quotidiana. Le linee<br />

complessive della manovra in atto potrebbero così venir riassunte: il malato<br />

di mente, nella misura del possibile, diventa più padrone del proprio<br />

destino; viene introdotto un nuovo strumento generale di protezione<br />

"morbida" a favore delle persone che, per qualsiasi motivo, necessitino di<br />

una protezione legale; per il soccorso da prestare all'infermo, comunque al<br />

disabile, la famiglia rimane il primo punto di riferimento, ma un ruolo<br />

significativo viene attribuito anche agli operatori sociali; tutto il congegno<br />

della salvaguardia continua a ruotare intorno alla figura del giudice ed un<br />

maggior numero di compiti e funzioni viene rimesso in particolare al<br />

giudice tutelare; per le decisioni più rilevanti è previsto che lo psichiatra e<br />

gli operatori territoriali partecipino alla stesura delle stesse insieme al<br />

giudice tutelare; non vengono comunque eliminati gli attuali istituti<br />

dell'interdizione e dell'inabilitazione, tenuti in un canto come "ultima<br />

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EVENTI<br />

spiaggia" per i casi più disperati.<br />

Al Prof. Cendon si sono poi succeduti gli oratori innanzi elencati,<br />

fornendo un'ampia ed approfondita testimonianza di quanto tutto ciò che si<br />

era prima detto fosse estremamente veritiero e reale nei rispettivi ambiti<br />

quotidiani di lavoro. E' spiacevole non poter qui riportare, per ovvi motivi<br />

di spazio, i contenuti di tali relazioni; basti ricordare che sia la Dott.ssa<br />

M.A.Guida, sia il Dott. G. Cavallari, sia la Sig.ra R. Maestrini Massazza<br />

hanno confermato quanto sia oggi faticoso e spesso impossibile, con le<br />

norme vigenti, conciliare il proprio compito di giudice o di psichiatra<br />

forense o di volontario dell'assistenza con le esigenze di tutela dei diritti sia<br />

dei malati mentali, sia delle loro famiglie, sia dei terzi che con essi vengono<br />

in contatto. E' stata da tutti ribadita la necessità e l'urgenza che la riforma<br />

proposta, da nessuno criticata e da tutti elogiata, venga tradotta in legge in<br />

tempi brevi. Proprio a motivo di ciò il Convegno ha avuto uno strascico non<br />

previsto nel pomeriggio: si è infatti costituita un piccola équipe di giuristi e<br />

di operatori che si è assunta il compito di stilare un documento riassuntivo<br />

di tutto quanto emerso nel corso della riunione del mattino (ivi comprese<br />

anche le annotazioni scaturite dal dibattito conclusivo), così da consegnare<br />

al Sottosegretario Dott. Falanda delle concrete proposte “da portare a<br />

Roma".<br />

Rosa Maria Gervasoni<br />

APPUNTI PER UNA RELAZIONE SUL DIBATTITO INAU-<br />

GURALE DELLA ACCADEMIA PERMANENTE SUL SOGNO,<br />

SVOLTOSI NELL'AULA MAGNA DELL'UNIVERSITA' DI<br />

TORINO IL 4 APRILE <strong>1992</strong><br />

Il dibattito ha avuto luogo in un gruppo di lavoro APRAGI, composto<br />

da Maurizia Falone, Alma Gentinetta, Flavio Mussatti, Luisella Pianarosa e<br />

Luigi Spadarotto.<br />

PREMESSA<br />

Le note che seguiranno costituiscono lo sbocco "letterario" di alcune<br />

riflessioni scambiate dai componenti del gruppo di lavoro succitato per<br />

commentare la giornata inaugurate della "Accademia permanente sul<br />

sogno". Esse inoltre tengono conto di alcune linee guida, sul senso<br />

dell'avvenimento in oggetto, definite per l'occasione dall'APRAGI. Per<br />

quanto lo scritto si sforzi di riportare, nello spirito essenziale, i contributi<br />

