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avanti dì - Memorie di Lunigiana

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MEMORIE DI LUNIGIANA<br />

<strong>di</strong><br />

ADRIANA G. HOLLETT<br />

3


Foto e <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> A. G. Hollett ©<br />

4


a mio marito Reginald<br />

che con<strong>di</strong>vide l’amore per la mia terra.<br />

5


<strong>Lunigiana</strong>, terra <strong>di</strong> luna...<br />

6


SULLE TRACCE DI MEMORIE PERDUTE<br />

Le storie <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> raccolte e raccontate da Adriana Giorgi<br />

Hollett, sono il frutto <strong>di</strong> una lunga e laboriosa indagine nei luoghi<br />

della memoria che costellano questa antica “zona <strong>di</strong> confine”,<br />

arroccata e chiusa tra Liguria e Toscana.<br />

L’idea <strong>di</strong> questo lavoro, svolto sul doppio registro della<br />

documentazione fotografica e della scrittura, è nato nell’ambito<br />

del corso <strong>di</strong> “Teoria e metodo dei mass-me<strong>di</strong>a” dell’Accademia <strong>di</strong><br />

Belle Arti <strong>di</strong> Carrara, nell’anno accademico 1994-95.<br />

Il tema monografico <strong>di</strong> quell’anno era infatti “Le forme visive<br />

del racconto”: come si può raccontare una storia attraverso una<br />

sequenza <strong>di</strong> immagini, nel cinema, nel video, nella fotografia sia<br />

documentaristica che artistica.<br />

Da questo tema Adriana Giorgi Hollett, iscritta al corso, ha<br />

ricavato lo spunto e una metodologia operativa per dare un corpo<br />

organico, visivo e letterario, alla sua passione per la terra <strong>di</strong><br />

<strong>Lunigiana</strong> e le sue storie. Non tanto le storie ufficiali, quelle che<br />

sono depositate nei documenti noti e celebrate nella memoria<br />

storica collettiva, quanto piuttosto le vicende in<strong>di</strong>viduali, donne<br />

soprattutto, che hanno vissuto all’ombra <strong>di</strong> un quoti<strong>di</strong>ano spesso<br />

doloroso, quando non ad<strong>di</strong>rittura tragico, segnato dalla fatica o<br />

7


dalla costrizione.<br />

L’autrice descrive con tono <strong>di</strong>screto e un linguaggio semplice<br />

l’umiltà silenziosa che accomuna creature <strong>di</strong> epoche <strong>di</strong>verse, <strong>di</strong><br />

nobile lignaggio o semplici conta<strong>di</strong>ni, facendo trapelare il mistero<br />

<strong>di</strong> anime, delle quali oggi non si trova neanche più una lapide,<br />

solo pochi, scarsissimi, in<strong>di</strong>zi nella trasmissione orale e che solo<br />

l’immaginazione può ormai riempire.<br />

Sullo sfondo, un paesaggio oscuro e <strong>di</strong>fficile, che non conosce<br />

la soavità delle colline toscane, la ricchezza dei vigneti e degli<br />

uliveti, il calore <strong>di</strong> quel sole e l’accessibilità <strong>di</strong> quel mare.<br />

Una terra i cui frutti sono conquistati con il sacrificio più duro<br />

e dove la miseria è compagna <strong>di</strong> strada.<br />

Il tempo stesso scorre attraverso i secoli consumando le tracce<br />

del passato ma lasciando immutata la durezza del vivere.<br />

Ne sono emblemi - accuratamente scelti dall’occhio fotografico<br />

dell’autrice - le austere fortificazioni, i palazzi e i vicoli <strong>di</strong> pietra,<br />

con gli archi bassi, le prospettive labirintiche, i contrasti taglienti<br />

tra luce e ombra.<br />

Questo percorso a ritroso sulle tracce <strong>di</strong> memorie perdute è<br />

allora un modo per evocare con le parole e le immagini quelle voci<br />

<strong>di</strong> cui è ancora pieno lo strano silenzio della terra <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>.<br />

ANDREA BALZOLA<br />

Docente <strong>di</strong> “Teoria e metodo dei Mass Me<strong>di</strong>a”<br />

all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Carrara<br />

8


...SE NOVELLA VERA<br />

DI VALDIMAGRA, O DI PARTE VICINA SAI,<br />

DILLA A ME, CHE GIÀ GRANDE LÀ ERA<br />

9<br />

DANTE - Purg. VIII


Cenni storici sulla <strong>Lunigiana</strong><br />

La <strong>Lunigiana</strong> è una regione<br />

storicamente situata attorno<br />

al bacino della Magra. Abitata<br />

fin dal paleolitico da popolazioni<br />

liguri-apuane, sentì dapprima<br />

l’influenza della civiltà etrusca fino al<br />

177 a.C., quando subì la colonizzazione<br />

romana e da Luni, caposaldo importante<br />

e centro principale, prese il nome. Alla<br />

caduta dell’impero romano passò sotto i bizantini e, unita alla<br />

parte orientale della Liguria, formò la Provincia maritima<br />

italorum.<br />

Cedette poi all’invasione longobarda e venne aggregata al<br />

Ducato <strong>di</strong> Lucca. Tale aggregazione si mantenne anche sotto la<br />

dominazione dei Franchi nell’or<strong>di</strong>namento della marca<br />

carolingia.<br />

Oberto I, entrato in possesso della marca orientale ligure,<br />

staccò la <strong>Lunigiana</strong> dalla Toscana (951) per unirla ai comitati <strong>di</strong><br />

Genova e Tortona. Quando i posse<strong>di</strong>menti Obertenghi si <strong>di</strong>visero<br />

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in quattro rami, Malaspina, Estensi, Pallavicini e Massa, la<br />

<strong>Lunigiana</strong> nel secolo XI <strong>di</strong>pese dai marchesi <strong>di</strong> Massa.<br />

Il dominio obertengo nella regione venne contrastato dai<br />

Vescovi <strong>di</strong> Luni che avevano già conseguito da Berengario (900),<br />

Ottone I (961), Ottone II (963), autorizzazioni sulle zone più<br />

ricche e popolose. Ai vescovi venne riconosciuto il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

coniare moneta e giuris<strong>di</strong>zione oltre che sulla <strong>Lunigiana</strong>,<br />

sull’appennino parmense, sulle valli del Frigido e del Serchio,<br />

sulle isole Capraia, Gorgona, Palmaria e Tino. Questi loro <strong>di</strong>ritti<br />

temporali, esercitati sin dall’inizio del secolo, furono sanciti<br />

ufficialmente nel 1185 da Federico I.<br />

A seguito <strong>di</strong> ciò, si acuirono i contrasti con i Malaspina,<br />

finchè nel 1288 il vescovo<br />

Gualtieri decise <strong>di</strong> spostare la<br />

propria sede a Sarzana e ai<br />

Malaspina venne riconosciuta<br />

larga influenza su tutta la<br />

<strong>Lunigiana</strong>. Nei secoli successivi,<br />

XIII e XIV, si aggravò la crisi<br />

dell’autorità politica dei vescovi e<br />

a trarne beneficio furono le<br />

numerose, seppur frazionate,<br />

signorie malaspiniane.<br />

Castruccio Castracani nel I322<br />

tentò, senza successo, <strong>di</strong> unificare<br />

la regione sotto un unico dominio politico, così pure Spinetta<br />

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Malaspina attorno al I334 , finchè nel secolo XV si definì una<br />

spartizione della <strong>Lunigiana</strong> tra i più forti stati confinanti: Milano<br />

asservì il pontremolese, Genova giunse fin oltre la Magra a<br />

Sarzana e Firenze ebbe Fivizzano, Bagnone e Castiglione del<br />

Terziero.<br />

Questa terra, pur essendo stata<br />

frazionata e associata a molteplici<br />

stati confinanti, conservò sempre<br />

una identità propria e in ogni<br />

borgo, in ogni paese rimasero usi e<br />

costumi pressochè identici. Questa<br />

terra verde <strong>di</strong> boschi come poche<br />

altre, costituita in maggior parte da<br />

zone collinari, si estendeva<br />

dall’appennino sino al mare.<br />

Durante la dominazione<br />

malaspiniana venne <strong>di</strong>visa, seguendo il corso della Magra, in<br />

