Untitled - Altervista

Untitled - Altervista Untitled - Altervista

cantarena.altervista.org
from cantarena.altervista.org More from this publisher
07.06.2013 Views

3 Mario Fancello D Punti cardinali<br />

5 Mario Fancello Note informative:<br />

9 Enzo Minarelli Trascrizione dell‟intervento (a c. di M. Fancello)<br />

18 Mario Fancello Sottolineature<br />

19 Enzo Minarelli Quesito<br />

21 Margherita Levo Rosenberg Estratto dal colloquio (a c. di M. Fancello)<br />

48 Luigi Bairo Intervista a Gianni Milano<br />

55 Marina Bondì Senza pelle<br />

57 ------------ -------------- Puntaspilli (a c. di M. Fancello)<br />

61 ------------ ------------ L‟anello mancante (a c. di M. Fancello)<br />

63 ------------ -------------- Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello)<br />

66 ------------ ------------ Posta di Cantarena (a c. di M. Fancello)<br />

67 ------------ -------------- Scheletri nell‟armadio: 101 storie Zen (a c. di M. Fancello)<br />

Cantarena<br />

Anno VIII – Numero 31<br />

Settembre 2005<br />

Periodicità trimestrale<br />

Direzione e redazione<br />

Mario Fancello<br />

Silvana Masnata<br />

Rosangela Piccardo<br />

Mirella Tornatore<br />

Realizzazione grafica<br />

Mario Canepa<br />

Mauro Grasso<br />

Rosangela Piccardo<br />

Produzione e distribuzione in proprio<br />

Per contatti ed informazioni<br />

Scuola Media Statale V. Centurione<br />

Salita inferiore Cataldi, 5<br />

16154 Genova<br />

Fax 010 / 6011225<br />

vcenturione@tin.it<br />

www.cantarena.splinder.com<br />

cantarena@libero.it<br />

2<br />

SOMMARIO<br />

In copertina:<br />

GELITIN, Pink Rabbit, Artesina, 2005<br />

Courtesy Pinksummer Contemporary Art<br />

In quarta di copertina:<br />

ENZO MINARELLI, Per Genova, agosto 2006.<br />

Le fotografie raffiguranti gli incontri<br />

alla S.M.S. Centurione sono di M. Fancello.<br />

COMUNICATO:<br />

Ringraziamo per la collaborazione<br />

l’A.R.C.I. di Genova.


Mercoledì 3 maggio 2006. Il Secolo XIX. Prima pagina, elenco dei titoli:<br />

- Quirinale, lunedì al voto.<br />

- Ribaltone Genoa. La Spezia in festa.<br />

- L’amico: «Non l’ho uccisa». Ma spuntano due testimoni.<br />

I verbali «Avevo i vestiti sporchi. Mia madre li ha lavati».<br />

- Benzina e gasolio listini da record; verde a 1,369 euro.<br />

- L’eco-sindaco non tira lo sciacquone.<br />

- Vino doc contro i mulini a vento.<br />

- In autostrade scintille sulla revoca a Gamberale.<br />

- I Savoia a Genova tra proteste e polemiche.<br />

Pagina 41 Lettere al Secolo XIX: 1<br />

- I costi della pubblicità e le armi per difendersi.<br />

- Il delitto di Genova. Qui c’è ancora da fare.<br />

- Il prefetto e il ministro. Lui andava ai cortei?<br />

- Moratti, Fini e Biondi. Tre sassolini nella scarpa.<br />

- E se il primo maggio lavorassimo per i deboli? 2<br />

- Le scritte di Nassirya/1. Va usato il buon senso.<br />

- Le scritte di Nassirya/2. Ferrante è intervenuto?<br />

- Le scritte di Nassirya/3. Il vilipendio non esiste?<br />

- Le frange dei facinorosi. Ma la festa non è loro.<br />

3<br />

PUNTI CARDINALI<br />

1<br />

Molte delle missive inviate al Monono riguardano la polemica relativa alla partecipazione di Letizia Moratti alle<br />

manifestazioni del primo maggio.<br />

2<br />

[Riportiamo un passo della lettera] [...] “benché possa sembrare l‟elucubrazione di un folle, perché il Primo Maggio<br />

non lo festeggiamo dedicando una giornata di lavoro allo Stato? Dopo un ferreo e corretto controllo delle casse erariali,<br />

con i proventi di ciascun lavoratore, si potrebbero migliorare i servizi sociali a favore di classi meno abbienti, anziani,<br />

giovani e infermi e per i disoccupati affinché anch‟essi possano avere la dignità e la stabilità che solo il lavoro dà<br />

all‟uomo.<br />

Valerio Martini<br />

e-mail


- Come farà la sinistra a lavorare con questi?<br />

- Un attacco schierato, una replica intelligente.<br />

Pagina 7, in una tabella, situata a destra del giornale, campeggia questo titolo:<br />

In breve.<br />

La terza notizia della rubrica riporta tale intestazione<br />

Ecco una passaggio del miniarticolo:<br />

Unicef: la fame uccide 5,6 milioni di bambini.<br />

[...]. si calcola che circa 5,6 milioni di bambini nel mondo muoiono a causa, diretta o indiretta,<br />

della fame o della malnutrizione.<br />

4


5<br />

NOTE INFORMATIVE:<br />

ENZO M I N A R E L L I<br />

Venerdì 4 febbraio 2005, nell‟aula video della sede, Enzo Minarelli ha inaugurato una piccola<br />

rassegna di poesia totale, intitolata La Voce in scena La Voce riflessa.<br />

Enzo Minarelli espone ai ragazzi i concetti basilari della polipoesia.


In seguito al successo ottenuto da Julien Blaine 3 presso la Centurione, la Preside Giovanna<br />

Coriolano avanzò l‟idea di dare seguito all‟iniziativa, nell‟anno scolastico successivo, conferendole<br />

un respiro più ampio e cioè estendendo l‟invito a più polipoeti.<br />

Si è perciò deciso di affidare l‟organizzazione del progetto ad Enzo Minarelli.<br />

Al successo della manifestazione ha direttamente collaborato (contribuendo anche alle spese) il<br />

Museo di Villa Croce. Disponibilità all‟iniziativa ha offerto anche Claudio Pozzani ponendo a<br />

nostra disposizione la Stanza della Poesia.<br />

All‟incontro introduttivo hanno presenziato sei classi, suddivise in due turni.<br />

Il testo è stato rivisto dall‟Autore.<br />

Disponiamo di una registrazione in audio e di un‟altra in CD.<br />

La preside Giovanna Coriolano.<br />

3 Julien Blaine accettò di buon grado l‟invito della nostra scuola grazie ai buoni uffici interposti da Enzo Minarelli.<br />

Il resoconto dell‟evento scolastico compare sul numero 29 di Cantarena.<br />

6


Fronte ed ultima pagina del pieghevole relativo all‟iniziativa.<br />

7


Retro del pieghevole.<br />

8


TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO :<br />

E N Z O M I N A R E L L I<br />

La parola come spettacolo /La parola come preghiera<br />

Ci siamo presi qualche libertà in più del solito, nella trasposizione, in quanto l’audio, non essendo<br />

a livello ottimale, non ci ha concesso di percepire nitidamente ogni parola pronunciata; ce ne<br />

scusiamo con i nostri lettori.<br />

Legenda:<br />

- EM – Enzo Minarelli<br />

- RP – Rosangela Piccardo<br />

- MF – Mario Fancello<br />

- I – Insegnanti non identificati<br />

- EM – [...] Il primo di questi quattro incontri spetta a me. Il prossimo sarà il diciotto di<br />

febbraio, ci sarà un personaggio prezioso: Carlo Marcello Conti, l‟editore poeta; vi porterà<br />

un sacco di cose, io poco, lui porterà molto di più. Poi avrete due incontri con due poeti<br />

stranieri molto bravi, molto noti, poeti sonori, uno viene da Budapest, parla anche italiano, si<br />

chiama Endre Szkàrosi e vi farà delle cose urlate, ha una voce potentissima; e poi chiuderà<br />

questi incontri un olandese di origine vichinga, capelli molto lunghi, una treccia, molto<br />

amante, molto amante di bird watching, va spesso in Islanda e vi porterà un tocco di musica<br />

celtica, questo si chiama Rod Summers ed è un olandese di origine celtica e lui chiuderà gli<br />

incontri. Però quest‟ultimo parla solo inglese e quindi quella mattina voi dovete con [...? Un<br />

rumore fastidioso copre le parole di Enzo Minarelli] inglese italiano, mentre Szkàrosi parla<br />

italiano, anzi è professore d‟Italianistica all‟Università di Budapest, invece Rod Summers<br />

solo inglese, parla olandese, non so se qualcuno parla olandese. Quindi quella mattina vorrei<br />

essere qua. Io arriverò purtroppo in ritardo perché tutti i venerdì ho delle conferenze a Parma<br />

e non posso arrivare puntuale come questa mattina, però tutto sommato c‟è Fancello, so che<br />

è poliglotta [ridacchio e gli allievi m’irridono] e poi qui nella scuola ci sono degli insegnanti<br />

... Ragazzi sto facendo l‟introduzione a questa serie di incontri perché capiate che ci vuole<br />

collaborazione. Tutti faranno delle performance, chiaro? Quindi la lingua di per sé non è<br />

necessaria, però se fate delle domande, poveraccio, prima ditegli qualche cosa in inglese<br />

9


[...], capito? Oggi invece iniziamo con Enzo Minarelli che sono io. Ero a Barcellona tempo<br />

fa, in un‟intervista su una pagina di un giornale sembro più che un poeta un acquisto del<br />

Barça, del Barcellona, in realtà sono poeta sonoro giramondo. Vedete questo titolo? [Legge<br />

in spagnolo il titolo dell’articolo giornalistico e poi traduce:] “Il poeta di oggi deve<br />

conoscere la tecnologia ed utilizzarla”. Questo è il nostro verbo, ragazzi. Quando fate<br />

poesia oggi dovete sempre considerare [c’è un insistente brusio di fondo], un momento,<br />

ragazzi, mettiamoci d‟accordo, sento troppa confusione, ferma, o stiamo attenti ..., perché io<br />

non sono abituato a lavorare in questo modo qui, non sono abituato a fare delle cose se uno<br />

si muove eccetera. [Irrompe uno “squillio”] Il cellulare? Cos‟è? No, è ...<br />

- I – La campanella.<br />

- EM – Ah, la campanella. Fanno intervallo? Allora ci fermiamo?<br />

- RP – No no no. Non fanno l‟intervallo; lo faranno alla fine dell‟ora.<br />

- EM – Allora io adesso ho esattamente quanto – Mario – ?<br />

- MF – Fino alle undici e qualche minuto.<br />

- EM – A quanto tempo ho diritto?<br />

- MF – Dunque, sono le dieci e trentasei minuti, a un poco più di mezz‟ora.<br />

- EM – Okay, perfetto. Ragazzi torniamo a noi [stanno vociando]. Ragazzi, allora torniamo a<br />

noi. Ho perso il filo. Cosa stavo dicendo? Ecco, la tecnologia è l‟elemento fondamentale.<br />

Oggi c‟è solo il microfono, c‟è solo questa voce, però dovete sapere che il poeta oggi<br />

dialoga con tutti gli elementi della tecnologia, un po‟ come in quel laboratorio che abbiamo<br />

fatto, tempo fa, qui con qualche ragazzo che adesso – loro li riconosco – abbiamo fatto delle<br />

poesie sonore, forse vi ricordate, utilizzando le immagini, il video, il suono, il movimento,<br />

gli oggetti, quindi il poeta oggi non è soltanto colui che scrive sulla pagina. Ci sono anche<br />

quelli, ma ci sono anche i poeti sonori e non, o polipoeti (come io amo dire), che hanno un<br />

dialogo con la tecnologia. E, d‟altra parte, come non fare questo? Pensate che c‟è comunque<br />

tutta una tradizione. Non stiamo inventando nulla, ragazzi. I futuristi già lo avevano fatto ai<br />

primi del Novecento.<br />

Questa era l‟introduzione, perché invece oggi voglio performarvi, per-for-mar-vi, da<br />

performance, dal latino per formam, attraverso la forma, voglio performarvi alcuni poemi<br />

sonori, voce, corpo e immagine e foglio senza immagine, senza musica e senza tanti altri<br />

aggeggi attorno perché voglio darvi proprio la struttura e l‟origine di un poema sonoro. L‟ho<br />

fatto altre volte su altri poemi, ma non penso di averlo mai fatto su quelli. Infatti mi sono<br />

informato: questi poemi non li hanno ancora sentiti perché loro ne hanno sentiti altri. Allora,<br />

guardate, il primo è questo, ha questo titolo, guardate, il titolo è Monòstico, sembra una cosa<br />

ostica, sembra un titolo strano, magari uno dice che, il titolo è importante – eh – in poesia,<br />

anche se sonoro il titolo è importante; dai romantici in avanti il titolo è quello che deve dare<br />

l‟indicazione. Però monostico nessuno sa che cosa sia. Tu pensi a una cosa ostica, uno pensa<br />

alle ostriche, in realtà monostico sapete che cosa è, ragazzi? Monostico è un componimento<br />

latino fatto con un solo verso. Pensate: un solo verso. Questo è monostico, un<br />

componimento latino fatto con un solo verso. Naturalmente io non ho scritto una poesia.<br />

Vedete che cosa è che vi mostro in questo momento? Qui non è che c‟è una poesia lineare<br />

fatta con tanti versi, uno dietro l‟altro, ma c‟è questo che io chiamo schema di esecuzione; in<br />

genere me lo memorizzo questo schema quando eseguo il poema. Oggi invece me lo metto<br />

qui davanti e lo leggo, lo leggerò. Come poema sonoro mi sono proposto di sviluppare molto<br />

bene, guardate questo foglio, mi sono proposto di sviluppare molto bene le prime due sillabe<br />

che sono mo no, mo no, vedete? Questo mo no, mo no. E adesso non posso farvi<br />

naturalmente come l‟ho fatto ..., però vi do un piccolo compito mentre io lo eseguo, vi do un<br />

piccolo compito, così tanto siete spettatori attivi come direbbe Umberto Eco; quindi non è<br />

che solo ascoltate un poeta perché fa una cosa, ma anche voi, mentre io eseguo, seguite tutte<br />

le fasi del poema sonoro. Poema sonoro perché non c‟è un testo scritto, ragazzi. Non sto<br />

leggendo, seguo solo queste indicazioni che mi danno il modulo interpretativo della voce –<br />

10


mi segui? – [C’è chiasso fuori dell’aula]. Un attimo, ho perso il controllo della situazione. E<br />

allora pongo alcuni quesiti. Io ripeterò spesso una parola, questa parola la dovete<br />

identificare: primo quesito; diciamo, la parola che ripeto, la prima. E secondo quesito è:<br />

quali sono le parole che riconoscete, parole intendo appartenenti al normale lessico, quelle<br />

che trovate sul dizionario, non il neologismo che lo invento, [fa un verso per indicare un<br />

vocabolo inventato] è una cosa che non esiste, no? Oppure potrei dire Genovanta per<br />

esempio, che era il contrassegno del nostro amico Claudio. 4 Genovanta non esiste, è Genova<br />

Novanta, quindi è stata fatta l‟unione di Genova e Novanta, e questo è un neologismo, non<br />

esiste sul dizionario, Genovanta non esiste. Allora voi dovrete riconoscere la parola che<br />

ripeto più spesso. Se riconoscete parole appartenenti al lessico normale – ci siamo? – e vi<br />

chiedo di identificare la fine. Secondo voi il finale di questo poema qual è? E che cosa?<br />

Queste tre cose. Ci siamo?<br />

Adesso, in questo momento, sposto un po‟ le sedie perché sono un po‟ compresso. No,<br />

faccio io. Devo avere un po‟ di spazio perché il poeta si agita un po‟ quando fa le cose.<br />

Allora attenzione. Silenzio. Concentrazione. Monostico.<br />

[Performa il poema].<br />

- RR – [Applaudono e poi parlano tra di loro].<br />

Silvana Masnata e Sara Urgeghe mescolate agli allievi della Centurione.<br />

- EM – Vedete, ragazzi? Voi avete sentito un poema sonoro con solo voce e quello che ho<br />

fatto adesso, il testo, ma non è solo un gioco, apparente. Io ho fatto delle domande all‟inizio.<br />

Vediamo un po‟. Magari siete ancora curiosi di vedere quello che io chiamo schema di<br />

esecuzione. Vedete? È come la voce va improntata di volta in volta quando si fanno questi<br />

scoppietti, scoppiettii. Qual è la parola che ripeto di più? È ovvio. Qual è?<br />

- RR – Mo – no.<br />

4 Claudio Pozzani, fondatore e direttore del Festival Internazionale di Poesia, che si tiene a Genova nel mese di giugno<br />

e che è giunto quest‟anno (2006) alla dodicesima edizione.<br />

11


- Em – E secondo voi perché io ripeto tanto questa parola mo – no? Vediamo. Chi vuole<br />

parlare alzi la mano, perché vorrei avere un dialogo. Quando uno vuol dire qualcosa alza la<br />

mano. Perché utilizzo tanto la ripetizione su questo bisillabo secondo voi? Qual è? Qual è la<br />

ragione? [Breve attesa, nessuno risponde]. Perché la ripetizione a lungo andare annulla il<br />

significato. Se ripeto il vostro nome cento duecento volte perde significato. È un gioco da<br />

bambini. Il poeta vuole giocare e noi stiamo giocando. [Pausa. Silenzio]. Quindi la<br />

ripetizione di questo monò monò dà il ritmo al poema; non a caso qualcuno ho visto che<br />

batteva il tempo, prima. Poi qualcuno ha riconosciuto parole appartenenti al lessico? Che era<br />

la seconda domanda che vi ho fatto, qualcuno ha riconosciuto? Sì?<br />

- R – Sì [dichiara un allievo].<br />

- EM – Petali, perfetto. Qualcun altro?<br />

- RR –<br />

[Rispondono].<br />

- EM – [Ripete<br />

le risposte date<br />

dagli alunni]<br />

Ritmo. Grafia.<br />

Certo. Però,<br />

ragazzi, a<br />

questo punto<br />

queste parole<br />

vanno da sé o<br />

potrebbero<br />

essere<br />

collegate a<br />

qualcosa?<br />

Perché c‟è<br />

sempre una<br />

ricerca dentro<br />

ad un poema<br />

sonoro, per<br />

quanto ci sia<br />

un<br />

divertissement,<br />

ci sia un gioco,<br />

c‟è sempre una<br />

ricerca<br />

linguistica<br />

precisa, nulla è<br />

lasciato al<br />

caso. Questo<br />

poema che vi<br />

ho fatto è così.<br />

L‟ho fatto<br />

nell‟Ottantano<br />

ve. Tutte le<br />

Enzo Minarelli illustra agli studenti il senso di alcuni suoi poemi.<br />

12<br />

volte che l‟ho<br />

eseguito è<br />

sempre uguale; oggi, a Villa Croce, dovessi ripeterlo, lo farei ancora uguale. Non è che<br />

cambia di volta in volta. A nessuno viene in mente che queste parole da sole hanno un


significato ma se vanno aggiunte a quel famoso bisillabo che io ho tanto ripetuto cercando di<br />

metterlo in circuito mentale, dai finisci<br />

- R – Praticamente forma la parola.<br />

- EM – Certo. Mettendo insieme mono con queste parole che io vado dicendo avete: monotono,<br />

mono-posto, mono-petto, mono-mania, mono-rivo, eccetera eccetera. Quindi sono<br />

parole che esistono nel lessico ma hanno senso se anticipo il bisillabo mono. Infatti il poema<br />

è proprio basato su mono-polio, mono-logo, mono-petalo, mono-mio, mono-sillabo, monocromo,<br />

eccetera eccetera eccetera. Sentite, non ho fatto una domanda, però avete notato a un<br />

certo punto un cambio di accento? Bótte, bòtte; pésca, pèsca. Nessuno ha notato questo o<br />

state già dormendo pensando alle vostre fidanzate e fidanzati di oggi pomeriggio? Nessuno<br />

ha noteto questo? Nessuno? Nessuno? Guardo, qui a sinistra, ....? Niente? Niente questo<br />

cambio? Forse il microfono o forse il neon. A un certo punto io ho ripetuto mono-sòno,<br />

mono-sòno, mono-sòno, mono-sóno. Si apre un mondo di differenza, un mondo planetario.<br />

Mono-sòno è un unico suono; sóno: io sono, e non a caso questo mi permette quella filippica<br />

di aggettivi che io leggo. Ve lo ricordate? Farsesco, boccaccesco, buffonesco, grottesco,<br />

pedantesco, tutte queste cose che voi dite: ma perché? Non è che mi sto autodefinendo, eh?<br />

Non fate questo errore. Non pensate che il poeta sta declamando un testo autobiografico.<br />