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EVENTI<br />

delle diverse persone intervenute nella discussione, la responsabilità del<br />

testo va ascritta all'estensore materiale del documento.<br />

NOTE DI COMMENTO<br />

Il lavoro che presentiamo si suddivide in quattro sezioni, che<br />

individuano altrettanti ambiti di analisi possibili:<br />

A) L'aspetto scientifico ed espositivo in cui rinvenire i contenuti<br />

concettuali salienti e le modalità nelle quali essi sono stati proposti<br />

all'attenzione del pubblico.<br />

B) I vissuti emotivi e cognitivi suscitati nei commentatori dall'aver<br />

assistito alla manifestazione in oggetto.<br />

C) Il momento coreografico e ritualistico che ha contrassegnato la<br />

manifestazione vista come evento dotato di significato simbolico ed<br />

evocativo.<br />

D) L'aspetto pubblicistico e informativo nel quale inscrivere gli<br />

obiettivi divulgativi e promozionali e col quale preannunciare gli<br />

auspicabili sviluppi pratici e organizzativi.<br />

Procederemo all'analisi di questi quattro aspetti, consapevoli di<br />

produrre versioni solo parziali e soggettivamente connotate delle loro<br />

caratteristiche, ma nello stesso tempo fiduciosi di arricchire il patrimonio di<br />

dati e di riferimenti col quale rendere più fertile l'interessante esperienza di<br />

cui prima siamo stati spettatori e che oggi ci vede interessati interpreti.<br />

A) ASPETTO SCIENTIFICO ED ESPOSITIVO<br />

Consideriamo l'aspetto scientifico del convegno, l'insieme dei concetti<br />

e delle dimostrazioni esposti dai conferenzieri nel corso dei loro interventi.<br />

Definiamo Elementi Accessori gli interventi che alcuni componenti del<br />

pubblico hanno svolto sia su iniziativa personale sia in seguito a esplicita<br />

sollecitazione dei relatori o dei moderatori. Reputiamo che siano ricompresi<br />

nell'aspetto espositivo i modi, le formule e le attrezzature tecniche<br />

adoperate per illustrare, spiegare i contenuti scientifici succitati. Per quanto<br />

attiene all'esposizione dei contenuti scientifici essa si è sviluppata secondo<br />

la seguente cronologia: Dopo il saluto dell'Università di Torino da parte del<br />

Prof. G.P. Quaglino e quello dell'APRAGI rivolto dalla Dott.ssa A.M.<br />

Traveni è intervenuto il Prof. M.Mancia dell'Università di Milano che ha<br />

considerato il sogno un vero e proprio linguaggio poetico capace di narrare<br />

il nostro mondo interno. Per argomentare questa tesi, dopo aver citato gli<br />

indirizzi freudiani e kleiniani, egli si è rifatto agli studi di Durkheim sulla<br />

religione ed ha proposto un modello 'teologico" di interpretazione del<br />

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EVENTI<br />

sogno. In effetti gli oggetti intrapsichici che ricompaiono sotto mentite<br />

spoglie nel sogno, sono figure genitoriali provviste di una specifica<br />

dimensione sacrale. E' pertanto giustificabile il nesso tra sogno e religione.<br />

Il sogno diventa la religione adottata dalla mente per rappresentare una<br />

sorta di olimpo delle divinità interiori. Citando Money-Kyrle, Mancia<br />

afferma che se l'uomo si conosce partendo dalla sua rappresentazione del<br />

mondo esterno, allora il sogno, essendo la rappresentazione del mondo<br />

interno, diventa anch'esso fonte di conoscenza. Un altro concetto<br />

importante di questa relazione è quello che, parafrasando la battuta di<br />

Freud, secondo la quale il sogno è paragonabile a un giornale di<br />

opposizione che in un regime autoritario può accennare alla sua verità<br />

soltanto fra le righe, ribalta questa modalità sottolineando che il sogno dice<br />

la verità anche se costretta in forme alterate e deformate. Nella moderna<br />

psicoanalisi si è passati dal sogno come retorica, in cui il contenuto<br />

manifesto copre quello latente, al sogno come allegoria, in cui i suoi termini<br />

espliciti (denotativi) alludono a un contenuto nascosto (connotativo), in<br />

modo che il significato letterale può corrispondere al contenuto manifesto.<br />