Spino Secco alla sinistra e Spino Fiorito alla destra del fiume<br />

stesso.<br />

Sulle colline, sui dorsali selvosi, si creò un rosario <strong>di</strong> piccoli<br />

paesi e solitarie pievi. Sulle alture e sui valichi, oltre<br />

quattrocento tra castellari, torri e castelli sorsero a <strong>di</strong>fesa del<br />

piccolo territorio.<br />

Di loro più che le vecchie carte, risparmiate dal tempo,<br />

parlano ancora, con la voce dei secoli che li videro sorgere, le<br />

costruzioni turrite su cui è passata l’ombra della storia.<br />

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Dovunque, allo sbocco delle valli, alla confluenza dei fiumi o<br />

lungo antichi percorsi, si levano ancora con la fierezza della loro<br />

origine e del loro passato e col fascino delle leggende fiorite<br />

attorno ad essi.<br />

Molti <strong>di</strong> loro sono ormai scomparsi e <strong>di</strong> alcuni non restano<br />

più che informi rovine, altri, rimaneggiati ad abitazioni private,<br />

hanno perduto l’aspetto e la loro struttura antica; solo qualcuno<br />

conserva ancora la massiccia soli<strong>di</strong>tà del tempo lontano con le<br />

salde mura sostenute da barbacani o da speroni a sghembo a<br />

<strong>di</strong>fendere dall’alto le piccole umili case raggruppate ai suoi<br />

pie<strong>di</strong>.<br />

Solitarie torri mostrano i gravi danni del tempo e le belle case<br />

torri, i borghi dai portali scolpiti, le piccole maestà ai crocevia<br />

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delle mulattiere, oltre al degrado dovuto al tempo, mostrano<br />

spesso gli insulti dell’uomo. Le belle pietre squadrate, gli<br />

architravi modanati, i selciati<br />

intelligentemente ideati per il<br />

defluire delle acque sono stati, in<br />

alcuni luoghi, indecentemente<br />

ricoperti <strong>di</strong> cemento, così come gli<br />

intonaci colorati hanno fatto<br />

scomparire bellissime architetture<br />

<strong>di</strong> pietra.<br />

Il visitatore che percorre le<br />

strette strade <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, d<strong>avanti</strong><br />

a quelle vecchie pietre, segnate dai<br />

secoli, che conobbero storie <strong>di</strong><br />

terrore e <strong>di</strong> sangue, sogni <strong>di</strong> gloria e<br />

prevaricazioni, prepotenze e umiltà, fatiche e speranze, dolci<br />

episo<strong>di</strong> d’amore e poesia, si sente afferrare dal fascino delle<br />

memorie che risorgono dalla lontananza con la preziosità delle<br />

cose scomparse; ad ogni scorcio <strong>di</strong> panorama può trovare un<br />

piccolo agglomerato <strong>di</strong> case, ora sulla sommità della collina ora<br />

sulla sponda <strong>di</strong> un torrente; il primo mostra ancora<br />

orgogliosamente i ruderi <strong>di</strong> un mastio o <strong>di</strong> una torre, e più spesso<br />

quelli <strong>di</strong> un castello. L’edera avviluppa quelle antiche pietre, le<br />

oltraggia e le sorregge. Ovunque finestre, come orbite vuote,<br />

guardano il cielo attraverso i fitti rami dei rovi. Antichi cancelli,<br />

dove la mano dell’uomo ha creato opere irripetibili, sembrano<br />

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pendere esanimi dai car<strong>di</strong>ni. Dai portali fatiscenti questi può<br />

intravvedere giar<strong>di</strong>ni interni dove le palme svettano ancora tra<br />

l’intrico <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato del sottobosco che spesso ha cancellato<br />

anche i vialetti e ricoperto le fontane. Sparsi sul territorio gli<br />

or<strong>di</strong>ni monastici hanno lasciato<br />

nei secoli il loro segno: i Serviti,<br />

gli Agostiniani, le Clarisse: i loro<br />

conventi sono ancora ben<br />

evidenti anche se spesso,<br />

rimaneggiati a residenze private,<br />

sono in completo abbandono; nei<br />

chiostri interni gli uccelli<br />

ni<strong>di</strong>ficano tra le volte e le acque piovane cadono in rivoli dai<br />

coppi del tetto. Le alte finestre delle chiesette e delle pievi<br />

mostrano, dai piccoli vetri rotti, i soffitti voltati e spesso<br />

riammodernati con stili successivi.<br />

Mentre percorre la <strong>Lunigiana</strong>, attraversando borghi e resti <strong>di</strong><br />

ruderi, il visitatore è pervaso da una suggestione strana. Nel<br />

grande silenzio che regna ancora in questi piccoli paesi poco<br />

raggiungibili e spesso del tutto deserti, negli stretti vicoli, in ogni<br />

luogo dove l’occhio si posa può leggere i segni del tempo.<br />

Osservando i castelli, le ville o le piccole case, il viandante non<br />

può non avvertire la prepotenza dei primi, l’agiatezza nei<br />

giar<strong>di</strong>ni delle ville e la <strong>di</strong>sperata miseria nelle povere casupole.<br />

Ovunque può trovare portali, stemmi, testine apotropaiche a<br />

guar<strong>di</strong>a dei morti nei cimiteri, protomi d’angelo o <strong>di</strong> demoni sui<br />

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portali delle case posti a protezione dalle forze demoniache o dal<br />

malocchio, monogrammi <strong>di</strong> famiglie scomparse anche dal<br />

ricordo oltrechè dall’anagrafe, antichi stemmi aral<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> casati<br />

lombar<strong>di</strong> e fiorentini e molto più<br />

frequentemente il cartiglio INRJ a<br />

testimoniare la presenza <strong>di</strong> una<br />

canonica, o una croce anche se inusuale<br />

e strana.<br />

Tutt’attorno la campagna<br />

abbandonata mostra un intrico <strong>di</strong> alberi<br />

aggre<strong>di</strong>ti da liane rampicanti e piante<br />

parassite, mentre il fitto sottobosco<br />

impe<strong>di</strong>sce la vista e ancor più il<br />

passaggio dell’uomo. Chi si addentra<br />

in questo strano mondo incantato<br />

può ancora vedere il piccolo capriolo<br />

che fugge e poi si ferma per<br />

riguardare, così, come ai lati dei<br />

sentieri, la sera, si trovano cinghiali<br />

grufolanti, piccole volpi e grossi<br />

rospi. I rami adunchi dei rovi<br />

pendono sotto il carico delle more<br />

assieme a quelli della rosa canina e<br />

nei campi abbandonati vecchi alberi danno ancora qualche<br />

frutto. Ma trova la meraviglia della natura incontaminata nei<br />

fiori; specie quasi ovunque scomparse ammantano la <strong>Lunigiana</strong><br />

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in primavera: il croco azzurro che cerca <strong>di</strong> farsi strada tra le<br />

foglie secche e i ricci delle castagne, poi primule, violette,<br />

ciclamini e qualche piccola orchidea selvatica nei prati che<br />

ancora rosseggiano <strong>di</strong> papaveri.<br />

In questo contesto <strong>di</strong> luoghi, rimasti quasi inalterati, è stato<br />

ancora possibile rievocare, anche attraverso le immagini, le<br />

Genoveffa e Anselmo Santini<br />

vicende umane <strong>di</strong> un tempo.<br />

In quei borghi sulle alture,<br />

costruiti con architetture<br />

circolari e archi <strong>di</strong> contrasto<br />

allacciati quasi sempre al<br />

castello o alle fortificazioni e<br />

negli stretti passaggi rettilinei<br />

tra le case nelle cittadelle<br />

fortificate <strong>di</strong> pianura, nelle<br />

piccole aperture, <strong>di</strong>fese da<br />

poderose grate, dove oltre al<br />

nemico non potevano entrare<br />

nemmeno i raggi del sole,<br />

rivivono piccole storie<br />

quoti<strong>di</strong>ane, in un contesto <strong>di</strong> usanze e <strong>di</strong> avvenimenti che nulla<br />

hanno avuto a che fare con le mischie feroci tra turriti castelli e<br />

ferrei signori della <strong>Lunigiana</strong> feudale, <strong>di</strong> cui molti hanno parlato.<br />

In quelle povere <strong>di</strong>more sembrano prender forma le ombre <strong>di</strong><br />

umili creature vissute in un contesto <strong>di</strong> grande miseria, <strong>di</strong> dure<br />

fatiche quoti<strong>di</strong>ane, <strong>di</strong> dolore, <strong>di</strong> rassegnazione e spesso<br />

