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appunti di cristologia sistematica - Studio Teologico Interdiocesano ...

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APPUNTI DI CRISTOLOGIA SISTEMATICA<br />

Introduzione.<br />

I. Interpretazione teologica della vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

III. Il significato salvifico della vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

IV. La soteriologia e la persona <strong>di</strong> Gesù.<br />

87


INTRODUZIONE.<br />

ATI, La <strong>cristologia</strong> contemporanea, Emp 1992.<br />

Franco Giulio Brambilla, Nuovi impulsi per il manuale <strong>di</strong> <strong>cristologia</strong>, in Teologia 1998, 3,<br />

248-288.<br />

Marcello Bordoni, Cristologia: lettura <strong>sistematica</strong>, in Canobbio – Coda a cura, La teologia<br />

del XX secolo. Un bilancio (Città Nuova 2003) 2, 5-22.<br />

Roberto Nar<strong>di</strong>n, Cristologia: temi emergenti, in Canobbio – Coda a cura, La teologia del<br />

XX secolo. Un bilancio (Città Nuova 2003) 2, 23-87.<br />

Ripren<strong>di</strong>amo brevemente le in<strong>di</strong>cazioni presentate a conclusione della riflessione sulla<br />

storia del manuale, richiamando quelle esigenze che ora si tratta <strong>di</strong> esplicitare e <strong>di</strong><br />

porre a fondamento e sostanza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso rinnovato.<br />

In primo luogo.<br />

Si tratta <strong>di</strong> superare la dualità non ricomposta dei due sviluppi, apologetico e dogmatico,<br />

in un <strong>di</strong>scorso unitario dove la <strong>cristologia</strong> <strong>di</strong>a ragione <strong>di</strong> sé <strong>di</strong> fronte alle esigenze<br />

critiche della storia e della filosofia.<br />

A questa esigenza, all’interno <strong>di</strong> una teologia fondamentale rinnovata, provvede<br />

l’attenzione alla fenomenologia <strong>di</strong> Gesù, in relazione più precisa alla <strong>cristologia</strong> biblica<br />

e nel contesto delle con<strong>di</strong>zioni teologiche e antropologiche.<br />

In secondo luogo.<br />

Si tratta <strong>di</strong> superare la dualità non ricomposta dei due sviluppi dogmatici, quello relativo<br />

alla unione ipostatica e quello relativo alla soteriologia.<br />

Una presentazione unitaria della <strong>cristologia</strong> è possibile mantenendo il <strong>di</strong>scorso nel<br />

suo originario e costante contesto soteriologico e svolgendolo attorno alla singolarità<br />

della vicenda e della persona <strong>di</strong> Gesù. Prendono così forma i momenti essenziali della<br />

riflessione cristologica: la riflessione sul significato della intera vicenda <strong>di</strong> Gesù (dalla<br />

Pasqua ai misteri della vita <strong>di</strong> cristo), la precisazione sintetica del significato soteriologico<br />

della vicenda <strong>di</strong> Gesù (l’azione salvifica <strong>di</strong> Gesù); la forma personale della soteriologia<br />

(la persona <strong>di</strong> Gesù), l’apertura della <strong>cristologia</strong> alla teologia trinitaria e alla<br />

antropologica teologica.<br />

In terzo luogo.<br />

Si tratta <strong>di</strong> raccogliere le in<strong>di</strong>cazioni che provengono dal contesto culturale attuale,<br />

nel contesto più complesso della inculturazione, o meglio, del carattere contestuale<br />

della riflessione cristologica.<br />

In particolare si tratta <strong>di</strong> confrontarsi con alcune specifiche istanze:<br />

l’istanza politico liberatoria,<br />

l’istanza femminista,<br />

l’istanza del <strong>di</strong>alogo interreligioso,<br />

l’istanza ecologica.<br />

88


1. Presentazione generale del <strong>di</strong>scorso.<br />

1. Descrizione teologica della vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

Si riprende l’insieme della vicenda <strong>di</strong> Gesù, nella convinzione che Gesù va compreso<br />

a partire dalla fenomenologia della sua vita e che il significato soteriologico della sua<br />

vita si dà a comprendere prima <strong>di</strong> tutto nella interezza della sua concreta esistenza.<br />

La pasqua, morte e risurrezione; e il dono dello Spirito.<br />

La pasqua e i misteri della vita.<br />

2. Il significato salvifico della vicenda <strong>di</strong> Gesù (soteriologia).<br />

Esplicitazione del carattere salvifico della vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

La salvezza.<br />

Profeta, re e sacerdote.<br />

Redenzione, sod<strong>di</strong>sfazione, sacrificio e merito.<br />

In<strong>di</strong>cazioni sintetiche sulla soteriologia.<br />

3. La soteriologia e la persona <strong>di</strong> Gesù.<br />

La persona <strong>di</strong> Gesù implicata a fondamento del carattere salvifico della sua vicenda.<br />

Implicazioni cristologiche della vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

Consustanziale con Dio.<br />

Consustanziale con noi: santità; libertà; conoscenza; fede <strong>di</strong> Gesù.<br />

La persona <strong>di</strong> Gesù, nella sua unità singolare.<br />

Premesse – criteri: Gesù, il Figlio, tra il Padre e il mondo.<br />

L’unità personale <strong>di</strong> Gesù.<br />

L’unità delle due <strong>di</strong>stinte nature.<br />

In<strong>di</strong>cazioni conclusive.<br />

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2. Osservazioni circa il senso generale del <strong>di</strong>scorso.<br />

1. L’andamento del <strong>di</strong>scorso.<br />

I. Dalla vicenda narrata alle categorie <strong>di</strong> comprensione.<br />

In questo modo si cerca <strong>di</strong> rispettare il fatto che il significato è manifestato nella sua<br />

stessa manifestazione fenomenologica, prima ancora che in categorie esplicative.<br />

Le categorie esplicative, soprattutto quelle più generali, sono pure in<strong>di</strong>spensabili, ma<br />

debbono venire nel <strong>di</strong>scorso in un secondo momento; si evita così il rischio <strong>di</strong> finire<br />

in concetti astratti, o <strong>di</strong> dare ai concetti un significato pregiu<strong>di</strong>cato (cfr. profeta, re,<br />

sacerdote, redenzione).<br />

II. Dalla molteplicità all’unità.<br />

Dalla molteplicità dei temi e dei dettagli, nel loro senso imme<strong>di</strong>ato, alla unità della<br />

comprensione, nel suo senso compiuto. Si evidenzia così il fatto che una sintesi può<br />

esser data da una intuizione generale, ma va attuata come frutto <strong>di</strong> una ricerca.<br />

In termini più precisi.<br />

L’unità del <strong>di</strong>scorso è fondata <strong>di</strong>rettamente sulla unità della vicenda <strong>di</strong> Gesù; non si<br />

tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> partire da una molteplicità <strong>di</strong>spersa per raggiungere una unità fittizia.<br />

Per questo parecchi autori partono dal senso compiuto e dalla comprensione <strong>sistematica</strong><br />

per passare ai temi particolari e alla vicenda <strong>di</strong> Gesù (Cfr Mysterium Salutis 5-<br />

6, Wiederkehr, Alfaro, Grillmeier, Kasper).<br />

Prospettare il cammino dalla molteplicità verso l’unità suppone che il punto <strong>di</strong> partenza<br />

sia la fenomenologia unitaria, soltanto prende in conto in modo più evidente lo<br />

svolgimento esplicativo del <strong>di</strong>scorso; un quadro sistematico arriva sempre alla fine e<br />

rimane sempre aperto ad ulteriori precisazioni.<br />

2. Andamento «circolare» del <strong>di</strong>scorso.<br />

In fondo, in tutti i capitoli, si parla sempre <strong>di</strong> tutti i contenuti decisivi della vicenda <strong>di</strong><br />

Gesù; soltanto vengono <strong>di</strong>versamente messi a tema (e in questo senso, il <strong>di</strong>scorso<br />

progre<strong>di</strong>sce da un inizio verso un compimento).<br />

La <strong>di</strong>versità dei vari capitoli non significa che si stanno trattando temi autonomamente<br />

consistenti (che avrebbero posto solo in quel capitolo, quasi che la soteriologia<br />

tratti solo della salvezza e non della persona....); significa piuttosto che nella comprensione<br />

del mistero si entra per passi progressivi, passando da temi più analitici o<br />

<strong>di</strong> comprensione più imme<strong>di</strong>ata a temi più sintetici e <strong>di</strong> maggiore profon<strong>di</strong>tà, passando<br />

dalla tematizzazione <strong>di</strong> alcuni aspetti alla tematizzazione <strong>di</strong> altri, ma sempre in ri-<br />

90


ferimento alla medesima realtà unitaria e senza perdere mai il rapporto con gli aspetti<br />

già trattati.<br />

I temi analitici trovano senso solo nell’insieme; e l’insieme è fatto dalla integrazione<br />

dei temi analitici. Un tema è approfon<strong>di</strong>to e l’altro è supposto, e poi viceversa; e il <strong>di</strong>scorso<br />

unitario esiste solo dal rapporto tra i due momenti.<br />

I primi capitoli tendono allo sviluppo ultimo (la vicenda salvifica <strong>di</strong> Gesù poggia sulla<br />

qualità della sua persona) e le precisazioni ultime mantengono un legame in<strong>di</strong>spensabile<br />

con i primi capitoli (evitando che la persona <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong>venti un enigma speculativo<br />

privo <strong>di</strong> significato soteriologico).<br />

In<strong>di</strong>cativamente.<br />

La descrizione teologica della vicenda non può avvenire senza riferimento a categorie,<br />

sia pure soltanto implicite o abbozzate, circa la salvezza, la solidarietà, la unità<br />

della persona <strong>di</strong> Gesù.<br />

Soteriologia e <strong>cristologia</strong> sono due tematizzazione specifiche; ma la soteriologia tematizza<br />

la salvezza supponendo la persona; la <strong>cristologia</strong> tematizza la persona supponendo<br />

la salvezza.<br />

La solidarietà (la me<strong>di</strong>azione) può esser una tematizzazione specifica, ma si ritrova<br />

dovunque; nella soteriologia, in Gesù Signore e salvatore nostro; nella <strong>cristologia</strong>,<br />

nella singolarità <strong>di</strong> Gesù primogenito. Non si può parlare adeguatamente del me<strong>di</strong>atore<br />

senza essere rimandanti al <strong>di</strong>scorso sull’unione ipostatica: chi è il me<strong>di</strong>atore?<br />

come è me<strong>di</strong>atore?<br />

La vera umanità è un tema specifico, ma non può esser altro che la umanità del Figlio,<br />

anche se per il momento l’aspetto <strong>di</strong>vino del Figlio non è ancora messo a tema<br />

con precisione. La stessa cosa vale per la <strong>di</strong>vinità <strong>di</strong> Gesù.<br />

Così il modello cristologico dell’unità personale <strong>di</strong> Gesù è messo a tema nell’ultimo<br />

capitolo relativo alla persona <strong>di</strong> Gesù; ma è già pure presente nella questione della<br />

santità, della libertà, della conoscenza e della fede; si tratta infatti <strong>di</strong> comprendere la<br />

singolarità <strong>di</strong> Gesù. Tutto è unificato attorno alla sua persona, anche la salvezza che<br />

non è una pura azione separabile dalla persona, anche il modello cristologico che è<br />

relativo alla persona che emerge dalla vicenda.<br />

Sono rimandate ad altri momenti le questioni più generali relative allo schema tria<strong>di</strong>co<br />

(preesistenza, kenosi esaltazione); e al cristocentrismo.<br />

91


I. INTERPRETAZIONE TEOLOGICA DELLA VICENDA DI GESÙ.<br />

Abbozziamo una prima riflessione sulla fenomenologia <strong>di</strong> Gesù in forma <strong>di</strong>stesa;<br />

pren<strong>di</strong>amo cioè in conto la vicenda umana <strong>di</strong> Gesù, nella sua figura imme<strong>di</strong>ata, nello<br />

svolgimento analitico dei suoi vari momenti.<br />

Il <strong>di</strong>scorso si precisa come ripresa riflessiva della narrazione evangelica.<br />

All’approfon<strong>di</strong>mento contribuiscono, prima <strong>di</strong> tutto, gli sviluppi presenti nel NT<br />

stesso; e poi le riflessioni teologico spirituali della successiva tra<strong>di</strong>zione cristiana (a<br />

cominciare dai Padri della chiesa).<br />

Si tratta <strong>di</strong> una riflessione cristologica particolarmente interessante.<br />

Questa riflessione, riferita alla vicenda complessiva e non ancora presa dalle questioni<br />

culturalmente più impegnative, mantiene un evidente e fondamentale carattere spirituale.<br />

Gesù infatti viene compreso in connessione <strong>di</strong>retta alla con<strong>di</strong>zione del <strong>di</strong>scepolo<br />

che lo «segue» e vede la propria vita interpretata dalla vita del maestro e Signore; in<br />

relazione ad un doppio punto <strong>di</strong> vista teologico spirituale, quello «liturgico misterico»,<br />

incentrato sulla celebrazione (sulla ra<strong>di</strong>ce sacramentale), e quello «esistenziale politico»,<br />

incentrato sulla rilevanza antropologica della fede (sulla pratica della vita personale<br />

e collettiva).<br />

Si può intravedere fin d’ora il rapporto interiore tra il momento teologico spirituale e<br />

il momento teologico critico; le successive precisazioni cristologiche non intendono<br />

allontanarsi da questa comprensione spirituale quanto hanno il compito <strong>di</strong> garantirne<br />

la soli<strong>di</strong>tà dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un confronto critico con la propria cultura.<br />

Si può intravedere fin d’ora il rapporto interiore tra il momento soggettivo e il momento<br />

oggettivo della riflessione teologica. Il momento soggettivo sta nel fatto che la<br />

pratica effettiva del legame credente con Gesù origina una comprensione <strong>di</strong> lui; in<br />

questo caso infatti la riflessione emerge dalla stessa vita vissuta (e mantiene una sua<br />

autenticità anche nel caso che la teologia ecclesiale riflessa risultasse deficitaria). Il<br />

momento oggettivo sta nel fatto che l’esperienza vissuta della fede trova il suo criterio<br />

ultimo e il suo fondamento appropriato nella vicenda stessa <strong>di</strong> Gesù come è testimoniata<br />

dalla fede apostolica nel NT; l’esperienza della fede in Gesù infatti non<br />

nasce da un presunto rapporto <strong>di</strong>retto con lui, ma dal carattere personale <strong>di</strong> un rapporto<br />

che è sempre originato e me<strong>di</strong>ato dalla testimonianza scritturistica (senza la<br />

quale ogni esperienza personale rimarrebbe in un ambito impreciso ed equivoco, privato<br />

del suo necessario fondamento).<br />

Infine, in termini più completi, l’evento cristologico manifesta fin d’ora il suo duplice<br />

legame con la teologia e con l’antropologia; non soltanto interpreta il rapporto a Dio<br />

(e così si presenta come rivelazione <strong>di</strong> Dio, e si va a Gesù per avere «accesso» a Dio),<br />

ma anche interpreta il senso della vicenda umana che con<strong>di</strong>vide con noi (si va a Gesù<br />

per «imparare a vivere» la propria esistenza umana). La «singolarità» <strong>di</strong> Gesù esprime<br />

precisamente la relazione interiore tra quesiti due aspetti.<br />

92


1. La pasqua e la pentecoste.<br />

I. La pasqua <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> risurrezione.<br />

A. La morte<br />

Il quadro d’insieme<br />

Le questioni rilevanti.<br />

B. La risurrezione da morte.<br />

1. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù nella testimonianza che ne fa memoria.<br />

2. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù e il suo significato salvifico.<br />

3 . La risurrezione <strong>di</strong> Gesù e il rimando alla storia.<br />

II. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù e il dono dello Spirito.<br />

2. La pasqua e i misteri della vita <strong>di</strong> Gesù.<br />

I. Aspetti e momenti rilevanti della vita pubblica.<br />

A. Il Regno <strong>di</strong> Dio e i segni della sua presenza.<br />

1. Un perdono che scandalizza.<br />

2. I miracoli, il Regno <strong>di</strong> Dio e la fede.<br />

3. La beatitu<strong>di</strong>ne dei poveri.<br />

B. Il cammino verso la croce.<br />

II. La vita nascosta.<br />

1. Gesù scelse <strong>di</strong> morire?<br />

2. Il camino verso la croce e il Regno <strong>di</strong> Dio.<br />

III. L’incarnazione e la pasqua.<br />

IV. L’incarnazione e la kenosi.<br />

93


1. La pasqua, e la pentecoste.<br />

Raymond E. Brown, La morte del messia. Un commentario ai racconti della Passione nei quattro<br />

vangeli, Btc 108, Queriniana 1999 (1994).<br />

Wolhfart Pannenberg, Cristologia, Lineamenti fondamentali, 49. 327, Morcelliana.<br />

Jürgen Moltmann, La teologia della speranza, Btc 6, Queriniana.<br />

Jürgen Moltmann, Il Dio crocifisso, 131. 185, Btc 17, Queriniana.<br />

H. U. Von Balthasar, Mysterium pascale, Mysterium Salutis 6,171 (La teologia dei tre giorni,<br />

Btc 61, Queriniana). Cfr. Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù? In Gesù e il cristiano,<br />

Jaca Book 1998, 451-511.<br />

Karl Rahner, Saggi <strong>di</strong> <strong>cristologia</strong> e <strong>di</strong> mariologia, Paoline 1967 (Alcune tesi per una teologia<br />

della devozione al Sacro Cuore 277); Nuovi Saggi II (1968, Misteri della vita <strong>di</strong> Cristo,<br />

151); Nuovi Saggi VI – Teologia dell’esperienza dello Spirito (1977, Esperienza<br />

<strong>di</strong> Gesù Cristo, 401); Nuovi Saggi VII – Dio e rivelazione (1981, Sequela del crocifisso,<br />

231); Nuovi Saggi X – Società umana e chiesa <strong>di</strong> domani (1985, Spiritualità,<br />

385).<br />

Edward Schillebeeckx, Gesù, la storia <strong>di</strong> un vivente, Btc 26, Queriniana.<br />

Chistian Duquoc, Cristologia, Btc 15, Queriniana.<br />

Walter Kasper, Gesù il Cristo, Btc 23, Queriniana (la prima parte).<br />

Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore, Cittadella 1995 (1993).<br />

Juan José Tamayo-Acosta, 10 parole chiave su Gesù <strong>di</strong> Nazaret, Cittadella 2002 (1999)<br />

Franco Giulio Brambilla, Il crocifisso risorto, Btc 99, Queriniana 1998.<br />

Marcello Bordoni, La <strong>cristologia</strong> nell’orizzonte dello Spirito, Btc 82, Queriniana 1995.<br />

Severino Dianich, Il messia sconfitto. L’enigma della morte <strong>di</strong> Gesù, Piemme 1997.<br />

Inos Biffi, I misteri <strong>di</strong> Cristo in Tommaso d’Aquino, Jaca Book 1994.<br />

Il mistero <strong>di</strong> pasqua va preso in conto nella sua compiutezza, vale a <strong>di</strong>re nella correlazione<br />

non confusa <strong>di</strong> morte, risurrezione e dono dello Spirito (pasqua e pentecoste).<br />

La morte e la risurrezione sono i momenti dell’evento cristologico considerato nella<br />

sua imme<strong>di</strong>ata figura personale; è nella risurrezione da morte che la vicenda <strong>di</strong> Gesù<br />

raggiunge il suo compimento; ed è a partire da questo compimento personale che la<br />

vicenda <strong>di</strong> Gesù può essere presentata a fondamento <strong>di</strong> ogni altra esistenza umana.<br />

Con il dono dello Spirito il fatto che la vicenda personale <strong>di</strong> Gesù sia rivolta agli uomini<br />

come fondamento della loro salvezza raggiunge una ulteriore precisazione e<br />

concretezza; Gesù è salvatore non solo per la sua presenza personale <strong>di</strong> risorto (e in<br />

questo modo approfon<strong>di</strong>sce la comunicazione personale insita nella fede), ma più<br />

compiutamente perché comunica lo Spirito <strong>di</strong> Dio (raggiungendo gli uomini nel loro<br />

«cuore»).<br />

94


1. La pasqua <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> risurrezione.<br />

I. La morte.<br />

1. Il quadro d’insieme.<br />

Ossia, la questione che la morte <strong>di</strong> Gesù pone in relazione alla buona notizia del Regno<br />

<strong>di</strong> Dio, in relazione alla in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Dio inteso univocamente come Padre.<br />

Per orientarci nel <strong>di</strong>scorso, possiamo richiamare un criterio fondamentale: lasciarsi<br />

istruire prima <strong>di</strong> tutto dall’evento (dalla memoria dell’evento fissata nei testi narrativi)<br />

per raggiungere, su questa base, un’interpretazione complessiva (favorita dai testi esplicativi).<br />

Partiamo allora dalla vicenda narrata, e cerchiamo <strong>di</strong> capire il significato dell’evento<br />

osservando il comportamento dei vari «attori». La vicenda personale <strong>di</strong> Gesù risulta<br />

così situata tra le due presenze che in lui si incontrano: da una parte gli uomini,<br />

dall’altra Dio il Padre; in questo incontro, il comportamento <strong>di</strong> Gesù porta in chiaro<br />

che la sua morte va addebitata unicamente all’uomo peccatore, e che il Padre, al <strong>di</strong> là<br />

della sua imme<strong>di</strong>ata e pur reale inefficacia storica, è presente a favore dell’uomo e<br />

merita fiducia.<br />

La narrazione inoltre evidenzia con chiarezza il carattere «drammatico» della vicenda,<br />

il fatto cioè che succeda, e che succeda come incontro <strong>di</strong> libertà, tra Dio (e la sua signoria<br />

reale ma non imposta) e gli uomini (che con la loro incredulità contribuiscono<br />

a dare forma concreta all’evento). 1<br />

Seguiamo quin<strong>di</strong> la narrazione, precisandone lo svolgimento con tre in<strong>di</strong>cazioni.<br />

I. Una morte voluta dagli uomini.<br />

La ragione della morte <strong>di</strong> Gesù va cercata in terra, nella decisione degli uomini; non<br />

in cielo, in un decreto <strong>di</strong> Dio; va cercata cioè nel peccato degli uomini, in un peccato<br />

che coinvolge tutti gli uomini.<br />

Non è <strong>di</strong>fficile rintracciare i responsabili <strong>di</strong>retti della morte <strong>di</strong> Gesù: i Giudei e i Romani.<br />

In forma peraltro da precisare: i Giudei, nel <strong>di</strong>verso atteggiamento del Sinedrio,<br />

1 A questo proposito partendo dalle osservazioni critiche <strong>di</strong> Duquoc nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Barth e <strong>di</strong> von Balthasar<br />

in Christologie II, 31-32; 39-40; 41 n 20; 44-51, possiamo notare che non è facile conciliare la presenza<br />

<strong>di</strong> tutti gli attori; se gli uni corrono il rischio <strong>di</strong> svuotare il senso della realtà storica, sorvolando<br />

sulle responsabilità umane che hanno portato alla morte; gli altri rischiano <strong>di</strong> sminuire la qualità teologica<br />

della morte, riducendo il Padre al ruolo <strong>di</strong> spettatore e giu<strong>di</strong>ce finale e sfumando la figura concreta<br />

del peccato. La prospettiva «drammatica», svolta con coerenza, permette <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nare il <strong>di</strong>scorso in modo<br />

accettabile.<br />

95


dei Sadducei, dei Farisei e della folla; i Romani, in Pilato che ne rappresenta l’autorità<br />

imperiale.<br />

Meno evidente è che nella responsabilità <strong>di</strong> quella morte debba essere coinvolta<br />

l’umanità intera, come lascia intendere a chiare lettere il Nuovo Testamento, nelle sue<br />

formule analitiche («per voi», «per i molti») e nello svolgimento complessivo.<br />

Ora, l’universalità del peccato, come è intesa dal Nuovo Testamento, non va spiegata<br />

tanto (soltanto) a partire dalla consapevolezza <strong>di</strong> essere colpevoli <strong>di</strong>ffusa nella esperienza<br />

religiosa dell’umanità (che è aspetto reale ma, in larghissima parte, non è riferita<br />

a Gesù); la ragione <strong>di</strong> questo coinvolgimento universale va cercato piuttosto nella<br />

universalità del Regno <strong>di</strong> Dio personalizzato in Gesù.<br />

Nel Regno <strong>di</strong> Dio definitivo non si dà un’azione <strong>di</strong>vina contingente e limitata a qualcuno,<br />

prende invece forma storica l’intenzione originaria <strong>di</strong> Dio rivolta a tutti; tutti<br />

quin<strong>di</strong> vengono inclusi in questo evento, nella grazia e nel peccato 2 .<br />

II. Una morte nel «silenzio» <strong>di</strong> Dio.<br />

A questa morte, Dio il Padre è estraneo.<br />

Non si tratta nemmeno <strong>di</strong> scagionarlo (presupponendo una qualche connivenza 3 ); si<br />

tratta semplicemente <strong>di</strong> registrarne l’assenza, precisamente nel confronto con la presenza<br />

invadente dell’uomo: «Voi l’avete inchiodato alla croce per mano <strong>di</strong> empi e l’avete ucciso»<br />

Atti 2,23 (ma Dio lo ha risuscitato dai morti) (cfr. Atti 3,13-15; 4,10).<br />

Tale assenza va però spiegata 4 .<br />

2 L’universalità del Regno <strong>di</strong> Dio si annuncia nel fatto che la sua pre<strong>di</strong>cazione non suppone con<strong>di</strong>zioni<br />

che ne limitino l’accesso, e sta nella destinazione universale <strong>di</strong> un annuncio storico preciso (in cui la<br />

universalità è messa a tema in termini progressivamente sempre più precisi, da Gerusalemme agli estremi<br />

confini della terra, conosciuta e sconosciuta).<br />

Per un verso, l’universalità del Regno <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>venta particolarmente chiara nel fatto che anche la<br />

morte salvifica <strong>di</strong> Gesù non esclude nessuno, neppure gli imme<strong>di</strong>ati uccisori. Per un altro verso,<br />

all’interno del medesimo Regno <strong>di</strong> Dio sta anche la situazione del peccato, che non ignora <strong>di</strong>fferenze<br />

(tra i sani e malati, tra chi vede e chi non vuol vedere), ma che riguarda tutti in modo così reale che<br />

nessuno può trarsi fuori (e considerarsi giusto, neppure i <strong>di</strong>scepoli; Gesù infatti muore per tutti).<br />

Questa universalità, per il fatto che non permette a nessuno <strong>di</strong> trarsi fuori, non permette neppure <strong>di</strong><br />

addossare la responsabilità sostanziale della morte <strong>di</strong> Gesù semplicemente agli imme<strong>di</strong>ati esecutori,<br />

secondo la convinzione dell’antigiudaismo teologico; i cristiani dovrebbero sapere, da sempre, che non<br />

solo gli ebrei ma essi stessi sono implicati nella morte del loro salvatore.<br />

Infine, è nella croce <strong>di</strong> Gesù (nell’uccisione del figlio mandato dopo la serie dei servi) che si manifesta<br />

la profon<strong>di</strong>tà del peccato umano e la sua universalità, non semplicemente nel peccato <strong>di</strong> Adamo.<br />

3 Il peccato umano caso mai viene posto in relazione al «principe <strong>di</strong> questo mondo» (Gv 12,31; 13,2;<br />

14,30); e tale riferimento del peccato umano oltre sé, verso la trascendenza, non va compreso semplicisticamente,<br />

né in relazione alla responsabilità dell’uomo (che non viene <strong>di</strong>minuita), né in relazione al<br />

demoniaco (che non viene né descritto né concettualizzato).<br />

4 Infatti questo silenzio del Padre ha qualcosa <strong>di</strong> terribile, nella progressione stessa con cui la narrazione<br />

evangelica lo mette in conto. In termini generali, si parte dalla promessa del Regno e si va al cammino<br />

verso la croce, fino al silenzio nell’evento stesso della croce. In termini più precisi dal battesimo<br />

(dove risuona la voce del Padre è rivolta a Gesù, Mc 1,11), e dalla alla trasfigurazione (dove la voce del<br />

Padre è rivolta ai <strong>di</strong>scepoli, Mc 9,7), si passa all’agonia nell’orto (dove Gesù prega senza ricevere risposta<br />

Mc 14,36; solo Lc 22,43 introduce la presenza consolatoria dell’angelo), e al grido sulla croce (Mc<br />

15,34.37; mentre Lc 23,44 mantiene il grido sostituendo l’abbandono con le parole <strong>di</strong> consegna dello<br />

96


Non si tratta <strong>di</strong> una pura e semplice assenza, come risulterà più chiaramente dalle osservazioni<br />

successive 5 . Tentando una formulazione accettabile possiamo <strong>di</strong>re che<br />

l’assenza del Padre sta nel fatto che «lascia fare», non contrasta la decisione umana <strong>di</strong><br />

uccidere Gesù 6 . Più precisamente, in quella decisione il Padre «non c’è»; vale a <strong>di</strong>re, a<br />

quella decisione è estraneo, <strong>di</strong> quella decisione non è ispiratore 7 .<br />