Uso queste parole un po‟ perché mi piacciono e un po‟ perché hanno un significato<br />

interessante. Comunque i termini erano animalesco, brigantesco, boccaccesco, buffonesco,<br />

contadinesco, farsesco, grottesco, eccetera eccetera eccetera. In finale poema, qualcuno ha<br />

notato?<br />

- RR – Monostico.<br />

- EM – Sì, arrivo a dare il titolo del poema stesso. In pratica ripetendo questo mo-no mo-no<br />

aggiungo sti e in finale co e con co chiudo il poema, perché, amo sempre dire, un poema<br />

sonoro è come una gag, come Jerry Lewis che studiava Stan Laurel e Oliver Hardy. Una gag<br />

comica, farsesca, deve avere chiaro l‟inizio, lo sviluppo e la fine, un po‟ come Aristotele<br />

nella Poetica quando teorizzava la tragedia greca, un inizio chiaro, uno sviluppo e una fine;<br />

così anche un poema: bisogna capire quando inizia, quando sono nel poema e quando<br />

finisco. Vi pare? Altrimenti sembra estemporaneo. Questo era Monostico. Bene. Andiamo<br />

con questo, da un altro repertorio a disposizione. Qualcuno dal titolo nota qualcosa? Già dal<br />

titolo? Beh, potete fare osservazioni.<br />

- RR – [Rispondono in tanti].<br />

- EM – Oooh! Con è separato, oooh. Ci siamo già. Vede professore, hanno notato che con ha<br />

una separazione visiva e, guarda caso, con sonante, non consonanti ma con sonanti. Quindi<br />

uno potrebbe dire: lavorare con le consonanti, fare un poema con le consonanti ma anche<br />

suonare le consonanti, perché no? Sonanti. E naturalmente io utilizzo una serie di consonanti<br />

in questo poema. A voi lascio il compito di scoprire come, perché non sto a svelare il<br />

segreto; quando eseguo il poema voi vedrete come le consonanti sono trattate, come<br />

vengono presentate e devo anche dirvi che le consonanti hanno un significato. C‟è chi ha<br />

fatto il famoso catalogo delle vocali, assegnando alle vocali un colore ed anche un<br />

significato. In fondo è vero. La risata è ahahah; ricordi il Poema? Quello della rivoltella:<br />

ahahah, eh? E la risata è ah, non è oh. Oppure la u, in genere è una vocale che richiama<br />

tristezza e dolore. Mh? Allora sulle consonanti è la stessa cosa. Io non vi dirò il significato<br />

di ogni consonante, però ogni consonante suggerisce un senso, che credo andate a percepire,<br />

perché mentre eseguo ogni componente, consonanti, io penso che arrivi un significato;<br />

infatti questo poema in particolare io l‟ho eseguito dal Giappone al Messico, dall‟Argentina<br />

al Canada, in mezzo mondo, e arriva perché in qualche modo supera le barriere linguistiche.<br />

Mi capite? Perché la poesia sonora in qualche modo, in qual-che mo-do, supera e abbatte le<br />

barriere linguistiche. Quindi Con Sonanti. Anche qui vi do qualche indicazione. Beh, intanto<br />

riconoscere le consonanti che utilizzo: prima cosa. però voglio una partecipazione più attiva<br />

dopo, non solo le domande. Quali sono le consonanti che utilizzo, primo. Se qualcuno riesce<br />

13


a dare un significato alle consonanti; cioè, qui c‟è da attaccare un significato ad ogni sezione<br />

di sperimentazione consonantica. Mi segui? Questo è interessante perché probabilmente voi<br />

potete sbizzarrirvi, non c‟è un significato preciso. Se voi guardate un trattato di linguistica,<br />

dicono: “Ah, questo corrisponde”. Poi ve lo dico il significato secondo un codice generale,<br />

però è anche giusto che ognuno di voi metta la propria fantasia, altrimenti che cos‟è?<br />

L‟ascoltatore è libero di fare, può sbadigliare, può dormire, può parlare al poeta, può<br />

prendere appunti, ... Questo è ridicolo. Voi mi guardate, dagli occhi riesco a capire se mi<br />

seguite. In genere mi sembra di sì, però vedo se l‟occhio va, naviga, mi guarda e pensa ad<br />

altre situazioni. Quindi: cercare un significato. Poi vi chiedo ancora di identificare l‟inizio e<br />

la fine di questo poema, che – sapete – è importante, ve l‟ho detto: il poema sonoro deve ...<br />

[si corregge] può un poema sonoro avere chiari l‟inizio e la fine e quindi l‟inizio e la fine<br />

sono molto particolari. Dopo vi chiedo eventualmente di identificarli. Ora sono pronto,<br />

faccio questo secondo poema che ha per titolo Con Sonanti. Durante l‟esecuzione potete<br />

ridere, muovervi, però non tollero il chiacchiericcio.<br />

Con Sonanti. [Inizia l’interpretazione].<br />

- RR – [All’avvio della performance compaiono le prima risa che di mano in mano<br />

aumentano fino a diventare, nel giro di una manciata di secondi, tanto fragorose da coprire<br />

del tutto la voce di Enzo].<br />

La preside, professoressa Nadia Culotta, siede tra gli<br />

allievi durante le performances di Minarelli.<br />

14<br />

- MF – Ragazzi, interrompere di<br />

colpo non è la cosa più positiva!<br />

Cerchiamo di superare<br />

l‟infantilismo.<br />

- EM – Ero a metà del poema.<br />

Riesco ancora a riprendere.<br />

[Rivolgendosi ai ragazzi] Eravamo<br />

arrivati?<br />

- RR – [Rispondono in coro].<br />

- EM – Ancora.<br />

- RR – [Ripetono la precedente<br />

risposta].<br />

- EM – Più forte.<br />

- RR – [Tornano a ripetere, però a<br />

voce più alta].<br />

- EM – Ancora.<br />

- RR – [Obbediscono].<br />

- EM – Riprendo. [Procede<br />

nell’interpretazione].<br />

- RR – [Al termine applaudono e poi<br />

si abbandonano alle chiacchiere].<br />

- EM – Allora, ci siamo? Ragazzi?<br />

Ci ricomponiamo un po‟? Dopo<br />

Consonanti? Allora, intanto vediamo l‟inizio e la fine. Dai, com‟era l‟inizio? L‟avete<br />

riconosciuto? Dai, ditemi.<br />

- R – Il linguaggio oscilla.<br />

- EM – Il linguaggio oscilla, ma non è completa la frase. È cosmo, che è una classica frase<br />

presa da uno studioso. Il linguaggio oscilla tra caos e cosmo, è vero? Il linguaggio qualche<br />

volta è incomprensibile. Già non ci capiamo usando il linguaggio normale: “Ah, dici cos‟hai<br />

detto?” quando è normale. Quindi, figuriamoci. Oppure, certo, [...] le cose ambigue per non<br />

farsi capire. Ci sono dei politici che usano un linguaggio che non si capisce niente da anni.<br />

Adesso non voglio fare il discorso politico né di parte, diciamo che tutti i politici, in genere,


... Ascoltateli quando parlano, sono abilissimi nel dire e non dire; è un‟arte incredibile.<br />

Quindi figuriamoci se il poeta non può permettersi qualche ambiguità, non si capisce<br />

neanche quello che dicono loro. Quindi linguaggio, caos e cosmo. Poi finisce questa sequela<br />

di consonanti. Ne avete riconosciute alcune? Sì. Allora io vi chiedo magari di indicarne<br />

qualcuna e, quando qualcuno vuole parlare, il possibile significato che voi date a questa<br />

consonante, perché – vi ho detto – esiste un catalogo in base al quale, faccio un esempio la<br />

elle, lalala, indica liquidità, qualcosa che scorre, quindi il fiume, una cosa che è simile al<br />

balbettio, la montagna; vi do queste immagini. Oppure scivolare sulla superficie del mare<br />

quando magari andate in barca. Questa è la L, 5 però la elle di per sé, come io l‟ho fatta,<br />

peraltro interrotta, e quindi due volte, ho fatto L L L, che è sempre uguale eh, non è che<br />

cambi questa tonalità, L L L, quasi strattonato. Uno può avere delle emozioni o delle proprie<br />

intuizioni. Per esempio a te la elle cosa ti ha suggerito?<br />

- R – Mah ..., sì ..., uno scorrere.<br />

- EM – Cosa hai detto? Ah, uno scorrere; anche a te uno scorrere. Un‟altra consonante? Per<br />

esempio di qualcun altro che vuol dire qualcosa. Hai alzato la mano.<br />

- R – La ti è uno sparo.<br />

- EM – Esatto, infatti la ti ha questa idea di violenza, sicuramente. C‟è anche un‟altra<br />

consonante che uso con molta violenza. Qualcuno ha notato?<br />

- RR – [In parecchi indicano la r] La erre, la erre, la erre, ...<br />

- EM – La erre, sì, però ce n‟è un‟altra ancora.<br />

- RR – La ci.<br />

- EM – La ci, la pi. Vi ricordate?D d d, sentite questa ...? Quasi come se fosse un battito,<br />

come fosse una frustata, infatti la d è una consonante durissima, d d d, anche la pi<br />

naturalmente. E invece andiamo su qualche consonante dolce, la effe per esempio, la esse, la<br />

zeta. Che è venuto in mente a te con la effe? [Pausa brevissima d’attesa]. Niente. Buio. Dai.<br />

- R – [Risponde].<br />

- EM – Esatto; vedi? Se voi prendete un manuale di linguistica, vi diranno che la esse e la zeta<br />

indicano il silenzio, mh? [...]. 6 E invece mi interessa il finale. Vediamo come lo avete<br />

percepito. Intanto qualcuno mi sa dire certamente com‟è il finale? Lo avete sentito, eh. Io<br />

faccio un po‟ il contenuto per non rovinarvi le orecchie, eh. In genere aumento molto di più<br />

la voce, però il finale ... Certo, vuole dirmi come l‟ha percepito qualcuno il finale?<br />

- R – [Risponde].<br />

- EM – Chi è che parlava? Ah, il nostro amico. Come ti chiami tu?<br />

- R – Paolo.<br />

- EM – Dimmi.<br />

- R – [Ripete e completa la sua risposta].<br />

- EM – Eh, bravo. Vedi? Io ho sempre sostenuto che i ragazzi delle medie, perché faccio<br />

laboratorio nelle medie, hanno sempre intuizioni: uso parole senza vocali. Bravo. Io faccio<br />

un mélange, cioè un cocktail, un‟ammucchiata di consonanti, [performa oralmente il suono<br />

di un cumulo di consonanti] e sono, giustamente dice Paolo, parole senza vocali. Dice: ma<br />

perché questo? Allora è giunto il momento di dire che il poeta non deve sempre comunicare,<br />

la poesia non è il luogo privilegiato per comunicare messaggi universali. È stato così, ma<br />

non è detto che sia sempre così, anche perché se uno vuole trasmettere un messaggio<br />

potrebbe fare una lettera, un proclama, un programma televisivo. Perché la poesia e non la<br />

chimica o il giardinaggio? Perché la poesia è il luogo ...? È sempre stato così. Qualche<br />

insegnante di italiano non mi guardi male. Però la poesia può essere anche un luogo di<br />

ricerca, può essere un luogo anche di sperimentazione, perché – altrimenti – i futuristi non<br />

5 La trascrizione L vorrebbe indicare la pronuncia della elle senza presenza di suono vocalico.<br />

6 Salto alcune parole perché poco intellegibili. Immagino che facesse riferimento a Ferrara come città del silenzio (ma<br />

accenna anche a Bologna) e che invitasse i docenti ad inserirle come meta di viaggi scolastici.<br />

15


sarebbero mai esistiti, il movimento Dada neanche, il Surrealismo neanche, il Lettrismo<br />

neanche, il Gruppo 63 ed Edoardo Sanguineti, amico che sta qui a Genova, non avrebbe<br />

avuto ragione di esistere se la poesia fosse il luogo privilegiato per lanciare messaggi<br />

universali. Bene. Quindi il poeta può sperimentare ma non è detto che poi si ricevano questi<br />

messaggi. Io, quando lavoro, non ho in mente un messaggio. Lavoro sulle parole perché il<br />

poeta lavora con i suoni e curo una certa euritmia, cioè un suono piacevole, e cerco in<br />

qualche modo di lanciare dei significati, non c‟è il termine messaggio che è pesante. È ovvio<br />

che se faccio questo dé dé dé dé 7 arriva qualcosa di violento, poi uno può pensare che è la<br />

violenza della società, che è la violenza ..., ognuno può riempire questa cosa come vuole.<br />

Quindi il finale, Paolo ha ragione, sono parole senza vocali in un crescendo, dal silenzio a<br />

un climax, climax: sapete che in termini tecnici è il top, il massimo di una tensione, per cui<br />

scendere, cambiamo fino alla zeta, silenzio, ed è il finale del poema. E questo è Con<br />

Sonanti. Bene chiudiamo anche questo. Io non so ... Ho ancora tempo per un altro poema?<br />

Sì. Okay.<br />

- I – C‟è tempo per un altro?<br />

- EM – Ho tempo per un altro poema?<br />

- MF – Spero di sì.<br />

- RR – [Rispondono all’unisono di sì, vogliono restare ad ascoltare Minarelli].<br />

- MF – Però devi sapere che lo fai a scapito del tuo intervallo<br />

- EM – Ah, ho capito.<br />

- MF – Perché poi chiudiamo alla mezza.<br />

- EM – [Rivolgendosi ai ragazzi] Un altro poema lo volete?<br />

- RR – Sssssssììììììììì!<br />

- EM – Il prossimo, ragazzi, è pericoloso. Ragazzi, ascoltate [chiacchierano a gran voce].<br />

Allora, fermi. Il prossimo, facciamo così. Ragazzi, componetevi. Ragazzi ascoltate, il<br />

prossimo è a vostro rischio e pericolo, eh. Allora non dico nulla stavolta, inizio e vado e<br />

vediamo cosa succede. Ne capitano di tutti i colori in questo poema. Dico solo il titolo. Lei<br />

non stia a guardare. Poi vediamo alla fine che cosa vede in questo poema. Regina. Regina,<br />

non so, che cosa pensate voi?<br />

- R – [Dice qualcosa]<br />

- EM – Ti sembra che faccia un poema dedicato tutto alla regina? Per quel poco che mi<br />

conosci, ti sembra? Non esiste. Regina è qualche altra cosa. Ragazzi dovete ricomporvi<br />

perché questo è un poema molto pesante, e il titolo è Regina. Voi dovete sapere chi è questa<br />

regina, non è la pista, pista regina. Questo è l‟ultimo poema, questo e poi finiamo, il terzo<br />

della serie. Titolo: Regina. [Dà avvio alla performance].<br />

- RR – [La pernacchia d’inizio produce un’irrefrenabile risata collettiva].<br />

- EM – Ricomincio, ricomincio, la pernacchia. Andatevi a leggere quanto ha scritto Totò<br />

sulla pernacchia.<br />

- RR – [Tornano a ridere].<br />

- EM – No, perché appena uno fa una cosa tutti ahahah, no, c‟è una filosofia della pernacchia<br />

e io mi rifaccio a un testo sacro tra l‟altro di un grandissimo poeta oltre che un grande<br />

comico. Se faccio questa cosa, io col pensiero vi rimando a Totò e quindi non è volgare né<br />

di cattivo gusto, sto semplicemente iniziando un poema. Torniamo da capo. Fermi.<br />

Possiamo andare? Ti muovi in continuazione, mi sembri peggio di una lancetta di un<br />

metronomo; questo qua, non sono strabico, tu, quello lì, ecco, se stai fermo due minuti mi<br />

aiuti, perché ti sposti in continuazione, eh metronomo, potrei usarlo come metronomo.<br />

- RR – [Ridacchiano].<br />

- EM - Eh, guarda, non sta fermo un attimo. Allora Regina [Riprende la performance e la<br />

porta a termine].<br />

7 Vedere nota 2.<br />

16


- RR – [Applaudono molto forte].<br />

- EM – Io ho finito. Chi era la regina? Chi era la regina?<br />

- RR – [L’uditorio fa molto chiasso ed Enzo è costretto a richiamarlo con garbo e decisione].<br />

- EM – Chi era una regina in questo poema?<br />

- RR – [Dicono qualcosa].<br />

- EM – Paolo?<br />

- R – La parola precipitevolissimevolmente.<br />

- EM – Che è notoriamente la parola più lunga del lessico italiana, mai usata poverina e io<br />

l‟ho eletta e considerata regina tra le parole italiane. Con questo io vi ringrazio e<br />

- RR – [Applaudono].<br />

[Termina qui la registrazione].<br />

La professoressa d‟Educazione Artistica, Rosangela Piccardo, e il polipoeta Enzo Minarelli.<br />

17


18<br />

SOTTOLINEATURE<br />

ENZO MINARELLI<br />

1. “Il poeta di oggi deve conoscere la tecnologia ed utilizzarla”.<br />

2. I polipoeti dialogano con la tecnologia.<br />

3. La ripetizione annulla il significato.<br />

4. C‟è sempre una ricerca linguistica in un poema sonoro; per quanto ci sia un divertissement,<br />

nulla è lasciato al caso.<br />

5. La poesia sonora in qualche modo supera e abbatte le barriere linguistiche.<br />

6. Il linguaggio oscilla tra caos e cosmo.<br />

7. Il poeta non deve sempre comunicare, la poesia non è il luogo privilegiato per comunicare<br />

messaggi universali. È stato così, ma non è detto che sia sempre così.<br />

La Preside della Centurione tra gli allievi di III A.


- Se tu fossi un insegnante di Educazione Artistica che cosa vorresti?<br />

- Risponde Enzo Minarelli:<br />

19<br />

QUESITO<br />

Io vorrei prima di tutto avere carta bianca sui programmi, mi spiego, non vorrei essere<br />

obbligato ad insegnare cose che non amo, e che sinceramente non apprezzo. Sembra<br />

semplice, eppure è così che funziona: come fa un insegnante a trasmettere amore verso<br />

quello che insegna se lui, per primo, quelle cose non le ama?<br />

Rischio di dire delle corbellerie, ma rischio volentieri, per esempio sull‟arte greco-romana la<br />

penso esattamente come Marinetti; mi sono solo dilungato al British Museum davanti alle<br />

metope del Partenone perché hanno ispirato un famoso verso di John Keats in Ode to a<br />

Grecian Urn.<br />

Non mi attarderei più di tanto sul capitello dorico, ionico o corinzio, e approderei in fretta<br />

verso la fine del Quattrocento e primi Cinquecento, il secolo che ritengo fondamentale, anzi<br />

se potessi avere un‟altra vita, vorrei proprio stare nella Roma del Caravaggio, giocare a dadi<br />

o carte nelle bettole in combutta con i bari o nella Firenze dei manieristi, gomito a gomito<br />

con la misoginia di un Pontormo, per esempio.<br />

Quindi il Cinquecento, certo, non scarterei nulla di quel secolo ivi compreso il sacco di<br />

Roma e la rivoluzione luterana, che bello ribellarsi alla romanità, intesa come tracotanza e<br />

arroganza del potere, oggi sembra un miraggio.<br />

Più che la teoria, privilegerei il contatto diretto con l‟opera, se non è possibile viaggiare<br />

verso gli Uffizi, o la Cappella Sistina o Villa Medici o sostare a palazzo Abatellis, io<br />

proporrei delle immagini che riproducono il quadro nella sua grandezza reale, e da lì<br />

incomincerei: crea sempre una grande frizione l‟impatto con l‟opera. Più che sciorinare<br />

notizie o nozioni che a volte tendono a stordire lo studente come una inutile cascata di<br />

parole noiose, io farei parlare loro e partendo dalle loro emozioni e sensazioni, risalirei<br />

all‟oggettività dell‟opera.