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<strong>di</strong>sperazione, che hanno segnato quell’epoca. Rivivono così la<br />

modestia <strong>di</strong> Luisita, la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> Erina, la <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong><br />

Margherita, la rassegnazione <strong>di</strong> Zefra, la saggezza <strong>di</strong> Paulo e<br />

l’umiltà <strong>di</strong> tanta povera gente ormai scomparsa, <strong>di</strong> cui non si<br />

ritrova alcuna traccia scritta e che trovo doveroso ricordare.<br />

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LUISITA<br />

Pia Caterina, detta Luisita, questo è il nome dell’ultima<br />

Mazzini, nasce in Liguria ma viene subito portata a<br />

Castiglione del Terziero nella casa degli avi paterni,<br />

sulla collina all’Annunziata, e lì trascorre l’infanzia. Nella prima<br />

giovinezza, accompagnata dai genitori, va a Firenze per<br />

frequentare l’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti, appena istituita,<br />

<strong>di</strong>stinguendosi subito per le sue doti <strong>di</strong> pittrice forte e gentile.<br />

Tutto ciò era da considerarsi <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole per una signorina <strong>di</strong><br />

buona famiglia che durante le lezioni avrebbe visto posare i<br />

modelli nu<strong>di</strong>, ma lei non parve scandalizzarsi più <strong>di</strong> tanto.<br />

Rientrata alla S.S. Annunziata, Pia Caterina, aveva aperto il<br />

suo stu<strong>di</strong>o sulla terrazza panoramica della casa e,<br />

quoti<strong>di</strong>anamente, aveva ritratto il mondo che la circondava.<br />

Nelle sue tele rivivevano i colori della <strong>Lunigiana</strong>: il verde cupo<br />

dei boschi, quello chiaro dei germogli, le foglie arrossate delle<br />

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vigne e quello argenteo degli ulivi, i suoi conta<strong>di</strong>ni al lavoro, “il<br />

ritorno dai campi”, “ l’i<strong>di</strong>llio autunnale ”, “ il primo frutto”.<br />

Ma era nei colori del cielo che la sua pittura si esaltava.<br />

I tramonti <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> hanno colori inusuali: l’azzurro si<br />

fonde col rosa e scolora nell’oro del sole quando lungo tutto il<br />

crinale degli Appennini, nel violazzurro delle vallate si stendono<br />

le prime ombre della sera.<br />

Aveva nella pittura un tocco forte, seppur delicato, come del<br />

resto era la sua stessa persona: una figura piccola e minuta, i<br />

capelli can<strong>di</strong><strong>di</strong>, raccolti morbidamente <strong>di</strong>etro la nuca come <strong>di</strong><br />

costume alle donne <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, incorniciano un volto non bello<br />

ma fine e severo, il sorriso accompagna una voce garbata.<br />

Prima e unica <strong>di</strong>chiarata “ Signora <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>” nell’anno<br />

1990, non porta mai gioielli e veste sempre abiti sobri.<br />

Amava molto la sua casa dalla quale si <strong>di</strong>staccava<br />

malvolentieri. Questa era stata ricavata dalla ristrutturazione<br />

dell’antico convento dei Serviti che giunti al Terziero con la<br />

dominazione fiorentina, rientrando a monte Senario avevano<br />

rivenduto i se<strong>di</strong>ci poderi e l‘intera proprietà al governatore del<br />

capitanato <strong>di</strong> giustizia Raffaello Mazzini, il quale, inviato dalla<br />

repubblica fiorentina, non volendo abitare il castello aveva<br />

creato nel convento una residenza considerata la più elegante e<br />

meglio arredata <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>.<br />

Da un doppio or<strong>di</strong>ne d’archi in pietra una scala portava al<br />

grande salone al centro del quale troneggiava un gran tavolo; un<br />

arma<strong>di</strong>o monumentale era collocato tra le due porte finestra che<br />

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davano sulla terrazza panoramica dalla quale si dominava il<br />

castello e la valle.<br />

Ai quattro lati del salone si aprivano le porte <strong>di</strong> accesso al<br />

salotto, alla sala da pranzo e alle altre stanze.<br />

Nel salotto le specchiere settecentesche illuminavano <strong>di</strong>vani e<br />

poltrone dalle coperture un poco consunte, così come i tendaggi<br />

apparivano molto sbia<strong>di</strong>ti.<br />

In una pregevole cornice cinquecentesca una Maddalena<br />

bambina sorrideva illuminata dalla luna.<br />

Le cucine, <strong>di</strong> cui una con un grande camino in cui si poteva<br />

entrare in pie<strong>di</strong>, erano molto ben attrezzate come si conviene ad<br />

una comunità quale era stata ed intelligentemente il nuovo<br />

proprietario non aveva voluto mo<strong>di</strong>ficare.<br />

I mobili della casa erano veramente ricchi e soprattutto le<br />

pareti erano interamente ricoperte <strong>di</strong> pregevoli quadri.<br />

La famiglia possedeva ricchi gioielli ma Pia Caterina non ebbe<br />

mai ad indossarli.<br />

La madre soleva acquistare abbigliamento e biancheria dai<br />

cataloghi delle case <strong>di</strong> moda per cui ogni anno veniva<br />

convenientemente informata dell’arrivo <strong>di</strong> nuovi modelli<br />

parigini dalle più rinomate sartorie, ma Pia Caterina, priva <strong>di</strong><br />

vanità e ricca <strong>di</strong> modestia, non se ne era mai curata.<br />

Il visitatore era con lei sempre a proprio agio; Pia Caterina<br />

sapeva ascoltare, consigliare, confortare. Aveva uno sguardo<br />

attento e intelligente e con gli anni aveva assunto pazienza e<br />

sopportazione.<br />

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Nella sua lontana giovinezza, Pia Caterina, aveva ceduto quasi<br />

passivamente al buon matrimonio, come era <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne. Il<br />

marito, me<strong>di</strong>co, <strong>di</strong> nobile famiglia genovese, proprietario <strong>di</strong> ville<br />

e posse<strong>di</strong>menti, l’aveva lasciata presto vedova con un figlio.<br />

Assennata e modesta, avrebbe conservato intatto per lui il<br />

patrimonio familiare e ne avrebbe fatto un me<strong>di</strong>co come lo erano<br />

stati prima <strong>di</strong> lui il padre e il nonno nella tra<strong>di</strong>zione della<br />

famiglia.<br />

Pia Caterina, nel lungo scorrere degli anni, aveva preso<br />

l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sedere in una poltrona del salotto e lì, come prima<br />

<strong>di</strong> lei la nonna e poi la madre, soleva restare assorta a lungo e<br />

con gli occhi chiusi. Di natura riservata non aveva mai rivelato<br />

quali fossero i suoi pensieri. Nella sua grande modestia non<br />

aveva raccontato mai delle splen<strong>di</strong>de bambole <strong>di</strong> porcellana<br />

possedute, delle sue vacanze al mare <strong>di</strong> bambina ricca, dei premi<br />

e riconoscimenti avuti per la sua pittura e tantomeno del “ felice<br />

notte signoria” che conta<strong>di</strong>ni e servitù le rivolgevano ogni sera.<br />

Accennava talvolta ai suoi amici scultori, ormai celebri e<br />

morti, ai suoi professori dell’Accademia che, ospiti alla<br />

S.S.Annunziata, avevano ritratto i suoi genitori. La sua passata<br />

esperienza <strong>di</strong> insegnante e preside era testimoniata dalle visite<br />

dei suoi ex allievi <strong>di</strong>venuti ormai uomini adulti e maturi.<br />