III. Una morte vissuta in rapporto filiale al Padre.<br />

La <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> Gesù dall’agire degli uomini è evidente, e tuttavia va detto che si<br />

tratta <strong>di</strong> un rapporto libero (che Gesù accetta, senza subirlo per pura necessità 8 ) e<br />

non decisivo, perché termine effettivo del suo comportamento è il Padre.<br />

Il quale dunque c’è, ben presente.<br />

L’atteggiamento filiale <strong>di</strong> Gesù non ha la forma semplificata e <strong>di</strong>retta della pura obbe<strong>di</strong>enza<br />

ad un decreto <strong>di</strong>vino (che farebbe del Padre il responsabile della morte <strong>di</strong><br />

Gesù); ha invece una forma più articolata (tale appunto da escludere il Padre dalla responsabilità<br />

<strong>di</strong> quella morte).<br />

La de<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Gesù al Padre infatti ha, fin dal suo inizio, la figura concreta della de<strong>di</strong>zione<br />

al Regno <strong>di</strong> Dio il Padre (è quella la volontà <strong>di</strong> Dio che Gesù presume <strong>di</strong> sapere<br />

e <strong>di</strong> attuare); da questo punto <strong>di</strong> vista l’intera vita <strong>di</strong> Gesù può essere riassunta<br />

nella «obbe<strong>di</strong>enza» e nella «fede», nella de<strong>di</strong>zione incon<strong>di</strong>zionata all’intenzione del<br />

Padre e nella fiducia in lui, altrettanto incon<strong>di</strong>zionata e mai revocata neppure nella<br />

prova estrema 9 .<br />

È a causa <strong>di</strong> questa de<strong>di</strong>zione che Gesù si imbatte nel rifiuto degli uomini; ed è tale<br />

rifiuto a portarlo sulla croce, a far sì che la sua de<strong>di</strong>zione debba attuarsi a costo della<br />

vita. In questa situazione Gesù può essere pensato nella figura del «martire»; anzi del<br />

spirito, e Gv 19,30 senza più accennare al grido esprime il positivo compimento <strong>di</strong> tutto e accenna già<br />

al dono dello Spirito).<br />

5 Se il Padre semplicemente non fosse presente, la morte <strong>di</strong> Gesù non potrebbe costituire in nessun<br />

modo un evento salvifico; sarebbe una spiacevole parentesi priva <strong>di</strong> senso posta tra i momenti significativi<br />

della vicenda terrena e della risurrezione. Dove Dio non c’è, non si dà salvezza.<br />

6 È questo «lasciar fare» che costituisce la scandalosa inefficacia della sua presenza a favore del giusto.<br />

In questo lasciar fare, che dà tutto lo spazio possibile alla libertà umana, Dio il Padre si riduce al silenzio.<br />

7 Quando, infatti, il Padre agirà da sé, senza più relazione al mondo umano, allora ci sarà posto solo<br />

per la vita; a conferma del fatto che, <strong>di</strong> morti, Dio non ne vuole nessuno, neppure il Figlio che «rappresenta»<br />

tutti gli uomini. Nella morte, Dio non regna, neppure nella morte <strong>di</strong> Gesù.<br />

In questo modo l’estraneità tra Dio e il male (peccato) <strong>di</strong>venta estrema; mentre il volto <strong>di</strong> Dio appare<br />

nella sua univoca bontà, il male rimane per noi insondabile nella sua oscura realtà e profon<strong>di</strong>tà (il male<br />

è superato, ma a partire dal fatto che c’è; il male è l’opposto <strong>di</strong> Dio, ma si dà). L’evento che supera il<br />

male non spiega la ragione della sua presenza.<br />

8 In Mt 26,52-54 Gesù potrebbe contare su legioni <strong>di</strong> angeli; per Giovanni Gesù accetta la morte («nessuno<br />

me la toglie [la vita], ma la offro da me stesso» 10,18) dopo essersi ad essa sottratto più volte (8,59;<br />

11,39; cfr. 19,11 la risposta a Pilato). Analogo senso ha la formulazione <strong>di</strong> Eb 5,8 («pur essendo Figlio»).<br />

9 Giovanni dà espressione esplicita, quasi <strong>sistematica</strong>, a questa obbe<strong>di</strong>enza <strong>di</strong> Gesù alla «volontà» del<br />

Padre (4,34; 5,30; 6,38), al «comando» ricevuto (10,18 <strong>di</strong> dare la vita liberamente, con il potere <strong>di</strong> offrirla<br />

e <strong>di</strong> riprenderla <strong>di</strong> nuovo). Che il comando non sia un decreto necessario può essere sufficientemente<br />

chiaro.<br />

97


martirio costituisce l’attuazione singolare, a fondamento dell’eventuale analogo destino<br />

dei suoi <strong>di</strong>scepoli.<br />

È tale rifiuto dell’uomo a «torcere» l’intenzione <strong>di</strong> Dio e darle la forma della morte 10 .<br />

La singolare presenza del Padre.<br />

Per precisare la presenza attiva del Padre occorrerà prendere in conto, in un <strong>di</strong>scorso<br />

più completo, la risurrezione (lì il Padre positivamente si esprime). La risurrezione<br />

manifesta che il Padre accoglie la de<strong>di</strong>zione che Gesù ha vissuto fino alla morte; la<br />

conferma e la porta al suo esito completo 11 .<br />

Manifesta ancora, correlativamente, che l’azione degli uomini è espressione ra<strong>di</strong>cale<br />

del peccato, vale a <strong>di</strong>re del rifiuto del suo Regno personalizzato in Gesù (non attuazione<br />

<strong>di</strong> un suo originario decreto, ma l’opposto esatto).<br />

La riflessione teologica del Nuovo Testamento, in particolare <strong>di</strong> Paolo, svolgerà ulteriormente<br />

la presenza salvifica del Padre all’interno della morte stessa, ponendo in<br />

essa il giu<strong>di</strong>zio del vecchio mondo e il passaggio al nuovo 12 .<br />

10 Questa in<strong>di</strong>cazione merita <strong>di</strong> essere notata ed esplicitata, perché riguarda il senso complessivo della<br />

storia salvifica intesa come «<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Dio». Tale <strong>di</strong>segno non va pensato come un’intenzione <strong>di</strong> Dio<br />

idealmente in sé compiuta e soltanto bisognosa <strong>di</strong> una fattuale attuazione storica; in questo caso Dio<br />

<strong>di</strong>venterebbe il responsabile ultimo <strong>di</strong> tutto quanto nella storia (necessariamente) succede. La storia<br />

invece è ciò che succede (ciò che prende forma) quando l’intenzione <strong>di</strong> Dio incontra la risposta umana;<br />

si tratta infatti <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong> libertà (alleanza), non <strong>di</strong> imposizione. La libertà umana non decide<br />

l’intenzione <strong>di</strong> Dio, ma contribuisce a configurarne la figura storica; la libertà umana non decide la<br />

bontà o meno <strong>di</strong> Dio, contribuisce però a configurare la forma buona o cattiva del rapporto a lui. La<br />

croce porta ad evidenza singolare tale rapporto: la risposta umana non decide l’intenzione buona <strong>di</strong><br />

Dio (dunque non la contesta né la cancella), ma ne configura l’attuazione storica; è in questo modo<br />

che la morte, decisa dall’uomo a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> Dio, entra nell’attuazione del <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Dio.<br />

Ed è in questo medesimo contesto che va compresa l’affermazione che la croce <strong>di</strong> Gesù manifesta la<br />

gloria <strong>di</strong> Dio; mantenendo cioè la tensione tra la gloria e lo scandalo, nell’equilibrio <strong>di</strong> una <strong>di</strong>namica<br />

che inizia con la promessa (creazione e Regno <strong>di</strong> Dio) e termina con il compimento (risurrezione dei<br />

morti) e solo all’interno <strong>di</strong> questa intenzione positiva comporta la croce, in quanto voluta dall’uomo.<br />

Nella croce <strong>di</strong> Gesù la gloria <strong>di</strong> Dio raggiunge certamente la sua espressione massima, quella <strong>di</strong> un<br />

amore così fedele che si concretizza fino al sacrificio <strong>di</strong> sé; la croce però può essere intesa in questi<br />

termini positivi solo in quanto integrata nella promessa (originaria e conclusiva). In altre parole, la gloria<br />

<strong>di</strong> Dio si esprime nella croce non in ragione <strong>di</strong> un presunto originario carattere sacrificale (metafisico<br />

kenotico) dell’amore, ma per il fatto che l’amore <strong>di</strong> Dio incontra il peccato umano; è ancora<br />

l’incredulità umana (storicamente universale) a «torcere» l’amore in sacrificio.<br />

11 Solo a questo punto, vale a <strong>di</strong>re ad evento realizzato e chiarito il comportamento dei singoli attori,<br />

viene introdotto il rimando ad un «<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Dio», in formule certamente più nette del generale e <strong>di</strong>ffuso<br />

riferimento ai profeti. «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare<br />

nella sua gloria?» (Lc 24,26); «Dopo che, secondo il prestabilito <strong>di</strong>segno e la prescienza <strong>di</strong> Dio, fu consegnato<br />

a voi…» (At 2,23); «… ma con il sangue prezioso <strong>di</strong> Cristo, come <strong>di</strong> agnello senza <strong>di</strong>fetti e<br />

senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli<br />

ultimi tempi per voi» (1 Pt 1,20). Il «<strong>di</strong>segno» esprime il fatto che la storia non sfugge alle mani <strong>di</strong> Dio.<br />

L’azione dell’uomo e l’azione <strong>di</strong> Dio rimangono asimmetriche; l’intenzione salvifica <strong>di</strong> Dio può così<br />

includere in sé anche il rifiuto dell’uomo, lasciato alla sua effettiva e alternativa libertà.<br />

12 Per Paolo è precisamente nella morte <strong>di</strong> Gesù, prima ancora che nel ministero della chiesa, che avviene<br />

la giustificazione e la santificazione dell’uomo peccatore; le formule, particolarmente incisive,<br />

non sono da intendere come oggettivazioni dell’azione <strong>di</strong> Dio tali da non implicare più l’appello alla<br />

libertà umana (in questo contesto <strong>di</strong> una azione rivolta alla salvezza il Padre può essere introdotto come<br />

attore attivo, che «consegna» il Figlio, Rm 8,32).<br />

«Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile:<br />

mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha<br />

98


IV. In conclusione.<br />

Gesù, con la sua de<strong>di</strong>zione (obbe<strong>di</strong>enza e fede) reintroduce il Padre in un evento in<br />

cui era assente; ma in modo preciso: non aprendo un <strong>di</strong>scorso nuovo, quello della<br />

pena relativa ad una giustizia relativa al peccato; quanto rimanendo nell’unico <strong>di</strong>scorso<br />

della buona notizia, quella in cui il Padre è affidabile perché garante della promessa<br />

insita nel suo Regno.<br />

Si rivela così la coerenza del vangelo secondo cui il Padre è sempre e solo Padre, in<br />

una qualità positiva mai revocata. E, anche da questo punto <strong>di</strong> vista, il vangelo è<br />

norma critica <strong>di</strong> ogni sviluppo teologico successivo 13 .<br />

2. Le questioni rilevanti.<br />

Ci limitiamo per il momento a raccoglierle e ad in<strong>di</strong>carle, con un certo or<strong>di</strong>ne.<br />

I. Dal punto <strong>di</strong> vista soteriologico.<br />

La questione <strong>di</strong> fondo è data dalla morte che si presenta come la sconfessione storica<br />

della promessa insita nel Regno (e nella creazione <strong>di</strong> Dio). Una sconfessione non assoluta,<br />

se consideriamo che la destinazione alla morte appartiene alla finitezza della<br />

esistenza umana (e dunque anche Gesù doveva, prima o poi, in qualche modo, morire);<br />

e tuttavia sconfessione autentica, rispetto alla promessa insita in una vita che ha la<br />

sua ra<strong>di</strong>ce nel Dio vivente.<br />

condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo<br />

secondo la carne ma secondo lo Spirito» (Rm 8,3-4; cfr. 5,10; 6,4-6). «Cristo ci ha riscattati dalla<br />

male<strong>di</strong>zione della legge, <strong>di</strong>ventando lui stesso male<strong>di</strong>zione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende<br />

dal legno, perché in Cristo la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Abramo passasse alle genti» (Gal 3,13). «È stato Dio infatti<br />

a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola<br />

della riconciliazione. Noi fungiamo quin<strong>di</strong> da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per<br />

mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome <strong>di</strong> Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva<br />

conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo <strong>di</strong>ventare per<br />

mezzo <strong>di</strong> lui giustizia <strong>di</strong> Dio» (2 Cor 5,19-21). «Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti<br />

per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il<br />

documento scritto del nostro debito, le cui con<strong>di</strong>zioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto <strong>di</strong> mezzo<br />

inchiodandolo alla croce» (Col 2,13-15).<br />

13 Tale critica va fatta valere nei confronti della prospettiva amartiologica, che pone al centro della azione<br />

<strong>di</strong> Dio in Gesù il peccato dell’uomo, introducendo come autonoma l’esigenza della pena, e trasformando<br />

il Padre nel giu<strong>di</strong>ce (o almeno, giustapponendo il Padre e il giu<strong>di</strong>ce). Infatti l’azione <strong>di</strong> Dio<br />

non viene più intesa come «autocomunicazione» <strong>di</strong> Dio, in vista della partecipazione dell’uomo allo<br />

Spirito <strong>di</strong> Dio, quanto come superamento del peccato (sia pure in vista della grazia). Il peccato, <strong>di</strong>venuto<br />

centrale, richiama prima <strong>di</strong> tutto la situazione dell’offesa e l’esigenza della sua riparazione; Dio<br />

entra quin<strong>di</strong> in causa secondo la modalità <strong>di</strong> una giustizia autonoma, giustapposta alla bontà, in compensazione<br />

della bontà. A questo punto si stabilisce un rapporto <strong>di</strong>retto tra Dio e la pena della croce; è<br />

Dio infatti che, in quanto offeso, può e deve comminare la pena; altri la eseguiranno, ma è Dio a stabilirla.<br />

99


II. Dal punto <strong>di</strong> vista antropologico.<br />

L’esperienza della morte <strong>di</strong> Gesù mette seriamente in crisi la fede dei <strong>di</strong>scepoli (e in<br />

questo modo conferma che il Regno era evidentemente personalizzato in Gesù).<br />

Più precisamente, mette in conto in modo particolarmente acuto la rilevanza del peccato<br />

e della incredulità; sia per la profon<strong>di</strong>tà della sua attuazione (nella croce il peccato<br />

umano ha espressione molto più ra<strong>di</strong>cale che in Genesi 2-3), sia per la sua complessa<br />

relazione alla trascendenza (il rimando al demoniaco); sia per la sua universalità.<br />

Infine, la croce <strong>di</strong> Gesù origina per i <strong>di</strong>scepoli una analoga esperienza spirituale; questa<br />

esperienza va mantenuta nella sua forma corretta, in primo luogo perché è <strong>di</strong>fficile<br />

da accettare (la croce rimane in ogni caso scandalosa), in secondo luogo perché una<br />

volta integrata tende ad assumere espressioni eccessive e squilibrate.<br />

III. Dal punto <strong>di</strong> vista teologico.<br />

La morte <strong>di</strong> Gesù mette in causa l’affidabilità <strong>di</strong> Dio in relazione alla efficacia della<br />

sua azione storico salvifica; la presenza del Padre deve essere ripresa nel contesto del<br />

suo silenzio, l’amore <strong>di</strong> Dio deve integrare la giustizia <strong>di</strong> Dio, e il rapporto libero con<br />

l’umanità deve essere realizzato all’interno <strong>di</strong> una intenzione univocamente ed efficacemente<br />

salvifica.<br />

IV. Dal punto <strong>di</strong> vista cristologico.<br />

La morte <strong>di</strong> Gesù esprime il fatto che la sua de<strong>di</strong>zione al Regno <strong>di</strong> Dio, il Padre suo,<br />

si realizza fino a dare la vita, in un «obbe<strong>di</strong>enza» e in una «fede» che resistono ad ogni<br />

prova, e si pongono a fondamento esemplare dei <strong>di</strong>scepoli.<br />

In termini più precisi, la singolarità <strong>di</strong> Gesù si presenta nella correlazione complessa<br />

<strong>di</strong> chi, come maestro e Signore, è nello stesso tempo «rappresentante» degli uomini <strong>di</strong><br />

fronte a Dio (in una con<strong>di</strong>zione umana) e «rivelazione» <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> fronte agli uomini<br />

(in una con<strong>di</strong>zione più che profetica).<br />

Si apre così la questione della «sofferenza <strong>di</strong> Dio», sia nella forma cristologica (in relazione<br />

alla unità personale per cui Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio), sia nella forma trinitaria<br />

(in relazione al coinvolgimento nell’evento <strong>di</strong> Gesù, il Figlio, del Dio trinitario).<br />

II. La risurrezione da morte.<br />

Gesù iniziò il suo ministero pubblico annunciando un «vangelo», una buona notizia:<br />

«Il regno <strong>di</strong> Dio s’è fatto vicino». Anche i suoi <strong>di</strong>scepoli, dopo alcuni giorni <strong>di</strong> silenzio<br />

successivi alla morte <strong>di</strong> Gesù, iniziano il loro ministero pubblico annunciando una<br />

buona notizia, quella della risurrezione <strong>di</strong> Gesù 14 .<br />

14 «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù <strong>di</strong> Nazaret - uomo accre<strong>di</strong>tato da Dio presso <strong>di</strong> voi<br />

per mezzo <strong>di</strong> miracoli, pro<strong>di</strong>gi e segni, che Dio stesso operò fra <strong>di</strong> voi per opera sua, come voi ben<br />

sapete - dopo che, secondo il prestabilito <strong>di</strong>segno e la prescienza <strong>di</strong> Dio, fu consegnato a voi, voi<br />

100


La risurrezione costituisce l’aspetto risolutivo della fede cristiana.<br />

È con la risurrezione che Gesù può essere presentato nella sua funzione salvifica<br />

complessiva 15 ; è con la risurrezione <strong>di</strong> Gesù che l’azione salvifica <strong>di</strong> Dio si esprime<br />

nei termini più positivi e compiuti 16 .<br />

Che la risurrezione <strong>di</strong> Gesù sia così rilevante risulta anche dal fatto che il NT ne <strong>di</strong>fende<br />

la realtà. L’annuncio che il crocifisso è risorto appare così nuovo, soprattutto<br />

nel mondo ellenistico, da venir messo in dubbio, tanto più che quella presenza è sottratta<br />

ad ogni esperienza <strong>di</strong>retta. In<strong>di</strong>cativo è il capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi;<br />

come la morte <strong>di</strong> Gesù va <strong>di</strong>fesa in relazione al proprio senso, così la sua risurrezione<br />

va <strong>di</strong>fesa in relazione al suo senso e alla sua realtà 17 .<br />

l’avete inchiodato sulla croce per mano degli empi e lo avete ucciso. Ma Dio l’ha risuscitato, sciogliendolo<br />

dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Sappia<br />

dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi<br />

avete crocifisso!». (Atti 2,22-24 e 36).<br />

15 «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù<br />

che voi avete crocifisso!» (At 2,36); «… secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo,<br />

quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni principato e<br />

autorità, <strong>di</strong> ogni potenza e dominazione e <strong>di</strong> ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo<br />

presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi pie<strong>di</strong>, e lo ha costituito su<br />

tutte le cose a capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza <strong>di</strong> colui che si realizza in tutte le<br />

cose» (Ef 1,19-23).<br />

16 «Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo<br />

fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una<br />

vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo<br />

anche con la sua risurrezione» (Rm 6,4-5; cfr. Rm 8,1-4.34). «E questo perché io possa conoscere lui,<br />

la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, <strong>di</strong>ventandogli conforme nella<br />

morte con la speranza <strong>di</strong> giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11). «Sia benedetto Dio e Padre<br />

del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericor<strong>di</strong>a egli ci ha rigenerati, me<strong>di</strong>ante la risurrezione<br />

<strong>di</strong> Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una ere<strong>di</strong>tà che non si corrompe, non si<br />

macchia e non marcisce» (1 Pt 1,3-4).<br />

17 Sulla realtà della risurrezione dovremmo ritornare; per il momento è sufficiente notare che i testi<br />

volutamente parlano del risorto come <strong>di</strong> una persona reale: si tratta <strong>di</strong> Gesù, il crocifisso, in relazione<br />

ad un evento che lo ha coinvolto, la risurrezione.<br />

* I racconti evangelici, per quanto <strong>di</strong>versi nei particolari, convergono sugli aspetti più importanti. Sia a<br />

proposito della tomba vuota (Mc 16,1-8; Mt 28,1-8; Lc 24,1-10; Gv 21,1-2), sia a proposito delle apparizioni<br />

del risorto (Mc 16,9-18; Mt 28,9-10.16-20; Lc 24,13-35.36-49; Gv 20,11-18.19-23.24-29; 21,1-<br />

14). Per quanto riguarda la tomba vuota, il racconto si svolge secondo una sequenza comune: il mattino<br />

del terzo giorno, cioè dopo il giorno del riposo sabbatico, alcune donne vanno al sepolcro, tra <strong>di</strong><br />

esse c’è Maria <strong>di</strong> Magdala; esse vedono la pietra del sepolcro spostata, se ne fuggono a casa, informando<br />

i <strong>di</strong>scepoli dell’accaduto; alcuni <strong>di</strong>scepoli, tra cui Pietro, corrono ad ispezionare il sepolcro. A proposito<br />

delle apparizioni del risorto, i racconti, <strong>di</strong>versi quanto a luoghi (Gerusalemme o la Galilea) e a<br />

destinatari (le donne, Pietro, i <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Emmaus, gli un<strong>di</strong>ci), concordano nel narrare la <strong>di</strong>namica del<br />

riconoscimento (aspetto che prenderemo successivamente in considerazione).<br />

* Dal punto <strong>di</strong> vista dell’interesse storico un particolare rilievo va riconosciuto ad una tra<strong>di</strong>zione molto<br />

antica, ricevuta e trasmessa da Paolo nella prima lettera ai Corinzi (la formula ha probabilmente origine<br />

nella comunità bilingue <strong>di</strong> Gerusalemme o <strong>di</strong> Antiochia <strong>di</strong> Siria, alla metà degli anni trenta): «Vi ho<br />

trasmesso dunque, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le<br />

Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quin<strong>di</strong><br />

ai do<strong>di</strong>ci. In seguito apparve a più <strong>di</strong> cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte <strong>di</strong> essi vive<br />

ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quin<strong>di</strong> a tutti gli apostoli. Ultimo fra<br />

tutti apparve a me come a un aborto» (1 Cor 15,3-8).<br />

101


Ora, è questo un altro vangelo o lo stesso vangelo pre<strong>di</strong>cato da Gesù?<br />

Certamente lo stesso vangelo, nella misura in cui si coglie che quanto Gesù aveva annunciato<br />

e inizialmente attuato si dà adesso in forma compiuta, come esito della sua<br />

vicenda.<br />

Il Regno <strong>di</strong> Dio, personalizzato in Gesù, è in fondo propriamente Gesù stesso.<br />

Della questione pren<strong>di</strong>amo in conto tre aspetti.<br />

1. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù nella testimonianza che ne fa memoria.<br />

Ossia, la realtà della risurrezione nel riconoscimento dei <strong>di</strong>scepoli.<br />

Anche a questo proposito, al <strong>di</strong> là dei testi esplicativi, ci rivolgiamo ai testi narrativi 18 .<br />

Ora, questi testi presentano sostanzialmente una cosa sola: narrano che, dopo la morte<br />

<strong>di</strong> Gesù, ad un certo momento, i <strong>di</strong>scepoli sono ra<strong>di</strong>calmente cambiati; e giustificano<br />

tale mutamento con una rinnovata presenza <strong>di</strong> Gesù, vivente al <strong>di</strong> là della morte.<br />

La novità infatti è costituita dal fatto che Gesù è, <strong>di</strong> nuovo, vivente; non al modo<br />

<strong>di</strong> chi ritorna alla precedente vita storico terrena, ma come chi sta al <strong>di</strong> là della morte,<br />

finalmente superata.<br />

I. La risurrezione, il sepolcro vuoto e le apparizioni del risorto.<br />

Sono questi tre gli aspetti che contribuiscono a dare i contorni precisi alla presenza<br />

del risorto, ma in modo notevolmente <strong>di</strong>verso.<br />

Anzitutto va notato che l’evento della risurrezione non è mai narrato.<br />

Questa non può essere certo un’omissione casuale. Attraverso tale silenzio appare<br />

che la risurrezione <strong>di</strong> Gesù non possa essere in alcun modo assimilata ad un miracolo,<br />

analogo alla risurrezione <strong>di</strong> Lazzaro. Soprattutto si lascia intendere che il rapporto<br />

con il risorto non avviene «in presa <strong>di</strong>retta», assistendo all’evento, come si osserva un<br />

fatto in modo oggettivo e neutrale; il risorto manifesta sì la sua presenza, ma in segni,<br />

in un contesto dunque che suppone delle con<strong>di</strong>zioni appropriate per la sua percezione.<br />

18 Ci rivolgiamo quin<strong>di</strong> alla narrazione dei vangeli.<br />

Marco e Matteo ci danno racconti più concisi. Marco 16, in un unico capitolo racconta della tomba<br />

vuota, delle apparizioni alle donne, <strong>di</strong> un’unica apparizione agli Un<strong>di</strong>ci e della loro missione; Matteo,<br />

nel capitolo 28 presenta il sepolcro vuoto e l’apparizione alle donne (1-10), un’unica apparizione agli<br />

Un<strong>di</strong>ci e la loro missione (16-20); tra questi due blocchi inserisce la <strong>di</strong>ceria dei Giudei sul trafugamento<br />

del corpo <strong>di</strong> Gesù (11-15).<br />

Luca e Giovanni invece offrono racconti più <strong>di</strong>ffusi. Luca 24 racconta con ampiezza l’apparizione ai<br />

due <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Emmaus (13-35) e l’apparizione e le istruzioni agli Un<strong>di</strong>ci (36-53). Giovanni racconta<br />

in modo più <strong>di</strong>ffuso l’apparizione a Maria <strong>di</strong> Magdala (20,11-18), l’apparizione agli Un<strong>di</strong>ci e a Tommaso<br />

(20,19-29) e la terza apparizione ai <strong>di</strong>scepoli sul lago <strong>di</strong> Tiberiade (21,1-14; a cui seguono le parole<br />

relative a Pietro e al <strong>di</strong>scepolo che Gesù amava 21,15-23).<br />

102


Il sepolcro vuoto costituisce il primo segno che rimanda al risorto, ma ancora in modo<br />

sostanzialmente inadeguato. Il ricordo della tomba vuota ricorre in tutte le narrazioni,<br />

secondo uno svolgimento concordante; e ciò rivela la presenza <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione<br />

storicamente atten<strong>di</strong>bile. Tuttavia non è a questa esperienza che si attribuisce la<br />

fede dei <strong>di</strong>scepoli nel risorto; la visione del sepolcro vuoto non è rivelazione, ma solo<br />

suggerimento a continuare la ricerca altrove; in sé rimane motivo <strong>di</strong> stupore e <strong>di</strong> apprensione,<br />

non <strong>di</strong> fede 19 .<br />

Le apparizioni del risorto sono il secondo segno, quello che giustifica effettivamente<br />

la fede nel risorto. Ad esse quin<strong>di</strong> ci rivolgiamo per un’analisi più <strong>di</strong>ffusa.<br />

II. Le apparizioni del risorto.<br />

Costituiscono il luogo vero e proprio del riconoscimento <strong>di</strong> Gesù.<br />

Per comprendere il senso delle apparizioni dobbiamo subito notare un loro tratto caratteristico,<br />

il fatto che esprimono un’esperienza personale complessa; i <strong>di</strong>scepoli infatti<br />

riconoscono il risorto in una maturazione progressiva (non si tratta della visione<br />

puntuale <strong>di</strong> un momento), la quale inoltre richiede e provoca una conversione della<br />

mente e del cuore (il riconoscimento non si limitata ad una visione neutrale che registri<br />

la nuova presenza <strong>di</strong> Gesù).<br />

All’origine delle apparizioni c’è il libero darsi del risorto; mai succede che le apparizioni<br />

sia descritte come esito dell’iniziativa dei <strong>di</strong>scepoli che raggiungono Gesù o lo<br />

richiamano alla loro esperienza; i <strong>di</strong>scepoli sono in una situazione <strong>di</strong> attesa, ma non<br />

tale da produrre degli avvenimenti a partire dal loro desiderio.<br />

Il riconoscimento del risorto da parte dei <strong>di</strong>scepoli avviene per successive precisazioni;<br />

da un <strong>di</strong>sconoscimento iniziale si passa al riconoscimento, per concludere con la<br />

missione.<br />

Il <strong>di</strong>sconoscimento iniziale.<br />

Il risorto si presenta, ma non viene riconosciuto; è scambiato per un altro 20 .<br />

Per i <strong>di</strong>scepoli si tratta <strong>di</strong> un atteggiamento d’animo complessivo; non riconoscono il<br />

risorto perché guardano «altrove»; è l’atteggiamento <strong>di</strong> chi è preso dal passato e vi ritorna:<br />

i <strong>di</strong>scepoli cercano un morto (Mc 16,6; Mt 28,5-6), vanno a pescare, ritornando<br />

all’attività precedente la loro vocazione (Gv 21,3). In questo modo rimangono bloccati<br />

in un’esperienza ormai inadatta al riconoscimento del vivente.<br />

19 Anche la presenza e le parole degli angeli hanno questa funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazione; Marco, anzi, nota<br />

che le donne alla visione del giovane «ebbero paura» (Mc 16,5), una paura che accompagna tutta la esperienza<br />

della scoperta del sepolcro vuoto (Mc 16,1-8). Solo Giovanni, e unicamente per il <strong>di</strong>scepolo che<br />