Dal Cinquecento passerei direttamente ai primi del Novecento, se proprio è necessario alla<br />

seconda metà dell‟Ottocento. In Arte succede la stessa cosa che capita al Teatro Inglese,<br />

dopo Shakespeare (che però è Seicento) non succede più nulla d‟interessante fino a fine<br />

Ottocento con l‟avvento di Oscar Wilde. Quindi darei grande spazio alle grandi avanguardie,<br />

agli scossoni tellurici che hanno rivoluzionato il modo di concepire e fare arte.<br />

Poi, arriverei all‟oggi, ripeto, fino all‟oggi. Troppo spesso, quando vengo a contatto con<br />

studenti delle Medie Inferiori o anche Superiori, e cito John Cage o Adriano Spatola, vedo<br />

certe facce stralunate che non so se mi prende un grande dispiacere o un profondo<br />

scoramento per le occasioni perdute. L‟oggi vuol dire, dare delle coordinate in base alle<br />

quali lo studente può stare davanti ad un sacco di Burri, ad un taglio di Fontana, ad una<br />

scultura di Cattelan senza ridere o chiedersi, come faceva l‟Alberto Sordi nel film Le<br />

Vacanze Intelligenti, ma che è sta‟ roba?<br />

Enzo Minarelli per Cantarena, marzo 2006<br />

20


E S T R A T T O DAL C O L L O Q U I O :<br />

MARGHERITA LEVO ROSENBERG<br />

La conversazione ebbe inizio con una richiesta di informazioni, da parte di Margherita, sull’attività<br />

di Cantarena. Tralascio queste notizie perché sicuramente note a molti lettori del nostro<br />

giornalino.<br />

Legenda<br />

- MLR – Margherita Levo Rosenberg<br />

- MF – Mario Fancello<br />

[...].<br />

- MF – Ecco, questo [L’ultimo Pomodoro, 1992 (cfr. fotografia)] l‟ho visto nel catalogo.<br />

- MLR – Sì, l‟ho riportato perché poi bene o male lo richiamo ogni tanto questo modo di<br />

mettere un oggetto e di farlo parlare con una frase scritta, no? Non è un caso che poi io mi<br />

sia così tanto incaponita con la pipa di Magritte, con la sua scritta Ceçi n’est pas une pipe,<br />

eh. E sono gli anni Novantadue più o meno. 8 A me è sempre piaciuto tantissimo disegnare,<br />

ero una bambina che disegnava tanto, al punto che i miei compagni di scuola, ancora adesso,<br />

quando mi incontrano, dicono “Quanti disegni che mi hai fatto!”. Però non ho preso la<br />

strada dell‟artistico. Non posso nemmeno dire che non l‟ho fatto perché non me l‟hanno<br />

fatto fare, nel senso che all‟epoca, per me, era ovvio che non me lo facessero fare; era<br />

talmente ovvio che non l‟ho nemmeno chiesto, – come dire? – la consideravo una strada<br />

chiusa.<br />

- MF – Nel senso che la tradizione familiare era<br />

- MLR – La mia non è una tradizione familiare colta… sono figlia di contadini ed ho parlato<br />

il dialetto fino a sei anni. Sono arrivata a scuola, prima elementare, che non sapevo parlare<br />

8 Mi riferisco al momento in cui ho cominciato ad applicare oggetti sulla tela circondandoli di scritte semicircolari.<br />

(M.L.R.)<br />

21


l‟italiano, anzi ho qualche episodio molto carino che ricordo [ridacchia] dell‟insegnante che<br />

insisteva con un compagno – io per fortuna ero piuttosto svelta e quindi ho imparato<br />

velocemente – ma un compagno, che non riusciva a chiedere in buon italiano come andare al<br />

bagno, un giorno se l‟è fatta addosso. Io l‟ho difeso in maniera piuttosto aggressiva e siamo<br />

finiti tutti e due inginocchiati con l‟albero di Natale che ci pungeva il viso<br />

- MF – gli aghi<br />

- MLR – gli aghi. Ora mi rendo conto che da Ottobre a Natale forse il tempo c‟era stato per<br />

imparare a dire questa cosa, ma a me l‟episodio aveva fatto molto male insomma. E quindi<br />

non è che avessimo una tradizione di altro tipo… io sono cresciuta in questo paese che si<br />

chiama Ponti e che ha settecento abitanti, forse adesso anche qualcuno di meno,<br />

- MF – che si trova?<br />

- MLR – che si trova sulla statale Alessandria-Savona, un po‟ dopo Acqui Terme e quindi si<br />

andava a scuola in treno alle medie, e l‟artistico era solo a Savona, distava 50 km anziché i<br />

14 di Acqui, bisognava alzarsi un paio d‟ore prima, e poi l‟ambiente dell‟artistico veniva<br />

guardato come quelli che comunque – no? – [ridacchia] erano pericolosi, eccetera, e quindi<br />

non era proprio il caso<br />

- MF – Quindi soprattutto questioni logistiche.<br />

- MLR – Non era proprio immaginabile… non era immaginabile per un ambiente così<br />

concreto come quello da cui io provenivo insomma. Mi è passato per la testa, ma proprio<br />

non ho avuto il coraggio di chiederlo, ecco, e l‟ho fatto anche perché – devo dire la verità –<br />

avevo più successo a scrivere che a disegnare e ho avuto qualche problema con gli<br />

insegnanti di disegno<br />

- MF – Più successo nel senso scolastico?<br />

- MLR – Sì sì sì, e quindi sono stata fortemente consigliata di avviarmi verso scuole letterarie<br />

- MF – L‟indirizzo umanistico.<br />

- MLR – Sì, e quindi ho fatto il classico e poi, dopo il classico, durante quegli anni mi sono<br />

innamorata della psicoanalisi, e quindi ho fatto poi Medicina per fare lo psichiatra ed è<br />

quello che ho fatto e non è che mi dispiaccia perché trovo che poi arte e psicologia in<br />

qualche maniera si occupino dell‟uomo.<br />

- MF – Io, infatti, non conoscendola, su qualche cosa ho riflettuto e a me, è uno stereotipo<br />

assolutamente, però a me risultava un po‟ inconciliabile il fatto di pensare alla psichiatria,<br />

che mi sembra qualcosa di meccanicistico, di comportamentista<br />

- MLR – Sono cose lontane da me queste.<br />

- MF – Però alla psichiatria no.<br />

- MLR – Beh, c‟è anche una psichiatria organicista<br />

- MF – Perché a me sembra, se non sbaglio, che si muova su questa strada: avere dei risultati<br />

senza poi andare a vedere le cause; mentre la psicoanalisi va a cercare le cause.<br />

- MLR – Sì sì, però gli psichiatri si muovono sempre a cavallo tra la psicologia e la<br />

psicofarmacologia. Ora io mi sono più indirizzata verso la psicologia; non solo, mi occupo<br />

di arteterapia, oggi, in particolare. No? Certo, anche grazie agli psicofarmaci questo è<br />

possibile. Io sono una persona ..., cerco di mantenere – come dire? –<br />

- MF – un equilibrio<br />

- MLR – un equilibrio, e devo ammettere che senza psicofarmaci è dura e che i primi<br />

psicofarmaci sono entrati in vigore nel ‟54 e quindi ritengo che se abbiamo potuto chiudere<br />

gli ospedali psichiatrici è anche grazie a questo, anche grazie a questo, perché effettivamente<br />

quando una persona è in crisi acuta è difficile rapportarcisi, ecco, è difficile e forse richiede<br />

delle capacità che non tutti hanno e che non sono forse nemmeno oggetto di apprendimento,<br />

ecco. Se lei insegna sa sicuramente che non tutti insegnano come lei, che ognuno ha<br />

- MF – un proprio stile<br />

- MLR – C‟è uno stile, ma c‟è anche – come dire? – uno spingersi oltre quello che è il<br />

compito che ci è demandato oppure non farlo e questo è qualche cosa che non si può<br />

22


chiedere alle persone istituzionalmente, no? Quindi meno male che gli psicofarmaci ci sono;<br />

intendo per i pazienti, per i pazienti; insomma anche per chiunque di noi, se non ci riesce di<br />

dormire – voglio dire – tutto sommato il fatto che ci sia un farmaco che ci aiuta ...<br />

- MF – purché non diventi pericoloso<br />

- MLR – [Intonazione divisa tra la meraviglia e il riso] Certo, come tutte le cose, se poi uno –<br />

come dire? –<br />

- MF – eccede<br />

- MLR – eccede, diventa pericoloso. Come dicevamo: durante questi anni ho dipinticchiato<br />

insomma, ho fatto delle cose. Mi ricordo un quadro dove avevo fatto la torre di Pisa dritta<br />

storcendo i palazzi, cose fatte un po‟ così. Facevo forse quei tre quattro pezzi all‟anno fino<br />

al Novanta<br />

- MF – Però, un attimo, le chiedo, avendo frequentato il classico, niente conoscenza tecnica?<br />

- MLR – No, no, no.<br />

- MF – Allora questo dipingere? Aveva trovato qualcuno al di fuori della scuola, da cui<br />

- MLR – No. Sono proprio<br />

- MF – Sperimentazione personale?<br />

- MLR – Sono assolutamente autodidatta.<br />

- MF – Manuali?<br />

- MLR – Qualcuno, sì. Mi sono fatta la famosa enciclopedia della Fabbri sulle tecniche<br />

pittoriche; qualche cosa ho imparato, e insomma<br />

- MF – Quindi attraverso il tentativo galileiano del provare ...?<br />

- MLR – Direi di sì, direi di sì, anche perché insomma io poi sostengo che una cosa per<br />

impararla davvero bisogna farla; avrei potuto farlo in un altro modo ma... Poi, nel Novanta,<br />

sono entrata a lavorare nel “manicomio” di Quarto e casualmente mi è stato proposto da<br />

Slavich, che allora era il direttore sanitario, [si corregge] non proposto, mi è stato<br />

veramente imposto, un corso di arteterapia.<br />

- MF – [Ridacchio]<br />

- MLR – [Ridacchia] e posso dire grazie ad Antonio, di occuparmi oggi di arteterapia.<br />

- MF – Una delle poche persone da rimpiangere.<br />

- MLR – Ecco sì. E comunque, in realtà, io avrei detto di sì, ma Antonio non ha chiesto il mio<br />

parere, ha detto “Tu, tu, tu e tu”, eravamo in quattro e ci ha mandato a fare questo corso di<br />

arteterapia con Anne Denner e con Isabella Castello, poi c‟erano altre persone per altre parti<br />

del corso, ma per la parte artistica Isabella Castello, che è la mamma di Sergio Muratore, un<br />

artista<br />

- MF – Sì, lo conosco.<br />

- MLR – e che è una signora che ha insegnato nella scuola per assistenti sociali per tanti anni,<br />

ha dipinto con le terre e ha studiato con Guido Ballo all‟Accademia di Brera. Lei ha fatto la<br />

parte tecnica e devo dire che se ho continuato è proprio grazie a lei, che mi ha veramente<br />

stimolato e anche – come dire? – molto molto apprezzato, ecco; è lei che mi ha dato il<br />

coraggio di chiamarmi artista. E da allora, dopo che è finito il corso, io ho continuato a<br />

lavorare nel suo studio in Piazza delle Erbe, ci ho lavorato per i due anni successivi, fino a<br />

quando poi mi sono fatta uno studio per conto mio, e lì spaccavo vetri, facevo queste cose<br />

qui [mostra un’immagine del catalogo: “Ricorsi” 1992 (cfr. fotografia)], in realtà questo è<br />

fotografato così ma dovrebbero essere uno seriale all‟altro invece che così.<br />

- MF – Ah, tutti in serie<br />

- MLR – Esatto, esatto.<br />

- MF – Ho capito, sì.<br />

- MLR – Solo che il catalogo non consentiva, allora mi hanno costretta a pubblicarlo in serie<br />

verticale<br />

- MF – É stato spezzato.<br />

- MLR – Certo certo, in realtà era in serie orizzontale.<br />

23


L’Ultimo Pomodoro, 1992, tecnica mista su tela, cm 40x30. Il Re Nudo.<br />

Ricorsi, 1992, Piastrellite, vetro, anilina, trittico su tavola, tre tavole cm 150x55.<br />

(Nel catalogo appare così).<br />

24


Ricorsi, 1992, piastrellite, vetro, anilina, trittico su tavola, tre tavole cm 150x55.<br />

(Come sarebbe dovuto apparire sulle pagine del catalogo. Gli spazi bianchi fra una tavola e l‟altra sono arbitrari).<br />

- MF – Un po‟ cruento.<br />

- MLR – Molto, molto cruento. Io spaccavo vetri, il primo quadro che ho fatto con i vetri rotti<br />

è stata l‟Intifada, ed era proprio una pietra piramidale che usciva dal quadro spaccando<br />

questo vetro con un po‟ di colature<br />

- MF – Essenzialmente, il suo essere ebrea le porta un‟ottica differente, a suo parere, oppure<br />

no?<br />

- MLR – Dipende su che cosa. Tra l‟altro io non sono ebrea. Io sono sposata con un ebreo,<br />

tant‟è che a un certo punto, e se qualcuno andrà a scartabellare nelle prime mostre lo vedrà,<br />

perché io mi chiamo Margherita Levo e a un certo punto assumo anche Rosenberg. Non<br />

sarei la stessa se non avessi conosciuto mio marito, io, venuta da questo paesino provinciale,<br />

ignara del mondo, veramente ignara perché non avevo viaggiato – non c‟era questa cultura<br />

in casa... e neppure i quattrini…– poi ho conosciuto mio marito all‟Università e mi sono<br />

innamorata, di lui sicuramente, ma anche dell‟incontro con una cultura che non conoscevo.<br />

Forse un po‟ di ebraismo c‟era nelle mie origini per davvero… il richiamo della foresta…<br />

ma in ogni caso per me è stato un incontro fondamentale, ho imparato l‟ebraico, viaggiato<br />

di più…<br />

- MF –Torniamo all‟arte?<br />

- MLR – Allora, durante e dopo il liceo avevo deciso che gran parte dell‟arte contemporanea<br />

insomma fosse anche un po‟ aria fritta – tra l‟altro ho dedotto poi nel mio percorso analitico<br />

che siccome non avevo avuto il coraggio di seguire le mie passioni mi ero difesa in questo<br />

modo, negando il valore di qualcosa a cui non mi sembrava consentito accedere – e quindi<br />

ricordo che Isabella Castello, molto molto brava, attenta e perspicace, avendo capito di me<br />

ciò che io ancora non sapevo, mi mandò al Lingotto, a Torino a vedere una mostra di Pop art<br />

americana, di cui, ovviamente, mi sono innamorata.<br />

- MF – Anni?<br />

- MLR – Novanta. Ho visto per la prima volta nella mia vita De Kooning, Andy Warhol,<br />

Oldenburg, gli Iperrealisti, Man Ray e così via, me ne sono innamorata ovviamente,<br />

soprattutto di Pollock, di Rothko, (Warhol ci metterò qualche anno in più a capirlo) e quindi,<br />

quando sono tornata, lei mi ha detto “Beh, vedi che insomma si possono fare cose diverse<br />

dai ritratti” e così via. La settimana dopo sono andata a comprarmi una tavola di<br />

compensato, un vetro, una pietra e ho spaccato questo vetro sulla tavola, ci ho aggiunto un<br />

po‟ di anilina rossa, la pietra aguzza, ed ho fatto “l‟intifada”. Devo dire che la cosa è stata<br />

molto apprezzata da lei. Poco dopo, all‟epoca, venne Caterina Gualco a vedere questo atelier<br />

di formazione all‟arteterapia e disse che le cose che avevamo fatto durante il corso, non solo<br />

le mie, erano sicuramente particolari ..., che, diciamo, da questa classe di psicologi e<br />

psichiatri era uscito qualcosa di più di quello che sarebbe uscito da una classe d‟accademia<br />

in un solo anno; da allora continuai e quando avevo dei problemi tecnici mi rivolgevo a<br />

Isabella. Da lei sono poi andata per i due anni successivi, nel suo studio. Ho abbandonato<br />

molto presto la pittura, nel senso tradizionale, quindi avevo problemi d‟altro tipo: per<br />

esempio per trovare questo materiale (piastrellite) che è una colla da piastrelle bianchissima<br />

ci ho messo parecchio tempo, però era più un problema di reperire i prodotti giusti sul<br />

mercato che di tecnica pittorica. Sono tornata alla pittura solo un paio d‟anni dopo.<br />

25


- MF – Sì. Il passaggio, dopo aver visto questa mostra, il passaggio dalla pittura a questo tipo<br />

più dusciampiano – per intenderci – di comportamento ha portato a qualche evoluzione, a<br />

qualche crisi? Il ritorno poi alla pittura è stato facile? Cioè, cosa c‟è stato in questo<br />

percorso?<br />

- MLR – All‟inizio, la scoperta della possibilità di un modo totalmente diverso di fare arte mi<br />

ha dato un grande entusiasmo, poi una grande paura, una paura inspiegabile. Ma l‟arte è un<br />

linguaggio che racconta le cose che ci succedono. Quello che mi stava succedendo è che io<br />

non avevo retroterra, non sentivo il mio retroterra culturale abbastanza solido da potermi<br />

permettere di fare questo salto (dalla pittura ai materiali più disparati) senza sentirmi un po‟<br />

sospesa nel vuoto e quindi ho avuto bisogno di dimostrarmi che ero capace a dipingere, che<br />

ero capace di fare i ritratti, che ero capace di fare gli acquarelli, tant‟è che dal ‟94 al ‟96 ho<br />

dipinto ancora molto<br />

- MF – Non era un po‟ masochistico?<br />

- MLR – Io credo che mi fosse necessario; mi era semplicemente necessario. Mi ricordo che<br />

Isabella tante volte mi diceva “Non sopporti le cose che ti vengono facili”. C‟era un po‟ di<br />

vero in questo, anche perché io mi chiedevo: com‟è possibile – no? – che un artista possa<br />

chiamarsi artista se non ha mai né conosciuto né sperimentato la storia, le tecniche… Si<br />

mette lì, butta un po‟ di vetri rotti su una tavola e fa un‟opera d‟arte. Anche come psichiatra<br />

ci si potrebbe improvvisare e indovinare una diagnosi, persino una terapia (molti lo fanno)<br />

ma questo non fa di una persona di buon senso uno psichiatra. Per sapere di non sapere,<br />

prima bisogna studiare molto; si può indovinare un quadro ma se succede per caso è appunto<br />

un caso. Quindi c‟era questo sentimento dentro di me; soggettivo per carità, però io credo<br />

che di fatto la consapevolezza di poter fare qualche cosa che ha un valore (non commerciale,<br />

ma che ha un valore tra virgolette) sia una conquista che ha bisogno del suo tempo, a meno<br />

di non essere profondamente presuntuosi e incapaci di autocritica.<br />

- MF – Come temi, però come temi mi sembra la cosa più superficiale; secondo me più che<br />

come temi, come contenuti, il passaggio dal figurativo a questo genere, chiamiamolo<br />

astratto, che poi non è solo astratto, cosa ha comportato? Cioè, ha sentito una continuità o è<br />

stato uno spezzare?<br />

- MLR – Sì, c‟è una continuità, perché in realtà quello che a lei sembra astratto, per me, non è<br />

astratto; per me queste cose non sono astratte, per me i cerchi di vetro, alternativamente<br />

frantumati o intonsi, erano i corsi e ricorsi della storia e quindi queste padelle rotonde<br />

rappresentavano di fatto la storia, la vita, il mondo, tondo perché è tondo, i periodi di quiete<br />

e quelli di spaccatura, è per quello che dovevano essere seriali in orizzontale, il tempo, per<br />

me, ha una direzione; allora non ho avuto la forza di oppormi ma in realtà per me il quadro<br />

fotografato così, è come se non fosse mio insomma, non è quello, ecco. Quindi non era un<br />

quadro astratto, assolutamente no; tant‟è vero che non ho preso quella direzione.<br />

- MF – Il pomodoro certamente, la scritta. Poi ci sono altre cose che volevo chiedere<br />

- MLR – Queste scritte, per esempio, sono finte (si riferisce a quadri ad olio che<br />

rappresentano forme che mimano una grafia corsiva), ma queste vengono fuori dal fatto che<br />

un giorno mia figlia mi portò un foglio di carta su cui stava disegnando una barca, poi ha<br />

fatto un ghirigoro sotto, aveva tre anni, e ha detto “Guarda, mamma, ho scritto” e io ho<br />

pensato “Accidenti, lei ha scritto, ha ragione”, lei ha fatto la forma di una scrittura pur non<br />

essendo capace a scrivere.. Sono quindi tutte forme di scrittura, non sono astrazioni: mi<br />

interessa sempre molto il divario tra ciò che appare e ciò che è, tra forma e<br />

contenuto…questa è una delle cose che mi accompagnerà poi nel tempo.<br />

- MF – La psicoanalisi e la psichiatria, nel momento in cui faceva queste cose, c‟erano?<br />

Spuntavano?<br />

- MLR – C‟erano.<br />

- MF – Erano strettamente collegate?<br />

- MLR – Certo, io continuavo a fare il mio lavoro,<br />

26


- MF – Sì, ma, a parte come essere fisico che conduce un interesse,<br />

- MLR – facevo nel frattempo il mio percorso.<br />

- MF – Sì, nelle opere si riescono a trovarne tracce?<br />

- MLR – Altroché, altroché.<br />

- MF – Per esempio.<br />

- MLR – Per esempio ci sono – guardi – ... Quel pezzo lì, che è del ‟93, è una fetta della mia<br />

vita<br />

- MF – Quale? Quello a sinistra? (cfr. fotografia sottostante).<br />

- MLR – Quello a sinistra. È una fetta dipinta; ma poi possiamo guardare anche quello a<br />

destra. Lei può vedere intanto che ci sono tutte le mie origini contadine, no? Quel verde<br />

terroso, l‟albero, la campagna, le mucche in alto, poi c‟è il sole che è sul mare e rappresenta<br />

il mio essere diventata genovese, che guarda caso ha i miei colori, perché poi il mio ritratto<br />

sotto ha più i colori del mare che della terra… e poi ci sono queste case che non saprei dire<br />

se sono quelle della campagna piemontese o quelle della Liguria, e quelle due persone, lì in<br />

basso, bianche, condividono una parte, condividono la linea della schiena, ne ho fatti<br />

tantissimi di questi, dove questa linea di condivisione rappresentava proprio la difficoltà a<br />

separarmi di una parte di me, la necessità di portarmi dietro quest‟altra me che guardava da<br />

un‟altra parte, che tira nella direzione opposta eh, e questa è stata una delle epoche più<br />

pesanti e difficili della mia vita.<br />

- MF – Però dall‟opera non si direbbe.<br />

- MLR – Non si direbbe, ma è così.<br />

- MF – Perché la seta mi sembra molto decorativa anche per i colori.<br />

- MLR – Quella è un‟opera che ho fatto in vacanza al Club Mediterranée di Eilat, dove c‟era<br />

solo la seta da dipingere, quindi non è che avrei potuto scegliere un‟altra roba eh.<br />

- MF – Eilat dov‟è?<br />

- MLR – Eilat è sul Mar Rosso. Quindi c‟era o quello o quello, non potevo usare un altro<br />

materiale eh, per cui ho dipinto la seta. In altre condizioni poi ecco riuscivo a selezionare<br />

27


meglio, non so, quello per esempio, che ha tutti i cervelli con delle chiazze di<br />

demielinizzazione, quadro patologico dell‟arteriosclerosi, io poi ci ho scritto Arte-<br />

Riosclerosi. Quindi i rapporti col mio lavoro di psichiatra venivano fuori eccome insomma,<br />

venivano fuori eccome. La grande differenza tra l‟ambiente in cui sono nata e cresciuta e<br />

quello in cui mi sono realizzata professionalmente ed affettivamente da adulta ha creato una<br />

spaccatura dentro di me; era come se dovessi scegliere da che parte stare. Quando si fa un<br />

percorso come quello che ho fatto io, anche perché poi ho sposato uno straniero che parlava<br />

un‟altra lingua, un‟altra religione, eccetera, si diventa un po‟ emigranti; mi sento un po‟<br />

straniera dappertutto, quando torno a casa, dalla mamma e anche quando sto qui. [Sorride].<br />