La generosità con la quale, in perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficili anche per lei,<br />

aveva provveduto ad un piatto <strong>di</strong> minestra per i poveri le era<br />

valsa stima e riconoscenza.<br />

Il suo pensiero, nel volger del tempo, era andato sempre più<br />

27


spesso ai suoi cari ormai tutti sepolti nella grande tomba <strong>di</strong><br />

famiglia; solamente il padre era stato inumato nella loro chiesa<br />

vicino all’acquasantiera e lì, ogni giorno, Pia Caterina Luisita,<br />

dopo aver pregato la sua Madonna miracolosa, era andata ad<br />

inginocchiarsi restando alcuni minuti in devoto colloquio filiale.<br />

Le stagioni si avvicendavano e con lo scorrere degli anni ella<br />

aveva smesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere; si avvicinava il suo compiersi del<br />

secolo nella quiete <strong>di</strong> quella casa ricca <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, arre<strong>di</strong> e<br />

modestia.<br />

Al tramonto, nei pomeriggi estivi, soleva sedere a lungo sulla<br />

terrazza panoramica a riguardare il tramonto del sole e mentre il<br />

suo sguardo spaziava sui dorsali appenninici, che scoloravano<br />

nel viola, esprimeva tutto l’amore per la sua terra chiedendo <strong>di</strong><br />

essere sepolta nel piccolo cimitero del paese accanto al fratellino<br />

morto un secolo prima.<br />

Luisita, oggi, non siede più sulla terrazza dove aveva atteso lo<br />

spegnersi del giorno e della sua vita, così come non esiste più il<br />

salotto un poco stinto e la poltrona nella quale soleva rimanere<br />

assorta nei suoi recon<strong>di</strong>ti pensieri.<br />

L’ombra della storia, scorrendo sotto le oscure volte dove si<br />

<strong>di</strong>ce che ancor oggi risuonino delle litanie dei Serviti, ha<br />

cancellato, una dopo l’altra, le figure delle creature che lì hanno<br />

vissuto.<br />

La grande casa e i poderi sono stati venduti e nuove storie si<br />

avvicenderanno dentro quelle antiche mura sulle quali la minuta<br />

e forte Luisita volle farvi affiggere la scritta “ casa Mazzini ” nel<br />

29


icordo devoto del padre che, inumato d<strong>avanti</strong> all’acquasantiera,<br />

nessuno mai potrà più <strong>di</strong>sseppellire.<br />

31


ERINA<br />

Il sole aggirava ormai la massiccia mole del castello sulla<br />

collina. Le bifore orlate <strong>di</strong> bianco risaltavano sul grigio<br />

scuro delle antiche pietre. Il piccolo cimitero, in basso, era<br />

ormai immerso nell’ombra. Il silenzio avvolgeva la campagna e i<br />

boschi lontani. Dall’arco, nei contrafforti, la stra<strong>di</strong>na <strong>di</strong> accesso<br />

al paese scendeva ripidamente a valle. In tempi ormai remoti,<br />

una donna, Erina, giunta sposa al paese, aveva risalito la ripida<br />

strada per raggiungere la sua nuova casa situata all’ombra del<br />

castello.<br />

Poco prima, passando d<strong>avanti</strong> alla chiesa della S.S.<br />

Annunziata, si era fermata un attimo a guardare, dalla piccola<br />

finestra munita <strong>di</strong> grata, la dolce immagine della Madonna<br />

miracolosa e un senso <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> serenità l’aveva pervasa. Aveva<br />

sussurrato una breve preghiera e, svelta, aveva seguito il marito<br />

verso la strada <strong>di</strong> casa. Erina, entrando per l’arco nell’ombra<br />

33


delle mura, aveva avvertito un certo senso <strong>di</strong> malessere nel<br />

sentirsi nascostamente osservata. Sapeva che <strong>di</strong>etro i vetri delle<br />

piccole finestre innumerevoli occhi stavano spiando incuriositi<br />

la sposa che veniva da fuori.<br />

Il suo promesso l’aveva raggiunta al paese dove il suo parroco<br />

li aveva uniti in matrimonio e dopo una modesta festa alla<br />

presenza <strong>di</strong> pochi amici, aveva seguito il suo uomo…<br />

A metà del vicolo si era trovata improvvisamente d<strong>avanti</strong> al<br />

portone <strong>di</strong> una bella casa, in pietra intonacata, con finestre<br />

regolari e stipiti scolpiti. Un ricco portale, anch’esso <strong>di</strong> pietra<br />

tagliata a punte <strong>di</strong> <strong>di</strong>amante, incorniciava un robusto portone <strong>di</strong><br />

legno.<br />

Gli architravi delle finestre erano in pietra scolpita. Una scala<br />

in ferro battuto portava alla grande sala del primo piano che era<br />

arredata con mobili soli<strong>di</strong> e luci<strong>di</strong>. Nella sua camera c’era un bel<br />

letto con incrostazioni <strong>di</strong> madreperla, due como<strong>di</strong>ni, un comò e<br />

un baule nel quale aveva riposto il corredo. Da questo aveva tolto<br />

il copriletto <strong>di</strong> picchè bianco e le lenzuola tessute a mano coi<br />

quali aveva subito preparato il suo letto nuziale.<br />

Nella sua nuova casa Erina non aveva trovato i famigliari del<br />

marito che erano morti da tempo e così la casa le era sembrata<br />

molto grande e vuota. Si era consolata pensando che una<br />

numerosa prole avrebbe riempito le molte stanze vuote. Ogni<br />

mattina aveva pulito la casa, preparato il desinare e rigovernato.<br />

Ogni domenica, al suono della campana della messa, Erina aveva<br />

portato in sacrestia gli ori per la chiesa e si era poi andata a<br />

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sedere nella panca della sua famiglia, mentre il marito<br />

raggiungeva gli uomini <strong>di</strong>etro l’altare. Finita la messa riprendeva<br />

calice, patena e pisside e li riportava a casa nel cassetto del comò<br />

assieme all’ostensorio e al resto dei paramenti.<br />

La sua nuova famiglia era tra le più abbienti del paese e, oltre<br />

a essere la proprietaria degli ori della parrocchia, era anche<br />

depositaria <strong>di</strong> un altro lasciato: “ il pane dei poveri ”. Questo<br />

significava che, da secoli, la famiglia doveva mettere fuori della<br />

porta <strong>di</strong> casa una cesta <strong>di</strong> pane per i poveri ed Erina, ogni<br />

settimana, aveva cotto il pane e l’aveva posto fuori dell’uscio <strong>di</strong><br />

casa.<br />

Ogni notte aveva giaciuto a fianco del suo sposo nel letto <strong>di</strong><br />

ferro e <strong>di</strong> madreperla, ma, con gli anni, aveva perso prima la<br />

speranza <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare madre e poi il marito.<br />

Erina era alta e sottile. I suoi capelli castani, quasi bion<strong>di</strong>,<br />

erano raccolti morbidamente <strong>di</strong>etro la nuca. La sua andatura era<br />

naturalmente elegante. Molto riservata, ma sorridente,<br />

rispondeva sottovoce e brevemente.<br />

I suoi occhi azzurri avevano un’espressione dolce e <strong>di</strong>gnitosa.<br />

I suoi abiti un pò lisi tra<strong>di</strong>vano una lontana raffinatezza.<br />

Nel paese le altre donne non l’avevano mai accettata perchè “<br />

era <strong>di</strong> fuori” e dopo la morte del marito, come del resto prima, la<br />

si vedeva uscire solo per andare nei campi o alla messa. Nessuno<br />

l’invitava in veglia o l’andava a trovare a casa. La solitu<strong>di</strong>ne<br />

l’attanagliava, ma Erina non cercava nessuno; viveva vestita <strong>di</strong><br />

nero e <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità.<br />

37


Dalla sua casa, <strong>di</strong>etro le finestre con le ten<strong>di</strong>ne ricamate, il<br />

suo sguardo spaziava sopra la catena dei monti lontani e quando<br />

arrivava alle cime rosate delle Apuane si soffermava a ricreare,<br />

<strong>di</strong>etro <strong>di</strong> esse, l’immagine della sua casa paterna. In quei<br />

momenti i ricor<strong>di</strong> la sommergevano, ma anche la sorreggevano:<br />

la chiesetta del suo paese, il profumo dell’incenso bruciato nel<br />

turibolo, le violaciocche sul muro dell’orto, la fiera del paese, il<br />

ballo sotto la pergola, le serenate, i canti dei giovani nelle notti<br />

d’estate, le prime gioie del cuore innamorato...<br />

La sua felicità <strong>di</strong> giovane sposa era ormai un ricordo lontano.<br />