Gesù amava, nota che alla visione del sepolcro «vide e credette» (Gv 20,8); tale affermazione esprime<br />

l’intenzione dell’evangelista che, <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>scepolo, evidenzia la «perspicacia credente» che afferra <strong>di</strong><br />

colpo il senso dei fatti (come nell’apparizione del risorto al lago <strong>di</strong> Tiberiade Gv 21,7).<br />

20 La cosa è volutamente notata nei racconti più <strong>di</strong>ffusi: il risorto è scambiato per un estraneo, semplice<br />

compagno <strong>di</strong> viaggio in Lc 24,16 («ma i loro occhi erano incapaci <strong>di</strong> riconoscerlo»); per il custode<br />

del giar<strong>di</strong>no in Gv 20,14; per un osservatore curioso in Gv 21,4. Anche i racconti più sintetici rilevano<br />

a loro modo la <strong>di</strong>fficoltà, ricordando che il riconoscimento era accompagnato da un momento <strong>di</strong> incredulità,<br />

così reale da meritare il rimprovero del risorto (Mc 16,14; Mt 28,17).<br />

103


Più compiutamente, questo atteggiamento riguarda sia la prospettiva interpretativa<br />

(guardare nella <strong>di</strong>rezione giusta, con la precomprensione adatta), sia la <strong>di</strong>sponibilità<br />

profonda del cuore (le con<strong>di</strong>zioni adeguate per riconoscere una persona) 21 .<br />

Il riconoscimento.<br />

Ristabilisce il rapporto a Gesù nella forma della fede personale adeguata, come corretta<br />

percezione interpretativa (per cui non è più scambiato per un altro), e come accoglienza<br />

della sua persona (si tratta <strong>di</strong> Gesù vivente, non del suo messaggio).<br />

E Gesù si dà a riconoscere in quanto identico al crocifisso; la persona che si impone<br />

come realtà misteriosa viene riconosciuta come Gesù perché si identifica al Gesù già<br />

conosciuto nella precedente esperienza storica. Gesù è riconosciuto non in virtù della<br />

visione imme<strong>di</strong>ata dei suoi tratti concreti, ma sulla base della precedente esperienza <strong>di</strong><br />

vita con lui. La risurrezione evidenzia ciò che nella vicenda terrena <strong>di</strong> Gesù rimaneva<br />

ancora nascosto e incompiuto, e tuttavia l’attesa suscitata dalla vicenda terrena è in<strong>di</strong>spensabile<br />

per capire il senso della risurrezione e arrivare al riconoscimento del risorto;<br />

per giungere a tanto non basta avere la sua immagine davanti agli occhi 22 .<br />

21 «Alla fine apparve agli Un<strong>di</strong>ci, mentre erano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza<br />

<strong>di</strong> cuore» (Mc 16,14). Luca ricorda non solo il turbamento e lo stupore <strong>di</strong> fronte ad un presunto<br />

fantasma (24,38), ma anche la durezza <strong>di</strong> cuore: «stolti e tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> cuore nel credere alla parola dei profeti»<br />

(24,25). Così è in Gv, per il caso in<strong>di</strong>cativo e complesso <strong>di</strong> Tommaso: «non essere incredulo, ma<br />

(<strong>di</strong>venta) credente» (20,27).<br />

In questo modo viene alla luce il limite della preparazione antico testamentaria; la risurrezione, per<br />

quanto pensata come reale azione <strong>di</strong> Dio, rimaneva <strong>di</strong> fatto avvolta nel mistero <strong>di</strong> una promessa; sia<br />

perché era impossibile farsene un’idea precisa (riguardo allo stesso annuncio <strong>di</strong> Gesù, dopo la trasfigurazione,<br />

«essi tennero la cosa per sé, domandandosi però che cosa volesse <strong>di</strong>re risuscitare dai morti»<br />

Mc 9,10), sia perché riguardava la sorte dei giusti alla fine della storia (e non il risuscitamento <strong>di</strong> uno<br />

all’interno della storia).<br />

22 Abbiamo qui un aspetto, non solo costantemente presente nella narrazione, ma decisivo per la<br />

comprensione della risurrezione. Dal <strong>di</strong>sconoscimento iniziale si può passare al riconoscimento precisamente<br />

in virtù <strong>di</strong> questo rimando alla vicenda terrena <strong>di</strong> Gesù; per Maria <strong>di</strong> Magdala si tratta <strong>di</strong> essere<br />

chiamata per nome (Gv 20,16), per i <strong>di</strong>scepoli ritornati alla pesca è il ricordo dell’analoga situazione<br />

durante la vita storica <strong>di</strong> Gesù (Gv 21,6); per i due <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Emmaus è risolutivo il gesto <strong>di</strong> spezzare<br />

il pane (Lc 24,30.35); particolarmente in<strong>di</strong>cativo è che il risorto faccia vedere le mani e il costato,<br />

rimandando così <strong>di</strong>rettamente alla sua figura <strong>di</strong> crocifisso (Gv 20,20.25-27; Lc 24,39 e solo dopo aver<br />

mostrato mani e costato Gesù chiede qualcosa da mangiare).<br />

L’apparire del risorto e il suo riconoscimento suppongono una «circolarità» tra risurrezione e vita storica;<br />

per avere una fede adeguata a Gesù la risurrezione è decisiva (il risorto non va cercato tra i morti),<br />

sia perché si impone a partire da sé, sia perché illumina tutta la vita precedente chiarendone ultimamente<br />

il senso); nello stesso tempo per riconoscere Gesù è necessaria l’esperienza storica <strong>di</strong> lui (il risorto<br />

va identificato al crocifisso), al punto che senza il rimando a quella vita storica il risorto rimarrebbe<br />

una realtà sfuggente e innominabile.<br />

Viene alla luce, in termini particolarmente netti, la singolarità della persona <strong>di</strong> Gesù e della fede in lui.<br />

Gesù ha raggiunto la sua compiutezza quando può presentarsi sui due versanti, della vita storica e del<br />

compimento al <strong>di</strong> là della storia (nella storia rimaneva misterioso non solo perché nascosto, ma perché<br />

incompiuto; è con la risurrezione che viene reso «perfetto» Eb 5,9); per un altro verso è attraverso il legame<br />

con la vita storica che il risorto mantiene un rapporto realistico con noi (è la vita storica a <strong>di</strong>re la<br />

comunanza ra<strong>di</strong>cale con noi).<br />

La fede dei <strong>di</strong>scepoli è coerente a questa presenza; solo con l’esperienza realistica del risorto raggiunge<br />

la sua forma compiuta (ora finalmente è superato il <strong>di</strong>stacco storico tra la fede <strong>di</strong> Gesù e la fede dei<br />

<strong>di</strong>scepoli; ora si sa che Gesù aveva ragione a proposito del Regno e del suo personale destino), ma solo<br />

come compimento del legame storico con il maestro (non in una nuova visione <strong>di</strong> lui, semplicemente<br />

oggettiva e neutrale, o mistica).<br />

104


Da questo punto <strong>di</strong> vista, il riconoscimento adeguato <strong>di</strong> Gesù richiede che si raggiunga<br />

la comprensione della sua croce, che lo scandalo sia riportato nell’ambito salvifico<br />

dotato <strong>di</strong> senso 23 .<br />

La missione.<br />

Il riconoscimento del risorto non si conclude con un tranquillo possesso, piuttosto<br />

mette in movimento e coinvolge, in termini ancora più impegnati, nella <strong>di</strong>ffusione<br />

della notizia. Sia all’interno del gruppo dei <strong>di</strong>scepoli 24 , sia come missione universale<br />

della chiesa apostolica 25 .<br />

Riconoscere Gesù significa rientrare in modo compiuto nella prospettiva aperta dal<br />

Regno <strong>di</strong> Dio; la risurrezione <strong>di</strong> Gesù, chiarificando il Regno <strong>di</strong> Dio, chiarifica anche<br />

la missione <strong>di</strong> chi in Gesù ha creduto.<br />

III. La fede e l’evento.<br />

Conclu<strong>di</strong>amo con una osservazione <strong>di</strong> teologia fondamentale.<br />

Con la risurrezione da morte la risposta alla domanda <strong>di</strong> Gesù «chi <strong>di</strong>te che io sia» risulta<br />

sostanzialmente chiarita; è evidente che non si tratta in primo luogo <strong>di</strong> una dottrina,<br />

ma <strong>di</strong> una persona; come è evidente che la realtà <strong>di</strong> questa persona è assicurata al <strong>di</strong> là<br />

della morte stessa.<br />

Eppure proprio questa chiarezza non può nascondere la singolare complessità della<br />

fede nel risorto. Il passaggio dalla fede dei <strong>di</strong>scepoli all’evento <strong>di</strong> Gesù, che la memoria<br />

evangelica (volutamente) permette a proposito della sua vicenda terrena, sembra<br />

impossibile quando si arriva alla risurrezione, a proposito della quale i testimoni propongono<br />

la loro convinzione soggettiva senza essere in grado <strong>di</strong> rimandare ad un evento<br />

oggettivo accessibile a tutti. La me<strong>di</strong>azione della chiesa si rivela, a questo punto,<br />

estrema; e la fede, nel momento in cui ha raggiunto la sua forma perfetta, rischia<br />

<strong>di</strong> trasformarsi in fideismo 26 .<br />

23 Come evidenzia in particolare Luca 24. Sia nell’annuncio dei due uomini dalle vesti sfolgoranti «Perché<br />

cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era<br />

ancora in Galilea, <strong>di</strong>cendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori,<br />

che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno. Ed essi si ricordarono delle sue parole» (24,5-8);<br />

sia nelle parole del risorto «Poi <strong>di</strong>sse: Sono queste le parole che vi <strong>di</strong>cevo quando ero ancora con voi:<br />

bisogna che si compiano tutte le cose scritte su <strong>di</strong> me nella Legge <strong>di</strong> Mosè, nei profeti e nei Salmi. Allora<br />

aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e <strong>di</strong>sse: Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare<br />

dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno pre<strong>di</strong>cati a tutte le genti la conversione e il<br />

perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su <strong>di</strong><br />

voi quello che il Padre mio ha promesso…» (24,44-49).<br />

24 Cfr. l’invio delle donne e <strong>di</strong> Maria <strong>di</strong> Magdala ai <strong>di</strong>scepoli (Mt 28,10; Gv 20,17); il coinvolgimento si<br />

dà anche quando non ci sia un esplicito invio da parte del risorto (Lc 24,9.33). Questa testimonianza<br />

delle donne va tenuta nel debito conto; gli stessi testimoni autorevoli (gli Un<strong>di</strong>ci; e tra gli un<strong>di</strong>ci, i <strong>di</strong>eci<br />

e Tommaso) vengono pure situati in rapporto <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza rispetto ad altri testimoni; in Mc 16,14 il<br />

risorto rimprovera gli un<strong>di</strong>ci precisamente su questo aspetto, «perché non avevano creduto a quelli che<br />

lo avevano visto risuscitato».<br />

25 Mc 16,15-20; Mt 28,18-20; Lc 24,44-49; Gv 20,22-23; 21,15-19.<br />

26 Oggi la questione della risurrezione non si concentra più nel confronto con spiegazioni razionalistiche<br />

che ne negavano la realtà; assume invece la forma <strong>di</strong> un problema ermeneutico ra<strong>di</strong>cale.<br />

105


Ve<strong>di</strong>amo la questione da un duplice punto <strong>di</strong> vista.<br />

L’oggettività <strong>di</strong> un’esperienza soggettiva.<br />

È indubbio che, soprattutto nel caso della risurrezione, il <strong>di</strong>scorso debba partire dal<br />

primo dato chiaro, vale a <strong>di</strong>re dalla convinzione soggettiva dei <strong>di</strong>scepoli. Va notato<br />

però che anche in questo caso non viene meno il rimando della fede ad un fondamento:<br />

non perché si possa in<strong>di</strong>care una presenza del risorto accessibile a tutti al <strong>di</strong> là<br />

della testimonianza, ma perché tale testimonianza si giustifica solo rimandando ad<br />

una realtà <strong>di</strong>versa da sé.<br />

I <strong>di</strong>scepoli non si limitano a proporre, magari con forza, la propria convinzione, sul<br />

presupposto che intanto «non c’è scampo» (e noi ci troveremmo nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

chi può acconsentire o rifiutare, ma sempre senza ragioni); descrivono invece il complesso<br />

lavoro interpretativo a cui essi stessi sono stati sottoposti: il risorto si è imposto<br />

a loro, nonostante le loro riserve e resistenze 27 .<br />

In<strong>di</strong>cativo è appunto il fatto che i <strong>di</strong>scepoli non riman<strong>di</strong>no a particolari qualità della<br />

propria testimonianza («vedete quanto siamo cambiati!»), neppure all’eventuale valore<br />

testimoniale del loro martirio (la morte esprime la ra<strong>di</strong>calità della de<strong>di</strong>zione, ma non<br />

ancora la bontà o la verità effettiva <strong>di</strong> una convinzione); rimandano invece ad un evento<br />

<strong>di</strong>fferente dalla loro iniziale convinzione, evento che si impone a partire dal<br />

suo proprio manifestarsi.<br />

Questo infatti descrivono i racconti delle apparizioni: l’imporsi della presenza <strong>di</strong> Gesù<br />

vivente a persone che, su <strong>di</strong> lui nutrivano altre attese, così <strong>di</strong>fferenti da <strong>di</strong>sconoscere<br />

inizialmente il suo presentarsi 28 .<br />

Ulteriore conferma della giustificazione oggettiva della fede nel risorto viene dal caso<br />

<strong>di</strong> Paolo, che su questo punto decisivo non rimanda all’esperienza personale della<br />

Non si cerca più <strong>di</strong> spiegare la risurrezione come deliberato inganno (Reimarus), né come morte apparente<br />

(Paulus), né come frutto <strong>di</strong> allucinazione collettiva (Loisy). Neppure si cerca più <strong>di</strong> ricondurre gli<br />

aspetti realistici della risurrezione a modalità espressive o a rappresentazioni mitologiche; secondo tali<br />

letture le apparizioni del risorto esprimerebbero non la realtà <strong>di</strong> Gesù, ma l’interpretazione che i <strong>di</strong>scepoli<br />

avrebbero dato della morte in croce: Gesù non sarebbe risorto, tuttavia la causa <strong>di</strong> Gesù continua<br />

(Bultmann, Marxen). In termini più adeguati ci si pone invece la domanda come la convinzione credente<br />

rimanda a Gesù, come la convinzione soggettiva si giustifica con un rimando oggettivo.<br />

27 Viene così in luce un aspetto rilevante per valutare la verità della testimonianza evangelica. Come la<br />

costante autocritica nella memoria della vita terrena rivela la <strong>di</strong>fferenza tra la fede dei <strong>di</strong>scepoli e la fede<br />

<strong>di</strong> Gesù (i <strong>di</strong>scepoli lasciano intendere che devono raccontare le cose in quel modo, al <strong>di</strong> là dei loro<br />

frainten<strong>di</strong>menti); così il modo con cui si fa memoria delle apparizioni rivela ancora la <strong>di</strong>fferenza tra le<br />

attese dei <strong>di</strong>scepoli e l’evento <strong>di</strong> Gesù (i <strong>di</strong>scepoli lasciano intendere che la risurrezione non se la aspettavano<br />

neppure loro, ma il risorto si è loro imposto come reale e hanno dovuto riconoscerlo).<br />

28 A questo proposito è istruttivo il confronto tra la finezza con cui la narrazione evangelica tratta le<br />

apparizioni e la semplificazione un po’ rozza della nostra concezione <strong>di</strong> esse.<br />

I racconti delle apparizioni sono così consapevoli della singolarità della presenza del risorto in questo<br />

mondo storico, che descrivono la realtà della sua presenza (è Gesù che fu visto, che si <strong>di</strong>ede a vedere)<br />

notando contemporaneamente la laboriosità dell’interpretazione e della conversione necessaria per il<br />

suo riconoscimento. Noi invece, almeno nella concezione più <strong>di</strong>ffusa, cogliamo la realtà del presentarsi<br />

del risorto ignorando il lavoro interpretativo; così semplifichiamo le apparizioni riportandole (quasi<br />

fossero racconti mitologici) a manifestazioni evidenti <strong>di</strong> un dato neutrale (Gesù si presenta con le sue<br />

fattezze; i <strong>di</strong>scepoli, che l’hanno conosciuto in vita, possono riconoscerlo con tutta tranquillità; per il<br />

riconoscimento sarebbe sufficiente avere gli occhi sani).<br />

106


conversione sulla via per Damasco, ma alla pre<strong>di</strong>cazione oggettiva della chiesa (1 Cor<br />

15,3-8) 29 .<br />

La libertà della fede.<br />

La risurrezione <strong>di</strong> Gesù mette così in luce, nel modo più netto, la libertà della fede.<br />

Non perché non ci sarebbero ragioni oggettive sufficienti per aderirvi, ma perché tale<br />

adesione non ha nulla <strong>di</strong> meccanico o <strong>di</strong> necessitante; ognuno è chiamato in causa in<br />

relazione alla sua <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> mente e <strong>di</strong> cuore, e quel rapporto – promettente e<br />

impegnativo – non può avvenire che nella forma della decisione personale responsabile,<br />

al modo <strong>di</strong> tutte le decisioni umane autentiche 30 .<br />

Sia per i testimoni, nell’oggettività delle apparizioni del risorto, peraltro destinate a<br />

finire (anch’essi rientrano totalmente nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi crede senza vedere); sia<br />

per noi che raggiungiamo Gesù attraverso l’intenzione oggettiva della testimonianza.<br />

2. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù e il suo significato salvifico.<br />

Anche a questo proposito il <strong>di</strong>scorso si può or<strong>di</strong>nare attorno ad alcuni punti.<br />

I. Dal punto <strong>di</strong> vista soteriologico.<br />

La risurrezione <strong>di</strong> Gesù realizza la speranza che ogni uomo porta con sé, quella attesa<br />

<strong>di</strong> vita compiuta che la creatura <strong>di</strong> Dio riconosce come intuito originario e che la esperienza<br />

della vita mette a dura prova, soprattutto nell’evento della morte.<br />

Più imme<strong>di</strong>atamente la risurrezione <strong>di</strong> Gesù compie la speranza <strong>di</strong> Israele che, a conclusione<br />

<strong>di</strong> una lunga e complessa evoluzione, era arrivato alla convinzione che<br />

all’ultimo giorno i morti sarebbero risorti.<br />

Con Gesù questa speranza assume forma realistica, nella vicenda singolare <strong>di</strong> una<br />

persona (Gesù), sia pure all’interno <strong>di</strong> una storia che continua.<br />

29 L’esperienza <strong>di</strong> Damasco è narrata in Atti in tre versioni: 9,1-9; 22,6-11; 26,12-18.<br />

Nella sue lettere, Paolo si riferisce a questo momento solo in Gal 1,12-17 per <strong>di</strong>fendere la sua autenticità<br />

<strong>di</strong> apostolo scelto <strong>di</strong>rettamente dal Signore; evidenzia così che la <strong>di</strong>fferenza dagli altri apostoli sta<br />

nel modo <strong>di</strong> arrivare all’apostolato, non nella <strong>di</strong>versità del messaggio, <strong>di</strong> cui nota l’accordo con la chiesa.<br />

2 Cor 11,32 e 13,1-6, che sono pure testi <strong>di</strong>fensivi, non si riferiscono alla visione <strong>di</strong> Damasco.<br />

La lettera ai Galati è particolarmente in<strong>di</strong>cativa a proposito dell’oggettività della pre<strong>di</strong>cazione. Ai Galati,<br />

che così facilmente sono <strong>di</strong>sposti ad accogliere un altro vangelo, Paolo riba<strong>di</strong>sce che vangelo è solo<br />

l’oggettiva pre<strong>di</strong>cazione originaria: la fede si riceve certo dal pre<strong>di</strong>catore che è soggettivamente convinto<br />

<strong>di</strong> quanto propone, ma non <strong>di</strong>pende dalla soggettività credente del pre<strong>di</strong>catore, né <strong>di</strong> altri apostoli,<br />

né <strong>di</strong> Paolo stesso, né dalla rivelazione <strong>di</strong> angeli («Orbene, anche se noi stessi o un angelo dal cielo vi<br />

pre<strong>di</strong>casse un vangelo <strong>di</strong>verso da quello che vi abbiamo pre<strong>di</strong>cato, sia anàtema! Lo abbiamo già detto e<br />

ora lo ripeto: se qualcuno vi pre<strong>di</strong>ca un vangelo <strong>di</strong>verso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» 1,8-<br />

9).<br />

In 1 Cor 15,8 Paolo include anche se stesso nel numero dei testimoni del risorto, all’interno della tra<strong>di</strong>zione<br />

ecclesiale ricevuta, come ultimo, a motivo della singolarità del suo <strong>di</strong>venire apostolo.<br />

30 Come ogni rapporto (non intellettualistico) della coscienza alla verità, la fede implica la fiducia (dar<br />

cre<strong>di</strong>to); la fiducia, a sua volta, in relazione alla affidabilità della realtà, ha a che fare con la conoscenza<br />

che riguarda le ragioni dell’assenso; ora, tale conoscenza, che è autentica e come tale sostiene una decisione<br />

responsabile, non si risolve mai in una verifica assoluta <strong>di</strong> un rapporto asettico e neutrale con la<br />

realtà.<br />

107


II. Dal punto <strong>di</strong> vista teologico.<br />

Dio, il Padre, soggetto primo del Regno, manifesta così la sua qualità <strong>di</strong> Dio vivente,<br />

che garantisce la vita al <strong>di</strong> là della morte, in una azione analoga alla creazione (Rm<br />

4,17; Eb 11,19.<br />

L’azione salvifica <strong>di</strong> Dio appare così in tutta la sua ampiezza; come si estende verso<br />

l’inizio della storia, con la creazione, così raggiunge la fine della storia, con la risurrezione,<br />

attuata in Gesù e in lui promessa a tutti (Rm 3,23-24; 8,11; 1 Cor 6,14; 15,12-<br />

28).<br />

III. Dal punto <strong>di</strong> vista antropologico.<br />

La fede dei <strong>di</strong>scepoli, seriamente scossa con la morte <strong>di</strong> Gesù, si ricostituisce.<br />

La morte <strong>di</strong> Gesù infatti, che i <strong>di</strong>scepoli non hanno mai integrato come possibile esito<br />

della sua vita, nel momento in cui accade fu vissuta come estremo scandalo, come<br />

smentita <strong>di</strong> tutte le attese che la vita precedente <strong>di</strong> Gesù aveva suscitato 31 . I <strong>di</strong>scepoli<br />

sulla via <strong>di</strong> Emmaus esprimono bene quale fosse l’atteggiamento <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>scepoli<br />

all’indomani della morte: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati<br />

tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Luca 24,21).<br />

È l’esperienza del risorto a ridare speranza e a ricostituire la fede; con la risurrezione<br />

Dio ha dato ragione a Gesù, portando a compimento in lui la promessa <strong>di</strong> vita insita<br />

nel Regno.<br />

IV. Dal punto <strong>di</strong> vista cristologico.<br />

È questo l’aspetto centrale del <strong>di</strong>scorso; è infatti prima <strong>di</strong> tutto in relazione a Gesù,<br />

come esito della sua personale vicenda, che la risurrezione ha un significato 32 .<br />

31 Se Gesù moriva e scendeva nel silenzio della tomba, che ne era del Regno da lui promesso come<br />

imminente? Che ne era del perdono che Dio offriva a tutti come promessa <strong>di</strong> cambiamento dei cuori e<br />

del mondo? Che ne era <strong>di</strong> quella salvezza <strong>di</strong> tutto l’uomo e <strong>di</strong> ogni uomo, <strong>di</strong> cui i miracoli costituivano<br />

il prelu<strong>di</strong>o? Che ne era della beatitu<strong>di</strong>ne annunciata ai poveri, agli affamati, ai perseguitati? E del nuovo<br />

Israele, che Gesù <strong>di</strong>ceva d’essere venuto a raccogliere dalla <strong>di</strong>spersione e dallo smarrimento? E, soprattutto,<br />

Dio il Padre meritava veramente quella fiducia incon<strong>di</strong>zionata che Gesù viveva e insegnava?<br />

32 Diventa così più evidente che la «<strong>cristologia</strong>» appartiene autenticamente alla fede cristiana. Il vangelo<br />

non è un messaggio separabile da Gesù, dotato <strong>di</strong> una sua oggettività autonoma e affidabile ad una<br />

chiesa che succede al maestro facendone le veci. Il vangelo sta solo se sta la persona <strong>di</strong> Gesù; il Regno<br />

<strong>di</strong> Dio è un evento che ha consistenza solo nella misura in cui succede; nel momento in cui viene personalizzato<br />

in Gesù, questo Regno lega la sua consistenza a ciò che succede a Gesù; le parole, e la<br />

stessa vicenda <strong>di</strong> Gesù, hanno significato in relazione a «chi» è Gesù.<br />

Appare in un luce più netta il fatto che fin dall’inizio il pre<strong>di</strong>catore fosse implicato nella pre<strong>di</strong>cazione;<br />

inoltre, <strong>di</strong>venta più chiaro che la risposta alla domanda «Chi <strong>di</strong>te che io sia» appartiene alla sostanza della<br />

fede (non solo al centro narrativo del vangelo <strong>di</strong> Marco); infine, è evidente che, dopo la crisi ra<strong>di</strong>cale<br />

della morte, è la risurrezione che definisce Gesù in termini adeguati, da parte del Dio del Regno, il solo<br />

che può risuscitare i morti.<br />

108


In termini più precisi, a partire dalla risurrezione, la figura <strong>di</strong> Gesù Cristo acquista<br />

una gran<strong>di</strong>osità del tutto straor<strong>di</strong>naria rispetto alla normalità della sua vita storica.<br />

Il risorto è presentato chiaramente come salvatore universale 33 .<br />

La sua presenza salvifica si allarga fino a coprire tutta la storia salvifica: non si tratta<br />

solo del compimento delle promesse profetiche 34 , ma dell’intero svolgimento della<br />

azione salvifica <strong>di</strong> Dio; sia verso la fine della storia (verso la parusia) 35 , sia verso il suo<br />

inizio (verso la creazione) 36 .<br />

E la sua persona può essere compresa in profon<strong>di</strong>tà, nella sua ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>vina (a Gesù si<br />

attribuisce il titolo <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> «Kyrios») che implica una specifica preesistenza e<br />

l’attribuzione <strong>di</strong> una me<strong>di</strong>azione nella creazione stessa.<br />

Infine, la vita terrena <strong>di</strong> Gesù è ormai compresa a partire da un’origine più lontana<br />

della sua nascita, da un’origine che è la vita stessa <strong>di</strong> Dio; la storia <strong>di</strong> Gesù viene ora<br />

prospettata nei termini <strong>di</strong> una «<strong>di</strong>scesa» dal cielo, come missione del Figlio <strong>di</strong> Dio che<br />

prende carne mortale e con<strong>di</strong>vide la con<strong>di</strong>zione degli uomini 37 .<br />

3. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù da morte e il rimando alla storia.<br />

Un’ultima decisiva precisazione.<br />

La risurrezione <strong>di</strong> Gesù non costituisce un evento in sé concluso e autonomo, ma<br />

mantiene un duplice necessario legame, in primo luogo nei confronti della morte (per<br />

cui il risorto va identificato al crocifisso; il Cristo è Gesù), in secondo luogo nei confronti<br />

della storia (che rimane del tutto aperta; Gesù è risorto da morte, ma i suoi <strong>di</strong>scepoli<br />

non lo sono ancora).<br />

Questa doppia precisazione contribuisce ad evidenziare quanto rilevante sia la vita<br />

storica, sia per Gesù che per i suoi <strong>di</strong>scepoli. Per Gesù, la risurrezione porta a compimento<br />

e garantisce il significato <strong>di</strong> una vita conclusa nella morte; non tende cioè a<br />

33 «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è<br />

stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).<br />

34 Cfr. At 2,16.25; 3,21-24; 7,1-54; …<br />

35 «E ci ha or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> annunciare al popolo e <strong>di</strong> attestare che egli è il giu<strong>di</strong>ce dei vivi e dei morti costituito<br />

da Dio» (At 10,42; cfr. 17,31). «Per questo infatti Cristo è morto ed è tornato alla vita: per essere<br />

il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). «… Noi cre<strong>di</strong>amo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così<br />

anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo <strong>di</strong> Gesù insieme con lui. Questo vi <strong>di</strong>ciamo<br />

sulla parola del Signore…» (1 Ts 4,13-18; cfr. 5,1-10). 2 Cor 5,1-10. «Ti scongiuro davanti a Dio e a<br />

Cristo Gesù che verrà a giu<strong>di</strong>care i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la<br />

parola…» (2 Tm 4,1-2). 1 Pt 4,5.<br />

36 «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù<br />

Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1 Cor 8,5-6). Cfr. le formulazioni<br />

più <strong>di</strong>stese e complete <strong>di</strong> Col 1,16-17 (15-20), dell’inizio della lettera agli Ebrei (1,1-4), del prologo<br />

del vangelo <strong>di</strong> Giovanni (1,3.10 [1,1-18]).<br />

37 Cfr. l’inno prepaolino della lettera ai Filippesi 2,5-11 («… il quale, pur essendo <strong>di</strong> natura <strong>di</strong>vina…<br />

ma spogliò sé stesso assumendo la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> servo e <strong>di</strong>venendo simile agli uomini; apparso in<br />

forma umana umiliò se stesso facendosi obbe<strong>di</strong>ente fino alla morte e alla morte <strong>di</strong> croce…»).<br />