Anche la memoria assolve una funzione determinante nel processo onirico.<br />

Laddove per memoria non si intenda solamente il recupero di esperienze<br />

storicamente precisate, ma la riattivazione dei processi affettivi che hanno<br />

definito e caratterizzato le tappe più significative dello sviluppo mentale. In<br />

definitiva il sogno può essere il momento privilegiato in cui le nostre parti<br />

infantili, usando il linguaggio poetico, comunicano lo stato della nostra<br />

mente. In più l'oggetto del sogno può diventare “ierofanico", ossia<br />

assumere lo statuto di un oggetto sacrale per via della sua funzione di<br />

sostituto simbolico di un altro oggetto. Pertanto la base teologica del nostro<br />

mondo interno è essenziale per poter tra-scendere il mondo sensibile e dare<br />

un senso alla nostra esistenza. L'uomo in fondo ha la necessità di sognare e<br />

fare il poeta per staccarsi dalle cupe e insulse contingenze della vita<br />

materiale. Con l'intervento del Prof. Bosinelli, Università di Bologna, si<br />

considera il sogno come un oggetto sperimentale da indagare<br />

sistematicamente nell'ordine dei fenomeni anatomo-fisiologici.<br />

Sottoponendo i soggetti dormienti all'esame del comportamento dei bulbi<br />

oculari protetti dalle palpebre è stato definitivamente provato che il sogno è<br />

una esperienza mentale che dura per tutto il tempo in cui si dorme e non<br />

soltanto durante la ben nota fase REM. Al sogno si arriva progressivamente<br />

attraverso tre differenti stadi di approssimazione: un primo stadio in cui si<br />

perde gradatamente il controllo volontario del corso del pensiero e durante<br />

il quale abbiamo le prime intrusioni di elementi estranei alle percezioni<br />

della realtà. Un secondo stadio in cui compaiono immagini vivaci ma<br />

frammentate che la volontà può saltuariamente diradare (allucinazioni<br />

ipnagogiche). Un terzo stadio in cui si perde definitivamente il contatto con<br />

la realtà e le immagini si succedono come vere e proprie percezioni<br />

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EVENTI<br />

veritiere assoggettate al coordinamento di un canovaccio che le trasforma in<br />

narrazione.<br />

INTERVENTI DURANTE IL DIBATTITO<br />

Gli interventi dei partecipanti e le repliche dei relatori che siamo<br />

riusciti a registrare hanno sostanzialmente messo in evidenza:<br />

- come la psicoanalisi debba considerare i sogni prodotti dai pazienti in<br />

cura soprattutto come reperti che mettono in grado l'analista di<br />

comprendere che cosa stia accadendo nella sua relazione col cliente. Il<br />

sogno pertanto è una vera e propria comunicazione indiretta che il paziente<br />

invia al suo analista anche se ciò non vale per tutti i tipi di sogno. Esistono<br />

infatti sogni costruttivi (relativi al rapporto analista-terapeuta) e sogni<br />

ricostruttivi che sono espressione prevalente di contenuti fissati nelle<br />

relazioni primarie.<br />

- Come il simbolo oltre all'aspetto sacrale abbia un'innegabile funzione<br />

laica che andrebbe approfondita.<br />

- come il tema del simbolismo faciliti l'accesso all'analisi del sogno<br />

delle competenze semeiotiche.<br />

- come l'incantamento o l'imbambolamento, molto frequente nei<br />

bambini, non possano essere considerati parenti stretti del sogno perché le<br />

loro immagini statiche sono prive di emozione e di narrazione.<br />

<strong>Vol</strong>endo soffermarci, ancorché di passata, sulle tecniche di<br />