Dentro quelle antiche mura, nell’ombra del castello, folate <strong>di</strong><br />

vento gelido le avevano spento il corpo e l’anima. La sera d<strong>avanti</strong><br />

al camino acceso guardava le fiamme che, danzando, creavano<br />

luci e ombre sulle pareti; silenziosi fantasmi testimoni della sua<br />

solitu<strong>di</strong>ne. Mentre le mani sgranavano la corona, le sue labbra,<br />

senza suono, recitavano il rosario.<br />

Questo, interrotto da nuove folate <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, veniva ripreso<br />

più volte, finchè, occhi e mente cedevano lentamente alla<br />

stanchezza ed Erina si assopiva. Il lume a olio sul camino<br />

spandeva una luce talmente fioca che spesso Erina lo accendeva<br />

solo per andare a letto.<br />

Uno scalpiccio <strong>di</strong> passi sull’acciottolato talvolta la risvegliava;<br />

era raro in quel paese quasi deserto sentire suoni <strong>di</strong> voci umane,<br />

ma mai Erina aveva ceduto alla tentazione <strong>di</strong> scostare le ten<strong>di</strong>ne<br />

od origliare poichè, educazione e <strong>di</strong>gnità erano state compagne<br />

alla solitu<strong>di</strong>ne della sua vita.<br />

39


Solo alla sua dolce amica, la Madonna miracolosa della<br />

S.S.Annunziata, Erina confidava sempre i suoi pensieri.<br />

Un tempo l’aveva lungamente pregata, Lei, miracolosa<br />

Madonna del Parto, affinchè le concedesse la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un<br />

figlio. Spesso, quasi ogni sera, tornando dal lavoro dei campi,<br />

Erina si fermava alla chiesa del convento, posava il carico sul<br />

muro della strada, si avvicinava alla finestrella e nella penombra<br />

cercava il dolce volto dell’immagine santa come il giorno in cui<br />

era giunta sposa e come allora si rinnovava in lei un senso <strong>di</strong><br />

protezione e <strong>di</strong> pace.<br />

Nella chiesa del paese andava per il dovere impostole quale<br />

custode degli ori, ma a quella della S.S. Annunziata si recava per<br />

trovare conforto alla sua tetra solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Quando un giorno aveva sentito che era giunta ormai l’ora<br />

della sua morte, Erina aveva rifatto il letto con cura, aveva steso<br />

il copriletto <strong>di</strong> picchè bianco tessuto a mano, ultimo ricordo<br />

tangibile della sua giovinezza, si era vestita con l’abito nero dei<br />

<strong>dì</strong> <strong>di</strong> festa, la corona tra le mani, si era stesa sul pavimento della<br />

cucina e invocando il nome della Dolce Amica si era coperto il<br />

volto con un fazzoletto.<br />

41


MARGHERITA<br />

In un passato molto antico le ombre della sera avevano già<br />

imbrunito Castiglione del Terziero e la ripida stra<strong>di</strong>na<br />

acciottolata che portava all’arco del paese. Lo stemma dei<br />

Malaspina dello ”Spino Fiorito” si intravvedeva appena quando<br />

Margherita, avvolta in un ampio mantello, era scesa dal carro e<br />

si era apprestata a salire al castello.<br />

Correva l’anno 1288 e Alberto, figlio <strong>di</strong> Obizzino marchese <strong>di</strong><br />

Filattiera, le aveva offerto asilo e protezione. Il lungo viaggio<br />

l’aveva stremata. Passando sotto l’arco <strong>di</strong> accesso al castello il suo<br />

sguardo si era posato sullo stemma gentilizio dei Malaspina; una<br />

rinnovata angoscia l’aveva riportata a quello della sua famiglia,<br />

la fiera aquila, che in quei giorni veniva scalpellinata e <strong>di</strong>strutta<br />

su ogni muro <strong>di</strong> Pisa mentre si spargeva sale sulle rovine della<br />

sua casa.<br />

Nella sua fuga, Margherita aveva trovato rifugio presso gli<br />

43


“Incappucciati dell’Assunta” al Duomo, e su quell’altare, grata,<br />

aveva deposto la preziosa collana d’oro e ambra, dono <strong>di</strong> nozze<br />

del marito; in seguito, non sentendosi più al sicuro in Pisa, aveva<br />

accettato la me<strong>di</strong>azione e l’ospitalità <strong>di</strong> Manfre<strong>di</strong>na, figlia <strong>di</strong><br />

Fiesca dei Fieschi e Alberto Malaspina, andata sposa a Bonduccio<br />

della Gherardesca, figlio spurio del suo Ugolino, presso i signori<br />

del Terziero in <strong>Lunigiana</strong>.<br />

Margherita era nata “dei Pannocchieschi”, nobile famiglia<br />

senese, e giovanissima era andata sposa a Ugolino della<br />

Gherardesca, conte <strong>di</strong> Donoratico, proprietario <strong>di</strong> vasti feu<strong>di</strong> in<br />

Maremma e in Sardegna.<br />

La sua bella casa, allineata sul Lungarno tra quelle dei<br />

Gambacorta e dei Lanfranchi, era stata presto allietata da<br />

numerosa figliolanza. Le sue figlie erano già tutte accasate e<br />

anzi, Gemma, moglie <strong>di</strong> Pietruccio da Lucca, si era offerta <strong>di</strong><br />

ospitarla nei posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Lucchesia, ma Margherita,<br />

istintivamente, <strong>di</strong>ffidando del genero, aveva rifiutato.<br />

Correva l’anno 1288; l’autunno cedeva posto all’inverno.<br />

Fredde folate <strong>di</strong> vento cominciavano a spazzare spalti e cortili del<br />

castello del Terziero.<br />

Margherita alzava gli occhi all’alta torre quadrata che<br />

sovrastava il maniero e l’immagine della Torre della Muda si<br />

sovrapponeva a questa.<br />

La torre dei Gualan<strong>di</strong>, chiamata anche della Muda perchè vi<br />

venivano rinchiuse le aquile del comune <strong>di</strong> Pisa al cambio delle<br />

penne, l’orrenda torre racchiudeva nel profondo delle sue<br />

45


segrete il marito, i suoi figli, i suoi nipoti.<br />

Avvolta dal vento e dall’angoscia aveva cercato <strong>di</strong> guardare,<br />

dagli spalti, oltre l’ampia vallata della Magra e, seminascosta<br />

ormai dalle brume invernali, a oriente, la catena degli<br />

Appennini, imbiancati dalla neve, <strong>di</strong>etro i quali si stendeva la<br />

piana con la sua città.<br />

Correva l’anno 1288; i giovani pisani, dopo quattro lunghi<br />

anni, erano rientrati dalle galere genovesi nelle quali erano stati<br />

rinchiusi dopo la battaglia della Meloria. Molti <strong>di</strong> loro non erano<br />

tornati, perchè, per la legge del contrappasso, quando i riscatti<br />

non venivano pagati, i prigionieri erano destinati a morire <strong>di</strong><br />

fame.<br />

Margherita sapeva; era stato il suo sposo, il conte Ugolino, ad<br />

accettare la sfida dei Genovesi alla Meloria, sicuro della vittoria,<br />

perchè il sei agosto era stato sempre un giorno fausto per i<br />

Pisani, ma quando si era reso conto della sicura <strong>di</strong>sfatta aveva<br />

riparato in porto facendo tirare la catena, per cui aveva lasciato<br />

fuori i genovesi sì ma anche “la miglior gioventù pisana”. E i suoi<br />

concitta<strong>di</strong>ni non avevano sicuramente <strong>di</strong>menticato.<br />

Il tempo scorreva lento e doloroso, l’inverno era ormai<br />

passato e poi la primavera e l’estate; da nove lunghi mesi i suoi<br />

cari giacevano nell’oscurità <strong>di</strong> una cella. Lei stessa, sra<strong>di</strong>cata<br />

dalla propria casa e dalle sue abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> signora, esule in terra<br />

straniera, era obbligata a men<strong>di</strong>care un tetto e il pane.<br />

La “gallina dalle uova d’oro”, <strong>di</strong> cui si parlerà nei secoli<br />

successivi, perchè una leggenda vuole che sia stata sepolta con<br />

47


lei, era nascosta tra le sue vesti.<br />

Ben sapeva Margherita che, se voleva aver salva la vita,<br />

doveva tener celata la propria identità. I suoi ospiti, Fiesca e<br />

Alberto Malaspina, avevano nascosto a tutti la sua presenza al<br />

castello per cui ella intuiva che, se fosse morta in quel luogo,<br />

nessuno mai avrebbe onorato la sua sepoltura senza nome.<br />

Un giorno era corsa voce che il suo Ugolino fosse stato<br />

imprigionato, quale tra<strong>di</strong>tore della patria, per aver ceduto a<br />

nemici confinanti alcune castella della repubblica pisana, ma<br />

Margherita avvertiva che il grande o<strong>di</strong>o dei concitta<strong>di</strong>ni verso la<br />

sua famiglia aveva ben altro motivo. Quell’o<strong>di</strong>o, covato per quasi<br />

un lustro, si era acuito in coloro che non avevano potuto<br />

riabbracciare, tra i reduci, i propri figli morti <strong>di</strong> fame nelle<br />

prigioni genovesi. Infatti, perchè imprigionare anche i figli e i<br />

nipoti, se l’unico responsabile del tra<strong>di</strong>mento era stato il conte<br />