È complicatissimo.<br />

- MF – Suo marito che lavoro fa?<br />

- MLR – Mio marito è medico. Ci siamo conosciuti facendo Medicina.<br />

- MF – Medicooo ... ?<br />

- MLR – Radiologo, radiologo.<br />

- MF – Non della mente.<br />

- MLR – No, no. È molto lontano da queste cose, è proprio agli antipodi.<br />

- MF – Come vede questa sua attività espressiva?<br />

- MLR – All‟inizio mi pareva un po‟ perplesso; anche perché – devo dire – quando ho<br />

cominciato abitavo in un appartamento di settanta metri e lavoravo con questi vetri rotti, ho<br />

fatto anche un po‟ di mosaici, e avevo delle cassette di vetro recuperato dalla spazzatura, che<br />

tenevo sotto il letto. Mia figlia era piccina e quando le chiedevano: “Che lavoro fa la<br />

mamma? Rispondeva: “La mamma fa i vetri”. E ripensandoci mi rendo conto che<br />

effettivamente deve essere stato pesante conciliare questa presenza ingombrante,<br />

concretamente e psicologicamente ingombrante, con le sue aspettative di gestione della<br />

nostra vita. L‟arte ha cambiato completamente la mia vita nel tempo libero, e di<br />

conseguenza anche quella di chi condivideva la vita con me. Allora, all‟epoca, secondo me,<br />

potrebbe aver pensato che mi fossi bevuta il cervello, ogni mio pensiero era rivolto<br />

all‟arte…si sarà chiesto come sarebbe andata a finire. Però non mi ha ostacolato. Adesso,<br />

dopo molti anni, visto anche che poi io, devo dire, ho avuto anche dei riscontri buoni, anche<br />

da chi di arte se ne capiva…<br />

- MF – ha accettato un po‟ la cosa.<br />

- MLR –ha accettato e credo che gli faccia anche piacere.<br />

- MF – Ritorno al discorso di prima; il passaggio poi da questo al figurativo era dovuto<br />

soprattutto a problemi tecnici: riuscire ad essere più tranquilli nell‟acquisizione di un<br />

linguaggio. E poi?<br />

- MLR – E poi<br />

- MF – C‟è stato un poi o è ancora questa la fase? Non so quale.<br />

- MLR – E poi ho continuato a mettere insieme degli oggetti, delle cose; dopo questi e dopo –<br />

diciamo – la fase figurativa che più o meno si esaurisce in un paio d‟anni, quando mi sento<br />

ormai tranquilla con le mie conoscenze tecniche<br />

- MF – Quindi c‟è un‟altra fase.<br />

- MLR – Sì. Ce ne sono migliaia, anche contemporaneamente. Questa, diciamo, è la fase<br />

figurativa, se vogliamo, più tradizionale; diciamo che queste erano un po‟ le mie cose<br />

- MF – figurative.<br />

- MLR – Sì, per me questi erano i giocatori (cfr. fotografia), questo era un estratto del mar<br />

Bosforo (cfr. fotografia) dove era appena affondata una petroliera.... Poi ho cominciato<br />

anche un po‟ di dialogo con la storia dell‟arte; per esempio ho fatto il ritratto di Andy<br />

Warhol, perché ne ero letteralmente innamorata. Questo quadro si chiama La Mafia siamo<br />

Noi (cfr. fotografia) e rispondevo a Beuys che diceva: la rivoluzione siamo noi; sì, ma anche<br />

la mafia dico io – anche di Beuys ho fatto il ritratto in cui ho scritto La Rivoluzione sei Tu,<br />

no? Ché mi piaceva l‟idea che chi leggesse, avesse qualche dubbio se io mi riferivo a Beuys<br />

28


oppure, potesse pensare a se stesso; era un po‟ un gioco di parole. I giochi di parole mi sono<br />

sempre piaciuti tanto. Qui siamo in piena «Mani Pulite»: “La Coscienza va in Pendenza”<br />

(cfr. fotografia), è un quadro che nasce prima come filastrocca ironica sulla corruzione: La<br />

coscienza va in pendenza, / perde il ci, ne resta senza/che si legge poi co-senza /rotolando<br />

senza posa/ mi diventa senza cosa… o qualcosa di simile, va be‟, insomma una cosa così, ed<br />

era riferita al fatto che tutto sommato quando cominciamo a rubare, all‟inizio è dura e poi,<br />

col tempo diventa<br />

- MF – diventa più facile.<br />

- MLR – più facile, e quindi in quel senso lì.<br />

- MF – Dunque, due domande.<br />

- MLR – Mh mh.<br />

- MF – Una è questa. A parte la scuola, e quindi è chiaro, storia dell‟arte l‟avrà dovuta<br />

studiare, ma non so se sarà arrivata al Novecento.<br />

- MLR – Non mi ricordavo una parola.<br />

- MF – Il suo rapporto con la storia dell‟arte durante questo tragitto come è stato?<br />

- MLR – Ho cominciato<br />

- MF – Sì, quando? Un attimo, l‟altra domanda. All‟interno della storia dell‟arte il rapporto<br />

con la poesia visiva eccetera eccetera la poesia concreta. Andiamo per ordine.<br />

- MLR – Il mio rapporto con la storia dell‟arte è cominciato solo da adulta perché io avevo<br />

un‟ignoranza abissale e, come avevamo già detto sentivo l‟esigenza di starmene proprio<br />

lontano dall‟arte, in ogni sua manifestazione...<br />

- MF – Quindi è stato a scuola uno studio mal fatto, non sentito?<br />

- MLR – Un po‟ mal fatto e un po‟ non sentito, un po‟ vissuto in difesa; mi spiego. Quando<br />

ripenso al mio liceo, a parte le letture sulla psicanalisi che erano una cosa più mia personale<br />

e la filosofia, che mi piacevano molto, ricordo veramente molto poco. Credo di aver vissuto<br />

una condizione particolare di scollamento tra la realtà della scuola, gli argomenti di studio e<br />

la vita reale, a casa, nel mondo. Andavo a scuola, prendevo bei voti, perché – come dire? –<br />

ero una persona che faceva il suo dovere, però la scuola mi è sempre sembrato che fosse una<br />

cosa poco reale, perché poi tornavo a casa e c‟era<br />

- MF – un‟altra realtà<br />

- MLR – un‟altra realtà: il grano, la grandine. Non ho mai esplicitamente pensato in questo<br />

modo – è evidente che ci sono arrivata da grande – ma mi era difficile capire il legame tra<br />

quello che stavo studiando e la mia vita; sapevo che studiare queste cose mi serviva per<br />

avere o 6 o 7 o 8, ma non più di questo. Quindi, a parte – ripeto – alcune passioni personali e<br />

riconosciute, allora la passione per l‟arte era ben protetta e nascosta dentro di me, non<br />

ricordo un particolare coinvolgimento negli studi. Solo di filosofia, ho avuto un insegnante<br />

particolare per un anno, molto ..., non so se fosse molto bravo ma ricordo che veniva da<br />

Addis Abeba dove aveva insegnato per molti anni; ci raccontava di ragazzi che studiavano la<br />

sera sotto i lampioni perché non avevano la corrente elettrica in casa, e allora questo forse lo<br />

ha avvicinato di più come persona alla mia esperienza (quando ero bambina la luce elettrica<br />

in casa era così fievole che leggere era davvero un‟impresa) e quindi, in qualche modo ci ho<br />

creduto di più. Forse per questo ho amato di più la filosofia, ma la mia conoscenza della<br />

storia dell‟arte è rimasta praticamente nulla, quindi ho dovuto ricominciare ed è stato come<br />

fare una scoperta, esplorare un universo infinito, capirne più che altro il senso …mi è<br />

capitato di emozionarmi leggendo d‟arte.<br />

- MF – Quindi ha cominciato negli anni in cui era<br />

- MLR – Sì, negli anni Novanta. Ho cominciato lì e ho cominciato dal Novecento in poi.<br />

Adesso comincio a intrigarmi di Medio Evo, comincio – come dire? – a intrigarmi di più<br />

anche al Simbolismo, ad alcune cose che riguardano la storia passata.<br />

29


Sezione di Bosforo, 1994, olio su cartone,<br />

vetro, catrame, cm 86x28,5x28,5.<br />

I Giocatori, 1993, acquarello e pennarello su carta, cm 56x76.<br />

- MF – E la poesia visiva e la poesia concreta?<br />

- MLR – La poesia visiva in effetti è stata tra le cose che<br />

io ho conosciuto all‟inizio perché ho conosciuto con<br />

Sergio Muratore, il figlio di Isabella Castello, alcuni<br />

suoi compagni di scuola, Davide Ragazzi e Clearco<br />

Giùria , coi quali abbiamo fondato il gruppo Pandeia;<br />

erano tutti allievi di Rodolfo Vitone, quindi un po‟<br />

perché loro erano allievi di Vitone, un po‟ perché poi a<br />

Quarto c‟erano delle cose fatte da Tola e dallo stesso<br />

Vitone… poi ho conosciuto Miles. Insomma, un<br />

pochino, diciamo, mi sono interessata di queste cose;<br />

devo dire che per me era naturale scrivere sui quadri<br />

anche se non sapevo dell‟esistenza della Poesia Visiva,<br />

però effettivamente poi il fatto di aver conosciuto loro<br />

mi ha fatto riflettere che ci fosse anche questo aspetto<br />

estetico delle lettere. Vitone però mi ricordo che<br />

(all‟inizio ha seguito un po‟ il mio lavoro) mi ha detto<br />

subito «Ma tu non c‟entri niente con la poesia visiva»,<br />

cosa che era probabilmente vera nel senso che non<br />

credo di entrarci, ecco, non più di tanto.<br />

- MF – Sì, però una somiglianza c‟è, almeno in<br />

superficie.<br />

- MLR – E non lo so. Io ho la sensazione che ..., io,<br />

30


quando scrivo una cosa, la scrivo per farla leggere, non tanto per motivi estetici; poi – certo<br />

– siccome faccio dei quadri cerco di dar loro una forma piacevole, ma non<br />

- MF – Ad esempio questo, La Coscienza va in Pendenza, non mi sembra scritto<br />

normalmente.<br />

La Mafia siamo Noi, 1994, tecnica mista su tela, cm 120x150.<br />

- MLR – No.<br />

- MF – C‟è un tentativo di ricerca.<br />

- MLR – E però è come dire ... Io credo che un‟opera d‟arte debba avere qualche arma<br />

seduttiva, perché altrimenti uno passa e non la vede.<br />

- MF – Certo.<br />

- MLR – Quindi, per riuscire a farsi capire, bisogna – come dire? – anche porgere il<br />

messaggio in maniera un po‟ accattivante; se si è troppo aggressivi poi si rischia di essere<br />

messi da parte, per aver torto anche quando sia ha ragione. Questo l‟ho imparato riflettendo<br />

sulle tecniche della comunicazione, anche nella psicoanalisi; il fatto di come viene porta<br />

l‟informazione è fondamentale, no?<br />

- MF – È fondamentale anche nell‟arte.<br />

- MLR – Certo.<br />

- MF – Se l‟arte è soprattutto forma; e contenuto, s‟intende.<br />

- MLR – Sono andata recentemente a Vienna e ho visto delle opere Fluxus che come filosofia<br />

mi convince molto. Credo di essere molto più all‟interno di quel sentire che non della poesia<br />

visiva soltanto; ma a volte l‟estrema povertà formale di alcuni linguaggi o l‟espressione<br />

31


troppo virulenta, abbaiante che ho visto in certi video, alla fine mi pare che non facciano un<br />

favore all‟arte, perché rischia di non farsi<br />

- MF – notare come arte?<br />

La Coscienza va in Pendenza, 1993, acrilico, olio, vetro, piastrellite su tela, cm 120x100.<br />

- MLR – Sì, sì sì. Non solo di non farsi notare ma addirittura di sollevare un moto di<br />

repulsione che non facilita il dialogo tra opera e spettatore, tra artista e pubblico. Adesso<br />

dirò una cosa probabilmente non di moda, ma ho la sensazione che l‟arte debba avere<br />

equilibrio.<br />

- MF – È un concetto classico.<br />

- MLR – Mh, sì. Mi piace la franchezza.<br />

- MF – È una scelta di campo.<br />

- MLR – E sì, e sì, e sì, anche perché l‟arte può “gridare” ma tra un‟opera d‟arte aggressiva e<br />

una vomitata una differenza ci deve essere, penso.<br />

- MF – Senza dubbio, però l‟arte ci permette di prendere le distanze, anche se non sembra<br />

essere sempre così in base all‟esperienza con i genitori dei ragazzi, però credo che la<br />

distanza ci permetta di prenderla; quindi vedere una situazione traumatica ad una certa<br />

32


distanza può essere molto molto vantaggioso, è come vedere un‟eruzione vulcanica stando<br />

ad una distanza di sicurezza.<br />

- MLR – Non lo so. C‟è anche il rischio dell‟assuefazione… ho visto a Vienna questo video,<br />

che mi pare fosse di un certo Muel, un espressionista, dove c‟era un amplesso mescolato a<br />

degli alimenti che si riversavano sui corpi e a delle immagini con un lavandino che<br />

assorbiva uova marce e così via e ne sono rimasta veramente infastidita. Non so bene che<br />

cosa volessero dire; credo che una riflessione su un certo imbarbarimento del costume, sul<br />

sopravvento dell‟animalità, sull‟incapacità di guardare oltre il soddisfacimento immediato<br />

ed immanente del desiderio, sia assolutamente – come dire? – opportuno in quest‟epoca, ma<br />

se lo diciamo nel modo sbagliato è come non dirlo o peggio, rischia di favorire<br />

un‟assuefazione alla brutalità che non mi riesce di condividere. Quando l‟opera d‟arte vuole<br />

provocare, e mi pare che in questo caso non ci fossero dubbi, è bene che lo faccia ma se<br />

favorisce l‟assuefazione… Io la penso così.<br />

- MF – Cioè, secondo me, ..., non lo so. Io non è che mi sia avvicinato all‟arte perché trovi un<br />

particolare trasporto per l‟arte [in sé], m‟interessa perché sa dire le cose in un certo modo e<br />

le cose che dice sono importanti, fanno pensare; ora non voglio dire di questo [video],<br />

perché, non avendolo visto, non posso sapere quale sarebbe stata la mia reazione, però di<br />

altri che ho visto tutto sommato ... Ci sono stati alcuni che in particolare mi hanno dato<br />

molto fastidio, ma cerco di sopportare e d‟inghiottire tutto, però uno mi ha dato molto<br />

fastidio perché un artista, che lavorava con i rifiuti – diciamo così – di anatomia,<br />

- MLR – Mh mh.<br />

- MF – [esibiva] pezzi di mani, di braccia,<br />

- MLR – Ecco, ecco, ecco. Veniamo a questo. Io ritengo che l‟arte debba conservare il “come<br />

se”.<br />

- MF – L‟allegoria.<br />

- MLR – Cosa vuol dire? Che se io proprio non posso fare a meno di quella cosa, d‟accordo;<br />

ma se posso trovare un buon sostituto…per esempio, non vedo perché devo uccidere un<br />

animale come pare che Herman Nitsch, abbia fatto insomma, no? Non lo trovo interessante.<br />

- MF – [Titubante] Sì. Stiamo facendo una discussione, però voglio andare avanti per capire<br />

un po‟ meglio.<br />

- MLR – Questa qui [indica una sua opera tinta di rosso] è anilina, è anilina.<br />

- MF – Quando lei ha detto quelle parole ho immaginato appunto che doveva essere della<br />

tintura. Voglio dire però: è un discorso di una strada già fatta quello dell‟arte? Io non voglio<br />

dire che, per esempio, Nitsch faccia bene a fare quell‟arte “astratta”, lontano da me questo<br />

fatto, nel senso che per me resta in un limbo, non so nemmeno io se stia facendo bene o stia<br />

facendo male, intendo dire mi dà da pensare, mi angoscia un po‟, anche perché, quando ho<br />

visto Nitsch, l‟ho visto molto tardi, era alla Galleria degli Orti Sauli in via Roma,<br />

- MLR – Anch‟io l‟ho conosciuto lì, perché lavoravo per quella galleria.<br />

- MF – Ah, sì? Avevo visto il video ... Allora ci saremo forse visti.<br />

- MLR – Può darsi, può darsi.<br />

- MF – E avevo visto questo video e sono rimasto colpito in profondità perché avevo colto – a<br />

mio parere – l‟aspetto virtuale, ché sentivo proprio la paura di come gli individui possono<br />

trovarsi facilmente nelle mani di una massa di persone che è convinta di fare qualcosa di<br />

sacro, come è successo nel Nazismo e può succedere benissimo ancora ...; cioè lo sappiamo<br />

mentalmente che potrebbe succedere anche domattina, però – voglio dire – visto lì era un<br />

qualcosa di veramente, per me, spaventoso, anche se era teatro, perché era teatro, e poi<br />

teatro visto attraverso un video.<br />

- MLR – Ma io non vorrei essere fraintesa, perché a me Herman Nitsch piace, esteticamente a<br />

me piace, per cui se usa del colorante mi sta benissimo. Secondo me il limite c‟è in questo<br />

senso, se io voglio rappresentare in teatro un omicidio lo posso fare senza bisogno di<br />

uccidere una persona.<br />

33


- MF – Però non può diventare un discorso dell‟«io sto di qua, seduto in poltrona, tanto so che<br />

non è sangue, ...»? Non è un modo per spezzare questo schermo tra me e gli attori? Mescolo<br />

la realtà alla finzione.<br />

- MLR – Però [tace]<br />

- MF – E so che è difficile da digerire.<br />

- MLR – È pericoloso. Mescolare troppo realtà e finzione è pericoloso.<br />

- MF – E certo.<br />

- MLR – Non è difficile da digerire, è semplicemente pericoloso.<br />

- MF – Pericoloso perché?<br />

- MLR – Perché allora posso uccidere per rappresentare la morte. Io non credo nella<br />

rivoluzione, nel senso del cambiamento, del rinnovarsi, che usa gli stessi mezzi che<br />

combatte. Non ci credo.<br />

- MF – Anch‟io.<br />

- MLR – E infatti quelle che hanno usato questi mezzi sono fallite. Quindi, voglio dire, non<br />

credo che per denunciare gli ammazzamenti bisogna ammazzare; non è quella la strada.<br />

- MF – Sì, per una società migliore. Ma nel campo del linguaggio?<br />

- MLR – Nel campo del linguaggio si possono trovare altre forme.<br />

- MF – Sì, dipende da cosa si trova.<br />

- MLR – Il linguaggio è già una rappresentazione, quindi qualsiasi.<br />

- MF – Sì, però il rischio è di dire quello che è già stato detto.<br />

- MLR – Può essere; comunque è già stato detto tutto ma repetita iuvant, qualche volta.<br />

- MF – Però non nell‟arte.<br />

- MLR – È vero, è vero, è vero. Ma lei sa che il velluto dei manti delle madonne nel Medio<br />

Evo era già un Ready Made qualche secolo prima di Duchamp, che la Stele di Rosetta<br />

potrebbe essere un ottimo esempio di poesia visiva così come in Estremo Oriente<br />

l‟attenzione alla qualità estetica della scrittura è molto più antica che da noi, i protestanti<br />

iconoclasti trovavano che le pareti bianche fossero più belle della pittura molto prima di<br />

Malevich e un “quadro girato”, esposto dalla parte del telaio, nel Museo di Copenaghen, è<br />

del Settecento. Il linguaggio contiene in sé le potenzialità per esprimere qualsiasi cosa e se<br />

vogliamo trovare parole nuove dovremo faticare moltissimo ma questo è il problema di chi<br />

vuol lasciare traccia di sé nella storia dell‟arte; ad uno scrittore bastano le parole, che<br />

possono essere molto crude ed offensive, ad esprimere ciò che vuol dire; non ha bisogno di<br />

passare alle vie di fatto. Pensi se aprendo un libro, al posto della descrizione di un‟emozione<br />

pesante le arrivasse un pugno in faccia! (Però che trovata!) Se perdiamo la consapevolezza<br />

di questa differenza rischiamo di demolire il già faticoso limite tra umanesimo e bestialità e<br />

nella bestialità io non vedo arte! L‟arte non dovrebbe essere l‟espressione più “alta”<br />

dell‟uomo? Tra un colore che sembra sangue e il sangue vero c‟è la stessa differenza che sta<br />

tra realtà e finzione, tra normalità e follia, tra civiltà e orda primordiale, pur con le debite<br />

eccezioni.<br />

- MF – Però io quando penso all‟Austria, alla Germania, eccetera, trovo che qualcosa di più...,<br />

secondo me c‟è qualcosa dentro la cultura di quel popolo che non è mai ...<br />

- MLR – Però a cosa serve quest‟arte secondo lei?<br />

- MF – Gliel‟ho detto: quando mi sono trovato davanti ho sentito questa [Termina qui la<br />

registrazione dal lato A dell’audiocassetta].<br />

- MF – Allora, tornando a noi, mi diceva: Ci sono mille stadi.<br />

- MLR – Dopo questi comincio un po‟ ad occuparmi di linguaggio e quindi per esempio ...,<br />

ma prima ancora di questo faccio delle cose che si chiamano tattilogrammi, che sono qui nel<br />

corridoio, sono delle cose fatte con della plastica un po‟ in rilievo, che si possono leggere<br />

con le mani, anche non leggere perché poi non c‟è scritto nulla, e poi comincio ad<br />

occuparmi del linguaggio in un altro modo, per esempio faccio una serie di pezzi sui tubi.<br />