Cfr. le formulazioni che esprimono la missione <strong>di</strong> Gesù, Figlio <strong>di</strong> Dio, a partire dall’alto del mondo <strong>di</strong><br />

Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… Dio non ha mandato il Figlio<br />

nel mondo per giu<strong>di</strong>care il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo <strong>di</strong> lui» (Gv 3,16-17);<br />

«Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge,<br />

per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).<br />

109


superarla, rendendola semplicemente passata, quanto piuttosto ne garantisce il significato<br />

salvifico una volta per sempre; l’esperienza del risorto non tende a far <strong>di</strong>menticare<br />

la vita proponendo altre prospettive, quanto permette <strong>di</strong> farne memoria finalmente<br />

adeguata. Per i <strong>di</strong>scepoli, la risurrezione <strong>di</strong> Gesù in una storia aperta conferma<br />

il significato della loro vita storica garantendo la speranza del compimento futuro; i<br />

<strong>di</strong>scepoli, in relazione alla loro esistenza storica, sono rimandati fondamentalmente<br />

alla vita storica <strong>di</strong> Gesù, e non <strong>di</strong>rettamente alla risurrezione; la risurrezione, come<br />

per Gesù garantiva il significato della vicenda terrena realizzandone il compimento,<br />

così per i <strong>di</strong>scepoli garantisce il significato della loro vicenda terrena promettendone<br />

il compimento.<br />

Soffermiamoci ancora un momento sulla relazione della risurrezione alla morte.<br />

I. La singolarità della Pasqua <strong>di</strong> Gesù.<br />

La pasqua <strong>di</strong> Gesù si dà come un evento unitario formato da due momenti asimmetrici;<br />

come risurrezione da morte o, inversamente, come esperienza della morte che si<br />

conclude con la risurrezione.<br />

Di questo evento va però notato il tratto singolare, per cui all’interno <strong>di</strong> uno svolgimento<br />

unitario sono correlati due momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa qualità: la vicenda <strong>di</strong> Gesù, fino<br />

alla morte inclusa, appartiene alla storia, ha un carattere pubblico e rimane incompiuta;<br />

la risurrezione invece, che è realizzazione compiuta, si pone al <strong>di</strong> là della storia<br />

e rimane esperienza riservata ai testimoni. L’avvenimento <strong>di</strong> Pasqua, nella morte e<br />

nella risurrezione, si dà quin<strong>di</strong> in una specifica continuità e <strong>di</strong>scontinuità.<br />

Per un verso infatti si tratta <strong>di</strong> un evento unitario, del passaggio dalla morte alla risurrezione,<br />

avvenimento in cui la vita storica raggiunge il suo compimento 38 .<br />

38 Per questo motivo non si può separare il «Gesù della storia» dal «Cristo della fede».<br />

Per questo motivo morte e risurrezione non possono essere pensati come cifra <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong>alettico<br />

(tra aspetti <strong>di</strong>versi ma sempre compresenti, come la luce e l’ombra, il positivo e il negativo). Questa<br />

<strong>di</strong>alettica è relativamente adatta ad interpretare la <strong>di</strong>namica storica, ma è del tutto fuori luogo per esprimere<br />

il passaggio dalla morte alla risurrezione e per interpretare il senso complessivo della vicenda<br />

<strong>di</strong> Gesù e dei <strong>di</strong>scepoli. In termini più <strong>di</strong>ffusi, morte e risurrezione sono le articolazioni dell’evento<br />

nella sua forma compiuta; e da momento conclusivo si riflettono pure sulla vita intera, manifestando<br />

che essa da sempre si realizza secondo una struttura analoga alla morte e alla risurrezione, come attuazione<br />

a doppia faccia, negativa e positiva; in questo modo morte e risurrezione da categoria storico<br />

realistica <strong>di</strong>ventano anche categoria formale.<br />

Di questo processo va colto il senso, evitando un equivoco. Il senso sta nella percezione che la vita<br />

storica si svolge già sotto la «regola» esemplare del compimento; implica un «morire» a qualcosa e un<br />

«risorgere» a qualcosa altro. Così in Rm 6,1-7 il battesimo è inteso essere sepolti con Cristo nella morte<br />

e poter camminare in vita nuova in virtù della sua risurrezione; così Fil 2,5-11 invita a modellare la<br />

propria vita sui sentimenti che furono in Cristo Gesù, nella umiliazione fino alla morte e nella esaltazione.<br />

Analogamente la vicenda <strong>di</strong> Gesù è raccontata come strutturata sulla pasqua <strong>di</strong> morte e risurrezione;<br />

il regno <strong>di</strong> Dio (e anche il vangelo dell’infanzia) tende al suo compimento passando attraverso la<br />

contestazione che lo accompagna fin dal suo inizio. L’equivoco da evitare è dato dalla tendenza a interpretare<br />

la <strong>di</strong>namica storica come <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> negativo e positivo, spostando il <strong>di</strong>scorso in un contesto<br />

astratto e formale. I vari momenti della vita vanno rispettati nella loro specifica figura (come se<br />

«secondo la carne e secondo lo spirito, sottomesso alla legge e padrone del sabato, tentato ed esorcista,<br />

sofferente e taumaturgo...» fossero elementi <strong>di</strong>alettici <strong>di</strong> uguale consistenza), e la <strong>di</strong>namica complessiva<br />

110


Per un altro verso, morte e risurrezione si danno come momenti <strong>di</strong>stinti e asimmetrici.<br />

La morte del crocifisso appartiene agli eventi <strong>di</strong> questa storia, come un fatto pubblico;<br />

la risurrezione invece in<strong>di</strong>ca una con<strong>di</strong>zione che sta al <strong>di</strong> là della storia, manifestata<br />

a testimoni scelti, in apparizioni peraltro provvisorie per gli stessi testimoni 39 .<br />

La frattura è dovuta precisamente alla morte, che segna la fine dell’esistenza storica;<br />

la morte non esclude la speranza <strong>di</strong> una vita ulteriore a cui corrisponde l’azione <strong>di</strong><br />

Dio che risuscita i morti, pone però tale speranza al <strong>di</strong> là dell’esperienza storica 40 .<br />

Questo rapporto <strong>di</strong> continuità e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità, che riguarda prima <strong>di</strong> tutto la persona<br />

<strong>di</strong> Gesù, si allarga a connotare il rapporto complessivo <strong>di</strong> Gesù all’umanità, inserendo<br />

in esso il dono dello Spirito santo e la missione della chiesa 41 .<br />

della vita va mantenuta nella sua figura <strong>di</strong> fondo, quella <strong>di</strong> una promessa che arriva al compimento<br />

passando per la crisi della prova e della morte («… sapendo che Cristo risorto dai morti non muore<br />

più; la morte non ha più potere su <strong>di</strong> lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una<br />

volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio» Rm 6,9-10; «E come è stabilito per gli<br />

uomini che muoiano una sola volta, dopo <strong>di</strong> che viene il giu<strong>di</strong>zio, così Cristo, dopo essersi offerto una<br />

volta per tutte allo scopo <strong>di</strong> togliere i peccati <strong>di</strong> molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione<br />

al peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» Eb 9,27-28; cfr. 1 Cor 15,26; Eb 7,25;<br />

Ap 1,18).<br />

39 Per questo motivo la morte in croce e la risurrezione non vanno «confuse» in un evento omogeneo;<br />

altrimenti della morte si perde il fatto che è voluta dagli uomini e per questo attua e rivela il peccato,<br />

della risurrezione si sfuma il fatto che è azione unicamente <strong>di</strong> Dio, e per questo rivelazione della sua<br />

intenzione univocamente salvifica. L’asimmetria «storica» tra morte e risurrezione manifesta così<br />

l’asimmetria «ontologica», quella che intercorre tra l’uomo e Dio all’interno del rapporto <strong>di</strong> alleanza.<br />

Morte e risurrezione sono pur sempre elementi <strong>di</strong>versi che non possono esser ricondotti uno all’altro;<br />

la morte riguarda una fine, la risurrezione è vita nuova; il ponte sullo iato (von Balthasar) è dato da<br />

Dio e dalla sua capacità ricreatrice e non sta semplicemente nella natura delle cose. La vicenda salvifica<br />

in Gesù si attua in due <strong>di</strong>rezioni, con un duplice significato, comporta la presenza contemporanea <strong>di</strong><br />

due elementi: abbassamento fino alla morte e vita fino alla gloria; nessuna delle due linee, da sola, rende<br />

ragione del mistero, che non si realizza secondo uno sviluppo evolutivo lineare, ma neppure si sintetizza<br />

nella umiliazione e nel rifiuto senza esito positivo (o rispetto a cui l’esito positivo sarebbe soltanto<br />

frutto <strong>di</strong> una azione meritevole). Quanto alla pasqua, la morte, per quanto destinata interiormente<br />

alla risurrezione, non è solo una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> possibilità della risurrezione; ha un valore proprio in<br />

riferimento alla giustizia e alla condanna del peccato, e non può anticipare il positivo e il nuovo della<br />

risurrezione. La risurrezione non è solo conferma della vita terrena, né solo risultato salvifico oggettivato<br />

della morte (come avviene nella soteriologia classica <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione, sacrificio, merito); esprime<br />

la salvezza nel suo esito ultimo, ma non può <strong>di</strong>re il valore proprio della morte che è fine e condanna <strong>di</strong><br />

tutto il mondo vecchio; deve piuttosto presupporlo.<br />

40 A questo proposito non va <strong>di</strong>menticato che, <strong>di</strong> fronte alla vicenda della morte e risurrezione <strong>di</strong> Gesù,<br />

i <strong>di</strong>scepoli (e, con loro, noi e chiunque altro invitato alla fede) rimangono nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi<br />

sta entro l’esperienza storica, e non può per questo pensare <strong>di</strong> situarsi nell’al<strong>di</strong>là della morte.<br />

Si intuisce quin<strong>di</strong> che il manifestarsi del risorto risulti particolarmente «complicato». Il risorto si affaccia<br />

al mondo umano storico non nella forma lineare e solare <strong>di</strong> una presenza simile a tutte le altre, ma<br />

«in segni», autentici ma da interpretare, e sempre connessi alla sua precedente esistenza storica. Il momento<br />

che denominiamo «ascensione al cielo» non fa che rendere stabile quella alterità tra storia e<br />

compimento che le apparizioni del risorto hanno provvisoriamente superato (ed era necessario, se il<br />

risorto voleva dei testimoni); ormai, segni autentici e fondamentali della presenza salvifica del risorto,<br />

saranno – per sempre – non più le apparizioni, ma il ministero della chiesa (pre<strong>di</strong>cazione, battesimo,<br />

frazione del pane; cfr. Lc 24).<br />

Si intuisce che la fede, anche nella sua compiutezza pasquale, comporti una analoga complessità (tra il<br />

vedere e il credere, relativi ad un atteggiamento <strong>di</strong> fiducia), per il fatto che corrisponde a questa presenza<br />

del risorto.<br />

111


II. Il significato salvifico della risurrezione da morte.<br />

Fondamentalmente sta nel fatto che la risurrezione mantiene un legame interiore con<br />

la vita storica, <strong>di</strong> cui costituisce nello stesso tempo compimento e conferma; esito<br />

della vita storica, rimanda ancora una volta al significato decisivo della vita storica.<br />

1. La risurrezione compimento e conferma della vita storica.<br />

Come compimento della vita storica, la risurrezione costituisce l’ultima parola <strong>di</strong> Dio,<br />

a conferma della promessa originaria (del Regno <strong>di</strong> Dio e della creazione). La morte<br />

risulta allora parola penultima, in ogni caso evento provvisorio; non perché sarebbe<br />

superficiale, ma perché si situa «entro» una intenzione univocamente salvifica; la morte<br />

mantiene il carattere <strong>di</strong> evento scandaloso che resiste ad ogni razionalizzazione, e<br />

tuttavia viene integrato in un <strong>di</strong>segno salvifico.<br />

In termini più completi, la vicenda singolare <strong>di</strong> Gesù realizza la promessa coor<strong>di</strong>nando<br />

tre momenti: l’incarnazione (che giustifica il valore dell’esistenza storica in cui Dio<br />

stesso si coinvolge), la morte (che affronta e subisce la contestazione ra<strong>di</strong>cale alla vita)<br />

e la risurrezione (che realizza la promessa in forma definitiva e al riparo da ogni<br />

rischio).<br />

Come compimento della vita storica, la risurrezione costituisce pure la conferma del<br />

significato della vita storica; non cancella l’incompiutezza <strong>di</strong> una vita costantemente<br />

in movimento, ma conferma la qualità salvifica <strong>di</strong> quel movimento <strong>di</strong>stinguendo tra<br />

fede e incredulità. Nella mobilità della vita nulla è stabilizzato, neppure la fede; nella<br />

mobilità <strong>di</strong> una vita <strong>di</strong> libertà nulla è totalmente garantito nella sua efficacia salvifica,<br />

neppure la fede; è l’esito che conferma in modo definitivo quanto la promessa <strong>di</strong> Dio<br />

già lasciava intuire, che è nella fede, e non nella incredulità, che la vita si realizza.<br />

Prima <strong>di</strong> tutto in Gesù, come evento realizzato.<br />

La risurrezione conferma la sua esistenza storica e la compie; per un verso mette in<br />

chiaro che Gesù aveva ragione, a proposito delle sue pretese, anche <strong>di</strong> fronte alla<br />

41 Con la risurrezione Gesù è costituito Signore universale, e tuttavia ci raggiunge concretamente tramite<br />

la chiesa. Nel momento in cui Gesù è «perfetto», nessuno ha più a che fare <strong>di</strong>rettamente con lui<br />

(eccetto, per un momento, i testimoni); troviamo piuttosto la chiesa che ci istruisce su <strong>di</strong> lui, peraltro<br />

facendo memoria della sua esistenza storica. D’altra parte, nel momento in cui accogliamo il messaggio<br />

e l’azione della chiesa, e si costituisce la nostra fede, noi abbiamo a che fare in realtà <strong>di</strong>rettamente con<br />

Gesù Cristo, <strong>di</strong> cui la chiesa è al servizio.<br />

Inoltre, questo rapporto tra Gesù e l’umanità tramite la chiesa mandata, avviene nello Spirito santo.<br />

Non si attua per una successione da Gesù alla chiesa, dove il ministero della chiesa (e l’intera esistenza<br />

cristiana) finirebbe <strong>di</strong> essere affidato alle forze umane; avviene invece in virtù dello Spirito <strong>di</strong> Gesù che<br />

adegua la chiesa alla propria esistenza e alla propria missione.<br />

In ogni caso, va notato che non si tratta <strong>di</strong> scegliere tra aspetti contrastanti; tutte queste istanze si richiamano<br />

a vicenda e vanno rispettate.<br />

112


morte 42 ; per un altro verso realizza l’esistenza <strong>di</strong> Gesù nella perfezione compiuta dovuta<br />

al superamento della morte.<br />

E poi, per chiunque gli crede, come promessa.<br />

La speranza <strong>di</strong> risorgere con Cristo, dopo essere morti con lui, è la forma compiuta<br />

della fede che pone il credente alla sequela <strong>di</strong> Gesù, nella esistenza storica fino alla<br />

sua destinazione ultima 43 .<br />

2. La risurrezione come speranza per la vita storica.<br />

Il significato salvifico della risurrezione non va quin<strong>di</strong> frainteso.<br />

Solo nel legame con la vita storica la risurrezione è rilevante; solo nella identificazione<br />

con il crocifisso Gesù è riconosciuto come risorto; solo nella conferma della sua esistenza<br />

storica Gesù risorto opera come salvatore.<br />

L’osservazione riguarda in particolare la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fede dei <strong>di</strong>scepoli.<br />

La risurrezione esprime la figura compiuta della speranza ma non implica ancora il<br />

possesso della vita al <strong>di</strong> là della morte. A questo proposito sono in<strong>di</strong>spensabili alcune<br />

42 Il Regno <strong>di</strong> Dio personalizzato in Gesù arriva ora alla sua attuazione ultima; la risurrezione realizza<br />

l’intenzione ultima (e originaria) del Dio vivente a proposito dell’uomo. In questo modo, la pretesa <strong>di</strong><br />

Gesù riceve conferma su tutti i versanti sui quali si impegnava: sia a proposito della manifestazione <strong>di</strong><br />

Dio (teologia), sia a proposito dell’intenzione <strong>di</strong> Dio sull’uomo (antropologia), sia a proposito dello<br />

stesso Gesù che realizza questo rapporto (<strong>cristologia</strong>).<br />

Con la pasqua il termine «Regno <strong>di</strong> Dio» <strong>di</strong>venta marginale non perché quell’evento sia superato in altro,<br />

quanto perché si propone nella sua forma concreta: il Regno <strong>di</strong> Dio è realizzato nel fatto che il Padre<br />

ha dato all’uomo il Figlio suo, perché nella fede l’uomo sia salvato (Gv 3,16-18); «Questi [segni] sono<br />

stati scritti perché cre<strong>di</strong>ate che Gesù è il Cristo, il Figlio <strong>di</strong> Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel<br />

suo nome» (Gv 20,31). Giovanni non utilizza la categoria sinottica del Regno <strong>di</strong> Dio – eccetto in 3,3.5<br />

– non perché ne ignori il significato, ma perché la esprime <strong>di</strong>rettamente nella sua concreta forma cristologica.<br />

La personalizzazione del Regno in Gesù non significa quin<strong>di</strong> la fine della categoria del Regno,<br />

ma una sua più precisa articolazione; il Regno <strong>di</strong> Dio rimane necessario per richiamare sia il carattere<br />

teologico dell’azione salvifica sia l’orizzonte escatologico definitivo (1 Ts 2,12; Gal 5,21; 1 Cor<br />

6,9-10; 15,24; Ef 5,5; Eb 12,28; Ap 12,10).<br />

43 Caso mai si tratta <strong>di</strong> precisare delle proporzioni: «Ciascuno però nel suo or<strong>di</strong>ne: prima Cristo, che è<br />

la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono <strong>di</strong> Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il<br />

regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti<br />

che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi pie<strong>di</strong>. L’ultimo nemico ad essere<br />

annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi pie<strong>di</strong>. Però quando <strong>di</strong>ce che ogni cosa<br />

è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto<br />

gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa,<br />

perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,23-28).<br />

Si intuisce che la risurrezione debba occupare un posto decisivo nella esperienza spirituale dei cristiani:<br />

«Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose <strong>di</strong> lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra <strong>di</strong><br />

Dio; pensate alle cose <strong>di</strong> lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai<br />

nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati<br />

con lui nella gloria» (Col 3,1-4). Appena ci si accorga che il centro dell’azione <strong>di</strong> Dio non sta nel<br />

peccato umano da superare, ma nell’attuazione dell’intenzione del Dio vivente, allora la risurrezione<br />

riacquista la sua importanza, e non può più essere relegata ad un aspetto della retribuzione dovuta ad<br />

una vita buona.<br />

113


osservazioni senza le quali la speranza della risurrezione risulterebbe semplificata , o<br />

ad<strong>di</strong>rittura falsata.<br />

Si tratta <strong>di</strong> notare con chiarezza che se Gesù è risorto, noi non lo siamo ancora.<br />

La risurrezione <strong>di</strong> Gesù, e la nostra partecipazione ad essa, non ha lo scopo <strong>di</strong> illuderci<br />

quasi fossimo sottratti alla fatica del quoti<strong>di</strong>ano «imparare a vivere» che qualifica<br />

la nostra esistenza storica (quasi fossimo già nella risurrezione, con Gesù); intende<br />

invece dare speranza sicura a libertà costantemente in movimento, prospettando la<br />

destinazione che Dio ha preparato all’esistenza storica e che ha già attuato in Gesù 44 .<br />

44 Possiamo precisare il <strong>di</strong>scorso ricollegandoci ad osservazioni già proposte a proposito delle apparizioni<br />

del risorto.<br />

* Le apparizioni del risorto si realizzano in modo tale da mettere in evidenza il quadro complessivo del<br />

rapporto che esiste tra Gesù Cristo e noi. L’esperienza del risorto non opera nel senso <strong>di</strong> spostare i<br />

<strong>di</strong>scepoli nell’ambito della risurrezione stessa, che sarebbe l’unico autentico rispetto ad una vita terrena<br />

conclusa e ormai semplicemente destituita <strong>di</strong> significato. All’opposto, le apparizioni non rivelano nulla<br />

del risorto (né dell’evento, né della nuova con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita), se non la realtà della presenza, peraltro<br />

irraggiungibile da parte dei <strong>di</strong>scepoli (è infatti il risorto a presentarsi nel mondo storico, con segni che<br />

ne in<strong>di</strong>cano la presenza). L’esperienza del risorto intende invece garantire che quell’esistenza storica<br />

vale «una volta per sempre»; da questo momento, può essere ricordata con una adeguata rilettura e deve<br />

essere testimoniata anche con lo scritto (esso stesso in qualche modo dotato <strong>di</strong> valore definitivo).<br />

Il risorto invia i <strong>di</strong>scepoli in missione non con lo scopo <strong>di</strong> offrire segrete speculazioni sulla vita definitiva,<br />

ma per proclamare il significato salvifico definitivo della propria esistenza storica.<br />

* La speranza cristiana può così sottrarsi, a ragione, ad un’accusa che sovente le viene rivolta: <strong>di</strong> fissare<br />

l’attenzione alla destinazione ultima e <strong>di</strong>strarre in questo modo dalla responsabilità verso l’esistenza<br />

storica. Tale rilievo, in verità, potrebbe già essere rivolto alla speranza come tale, in qualunque sua<br />

forma autentica, per il fatto che la preoccupazione <strong>di</strong> raggiungere il fine sembra implicare un deprezzamento<br />

del tempo e dei luoghi della felicità storica, troppo fuggevole. In ogni caso, una critica <strong>di</strong> questo<br />

genere coglie nel segno se si riferisce ad un atteggiamento sovente presente nei cristiani, è invece<br />

del tutto fuori luogo a proposito della speranza cristiana considerata nella sua forma precisa: la risurrezione<br />

è la speranza offerta alla vita storica in vista <strong>di</strong> una sua responsabile attuazione, non per una fuga<br />

da essa.<br />

* Appartiene quin<strong>di</strong> all’esperienza spirituale dei <strong>di</strong>scepoli anche il senso della «lontananza» dal Signore,<br />

ricorrente nelle parabole della perseveranza (Mt 24,45-51 il servo fedele e il servo infedele; 25,1-13 le<br />

<strong>di</strong>eci vergini; 25,14-30 i talenti; e nelle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Mc 13,33-37; Lc 21,34-37), e già notato a proposito<br />

dell’ascensione. Non si tratta certo dell’assenza <strong>di</strong> un rapporto, quanto piuttosto della consapevolezza<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>stanza tra il Signore che ha concluso il cammino e i <strong>di</strong>scepoli che sono ancora in viaggio:<br />

«Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo <strong>di</strong> testimoni, deposto ciò che è <strong>di</strong> peso e il<br />

peccato che ci asse<strong>di</strong>a, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo<br />

sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,1-2).<br />

Nell’esistenza <strong>di</strong> chi «impara a vivere» seguendo Gesù non solo rimane una frattura nel modo con cui<br />

Dio il Padre opera verso <strong>di</strong> noi (per il fatto che, nella sua totale affidabilità, lascia però spazio realistico<br />

alla azione <strong>di</strong> tante altre presenze), ma rimane anche la <strong>di</strong>stanza tra noi che siamo nella storia e Gesù<br />

che è nel compimento definitivo. Perciò, anche per i cristiani, la speranza (come la fede nell’affidabilità<br />

del Padre) va curata; altrimenti, la risurrezione finisce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong> fatto del tutto marginale e spiritualmente<br />

insignificante, precisamente perché non appartiene all’esperienza imme<strong>di</strong>ata.<br />

114


2. La risurrezione <strong>di</strong> Gesù e il dono dello Spirito santo.<br />

L’esperienza pasquale dei <strong>di</strong>scepoli si concentra nella morte e risurrezione <strong>di</strong> Gesù,<br />

ma non si esaurisce in questo evento; si conclude infatti con il dono dello Spirito santo.<br />

La Pasqua non si dà senza Pentecoste, sia nella narrazione degli Atti degli Apostoli<br />

45 , sia nella descrizione teologica della conversione e dell’esistenza cristiana 46 .<br />

Le apparizioni del risorto e il dono dello Spirito costituiscono due esperienze <strong>di</strong>stinte<br />

e tuttavia tra loro in<strong>di</strong>ssolubilmente connesse.<br />

Gesù risorto e lo Spirito santo non sono semplicemente la stessa realtà, espressa con<br />

due nomi <strong>di</strong>versi; le apparizioni del risorto e il dono dello Spirito si succedono come<br />

due momenti <strong>di</strong>versi. In questa successione, tuttavia non si attuano come due eventi<br />

separati e poi giustapposti, quanto come espressione compiuta dell’unica azione salvifica<br />

del Padre verso l’umanità 47 .<br />

Precisiamo il <strong>di</strong>scorso or<strong>di</strong>nandolo attorno ad alcuni punti.<br />

1. Dal punto <strong>di</strong> vista soteriologico.<br />

In questo modo la «con<strong>di</strong>scendenza» <strong>di</strong> Dio nel suo comunicarsi agli uomini si realizza<br />

compiutamente: in Gesù il Padre raggiunge l’umanità nella presenza specifica e<br />

singolare <strong>di</strong> Gesù (l’uomo che è Figlio <strong>di</strong> Dio, dotato dello Spirito <strong>di</strong> Dio, Signore <strong>di</strong><br />

tutti gli altri uomini); con l’effusione dello Spirito santo da parte <strong>di</strong> Gesù risorto il<br />

Padre raggiunge l’umanità arrivando finalmente al cuore/coscienza <strong>di</strong> ognuno.<br />

45 At 2,1-40; 4,31; 10,44.<br />

46 1 Ts 1,5; Gal 3,1-5; Eb 2,4; in termini più generali cfr. Rm 8; 1 Cor 12-14; Gv 14,15-17.26; 15,26-27;<br />

16,13-15; 20,22-23. In<strong>di</strong>cazioni più complete possono essere trovate nei <strong>di</strong>zionari biblici o nei <strong>di</strong>zionari<br />

<strong>di</strong> teologia biblica.<br />

47 Che le apparizioni del risorto e il dono dello Spirito costituiscano due eventi <strong>di</strong>versi è evidente nel<br />

confronto tra la narrazione sinottica della pasqua e il racconto <strong>di</strong> Atti a proposito della pentecoste. Tale<br />

<strong>di</strong>fferenza è mantenuta anche da Giovanni che pure pone il dono dello Spirito nella pasqua stessa<br />

(forse già nella morte <strong>di</strong> Gesù 19,30; chiaramente nelle apparizioni del risorto 20,22-23).<br />

Di questi due eventi è importante cogliere la correlazione interiore, espressa dalla loro stessa successione;<br />

altrimenti viene meno l’unità dell’azione escatologica del Padre che ha nell’evento <strong>di</strong> Gesù la sua<br />

figura concreta esauriente. Con il dono dello Spirito santo, <strong>di</strong>stinto da Gesù, non si opera un passaggio<br />

ad un altro attore salvifico che succederebbe a Gesù relegandolo nel passato. Accade invece che giunge<br />

a compimento la stessa funzione salvifica <strong>di</strong> Gesù, il quale è salvatore non solo perché «per noi» è<br />

morto ed è stato risuscitato, ma perché ci dona lo Spirito <strong>di</strong> Dio, che tramite lui infatti viene comunicato<br />

(cfr. At 2,32-33 che rilegge in termini cristologici la profezia <strong>di</strong> Gioele citata in 2,16-21).<br />

La presenza dello Spirito non significa l’inizio <strong>di</strong> un’altra «economia» salvifica: né per lo Spirito che<br />

non ha nessuna forma incarnatoria, né per la chiesa che non succede al proprio Signore; significa invece<br />

che il rapporto salvifico tra Gesù e noi viene attuato in modo adeguato. Dopo la risurrezione <strong>di</strong><br />

Gesù da morte, a conclusione della sua vita, si tratta infatti <strong>di</strong> far sì che la vicenda umana <strong>di</strong> Gesù operi<br />

come fondamento della vicenda umana dei <strong>di</strong>scepoli; a questo scopo Gesù non si limita a presentarsi<br />

come risorto, ma dona lo Spirito <strong>di</strong> Dio (che lui stesso ha ricevuto come suo possesso).<br />

[Al riguardo cfr. il recente stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> PierGiuseppe Bernar<strong>di</strong>, Trinità e rivelazione. Le due economie in V.<br />

Losskij, Città Nuova 2004].<br />

115


2. Dal punto <strong>di</strong> vista cristologico.<br />

Con il dono dello Spirito <strong>di</strong> Dio, Gesù si manifesta salvatore in termini compiuti;<br />

non solo ha operato per noi (fino alla morte in «rappresentanza»), non solo è il vivente<br />

sempre personalmente presente ai suoi (con la risurrezione), ma è il «cristo» che<br />

comunica lo Spirito <strong>di</strong> Dio nei cuori (ponendo così la ra<strong>di</strong>ce teologica nell’intimo <strong>di</strong><br />

ogni persona).<br />

In questo modo acquista figura ultima la sua opera e la sua persona; e proprio a partire<br />

dall’azione salvifica, cioè dalla unità operativa con il Padre 48 .<br />

3. Dal punto <strong>di</strong> vista teologico.<br />

Arriva così alla sua figura compiuta anche la rivelazione <strong>di</strong> Dio. Con il dono dello<br />