Ugolino?<br />

Nel cuore, greve d’angoscia, <strong>di</strong> Margherita si affaccia un<br />

dubbio che invano cerca <strong>di</strong> scacciare. E il presentimento si fa<br />

certezza quando un messaggero arriva per riferire che la porta<br />

della segreta nella torre della Muda è stata inchiodata.<br />

“ Pisa vituperio delle genti...”. I suoi cari erano destinati a<br />

morire <strong>di</strong> fame!<br />

Mai nessuno potrà descrivere la <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> una madre<br />

che, impotente, segue la lenta agonia dei propri figli. I suoi figli,<br />

Gaddo e Uguccione, i suoi nipoti, Nino e il piccolo Anselmuccio e<br />

Ugolino...<br />

49


La sua figura, notte e giorno, senza posa, appariva e<br />

scompariva sugli spalti come un nero fantasma. Il suo corpo <strong>di</strong><br />

donna, ormai <strong>avanti</strong> negli anni, era del tutto scheletrico; i suoi<br />

lunghi capelli bion<strong>di</strong> solo un ricordo. Avvolta nel suo mantello e<br />

nel suo dolore, alla notizia che era giunto un emissario da Lucca,<br />

fidando in una notizia <strong>di</strong> conforto, Margherita corre a<br />

raggiungerlo nella grande sala del camino e cade trafitta da un<br />

ferro rovente per mano dello stesso Pietruccio da Lucca.<br />

Nessuna penna nel corso dei secoli ha speso una sola parola<br />

per lei, Margherita della Gherardesca, e del suo<br />

incommensurabile dolore <strong>di</strong> madre e <strong>di</strong> sposa.<br />

Nessuno mai, nella storia, <strong>di</strong>rà più della sua morte, della sua<br />

tomba.<br />

Il suo spirito angosciato aleggerà per sempre nello spazio e<br />

fuori del tempo a ricercar <strong>di</strong> sè e della sua ignorata sepoltura.<br />

51


MARIA<br />

Il pianto della bambina riempiva per molte ore al giorno il<br />

pianto.<br />

silenzio dell’aia. Forse aveva fame, forse freddo e quasi<br />

certamente entrambe le cose. Aveva pochi mesi e già tanto<br />

Le galline, in<strong>di</strong>fferenti, continuavano instancabili a razzolare<br />

sull’aia alla ricerca del cibo. Il gatto pigro e sonnacchioso<br />

seguiva con gli occhi gli insetti che gli passavano vicino.<br />

Le persone che passavano per il vicolo compiangevano la<br />

bambina ma tiravano oltre.<br />

Anche la madre, che ogni mattina doveva lasciarla sola nel<br />

grande letto, doveva ignorare quel pianto per andare a lavorare<br />

nei campi. Erano una famiglia <strong>di</strong> mezzadri e il loro dovere era<br />

custo<strong>di</strong>re accuratamente le terre che il padrone aveva loro<br />

assegnato, che se questi li avesse mandati via sarebbero finiti alla<br />

fame.<br />

53


In quel paese le tre uniche con<strong>di</strong>zioni sociali trascritte nei<br />

registri della parrocchia al battesimo erano: possidente,<br />

mezzadro e miserabile. I secon<strong>di</strong> lavoravano i campi dei primi e<br />

ne abitavano le case, gli ultimi non possedevano nulla e vivevano<br />

<strong>di</strong> elemosina.<br />

I mezzadri si alzavano <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per recarsi al lavoro nei<br />

campi e a mezz<strong>dì</strong>, al suono dell’Angelus, posavano gli attrezzi e<br />

si segnavano la fronte attendendo il cesto del desinare.<br />

Solo la madre correva a casa, prendeva la secchia per andare<br />

alla fonte ad attinger acqua e, con rassegnata tristezza, ascoltava,<br />

in lontananza, il pianto accorato della sua bambina, che, bagnata<br />

e infreddolita, reclamava il cibo.<br />

Stranamente le stagioni per i miseri si riducono solo a due:<br />

una brevissima e torrida estate e un lunghissimo e gelido<br />

inverno. Il freddo tra quelle povere case sembrava regnare<br />

perenne.<br />

La madre affannata spingeva l’uscio <strong>di</strong> casa, che rimaneva<br />

sempre aperto, si toglieva la secchia dal capo e correva ad<br />

allattare quella che sarebbe stata la sua unica figlia.<br />

Maria, questo era il nome della madre, aveva sposato un<br />

uomo vedovo con due figli, già cresciuti che, presto, se ne erano<br />

andati da casa.<br />

L’aspetto della donna era indefinibile, così pure l’età. Un viso<br />

senza bellezza e senza sorriso, i capelli, semmai avessero avuto<br />

un colore, non erano stati mai visti da alcuno, perchè sempre<br />

coperti da un fazzoletto un tempo nero. Il corpo appariva senza<br />

55


forme sotto un vestito scolorito e coperto in parte da un<br />

grembiule che le serviva sia per proteggere la sporgenza del<br />

ventre che per contenere le verdure che raccoglieva nei campi.<br />

Ai pie<strong>di</strong>, d’estate, calzava zoccoli <strong>di</strong> legno intagliati a mano<br />

dal marito e, quando faceva freddo, aggiungeva grosse calze fatte<br />

ai ferri con lana <strong>di</strong> pecora. D’inverno, nelle lunghe ore <strong>di</strong> veglia,<br />

sola accanto al fuoco, con la bambina che dormiva nella paniera,<br />

Maria filava la lana con la conocchia infilata nella cintura e<br />

quando il fuso era pieno raccoglieva la lana in un gomitolo per<br />

continuare la maglia.<br />

Quando il fuoco perdeva la fiamma e rimanevano solo<br />

tizzoni, Maria non vi aggiungeva più legna, prendeva la corona<br />

del rosario e la sgranava sino al rientro del marito dall’osteria.<br />

La legna non doveva essere sprecata, così pesante da<br />

trasportare dai campi sulla schiena, e spesso nascostamente.<br />

Il padrone arrivava sulle terre a sorvegliare il lavoro e il raccolto.<br />

Occorreva il suo benestare per tagliare una pianta e si doveva<br />

comunque <strong>di</strong>videre con lui ogni cosa. Al padrone andavano le<br />

primizie e la metà <strong>di</strong> ogni ricavato col buon peso.<br />

Durante la breve estate, alla fine <strong>di</strong> ogni giornata, la madre<br />

stava seduta sulla panca nell’aia a sgranare ceci, fagioli,<br />

granturco e la bimba le stava aggrappata alle gonne. Quando era<br />

stata in grado <strong>di</strong> reggersi da sola, la piccola, aveva cominciato a<br />

gattonare <strong>di</strong>etro ogni cosa che si muoveva sull’aia: un piccione,<br />

un cane o un gatto, spesso le lucertole.<br />

Aveva anche preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> mettersi in bocca ogni cosa<br />