esposizione, potremmo dire che contenuti anche preziosi possono opporre<br />

qualche ostacolo alla ricezione da parte del pubblico a causa della scarsa<br />

praticità degli strumenti tecnici adoperati durante l'illustrazione dei<br />

concetti. Ci limitiamo a segnalare, pur comprendendo che ogni cerimonia<br />

condiziona le forme della drammatizzazione a disposizione dei relatori, la<br />

lettura di un testo scritto effettuata da un soggetto in posizione statica; l'uso<br />

improprio della lavagna luminosa (troppo lontana dagli ascoltatori o sulla<br />

quale vengono posti trasparenti praticamente illeggibili); la mancanza di<br />

una traccia scritta degli interventi che permetta al pubblico di fissare gli<br />

aspetti essenziali dei temi illustrati al fine di poter precostituire la base per<br />

possibili interventi. Questi rilievi sono mossi dall'intento costruttivo di<br />

rendere plausibile il ragionamento sulla possibilità di attirare, su questo<br />

tema, tutti quei soggetti che potenzialmente potrebbero diventare stabili<br />

fruitori della ricchezza intellettuale messa a disposizione dai cultori di<br />

questa materia. Questa auspicabile evenienza si concreterà soprattutto se i<br />

destinatari, più o meno estranei alla questione, potranno facilmente<br />

attingere ad una conoscenza finalizzata offerta loro con opportuna sensibilità<br />

pedagogica.<br />

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EVENTI<br />

B) VISSUTI EMOTIVI E COGNITIVI SUSCITATI DALLA<br />

MANIFESTAZIONE<br />

Sorvolando sulle competenze tecniche e sulla lunga dimestichezza con<br />

l'attività terapeutica che sono necessarie per affrontare il sogno come<br />

precipuo oggetto di studio e come luogo in cui esercitare le attività<br />

diagnostiche, vorremmo in questa sede affrontare il fenomeno onirico<br />

basandoci sugli stimoli suscitati in noi sia dalla cerimonia di apertura<br />

dell'Accademia sia da qualche spunto nozionistico in materia. Ci guidano in<br />

questo resoconto prevalentemente la reazione emotiva ai motivi conduttori<br />

della giornata di studio, le ipotesi di lavoro che crediamo abbiano<br />

presieduto al varo di questa iniziativa, le convinzioni che ciascuno di noi,<br />

come soggetto sognante ha maturato sul misterioso visitatore del sonno.<br />

Partiamo dunque da qualche nozione spigolata in alcuni saggi e dibattuta<br />

nella riunione preparatoria di questo scritto. Il sogno secondo Fairbairn in<br />

Studi Psicoanalitici sulla Personalità, è la dimostrazione conclusiva che<br />

tutti senza eccezione sono, a livello profondo, dei soggetti schizoidi. Tutte<br />

le figure che compaiono nei sogni rappresentano qualche parte della<br />

personalità di chi sogna e nello stesso tempo un oggetto con cui quella<br />

stessa parte stabilisce un rapporto nella realtà interiore. In effetti se chi<br />

sogna è rappresentato nel sogno da più di un personaggio è allora<br />

verosimile che l'Io del sognatore sia in qualche modo scisso. Il sogno è<br />

dunque l'espressione di un fenomeno schizoide universale che rende<br />

esplicita la differenziazione delle istanze dell'Io in seno all'apparato<br />

psichico. O.P.Lai, ne Il momento sociale della Psicoanalisi in cui riassume<br />

soprattutto le idee di Freud, ripropone la similitudine che lega il sogno alla<br />

nevrosi. Entrambi consentono al terapeuta di individuare le caratteristiche<br />

del Processo Primario del paziente. E' tipico di questo processo esprimere<br />

meccanismi di mascheramento come lo spostamento (in cui si ha il<br />

trasferimento dell'investimento da una rappresentazione ad un'altra) e la<br />

condensazione (mediante la quale una singola rappresentazione si appropria<br />

degli investimenti di molte altre rappresentazioni) che denunciano la grande<br />

mobilità a cui è soggetta l'energia psichica. Il movente del sogno è la<br />

pulsione inconscia rimossa durante la vita diurna, la quale corredata delle<br />