Ne ho forse uno sui concetti tubolari. Nella mia testa frasi come Non capisci un tubo, Non<br />

34


me ne importa un tubo si materializzano in immagini dal senso linguistico e quindi mi<br />

diverto ad amplificare e divagare: il concetto tubolare bifido, il concetto tubolare verticale,<br />

il concetto pseudotubolare (perché sembrano tubi ma non sono forati all‟interno) e così via e<br />

poi passo a fare dei quadri con dei collages che ritaglio dai giornali e poi ci metto della<br />

pittura. Questo, per esempio, si chiama Quattro Dita di Gambe (cfr. fotografia), che è scritto<br />

qua sopra; la tela è piccola, quindi queste gambe sono proprio quattro dita, ed è una<br />

- MF – C‟è il dripping?<br />

- MLR – Sì, c‟è il dripping anche.<br />

Spot, 4 dita di gambe, 1996, tecnica mista su tela, cm 40x50.<br />

- MF – Pollock?<br />

- MLR – Sì, un po‟ diverso ma c‟è. M‟intrigava perché mio padre da ragazzina, quando ero<br />

troppo lenta e facevo fatica a districarmi nelle difficoltà, mi diceva che se la minestra avesse<br />

avuto quattro dita di gambe io non sarei più riuscita ad acchiapparla [ridacchia]. E questo<br />

invece è un Fiat Lux con la lampadina accesa e così via, e così via. Qui (siccome la Viana<br />

Conti, 9 che aveva presentato questa mostra, mi ha convinta) avevo scritto anche un po‟ che<br />

cosa pensavo, diciamo, che l‟arte fosse.<br />

- MF – Infatti è una cosa che le volevo chiedere. Lavorando, sicuramente, Storia dell‟Arte, il<br />

Novecento, adesso anche altri secoli, li ha recuperati<br />

- MLR – con tanti buchi, ma insomma ...<br />

- MF – D‟altra parte penso che nessuno possa dire di aver completato la conoscenza neanche<br />

di un secolo solo.<br />

9 Critica d‟arte contemporanea.<br />

35


Margherita, ripresa fotograficamente in cucina, luogo “intimo” ed ironico del colloquio.<br />

- MLR – Beh, io ho tanti buchi, ne ho tanti tanti eh.<br />

- MF – Visto che più o meno gli artisti sono tanti, visto che si pretende che l‟arte bene o male,<br />

attraverso gli storici dell‟arte, un discorso lo faccia, visto un po‟ il discorso della<br />

psicoanalisi, della sua attività lavorativa, questo esprimersi suo come lo considera? Cioè, è<br />

un fatto puramente individuale, di ricerca di equilibri, di armonia<br />

36


- MLR – No.<br />

- MF – della persona o una possibilità d‟inserirsi nel discorso di oggi, nel discorso linguisticoartistico,<br />

o almeno una volontà di farlo e con quale speranza? Speranza non nel senso<br />

“Desidero fare qualcosa di buono”, perché quello lo desideriamo tutti, nel senso “Sento di<br />

trovare un cunicolo, un qualcosa per sfociare in qualcosa di<br />

- MLR – A me serve. Intanto mi è necessaria. Non nascondo che mi piacerebbe fosse utile<br />

anche a qualcun altro quello che faccio, no? Considero l‟arte un percorso di conoscenza che<br />

non potrei fare in nessun altro modo, una forma di meditazione fattiva che non finisce mai di<br />

stupirmi, aprirmi e chiudermi percorsi, arrivare al limite per poi scoprire che di là c‟è un<br />

mondo nuovo e più vasto di prima<br />

- MF – Cioè una forma di arte terapia?<br />

- MLR – L‟arte terapia deve avere un terapeuta dall‟altra parte.<br />

- MF – [Ridacchio].<br />

- MLR – [Ridacchia].<br />

- MF – Allo specchio.<br />

- MLR – Qualche volta certo mi fa da specchio quello che faccio, non c‟è dubbio, no? Però io<br />

non credo che la realtà sia conoscibile se non in piccoli particolari momenti e soltanto<br />

attraverso l‟uso di una comunicazione integrata, che può essere solo artistica,<br />

- MF – Integrata nel senso che è esterna a noi?<br />

- MLR – Nel senso che noi possiamo in quel tipo di comunicazione mettere insieme gli<br />

aspetti intellettivi, affettivi, emotivi, esperenziali, mnemonici, cioè possiamo mettere tutto<br />

dentro; allora quando riusciamo a trovare quella che chiamo, per comodità, unità percettiva<br />

del mondo, dove siamo riusciti a mettere tutto dentro, allora lì è – come dire? – un punto<br />

fermo.<br />

- MF – Una sorta di piccola illuminazione?<br />

- MLR – Sì. Mi piace pensarli come dei paletti, anche scalini, no? E poi dici: Va be‟, questo<br />

c‟è. Ecco. Poi, chiaramente, un attimo dopo non sarebbe più la stessa cosa. Tant‟è vero che<br />

penso che non tutte le opere, cioè: non tutte le mie opere d‟arte (tra virgolette) sono opere<br />

d‟arte, nel senso che solo alcune appartengono a quest‟istante di<br />

- MF – felicità<br />

- MLR – di felicità intuitiva, altre sono – come dire? – anche fatte a scopo di capire meglio<br />

quella lì, oppure fatte per sperimentare una tecnica che fino ad oggi non avevo sperimentato.<br />

Hanno dell‟altro.<br />

- MF – Cioè, un percorso per arrivare<br />

- MLR – Certo.<br />

- MF – o per capire dove si è arrivati.<br />

- MLR – E sì, sì, anche. Quindi io penso che nella storia di un artista non tutto quello che fa<br />

sia opera d‟arte.<br />

- MF – Sì. Dunque, Claudio Costa?<br />

- MLR – Conosciuto. Non andavamo d‟accordo, non andavamo d‟accordo, non avevamo le<br />

stesse idee sull‟arte, sull‟arte terapia. Era un artista che a me piaceva per alcune delle cose<br />

che faceva e poi abbiamo avuto – diciamo – poco tempo, perché è mancato molto presto e<br />

quindi la nostra conoscenza si è fermata lì.<br />

- MF – La Galleria di Masnata<br />

- MLR – Ah, sì.<br />

- MF – si occupa molto, in questo periodo, in questi ultimi anni, degli alienati mentali,<br />

dell‟arte ...<br />

- MLR – Davvero?<br />

- MF – Sì.<br />

- MLR – Non ne sono al corrente.<br />

- MF – Chiaramente io parlo delle mie esperienze.<br />

37


- MLR – Sì sì sì.<br />

- MF – Ho visto qualche mostra, e la prima che aveva tenuto, che abbia visto io, ma credo<br />

anche la prima, era stata [allestita] in una delle palazzine dell‟area espositiva [nel Porto<br />

Antico] e ora non mi ricordo esattamente da dove [le opere] provenissero, credo dalla<br />

Svizzera tedesca,<br />

- MLR – Ah, può essere.<br />

- MF – e mi pare ci sia un centro. Poi ha esposto in maniera separata questi artisti che erano<br />

stati<br />

- MLR – In maniera separata?<br />

- MF – Nel senso che, per esempio, prima c‟erano direi, in base alla mia scarsissima<br />

conoscenza, tutti o quasi tutti,<br />

- MLR – Mm, mm.<br />

- MF – poi invece era, diciamo, per autori singoli.<br />

- MLR – Ah, ho capito.<br />

- MF – Le ultime mostre che ho visto sono state lì, di fronte a Porta Siberia, a lato del<br />

Baluardo.<br />

- MLR – Io ho ricevuto un invito a una mostra di Spinelli, però, a parte quello, non so<br />

- MF – Ha fatto però, intervallate, anche mostre di altri artisti. Poi avevo visto, perché Villa<br />

Croce li aveva invitati [...(i Wurmkos?)], che lavorano un pochino<br />

- MLR – Sì, lì avevo partecipato anche io a un dibattito.<br />

- MF – e che hanno un po‟ – non è la stessa cosa – ma hanno un tentativo di [...] artistica tra<br />

una visione – diciamo tra virgolette – non normale e una visione cosiddetta<br />

- MLR – Questo per me è un argomento scottante, forse quello che conosco meglio ed è<br />

quello su cui ho anche i problemi più grossi. Non credo che ce la possiamo cavare se non ci<br />

togliamo dalla testa l‟idea del matto e del sano.<br />

- MF – Sì, certo.<br />

- MLR – Allora dobbiamo metterci in testa che le persone possono in certi momenti della loro<br />

vita stare bene, in certi altri stare male. Allora queste persone possono fare delle cose più o<br />

meno buone indipendentemente dal fatto che siano sane o malate. Lo stesso Van Gogh<br />

diceva: quando sto male non riesco a fare niente. Io sono convinta, l‟ho detto, l‟ho scritto,<br />

che la creatività sia un segno di benessere, che sicuramente può raccogliere dal pozzo della<br />

sofferenza, raccoglie da questo pozzo, raccoglie dalla necessità di trovare questa<br />

integrazione di cui parlavo prima, però ciò che ci consente di fare una bella cosa – per<br />

intenderci – è lo star bene, è nel benessere che si realizza la capacità intellettiva, un certo<br />

talento che, bene o male, qualcuno ha di più e qualcun altro ha di meno. Mantengo questa<br />

posizione negli anni. In tanti anni di esperienza ho visto tante persone fare delle cose, tanti<br />

pazienti, e devo dire che, ahimè, la schizofrenia toglie molte capacità alle persone, nei<br />

periodi in cui stanno meglio fanno qualcosa di meglio. Dico anche che noi dovremmo<br />

pensare che un certo tipo di crisi psicotica produceva le stesse immagini nel Milleottocento<br />

ed oggi, solo che allora venivano cestinate e ora non più, forse perché i vari Klee,<br />

Kandinskji ci hanno insegnato che possono essere guardate in un altro modo, però le faranno<br />

uguali fra cent‟anni, allora questo, a mio avviso, non appartiene alla storia dell‟arte.<br />

- MF – Però un malato vivrà la malattia a livello individuale, personale, e legata anche<br />

all‟ambiente.<br />

- MLR – Certamente.<br />

- MF – e poi ci saranno delle varianti all‟interno di questo, così come per l‟essere “normale”.<br />

- MLR – Certamente. Ma perché noi abbiamo dato un nome a dei quadri sintomatologici?<br />

Perché non riuscivamo a fare diversamente, quindi per capirci quando parliamo con un<br />

collega ma anche senza essere professionisti del settore; ci sono cose che hanno bisogno di<br />

una definizione, però poi sappiamo benissimo che ci possono essere molte sfaccettature<br />

dietro a una definizione, dietro a ciò che si vede in quel momento e che si sintetizza in un<br />

38


quadro clinico; per esempio le persone che vengono da me in atelier si dividono in volontari<br />

che – come dire? – non hanno ufficialmente sintomi psicopatologici, e persone che vivono<br />

in comunità o che hanno quarant‟anni di manicomio sulle spalle, oppure persone seguite dai<br />

servizi di salute mentale che vengono a farsi le due ore di atelier; fra questi ci sono quelli<br />

che hanno talento e quelli che non ne hanno, indipendentemente dalla diagnosi. Hanno in<br />

comune il fatto di essere appassionate d‟arte e quindi in sostanza poi di essere più inclini ad<br />

esprimersi attraverso il mezzo visivo che non attraverso il discorso. Il fatto che poi le loro<br />

opere diventino opere d‟arte… lo deciderà la storia… o il mercato. Il valore all‟opera poi chi<br />

lo dà? Mi chiedevo ... Guardi, proprio era nei miei pensieri di stamattina; nel dormiveglia<br />

pensavo: che strano, chi vende i quadri in televisione poi vende mobili, argenti, orologi,<br />

gioielli, eccetera, non vende poesia. Che strana quella cosa lì, no? Perché, se l‟arte è un<br />

genere, dovrebbe essere venduto con l‟arte e invece viene venduto con tutt‟altra roba. Che<br />

stranezza, no? Allora io penso (mi sto convincendo con gli anni) che l‟arte possa dirsi tale<br />

quando viene da una persona che ha una predilezione per quel tipo di percorso (che può<br />

essere linguistico, può essere musicale, può essere visivo), che ha necessità di fare quel<br />

percorso, che lo utilizza come strumento di conoscenza di sé ma anche della vita, e poi che a<br />

un certo momento qualcun altro gli dia un valore è un altro discorso. Io – secondo me – ho<br />

talmente ragione che la mia ragione viene dimostrata dal ragionamento opposto; cioè, se<br />

l‟opera d‟arte fosse, come qualche volta ha detto Claudio Costa, che un‟opera (o è un‟opera<br />

d‟arte o non lo è) la si deve guardare e non importa chi l‟ha fatta, vorrebbe dire che tra un<br />

taglio di Fontana e una tela che si è tagliata per caso non ci sarebbe differenza, invece c‟è<br />

della gente che per un Fontana sgancia un milione di euro e per l‟altra non è disposta a<br />

scucire un centesimo… o sono tutti stupidi o qualche motivo c‟è, no? E il motivo secondo<br />

me sta nel fatto, al di là della pecunia adesso, sta nel fatto che il valore sta nel percorso e<br />

ogni opera rappresenta una tappa di quel percorso che ha dietro un soggetto ben preciso, un<br />

desiderio, una vita, un‟emozione e anche una firma; non è un‟opera del caso. Quindi lo stile<br />

e il fatto che una persona possa dirsi artista è proprio questo: che voglia, che possa, che<br />

debba, che riesca, perché le nasce da un desiderio che si fa necessità, a portare avanti questo<br />

percorso di conoscenza e a condividerlo con gli altri.<br />

- MF – Sì, esatto; è conoscenza collettiva.<br />

- MLR – Anche, anche, ovviamente. Ora, se questa persona poi sta bene o sta male, sono solo<br />

affari suoi, ecco, e io non vorrei più sentirne parlare.<br />

- MF – È la direttrice dell‟Istituto?<br />

- MLR – Non sono la direttrice, sono nel Comitato Direttivo dell’Istituto Materie e Forme<br />

Inconsapevoli.<br />

- MF – C‟è il direttore?<br />

- MLR – C‟è un presidente che è Gianfranco Vendemmiati, che è l‟unico – diciamo – tra i<br />

fondatori storici rimasto. Faccio delle mostre, mi occupo di pazienti e non pazienti; quando<br />

faccio una mostra non dico mai se chi fa la mostra è un paziente o no; se nell‟atelier<br />

qualcuno fa delle belle cose gli dico che forse potrebbe rivolgersi a qualche critico, a<br />

qualche gallerista, ma senza diagnosi.<br />

- MF – Dal suo punto di vista l‟arte (l‟arte intesa nel senso dell‟espressione visiva o non<br />

visiva che sia, visto che è arte terapia) ha un valore nella terapia di queste persone?<br />

- MLR – Assolutamente sì.<br />

- MF – Né più né meno però di un‟altra cosa a cui una persona possa essere legata?<br />

- MLR – Assolutamente. Cioè, se qualcuno fosse appassionato nel fare l‟orto potremmo usare<br />

l‟orto per fare terapia e infatti oggi, nella riabilitazione psichiatrica vengono usate molte<br />

attività diverse. Certo l‟arte ha – diciamo – anche dei vantaggi rispetto al linguaggio verbale,<br />

intanto perché lascia testimonianza di sé, poi racconta delle storie, perché se uno fa<br />

immagini comunque opera una scelta… se coltivasse prezzemolo sarebbe un pochino più<br />

complicato; ci sono i colori, c‟è tutta una serie di aspetti simbolici, però è un linguaggio ed<br />

39


un linguaggio che viene prima di quello verbale, spesso salta il filtro della coscienza e<br />

quindi mi capita anche personalmente di capire qualche anno dopo quello che nei quadri<br />

avevo già espresso anni prima; quello sì, quello capita.<br />

- MF – E come spunto eccetera per gli artisti? Tipo: lei e il materiale? Com‟è per un [docente]<br />

universitario il lavoro degli studenti.<br />

- MLR – La vita è uno spunto e quindi se uno vive un certo ambiente poi sicuramente prende<br />

... Io certo devo dire<br />

- MF – È o non è un‟area privilegiata per gli spunti?<br />

- MLR – Non lo so, frequento quella, quindi – come dire? – non saprei, credo che, non so,<br />

Riri 10 frequenta i bambini e sono una fonte inesauribile di spunti. Le persone che vengono in<br />

atelier (ma, ripeto, sane o no, ammesso che si possa distinguere) anche. Quindi<br />

- MF – E il futuro di questo Istituto così come lo vede o lo vorrebbe vedere lei? Perché così<br />

come me ne sta parlando adesso mi sembra in una situazione – direi – di stallo, nel senso<br />

che le persone possono fare all‟interno dei percorsi più verso la salute mentale eccetera, però<br />

l‟Istituto in sé ha questi scopi [...]<br />

- MLR – L‟Istituto è un caposaldo anche come memoria storica e come paradigma culturale.<br />

- MF – Memoria storica cosa vuol dire? Che quel che si poteva fare è stato fatto e non si può<br />

più aggiungere nulla?<br />

- MLR – No, ci sarebbe tanto da aggiungere secondo me, anzi forse ci siamo intrappolati con<br />

le nostre mani.<br />

- MF – Cioè?<br />

- MLR – Io ho la sensazione che la rivoluzione degli anni Settanta nella psichiatria abbia<br />

prodotto una serie di risultati, ma non si sia posta abbastanza il problema di che cosa sarebbe<br />

successo dopo, e quello che sta succedendo – dico la verità – non mi piace, e poi lei mi<br />

prende in una brutta giornata perché io sono andata in ferie con l‟annuncio che chiude tutto,<br />

per cui ho grosse difficoltà anche emotive a parlare. 11<br />

- MF – Cioè, l‟Istituto chiude perché l‟esperienza è finita?<br />

- MLR – No, non è finita l‟esperienza.<br />

- MF – Cioè, è finita nel senso ufficiale?<br />

- MLR – No, ufficiale non lo è mai stata, perché io devo dire che lo stipendio lo avrei preso<br />

anche se non me ne fossi occupata, quindi ...<br />

- MF – Ecco, però questo istituto aveva un suo funzionamento burocratico? Un minimo?<br />

- MLR – Ce l‟aveva. È un‟associazione di volontariato culturale convenzionata con l‟azienda<br />

sanitaria di cui occupa gli spazi, e fornisce anche – diciamo – volontari per fare delle attività<br />

e soprattutto forniva quello che possiamo chiamare un gruppo sociale di riferimento diverso.<br />

Ci sono piccole cose che è difficile raccontare anche perché poi io non mi permetterei mai di<br />

prendere, per esempio, il materiale di persone viventi e metterlo in mostra a scopo di<br />

divulgazione clinica, però questo Istituto ha fatto tanto… per esempio, una volontaria che<br />

viene in atelier, qualche sabato prende su me e un paio di persone con una diagnosi di<br />

schizofrenia e ce ne andiamo a vedere una mostra… e magari qualcuno si sente male ma con<br />

calma si rimedia<br />

- MF – [...].<br />

- MLR – Va beh, forse non è moltissimo… Io credo che questo non succeda abitualmente.<br />

Quindi l‟Istituto in questo senso fa moltissimo. Il fatto di fare una mostra, magari ad un<br />

artista che è un amico, che non ha niente a che vedere con la psichiatria, però<br />

all‟inaugurazione si porta i suoi ospiti ben vestiti ed accoglie anche chi vive da vent‟anni in<br />

una residenza psichiatrica… che può mangiarsi due patatine e prendersi un aperitivo<br />

10 L‟artista Riri Negri di cui abbiamo parlato nel numero precedente di Cantarena. Vedi n° 30, pp. 25-52.<br />

11 La chiusura riguarda una parte dell‟ex Ospedale Psichiatrico, in cui è collocato il Centro Basaglia con l‟atelier di Arte<br />

terapia, l‟Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli insieme col Museattivo Claudio Costa.<br />

40


confondendosi tra il pubblico… non è una cosa da poco. Questa parte della nostra attività ci<br />

sarebbe piaciuto che continuasse. È un brutto momento, ripeto, in cui dobbiamo per ragioni<br />

logistiche ridimensionare tutto. Avrebbero dovuto ristrutturare il nostro Centro Basaglia, per<br />

poter traslocare l‟atelier e continuare l‟attività… questo evidentemente non si riesce a fare<br />

perché dobbiamo fare in fretta, speriamo che poi venga fatto e<br />

- MF – Quindi è un momento di stallo, in teoria.<br />

- MLR – È un momento di paura. È un momento di paura.<br />

- MF – Un momento di vita allora.<br />

- MLR – Una botta di vita, sì.<br />

- MF – Visto che oramai siamo su questo campo, dell‟arte sociale si è mai interessata? Ha mai<br />

pensato che il suo lavoro potesse avere anche un risvolto di questo tipo oppure no?<br />