Spirito il movimento con cui Dio «si comunica» all’uomo ha finalmente raggiunto<br />

l’uomo; dal Padre alla missione/incarnazione del Figlio al dono dello Spirito; dal Padre<br />

alla presenza del Figlio incarnato al dono dello Spirito effuso nei cuori.<br />

Nell’unità <strong>di</strong> questo evento sta la ragione del <strong>di</strong>scorso trinitario; non nella presunta<br />

perfezione <strong>di</strong> un rapporto «ternario», ma nell’attuazione effettiva del comunicarsi <strong>di</strong><br />

Dio che raggiunge gli uomini nella missione del Figlio e nell’effusione dello Spirito 49 .<br />

4. Dal punto <strong>di</strong> vista antropologico ed ecclesiologico.<br />

L’esistenza cristiana assume la sua forma compiuta, nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi ha accesso<br />

al Padre perché partecipa alla con<strong>di</strong>zione filiale <strong>di</strong> Gesù, nello Spirito (Rm 8,14-17;<br />

Gal 4,4-7); la relazione filiale verso il Padre si precisa come conformazione a Cristo<br />

48 Per un verso si conferma il tratto <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> Gesù; come la risurrezione portava il suggello alla pretesa<br />

<strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are personalmente l’attuazione del Regno <strong>di</strong> Dio il Padre, così la pentecoste pone<br />

Gesù come me<strong>di</strong>atore personale del dono escatologico dello Spirito <strong>di</strong> Dio (At 2,16-21. 32-33).<br />

Per un altro verso si precisa la posizione <strong>di</strong> Gesù nel mondo <strong>di</strong>vino nel fatto che viene chiarita la sua<br />

relazione allo Spirito <strong>di</strong> Dio. Gesù non è solo il singolare profeta del Regno in cui opera lo Spirito <strong>di</strong><br />

Dio (nella risurrezione: Rm 8,11; nel ministero: Mc 1,12; Mt 12,28; Lc 4,1. 14; 10,21; nel battesimo Mc<br />

1,10; nella concezione Mt 1,18. 20; Lc 1,35); Gesù è più precisamente il Figlio <strong>di</strong> Dio che dona lo Spirito<br />

<strong>di</strong> Dio (che, dopo aver ricevuto lo Spirito <strong>di</strong> Dio, lo dona perché con questo Spirito <strong>di</strong> Dio ha una<br />

relazione originaria, analoga a quella che lo lega al Padre).<br />

49 In termini più precisi, con il dono dello Spirito si precisa sia la «<strong>di</strong>vinità» <strong>di</strong> Gesù, sia la «personalità»<br />

dello Spirito santo; e su queste precisazioni si giustifica la concezione trinitaria <strong>di</strong> Dio.<br />

* Per quanto riguarda Gesù, ripren<strong>di</strong>amo l’in<strong>di</strong>cazione già espressa; la sua appartenenza al mondo <strong>di</strong>vino<br />

del Padre, implicata dalla personalizzazione del Regno <strong>di</strong> Dio nella sua vicenda, confermata dalla<br />

risurrezione ad opera del Padre, viene ultimamente giustificata dal fatto che è Gesù a far da tramite per<br />

il dono dello Spirito <strong>di</strong> Dio; il messia (l’unto <strong>di</strong> Spirito santo) non è più solo uno che riceve lo Spirito<br />

<strong>di</strong> Dio, oppure (come i profeti) uno lo promette; è invece colui che, a nome <strong>di</strong> Dio, lo comunica.<br />

* Lo Spirito santo, inoltre, in quanto donato da Gesù agli uomini a nome del Padre, si presenta in termini<br />

«personali», come il Padre e il Figlio (in analogia al Padre e al Figlio). Con la pentecoste lo Spirito<br />

non può più essere ricondotto ad una qualità <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Dio Padre o del messia e Signore Gesù.<br />

Con ciò è chiaramente intuibile che la «Trinità» non ha la sua origine dal Giudaismo, e neppure dalla<br />

mitologia e dalla filosofia dell’Ellenismo; è invece il risultato della vicenda personale <strong>di</strong> Gesù, appartiene<br />

al fatto che Gesù è la rivelazione <strong>di</strong> Dio.<br />

116


(Rm 6,1-11; Fil 2,5-11; 3,10-14; Ef 2,4-7; Col 2,6) e come vita nello Spirito (Gal 5,25;<br />

Rm 8; 1 Cor 2,10-16; 12,4-11).<br />

Per quanto riguarda il carattere «spirituale» dell’esistenza cristiana si può ancora brevemente<br />

richiamare qualche altro aspetto.<br />

Che Gesù ci renda adeguatamente suoi <strong>di</strong>scepoli con il dono dello Spirito santo manifesta<br />

il carattere «semplice» e unitario dell’agire <strong>di</strong> Dio; non si tratta infatti <strong>di</strong> tanti<br />

doni, neppure in primo luogo <strong>di</strong> tante operazioni; si tratta invece del dono <strong>di</strong>vino dello<br />

Spirito santo 50 .<br />

Dell’azione dello Spirito si possono inoltre in<strong>di</strong>care alcuni tratti <strong>di</strong> particolare rilievo.<br />

Lo Spirito realizza la presenza <strong>di</strong> Dio nella profon<strong>di</strong>tà interiore <strong>di</strong> ogni persona; e<br />

rende adatte a seguire Gesù Cristo persone in ogni caso sempre troppo deboli e limitate,<br />

sia dal punto <strong>di</strong> vista della comprensione sia dal punto <strong>di</strong> vista complessivo della<br />

vita vissuta 51 .<br />

Lo Spirito sostiene la chiesa nel dare figura cristiana alla storia che si presenta in forme<br />

sempre impreve<strong>di</strong>bili e nuove 52 .<br />

Infine, è lo Spirito a mantenere in unità la <strong>di</strong>versità delle presenze ecclesiali, dei doni<br />

e delle responsabilità, che egli stesso ha suscitato 53 .<br />

50 Il <strong>di</strong>scorso teologico sulla «grazia» (e ancor più quello popolare sulle «grazie») deve essere ricondotto<br />

al dono dello Spirito santo; non come illusoria semplificazione della complessità dell’esistenza umana,<br />

ma come unificazione <strong>di</strong> essa in un fondamento <strong>di</strong>vino (lo Spirito santo non è riducibile alle grazie, e<br />

nemmeno alla grazia intesa come trasformazione antropologica).<br />

51 * Lo Spirito «effuso nei nostri cuori» (At 2,33; Gal 4,6) realizza l’intenzione <strong>di</strong> Dio che vuole comunicarsi<br />

a noi fino a raggiungere la profon<strong>di</strong>tà interiore del nostro essere. È in questo modo che l’esistenza<br />

cristiana <strong>di</strong>venta «esperienza spirituale»; non perché si situi nell’ambito superiore dello spirito fuggendo<br />

la concretezza, ma perché pone la presenza <strong>di</strong> Dio nel «cuore» <strong>di</strong> quella concreta creatura che è<br />

l’uomo. Lo Spirito <strong>di</strong> Gesù è Spirito <strong>di</strong> Dio, in coerenza con l’incarnazione <strong>di</strong> Dio; per questo pone<br />

l’esperienza <strong>di</strong> Dio nella concreta esistenza quoti<strong>di</strong>ana (nel «tempio <strong>di</strong> Dio che siamo noi»; cfr. 1 Cor 3,16;<br />

6,19), rendendola «sacrificio vivente, santo e gra<strong>di</strong>to a Dio… culto spirituale» (Rm 12,1; cfr. Fil 3,3). È in virtù<br />

dello Spirito santo che l’esistenza cristiana può superare i limiti <strong>di</strong> una fede soltanto intellettuale, del<br />

culto rituale, e dell’obbe<strong>di</strong>enza morale (più seria, ma non ancora realmente né «filiale», né «spirituale»).<br />

* Con la sua presenza interiore inoltre lo Spirito ci adegua a seguire Gesù, ci rende cioè adatti a praticare<br />

un’esistenza che in ogni caso ci trascende (chi può vivere «come» Gesù?). Lo Spirito ci viene in<br />

soccorso non per sostituire la nostra libertà, ma per sostenere le nostre decisioni: quando si tratta <strong>di</strong><br />

comprendere Gesù (Gv 14,17.26; 16,13; 1 Cor 2,10-11), quando si tratta <strong>di</strong> vivere come Gesù (Rm<br />

8,5-11; Gal 5,16-25); quando si tratta <strong>di</strong> pregare (Rm 8,15.26-27).<br />

52 «Molte cose ho ancora da <strong>di</strong>rvi, ma per il momento non siete in grado <strong>di</strong> portarne il peso. Quando<br />

però verrà lo Spirito <strong>di</strong> verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma <strong>di</strong>rà<br />

tutto ciò che ha u<strong>di</strong>to e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve<br />

lo annuncerà» (Gv 16,13-14). Lo Spirito opera con questo scopo, che il valore definitivo dell’evento <strong>di</strong><br />

Gesù («epaphax») incontri e configuri in termini cristiani la novità indeducibile della storia. Anche Gesù<br />

riguarda il futuro, per il fatto stesso che costituisce l’evento definitivo (da questo punto <strong>di</strong> vista non si<br />

va «oltre» Gesù), tuttavia non anticipa la forma concreta della storia futura; per mantenere questa storia<br />

in coerenza con Gesù è dato lo Spirito.<br />

A questo proposito possiamo notare che la fedeltà della chiesa al proprio Signore non sta tanto (o<br />

semplicemente) nella ripresa della tra<strong>di</strong>zione ecclesiale (del vangelo <strong>di</strong>venuto tra<strong>di</strong>zione ecclesiale),<br />

quanto nella qualificazione cristiana del presente; il problema serio <strong>di</strong> ogni generazione cristiana riguarda<br />

meno il passato, a proposito del quale altri si sono responsabilmente impegnati, ma molto <strong>di</strong><br />

più il presente e il futuro che richiedono il proprio rinnovato impegno.<br />

53 L’azione dello Spirito intende preservare la chiesa tanto da una unità monolitica, quanto da una <strong>di</strong>versità<br />

<strong>di</strong>spersa; in un caso e nell’altro la chiesa non si realizzerebbe più come «corpo <strong>di</strong> Cristo» (1 Cor<br />

12-14; Ef 4,11-16). Anche a questo proposito, il rispetto della coor<strong>di</strong>nazione (tra coscienza credente –<br />

Spirito santo – libro «ispirato» – fratelli nella fede – maestri <strong>di</strong> vita – ministri or<strong>di</strong>nati) impegna tutti ad<br />

117


2. La pasqua e i misteri della vita <strong>di</strong> Gesù.<br />

Schulte-Schütz, I misteri della vita <strong>di</strong> Gesù, Mysterium Salutis 6,9.<br />

Mario Serenthà, Gesù Cristo ieri oggi e sempre, 375 (Ldc).<br />

Chistian Duquoc, Cristologia, Btc 15, Queriniana.<br />

Walter Kasper, Gesù il Cristo, Btc 23, Queriniana (la prima parte).<br />

Ellacuria – Sobrino, Mysterium liberationis, Borla 1992 (1990).<br />

Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore, Cittadella 1995 (1993).<br />

Juan José Tamayo-Acosta, 10 parole chiave su Gesù <strong>di</strong> Nazaret, Cittadella 2002 (1999)<br />

La Pasqua per quanto essenziale e illuminante non è il tutto della vicenda <strong>di</strong> Gesù: si<br />

tratta allora <strong>di</strong> riprendere l’intera vicenda <strong>di</strong> Gesù.<br />

Ci limitiamo ad alcune osservazioni.<br />

1. Aspetti e momenti rilevanti della vita pubblica.<br />

Gesù è salvatore nella completezza della sua vicenda.<br />

Tra la pasqua e l’intera sua vicenda c’è dunque una relazione da mantenere.<br />

La pasqua, staccata dal rapporto interiore con la vita, finisce <strong>di</strong> tradursi in un’idea generale;<br />

vita e morte come cifra <strong>di</strong> ogni negativo e positivo, priva <strong>di</strong> una forma concreta.<br />

Ridotta a questo livello formale e spiritualizzato, la pasqua tende a sintetizzarsi<br />

nella risurrezione; in ogni caso non illumina più, come speranza, una vita che è cammino;<br />

anzi può tendere ad esasperare l’escatologia come rifiuto della vita concreta in<br />

questo mondo.<br />

I misteri della vita <strong>di</strong> Gesù, staccati dalla pasqua o meglio considerati come previ ed<br />

autonomi rispetto alla pasqua, evidenziano l’aspetto realistico concreto della salvezza,<br />

ma rimangono strutturalmente incompiuti; perdono la tensione al compimento, che<br />

non è solo l’esito ultimo, ma anche la qualificazione precisa del cammino stesso. I<br />

miracoli, il perdono ai peccatori, l’attenzione ai poveri, la prassi storica <strong>di</strong> liberazione...<br />

senza la risurrezione da morte risultano equivocabili.<br />

Per quanto riguarda la vicenda storico terrena <strong>di</strong> limitiamo ad alcuni aspetti.<br />

a) Il Regno <strong>di</strong> Dio rivolto all’umanità concreta.<br />

b) Il cammino verso la croce.<br />

Si tratta <strong>di</strong> due momenti <strong>di</strong>stinti, attorno a cui però prende forma concreta la promessa unitaria del<br />

Regno <strong>di</strong> Dio. Nel primo momento la promessa assume la forma <strong>di</strong> attuazioni positive nei confronti<br />

<strong>di</strong> alcune questioni antropologiche <strong>di</strong> rilievo (il perdono offerto ai peccatori, i miracoli per chi è grave-<br />

una educazione esigente, non sovente non è solo faticosa ma anche deficitaria, come evidenzia in vari<br />

mo<strong>di</strong> la storia della chiesa.<br />

118


mente <strong>di</strong>sagiato, la beatitu<strong>di</strong>ne ai poveri); nel secondo momento la promessa assume la durezza della<br />

vita fino all’insuccesso storico e introduce nella realizzazione del Regno <strong>di</strong> Dio un aspetto originariamente<br />

non presente e che, in prima battuta, ne costituisce la contestazione.<br />

I. Il Regno <strong>di</strong> Dio e i segni della sua presenza.<br />

«Andate e riferite a Giovanni ciò che avere visto e u<strong>di</strong>to: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi<br />

camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sor<strong>di</strong> odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la<br />

buona novella, E beato è chiunque non sarà scandalizzato <strong>di</strong> me» (Lc 7,23-23).<br />

1. Un perdono che scandalizza.<br />

Pren<strong>di</strong>amo in conto il perdono offerto ai peccatori (e in questo contesto dovremmo<br />

anche considerare la liberazione degli ossessi).<br />

Per comprendere in modo più preciso il senso che Gesù attribuisce al suo perdono<br />

possiamo partire da questa domanda: perché gli scribi e i farisei si scandalizzano?<br />

Non certo perché i farisei non conoscano la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio; e neppure perché<br />

Gesù si <strong>di</strong>mostri indulgente e non avanzi pretese morali esigenti 54 .<br />

I. Nel perdono <strong>di</strong> Gesù è in questione Dio e il suo Regno.<br />

Un conto è pensare il perdono <strong>di</strong> Dio in relazione al dono della Legge, e un altro è<br />

prospettare il perdono in relazione all’evento nuovo e definitivo del Regno <strong>di</strong> Dio. E<br />

per quanto riguarda noi, un conto è ricondurre il vangelo a morale, un altro conto è<br />

mantenere al vangelo la qualità <strong>di</strong> buona notizia.<br />

54 Infatti quest’amico dei peccatori è al tempo stesso colui che avanza pretese morali sorprendentemente<br />

severe: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno<br />

dei cieli» (Mt 5,20). «Chiunque si a<strong>di</strong>ra con il proprio fratello, sarà sottoposto a giu<strong>di</strong>zio» (Mt<br />

5,22). «Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt<br />

5,28). «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,39). L’amico dei peccatori<br />

sembra pretendere dai suoi <strong>di</strong>scepoli un modo <strong>di</strong> vivere così esigente da sembrare impossibile. Il Gesù<br />

che annuncia: «Il regno <strong>di</strong> Dio s’è fatto vicino», è anche colui che subito aggiunge: «Convertitevi e credete<br />

nel vangelo». I peccatori che con lui fanno festa sono quelli che dall’incontro con lui ritornano<br />

trasformati. Matteo è pubblicano, ma invitato da Gesù ad essere dei suoi, lascia tutto, lascia il banco<br />

delle imposte, lascia gli affari e lo segue (cfr. Lc 5,27-28). Zaccheo è «capo dei pubblicani», ma dal<br />

giorno in cui ospita Gesù, decide <strong>di</strong> restituire il quadruplo <strong>di</strong> quello che aveva rubato e <strong>di</strong> dare la metà<br />

dei beni che gli restano ai poveri (cfr. Lc 19,1-10). La prostituta dalla quale Gesù accetta, con grande<br />

scandalo <strong>di</strong> Simone il fariseo, gesti <strong>di</strong> venerazione e <strong>di</strong> affetto, è donna a cui «molti peccati» debbono<br />

essere perdonati. Essa è amica <strong>di</strong> Gesù non per la sua vita leggera, ma per la sua fede e la sua decisione<br />

coraggiosa <strong>di</strong> ricominciare da capo (cfr. Lc 7,36-50).<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista Gesù si situa in continuità con la pre<strong>di</strong>cazione morale dei profeti. Che prendono<br />

in conto molteplici peccati (l’arbitrio nell’esercizio del potere politico da parte del re e dei suoi<br />

funzionari, le sentenze dei giu<strong>di</strong>ci corrotti, venduti al miglior offerente, l’arricchimento dei sacerdoti<br />

me<strong>di</strong>ante il culto, la pratica <strong>di</strong> riti magici e idolatrici, lo sfruttamento della vedova, dell’orfano, del povero<br />

da parte del ricco usuraio), ma riconducono ogni peccato alla sua ra<strong>di</strong>ce, all’incredulità che è idolatria<br />

(alla pretesa dell’uomo <strong>di</strong> possedere da sé il segreto della propria vita corrisponde l’idolatria, ossia<br />

il rifiuto <strong>di</strong> affidarsi a Dio).<br />

119


Senza incorre in eccessive semplificazioni possiamo abbozzare un confronto tra il<br />

Dio della Legge e il Dio del vangelo; perché del volto <strong>di</strong> Dio in ultimo si tratta.<br />

1. Dio e il dono della Legge.<br />

Il quadro complessivo pone in relazione l’azione <strong>di</strong> Dio e la risposta dell’uomo.<br />

Dio opera per primo, donando la legge; è ciò costituisce un fatto positivo perché con<br />

la legge Dio intende educare il suo popolo alla buona attuazione della propria vita; la<br />

legge non ha la qualità salvifica eminente della promessa, e tuttavia mantiene chiaramente<br />

il carattere <strong>di</strong> dono <strong>di</strong> Dio.<br />

E <strong>di</strong> fronte alla Legge <strong>di</strong> Dio l’uomo è colui che risponde, con l’obbe<strong>di</strong>enza; è questo<br />

infatti il senso originario delle opere: non tanto la pretesa <strong>di</strong> poter accampare dei meriti<br />

<strong>di</strong> fronte a Dio, quanto l’obbe<strong>di</strong>enza 55 .<br />

In questo tempo c’è posto per la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio; e il perdono serve a ricondurre<br />

l’uomo all’osservanza della legge. 56<br />

55 Questo quadro va ulteriormente precisato. Innanzitutto il rapporto <strong>di</strong> Dio all’uomo ha la forma <strong>di</strong><br />

un tutto conchiuso. C’è posto per un’ulteriore azione <strong>di</strong> Dio, ma nel futuro lontano (per quanto riguarda<br />

il giudaismo), o nella vita dopo la morte (per quanto riguarda un cristianesimo moralizzato);<br />

tuttavia, in relazione alla vita storica degli uomini, Dio ha fatto tutto ciò che doveva fare; così che per<br />

il credente tutto si riassume nell’obbe<strong>di</strong>enza alla legge. Inoltre, Dio tende ad assumere una precisa figura,<br />

<strong>di</strong> chi è sostanzialmente attivo all’inizio e alla fine, in termini per altro <strong>di</strong>versi; all’inizio nella veste<br />

<strong>di</strong> legislatore che dona la legge, alla fine nella veste <strong>di</strong> chi giu<strong>di</strong>ca l’obbe<strong>di</strong>enza. Non si ignora certo il<br />

fatto che Dio accompagna anche oggi il suo popolo; tuttavia il tempo presente è inteso fondamentalmente<br />

come il tempo degli uomini, il tempo in cui l’esperienza <strong>di</strong> Dio sta nell’osservanza della Legge.<br />

56 A questo punto è necessaria qualche precisazione sul giudaismo e in particolare sui farisei.<br />

In primo luogo le osservazioni abbozzate a proposito della legge <strong>di</strong> Dio, e del Dio della legge, sovrappongono<br />

il giudaismo del tempo <strong>di</strong> Gesù (e il successivo giudaismo rabbinico) con l’interpretazione<br />

morale del vangelo operata dai cristiani. Questa sovrapposizione ha il suo senso, perché permette <strong>di</strong><br />

rintracciare una struttura pratica e mentale comune, che possiamo denominare «fariseismo», rispetto a<br />

cui il vangelo ha qualcosa da ri<strong>di</strong>re, anche in tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo tra cristiani ed ebrei. Tuttavia non deve<br />

mascherare la <strong>di</strong>fferenza, e soprattutto non deve dare l’impressione che il «fariseismo» costituisca soltanto,<br />

o prima <strong>di</strong> tutto, un <strong>di</strong>fetto. Non è questo il senso dei testi evangelici, la cui intenzione <strong>di</strong> fondo<br />

non sta tanto nella spiegazione <strong>di</strong> una situazione in sé (la legge, i farisei, il fariseismo), quanto nella esplicitazione<br />

della novità della buona notizia, nel confronto con il contesto giudaico.<br />

Perciò, ed è la seconda osservazione, è necessaria una presentazione più completa dell’atteggiamento<br />

che i farisei esprimono. Notando che l’inizio e il cuore del <strong>di</strong>scorso è dato dalla obbe<strong>di</strong>enza alla legge,<br />

precisamente come risposta ad un dono <strong>di</strong> Dio, considerato storicamente definitivo (in attesa <strong>di</strong> quando<br />

verrà il Messia); le opere sono propriamente ciò che il credente deve compiere nel tempo presente,<br />

non ciò che l’uomo può produrre e far valere <strong>di</strong> fronte a Dio. Solo all’interno <strong>di</strong> questo atteggiamento<br />

<strong>di</strong> fondo si affaccia il limite dell’osservanza legale; per un verso si può non riconoscere il compimento<br />

della promessa e la presenza del Messia; per un altro verso si può trasformare le opere in vanto <strong>di</strong><br />

fronte a Dio (Lc 18,9-14), si può rendere sopportabile l’osservanza dei molti precetti con la scelta della<br />

tra<strong>di</strong>zione, meno esigente rispetto alla Legge (Mt 15,1-9), o con l’osservanza formale della Legge stessa<br />

(Mt 6,1-18; 23,1-32). Un rischio a cui neppure i <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Gesù sono sottratti (7,21-23 «Non chiunque<br />

mi <strong>di</strong>ce: Signore, Signore… Molti mi <strong>di</strong>ranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome<br />

e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?…»).<br />

120


2. Dio e l’evento del suo Regno.<br />

Anche in questo caso il quadro <strong>di</strong> fondo descrive l’azione preveniente <strong>di</strong> Dio che suscita<br />

la risposta dell’uomo; ma <strong>di</strong>fferente è la qualità dell’azione e della risposta.<br />

L’azione <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> cui parla Gesù infatti non è riproposizione della Legge, ma ripresa<br />

e compimento della promessa; e precisamente nella forma <strong>di</strong> un’azione definitiva, vale<br />

a <strong>di</strong>re nella forma <strong>di</strong> un’azione nuova e più precisa rispetto a qualunque azione<br />

passata, e gratuita rispetto a qualunque precedente osservanza dell’uomo. Il carattere<br />

<strong>di</strong> dono si manifesta così nella sua forma più chiara; Dio infatti opera a partire dalla<br />

sua propria intenzione, non con<strong>di</strong>ziona cioè la sua azione alla situazione dell’uomo,<br />

giusto o peccatore; unica con<strong>di</strong>zione è l’accoglienza della fede.<br />

Differente è pure la risposta dell’uomo. Al Regno <strong>di</strong> Dio infatti l’uomo risponde con<br />

la fede, cioè con l’adesione personale; possibile a tutti, perché il regno è annunciato a<br />

tutti; una fede che fa i conti con la con<strong>di</strong>zione concreta dell’uomo, ma che non è in<br />

ultimo con<strong>di</strong>zionata dal suo essere giusto o peccatore. Di fronte al Regno <strong>di</strong> Dio nessuno<br />

può accampare dei meriti; e tutti sono invitati alla fede e alla conversione.<br />

Il perdono si situa in questo contesto; è null’altro che un aspetto della novità del Regno<br />

<strong>di</strong> Dio, dal momento che l’uomo a cui Dio si rivolge è <strong>di</strong> fatto storicamente peccatore;<br />

un perdono quin<strong>di</strong> totalmente gratuito, esigente per quando riguarda la vita<br />

futura, ma semplicemente immeritato per quanto riguarda la sua origine 57 .<br />

II. Uno sviluppo antropologico.<br />

Il perdono, che è gratuito, esige la conversione e la rende possibile.<br />

Che cosa succede quando Dio perdona?<br />

Il perdono <strong>di</strong> Dio è un intervento <strong>di</strong> grande rilievo, più profondo <strong>di</strong> quanto siamo<br />

soliti considerare; un’azione «efficace», che arriva al cuore dell’uomo 58 .<br />

57 Trova così conferma la relazione già ricordata tra vangelo e morale.<br />

Il perdono infatti mantiene, da allora in poi, la caratteristica fondamentale del dono. In altre parole,<br />

non succede cioè che il vangelo sia buona notizia solo all’inizio e in seguito si trasformi semplicemente<br />

in morale. Promettente e univoca è la figura dell’agire <strong>di</strong> Dio; il Dio <strong>di</strong> Gesù è colui che mantiene fino<br />

alla fine la <strong>di</strong>sposizione al dono, e non su trasforma in un Dio che, stanco o insod<strong>di</strong>sfatto degli uomini,<br />

finisca <strong>di</strong> limitarsi a reagire ad essi. La fede e la conversione corrispondono a questo Regno e a questo<br />

Dio, come la risposta ad una presenza che sempre precede. Per questo il termine adatto per esprimere<br />

la con<strong>di</strong>zione del credente è quello <strong>di</strong> «<strong>di</strong>scepolo», cioè <strong>di</strong> colui che impara seguendo; e non solo<br />

per un breve tratto iniziale, ma per sempre. Per questo il «seguimi» <strong>di</strong> Gesù non prospetta tanto la vita e<br />

la perfezione dell’uomo come una costruzione dell’uomo (fosse pure sostenuto dalla grazia), quanto<br />

piuttosto come un cammino permanente <strong>di</strong> risposta ad una presenza sempre preveniente, un cammino<br />

in cui l’azione dell’uomo evidentemente si dà, ma come educazione sempre più profonda alla fede.<br />

58 Non si limita a «cancellare» qualcosa <strong>di</strong> negativo, ma offre positivamente una nuova possibilità <strong>di</strong><br />

vita. Non si preoccupa prima <strong>di</strong> tutto <strong>di</strong> un passato, da chiarificare e poi da superare, ma intende aprire<br />

un futuro migliore («va’ e d’ora in poi non peccare più» Gv 8,11). Non rivela la debolezza <strong>di</strong> un Dio la cui<br />

bontà consisterebbe nel «fare finta <strong>di</strong> niente, nel porre una pietra sul passato»; manifesta piuttosto la<br />

forza positiva <strong>di</strong> un Dio che supera il peccato perché si preoccupa in ogni caso della vita dei suoi figli<br />

(«era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» Lc 15,24 e 32. Cfr. Ez 33,11 «Come è vero che io<br />

vivo, oracolo del Signore Dio, io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva»). La<br />

profon<strong>di</strong>tà positiva e interiore del perdono <strong>di</strong> Dio si presenta nella sua forma più precisa se dal mo-<br />

121


Che succede all’uomo quando è perdonato?<br />

Gli si riapre una positiva speranza <strong>di</strong> vita, la possibilità <strong>di</strong> riprendere, in modo rinnovato<br />

e insperato, l’impegno <strong>di</strong> una vita promettente. Quando Dio perdona non sostituisce<br />

l’uomo sgravandolo dell’impegno della propria libertà, quanto piuttosto lo<br />

provoca ad una rinnovata responsabilità. L’amore <strong>di</strong> Dio non può essere ridotto alla<br />

forma semplificata, e alla fine ingenua, <strong>di</strong> un «condono» 59 .<br />