esperienze consapevoli (resti diurni) si presenta trasfigurata per essere<br />

appagata nel sogno. L'Io durante il sonno svolge il lavoro onirico<br />

prevenendo il risveglio e consentendo la trasformazione della pulsione in<br />

contenuto immaginifico. La stranezza e l'assurdità delle vicende oniriche<br />

ricordate sono l'espressione delle forze che quotidianamente rimuovono la<br />

pulsione e il risultato della trasformazione con cui si è consentito l'accesso<br />

al processo primario. Freud considera il lavoro onirico il fenomeno più<br />

importante del sogno. Questa è un'opinione che ha trovato ancora<br />

sostenitori durante il convegno, perché nello studio del lavoro onirico si<br />

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EVENTI<br />

ritrovano i modi in cui una pulsione inconscia cerca di diventare cosciente<br />

mediante la circonvenzione dell'Io. Si pensa che il lavoro onirico metta in<br />

evidenza il modo di lavorare dell'inconscio e le regole che esso segue per<br />

esprimersi. Oltre ai meccanismi già citati della condensazione e dello<br />

spostamento, il lavoro onirico si avvale della rappresentazione per adattare<br />

i pensieri latenti e per renderli intelligibili mediante immagini visive. Esiste<br />

anche un lavoro di rifinitura, col quale le immagini acquistano un senso e<br />

una coerenza all'interno di un racconto. Questa elaborazione, essendo<br />

espressione del processo secondario non del tutto paralizzato durante il<br />

sonno, non è a rigor di logica assimilabile al lavoro onirico vero e proprio.<br />

Studiando e interpretando il sogno, spiega C. Brenner nel suo Breve corso<br />

dipsicoanalisi si arriva a svelare i contenuti psichici che sono stati rimossi e<br />

pertanto a individuare l'origine delle alterazioni patologiche. Premesso che<br />

il significato di un sogno è soltanto il contenuto latente quest'ultimo è<br />

costituito dalle seguenti componenti:<br />

1) Le impressioni sensoriali avvertite durante il sonno (sete, fame,<br />

caldo, freddo, dolori fisici, etc....) che inducono direttamente alcuni scenari<br />

del sogno e che richiamano il soggetto all'attenzione cosciente non appena<br />

esse sono fatto oggetto di interesse particolare.<br />

2) Le idee, le preoccupazioni quotidiane che, come i fattori precedenti,<br />

possono destare il soggetto dormiente, oppure diventare componenti<br />

effettive del sogno.<br />

3) Gli impulsi dell'Es esclusi, a causa della rimozione, dalle<br />

gratificazioni possibili nello stato di veglia.<br />

Il principale contenuto del rimosso sarebbero le pulsioni affiorate nella<br />

fase pre-edipica ed edipica, ed è questo contenuto che infonde energia nel<br />

sonno agli eventuali residui diurni e agli stimoli sensoriali che si rivelano<br />

nel sogno. E' interessante notare come il blocco della motilità, quasi<br />

inevitabile durante il sonno, sia associato a una sbrigliata attività cerebrale<br />

di tipo immaginifico. Tale constatazione ci sembra accostabile,<br />

nell'osservazione empirica, alla differenza tra individui trafelati e iperattivi,<br />

che non paiono particolarmente dediti alla riflessione, e individui riservati e<br />

moderati perenne-mente immersi in elucubrazioni se non in vere e proprie<br />

fantasticherie. Quanto di concettualmente elaborato è stato esposto e<br />

abbiamo appreso sul sogno, oltre a farci rituffare in questo per certi versi<br />

evanescente ed inquietante tema, ci ha indotto a interrogarci sulle ragioni<br />

della sua rievocazione e sul momento "storico in cui tale proposta si è<br />

affacciata. Ne è scaturita una discussione che procedendo per associazioni<br />

si e imperniata su una successione di argomenti, a volte di insinuazioni, che<br />

hanno colto via via:<br />

a) l'esigenza, peraltro sottolineata nel corso dei lavori (Schiavone,<br />

Università di Genova), di considerare l'oggetto sogno il catalizzatore capace<br />

di avvicinare specialisti di varia provenienza dottrinale e metodologica; b)<br />