- MLR – Io non posso pensare a un‟arte che non sia sociale. Non so poi se chiamerei arte<br />

sociale quello che faccio.<br />

- MF – Io direi, così su due piedi, che differenzierei arte sociale come intenzione, come un<br />

progetto, da un‟arte sociale come risultato. Che l‟arte sia sociale tutta come risultato sono<br />

d‟accordo.<br />

- MLR – Io di un‟arte sociale come progetto avrei un po‟ paura, perché l‟arte è arte e quindi<br />

deve anche mantenersi nella sua indipendenza. Se si riesce a fare un progetto di arte sociale<br />

e poi a non farsi – come dire? – intortare in certi meccanismi, va benissimo, ma dubito che<br />

sia facile.<br />

- MF – Però aveva citato Beuys, Beuys può essere inserito in questa area, in questo orticello<br />

coltivato in questo modo.<br />

- MLR – Anche lui andava in giro con i colli di pelliccia, eh.<br />

- MF – [Ridacchio].<br />

- MLR – Io sono molto scettica, molto molto scettica su questo terreno.<br />

- MF – Però Beuys ha lasciato tracce.<br />

- MLR – Sì sì, ha lasciato tracce forti. Non so. Non credo in questa specializzazione ecco, non<br />

sono tanto ..., forse perché un po‟ me ne vivo anche nel mio mondo, voglio dire; non faccio<br />

solo questo, quindi non è che sono sempre fuori a confrontarmi con altri gruppi, ecco. Credo<br />

che l‟arte non possa non essere sociale, se non lo fosse sarebbe da cestinare subito.<br />

- MF – Nessuno se ne interesserebbe.<br />

- MLR – Infatti. Che poi si possa fare un progetto di arte sociale ..., ma!<br />

- MF – Ci sono gruppi che lavorano in questa direzione sia nell‟ambito del recupero<br />

architettonico delle favelas eccetera sia nel campo della didattica, entrano nelle scuole. C‟è<br />

un tentativo, un risveglio, uno dei tanti sintomi dell‟arte di oggi di uscire dal proprio recinto<br />

e quindi di confrontarsi con le attività di ogni giorno, però cercando di fare un discorso<br />

artistico.<br />

- MLR – Io credo poco nell‟artista come mestiere. Bella forza, io faccio un altro mestiere,<br />

quindi come dire ..., no? Però ho la sensazione che chi si chiude nell‟attività dell‟artista in<br />

quanto tale perda delle cose, intanto perché per fare un‟arte sociale bisogna starci nella<br />

società e bisogna starci alle regole degli altri. Allora se questi movimenti, di cui non sono a<br />

conoscenza,<br />

- MF – Sì, ma non direi che sia un movimento, direi che sia più un indirizzo.<br />

- MLR – Sì, va be‟, se sono fatti da artisti che in qualche modo comunque vivono le difficoltà<br />

di tutti i giorni, come lei col preside o i genitori, per esempio, allora okay, se invece sono<br />

persone che si estraniano dalla realtà per portare arte sociale ci credo poco.<br />

- MF – Sì però direi che non è che loro portino, da quello che ho capito io, un messaggio<br />

eccetera, desiderano inserirsi in un‟altra realtà, che non sia quella artistica, per misurarsi con<br />

questo [compito], quindi non è che abbiano delle cose da dire.<br />

- MLR – Come ci si inserisce?<br />

41


Margherita mentre mi mostra, dal soppalco del suo studio, una delle sue opere.<br />

- MF - È una ricerca.<br />

- MLR – E come ci si inserisce?<br />

- MF – Lavorando all‟interno.<br />

- MLR – Lavorando, va be‟, allora ...<br />

- MF – Ora non so. Avevo letto due tre anni fa di un gruppo che mi pareva coinvolgesse<br />

alcune scuole lavorando all‟interno delle scuole, certo come elemento esterno, che però<br />

cercava di entrare all‟interno della vita delle scuole [...], un tentativo di interazione.<br />

- MLR – Un po‟ come quello di Wurmkos allora.<br />

- MF . E direi di sì. Forse anche questo potrebbe essere inserito, perché non è che sia un<br />

movimento con tanto di manifesto eccetera. Sono tentativi – credo – dell‟arte di oggi di<br />

uscire – direi io – dall‟impasse di Duchamp, che una volta usciti dal quadro, d‟accordo, [...]<br />

e allora c‟è (che gli alunni vedono con raccapriccio) chi si incide la pelle come Marina<br />

Abramović o chi fa altre cose che sicuramente manifestano un tentativo di dire qualcosa che<br />

non sia stato già detto.<br />

- MLR – Non so, non ne sono a conoscenza. Penso che sicuramente gli artisti hanno bisogno<br />

di vivere per poter produrre, 12 questo certamente. Non mi sono mai posta il problema perché<br />

ci sono dentro fino al collo, quindi ...<br />

- MF – E come ambiente artistico, reale, vitale, in carne e ossa, frequenta?<br />

- MLR – Allora frequento alcuni artisti, molto pochi, ma per ragioni proprio logistiche, perché<br />

appunto ho poco tempo per andare alle mostre, però insomma con alcune persone ho un<br />

ottimo rapporto<br />

- MF – E Tel Aviv?<br />

12 Risponde a riferimenti da me fatti nella battuta precedente e non trascritti perché poco chiari in registrazione.<br />

42


- MLR – A Tel Aviv ho avuto per un po‟ di anni una galleria; ora la situazione è molto<br />

pesante.<br />

- MF – L‟aveva aperta lei?<br />

- MLR – No no no. Perché avevo i pezzi in una galleria e avevo fatto un po‟ di mostre.<br />

Adesso è una situazione molto drammatica, anche economicamente, quindi molte di queste<br />

gallerie hanno chiuso e altre sono diventate<br />

- MF – Per ragioni politiche?<br />

- MLR – No, per ragioni economiche, per ragioni economiche. Israele è un paese libero;<br />

questo qui non lo si capisce, ma molto più liberi di noi. In Israele le persone si dicono molto<br />

più francamente quello che pensano, non ci sono i ghetti che ci sono qui eh, questo<br />

teniamolo presente.<br />

- MF – Qui è inteso come Genova o come Italia?<br />

- MLR – Non so. Io non conosco l‟Italia, ecco. Genova è una città difficile, no? Dove<br />

comunque bisogna appartenere. Se non si appartiene è complicato, no? Ecco. Direi che<br />

Israele da questo punto di vista è molto più facile, cioè: assistere a una serata dove ci sono<br />

laburisti e conservatori è una cosa rilassante; qui diventerebbe un problema quasi<br />

sanguinoso [ridacchia appena un po’], ecco, quindi trovo che in questo senso ... Poi<br />

insomma spesso non è facile per noi capire le scelte politiche che fanno loro. Una delle cose<br />

che mi ha colpito di più in questi giorni è stata di mia suocera, che è una laburista convinta<br />

di vecchia data, e che comunque vorrebbe mandare a casa il Likud tenendosi però Sharon<br />

come capo del governo, perché viene considerato da gran parte della popolazione<br />

strategicamente adatto ai problemi di Israele, una persona molto intelligente, molto capace,<br />

quindi al di là dell‟appartenenza politica e poi di tutte le cose che si sono anche dette ... mi<br />

ha colpito molto questo modo, poco ideologico e per nulla fideistico di considerare le<br />

priorità politiche. Secondo me, in Italia non saremmo in grado di fare altrettanto, mentre a<br />

me è capitato molte volte di guardare alle persone immaginando: “toh, però… mettere<br />

insieme questi quattro del centrosinistra con questi tre del centrodestra... ci farei un governo,<br />

ecco.<br />

- MF – Da noi impensabile.<br />

- MLR – Da noi impensabile, mentre lì lo pensano e lo pensano apertamente, ecco. Ma io il<br />

problema di Duchamp l‟ho risolto, eh.<br />

- MF – Cioè?<br />

- MLR – Partendo dalla pipa di Magritte ho provato a negare che la sua pipa non fosse<br />

davvero una pipa; un bambino vedendola avrebbe detto che si trattava di una pipa! Ci ho<br />

fatto un quadro che si chiama il Re Nudo (cfr. fotografia). Ho girato per molti mesi intorno a<br />

questa pipa, l‟ho tagliata in due, capovolta, le ho fatto fumare la Marilyn, il cappello di<br />

Kosuth, i miei omini e il mio pomodoro, fatta diventare un punto interrogativo e un cappello<br />

per una scultura pomodoro…alla fine ne ho incollata una in un quadro per fare come<br />

Duchamp e sono arrivata alla conclusione che non me ne importava più. Duchamp e<br />

Magritte, in fondo, hanno fatto la stessa cosa. Magritte ha dipinto la pipa e ha detto che non<br />

è una pipa, perché è una rappresentazione, però nel momento in cui Duchamp ha preso un<br />

oggetto, lo ha decontestualizzato è diventato una rappresentazione, quindi poi insomma ...<br />

Dal punto di vista concettuale ovviamente: complicate riflessioni sulla differenza tra<br />

rappresentazione e realtà, realtà e contesto, natura e cultura, bestialità e umanesimo, la bestia<br />

e la bella…non porta da nessuna parte perché è un limite impercettibile che c‟è ma non si<br />

vede oppure si vede ma non c‟è. Non bisogna guardarlo, ma senza perderlo di vista.<br />

- MF – Però è bello. Io qui non ho conoscenza [...], ma è un po‟ quello della psicanalisi, di<br />

quello che sono gli oggetti e i fantasmi.<br />

- MLR – E sì, e sì. Io sposo in pieno questa idea. Se insomma la pipa fosse la pipa di mio<br />

nonno sarebbe un‟altra cosa, se poi fosse la pipa di Freud non ne parliamo. Adesso che mi<br />

sono impegnata tanto sulla pipa di Magritte, se fosse la pipa di Magritte sarei in adorazione,<br />

43


diventerebbe un feticcio e quindi insomma la pipa è tante cose, come un pomodoro o, non<br />

so, ...<br />

Margherita Levo Rosenberg posa di fronte ad alcune sue creazioni artistiche.<br />

44


- MF – E il pomodoro che significati ha? Le chiedo di razionalizzare.<br />

- MLR – Io posso razionalizzare. Me lo sono chiesto tante volte. Credo che la cosa più ovvia<br />

sarà che mi piace il rosso e sarà che da bambina me li mangiavo vicino alla pianta e quindi<br />

..., poi è tondo, è un prodotto che può essere consumato in tanti modi, per esempio la salsa<br />

(il senso della salsa è qualcosa di molto intrigante) e poi è un oggetto contundente quando<br />

viene usato – diciamo – a scopo offensivo. Eeh il pomodoro è una cosa ..., è vivo, è vivo.<br />

- MLR – E secondo lei (io ho sempre odiato queste differenze, ma comunque ...) esiste<br />

un‟arte al femminile? E una al maschile?<br />

- MLR – Eee aaalllooora<br />

- MF – [Ridacchio].<br />

- MLR – Ci sono, ci sono – secondo me – delle cose che non potrebbe che aver fatto un uomo<br />

e delle cose che non potrebbe che aver fatto una donna e – come dire? – per me sono già da<br />

svalutare, ecco. Non dovrebbe – secondo me – l‟anima non dovrebbe avere sesso, no? Però<br />

chissà. Chi lo sa? Chi lo sa? Ci sono delle cose ... La Pietà di Michelangelo non potrebbe<br />

averla fatta una donna.<br />

- MF – Perché?<br />

- MLR – Perché è maschile. Così. Il Discobolo: non può averlo fatto una donna. Neanche il<br />

Pensatore di Rodin.<br />

- MF – Sarebbe bello che poi invece ... [ridacchio].<br />

- MLR – Sarebbe bello…, sarebbe ... Chi lo sa, chi lo sa, chi lo sa.<br />

- MF – No. Diciamo che è difficile che lo sia per le situazioni sociali.<br />

- MLR – Sì, sì, sì. E chi sa, però in futuro ... Adesso ho letto che cambieremo pure sesso nel<br />

corso della vita.<br />

- MF – Sì, però, almeno per ora, fortunatamente sono solo fantasie, perché – secondo me – un<br />

ostacolo davanti lo dobbiamo avere; lo avremo sempre, però se non ne dovessimo avere<br />

diventerebbe<br />

- MLR – un problema.<br />

- MF – un problema.<br />

- MLR – Sì, è difficile dire come andrà. Ogni tanto mi viene un sospetto o anche una paura,<br />

ché mi dico che probabilmente questa società grassa, crapulona, priva di valori, sarà<br />

assolutamente, per ragioni darviniane proprio, ingoiata da un regime talebano che riporterà<br />

tutto indietro... e potremmo essere costretti a ripartire da lì. Speriamo di no.<br />

- MF – Per essere sinceri fino in fondo, parlando con lei, ho avuto un po‟ l‟impressione, non<br />

dal punto di vista umano che è evidentemente positivissimo, ma dal punto di vista della<br />

ricerca, un eccessivo tradizionalismo, non nell‟uso dei mezzi, dei sistemi eccetera, ma dal<br />

punto di vista dei concetti, cioè l‟armonia (questa è la mia interpretazione)<br />

- MLR – È possibile.<br />

- MF – l‟equilibrio; esiste l‟essere umano, l‟essere umano deve trovare la sua strada, [...].<br />

- MLR – È una fatica non oltrepassare questo limite. È così facile stupire!<br />

- MF – Non lo so. Mi sembra Ulisse che se ne stia ad Itaca. È l‟abbandonare che è<br />

pericolosissimo, difficilissimo. Abbandonare le certezze, l‟equilibrio, per andare ad<br />

esplorare territori differenti, diversi, e si può non ritornare indietro, che poi era quello dei<br />

fratelli Vivaldi.<br />

- MLR – Non lo so, non le posso rispondere, perché se così fosse già lo saprei.<br />

- MF – No. Voglio dire: lo ritrova? Mi ha detto già di sì, ma credo che mi abbia dato una<br />

risposta – a mio parere – troppo rapida. Che ci possa essere una base di punti fissi stabiliti ...<br />

Ecco: questo è il recinto in cui mi muovo, di là no. È il recinto, che poi è rinascimentale,<br />

dell‟uomo che sta al centro.<br />

- MLR – Può essere, può essere. Ci ho pensato tante volte. Qualche volta mi sono per<br />

esempio costretta a stare nel bidimensionale, io ho fatto anche tanto tridimensionale, in<br />

realtà cioè la tentazione è continua, però mi sono anche detta – no? – che si deve poter dire<br />

45


qualunque cosa all‟interno del linguaggio rappresentativo, ovviamente senza limiti di<br />

linguaggio, perché la rappresentazione contiene l‟oggetto reale non meno di quanto<br />

l‟oggetto reale contenga la sua rappresentazione; quindi, si può esprimere qualsiasi cosa<br />

parlando, senza bisogno di tirare cazzotti, a meno che non ci si trovi in teatro, dove i cazzotti<br />

sono finti. Io voglio restare all‟interno del “come se”, della finzione scenica È il mio<br />

ostacolo non oltrepassare quel limite, è il mio ostacolo. È troppo facile oltrepassarlo, stupire<br />

con delle trovate – come un libro che tira cazzotti - è troppo facile fare dei reality TV, che<br />

hanno dietro una astutissima regia, dove chi tira le fila spera di far succedere lo spettacolo e,<br />

un po‟ sa come farlo succedere, e chi vive la sua recitazione spera di resistergli ma senza<br />

dispiacergli troppo: è troppo facile l‟uso del pensiero a svantaggio dell‟uomo. I reality sono<br />

teatro spacciato per vita, rappresentazione spacciata per realtà che però è anche vita<br />

spacciata per teatro, realtà che si fa rappresentazione: dov‟è finito il limite? Lo abbiamo<br />

perso di vista. Mi fa paura e mi ricorda una delle filastrocche portanti dei miei quadri che<br />

faceva: “ediogiocandomisonopersocercandoilversodell’universo”.<br />

- MF – Sì, ma io infatti non mi riferivo a questo, mi riferivo proprio a ... – come dire? –<br />

all‟immagine di Ulisse – ripeto – che dice si sta bene, però si sta anche male perché c‟è il<br />

bisogno di partire per esplorare; questo esplorare può essere di tanti modi, io posso esplorare<br />

restando nella mia stanza, penso, ascolto un po‟ di musica, mi guardo qualche bel libro,<br />

eccetera, anche questo è esplorare, ma è un esplorare poco, non è l‟esplorare di chi<br />

abbandona casa, tutto, si mette zaino in spalla e va alla ricerca ... Ora nel nostro pianeta<br />

forse non c‟è più nulla da esplorare, però voglio dire ...<br />

- MLR – Non so, ho la sensazione che lei mi faccia, sotto sotto, un rimprovero<br />

- MF – Non vuole però essere un rimprovero.<br />

- MLR – che aleggia, che aleggia in quelli che un po‟ mi conoscono ed è lo stesso rimprovero<br />

che mi fece Claudio Costa dicendomi o fai il medico o fai l‟artista e che qualcuno mi fa<br />

dicendo: Ah, sì, beh, tanto lei comunque ... – come dire – ha la pagnotta assicurata, sta al<br />

sicuro.<br />

- MF – Non voglio dire questo. Tanti artisti, giustamente, si assicurano la pagnotta, fanno un<br />

altro lavoro.<br />

- MLR – Accettabile, accettabile, per carità. Io non credo che bisogna fare il vagabondo per<br />

fare l‟artista.<br />

- MF – No, infatti, non era questa la mia domanda. Non il vagabondo fisico.<br />

- MLR – Certo, il vagabondo mentale. Beh, insomma credo che il fatto stesso che poi io<br />

faccia queste cose devo essere per forza una vagabonda mentale; altrimenti ..., no? Ci sono<br />

alcune cose che magari nel mondo della cultura sono già chiare, nel mio mondo mica tanto.<br />

Per esempio quando dico che dobbiamo smettere di dividere il mondo in sani e malati non è<br />

mica così scontato, quindi non credo poi di essere ferma, anzi ..., anzi ...., credo proprio di<br />

no. Ho capito negli anni una cosa, perché sono partita da una posizione in cui mi piaceva<br />

fare operazioni di rottura, ma ho capito che non portano allo scopo, anzi, ce ne vuole per<br />

riuscire ad ottenere il dieci per cento di quel che si vuole ottenere senza farsi massacrare<br />

prima per strada. Probabilmente quello che si può vedere nelle cose che faccio o comunque<br />

quello che oggi penso e che faccio è di andare dritta per la mia strada provando a non farmi<br />

massacrare prima però. Sto molto attenta su questo, per quello che posso ovviamente;<br />

qualche volta mi scappa, eh.<br />

- MF – Sì, però non credo e non voglio assolutamente dire che per fare ricerca al giorno<br />

d‟oggi si debbano dare delle gomitate, ci si debba pestare, eccetera.<br />

- MLR – Ma non parlavo di questo, parlavo proprio della<br />

- MF – Farsi massacrare in che senso?<br />

- MLR – Nel senso che nelle cose della vita quotidiana, quelle che appartengono<br />

all‟istituzione, bisogna essere molto attenti ad essere rivoluzionari con moderazione. Per me<br />

questa è la rivoluzione del futuro. Perché quelle che non sono state così le abbiamo viste<br />

46


fallire. Quindi la rivoluzione con moderazione è un concetto che ..., lo dico adesso,<br />

probabilmente è un controsenso ma ci credo, credo che le rivoluzioni vadano fatte con<br />

moderazione, questo nella vita; nell‟arte c‟è un pochino più di libertà, ma mica tanta, ma<br />

mica tanta perché poi se una persona se ne esce con qualche cosa che non può proprio essere<br />

capita in quel momento si autolimita, si trancia le possibilità di crescere perché diventa un<br />

limite comunque.<br />

- MF – Il suo rapporto con il sistema dell‟arte?<br />

- MLR – Ce n‟ho poco di rapporto con il sistema dell‟arte.<br />

- MF – [Ridacchio].<br />

- MLR – [Ridacchia]. Ne ho poco. Io ho lavorato con la Orti Sauli, che era una galleria con<br />

delle persone molto belle, e ha chiuso, forse perché erano molto belle; ho lavorato con Rosa<br />

Leonardi, che anche lei ..., questa qua era la mostra fatta da ..., che si chiamava La Stanza<br />

dei Bottoni, dove avevo tappezzato di bottoni la sala, e anche lei non c‟è più; ho lavorato<br />

con una galleria della famiglia Rapaport appunto in Israele e anche con loro ho chiuso e ora<br />

lavoro con una galleria di Torino, si chiama Catartica, e poi faccio delle cose un po‟ così.<br />

Adesso, a novembre, farò una cosa con l‟Università, anche intervenendo in un convegno che<br />

si chiama Naming.<br />

- MF – Quale Facoltà?<br />

- MLR – La Facoltà di Lingue, con la quale appunto abbiamo messo su una ricerca sulla<br />

rappresentazione, realtà/rappresentazione, percezione-rappresentazione. Faccio delle cose<br />

che mi divertono.<br />

- MF – Per concludere, una cosa che non le ho chiesto e che avrebbe voluto che le chiedessi?<br />

- MLR – Non so. Se lei pensa che io mi ricordi di che cosa abbiamo parlato ... Proprio no. Mi<br />

sono concessa il lusso di non stare attenta. Non lo so. Forse vorrei farle vedere qualche cosa.<br />

- MF – Sì, ne ho intenzione, sempre che non le rubi troppo tempo, sì. Abbiamo fatto quasi due<br />

ore eh.<br />

- MLR – Davvero? Non me ne sono accorta.<br />

- MF – Sì, va bene. C‟è il gatto che mi dice che è ora che me ne vada. 13<br />

[Si conclude così la registrazione. Ho proseguito a parlare con Margherita Levo Rosenberg<br />

durante la visita delle stanze dell’appartamento in cui c’erano opere sue da vedere].<br />

Fine luglio 2004.<br />

Versione rivista ed approvata dall‟interlocutrice.<br />

13 Infatti il gatto aveva iniziato a muoversi per la cucina in modo tale da suggerirmi che era ora che me ne andassi.<br />