In questione infatti è ancora l’uomo e la sua libertà 60 .<br />

Il Regno <strong>di</strong> Dio che assume concretezza nel perdono manifesta così un tratto gran<strong>di</strong>oso<br />

e decisivo. Raggiunge l’uomo per quello che è, storicamente peccatore. Dio<br />

non rinuncia a giu<strong>di</strong>care, vale a <strong>di</strong>re a valutare la situazione dell’uomo; ma non si limita<br />

a rilevarne l’inadeguatezza, tende piuttosto oltre, alla riabilitazione dell’uomo. 61<br />

mento iniziale che stiamo considerando passiamo alla sua forma compiuta, cioè al dono dello Spirito<br />

santo da parte del Signore risorto (Lc 24,45-47; Gv 20,22-23).<br />

59 E la vita può riprendere, come conversione; vale a <strong>di</strong>re come un compito laborioso, come un lavoro<br />

«che costa», ma non già per <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> un perdono dato a metà, quanto per l’efficacia <strong>di</strong> un perdono<br />

che impegna l’uomo a rieducarsi. Il peccato infatti «lascia il segno», perché tocca l’uomo non in superficie<br />

o all’esterno ma in profon<strong>di</strong>tà; peccando, l’uomo si educa nel rifiuto <strong>di</strong> Dio; convertirsi significa<br />

quin<strong>di</strong> riformare sé stesso, il cuore e la mente, dando spazio a quel Dio da cui prima si è preso la <strong>di</strong>stanza.<br />

È questo il senso originario della «pena», non tanto un debito che deve essere pagato a Dio, in<br />

termini più o meno giusti o arbitrari; quanto la fatica inerente alla conversione stessa.<br />

60 Con il peccato, il perdono e la conversione si tratta in fondo semplicemente dell’uomo, considerato<br />

nella sua realtà più propria, interiore e profonda. Il Regno <strong>di</strong> Dio non è questione <strong>di</strong> parole o <strong>di</strong> cose<br />

da dare all’uomo, è propriamente una presenza <strong>di</strong> Dio all’uomo, a quell’uomo la cui con<strong>di</strong>zione fondamentale<br />

consiste nell’imparare a vivere, impegnando rischiosamente la propria libertà. All’uomo<br />

tende l’azione <strong>di</strong> Dio, alla ricostituzione della vita dell’uomo tende il perdono <strong>di</strong> Dio; non come sostituzione<br />

della libertà dell’uomo, quanto come fondamento della sua attuazione. A quest’uomo il perdono<br />

annuncia quin<strong>di</strong> la buona notizia che può uscire dall’ambiguità (o dall’abisso) della sua con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> peccatore; gli promette che il <strong>di</strong>fficile e decisivo lavoro dell’imparare a vivere è possibile, nonostante<br />

la fatica e gli insuccessi; nonostante l’impressione che la buona riuscita della vita costituisca un<br />

lavoro immane, superiore alle forze umane, ad<strong>di</strong>rittura terrificante se il vangelo fosse originariamente<br />

morale che pone l’uomo <strong>di</strong> fronte ad esigenze sconfinate.<br />

L’impreve<strong>di</strong>bile presenza del male, che ha nel peccato personale la sua forma più interiore all’uomo,<br />

non costituisce un destino a cui in ultimo non ci si può sottrarre.<br />

61 A proposito del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio è in<strong>di</strong>cativo il racconto <strong>di</strong> Giovanni 8,1-8.<br />

Una donna, adultera colta in flagrante, è condotta a Gesù, a cui si chiede <strong>di</strong> far da giu<strong>di</strong>ce. E Gesù fa il<br />

giu<strong>di</strong>ce, ma in modo imprevisto. Giu<strong>di</strong>ca infatti, ma non secondo la legge <strong>di</strong> Mosè, quanto secondo la<br />

promessa del Regno <strong>di</strong> Dio; a Mosè Dio <strong>di</strong>ede una legge e la relativa pena in caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza;<br />

con Gesù Dio offre gratuitamente il perdono come nuova possibilità <strong>di</strong> vita. Più precisamente Gesù<br />

mette sotto accusa gli stessi accusatori, facendoli uscire dalla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi dall’esterno considera il<br />

peccato altrui, e ponendoli personalmente <strong>di</strong> fronte alle esigenze interiori della Legge; allora, se il buon<br />

rapporto con Dio è dato dall’osservanza della Legge, nessuno più si salva, «nessuno è senza peccato».<br />

È la buona notizia del Regno a sbloccare la situazione; ma proprio per questo il giu<strong>di</strong>zio a nome <strong>di</strong><br />

Dio non si conchiude nella valutazione, ma tende alla riabilitazione <strong>di</strong> quella persona.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio autentico, perché nessuno può sottrarsi alla propria responsabilità <strong>di</strong> fronte a<br />

Dio; ma <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio che tende a salvare, perché Dio non si limita a giu<strong>di</strong>care al modo degli uomini.<br />

Una salvezza non automatica perché impegna alla risposta; ma salvezza autentica perché possibilità<br />

gratuita.<br />

122


III. Uno sviluppo cristologico.<br />

Nel perdono offerto ai peccatori, con il Regno <strong>di</strong> Dio, è pure in questione la persona<br />

<strong>di</strong> Gesù; già si abbozza una singolare unità tra l’azione <strong>di</strong> Dio e l’azione <strong>di</strong> Gesù; della<br />

azione <strong>di</strong> Dio Gesù non è solo l’annunciatore dall’esterno.<br />

Il perdono <strong>di</strong> Dio non è conosciuto e non avviene altrove se non nell’azione <strong>di</strong> Gesù.<br />

Significativo è il capitolo 15 <strong>di</strong> Lc; <strong>di</strong> fronte alla contestazione che scribi e farisei gli<br />

rivolgono («riceve i peccatori e mangia con loro»), Gesù si giustifica parlando <strong>di</strong>rettamente<br />

<strong>di</strong> Dio (con le tre parabole: della pecora perduta, della dramma smarrita e del<br />

figlio pro<strong>di</strong>go del padre buono), lasciando così intendere che è solo lui a conoscere<br />

adeguatamente la bontà <strong>di</strong> Dio, la quale si realizza precisamente nelle sue opere e<br />

viene spiegata dalle sue parole.<br />

2. I miracoli, il regno <strong>di</strong> Dio e la fede.<br />

I miracoli occupano, nel vangelo, uno spazio così rilevante da non poter essere considerati<br />

marginali, a meno <strong>di</strong> sfigurare lo svolgimento complessivo della narrazione;<br />

fin dall’inizio accompagnano la pre<strong>di</strong>cazione e l’attività <strong>di</strong> Gesù (cfr. Matteo 4,23). E<br />

tuttavia non si può <strong>di</strong>re che appartengano semplicemente al centro del vangelo, che<br />

facciano parte dell’interesse principale dell’agire <strong>di</strong> Gesù.<br />

Due tratti possono aiutarci a descrivere in modo più preciso questo strano fatto; Gesù<br />

è <strong>di</strong>sponibile al miracolo, ma nello stesso tempo vi resiste; Gesù opera miracoli<br />

per chi è nel bisogno, ma non per sé né per i <strong>di</strong>scepoli della sua cerchia.<br />

Dal primo punto <strong>di</strong> vista, non c’è dubbio che sovente i miracoli si attuano in modo<br />

molto limpido; alla richiesta, Gesù risponde con prontezza e con larghezza; <strong>di</strong> fronte<br />

alla situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio, in genere grave, Gesù non si rifiuta, anzi opera lasciandosi<br />

coinvolgere personalmente, mosso dalla «compassione». E tuttavia, Gesù non va alla<br />

ricerca <strong>di</strong> occasioni per compiere miracoli 62 .<br />

Dal secondo punto <strong>di</strong> vista, i miracoli sono rivolti all’utilità <strong>di</strong> altri, degli estranei 63 .<br />

62 In genere interviene in risposta ad una richiesta (le guarigioni operate in giorno <strong>di</strong> sabato nascono<br />

anche dall’iniziativa <strong>di</strong> Gesù, ma sono finalizzate non tanto a compiere il miracolo quanto a chiarire la<br />

questione del sabato e la signoria del Figlio dell’uomo: Lc 6,6-11; 13,10-17. La risurrezione del figlio<br />

della vedova <strong>di</strong> Nain invece avviene per chiara iniziativa <strong>di</strong> Gesù, preso dalla compassione <strong>di</strong> lei: Lc<br />

7,11-17). Di fronte alla folla la sua preoccupazione prima non è tanto la guarigione quanto la pre<strong>di</strong>cazione<br />

(Mc 1,32-39: <strong>di</strong> fronte al fatto che «tutti ti cercano» a causa delle guarigioni <strong>di</strong> malati e <strong>di</strong> ossessi,<br />

Gesù reagisce privilegiando la preghiera e la pre<strong>di</strong>cazione «An<strong>di</strong>amo altrove, nei villaggi vicini, affinché pre<strong>di</strong>chi<br />

anche là; infatti sono venuto per questo»; Mc 6,32-34 «E molti li videro partire e lo seppero, e accorsero là a pie<strong>di</strong>,<br />

da tutte le città e li prevennero. E uscendo egli vide una grande folla, e ebbe compassione <strong>di</strong> loro, poiché erano come pecore<br />

che non hanno pastore; e cominciò a insegnare loro molte cose». Per <strong>di</strong> più, a miracolo avvenuto, impone <strong>di</strong> non<br />

<strong>di</strong>vulgarne la notizia; acconsente al miracolo, ma non ne vuole la pubblicità (Mc 1,40-45; la narrazione<br />

della guarigione del lebbroso mette insieme la pronta risposta <strong>di</strong> Gesù alla supplica, l’ammonizione<br />

severa e brusca a tacere: «ammonitolo severamente, subito lo cacciò, e gli <strong>di</strong>sse: bada <strong>di</strong> non <strong>di</strong>re niente a nessuno», e<br />

l’inutilità <strong>di</strong> tale invito e l’accorrere della gente da ogni parte). Gesù svolge attività taumaturgica, ma in<br />

essa non si sente del tutto a proprio agio.<br />

63 Gesù non utilizza per sé questo potere; non intende trarre pane dalla pietre dopo il <strong>di</strong>giuno nel deserto<br />

(Mt 4,2-4), né intende supplire con un miracolo alla mancanza <strong>di</strong> una abitazione stabile (Mt<br />

8,20); neppure compie miracoli per risolvere i <strong>di</strong>sagi dei <strong>di</strong>scepoli che lo seguono ed hanno accettato il<br />

123


I. I miracoli e il loro necessario contesto, la fede nel Regno <strong>di</strong> Dio<br />

Il Regno <strong>di</strong> Dio rimane l’annuncio fondamentale entro cui si situa qualunque altro<br />

avvenimento, miracoli compresi; il Regno <strong>di</strong> Dio è ra<strong>di</strong>calmente rivolto a beneficio<br />

dell’uomo, ma a partire dall’intenzione <strong>di</strong> Dio; viceversa, l’uomo è preso in considerazione,<br />

anche nella sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> bisogno, ma nel contesto della fede suscitata<br />

dalla presenza del Regno <strong>di</strong> Dio.<br />

La fede risulta così il contesto decisivo, da un molteplice punto <strong>di</strong> vista.<br />

1. La fede è la con<strong>di</strong>zione del miracolo.<br />

È la notizia del Regno <strong>di</strong> Dio che suscita la fiducia in Dio fino alla richiesta del miracolo;<br />

e nel miracolo è questa fiducia che viene esau<strong>di</strong>ta 64 .<br />

Con la convinzione che il Padre è sempre affidabile, l’uomo bisognoso è preso in<br />

conto ed educato ad più preciso rapporto filiale con Dio, evitando i due estremi secondo<br />

cui Dio andrebbe forzato imponendosi a lui (al modo del pagano), oppure si<br />

potrebbe evitare ogni richiesta (perché troppo bassa e indegna per un Dio che si interessa<br />

<strong>di</strong> valori più elevati); in questi due casi infatti si tende ad uscire dal contesto <strong>di</strong><br />

fede.<br />

suo stile <strong>di</strong> vita. La guarigione della suocera <strong>di</strong> Pietro non cambia il quadro complessivo (Mc 1,29-31).<br />

Il <strong>di</strong>dramma per il tempio, pescato miracolosamente da Pietro, è riferito alla questione del tributo, che<br />

è logico richiedere agli estranei e non ai figli (Mt 17,24-27). La tempesta sedata è relativa alla fede, o<br />

meglio alla poca fede, dei <strong>di</strong>scepoli (Mc 4,35-41). Per Gesù, i miracoli hanno evidentemente uno scopo,<br />

in relazione alla missione da svolgere; ma non sono posti a servizio del suo interesse personale.<br />

64 Quando ci si muove in questo contesto <strong>di</strong> fiducia, il racconto evangelico si svolge in modo molto<br />

lineare; Gesù acconsente con imme<strong>di</strong>atezza («io verrò e lo guarirò… presso nessuno in Israele ho trovato una<br />

fede più grande» Mt 8,7.10; «lo voglio» Mc 1,41; «sia fatto secondo la tua fede» Mt 9,29; 19,29). Se invece manca<br />

la fede, non c’è spazio per il miracolo: Mc 6,5-6 «E non poteva fare là [a Nazaret] alcun miracolo, se<br />

non che, avendo imposte le mani a pochi infermi, li guarì. E si meravigliò a causa della loro incredulità».<br />

Mc 8,11-13 «E uscirono i farisei e cominciarono a <strong>di</strong>scutere con lui, cercando <strong>di</strong> ottenere da lui un<br />

segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ed egli, gemendo nel suo spirito, <strong>di</strong>sse: Perché questa generazione<br />

cerca un segno? In verità, vi <strong>di</strong>co, nessun segno sarà dato a questa generazione. E lasciatili, <strong>di</strong><br />

nuovo, montato in barca, se ne andò all’altra riva». Dello stesso tenore sarà il comportamento <strong>di</strong> Gesù<br />

<strong>di</strong> fronte alla curiosità <strong>di</strong> Erode (Lc 23,6-9) e alle provocazioni dei persecutori sotto la croce (Mc<br />

15,29-32).<br />

Richiedere e ricevere un miracolo da Gesù non si riduce mai ad una operazione magica, con cui ci si<br />

può appropriare, in modo impersonale, della sua forza (neppure nel caso dell’emoroissa che pure<br />

comporta anche questo aspetto, Mc 5,25-34; né in altri casi simili, Lc 6,19); è piuttosto sempre un incontro<br />

personale coinvolgente. Non si tratta, tanto meno, <strong>di</strong> una prova imposta a Gesù, quasi un tentativo<br />

<strong>di</strong> forzare la bontà <strong>di</strong>vina, al limite del ricatto (Dio è buono, ha dunque il dovere <strong>di</strong> intervenire);<br />

nella richiesta della donna cananea, che continua ad insistere dopo il brusco rifiuto iniziale, Gesù rileva<br />

non una volontà <strong>di</strong> prevaricare, quanto la fede: «o donna, la tua fede è grande; ti avvenga come vuoi», e una<br />

buona ragione: ai cagnolini si possono dare le briciole, anche se il pane è riservato ai figli. Esprime invece<br />

la fiducia che Dio può prendersi a cuore la propria con<strong>di</strong>zione, in virtù della promessa contenuta<br />

nell’annuncio del suo Regno.<br />

124


2. Il miracolo intende portare a compimento la fede.<br />

Almeno nel senso che il miracolo non segna la conclusione <strong>di</strong> un rapporto, quanto<br />

abbozza un passaggio verso un rapporto personale più ampio e preciso, dove Gesù e<br />

il Regno <strong>di</strong> Dio costituiscono un interesse più profondo, al <strong>di</strong> là della <strong>di</strong>fficoltà esistenziale<br />

che pure ha trovato una soluzione 65 .<br />

3. Al <strong>di</strong> là del miracolo sta la fede vissuta nella vita or<strong>di</strong>naria.<br />

Il miracolo, anche per coloro che lo ricevono, rimane un punto <strong>di</strong> passaggio verso la<br />

vita normale; questa è del resto l’unica con<strong>di</strong>zione per tutti quelli che il miracolo non<br />

lo ricevono, malati compresi (Gesù infatti non ha guarito tutti i malati) 66 .<br />

È questa la con<strong>di</strong>zione, generalissima per altro, <strong>di</strong> chi è invitato a vivere <strong>di</strong> fede senza<br />

miracoli; <strong>di</strong> chi trova nel vangelo il fondamento della propria vita, cioè del proprio<br />

laborioso imparare a vivere, contando sulla affidabilità del Padre, ma senza mettere in<br />

conto i miracoli. Perché tale è stato lo stile <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> Gesù; e tale è l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong><br />

Gesù per i <strong>di</strong>scepoli, a cominciare dalla loro chiamata e dall’invio in missione prima<br />

della pasqua. I miracoli riguardano appunto gli estranei 67 .<br />

65 Alle volte il racconto si conclude notando che il miracolato si pone al seguito <strong>di</strong> Gesù (il cieco <strong>di</strong><br />

Gerico in Mc 10,52) oppure viene invitato a proclamare ciò che gli era avvenuto (l’indemoniato guarito<br />

<strong>di</strong> Gerasa in Mc 5,18-20). Particolarmente in<strong>di</strong>cativa è la guarigione dei <strong>di</strong>eci lebbrosi <strong>di</strong> Lc 17,11-<br />

19; il racconto è chiaramente costruito attorno a due momenti <strong>di</strong>stinti, <strong>di</strong> cui il primo riguarda la guarigione<br />

(«mentre se ne andavano furono sanati» 14) e il secondo la salvezza («Va’, la tua fede ti ha salvato» 19);<br />

da notare è precisamente il fatto che la fede che salva, che in altre ricorrenze è posta a conclusione del<br />

miracolo stesso, viene ora invece separata dal miracolo e posta il relazione al successivo rendere gloria<br />

dell’unico lebbroso che ritorna (il samaritano, lo straniero); la salvezza operata dalla fede è quin<strong>di</strong> una<br />

con<strong>di</strong>zione ulteriore alla guarigione, un legame personale ben più consistente della fiducia iniziale, e<br />

non riducibile alla buona educazione <strong>di</strong> chi viene a ringraziare. In Lc 7,50 la formula «la tua fede ti ha<br />

salvata» è detta alla peccatrice perdonata, senza nessun riferimento a miracoli.<br />

Infine, nel vangelo <strong>di</strong> Giovanni, i miracoli sono presentati come segni (più che come espressioni <strong>di</strong><br />

potenza), precisamente perché oltrepassano l’esau<strong>di</strong>mento della richiesta e mirano al riconoscimento<br />

della persona <strong>di</strong> Gesù. Per questo, in genere, il miracolo è seguito da un <strong>di</strong>alogo esplicativo che si conclude<br />

con una confessione <strong>di</strong> fede relativa alla persona <strong>di</strong> Gesù. Questa intenzione è alle volte così<br />

chiara da lasciare l’impressione che la cura dell’uomo sofferente sia ad<strong>di</strong>rittura soltanto strumentale<br />

rispetto alla rivelazione <strong>di</strong> Gesù («Questa infermità non è per la morte, ma per la gloria <strong>di</strong> Dio, affinché il Figlio<br />

<strong>di</strong> Dio sia glorificato per mezzo <strong>di</strong> essa» <strong>di</strong>ce Gesù a proposito della malattia <strong>di</strong> Lazzaro, Gv 11,4; 11,42; cfr.<br />

9,3); in realtà, in questo modo, <strong>di</strong>venta molto chiaro il fatto che il miracolo non si conclude in sé, nel<br />

superamento del bisogno, ma tende invece ad un rapporto <strong>di</strong> fede più adeguato.<br />

66 Al <strong>di</strong> là del miracolo sta la vita nella sua realtà or<strong>di</strong>naria, quella vita in cui i miracoli non si danno<br />

(come non si ha nessun miracolo per la povera vedova che nel tesoro del tempio può gettare solo due<br />

spiccioli, Lc 21,1-4; questo gesto viene lodato, perché «ha gettato tutto il sostentamento che aveva»; tuttavia a<br />

lei non succede, a <strong>di</strong>fferenza dalla vedova <strong>di</strong> Zarepta, che gli spiccioli si moltiplichino nella borsa);<br />

quella vita dove anzi si subiscono senza riparo i colpi della sfortuna (gli uomini uccisi da Pilato e quelli<br />

su cui rovinò la torre <strong>di</strong> Siloe, Lc 13,1-5, non erano più peccatori e bisognosi <strong>di</strong> conversione degli altri<br />

Galilei né degli altri abitanti <strong>di</strong> Gerusalemme; eppure ad essi è toccata tale sorte senza rime<strong>di</strong>o).<br />

67 Per i <strong>di</strong>scepoli la questione essenziale è semplicemente la loro fede, anche quanto sono toccati da<br />

interventi particolari. In<strong>di</strong>cativo è il racconto della tempesta sedata (Mc 4,35-41); ciò che succede può<br />

certamente essere inteso come un miracolo a favore dei <strong>di</strong>scepoli; eppure la questione <strong>di</strong> fondo non è<br />

il miracolo, quanto piuttosto la fede (la mancanza <strong>di</strong> fede) dei <strong>di</strong>scepoli; i <strong>di</strong>scepoli si attendono un aiuto,<br />

neppure nella forma precisa <strong>di</strong> una richiesta quanto in quella più cauta <strong>di</strong> una osservazione («non ti<br />

importa che periamo?»; ma, anche in questa forma, la loro attesa non viene ritenuta da Gesù come espres-<br />

125


In questo contesto l’atteggiamento <strong>di</strong> Gesù appare allora coerente.<br />

Nell’evento del Regno <strong>di</strong> Dio rivolto agli uomini, un punto è sicuro, l’affidabilità <strong>di</strong><br />

Dio il Padre; mentre l’altro punto, l’atteggiamento dell’uomo, rimane ambiguo.<br />

La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> sofferenza infatti è dura, e per questo merita <strong>di</strong> essere trattata con<br />

molto rispetto; richiede tuttavia <strong>di</strong> essere educata, può infatti essere vissuta nel modo,<br />

alternativo, della fede o dell’incredulità.<br />

E per questo alla richiesta dell’uomo, Gesù si concede e resiste.<br />

II. Il significato salvifico dei miracoli.<br />

Possiamo ora abbozzare un ulteriore approfon<strong>di</strong>mento.<br />

I miracoli sono azioni unilateralmente buone 68 (non servono per castigare), e prendono<br />

in cura deficienze generalmente molto serie.<br />

I miracoli sono per la maggior parte guarigioni <strong>di</strong> malattie considerate irrime<strong>di</strong>abili,<br />

tali da mettere in questione non un aspetto o un altro della vita quanto piuttosto la<br />

sua qualità complessiva; per i ciechi, gli zoppi, i muti, i lebbrosi (tanto più per i morti)<br />

l’esistenza non si presenta più come un fatto apprezzabile, come una promessa in<br />

qualche modo ancora sempre realizzabile; è invece una vita ridotta alla sopravvivenza<br />

e affidata all’attenzione e all’elemosina altrui.<br />

In questa situazione la presenza misteriosa del male si propone in modo realistico<br />

come minaccia e contestazione della promessa implicata nell’esistenza; <strong>di</strong> fronte a tale<br />

minaccia, il miracolo rivela il suo senso: è segno dell’intervento <strong>di</strong> Dio a favore<br />

dell’uomo.<br />

Quando il Regno <strong>di</strong> Dio pre<strong>di</strong>cato da Gesù prende forma concreta allora l’uomo è<br />

liberato dal male, che si tratti del peccato o della malattia 69 .<br />

sione <strong>di</strong> fede, quanto al contrario, come mancanza <strong>di</strong> fede («Perché siete così paurosi? Come mai non avete<br />

fede?»); in quella situazione, evidentemente rischiosa, la fiducia ha un fondamento sufficiente nel fatto<br />

che Gesù c’è, e che in ogni caso ha cura dei suoi. Per i <strong>di</strong>scepoli, soprattutto, è cambiato il punto <strong>di</strong><br />

osservazione sulla vita: decisivo non è più il proprio bisogno, ma il Regno <strong>di</strong> Dio e la de<strong>di</strong>zione ad esso,<br />

al seguito <strong>di</strong> Gesù. La fede non <strong>di</strong>mentica (spiritualisticamente) le esigenze fondamentali della vita,<br />

come il pane <strong>di</strong> ogni giorno Che Gesù include nelle richieste fondamentali del Padre nostro, ma sul<br />

presupposto <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>ventati poveri a causa del Regno <strong>di</strong> Dio (Mt 6,11); come non <strong>di</strong>mentica la<br />

buona riuscita della vita <strong>di</strong> chi ha abbandonato tutto; Gesù non contesta, come egoistica, la domanda<br />

<strong>di</strong> Pietro «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che sarà dunque per noi?» (Mt 19,27), al contrario<br />

promette che «chiunque ha lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome,<br />

riceverà molto <strong>di</strong> più e ere<strong>di</strong>terà la vita eterna» (19,29).<br />

La fede implica sempre una completa rilevanza antropologica; ma la vita mantiene la sua forma or<strong>di</strong>naria,<br />

dove i miracoli non ci sono perché hanno esaurito la loro funzione; i <strong>di</strong>scepoli hanno capito che<br />

ci si può fidare del Padre senza desiderare che le pietre si trasformino in pane; che il pane può essere<br />

cercato non solo per il nutrimento or<strong>di</strong>nario ma per la vita eterna; che la vita è messa al sicuro quando<br />

viene spesa a causa del Regno <strong>di</strong> Dio (cfr. Mc 8,35-38).<br />

68 Questo aspetto va notato, precisamente in relazione al fatto che la chiesa apostolica non lo conserverà<br />

in termini così netti. At 5,1-11 (il caso <strong>di</strong> Anania e Saffira), come 1 Cor 11,30 (il caso dei malati,<br />

infermi e morti <strong>di</strong> Corinto) ripropongono infatti l’idea che il miracolo, o comunque l’intervento straor<strong>di</strong>nario,<br />

può essere rivolto a danno dell’uomo, come manifestazione dell’agire retributivo, e pedagogico,<br />

<strong>di</strong> Dio.<br />

126


Il miracolo, segno <strong>di</strong> protesta e gesto <strong>di</strong> rinnovamento.<br />

Che il miracolo sia un segno <strong>di</strong> rinnovamento è sufficientemente chiaro; l’intervento<br />

<strong>di</strong> Dio riporta l’esistenza alla sua qualità normalmente promettente.<br />

Ma tale azione esprime anche una protesta nei confronti della attuale con<strong>di</strong>zione umana;<br />

la vita non dovrebbe presentare tali ferite. Gesù si pone nella situazione <strong>di</strong><br />

Giobbe; ma, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Giobbe, vede in Dio non l’ultimo responsabile da chiamare<br />

in causa, quanto il Padre <strong>di</strong> cui ci si può fidare; la presenza misteriosa del male<br />

non è spiegata (il mistero sembra piuttosto essere ancora più fitto), ma è chiarito<br />

l’atteggiamento <strong>di</strong> Dio, ricondotto ad una bontà unilaterale, non più soggetta ad equivoci.<br />

Il miracolo, segno autentico e provvisorio.<br />

Il miracolo è così un segno autentico dell’affidabilità del Padre. Autentico perché<br />

succede realisticamente, e riguarda l’uomo sinteticamente considerato; infatti non riguarda<br />

solo l’anima, ma l’uomo considerato nella sua compiutezza.<br />

E tuttavia rimane un segno provvisorio.<br />

Non è un evento universale (concesso a tutti), né risolutivo; più precisamente, non si<br />

blocca su se stesso, ma rimanda oltre sé (per questo rimane un «segno») 70 .<br />

69 A proposito <strong>di</strong> salute e malattia, il <strong>di</strong>scorso filosofico teologico sembra muoversi oggi verso due estremi,<br />

con la tendenza a fissarsi su uno <strong>di</strong> essi; o si amplifica il senso della cura, a livello sostanzialmente<br />

clinico, investendo la scienza e la tecnica <strong>di</strong> un significato salvifico eccessivo, o si accentua il<br />

senso del limite, con uno sviluppo morale spirituale che privilegia la libertà in un contesto pratico e<br />

penitenziale (la malattia come tempo del volere). Si può presumere che la questione richieda una antropologia<br />

più complessa e più completa; la salute va intesa certamente come un buon funzionamento<br />

dell’organismo, <strong>di</strong> cui però si coglie la rilevanza simbolica come in<strong>di</strong>cativa della promessa insita nella<br />

vita (riguarda cioè il corpo, preso in conto come espressione della singolarità spirituale dell’uomo); si<br />

mantiene così la correlazione tra la creazione e la risurrezione (l’inizio e il compimento), in una tensione<br />

tra due aspetti (la salute non è solo strumentale, e tuttavia non è neppure assoluta; la salute è in<strong>di</strong>ce<br />

della promessa della vita, ma è pure finalizzata ad un vivere più complessivo). Contesto del <strong>di</strong>scorso è<br />

quin<strong>di</strong> il rapporto tra promessa e fede (tra promessa ed esperienza del male), non solo tra libertà e<br />

prova; è in questo contesto che i miracoli <strong>di</strong> Gesù risultano in<strong>di</strong>cativi e vanno presi in conto (invece<br />

che considerati secondari).<br />

70 In duplice modo. In riferimento al fatto che l’esistenza dell’uomo è finita, e non può presumere <strong>di</strong><br />

durare illimitatamente, il miracolo è «segno» perché, mentre risolve un momento <strong>di</strong>sagevole della esistenza,<br />

rimanda ad un compimento solo promesso e non ancora realizzato; si può perfino essere risuscitati<br />

dai morti (come Lazzaro), ma con ciò non si sono risolti i problemi della vita. In riferimento al<br />

fatto che l’esistenza dell’uomo poggia ultimamente non su <strong>di</strong> sé ma su Dio, il miracolo è «segno» perché<br />

nel rinnovamento <strong>di</strong> un aspetto concreto dell’esistenza, lascia intravedere che l’azione <strong>di</strong> Dio ha<br />

un’altra compiutezza e si pone complessivamente ad un altro livello. «Sta scritto che non <strong>di</strong> solo pane vivrà<br />

l’uomo» (Mc 1,4); la riuscita dell’esistenza non si risolve nel pane, nella salute, nella convivenza umana.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista l’agire taumaturgico <strong>di</strong> Gesù significa che il Regno <strong>di</strong> Dio assume la con<strong>di</strong>zione<br />

antropologica (invece che negarla o renderla marginale), e la precisa ulteriormente (in un rapporto<br />

compiuto con Dio).<br />

127


3. La beatitu<strong>di</strong>ne dei poveri.<br />

«Beati voi poveri… perché vostro è il Regno <strong>di</strong> Dio» (Lc 6,20).<br />