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EVENTI<br />

il giovamento che l'attività terapeutica può trarre dalla diffusione tra il<br />

grande pubblico della nozione che l'attività onirica è il prototipo e<br />

l'anticamera di quella creatività forzatamente latente e latitante presente in<br />

ogni individuo anche apparentemente poco dotato; c) il bisogno di<br />

comunicare, di comparare e di assimilare gli esiti delle ricerche condotte<br />

nei vari ambienti scientifici in seguito alla più o meno evidente<br />

consapevolezza che solo abbracciando le molteplici prospettive di analisi si<br />

potrà fornire all'opinione pubblica una metodologia attendibile per<br />

l'utilizzazione del costrutto onirico. Il confronto fra differenti approcci<br />

scientifici ci sembra di capire, non dovrebbe limitarsi ad una semplice<br />

giustapposizione di paradigmi interpretativi costipati in un unico<br />

"contenitore" istituzionale chiamato Accademia. Pensiamo invece che<br />

questo importante sforzo organizzativo faccia trasparire l'esigenza<br />

costruttiva di mettere a punto un modello sfaccettato, non necessariamente<br />

sincretico, in grado di concentrare e integrare attorno al sogno i promettenti<br />

filoni di studio nelle discipline psicologiche, neurofisiologiche e<br />

linguistiche. Un modello insomma capace di attrarre, per la ricchezza dei<br />

suoi presupposti e delle sue possibili applicazioni, un numero sempre<br />

maggiore di operatori che, dallo studio sistematico e rigoroso di questo<br />

sfuggente prodotto della mente, possano trarre utili spunti per un miglior<br />

compimento del loro specifico lavoro.<br />

C) IL MOMENTO COREOGRAFICO E RITUALISTICO<br />

Il senso di questa prospettiva, che potrebbe sembrare marginale se non<br />

addirittura pretestuosa, ci proviene tanto dall'impressione destata<br />

dall'austerità del grandioso locale in cui ha avuto luogo la manifestazione<br />

(l'aula magna dell'Università di Torino sovrastava la non oceanica anche se<br />

attenta platea, la qual cosa faceva pensare ad una delle bizzarrie di cui parla<br />

Freud a proposito della collocazione inusuale dei personaggi e degli eventi<br />

nel contesto del sogno) quanto dalla eterogenea identità dottrinale dei<br />

relatori, che richiamava alla mente il pluralismo beneaugurante delle grandi<br />

assise negoziali internazionali nelle quali paesi o comunità prima tra loro<br />

ostili si preparano ad una ormai necessaria intesa. Anche il gradevole<br />

intermezzo musicale, avente per tema il contesto onirico, si proponeva nella<br />

doppia veste di elemento coreografico di rifinitura e di stacco ricreativo<br />

grazie al quale accentuare la sintonia col tema sacralizzato del sogno. Alla<br />

solennità del salone e degli arredi e alla ammonitrice maestosità delle statue<br />

incombenti sui relatori si accompagnava una popolazione spettatrice<br />

dall'abbigliamento e dalle pose contrastanti che, pure in questo caso,<br />

effondeva un'impressione di varietà eterodossa e policroma così affine alle<br />

miscellanee oniriche da riproporre la ormai logora perplessità sulla<br />

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EVENTI<br />

distinzione tra la stravaganza del sogno e la lineare composizione della<br />

realtà. E' pacifico, e lo abbiamo premesso, che la recensione della<br />

dimensione teatrale è pertinente nella misura in cui il flesso, tra il contenuto<br />

formalizzato di una cerimonia commemorativa o inaugurale e l'allestimento<br />

scenico con il quale essa viene presentata al pubblico, ha un significato non<br />

soltanto cronachistico ma realmente rituale e quindi propiziatorio.<br />

D) ASPETTO PUBBLICISTICO E INFORMATIVO<br />

Sotto questa intestazione vogliamo raggruppare tanto gli aspetti<br />

meramente informativi riguardanti l'impostazione ad incontri periodici dei<br />

convegni dell'Accademia, quanto i messaggi salienti concernenti<br />

l'evoluzione e le attese di mantenimento e sviluppo di questa iniziativa,<br />

nonché l'influenza esercitata ed esercitabile su specifici destinatari. La<br />

periodicità e gli sviluppi del tema in questione sono soddisfatti dall'annuncio<br />

di altre due convegni intitolati Cinema e Sogno e Sogno e Poesia, che si<br />

svolgeranno rispettivamente al museo del cinema di Torino il 24 ottobre e a<br />