47


48<br />

INTERVISTA A GIANNI MILANO<br />

C u r a t a d a L u i g i B a i r o<br />

- D. Non si poteva che coinvolgere te, per saperne di più. Cosa significa insomma<br />

essere beat ?<br />

- G. M. La domanda è intrigante e merita una risposta. E‟ trascorso molto tempo ma,<br />

come dice la canzone, „l‟amor mio non muore‟. Il termine beat risale all‟incirca al<br />

1955, ed era un modo di dire musicale, jazzistico. Indicava la battuta, il ritmo. Fu<br />

Kerouac che con un istrionismo intenzionale volle tradurre la parola come una<br />

sincope di beatus. La cosiddetta beat generation fu, purtroppo, una invenzione<br />

mediatica, desiderosa di definire, catalogare. Matteo Guarnaccia, testimone delle<br />

nostre memorie e caro al mio cuore, scrive sul fenomeno: “Il valore artistico<br />

dell‟intera produzione letteraria dei beats è ben poca cosa se confrontata con il<br />

devastante impatto che ha avuto sull‟immaginario giovanile… Ciò che univa questa<br />

singolare rete di resistenza individualista era la voglia di abbracciare la spontaneità,<br />

superando con un sol balzo la frontiera che separa il desiderio dall‟azione…vennero<br />

battezzati dai media „beatnik‟, con riferimento allo sputnik sovietico… il suffisso<br />

„nik‟, di origine yiddish, era una velenosa insinuazione circa la fedeltà dei beat ai<br />

valori patri…era un movimento furtivo, essenzialmente metropolitano e notturno,<br />

che coltivava la depressione, esibiva con orgoglio il proprio anticonformismo e la<br />

propria agitazione, aveva abolito il sonno, era terrorizzato dalla possibilità di un<br />

olocausto nucleare… Tutti condividevano una feroce logorrea…unita alla fissazione<br />

per il ritmo sincopato. Tra i beatnik c‟erano molti reduci…nei loro ritrovi si<br />

confondevano buddhismo,,, cianfrusaglie messicane, bottoni di peyote, folklore dei<br />

nativi americani, pittura astratta…”.<br />

- D. Tutto questo era conosciuto in Italia ?<br />

- G. M. Per niente. I canali di comunicazione non erano certo quelli di oggi. Fu<br />

Fernanda Pivano, la zia strana dei capelloni, che con la sua cocciutaggine, senso<br />

della bellezza e amabilità, riuscì a introdurre nell‟orto letterario italiano queste<br />

esotiche ed esuberanti, irriverenti ed oscene, piante d‟oltreoceano. L‟effetto non fu<br />

immediato ma certo. A partire dal 1965, non so per quale influenza astrale, gruppi di


giovani della marginalità metropolitana, si ritrovarono nei parchi, nei giardini<br />

pubblici, nelle metropolitane delle principali città italiane. Li univa non la<br />

conoscenza della scena americana o una qualche ideologia specifica quanto l‟asfissìa<br />

per il sistema di vita nostrano, il desiderio di verità, di espressione, di pace,<br />

l‟antimilitarismo, il rifiuto del consumismo e delle mode, l‟anarchismo… La parola<br />

d‟ordine dal 1964 al 1966 fu „Non contate su di noi‟.<br />

- D. Mi viene in mente Wilfred Pelletier, indiano Odawa dell’isola di Manitoulin.<br />

Anche lui personaggio sconosciuto, non solo da noi ma anche in America...<br />

- G. M. Di questo Pelletier circolò una breve opera ciclostilata. Ci impiegò diversi<br />

anni ad attraversare l‟Oceano. Giunse in Italia soltanto all‟inizio degli anni settanta.<br />

A proposito del comportamento dei Nativi americani di fronte ai conquistatori<br />

europei, Pelletier accenna appunto a questo „ritirarsi‟. Stiamo curando un libro<br />

ispirato a Wilfred Pelletier. Spero che troverà presto un editore.<br />

- D. Abbiamo accennato ai canali di comunicazione. Non credi che l’inefficacia<br />

dei media dell’epoca non sia stata un limite, ma anzi abbia favorito lo sviluppo<br />

di modalità locali di vivere e di sentire l’appartenenza al beat ?<br />

- G.M. Quando ero bambino e leggevo fumetti, sapevo tutto sui Nativi americani.<br />

M‟ero addirittura fatto, con tela di sacco, un vestito, con penne di gallina e tacchino<br />

infilate un po‟ dappertutto. Avevo l‟arco, di castagno, le frecce, un tomawak in<br />

legno, un nome, Aquila Rossa. Le mie terre erano le colline monferrine. I compagni<br />

della mia avventura esistenziale erano gli animali, le piante, gli orizzonti, raramente<br />

altri bambini, i taciturni contadini nelle vigne. La comunicazione, intensa, avveniva<br />

tramite una sorta di incorporamento, a volte del creato da parte mia, a volte di me da<br />

parte della natura. Là ho appreso la psichedelìa. Ho anche imparato a fare i segnali di<br />

fumo, da nessuno a nessuno, nel silenzio d‟un mondo appena uscito dalla guerra.<br />

Segnali di fumo, nuvolette d‟amore in giro per l‟Italia. Negli anni sessanta, quando si<br />

sviluppò l‟eresia anticonsumistica e antisistema, quella del “non contate su di noi”, le<br />

comunicazioni erano corporee, di toccamento, di abbracci e baci, anche tra maschi<br />

(cosa considerata oscena e scandalosa, da „froci‟), e, per quel che riguardava tribù<br />

più lontane, tramite angeli leggeri in autostop, che, come raggi solari, partivano<br />

portatori di messaggi e quando arrivavano, a volte, non trovavano più nessuno. Le<br />

buone vibrazioni rimanevano sospese nell‟aria, come rugiada. A chi aveva gusto<br />

spettava di succhiarle, al capellone anonimo e solitario ai bordi di una statale con il<br />

pollice levato a chiedere un passaggio. L‟assenza di mezzi rapidi di comunicazione<br />

rinforzò il senso di appartenenza ma anche di orfanaggio, il sogno, alla Dylan, di<br />

spazi ampi, di libere occasioni di pace. Gli incontri, però, quando avvenivano, erano<br />

occasioni di intenso piacere. Ognuno diveniva specchio all‟altro. Raccontava<br />

l‟avventura della vita: ed era bello stare ad ascoltarlo.<br />

- D. La povertà. Un elemento trascurato o forse rimosso, ogni volta che si torna a<br />

parlare di beat. Un po’ scomodo.<br />

- G. M. La povertà mise alla prova i neofiti. In realtà fu la perdita di costumi da<br />

palcoscenico di una recita, che altri avevano deciso si dovesse agire, per conquistare<br />

padri e madri ancestrali, per entrare fraternamente nel mondo, per essere più leggeri<br />

e meno timorosi dei ladri. Ricordi il messaggio? “A che serve accumulare tesori sulla<br />

terra se poi perdi l‟anima!”. Occorreva andare oltre. Anche l‟anima non ci<br />

49


appartiene. Noi apparteniamo all‟anima, al mistero, al flusso. Come il Cristo deposto<br />

dalla croce, sulle ginocchia di sua madre, noi siamo. Finalmente accolti, in un<br />

mandala unitario, dinamico. La povertà, che non è ostentazione, che non è<br />

abbrutimento, ma lievità, era la cartina di tornasole. I cantanti yé yé della televisione<br />

nazionale, con i loro costumi, trucchi e lamenti, che cosa avevano da spartire con<br />

quest‟altro popolo che si purgava per cercare di dar vita a nuove forme sociali, di<br />

relazione, di percezione? Scomoda sì, la povertà. Per un anno abitai in una mansarda<br />

sopra piazza Vittorio, a Torino. Lì, tra l‟altro, divenni buddhista. Ospitavo fino a<br />

quindici persone, maschi e femmine, in dolce, erotica e compassionevole<br />

promiscuità, sdraiati per terra nei sacchiapelo. Non c‟era denaro, giacché il mio<br />

piccolo stipendio di insegnante terminava presto. Andavano a scaricare ceste ai<br />

Mercati Generali. Li pagavano in natura. Si mangiava così. Non si era floridi e le<br />

gengiviti ci facevano sembrare apprendisti-Dracula. La stessa cosa avveniva a<br />

Milano, a Genova, a Lucca, a Firenze, a Roma… Sovente m‟è capitato, nelle mie<br />

trasferte a trovare altre tribù, di dormire sul marciapiede, nel saccoapelo inseparabile,<br />

con fogli di giornale come materassi, temendo soltanto, a Roma, i raid dei fascisti o<br />

della polizia, la quale ultima usava, con frequenza, il foglio di via, per allontanarti<br />

dal luogo. „Sorella povertà‟, la chiamò Francesco di Assisi. E non fu uno scherzo!<br />

- D. Quali furono gli ascendenti del tuo essere beat ?<br />

- G. M. Li individuai a Torino, in un‟intervista : Francesco d‟Assisi, sciamano capace<br />

di parlare con tutti; Buddha, grande anarchico compassionevole, fratello delle<br />

creature; Einstein, folle scienziato che tradusse in formule occidentali i messaggi dei<br />

Veda; Ginsberg, guru psichedelico, in viaggio nelle coscienze aperte su un‟astronave<br />

peyotica, come fece Rimbaud sul suo Bateau ivre.<br />

Immagine di Marco Bailone<br />

(nulla da piangere se non per gli esseri del sogno – Allen Ginsberg)<br />

beat,/ vuol dire / NIENTE ESPLOSIONE / del dentro / sulle antenne dell‟Alta<br />

Tensione/ e torrenti a Niagara / di lacrime insepolte / e poi / anche la sporcizia / pelle<br />

a pelle / e pelle nostra / e soprattutto / A CHE SCOPO ?<br />

Gianni Milano (– Il maestro e le margherite – Stampa Alternativa)<br />

50


- D. Oggi dilaga la moda beat, i complessini a Sanremo che scimmiottano quelli<br />

degli anni sessanta, e così via. Al di là di queste esperienze deprimenti,<br />

riesumate per dare nuovo carburante agli esausti mercati della musica e della<br />

moda, quale può essere un discorso più sostanziale di attualità e di continuità<br />

del movimento beat?<br />

- G. M. Ogni tempo produce la propria storia. L‟estrema risposta che alcuni diedero al<br />

Sistema nella seconda metà degli anni sessanta, escludendo, in Italia, il Movimento<br />

studentesco che si muoveva su linee prevedibili, rigide e confessionali, era figlia di<br />

una società che allettava poco, che stabiliva rapporti con i suoi membri a muso duro.<br />

- Repressione, illusione, mistificazione, conformismo. I giovani che fecero scelte, a<br />

volte ingenue e pericolose, di rifiuto dell‟allora nascente Villaggio globale, miravano<br />

a divenire santi, persone integrali, non ingranaggi integrati. Tale aggettivo era<br />

considerato un insulto e solo Krishnamurti riuscì a dare un significato positivo<br />

all‟esecrato invito all‟omologazione. Krishnamurti, infatti, affermò che compito di<br />

ciascuno di noi è di essere in pace, all‟interno e all‟esterno di noi, non scissi, non<br />

collezione di reperti anatomici da mostrare al mondo. Oggi è più difficile per i nuovi<br />

giovani comprendere come la scelta passi tra il rivoluzionare se stessi o l‟accogliere<br />

alibi miglioristi, puntando sempre sulla merce, sulle ricette ideologiche, sulle<br />

lusinghe volgari. In fondo, quando io citavo Buddha, il Risvegliato, ricordavo a me<br />

stesso le tentazioni che Siddharta subì durante la sua lunga meditazione che lo portò<br />

alla Liberazione. Vi erano le lusinghe cosce lunghe, l‟offerta di potere sul mondo, il<br />

terrore della fine dell‟io…: cianfrusaglie che come ragnatele avrebbero avvolto<br />

l‟uomo seduto in profonda concentrazione. Che fossero cianfrusaglie i giovani di<br />

allora lo capirono subito ed anche se non furono sempre in grado di elaborare<br />

risposte organiche seppero dire un no reciso, formalmente visibile, a quelle che<br />

Brassens chiamava “le trombe della fama”. Demistificazione, proposta di semplicità<br />

ed immediatezza, attenzione al corpo, lettura estatica del mondo, rifiuto della<br />

violenza, militare, economica, culturale, religiosa… E da dove venivano questi<br />

ragazzi e queste fanciulle? Parevano alieni, erano visti come matti, derisi,<br />

perseguitati, rinchiusi nelle patrie galere, processati, giovani che avevano come<br />

soprannome Scheletrino, Saigon, Ombra e non possedevano che la loro vita,<br />

cercavano di essere e non di avere, come sollecitava Fromm, senza scrivere libri,<br />

ciclostilando clandestinamente giornali subito requisiti… Vedi un po‟ tu! Non<br />

essendo missionario, il cosiddetto “movimento” visse della sua vita, per tutto il<br />

51


tempo possibile tra un respiro e l‟altro, tra un digiuno e l‟altro, tra un foglio di via e<br />

l‟altro, straccione, povero e senza ciccia. Non è morto perché era ricerca e la ricerca,<br />

come l‟amore, non muore mai, si trasforma, vede posti nuovi, incontra scherzi del<br />

destino, allunga la sua ciotola sapendo soltanto dire grazie. Il beat ruppe il guscio<br />

d‟una realtà ch‟era sempre stata presente, ma non la si era voluta vedere, indagare.<br />

Nel momento in cui si superò la separazione e si rigenerò l‟unità di pensiero, di<br />

visione e di azione, ebbe inizio la diaspora. I nuovi ricercatori beatizzarono la realtà.<br />

Alleluja!<br />

immagine di Marco Bailone<br />

“ La piuma bianca col sangue a martingala “<br />

agli amici del Living Theatre<br />

tutti conoscono la piuma del colombo<br />

sparato nell‟aria<br />

mentre portava messaggi<br />

non suoi<br />

di qualcuno non lui:<br />

da qualcuno sparato.<br />

tutti conoscono la piuma bianca<br />

col sangue a martingala<br />

che univa il mare al cielo<br />

in un urlo silenzioso<br />

in una lacrima di sole<br />

quando le cicale d‟un Omero cieco<br />

d‟un Socrate violato dal veleno<br />

suonavano a martello<br />

le loro lugubri campane:<br />

per uno scheletrino piumato<br />

quasi scherzo di nuvola o passaggio<br />

da un tempo possibile ancora<br />

52


a un tempo definito dalla morte.<br />

furia avvitata<br />

soffione di vento colorato<br />

silenzio inutile e potente<br />

questa<br />

la piuma bianca col sangue a martingala.<br />

tutti conoscono tutti l‟hanno vista<br />

la piuma<br />

in una giornata di cielo sereno<br />

unire Mediterraneo e Kaos.<br />

piuma-uomo<br />

incalzante con altri che spingono alla verticale<br />

al destino di luce abbruciante negli occhi<br />

la piuma<br />

che portava messaggi<br />

tutti l‟abbiamo vista nella nostra vita<br />

tutti l‟abbiamo sognata<br />

questa piuma-spada col sangue a martingala.<br />

ed il colombo innocente come la vita<br />

proletario prestabilito nella sua orbita d‟obbedienza<br />

spalancato all‟azzurro dell‟utopìa<br />

carne lui<br />

carne impastata di baci<br />

di pomodori sanguigni di trasparenti vene svenate<br />

la cui sola proprietà legittima è il palpito<br />

e la certezza di morire.<br />

ED IL COLOMBO INNOCENTE COME LA VITA<br />

TUTTI NOI LO CONOSCEMMO<br />

NOSTRO FRATELLO-COMPAGNO<br />

NOSTRO PALPITO-TAMBURO<br />

NOSTRA RIVOLUZIONE PERMANENTE<br />

CHE NOI SPEDIMMO PER ARIA<br />

CHE NOI FACEMMO CARNE PER ARIA<br />

CHE NOI SIAMO CARNE ED ARIA.<br />

TUTTO QUESTO CHI DI NOI<br />

PROLETARI DALLE CIGLIE MEDITERRANEE<br />

DALLE MANI DIPINTE PER PAESAGGI D‟AMORE<br />

CHI DI NOI PUÒ DIRE CHE NON LO RIGUARDA<br />

CHE LUI NON È CHE È UN FANTASMA IN GIRO PER L‟EUROPA<br />

CHE È UN SOGNO D‟UN PICARO STANCO<br />

UNO SBUFFO DI FUMO DA QUALCHE FORNO CREMATORIO<br />

quando si leva e tramonta nel Mediterraneo<br />

la stella-cuore che lava di luce le necropoli.<br />

53


e se la piuma bianca col sangue a martingala<br />

toccherà la corda più segreta<br />

delle nostre genti antiche<br />

allora si leverà un sorriso guerrigliero<br />

un guerrigliero sorridente<br />

col mandolino a mitraglia<br />

che siglerà nel cielo il segno d‟un‟aureola<br />

glorificando il martire.<br />

l‟aureola del mandolino a mitraglia<br />

scriverà sulla verticale dei popoli<br />

latino-mediterranei<br />

SANTO COLOMBO COL SANGUE A MARTINGALA<br />

e sarà festa<br />

per tutti noi.<br />

54<br />

Gianni Milano 1970


55<br />

A F<br />

SENZA PELLE<br />

Ho conosciuto F tramite il tuo lavoro. Io sono un‟insegnante di Religione. Insegnare questa<br />

disciplina per me significa insegnare una “non materia”. Pur avendo lo statuto di materia scolastica<br />

(fatte salve alcune eccezioni che la rendono comunque “sui generis”), ormai da molti anni vivo ciò<br />

che insegno come una specie di anomalia.<br />

Amo insegnare perché amo conoscere le persone, amo ascoltare, parlare, se necessario aiutare, ma<br />

soprattutto amo guardare. Finora, non ho trovato mezzo di conoscenza migliore, della persona<br />

umana, che gli occhi.<br />

Con il mio lavoro riesco a mescolare magicamente tutto questo e a dissetare il mio spirito di una<br />

pozione inimitabile: parlo, ascolto, guardo, do molto di me e imparo. Fondamentalmente insegno<br />

perché da sempre amo imparare. Mi considero più fortunata però, rispetto ai colleghi delle<br />

discipline importanti, e più libera di loro e anche più ricca: l‟unico scopo del mio lavoro è conoscere<br />

esseri umani e farmi conoscere da loro. Io non devo fornire nozioni, perché la religione non si fonda<br />

su conoscenze oggettive, su un sapere sistematico, astratto. Piuttosto io devo, quando insegno,<br />

mettermi in gioco con loro, i ragazzi, io devo parlare credendo in loro e facendomi credere. Il mio<br />

lavoro è un infinito interessamento dell‟altro. I programmi, le relazioni, i registri, le schede di<br />

valutazione, i voti non sono altro che un atto dovuto, pseudo-strumenti attraverso i quali mi<br />

destreggio, come in uno scivolo a curve, per arrivare sempre e comunque dove voglio io: al cuore<br />

della persona.<br />

Proprio perché lavorare e amare sono per me la stessa cosa, questo mestiere mi rende fragile: sono<br />

così esposta, mi do sempre così tanto e senza riserve che chiunque può farmi male. È sempre un<br />

rischio, un tiro a dadi. Però, dopo sedici anni di scuola, confermo sempre a me stessa di essere<br />

felice, veramente felice d‟essere quella che sono.<br />

F l‟ho conosciuto quest‟anno scolastico. Era in I H nella succursale di Via Burlando. Quel che mi<br />

ha subito colpito di lui è stata la sua età: ho guardato il registro e ho visto che era un ‟92.<br />

“Caspiterina” – mi son detta – “ma questo ragazzo dovrebbe essere in terza!”. Poi, con gli occhi, ho


spostato l‟attenzione al luogo di nascita: PERÙ. E lì è scoccata un‟altra scintilla d‟interesse perché<br />

io ho un debole per il Sud America<br />

Tra Ottobre e Dicembre ho cominciato ad osservarlo e molti aspetti della sua persona attiravano la<br />

mia attenzione d‟insegnante. Gli occhi, sempre silenziosamente attenti, profondi in modo<br />

inquietante, esibivano, in superficie, un‟allegria scanzonata e celavano, in lontananza, una tristezza<br />

muta. Alla radice della nuca gli scendeva un codino di capelli nerissimi (che scoprii camminando<br />

tra i banchi), che gli dava un che di molto originale e rievocava, nel mio immaginario fatto solo di<br />

libri, i lunghi capelli dei nativi d‟America. Ma soprattutto, dal suo corpo emanava un‟incredibile<br />

calma, una fermezza, una pazienza che mi ricordava la stoicità degli scogli, capaci di sopportare<br />

mareggiate travolgenti e di rimanere sempre al loro posto, scolpiti, lavorati duramente dal mare, ma<br />

resi ancora più forti, più duri.<br />

Dopo le vacanze natalizie l‟ho visto cambiare. La tristezza mite dei suoi occhi, prima nascosta,<br />

sembrava gridare e rimbombare nel silenzio di quegli occhi nerissimi. F stava spesso a capo chino,<br />

aveva il volto tirato, il volto di chi dorme poco, pensa troppo, soffre in silenzio, il volto di chi<br />

piange.<br />

Non stavo in me dall‟angoscia: cosa aveva? Cosa gli era successo?<br />

Andavo in “Burlando” solo una volta alla settimana, non avevo modo di capire, di sapere. Parlavo<br />

di sfuggita col nuovo insegnante di Lettere, ma era poco, troppo poco quel che riuscivo a fare.<br />

Verso Febbraio la ferita si è aperta. Ha cominciato a frequentare poco e poi nulla. Erano vani i<br />

nostri tentativi di farlo tornare a scuola, attraverso la mediatrice culturale e la famiglia.<br />