Con i peccatori e con i malati, anche i poveri costituiscono il riferimento privilegiato<br />

del Regno <strong>di</strong> Dio rivolto al bene dell’uomo; anzi, nella situazione <strong>di</strong> povertà il <strong>di</strong>sagio<br />

della vita si presenta nella sua forma più normale e più <strong>di</strong>ffusa, e mette in causa, al <strong>di</strong><br />

là delle singole persone, il fatto complessivo della convivenza umana, economico politica.<br />

Anche da questo punto <strong>di</strong> vista, che risulta particolarmente complesso, si tratta <strong>di</strong> cogliere<br />

la rilevanza antropologica della fede, cercando <strong>di</strong> evitare semplificazioni o posizioni<br />

ideologiche sempre in agguato 71 .<br />

Proviamo allora ad abbozzare qualche osservazione fondamentale.<br />

I. Una prima in<strong>di</strong>cazione riguarda Gesù stesso.<br />

La prassi e il messaggio <strong>di</strong> Gesù sulla povertà è complesso perché nella povertà Gesù<br />

si situa e intende rimanerci, conferendole un valore esemplare 72 .<br />

Il fatto che Gesù assuma personalmente una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> povertà, <strong>di</strong> emarginazione,<br />

<strong>di</strong> ingiustizia subìta, in<strong>di</strong>ca che queste esperienze antropologiche devono in qualche<br />

modo essere affrontate e attraversate.<br />

II. Una seconda in<strong>di</strong>cazione riguarda l’antropologia.<br />

Almeno da un duplice punto <strong>di</strong> vista.<br />

In primo luogo, la povertà tra libertà e idolatria.<br />

Una prima in<strong>di</strong>cazione sta in un duplice orientamento, all’apparenza paradossale.<br />

Per un verso la povertà va cercata, come un bene sommamente desiderabile, come<br />

espressione <strong>di</strong> quella libertà autentica che il Regno <strong>di</strong> Dio rende possibile 73 .<br />

71 Nei confronti dei poveri la prassi e il messaggio <strong>di</strong> Gesù hanno una figura <strong>di</strong>versa da quella assunta<br />

nei confronti dei peccatori e dei malati; Gesù non opera fattivamente con qualche azione risolutiva; la<br />

sua stessa pre<strong>di</strong>cazione, che pure non perde la concretezza della parola profetica, acquista con maggiore<br />

chiarezza un tratto sapienziale (la riflessione del saggio). Gesù è taumaturgo, è profeta del perdono,<br />

ma non uomo economico politico. La cosa è singolare se ci si situa nel generale contesto giudaico (sia<br />

in relazione alla promessa, sia in relazione alla legge; soprattutto in prospettiva messianica); non perché<br />

manchino figure <strong>di</strong> dottori e <strong>di</strong> saggi (che non sono attivisti politici), ma perché la «salvezza» è sempre<br />

intesa come attuazione <strong>di</strong> una forma storico mondana.<br />

72 In termini più positivi che non nei confronti dei miracoli, compiuti per altri e rifiutati a sé; come nei<br />

confronti del peccato, da cui è personalmente indenne e in cui si trova coinvolto al modo <strong>di</strong> una singolare<br />

«rappresentanza».<br />

73 Il denaro può prendere il posto <strong>di</strong> Dio (Mt 6,24; cfr. «l’avarizia insaziabile che è idolatria» <strong>di</strong> Col 3,5), e<br />

la ricchezza può chiudere le persone nel proprio egoismo (come il ricco insensato che pensa <strong>di</strong> godersi<br />

il frutto del buon raccolto, Lc 17,13-21; come il ricco che fa festa ogni giorno e non si accorge del povero<br />

Lazzaro che siede alla porta, Lc 16,19-31). Di fronte a questa situazione l’avvertimento evangelico<br />

è così netto da non sopportare alcun addomesticamento : «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra<br />

128


Per un altro verso la povertà va superata, e la presenza del Regno <strong>di</strong> Dio stimola<br />

l’uomo a comportarsi realisticamente da buon amministratore delle risorse che Dio<br />

gli ha messo a <strong>di</strong>sposizione 74 .<br />

L’annuncio della buona notizia è per i poveri promessa <strong>di</strong> liberazione, e per i ricchi<br />

invito alla povertà.<br />

La con<strong>di</strong>zione umana, anche dal punto <strong>di</strong> vista dei beni, ha bisogno <strong>di</strong> essere educata;<br />

e, anche su questo versante, l’incontro <strong>di</strong> fede con Gesù può realizzarsi o fallire 75 .<br />

In secondo luogo, la povertà tra coscienza e istituzioni.<br />

La promessa e l’appello implicati nella pre<strong>di</strong>cazione del Regno <strong>di</strong> Dio sono rivolte <strong>di</strong>rettamente<br />

alla coscienza personale; e solo attraverso la coscienza personale si aprono<br />

alla situazione oggettiva delle strutture e delle istituzioni sociali.<br />

La pre<strong>di</strong>cazione del Regno <strong>di</strong> Dio non riguarda <strong>di</strong>rettamente le forme istituzionali<br />

della società, che peraltro vengono lasciate nell’indeterminato 76 ; si rivolge invece <strong>di</strong>rettamente<br />

alle coscienze, richiedendo la fede e la conversione 77 .<br />

consolazione» Lc 6,24; «Quanto <strong>di</strong>fficilmente entreranno nel Regno <strong>di</strong> Dio quelli che hanno ricchezze!… È più facile<br />

che un cammello passi per il foro dell’ago, che un ricco entri nel regno <strong>di</strong> Dio…» Mc 10,23-27. In ogni caso, dal<br />

momento in cui il Regno escatologico <strong>di</strong> Dio si affaccia al mondo umano, l’abbondanza dei beni non è<br />

più il segno della bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Dio.<br />

74 I poveri non sono beati perché sono poveri (e tali dovrebbero rimanere), ma perché Dio si preoccupa<br />

<strong>di</strong> loro (in vista <strong>di</strong> una loro liberazione, la cui figura rimane per altro oscura). E la scelta <strong>di</strong> povertà<br />

a cui si è invitati non avviene nei confronto <strong>di</strong>retto con i beni (in relazione al loro presunto valore o<br />

<strong>di</strong>svalore) quanto nei confronti del Regno <strong>di</strong> Dio e della novità <strong>di</strong> orizzonti che il Regno porta con sé.<br />

La responsabilità nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> ogni risorsa della creazione è supposta nel fatto che costantemente<br />

l’uomo è invitato a comportarsi come un buon lavoratore, come un buon amministratore dei talenti<br />

ricevuti (Mt 25,14-30). Infine, dal momento che i beni della creazione non servono a Dio ma all’uomo,<br />

l’in<strong>di</strong>cazione evangelica si concentra drasticamente nella cura dell’uomo bisognoso preso in considerazione<br />

a partire dalle sue necessità più elementari (nel giu<strong>di</strong>zio finale secondo Mt 25,31-46 la fede in<br />

Dio si identifica con l’amore all’uomo; senza confusioni, e tuttavia in termini molto netti).<br />

75 Come nel caso dei <strong>di</strong>scepoli (che possono <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver lasciano tutto, Mc 10,28) e <strong>di</strong> Zaccheo (che<br />

restituisce e dona, ma non è invitato a lasciar tutto, Lc 19,1-10); oppure come nel caso dell’uomo ricco<br />

(che Mc 10,17-22 presenta come istruttivo per l’esistenza cristiana come tale).<br />

76 Non si tratta per questo <strong>di</strong> ignorarne il significato. Queste forme oggettive costituiscono un modo<br />

fondamentale <strong>di</strong> educazione, almeno nel senso che è in esse e per esse che si viene introdotti al senso e<br />

alla pratica della vita umana. Sono esse che rendono concreto il desiderio <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong> bene in forma<br />

più stabile e universale, al <strong>di</strong> là degli aggiustamenti utili, necessari, ma provvisori dell’impegno personale<br />

singolo (la giustizia è qualcosa <strong>di</strong> più preciso dell’elemosina). Sono esse che danno concretezza<br />

e permettono la pratica quoti<strong>di</strong>ana della vita normale; è in virtù <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>namento sociale sod<strong>di</strong>sfacente<br />

che non si è obbligati ad un eroismo sovente impossibile. Inversamente, sono le forme sociali<br />

deboli o imprecise, che rendono <strong>di</strong>fficile l’educazione, aggravano l’impegno personale in supplenze<br />

impossibili, o esigono l’eroismo <strong>di</strong> un impegno alternativo.<br />

Delle istituzioni occorre piuttosto cogliere la estrema storicità. Le forme collettive sono molto <strong>di</strong>pendenti<br />

dalla mobilità della storia, dalle sensibilità culturali delle <strong>di</strong>verse epoche, dalle possibilità effettive<br />

<strong>di</strong> realizzazione (un conto è la società antica, un conto la società dell’antico regime, un conto la società<br />

moderna; un conto è un contesto <strong>di</strong> cristianità, un conto una società pluralista). E risultano storiche,<br />

quin<strong>di</strong> problematiche e suscettibili <strong>di</strong> cambiamento, nel momento stesso in cui prendono forma. In<br />

una società secolarizzata e pluralista la con<strong>di</strong>zione delle coscienze risulta poi particolarmente complessa;<br />

venuto meno il rapporto realistico alla trascendenza, venuto meno un consenso universale su ciò<br />

che merita rispetto, le coscienze si trovano facilmente <strong>di</strong>sorientate, quasi abbandonate a sé stesse. Si<br />

richiede allora un’educazione più precisa, più elevata e meno banale, più libera e più consapevole; si<br />

richiede un senso più vivo e più profondo del <strong>di</strong>alogo, nel rispetto delle convinzioni e nella serietà <strong>di</strong><br />

un rapporto critico. Non si è destinati allo scetticismo delle convinzioni soggettive incomunicabili e<br />

129


Il Regno <strong>di</strong> Dio e la coscienza credente.<br />

Di fronte al Regno <strong>di</strong> Dio ci sta quin<strong>di</strong>, semplicemente, il credente.<br />

Vale a <strong>di</strong>re: ci sta l’uomo che si sa accolto nella concretezza della propria con<strong>di</strong>zione;<br />

ma che non impone le proprie esigenze (culturalmente precisate) all’agire <strong>di</strong> Dio; decisioni<br />

e convinzioni a proposito della società sono il frutto (eventualmente anche vario)<br />

della fede, non con<strong>di</strong>zione per la fede 78 .<br />

II. Il cammino verso la croce.<br />

Da un certo momento tale prospettiva è chiaramente presente nella mente <strong>di</strong> Gesù.<br />

Si opera così una «svolta» nella vicenda <strong>di</strong> Gesù (Mc 8,27-33).<br />

Proviamo allora a descriverla con maggiore precisione.<br />

1. Gesù scelse <strong>di</strong> morire?<br />

Raggiungere la certezza sul fatto che Gesù previde e accettò volontariamente la propria<br />

morte è <strong>di</strong> importanza fondamentale per comprendere la vita <strong>di</strong> Gesù e decidere<br />

se credere in lui. Diversamente, la morte <strong>di</strong> Gesù perde il suo preciso significato salvifico;<br />

la sua morte può ancora essere intesa come un martirio eroico, il prezzo che<br />

dovette pagare per non tra<strong>di</strong>re la verità, ma si tratterebbe <strong>di</strong> una verità soltanto presunta<br />

e <strong>di</strong>mostratasi in ultimo illusoria. L’accadere del Regno <strong>di</strong> Dio si sarebbe in re-<br />

inverificabili, quanto ad una ricerca più complessa e profonda della verità. È anche alla loro formazione<br />

che tende l’atteggiamento personale, l’impegno profetico, l’intuizione utopica.<br />

77 Si in<strong>di</strong>rizza quin<strong>di</strong> alla ra<strong>di</strong>ce personale <strong>di</strong> ogni forma istituzionale, che non può mai essere semplicemente<br />

oggettivata rispetto alle coscienze personali. Viene così in evidenza la figura sostanziale<br />

dell’impegno; esigendo la fede e la conversione personale il vangelo manifesta che nessuno può tirarsi<br />

fuori, affidando semplicemente ad altri (alle istituzioni) la cura della società (non è questo il comportamento<br />

del buon samaritano, il senso dell’obolo della vedova, l’atteggiamento <strong>di</strong> servizio in relazione<br />

all’esercizio del potere…). Senza il consenso soggettivo personale delle coscienze le forme istituzionali<br />

rimangono in<strong>di</strong>cazioni o opportunità poco operanti; strutture senza anima, forme oggettive facilmente<br />

riducibili a tecniche prive <strong>di</strong> scopi: da esse ci si attende la realizzazione della giustizia nel momento<br />

stesso in cui si prendono le <strong>di</strong>stanze dagli impegni che richiedono (la legge oggettiva è ciò che si vuole<br />

per la società e si cerca <strong>di</strong> schivare personalmente). Senza il rimando alle coscienze neppure il cambiamento<br />

delle strutture risulta possibile ed efficace; il buon or<strong>di</strong>namento della società non avviene per<br />

decreto; ad<strong>di</strong>rittura succede che lo sviluppo giuri<strong>di</strong>co, separato dalle coscienze, <strong>di</strong>venti una macchina<br />

che complica i rapporti, invece <strong>di</strong> renderli più praticabili, moltiplicando le regole, le garanzie, le burocrazie<br />

(inefficaci per delle coscienze che agli impegni non intendono sottomettersi).<br />

78 La pre<strong>di</strong>cazione del Regno <strong>di</strong> Dio, con la promessa che porta con sé, si rivolge all’uomo (barbaro o<br />

acculturato, secolarizzato, malato, sfiduciato, povero…) e se ne prende cura; infonde fiducia, oltre i<br />

limiti delle attuazioni storiche, richiede la fede, come impone la conversione. Quando si incontra il<br />

vangelo non si può più rimanere quelli <strong>di</strong> prima, né verso sé stessi, né verso il prossimo, né verso la<br />

società. Le concrete con<strong>di</strong>zioni dell’esistenza non possono tuttavia <strong>di</strong>ventare con<strong>di</strong>zioni previe alla fede<br />

stessa (per cui, per essere cristiani, oggi, sarebbe necessario aver già preso delle decisioni specifiche<br />

circa la situazione umana o sociale, perché nella nostra cultura è ovvio che determinati aspetti sono<br />

rilevanti e vanno vissuti in un determinato modo). I segni dei tempi non sono identici al segno del<br />

tempo escatologico. Le istanze antropologiche sono sempre questioni serie; ma se si presentano come<br />

con<strong>di</strong>zioni previe alla fede tendono a strumentalizzare il vangelo, in cui trovano un alleato facile ma <strong>di</strong><br />

cui evitano il giu<strong>di</strong>zio ra<strong>di</strong>cale.<br />

130


altà semplicemente interrotto; il significato salvifico <strong>di</strong> quella morte «per noi» sarebbe<br />

soltanto un’interpretazione ingiustificata prodotta dai <strong>di</strong>scepoli (è questa la normale<br />

lettura <strong>di</strong> quanti <strong>di</strong>vidono il Gesù della storia dal Cristo della fede). E nessuno <strong>di</strong> noi<br />

potrebbe ritenere che quella de<strong>di</strong>zione fino alla morte lo riguarda personalmente 79 ;<br />

quella de<strong>di</strong>zione infatti non sarebbe mai esistita.<br />

A proposito della sua morte (e della sua risurrezione) Gesù non formulò un annuncio<br />

così completo e chiaro come espresso nella triplice profezia; o meglio, la prospettiva<br />

verso la morte è per lui del tutto chiara, al punto che Pietro vi reagisce con forza, ma<br />

il senso <strong>di</strong> tale cammino rimane per i <strong>di</strong>scepoli avvolto nell’oscurità 80 .<br />

Allusioni più sicure alla propria morte futura si trovano in altre parole <strong>di</strong> Gesù, sulla<br />

cui storicità non è ragionevole dubitare. Si pensi soprattutto a quelle parole che, non<br />

essendo espressamente annunci della morte imminente (in quanto si riferiscono ad<br />

argomenti del tutto <strong>di</strong>versi), lasciano però trasparire la consapevolezza che Gesù ha<br />

<strong>di</strong> dover morire. Esempi significativi sono la risposta ad Erode, che lo minacciava 81 , e<br />

il «guai» rivolto agli scribi e farisei 82 . A questi testi possiamo aggiungere le parole <strong>di</strong><br />

Gesù relative al battesimo che deve ricevere e al calice che deve bere 83 .<br />

L’in<strong>di</strong>cazione più precisa la darà Gesù stesso nel gesto dell’ultima cena. Le parole con<br />

cui accompagna, esplicitandone il senso, il gesto <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>zione del pane e del calice<br />

esprimono la consapevolezza della morte imminente e il senso salvifico che vi attribuisce<br />

84 .<br />

79 A torto Paolo avrebbe scritto: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo<br />

vive in me. Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio <strong>di</strong> Dio, che mi ha amato<br />

e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).<br />

80 Dopo il secondo annuncio Marco nota: «Essi però non comprendevano queste parole e avevano<br />

timore <strong>di</strong> chiedergli spiegazioni» (9,32); ed introduce il terzo annuncio con una frase che ha tutta l’aria<br />

<strong>di</strong> essere un ritratto realistico dell’atteggiamento <strong>di</strong> Gesù e dei suoi, ormai <strong>di</strong>retti verso Gerusalemme:<br />

«Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti;<br />

coloro che venivano <strong>di</strong>etro erano pieni <strong>di</strong> timore» (10,32).<br />

E Luca, a conclusione del terzo annuncio, scrive: «Ma non compresero nulla <strong>di</strong> tutto questo; quel parlare<br />

restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto» (18,34).<br />

81 «Andate a <strong>di</strong>re a quella volpe: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo<br />

giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada,<br />

perché non è possibile che un profeta muoia fuori <strong>di</strong> Gerusalemme» (Lc 13,32-33).<br />

82 «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e<br />

<strong>di</strong>te: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue<br />

dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, <strong>di</strong> essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, voi<br />

colmate la misura dei vostri padri» (Mt 23,29-32).<br />

83 «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che<br />

devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,49-50). «Voi non sapete ciò<br />

che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?»<br />

(Mc 10,38) [quanto al calice cfr. l’agonia, Mt 26,39).<br />

84 «Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la bene<strong>di</strong>zione, lo spezzò e lo <strong>di</strong>ede<br />

ai <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong>cendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo aver reso<br />

grazie, lo <strong>di</strong>ede loro, <strong>di</strong>cendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato<br />

per molti, in remissione dei peccati. Io vi <strong>di</strong>co che ora non berrò più <strong>di</strong> questo frutto della vite fino al<br />

giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26.26-29) (cfr. Mc 14,22-25; Lc<br />

22,19-20; 1 Cor 11,23-25). A questo riguardo, gli storici si esprimono con una certa cautela, a proposito<br />

<strong>di</strong> singoli aspetti (circa la storicità delle parole sul calice; il significato salvifico è presente in termini<br />

generali, senza riferimento a specifiche categorie).<br />

131


2. Il cammino verso la croce e il Regno <strong>di</strong> Dio.<br />

Ossia: che ne è della promessa insita nell’annuncio del Regno <strong>di</strong> Dio?<br />

Pren<strong>di</strong>amo in conto la questione da alcuni punti <strong>di</strong> vista.<br />

I. Fino a che punto Dio è veramente «per» noi?<br />

È inequivocabilmente per noi? 85 O non anche, qualche volta almeno, contro <strong>di</strong> noi?<br />

Con il cammino verso la croce viene introdotta nella vita <strong>di</strong> Gesù e dei <strong>di</strong>scepoli la<br />

presenza della lotta, della sofferenza, della rinuncia. Ma notiamo: con ciò non è il volto<br />

<strong>di</strong> Dio che cambia, è piuttosto l’esistenza umana che manifesta in modo chiaro la<br />

sua drammatica ambiguità.<br />

Il vangelo non offre nessuna ragione per pensare che il Dio della buona notizia abbia<br />

cambiato atteggiamento; per Gesù, il Padre rimane assolutamente degno <strong>di</strong> fiducia.<br />

Ciò che <strong>di</strong> negativo si presenta nella vita non si riflette su Dio deformandone il volto.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista, la buona notizia rimane il punto decisivo dell’annuncio <strong>di</strong><br />

Gesù e non subisce nessuna trasformazione.<br />

È piuttosto l’esistenza umana a rivelare una ra<strong>di</strong>cale ambiguità. Il male, che fin<br />

dall’inizio era presente ma pareva superato dal perdono e dai miracoli, si presenta ora<br />

con una forza imprevista. Al <strong>di</strong> là dei miracoli, <strong>di</strong> cui viene così confermato il limite<br />

salvifico, sta la vita normale, nel suo <strong>di</strong>fficoltoso svolgimento, anzi nella sua ineluttabile<br />

destinazione alla morte, resa caso mai più grave da una condanna ingiusta.<br />

In questo modo la promessa, originariamente insita nella vita e riproposta dal Regno<br />

<strong>di</strong> Dio, viene certamente messa in <strong>di</strong>scussione e posta <strong>di</strong> fronte al rischio <strong>di</strong> un fallimento<br />

ra<strong>di</strong>cale.<br />

Ma con tutto ciò, il vangelo rimane «vangelo».<br />

Gesù non pone nella vita una sofferenza che non ci sarebbe; caso mai la evidenzia,<br />

senza sfuggirla né addomesticarla. Nella vita annuncia invece come permanente la<br />

85 «Che <strong>di</strong>remo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro <strong>di</strong> noi? Egli che non ha risparmiato<br />

il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi<br />

accuserà gli eletti <strong>di</strong> Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Gesù Cristo, che è morto, anzi che è risuscitato,<br />

sta alla destra <strong>di</strong> Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore <strong>di</strong> Cristo? Forse la<br />

tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nu<strong>di</strong>tà, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:<br />

“Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello”. Ma in tutte queste<br />

cose noi siamo più che vincitori per virtù <strong>di</strong> colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né<br />

morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profon<strong>di</strong>tà,<br />

né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore <strong>di</strong> Dio, in Cristo Gesù nostro Signore» Rm 8,31-<br />

39.<br />

132


presenza salvifica <strong>di</strong> Dio, quella presenza che noi abitualmente non ve<strong>di</strong>amo e a proposito<br />

della quale siamo per lo meno tremendamente dubbiosi 86 .<br />

86 La prospettiva della croce non altera la buona notizia, piuttosto permette una lettura più completa<br />

della con<strong>di</strong>zione umana e una comprensione più complessa dell’azione <strong>di</strong> Dio.<br />

I. Al centro del vangelo sta la paternità <strong>di</strong> Dio.<br />

* La bontà del Padre non viene offuscata né da un riferimento alla sua eventuale responsabilità <strong>di</strong> creatore<br />

(il «Signore del cielo e della terra» [Mt 11,25] non è trascinato in qualche connivenza o compromesso<br />

con il male presente nella sua creazione), né dalla scarsa efficacia storica della sua azione (dal fatto cioè<br />

che il mondo continua sostanzialmente come prima, e Dio, scandalosamente, gli lascia libero corso;<br />

l’insistenza nella preghiera [Mt 7,7-11; Lc 11,5-13; 18,1-8] suppone il permanere <strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong><br />

lotta e <strong>di</strong> tentazione; che i capelli siano contati e che la vita dei <strong>di</strong>scepoli valga più dei passeri [Mt<br />

10,28-33] vince il timore ma non cambia la con<strong>di</strong>zione rischiosa <strong>di</strong> chi può perdere la vita).<br />

* Più precisamente, Gesù legge l’azione <strong>di</strong> Dio nel mondo con una nettezza che, alla nostra riflessione,<br />

costituisce una evidente parzialità: Dio lascia intravedere la sua bontà in ciò che <strong>di</strong> positivo succede,<br />

ma il negativo, che pure succede, <strong>di</strong> lui non <strong>di</strong>ce più nulla. Gesù rileva la cura per gli uccelli del cielo e<br />

per i gigli del campo (Mt 6,25-34), ma non nota che anche gli uccelli sono lasciti morire, e il fatto che<br />

l’erba del campo è falciata e buttata nel forno non serve a ricordare l’inesorabile finitezza della vita<br />

quanto a confermare, per contrasto, la cura <strong>di</strong> Dio. A Dio si addebita il sole e la pioggia data ai buoni e<br />

ai malvagi (Mt 6,43-48), ma i rovesci della natura non entrano nel <strong>di</strong>scorso.<br />

In altre parole, Dio si manifesta adeguatamente nella sua azione storica, nell’attuazione del suo Regno<br />

così come lo concepisce Gesù, non nel contesto generale del problema dell’essere, né nella pura simbolicità<br />

che il mondo e l’uomo esprimono verso la trascendenza. Gesù utilizza questi aspetti (nei <strong>di</strong>scorsi<br />

e nella parabole), ma non parte <strong>di</strong> lì; la paternità <strong>di</strong> Dio non è spiegata a partire dalla paternità (o<br />

maternità) degli umani, nonostante l’accenno <strong>di</strong> Mt 7,9-11.<br />

* Il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio esula dall’intenzione <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> cui si annuncia il Regno, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto si<br />

attende Giovanni il battista (Mt 3,1-12; 11,2-6); non perché non sia in qualche modo implicato, ma<br />

perché è rimandato alla fine, con il senso preciso <strong>di</strong> richiamare all’uomo che non può sottrarsi alla responsabilità<br />

delle proprie decisioni, e non con lo scopo <strong>di</strong> alludere ad un possibile (o doveroso) cambiamento<br />

in Dio che smetterebbe <strong>di</strong> comportarsi come salvatore. La giustizia <strong>di</strong> Dio rimane interna<br />

alla buona notizia, non un fatto successivo e autonomo; per quanto, ai nostri occhi, ciò rimanga uno<br />

scandalo, su cui dovremo ritornare a riflettere.<br />

* D’altra parte l’azione benevola <strong>di</strong> Dio non cancella la drammaticità della con<strong>di</strong>zione umana. Per noi,<br />

il fatto che Dio «lasci fare», che il corso degli eventi «vada per conto suo», è una ragione sufficiente per<br />

protestare contro <strong>di</strong> lui e per dubitare della sua affidabilità. Non così per Gesù; per lui, Dio è Padre in<br />

modo del tutto univoco. Anzi, per cogliere con correttezza il messaggio <strong>di</strong> Gesù circa la paternità <strong>di</strong><br />

Dio va notato con attenzione che bontà <strong>di</strong> Dio e malvagità del mondo si danno storicamente insieme;<br />

Gesù non lascia mai intendere (neppure con i miracoli) che Dio, essendo sommamente buono, si impegnerebbe<br />

a togliere alla vita ogni dolore e ogni asprezza. L’aspetto straor<strong>di</strong>nario che l’annuncio <strong>di</strong><br />

Gesù comporta sta invece precisamente nella convinzione che, in un mondo che rimane quello che è,<br />

Dio merita assoluta fiducia, anche per chi è invitato a «prendere ogni giorno la sua croce» (Lc 9,23) e può<br />

trovarsi nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> dover «dare la vita» (Mt 17,24-27).<br />

II. Si precisa il quadro complessivo dell’esistenza umana.<br />

Dal momento che la croce sta dentro il vangelo, ma non ne costituisce il centro, l’esistenza umana interpretata<br />

dalla fede cristiana non può essere riassunta in un rapporto semplificato <strong>di</strong> sopportazione e<br />

retribuzione; secondo cui la vita storica sarebbe purtroppo qualificata dal peccato e dal castigo, e in<br />

relazione alla sopportazione della croce, Dio risponderebbe, come giusto giu<strong>di</strong>ce, con il premio della<br />

vita eterna. L’esistenza umana mantiene invece la sua figura cristiana originaria, quella secondo cui<br />

l’azione <strong>di</strong> Dio corrisponde al desiderio umano e lo conduce, nella fede, all’esau<strong>di</strong>mento; la presenza<br />

ra<strong>di</strong>cale del male non cambia il quadro, soltanto lo spiega in termini più realistici, in relazione al suo<br />

effettivo svolgimento, dall’inizio fino al suo compimento.<br />

Che il Regno <strong>di</strong> Dio abbia la qualità positiva del tesoro e della perla preziosa rimane costantemente<br />

vero, anche se la pratica, derivante da questa scoperta, richiede una laboriosa e rischiosa risposta. Il<br />

seminatore raccoglierà la messe, nonostante il seme inutilmente sparso sul terreno infruttuoso (Mc<br />