57


che le fosse capitata tra le mani, per cui spesso aveva inghiottito<br />

foglie, incauti insetti e spesso i loro escrementi.<br />

Dopo alcuni anni, forse quattro e non più <strong>di</strong> cinque, la bimba,<br />

cessato il pianto, non era più uscita al sole sull’aia a giocare con<br />

gli animali o guardare i fiori, perchè la madre, prima <strong>di</strong> andare<br />

nei campi, accendeva il fuoco nel camino, attaccava il paiolo<br />

pieno d’acqua alla catena, la faceva sedere su un panchetto e le<br />

consegnava un cesto <strong>di</strong> verdure. Le piccole mani pelavano le<br />

patate, sgusciavano i fagioli, accu<strong>di</strong>vano al fuoco, per ore, finchè<br />

la minestra non era pronta.<br />

La bimba crebbe senza conoscere la spensieratezza<br />

dell’infanzia, ma la madre non ebbe mai ad accorgersene perchè<br />

lei stessa era passata dal latte alla fatica. Maria non aveva<br />

conosciuto l’amore e neppure la giovinezza perchè, presto, era<br />

stata accasata a un vecchio e una morte prematura le aveva<br />

impe<strong>di</strong>to poi <strong>di</strong> conoscere, seppure attraverso la figlia, la gioia e<br />

la felicità della vita.<br />

59


MADDALENA<br />

Maddalena era nata “dei Ventura”. La sua casa <strong>di</strong><br />

quattro piani, la più alta del paese, aveva spigoli<br />

perpen<strong>di</strong>colari e i muri alla base si allargavano,<br />

come <strong>di</strong>remmo ora, a scarpa. Due archi, sovrastando i due vicoli<br />

del crocevia, l’allacciavano uno alla casa <strong>di</strong> fronte e l’altro, <strong>di</strong><br />

lato, a un alto resede <strong>di</strong> terreno sovrastato da un’antica torre<br />

ormai quasi <strong>di</strong>strutta. Le finestre del primo piano erano protette<br />

da robuste inferriate e quelle dei piani superiori erano ingentilite<br />

da architravi scolpiti e ten<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> pizzo. Sui davanzali <strong>di</strong> pietra<br />

fiorivano gerani e negli angoli delle scale e sul pavimento <strong>di</strong><br />

mattoni rossi erano <strong>di</strong>sposti molti vasi <strong>di</strong> aspi<strong>di</strong>stra. Nel portone<br />

d’ingresso, chiodato, uno spioncino in ferro consentiva <strong>di</strong><br />

guardare nel vicolo. Suo padre era nato possidente e<br />

nell’infanzia era stato mandato per qualche anno a Firenze, dagli<br />

Scolopi nel loro collegio della Ba<strong>di</strong>a Fiesolana, ad imparare a<br />

61


leggere e far <strong>di</strong> conto e, dopo un adeguato matrimonio, passava<br />

la vita andando a caccia e sorvegliando i mezzadri nei campi.<br />

Sua madre, una donna piacente e <strong>di</strong> carattere assai remissivo, si<br />

era subito de<strong>di</strong>cata alla casa e, con l’aiuto <strong>di</strong> qualche fantesca,<br />

accu<strong>di</strong>va le figlie.<br />

Maddalena, la maggiore, aveva appena raccolto i capelli<br />

<strong>di</strong>etro la nuca come si conveniva alle giovinette, mentre le<br />

sorelle, piu piccole <strong>di</strong> lei, portavano ancora i capelli sulle spalle<br />

legati da un nastro colorato. Gli abiti smessi da Maddalena<br />

passavano regolarmente alle sorelle minori; solo quando si<br />

doveva andare a messa o al vespro si poteva indossare l’abito<br />

nuovo <strong>di</strong> velluto. La madre vestiva sempre <strong>di</strong> nero con un colletto<br />

<strong>di</strong> pizzo bianco e quando usciva <strong>di</strong> casa portava sempre con sè<br />

un bastoncino dal pomo d’argento.<br />

Durante il giorno, assieme alle sorelle minori Marianna e<br />

Margherita, Maddalena tesseva la tela <strong>di</strong> cotone per il corredo e<br />

quando la pezza era terminata si tagliava la biancheria che poi<br />

sarebbe stata ricamata dalle mani abili delle donne <strong>di</strong> casa.<br />

In famiglia veniva conservato un anello d’oro che doveva<br />

essere tramandato, <strong>di</strong> generazione in generazione, al<br />

primogenito maschio e Maddalena già sapeva che, mancando<br />

questi, l’anello sarebbe stato suo.<br />

Le tre sorelle non sapevano leggere nè scrivere, perchè la<br />

scuola nel paese sarebbe arrivata da lì a poco con l’Unità d’Italia<br />

e quel poco che avevano imparato dal padre era il saper fare la<br />

propria firma. Così negli anni avevano ignorato, e prima <strong>di</strong> loro i<br />

63


genitori e i nonni, un baule chiuso in soffitta pieno <strong>di</strong> libri<br />

rilegati in cuoio.<br />

Del resto, nella civiltà conta<strong>di</strong>na, l’interesse primario era<br />

sempre stato il possesso della terra. Con i terreni dati a<br />

mezzadria le cantine della casa erano sempre ben fornite: botti<br />

piene <strong>di</strong> vino, orci d’olio, scrigni <strong>di</strong> granaglie, formaggi e salumi<br />

appesi ai ganci e poi tanti sacchetti bianchi pieni <strong>di</strong> fichi secchi,<br />

<strong>di</strong> mandorle e nocciole.<br />

Per carnevale, dopo l’imbrunire, nel vicolo anulare del paese<br />

giravano i mascri e questi, quando ballando e cantando<br />

bussavano alla porta chiodata, ricevevano i frutti dei sacchetti<br />

bianchi. Gli stessi frutti erano regalati quando, legate le campane<br />

durante la settimana <strong>di</strong> passione, i ragazzi passavano per il paese<br />

agitando sgricciole <strong>di</strong> legno per segnare le ore.<br />

Maddalena e le altre donne, per tempo, seminavano il grano<br />

nei vasi, che, riposti in cantina al buio, avrebbero germogliato<br />

bianchi steli per adornare il Sepolcro e i bambini si recavano nei<br />

prati a raccogliere violette per decorare piccole croci devozionali<br />

da porre ai pie<strong>di</strong> dell’altare. Quando al sabato santo le campane<br />

suonavano a <strong>di</strong>stesa la resurrezione <strong>di</strong> Cristo, Maddalena e le<br />

sorelle andavano a lavarsi gli occhi.<br />

La sua famiglia, in una generazione precedente, avendo un<br />

avo abate <strong>di</strong> nome Bonaventura Peccini, aveva assunto l’obbligo<br />

<strong>di</strong> provvedere a uno dei sei altari laterali della chiesa e<br />

precisamente quello al quale <strong>di</strong>ceva messa l’abate, il primo a<br />

sinistra vicino al fonte battesimale. A tal scopo, il ricavato <strong>di</strong> un<br />

65


campo, detto poi da sempre il prato <strong>di</strong> S. Caterina, era stato<br />

devoluto al fabbisogno <strong>di</strong> cera e tovaglie per quell’altare.<br />

Una panca, allineata or<strong>di</strong>natamente tra le altre nella navata della<br />

chiesa, portava scolpito nel legno il cognome della sua famiglia e<br />

la domenica Maddalena, assieme alla madre e le sorelle, vi si<br />

andava a sedere.<br />

Solo in chiesa si potevano ritrovare i cognomi delle persone<br />

perchè per tutto il resto si apparteneva a precisi gruppi familiari<br />

con il relativo soprannome: quelli dei Ventura, dei Capitani,<br />

dell’Alfiere, dei Nibai... Solo a queste famiglie importanti era<br />

riservato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> far precedere il proprio corteo funebre<br />

dalla croce d’argento. Questi nomi, sussurrati sotto gli archi <strong>di</strong><br />

pietra del paese, parevano ancora far risorgere ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> antichi<br />

agguati, <strong>di</strong> armigeri, <strong>di</strong> soperchierie.<br />

Un giorno il padre <strong>di</strong> Maddalena venne indotto da tal Picciati<br />

<strong>di</strong> Licciana a giocare in borsa e ben presto, con operazioni<br />

sbagliate, si ridusse in miseria. Perduto l’intero parimonio,<br />

Maddalena lo aveva visto partire a pie<strong>di</strong> per la Corsica a fare la<br />

stagione delle olive per ritornare, dopo un mese, con una quareta<br />

<strong>di</strong> grano per paga.<br />

Perduta anche la sua bella casa, nei registri della chiesa venne<br />

scritto che “Maddalena, Marianna e Margherita erano emigrate<br />

nella piana <strong>di</strong> Molesana.”<br />

Il destino aveva riportato Maddalena, sposa, nel paese in cui<br />

era nata e con lei era ritornato l’anello, testimone, tutt’oggi<br />

tangibile, <strong>di</strong> questa antica storia. Maddalena non seppe mai che<br />