Un giorno, a furia di parlare, io e il mio collega decidemmo di scrivere alla Preside, chiedendo la<br />

convocazione della madre, per un richiamo forte all‟obbligo scolastico. Nel frattempo la mia mente<br />

procedeva velocissima a cercare modi per aiutarlo: poteva essergli utile, pensai, fargli saltare due<br />

anni scolastici e portarlo in terza, gli sarebbe bastato così solo un anno per ottenere la licenza<br />

media, inserito in una classe di compagni più o meno coetanei, avrebbe potuto trovarsi meglio,<br />

creare legami, mettere un po‟ di radici in Italia. Prima ancora della Preside, telefonai al C.R.A.S. 14 ,<br />

chiedendo se era possibile un esame di idoneità di questo tipo. Mi offrii come possibile aiuto per<br />

prepararlo e ... oggi siamo qui, 17 Luglio 2006. f. è stato iscritto in una III di “Montaldo”. Non gli<br />

chiedo mai di suo padre, mi basta vedere i suoi occhi sereni. Mi parla di amici, di spiagge, di<br />

musica, di ragazze. Si è innamorato e ha la testa tra le nuvole e io sono felice.<br />

Non so se riusciremo a rimanere amici, se il bene che gli voglio basterà a fare da collante rispetto ai<br />

difetti di ciascuno di noi e alle enormi differenze che ci separano. È difficile spiegargli che io sono<br />

senza pelle, che non ho le difese primarie, gli anticorpi contro il dolore. Ci sono segreti che uno<br />

porta con sé fino alla morte e che spesso impediscono di creare legami nuovi. Difficile, difficile da<br />

dire. So solo che lo devo ringraziare. Non gliel‟ho mai detto, ma stare con lui mi ha aiutato molto.<br />

Ancora fino a Marzo-Aprile, soffrivo molto per la morte di mio padre. La sua mancanza mi<br />

perseguitava dappertutto. Mi ritrovavo a piangere inaspettatamente perché il suo ricordo riemergeva<br />

improvviso nelle cose che stavo facendo: la sua sciarpa del Genoa, il suo posto allo stadio, la sua<br />

ironia, i suoi giochi a carte ... mi mancava tutto. Stare con F è stato terapeutico. Concentrarmi, a<br />

nervi tesi, su uno scopo così importante, che riguardava la vita di un altro, mi ha aiutato a distrarmi<br />

da me stessa e dal mio dolore.<br />

Se anche io e F decidessimo che non vale più la pena vederci, io oggi sarei più ricca, avrei un<br />

ricordo dolcissimo in più, di cui far tesoro nei momenti di tristezza e, a lui, augurerei sempre e<br />

comunque tutto il bene possibile a questo mondo.<br />

Genova, 17 Luglio 2006.<br />

14 Centro Risorse Alunni Stranieri.<br />

56


57<br />

PUNTASPILLI<br />

1. Secondo il documento [un rapporto del governo britannico], bambini piccolissimi che<br />

mostrino di essere “fuori controllo” hanno maggiori probabilità di diventare dei veri<br />

criminali da grandi. Per questo serve un‟attenzione speciale, con sostegno alla lettura e alla<br />

scrittura. Ma anche una linea dura se le tendenze al bullismo permangono e rappresentano<br />

un problema per altri scolari. Secondo lo studio, gli sforzi contro la criminalità infantile<br />

devono essere concentrati sui soggetti che già paiono a rischio: l‟85% di coloro che<br />

diventano delinquenti, afferma il documento, avevano mostrato tendenze violente già a trequattro<br />

anni. “Un‟affermazione ridicola che ignora la necessità dei bambini”, dice un<br />

commento apparso ieri sul Times, a firma della scrittrice Gitta Sereny. “Dire che i sintomi<br />

della criminalità si vedono in un bimbo di tre anni è così ridicolo che non trovo parole per<br />

commentare. Sono scioccata. Quando un bambino è aggressivo a tre anni è perché ha<br />

qualcosa che non va dal punto di vista fisico o psicologico, o è infelice”. Ed è impensabile<br />

capire se ci sono tendenze criminali prima dei 10 anni, “quando inizia a capire cosa è giusto<br />

e cos‟è sbagliato”. Ma il ministro per l‟Infanzia Beverley Hughes difende il concetto<br />

enfatizzato dallo studio, affermando che i problemi vanno individuati prima possibile. “Non<br />

si può dire se un bimbo di tre anni possa potenzialmente diventare un criminale. Ma si<br />

possono identificare i bambini che hanno difficoltà a un‟età molto giovane e far sì che<br />

abbiano assistenza per evitare che quei problemi diventino più profondi”. (ANSA)<br />

Aggressivi a tre anni? “Potenziali criminali” Il governo inglese vuole schedare i bambini, in City, Milano,<br />

mercoledì 15 giugno 2005, p. 5.<br />

2. A scuola le pagelle danno i numeri<br />

Sono uno studente liceale di Pistoia promosso in seconda, voglio parlare della mia<br />

esperienza scolastica. Venerdì sono state esposte le schede complete di valutazioni, debiti e


crediti (nel pieno rispetto della privacy?). Io ho ricevuto alcuni voti non corrispondenti alle<br />

mie medie. Non cerco regali, ma chiedo che mi sia riconosciuto ciò che ho fatto con<br />

impegno costante. A volte viene da pensare che i voti vengano assegnati, direbbe Funari,<br />

come “si danno cifre al banco del lotto di Napoli, numeri che non sarebbero mai usciti”. In<br />

alcuni casi chi si aspettava un debito si è trovato sette.<br />

ANDREA GORI<br />

Chissà perché, ma nel caso di Andrea neppure per un momento mi ha sfiorato il dubbio<br />

ch‟egli possa aver adottato quella tattica giustificazionista e anche un po‟ ingenua che<br />

usavamo noi ragazzi di qualche tempo fa, secondo cui gli studenti sarebbero sempre<br />

incompresi e i professori sempre insensibili. Nelle sue parole mi pare di cogliere quel<br />

sentimento di angoscia per non essere stato capito e valutato per le cose buone mostrate a<br />

scuola. È proprio in quel vuoto di comunicazione, talvolta nel fastidio dei professori a voler<br />

approfondire una questione a loro giudizio banalmente chiusa, che si avvita uno dei grandi<br />

problemi che regolano i rapporti umani: essere considerati e valutati per quel che davvero si<br />

è e si vale. E a chi chiedere questo sforzo di comprensione se non a chi ha sulle spalle un<br />

certo tipo di responsabilità, si tratti del comando di un‟impresa o della figura, decisiva,<br />

dell‟insegnante? Troppe persone, ogni mattina, s‟incamminano verso il posto di lavoro con<br />

la malinconica convinzione d‟essere utilizzate peggio di quanto non possono valere: è<br />

troppo chiedere uno sforzo di considerazione?<br />

MICHELE FUSCO<br />

Lettere & opinioni, in Metro, Roma, martedì 21 giugno 2005, p. 13.<br />

3. I professori primi responsabili<br />

Nel 1995 mia figlia, che allora frequentava la seconda media, vinse un premio letterario con<br />

un tema su “La solitudine interiore” e dopo ave parlato di anziani, emarginati e<br />

videodipendenti, concluse con l‟osservazione che la prima vera solitudine interiore si sente a<br />

scuola perché sono per primi i professori a farla sentire addosso agli studenti. Vorrei<br />

rivolgermi a FF che si è gettato dal terrazzo per i suoi insuccessi a scuola: metticela tutta e<br />

cerca di guarire presto. Anche mia figlia, oggi laureanda con ottimi voti, ha sempre avuto<br />

debiti alle superiori. Non devi aver paura di una bocciatura, ma devi solo aver più coraggio a<br />

riprenderti la tua vita e i tuoi sogni a piene mani. Lo studio è un “lavoro” che devi portare a<br />

termine ma con i tuoi tempi e i tuoi interessi. Cari professori, siete i primi voi a creare queste<br />

disgrazie.<br />

TIZIANA FOSCA<br />

Lettere & opinioni, in Metro, Roma, giovedì 23 giugno 2005, p. 13.<br />

4. Nella rubrica di Gente, intitolata Le Domande della Settimana, curata da Stefania Limiti,<br />

rispondono ad un quesito (riportato nelle righe sottostanti) Marcello Veneziani (sì) e<br />

Giovanni Berlinguer (no).<br />

Evitiamo di trascrivere la replica di Berlinguer perché ci appare poco caustica:<br />

nell’assolvere le nostre coscienze – noi docenti – non abbiamo rivali.<br />

58


Chi era Hitler? «Mah, così su due piedi, non saprei ...». Un sondaggio tra studenti diciottenni<br />

lancia l‟ennesimo allarme: i giovani non conoscono il passato. La responsabilità è<br />

unicamente dei professori?<br />

MARCELLO VENEZIANI<br />

scrittore, giornalista<br />

Ma è solo colpa degli insegnanti<br />

se i giovani sanno così poco di storia?<br />

SÌ La scuola è una delle cause, però non l’unica<br />

Pur non essendo l‟unica, è chiaro che la scuola è la principale responsabile della debole<br />

preparazione dei nostri studenti. È vero, c‟è anche la famiglia, o la televisione e Internet, ma<br />

la scuola è il luogo deputato per eccellenza alla formazione. Individuo due principali<br />

problemi del nostro sistema scolastico. Secondo me, il carattere umano e professionale dei<br />

nostri insegnanti è scarso: so di dire una cosa che può irritare molti, ma penso che i<br />

professori italiani sono i peggio pagati e i peggio preparati, magari anche poco motivati,<br />

perché scelgono la scuola come ripiego, o come secondo lavoro. Altre volte sono buoni<br />

propagandisti ma pessimi educatori.<br />

In secondo luogo, scontiamo il fatto di aver inseguito il modello americano: per quanto<br />

dobbiamo ammirare i campus universitari degli States, non possiamo trasformare la scuola<br />

in una officina dove si insegnano i mestieri piuttosto che nel luogo della formazione umana<br />

culturale in senso ampio. Va bene l‟inglese e Internet ... ma, secondo me, ci stiamo troppo<br />

americanizzando.<br />

MARCELLO VENEZIANI, La scuola è una delle cause, però non l’unica, in Gente, Milano, 23 giugno 2005, n° 25,<br />

p.20.<br />

5. Il diciassettenne Pietro Giovani, autore d’un romanzo che affronta i temi dell’horror e dei<br />

riti satanici, in un’intervista a un giornale, così conclude:<br />

[...] la scuola ignora del tutto «il fenomeno del satanismo considerandolo una minaccia<br />

astratta. Gli unici argomenti di conversazione collettiva sono il fumo, il sesso, la droga,<br />

l‟alcol. Occasionalmente, quando c‟è stato il processo in Lombardia alle Bestie di Satana, la<br />

prof ha accennato all‟argomento». Ma come se fosse una minaccia astratta.<br />

DONATA BONOMETTI, «Le adolescenti amano horror e satanismo», in Il Secolo XIX, Genova, domenica 10<br />

luglio 2005, p. 7.<br />

6. Stralciamo alcuni passi pur distruggendo così l’articolo giornalistico.<br />

[...].<br />

Parrebbe quindi che il nostro sistema scolastico accusi una caduta di efficienza nell‟età<br />

compresa tra i 10 e i 15 anni, sostanzialmente tra la scuola media inferiore e i primi due anni<br />

di superiore.<br />

[...].<br />

59


Un altro dato che viene evidenziato dall‟indagine Pisa [Program for International Student<br />

Assesment] è che nei Paesi con i risultati migliori vi è una discreta variabilità all‟interno<br />

delle scuole e poca tra una scuola e l‟altra; il contrario avviene in Italia dove le scuole si<br />

distinguono per risultati marcatamente diversi: primi i licei (classico e scientifico) poi gli<br />

istituti tecnici, ultimi gli istituti professionali. Anche questo sembra un dato scontato nella<br />

percezione comune e le bozze di riforma [Moratti] non fanno che consolidare questa<br />

tendenza che già vede gli istituti professionali e tecnici farsi carico della parte maggiore di<br />

disagio e di problematicità presenti nel corpo sociale. Basta osservare che la presenza di<br />

studenti stranieri e del 1% nei licei, del 5% nei tecnici e del 12% negli istituti professionali<br />

per capire come si vengano a produrre certi risultati sul territorio; se prendessimo in<br />

considerazione l‟inserimento di alunni con handicap avremmo un dato del tutto analogo.<br />

La statistica ci dice anche che nei licei la percentuale di studenti in ritardo sul corso si aggira<br />

sul 6%, mentre supera il 30% negli istituti professionali, che si caratterizzano quindi spesso<br />

come scuole di ripiego nelle quali il successo scolastico è sempre più difficile.<br />

È evidente come tutto ciò sia incompatibile con una scuola di qualità che dia risultati degni<br />

del lavoro che viene svolto al suo interno.<br />

[...].<br />

BENEDETTO MONTANARI, La scuola si ammala a dieci anni, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 11 agosto 2005,<br />

p. 15.<br />

60


61<br />

L’ANELLO MANCANTE<br />

Genova. C‟è, a Genova, un‟opera di Phase II, già figlioccio artistico di Andy Warhol, Lui, che sulla<br />

carta d‟identità si chiama Michael Lawrence Marowx, americano di New York, è famoso in tutto il<br />

mondo per aver inventato l‟aerosol art; e per questo al MoMa della Grande Mela le sue produzioni<br />

sono in bella vista. Peccato che il suo lavoro genovese sia dimenticato da tempo tra mutande da<br />

pochi euro e sacchi della spazzatura, mimetizzato in ciò che resta di un sottopasso, quello di Via<br />

Cadorna tra la stazione Brignole e la monumentale piazza della Vittoria, che fece il giro d‟Italia per<br />

la sua inusitata bellezza.<br />

Detta così sembra una storia che affiora dal passato remoto. Succede. Così è capitato alla<br />

casa di Paganini: Genova l‟ha distrutta, oggi la rimpiange. Il dramma è che tutta la vicenda, in<br />

questo caso, si brucia in soli dieci anni. Perché Phase II è stato tra le decine di artisti attratti da quel<br />

fenomeno che portò la città della Lanterna alla ribalta nazionale. Era il 1995, il Comune inventò<br />

“ColoriAmo”, l‟arte di dipingere (a costo zero, grazie agli studenti del Paul Klee e del Barabino e a<br />

diversi sponsor) i sottopassi cittadini. Questo lavoro ottenne la visita dell‟allora ministro<br />

dell‟Istruzione, Giancarlo Lombardi, i ragazzi furono invitati dal presidente della Repubblica<br />

Scalfaro e salirono sulla ribalta televisiva di Maurizio Costanzo. L‟esperienza genovese fece scuola<br />

in tanti congressi, consacrando il capoluogo ligure “città dei sottopassi dipinti”.<br />

Tutto finito in un grande colpo di spugna. Restano graffiti volgari e anonimi sull‟opera<br />

d‟arte, schiacciata tra i venditori ambulanti con licenza e l‟ordinario degrado della metropoli. Quasi<br />

che il 2004, anno di “Genova città europea della cultura”, non fosse mai arrivato.<br />

Il figlioccio di Warhol era riuscito con lo spray colorato a trasformare in arte vera un<br />

costume urbano. I disegni di “ColoriAmo” avevano tenuto lontano i vandali per oltre un lustro. Ma<br />

alla lunga, «se non sono rinnovate e curate, anche le cose belle finiscono per morire», come osserva<br />

malinconicamente Piero Villa, l‟assessore che dieci anni fa lanciò l‟iniziativa. Era un fatto inusuale,<br />

tant‟è che la città intera applaudì. Tristemente, la normalità è tornata a casa. I genovesi passano e no<br />

ammirano Phase II. Controllano se per 3 euro quella mutandina sia conveniente o no.<br />

GIOVANNI MARI, C’era una volta l’arte dei sottopassi, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 27 agosto 2005, p. 1.


Phase II, 1996, Genova, sottopasso di Via Cadorna<br />

(Fotoservizio Welters: in Il Secolo XIX, Genova, sabato 27 agosto 2005, p.21).<br />

*** *** ***<br />

Sbranando e sfigurando un onesto articolo giornalistico, abbiamo trovato il modo d’esibirne qui<br />

due brandelli.<br />

[...].<br />

È allora che Milano si è persa, ha smarrito la via. Un dramma che Genova non conoscerà mai, visto<br />

che la sua ideologia punta sui tempi immobili della rendita.<br />

Questo smarrimento del senso, della direttrice di marcia, per una città che deve sempre “organizzare<br />

qualcosa” è ferita che non rimargina. Un grande dibattito pubblico (a fronte del silenzio felpato<br />

attorno all‟ipotetica visione genovese) che si traduce anche in saggistica. Libri-denuncia come<br />

sintomo di un malessere collettivo. [...].<br />

[...].<br />

Però Milano continua ad interrogarsi e discutere. Prende atto del declino. Cento chilometri più a<br />

sud, chi propone una franca discussione pubblica sulle prospettive cittadine (non propriamente<br />

rosee) viene bollato da disturbatore della quiete pubblica. Perché qui la discussione ferve – eccome<br />

– ma non fuoriesce dalle penombre della Cupola. Quindi, Milano democratica, come sempre in<br />

deficit di orientamento; Genova orientata al presidio degli equilibri vigenti, dunque refrattaria alla<br />

civica democrazia.<br />

PIERFRANCO PELLIZZETTI, Il declino della città: Milano si interroga, Genova no, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 8<br />

settembre 2005, p. 19.<br />

62


63<br />

FARFALLE METROPOLITANE<br />

1. Mercoledì 3 Agosto 2005, ore 16.30, Vico Stella. Sulla saracinesca abbassata della Galleria<br />

d’Arte Passo Blu 15 ho letto queste frasi, tracciate – m’è parso di capire – da mani diverse in<br />

momenti differenti:<br />

15 La Galleria si è attualmente trasferita in Spagna.<br />

APRI ... O NON APRI?! ... VIRUS<br />

BELIN, VERAMENTE !!!


2. Mercoledì 24 agosto 2005, ore 17.30 circa, passando, in Piazza Matteotti, accanto a due<br />

giovani seduti al tavolino del Caffè Capitan Baliano, 11r 16 sento uno dei due pronunciare<br />

queste parole tratte dal contesto di un discorso che non ho minimamente udito<br />

[...]. Lavorare è pregare. [...].<br />

3. Lunedì 12 settembre 2005, ore 17.30 circa, nel Bar Cicci di Campetto 1r ho visto, in bella<br />

mostra, un cartello con questa dicitura:<br />

PER COLPA<br />

DI QUALCUNO<br />

NON SI FA<br />

PIÙ CREDITO A NESSUNO.<br />

16 Situato all‟angolo dell‟Archivolto Baliano, da cui il bar prende il nome.<br />

La nobile famiglia genovese dei Baliano dimorava nella zona di Canneto il Lungo.<br />

Giambattista Baliano, vissuto nel XVIII sec, studioso di filosofia, medicina, fisica, astronomia, navigazione, ecc.,<br />

ricoperse per un certo periodo il grado di comandante della fortezza di Savona e fece parte, in seguito, dei 12 Padri del<br />

Senato della Repubblica di Genova.<br />

Le notizie storiche sono state desunte dal Dizionario delle Strade di Genova di Tomaso Pastorino, Genova, Tolozzi<br />

Editore, 1968, vol. I, p. 70.<br />

64


4. Giovedì 15 settembre 2005, ore 16.30 circa, Bar Capitan Baliano, mentre io (MF)<br />

sorseggio, in compagnia di Claudio Pozzani (CP), una spremuta, chiedo al commesso (Co):<br />

- MF – Perché il bar si chiama Capitan Baliano?<br />

- Co – Perché è vicino all’Archivolto Baliano.<br />

- MF – E perché Capitano?<br />

- Co – Sarà stato un pirata.<br />

- MF – Non credo sia la risposta giusta.<br />

- Co – Lo chiederò al mio capo.<br />

- MF – Ci conto.<br />

- Co – E qual è la risposta giusta?<br />

- MF – Non posso dirgliela.<br />

- CP – Per non condizionarla.<br />

- MF – Glielo chieda e si faccia trovare, non si dia alla macchia.<br />

- Co – [Sorride. Usciamo].<br />

65


66<br />

POSTA DI CANTARENA<br />

Da un’ex-alunna, ormai laureata già da qualche anno, ricevo – in fotocopia – una simpatica tirata<br />

d’orecchie; la riproduco qui sotto.


67<br />

SCHELETRI NELL’ARMADIO<br />

1 0 1 S T O R I E Z E N<br />

Oggigiorno si raccontano molte sciocchezze a proposito dei maestri e dei discepoli, e<br />

dell‟insegnamento che il maestro lascia in eredità agli allievi prediletti, autorizzati così a trasmettere<br />

la verità ai propri seguaci. Naturalmente lo Zen dovrebbe essere comunicato in questo modo, da<br />

cuore a cuore, e in passato avveniva proprio così. Regnavano il silenzio e l‟umiltà, non l‟asserzione<br />

e la dichiarazione. Chi riceveva un simile insegnamento teneva segreta la cosa persino dopo<br />

vent‟anni. Finché un altro, spinto dal proprio bisogno, non scopriva che era disponibile un vero<br />

maestro, nessuno sapeva che l‟insegnamento era stato impartito, e anche allora l‟occasione si<br />

presentava in modo del tutto naturale, e l‟insegnamento si faceva strada da sé. In nessun caso<br />

l‟insegnante avrebbe dichiarato: «Io sono il successore del tale». Questa asserzione avrebbe<br />

dimostrato proprio il contrario.<br />

101 storie Zen, Milano, Adelphi, 1973, p. 78.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!