4,1-9) e la presenza della zizzania seminata dall’uomo nemico (Mt 13-24-30). E gli alberi daranno il<br />

loro frutto, anche se il fico infruttuoso va curato (Lc 13,6-9) e la vite potata (Gv 15,2). E la casa, co-<br />

133


II. E Gesù Cristo, da che parte sta?<br />

Dalla parte <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong> fronte a noi? O, a nome <strong>di</strong> Dio, con noi?<br />

La svolta della croce, che prima <strong>di</strong> tutto riguarda Gesù stesso, trasforma il suo rapporto<br />

con l’umanità invitata a credere, e lo approfon<strong>di</strong>sce.<br />

Un breve confronto con i miracoli lo rende evidente.<br />

Nell’attività taumaturgica Gesù esprime, con quella <strong>di</strong> Dio, anche la sua personale<br />

bontà, la sua «compassione»; ma in un rapporto che rimane relativamente esterno.<br />

Gesù opera come dall’alto, a nome <strong>di</strong> Dio; e si situa <strong>di</strong> fronte a chi patisce la durezza<br />

della vita; da questa posizione offre il suo aiuto. Pur nella sua autenticità, tale gesto<br />

può lasciare l’impressione <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong>spari, <strong>di</strong> «con<strong>di</strong>scendenza» tra il forte e i<br />

deboli.<br />

Con il cammino verso la croce il quadro cambia. Gesù non sta più <strong>di</strong> fronte, ma in<br />

compagnia; si presenta debole come l’uomo; si fa «povero» come i destinatari delle<br />

beatitu<strong>di</strong>ni, soggetto alla <strong>di</strong>screzione e alla malvagità degli uomini; con<strong>di</strong>vide<br />

l’esistenza dell’uomo lontano da Dio, che deve imparare l’obbe<strong>di</strong>enza sovente con<br />

fatica e dolore.<br />

In verità, la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Gesù da sempre ha il tratto <strong>di</strong> un rapporto interiore; e<br />

l’eventuale lettura dei miracoli precedentemente ricordata, sarebbe del tutto imprecisa.<br />

Matteo spiega infatti il senso dei miracoli, e della liberazione degli ossessi, precisamente<br />

come con<strong>di</strong>visione della sofferenza umana 87 . E precisamente in questo contesto<br />

<strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione interiore il Nuovo Testamento espliciterà il rapporto <strong>di</strong> Gesù<br />

all’umanità 88 .<br />

struita sulla roccia, resiste alla bufera (Mt 17,24-27). La pratica del vangelo si rivela la cosa giusta, nonostante<br />

la sua scarsa efficacia storica, perché alla fine <strong>di</strong>venta totalmente chiaro ciò che nel corso<br />

dell’esistenza è parso evidente solo nella fede sulla parola <strong>di</strong> Gesù (Mt 13,40.49; 25,10-12.19-27.31-46).<br />

Nel contesto <strong>di</strong> questa promessa è possibile vivere con profitto la sofferenza, che in sé costituisce ambiguamente<br />

tanto un’opportunità <strong>di</strong> vita quanto un ra<strong>di</strong>cale pericolo; nell’esperienza della croce la vita<br />

non viene ridotta ad una inutile parentesi, né ad un destino tragicamente irreparabile da sopportare<br />

possibilmente con <strong>di</strong>gnità, rimane piuttosto sempre destinata ad una buona riuscita. Finché la speranza<br />

rimane solida, la vita rimane vivibile e sopportabile; e a sostenere tale speranza mira il vangelo. Resta<br />

da precisare che tale riuscita non è totalmente garantita nel corso della vita (anche a cristiani sinceri<br />

succede <strong>di</strong> cercare il suici<strong>di</strong>o per <strong>di</strong>sperazione); garantita è invece la presenza affidabile del Padre verso<br />

tutti i suoi figli, in ogni situazione.<br />

A questo punto si può intuire il senso della formulazione <strong>di</strong> Rm 5,3-5: «E non soltanto questo: noi ci<br />

vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una<br />

virtù provata, e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore <strong>di</strong> Dio è stato<br />

riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato».<br />

87 «Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì<br />

tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: “Egli ha preso le<br />

nostre infermità e si è addossato le nostre malattie”» (Mt 8,16-17; la citazione è tratta dal quarto canto del Servo<br />

<strong>di</strong> Jahvè).<br />

88 * Cfr. l’inno <strong>di</strong> Fil 2,5-11: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale,<br />

pur essendo <strong>di</strong> natura <strong>di</strong>vina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò<br />

se stesso, assumendo la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> servo e <strong>di</strong>venendo simile agli uomini; apparso in forma umana<br />

134


Non va <strong>di</strong>menticato che tale con<strong>di</strong>visione sta all’interno del Regno <strong>di</strong> Dio e della sua<br />

attuazione. Non si tratta <strong>di</strong> avere un compagno <strong>di</strong> sventura in più; è decisivo invece<br />

che il maestro conosca la vita per esperienza personale, evitando privilegi che lo pongano<br />

al riparo dalle <strong>di</strong>fficoltà fondamentali.<br />

Perché il senso salvifico della croce si manifesti con chiarezza occorrerà arrivare alla<br />

morte e alla risurrezione da morte; per intanto il <strong>di</strong>scorso si presenta in termini sufficientemente<br />

precisi.<br />

Infine, questo approfon<strong>di</strong>mento della presenza salvifica <strong>di</strong> Gesù si riflette sulla vita<br />

dei <strong>di</strong>scepoli, che sono autorizzati ad entrare in questa con<strong>di</strong>visione, come sono impegnati<br />

a fare proprio questo atteggiamento <strong>di</strong> amore all’uomo 89 .<br />

umiliò se stesso facendosi obbe<strong>di</strong>ente fino alla morte e alla morte <strong>di</strong> croce. Per questo Dio l’ha esaltato<br />

e gli ha dato il nome che è al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni altro nome; perché nel nome <strong>di</strong> Gesù ogni ginocchio si<br />

pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore, a gloria <strong>di</strong><br />

Dio Padre».<br />

* Particolarmente significativo è il quadro riassuntivo della lettera agli Ebrei. Quando si tratta <strong>di</strong> <strong>di</strong>re il<br />

senso della presenza e della vita <strong>di</strong> Gesù, non si ricordano i miracoli (in 2,4 si tratta dei miracoli che<br />

accompagnano la pre<strong>di</strong>cazione apostolica), ma la sua con<strong>di</strong>visione dell’esistenza umana, nei tratti faticosi<br />

e dolorosi della tentazione, della sofferenza e della morte (capitoli 2-5,10); con formulazioni particolarmente<br />

efficaci. «Poiché dunque i figli hanno in comune la carne e il sangue, anch’egli ne è <strong>di</strong>venuto<br />

partecipe, per ridurre all’impotenza me<strong>di</strong>ante la morte colui che della morte ha il potere… Egli infatti<br />

non si prende cura degli angeli, ma della stirpe <strong>di</strong> Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi<br />

in tutto simile ai fratelli, per <strong>di</strong>ventare un sommo sacerdote misericor<strong>di</strong>oso, allo scopo <strong>di</strong> espiare i peccati<br />

del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in<br />

grado in grado <strong>di</strong> venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (2,14-18); «Poiché dunque abbiamo<br />

un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio <strong>di</strong> Dio, manteniamo ferma la nostra<br />

professione <strong>di</strong> fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre<br />

infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza <strong>di</strong> noi, eccetto il peccato. Accostiamoci<br />

dunque con piena fiducia al trono della grazia…» (4,14-16); «Proprio per questo, nei giorni<br />

della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberalo<br />

da morte e fu esau<strong>di</strong>to per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbe<strong>di</strong>enza dalle cose<br />

che patì e, reso perfetto, <strong>di</strong>venne causa <strong>di</strong> salvezza eterna per tutti coloro che gli obbe<strong>di</strong>scono» (5,7-9).<br />

* E quando i cristiani, nella preghiera, riprendono i salmi, giustamente nell’orante povero, debole, maltrattato,<br />

vedono Gesù, prima che se stessi.<br />

* Infine va notato con attenzione che questo passaggio dall’ambito del «fare» all’ambito del «con<strong>di</strong>videre»,<br />

del «partecipare» ha un grande rilievo per una comprensione più adeguata dell’azione salvifica <strong>di</strong><br />

Gesù. Egli infatti è salvatore, non tanto perché «fa» un’azione meritevole <strong>di</strong> fronte a Dio, né perché<br />

«produce» un bene superiore, quanto precisamente perché realizza una vita riuscita <strong>di</strong> fronte a Dio; a<br />

costituire la salvezza è appunto la stessa vita vissuta, quell’imparare a vivere nella fede che ha al centro<br />

la libertà. In verità, fin dall’inizio, il racconto evangelico presenta Gesù e i <strong>di</strong>scepoli in un rapporto <strong>di</strong><br />

«sequela», realizzato non per qualche momento, ma come costante con<strong>di</strong>visione della vita del maestro.<br />

89 I <strong>di</strong>scepoli sono invitati ad entrare in questo rapporto <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione. Il loro rapporto al maestro<br />

non sarà mai limitato all’obbe<strong>di</strong>enza morale del servo, sarà invece sempre in<strong>di</strong>rizzato a completare<br />

l’obbe<strong>di</strong>enza nella partecipazione al rapporto personale con Dio, fino al dono dello Spirito santo.<br />

Questa comunanza <strong>di</strong> vita è poi particolarmente rilevante per i momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà e <strong>di</strong> sofferenza;<br />

Gesù non potrà mai essere visto come colui che dall’esterno impone doveri pesanti <strong>di</strong> cui non ha esperienza,<br />

quanto piuttosto come colui che, portando la croce per primo, si attende che i <strong>di</strong>scepoli lo<br />

seguano.<br />

Quanto alla pratica dell’amore al prossimo, il momento del fare e del donare non può esimersi da una<br />

qualche con<strong>di</strong>visione interiore della sofferenza altrui.<br />

135


III. L’incredulità presente nella fede dei <strong>di</strong>scepoli e la fede <strong>di</strong> Gesù.<br />

1. L’incredulità presente nella fede dei <strong>di</strong>scepoli.<br />

La svolta del cammino verso la croce porta in luce un tratto del tutto singolare della<br />

fede dei <strong>di</strong>scepoli, più precisamente degli stessi do<strong>di</strong>ci.<br />

Che i <strong>di</strong>scepoli credano a Gesù è fuori dubbio, al punto che la loro fede viene presentata<br />

come complessivamente esemplare; quando il vangelo vuole descrivere in<br />

termini completi e <strong>di</strong>ffusi il cammino <strong>di</strong> fede rimanda a quelli che hanno seguito Gesù<br />

in modo costante, fin dall’inizio.<br />

Di questa fede, tuttavia, si evidenziano anche le lacune e la debolezza; non solo è in<br />

altre persone che Gesù trova la fede più grande (cfr. Matteo 8,10), ma dei suoi seguaci<br />

più stretti nota la debolezza della fede, o la mancanza <strong>di</strong> fede (cfr. Matteo 8,26;<br />

14,31; 16,8) 90 .<br />

Ora, dopo la confessione <strong>di</strong> Cesarea <strong>di</strong> Filippo, il limite della fede dei <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong>venta<br />

particolarmente evidente, e su un aspetto che per Gesù è decisivo, vale a <strong>di</strong>re il suo<br />

cammino verso la morte.<br />

Per un verso i do<strong>di</strong>ci continuano effettivamente a seguire Gesù, anche in un clima<br />

che <strong>di</strong>venta progressivamente sempre più rischioso. Per un altro verso invece non<br />

con<strong>di</strong>vidono la prospettiva <strong>di</strong> Gesù; vanno con lui verso Gerusalemme, ma si attendono<br />

una <strong>di</strong>versa realizzazione; non colgono il senso del cammino verso la morte, e<br />

dunque non lo fanno proprio 91 .<br />

Lo scarto tra la consapevolezza <strong>di</strong> Gesù, che include la prospettiva della propria morte,<br />

e la fede dei <strong>di</strong>scepoli, che la esclude, è evidente. E su un punto ormai centrale;<br />

per Gesù si tratta, né più né meno, della volontà <strong>di</strong> Dio opposta alla tentazione <strong>di</strong> satana<br />

(a cui è identificato Pietro nella sua protesta, Marco 8,33 in relazione a Matteo<br />

4,1-11).<br />

Siamo nella situazione paradossale <strong>di</strong> persone che «seguono» e «non seguono»; rimangono<br />

al seguito <strong>di</strong> Gesù, ma non ne con<strong>di</strong>vidono le convinzioni 92 .<br />

90 Marco descrive con un’insistenza particolare il fatto che i <strong>di</strong>scepoli «non comprendono» il senso della<br />

parole e dei gesti <strong>di</strong> Gesù: 4,13.40; 6,52; 7,18; 8,17-18.21.33; 9,10.32; 10,38.<br />

91 È vero che i do<strong>di</strong>ci non possono ancora verificare che Gesù ha effettivamente ragione; alla consapevolezza<br />

<strong>di</strong> Gesù non corrisponde ancora l’evento che la giustifica. Resta tuttavia del tutto chiaro che<br />

i do<strong>di</strong>ci non con<strong>di</strong>vidono realmente la convinzione <strong>di</strong> Gesù. Da questo punto <strong>di</strong> vista la <strong>di</strong>fferenza tra<br />

gli un<strong>di</strong>ci e Giuda non sta in una <strong>di</strong>versa convinzione <strong>di</strong> fondo, quanto in un <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> metterla<br />

in pratica; Giuda è quello che «consegna» Gesù (traduzione più appropriata che non quella del tra<strong>di</strong>mento);<br />

non è improbabile pensare che con questo gesto Giuda non fa che forzare all’estremo quella<br />

prospettiva che anche gli altri con<strong>di</strong>vidono (certo in modo molto più netto <strong>di</strong> Pietro che, nell’orto,<br />

porta la spada e se ne serve con evidente imperizia; Mt 26,51; Gv 18,10).<br />

92 Per essere più precisi, l’incredulità presente nella fede dei do<strong>di</strong>ci, si esprime, oltre che nello scarto<br />

rilevato, anche nel tentativo <strong>di</strong> imporre a Gesù le proprie convinzioni, o comunque <strong>di</strong> presumere <strong>di</strong><br />

poter prendere decisioni, nei suoi riguar<strong>di</strong>, in prima persona come gente che sa ormai come funziona il<br />

Regno <strong>di</strong> Dio. Questo è infatti l’atteggiamento <strong>di</strong> Pietro che reagisce all’annuncio della passione (soprattutto<br />

nella redazione <strong>di</strong> Mc 8,32 secondo cui Pietro non si limita a protestare, ma arriva a rimproverare<br />

Gesù); questo è l’atteggiamento dei <strong>di</strong>scepoli che proibiscono all’estraneo <strong>di</strong> fare esorcismi nel<br />

136


2. La fede <strong>di</strong> Gesù.<br />

La <strong>di</strong>stanza tra la fede dei <strong>di</strong>scepoli e la consapevolezza <strong>di</strong> Gesù richiede <strong>di</strong> riportare<br />

l’attenzione su Gesù stesso. È la sua consapevolezza infatti a costituire il punto decisivo,<br />

proprio quando la de<strong>di</strong>zione al Regno del Padre <strong>di</strong>venta accettazione del cammino<br />

verso la croce; ed è in relazione a questa consapevolezza che i <strong>di</strong>scepoli sono in<br />

<strong>di</strong>fetto.<br />

Ora, prendere in conto questa consapevolezza <strong>di</strong> Gesù non significa altro che riflettere<br />

sulla «fede» <strong>di</strong> Gesù. La sua consapevolezza non <strong>di</strong>ce altro che la sua convinzione<br />

personale; e la sua convinzione personale esprime il rapporto <strong>di</strong> fiducia e <strong>di</strong> de<strong>di</strong>zione<br />

che Gesù vive con il Padre suo, e che costituisce il mistero della sua persona;<br />

esprime appunto la sua fede 93 .<br />

Con il termine fede si intende, anche per Gesù, la decisione consapevole con cui, in<br />

risposta al comunicarsi <strong>di</strong> Dio, ogni persona configura liberamente la propria esistenza,<br />

nella fiducia e nella de<strong>di</strong>zione.<br />

In questo modo, infatti, è presentata nel vangelo la vicenda <strong>di</strong> Gesù; non come pura<br />

attuazione fattuale <strong>di</strong> un’esistenza già programmata e già totalmente saputa, quanto<br />

invece come configurazione <strong>di</strong> un’esistenza <strong>di</strong> cui progressivamente si chiariscono i<br />

momenti analitici 94 .<br />

nome <strong>di</strong> Gesù (Mc 9,38), o vogliono invocare il fuoco dal cielo per i samaritani che non li accolgono<br />

nel loro villaggio (Lc 9,54).<br />

Questi tentativi, per cui la fede dei <strong>di</strong>scepoli cerca <strong>di</strong> imporsi alla rivelazione cristologica, sono regolarmente<br />

sconfessati come prevaricazione. Che i <strong>di</strong>scepoli facciano memoria della loro vita con Gesù<br />

notando in termini così netti i limiti della loro fede è un fatto <strong>di</strong> assoluto rilievo; si registra in questo<br />

modo la <strong>di</strong>fferenza permanente tra <strong>di</strong>scepoli e Gesù; quella <strong>di</strong>fferenza che, nella verità del rapporto<br />

credente, impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> identificare senza resti la fede ecclesiale e la rivelazione cristologica. Tale rapporto<br />

dovrebbe rimanere esemplare per la chiesa, in ogni tempo.<br />

93 Finché la fede viene intesa riduttivamente come conoscenza intellettuale risulta <strong>di</strong>fficile, o impossibile,<br />

parlare <strong>di</strong> una fede <strong>di</strong> Gesù; Gesù possiede semplicemente la conoscenza perfetta, e non sta nella<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi deve credere, sull’autorità <strong>di</strong> un altro, ciò che non vede.<br />

Quando invece la fede è intesa come adesione antropologica complessiva al rivelarsi visibile <strong>di</strong> Dio,<br />

allora in questo contesto è possibile, e necessario, inserire anche Gesù. Allora si può dare effettivamente<br />

ragione del suo rapporto al Padre attuato nella fiducia e nell’obbe<strong>di</strong>enza (non solo nella obbe<strong>di</strong>enza),<br />

e si può comprendere la sua posizione <strong>di</strong> salvatore in modo più adeguato: non nella <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> chi non con<strong>di</strong>vide realisticamente l’esistenza umana (in virtù <strong>di</strong> un’umanità astrattamente <strong>di</strong>vinizzata),<br />

quanto nella singolarità <strong>di</strong> chi questa esistenza la vive, e precisamente in essa esprime l’accoglienza<br />

adeguata a Dio che si comunica. La singolarità <strong>di</strong> Gesù non sta in una assenza <strong>di</strong> fede, ma in una attuazione<br />

così adeguata da potersi identificare, come unica, alla rivelazione escatologica stessa <strong>di</strong> Dio.<br />

La teologia ha poi cercato <strong>di</strong> precisare la conoscenza <strong>di</strong> Gesù nella spiegazione della triplice scienza<br />

(visione beatifica, scienza infusa, scienza sperimentale), <strong>di</strong> cui si ha una comprensione notevolmente<br />

<strong>di</strong>versa a seconda che venga pensata sul principio <strong>di</strong> perfezione o sul criterio della missione, a partire<br />

da una astratta concezione della <strong>di</strong>vinità o dalla singolare umanità; per queste questioni si rimanda alla<br />

parte storica e alle in<strong>di</strong>cazioni sistematiche.<br />

94 Gesù comincia all’ombra <strong>di</strong> Giovanni il battista (<strong>di</strong> cui riceve il battesimo); si <strong>di</strong>stacca da lui in relazione<br />

ad una <strong>di</strong>versa pre<strong>di</strong>cazione e attuazione del regno (che ignora il giu<strong>di</strong>zio e pone gesti unilaterali<br />

<strong>di</strong> liberazione; il <strong>di</strong>stacco è storicamente favorito dalla morte <strong>di</strong> Giovanni); ad un certo punto si con-<br />

137


È in questa situazione che Gesù si presenta come “maestro e signore”; vale a <strong>di</strong>re nei<br />

panni <strong>di</strong> un salvatore coerente alla nostra con<strong>di</strong>zione umana. La sua esistenza infatti<br />

si realizza limpidamente e pienamente (a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> noi che abbiamo bisogno <strong>di</strong><br />

essere istruiti ed aiutati, e perdonati) nelle regole dell’umano (a somiglianza <strong>di</strong> noi,<br />

che dobbiamo assumerci l’esistenza come soggetti liberi e consapevoli, passando nel<br />

movimento e nelle <strong>di</strong>fficoltà della vita) 95 .<br />

Per questo la fiducia nel Padre è il centro dell’esistenza <strong>di</strong> Gesù, e il fondamento della<br />

sua de<strong>di</strong>zione (obbe<strong>di</strong>enza). Che tale fiducia si esprima e si mantenga in una storia<br />

che sembra sconfessarla è l’aspetto straor<strong>di</strong>nario, che verrà ulteriormente messo alla<br />

prova, ma che fin d’ora descrive la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Gesù, nella comunanza e nella <strong>di</strong>fferenza<br />

da ogni credente (<strong>di</strong> allora e <strong>di</strong> ogni tempo).<br />

IV. Approfon<strong>di</strong>mento della soteriologia e della fede.<br />

In conclusione.<br />

Ecco la svolta: la promessa messa alla prova della vita.<br />

La promessa (vangelo ai malati, ai peccatori, ai poveri) rimane sempre presente, e<br />

viene ora messa alla prova in una prospettiva che non è l’amplificazione dei miracoli,<br />

della conversione dei peccatori e della liberazione dei poveri, ma, al contrario, è il<br />

cammino verso la croce. La realizzazione del Regno <strong>di</strong> Dio assume la forma non del<br />

progressivo compiersi <strong>di</strong> un successo, ma della destinazione all’insuccesso.<br />

Che cosa si guadagna in questa prospettiva?<br />

Un approfon<strong>di</strong>mento realistico della soteriologia.<br />

Qui sta la <strong>di</strong>fferenza tra la convinzione <strong>di</strong> Pietro e la convinzione <strong>di</strong> Gesù 96 .<br />

vince della prospettiva della morte (inizialmente assente), in relazione alla reazione suscitata dalla sua<br />

pre<strong>di</strong>cazione e dai suoi gesti, e per riflessione su ciò che normalmente è accaduto nella storia ai profeti.<br />

La consapevolezza <strong>di</strong> realizzare il Regno <strong>di</strong> Dio non è quin<strong>di</strong> alternativa alla ricerca della sua precisa<br />

forma storica («imparò l’obbe<strong>di</strong>enza dalle cose che patì» Eb 5,8); la sicurezza del suo rapporto al Padre e alla<br />

sua missione non esclude la decifrazione <strong>di</strong> quanto sta succedendo nella storia, come non esclude che<br />

del Padre sia necessario fidarsi, e in termini così straor<strong>di</strong>nari da risultare incomprensibili per i <strong>di</strong>scepoli<br />

(«provato in ogni cosa, come noi, eccetto il peccato» Eb 4,15 – dove è chiaro che l’assenza del peccato non è un<br />

limite all’umanità, quanto la figura della sua effettiva realizzazione).<br />

95 La sicurezza, mai messa in dubbio, <strong>di</strong> realizzare il Regno <strong>di</strong> Dio (<strong>di</strong> poter identificare la propria convinzione<br />

con l’intenzione <strong>di</strong> Dio) si realizza infatti vivendo la con<strong>di</strong>zione umana <strong>di</strong> chi deve dare forma<br />

alla propria vita imparando da Dio (configurando il desiderio nella fede; con tutti i momenti che<br />

tale esau<strong>di</strong>mento del desiderio comporta, compresi il comandamento e la tentazione).<br />

96 La convinzione <strong>di</strong> Pietro non è priva <strong>di</strong> senso. Anzi, esprime la speranza che il desiderio sia esau<strong>di</strong>to<br />

in forma molto normale, secondo la prospettiva del Primo Patto (l’ebraismo non riconosce il messia<br />

precisamente perché nulla nel mondo è cambiato; analogamente, l’Islam ha la convinzione che il profeta<br />

deve aver successo). E tuttavia è una convinzione irrealistica. Nella misura in cui ignora il dramma<br />

della lotta (il bene si realizza così; cfr. le beatitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Matteo, soprattutto l’ultima) e ignora la morte<br />

(che rimane pure l’ultimo nemico). La convinzione <strong>di</strong> Pietro non esprime tanto un’interpretazione della<br />

realtà (della storia così come succede), esprime piuttosto l’ideale (desiderato) dell’esau<strong>di</strong>mento della<br />

promessa, un ideale in<strong>di</strong>cativo, ma non realistico (non rispondente alla <strong>di</strong>namica reale della realtà). Il<br />

questo irrealismo si dà, per la soteriologia, un rischio mortale, quello della illusione, quello del lasciarsi<br />

prendere dalle tendenze della realizzazione «mondana» (non storico terrena, ma mondana; cfr. la questione<br />

del potere tra i <strong>di</strong>scepoli), quello <strong>di</strong> evitare l’impegno a fare, rispetto a cui si preferisce il sognare<br />

138


A quale prezzo? E con quali esigenze?<br />

A prezzo <strong>di</strong> una esperienza e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso molto più complesso.<br />

Con l’esigenza <strong>di</strong> una fede molto più profonda 97 .<br />

2. La vita nascosta.<br />

…<br />

3. L’incarnazione e la pasqua.<br />

L’incarnazione è nello stesso tempo momento costitutivo e momento iniziale.<br />

Momento costitutivo <strong>di</strong> Gesù nella sua qualità <strong>di</strong> umanità del Figlio <strong>di</strong> Dio; da questo<br />

punto <strong>di</strong> vista l’incarnazione è solo il presupposto della salvezza, al punto che nella<br />

formulazione manualistica <strong>di</strong>venta un capitolo separato.<br />

É però pure il momento iniziale <strong>di</strong> un’esistenza, a proposito della quale si può <strong>di</strong>re<br />

che «entrando nel mondo <strong>di</strong>sse...» Eb 10,5. Da questo punto <strong>di</strong> vista l’incarnazione è già<br />

momento <strong>di</strong> salvezza, per altro del tutto relativo al compimento della vicenda umana<br />

nella morte per risorgere.<br />

Una riflessione teologica meno preoccupata <strong>di</strong> un’ontologia astratta e più attenta ad<br />

una ontologia storica è in grado <strong>di</strong> rispettare il rapporto.<br />

La persona <strong>di</strong> Gesù non è comprensibile senza l’attenzione alla vicenda concreta in<br />

cui si esprime; la personalizzazione dell’azione escatologica <strong>di</strong> Dio richiama appunto<br />

come essenziale il rapporto tra soteriologia e <strong>cristologia</strong>.<br />

A sua volta, una vicenda si comprende solo sulla totalità della vicenda stessa; dove la<br />

pasqua è decisiva perché è l’esito, ma non si dà se non come compimento della vicenda<br />

storico concreta.<br />

ideale (come garantito dalla grazia <strong>di</strong> Dio)… Per Gesù questa lettura è non solo superficiale, ma è tentazione<br />

<strong>di</strong> Satana.<br />

La convinzione <strong>di</strong> Gesù invece si rivela realistica (con la risurrezione); per quanto, a prima vista, si<br />

presenti come strana e scandalosa. La vita si salva così; ed è così che si impara a vivere con frutto.<br />

97 Infatti, lo scandalo del male si presenta in tutta la sua forza. Gesù non inventa il male, non pone nella<br />

vita umana un male che non ci sarebbe; piuttosto lo attraversa dall’interno. In questo modo però il<br />

male appare ra<strong>di</strong>calmente oscuro e scandaloso. Perché la promessa <strong>di</strong> «Dio» deve subire la forza del<br />

male (nella morte cruenta e ingiusta)? Perché solo passando attraverso la croce si raggiunge la realizzazione<br />

della promessa? (e il messia «doveva» morire).<br />

E l’esau<strong>di</strong>mento adeguato della promessa viene spostato nettamente nell’al<strong>di</strong>là. Fuori della sua forma<br />

storica (fuori e oltre). Con un doppio problema. In primo luogo si rischia <strong>di</strong> dedurre che la forma storica<br />

non solo è incompiuta ma è anche superabile perché insignificante e solo provvisoria. In secondo<br />

luogo, l’esau<strong>di</strong>mento al <strong>di</strong> là della morte rimane soggetto al dubbio (alla domanda ra<strong>di</strong>cale), dal momento<br />

che rimane promesso e non ancora realisticamente sperimentato: ci sarà realmente un esau<strong>di</strong>mento,<br />

visto che la vita si conclude con una ra<strong>di</strong>cale sconfessione della promessa? La morte appartiene<br />

alla esperienza storica (sia pure me<strong>di</strong>ata dall’esperienza degli altri), la risurrezione non appartiene alla<br />

esperienza storica (pur nella testimonianza oggettiva della fede).<br />

139


Per questo anche i Padri arrivano alla incarnazione sempre partendo dalla pasqua e<br />

rispettandone la natura <strong>di</strong> compimento; come i vangeli dalla pasqua vengono fino alla<br />

nascita; come la celebrazione liturgica riprende l’intera vicenda cristologica sulla base<br />

della memoria della morte per risorgere.<br />

4. L’incarnazione e la kenosi.<br />

…<br />

140

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