Chiavari il 12 Dicembre <strong>1992</strong> e dall'avvenuto inizio di due seminari presso<br />

l'Università di Torino. Il primo condotto dal Dott. Maurizio Gasseau,<br />

affronta una ricerca teorica su diversi modelli di interpretazione del sogno.<br />

Il secondo condotto dalla Dott. Anna Maria Traveni, studia le applicazioni<br />

della gruppoanalisi nella interpretazione dei sogni e delle opere cinematografiche.<br />

L'aspetto relativo all'impatto sull'opinione pubblica e all'utilità<br />

che, per specifici segmenti di utenti, può derivare dall'analisi dei contenuti<br />

onirici, ci sembra che possa essere inquadrato, almeno provvisoriamente, in<br />

questo modo. Il problema principale, secondo noi, è quello di far<br />

considerare lo studio sul sogno un argomento non solo scientificamente<br />

pertinente ma soprattutto attinente a qualsiasi pratica professionale che si<br />

fondi sulla prevalenza delle relazioni interpersonali.<br />

La credenza abituale, come già constatavano gli studiosi in varie<br />

epoche, considera il sogno una questione personale che non vale la pena<br />

rendere manifesta se non come puerile materia di conversazione tra amici.<br />

Le cose importanti sono ben altre che il sogno, ci sembra di sentire in giro.<br />

Esso è più cimento per gli studiosi rintanati che non argomento di vitale<br />

attualità o necessità. La convinzione appare ancora così radicata che lo<br />

stesso articolista preposto a recensire, su un quotidiano della nostra città e<br />

con intenti encomiastici, questa medita cerimonia di apertura, ha<br />

involontariamente tirato acqua al mulino della disattenzione asserendo che<br />

"non a caso nella città della concretezza si vuole esplorare questo fenomeno<br />

ancora molto da scoprire". L'opinione che il sogno sia un fenomeno tanto<br />

effimero quanto ricorrente e che perda la sua significatività e salienza nel<br />

momento stesso in cui ci si avvia ad espletare le quotidiane incombenze, è<br />

difficile da rintuzzare. Se si vuole interessare una popolazione non<br />

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EVENTI<br />

solamente al lavoro per ottenere esiti terapeutici, si dovranno individuare<br />

quegli aspetti "motivazionali" che trasformino le discussioni sul sogno in<br />

utili addentellati con gli argomenti canonici delle professioni che si<br />

vogliono attirare. A quale titolo, ad esempio, gli operatori della<br />

comunicazone aziendale, pubblica o privata che sia, possono partecipare e<br />

contribuire ad una Accademia sul sogno? Quali risultati "concreti" costoro<br />

possono ottenere facendo propria la sensibilità e le cognizioni sul lavoro<br />

onirico? In che modo possono modificare positivamente il loro status di<br />

professionisti avvalendosi dei paradigmi e degli strumenti cognitivi disposti<br />

da codesta concentrazione di sapere specialistico e multidisciplinare? Sono<br />

soltanto alcuni dei quesiti che si potrebbero sciorinare a questo proposito.<br />

Una risposta anche smozzicata e parziale avvierebbe, a nostro avviso, il<br />

delicato processo di coinvolgimento degli "allogeni" e soprattutto darebbe a<br />

costoro un valido pretesto per un investimento monetario nell'incipiente<br />

filone formativo imperniato sul sogno e sulla sua "conoscenza<br />

professionale".<br />

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Luigi Spadarotto

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