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ELOGIO DELL'OLIVA E DEL SUO OLIO - Giacomo Bezzi

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Addirittura si ipotizzò che tali olii fossero prodotti chimicamente attraverso la distillazione di scarti<br />

della macellazione: cioè con grassi ed ossa che dovevano essere destinati, invece, alla<br />

saponificazione.<br />

Poi furono creati i Nas e di questi intrugli non se ne parlò più.<br />

Nel Sei-Settecento, però, l’olio prodotto dagli oliveti toscani era considerato un bene<br />

primario ed addirittura sottoposto ad una specie di ammasso obbligatorio.<br />

Ne sono viva testimonianza, nella Livorno della Nuova Venezia, i Bottini dell’Olio che<br />

altro non erano che magazzini granducali ove l’olio veniva immagazzinato in grandi orci di<br />

terracotta interrati al di sotto del piano carrabile per poi essere distribuito a seconda delle<br />

richieste del mercato.<br />

I Bottini dell’Olio avevano, insomma, la funzione che oggi hanno, in campo vinicolo, le<br />

cantine sociali, ma perdettero nell’Ottocento la loro funzione originaria: furono ridotti a<br />

depositi comunali di carbone e di legna e divennero addirittura ricettacolo di materiale<br />

bellico dei vari eserciti che occuparono Livorno alla fine della seconda guerra mondiale.<br />

Furono anche semidistrutti dai bombardamenti aerei alleati, come tutti gli altri edifici dei<br />

rioni della Livorno storica.<br />

Qualche decennio fa i Bottini dell’Olio sono stati amorevolmente restaurati<br />

dall’amministrazione comunale ed adibiti a sede di mostre e di altre iniziative culturali: ma<br />

vi fa bella mostra di sé un vecchio grande orcio interrato, a ricordo della prima<br />

destinazione di quel capannone, perché in effetti di un capannone si tratta.<br />

Il suo ingresso, però, per toglierlo dall’anonimato, è adornato da una lapide che, nel latino<br />

aulico del Settecento, ricorda un granduca che volle tali magazzini.<br />

A gli<br />

inizi del ‘900, quando sulle tavole dei ricchi borghesi cominciava ad apparire l’olio raffinato e<br />

leggero di Oneglia, nacque il primo - e, per quasi mezzo secolo, unico - esempio di patrocinio<br />

culturale (meglio del anglolatino sponsorizzazione: da sponsor, colui che celebra le nozze).<br />

La ditta Sasso, produttrice dell’Olio Sasso che esiste tuttora, fece nascere, come evoluzione letteraria<br />

di una pubblicazione legata alla promozione dei suoi prodotti, “La Riviera Ligure”, una rivista<br />

che divenne un veicolo assolutamente innovativo nella cultura del Novecento. Ne diede le direzione<br />

a Mario Novaro e, sia dal punto di vista grafico sia dal quello contenutistico, fu ambita lettura di<br />

chi di poesia e di prosa poetica a quell’epoca s’intendeva.<br />

Ospitò firme abbastanza note nel panorama del primo Novecento: da epigoni del Classicismo come<br />

Francesco Gerace, Giuseppe Lipparini, Giovanni Marradi (livornese) e Guido Mazzoni, fino a<br />

poeti che guardavano a Pascoli ed a D’Annunzio, come Luigi Orsini e Aurelio Ugolini.<br />

Senza aderire a particolari movimenti alla moda, Mario Novaro fece pubblicare sulla propria<br />

rivista anche scritti di giovani disponibili a nuove esperienze, come Bino Binazzi, Filippo De Pisis,<br />

Lionello Fiumi, Francesco Meriano, Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa. Altri<br />

collaboratori della rivista, invece, lasciarono un segno profondo nella cultura italiana del ‘900, ed<br />

erano: Dino Campana, Emilio Cecchi, Umberto Saba, Clemente Rebora, Ceccardo<br />

Roccatagliata Ceccardi, Camillo Sbarbaro e Giuseppe Ungaretti.<br />

Esiste tuttora il Fondo Mario Novaro e della Riviera Ligure che, insieme a materiali stampati e<br />

fotografie relativi all’attività imprenditoriale dei Sasso, comprende quattromila lettere autografe e<br />

manoscritti dai collaboratori di quella antica rivista. Fra di essi, oltre i citati più sopra, Giovanni<br />

Pascoli, Guido Gozzano, Francesco Pastonchi, Corrado Govoni, Marino Moretti, Giovanni<br />

Boine, Massimo Bontempelli, Ardengo Soffici, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Giovanni<br />

Papini, Salvatore Di <strong>Giacomo</strong>, Luigi Capuana, Aldo Palazzeschi e Piero Jahier.<br />

Al Fondo Novaro si sono aggiunte nel tempo numerose donazioni fatte da letterati ed uomini di<br />

cultura; tutta gente che non voleva disperdere testimonianze essenziali di un passato prossimo o<br />

recente, onde consentire la prosecuzione e lo sviluppo di particolari esigenze settoriali.<br />

Ecco cosa significava allora una sponsorizzazione culturale: ma erano anche i tempi di<br />

quell’enciclopedia popolare che furono le figurine Liebig.

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