67


la sua casa natale era stata una casa-torre me<strong>di</strong>oevale, che,<br />

qualche secolo prima, il suo avo abate e poeta Bonaventura<br />

Peccini da Panicale, aveva scritto, in versi latini, quei libri<br />

d’coram, <strong>di</strong> cui rimangono copia <strong>di</strong> poche pagine al museo civico<br />

della Spezia, perchè dopo la ven<strong>di</strong>ta della casa erano stati<br />

bruciati sotto le mura del paese.<br />

69


ROMEO<br />

Il sole non raggiungeva mai la misera casupola ai pie<strong>di</strong><br />

della casa-torre. L’ombra regnava perenne tra le alte felci<br />

sotto gli alberi <strong>di</strong> noci. L’acqua del canale, scrosciando,<br />

rompeva un silenzio profumato <strong>di</strong> muschio.<br />

Dietro un uscio sconnesso, nell’unica stanza, in un angolo un<br />

focolare spento, in un altro un mucchio <strong>di</strong> foglie che serviva da<br />

giaciglio, viveva Romeo.<br />

Apparteneva costui alla categoria dei miserabili.<br />

Non possedeva casa nè campi, non aveva famiglia e gli unici suoi<br />

stracci li portava indosso.<br />

Nessuno conosceva la sua età, anzi, nessuno si era mai curato<br />

<strong>di</strong> saperla e forse nemmeno lui; l’avevano conosciuto sempre con<br />

la lunga barba bianca e i capelli incolti sulle spalle curve.<br />

Nella buona stagione compariva sull’uscio <strong>di</strong> buon’ora e si<br />

allontanava su per la mulattiera oltre il colle per raggiungere<br />

71


luoghi lontani; passava per borghi e pievi, <strong>di</strong> casa in casa, a<br />

men<strong>di</strong>care il pane.<br />

Il suo unico tesoro era un organetto, col mantice molto<br />

sciupato, che Romeo sapeva suonare. Nelle fiere <strong>di</strong> paese le sue<br />

allegre musichette gli fruttavano qualche soldo e più spesso un<br />

pò <strong>di</strong> cibo.<br />

Quando cominciavano a cadere le foglie, che i venti geli<strong>di</strong><br />

delle Alpi facevano turbinare lungo il vicolo, Romeo tornava al<br />

paese. Durante il giorno si sedeva a suonare seduto su uno<br />

scalino in un angolo riparato della piazzetta e subito il gruppo<br />

dei bambini gli si raccoglieva attorno. Egli amava molto quelle<br />

vivaci creature, quasi fossero figli suoi, e con gioia cominciava a<br />

raccontare dei suoi viaggi, <strong>di</strong> cavalieri <strong>di</strong>retti alla città santa<br />

sulla via francigena, del predominio del giglio rosso fiorentino<br />

sulla rosa celtica, <strong>di</strong> agguati <strong>di</strong> ladroni, <strong>di</strong> assalti <strong>di</strong> lupi...<br />

Le sue storie, sempre <strong>di</strong>verse, erano popolate <strong>di</strong> re, pellegrini,<br />

frati e principi; i bimbi attorno a lui, con gli occhi sgranati,<br />

vedevano passare principesse vestite <strong>di</strong> seta e soldati con le<br />

lunghe spade, carrozze dorate tirate da cavalli bianchi, brutti<br />

ceffi con la barba nera armati <strong>di</strong> pugnali.<br />

L’Angelus del mezzogiorno interrompeva il suo racconto e i<br />

bimbi correvano come ron<strong>di</strong>ni verso il desco vociando allegri; in<br />

un momento la piazzetta risuonava dello scalpiccio <strong>di</strong> tanti<br />

zoccoletti.<br />

Romeo rimaneva lì, solo, col suo organetto.<br />

Da lì a poco, ad uno ad uno, i bimbi ritornavano portando<br />

73


qualche frutto o una fetta <strong>di</strong> polenta per lui e ancora gli<br />

venivano sollecitate nuove storie; trascorreva così buona parte<br />

del giorno.<br />

Verso sera, il suono dell’Angelus pareva <strong>di</strong>verso, più triste. Gli<br />

armenti rientravano dal pascolo lentamente e in fila; i loro<br />

campanacci ritmavano i passi dei mezzadri che, con gli arnesi in<br />

collo, tornavano dai campi. Il profumo della solita minestra<br />

riempiva il vicolo. Mentre le donne scodellavano, gli uomini,<br />

volto lo sguardo al cielo per stimare il tempo del giorno dopo,<br />

chiudevano l’uscio sulla notte.<br />

Romeo non era mai <strong>di</strong>menticato. Un povero meno povero <strong>di</strong><br />

lui gli offriva un posto accanto al ciocco.<br />

Sotto la grada, sulla quale venivano messe la castagne a<br />

seccare, si radunava la famiglia che spartiva con lui il misero<br />

pasto. Al chiarore del fuoco si rimaneva seduti in veglia: si<br />

raccontavano gli avvenimenti del giorno, si facevano previsioni<br />

<strong>di</strong> semine e <strong>di</strong> raccolti. Alla luce dei tizzoni, il nero affumicato<br />

delle pareti pareva lucido e le fiamme danzando creavano<br />

immagini irreali. Le scintille balzavano vivide scoppiettando e il<br />

vento soffiava contro l’uscio facendo frusciare le foglie secche<br />

che creavano strani rumori.<br />

In quell’atmosfera un pò magica, le storie <strong>di</strong> Romeo si<br />

animavano <strong>di</strong> fantastiche creature che apparivano sui crocevia a<br />

mezzanotte, <strong>di</strong> segni lasciati sulla pietra da <strong>di</strong>avoli beffati, <strong>di</strong><br />

fuochi fatui che seguivano i viandanti nella notte. Il Buffardel<br />

era, tra i <strong>di</strong>avoli narrati, il più scherzoso perchè scombinava i<br />

75


calzini nei cassetti, intrigava le code alle vacche nella stalla,<br />

soffiava via la farina dalla ma<strong>di</strong>a, portava via i cappelli dalla<br />

testa e i panni stesi sul filo nell’orto.<br />

Durante il racconto i bambini si rannicchiavano in grembo<br />

alla madre, le donne filavano la lana o rammendavano.<br />

Quando il vecchio dalla lunga barba bianca vedeva che gli<br />

astanti cedevano al sonno, si alzava, si accomiatava e spariva<br />

nella notte.<br />

77


IL PRETE<br />

Quando scendendo per il vicolo rientrava in canonica<br />

il suo passo quasi non si avvertiva. Solo il frusciare<br />

della tonaca contro le gambe magre e nervose<br />

rivelava, alle orecchie sempre tese ai rumori della notte, il suo<br />

passaggio. Nell’interno delle casupole si u<strong>di</strong>va qualche pianto <strong>di</strong><br />

bimbo, l’acciottolare dei piatti, il miagolio del gatto.<br />

La notte calava presto in quel paesino sperduto pieno <strong>di</strong><br />

ombre e <strong>di</strong> volte così basse e oscure che anche <strong>di</strong> giorno il sole<br />

stentava a illuminarle. Le case, arroccate l’una all’altra, quasi<br />

più a <strong>di</strong>fesa dal freddo e dalla miseria che da antichi invasori,<br />

parevano vive ma anche morte per i miseri lumi che filtravano<br />

dalle finestrelle.<br />

Il freddo lo attanagliava, anzi, pareva crearlo lui stesso,<br />

mentre trascinava folate <strong>di</strong> vento con la sua tonaca. Rientrato in<br />

canonica, mentre consumava il suo pasto <strong>di</strong> pane e formaggio, il<br />

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suo sguardo frugava gli angoli bui e alla scarsa luce <strong>di</strong> una<br />

lampa<strong>di</strong>na, che fortunatamente lui aveva potuto permettersi da<br />

quando in paese era arrivata la corrente elettrica, ritrovava le<br />

solite crepe che, partendo dai travi del soffitto, solcavano le<br />

pareti come una fitta rete <strong>di</strong> rughe.<br />

Lontano, fuori dei vetri resi opachi dalla polvere, intravvedeva<br />

ancora il profilo delle colline e più lontano quello dei monti. Tra<br />

poco sarebbero apparse le stelle.<br />

Dopo aver lavato il piatto e la posata si era messo, come al<br />

solito, a leggere il breviario. Quando leggeva era sempre preso da<br />

irrequietezza. I suoi occhi spesso si spaiavano e <strong>di</strong>vergevano o al<br />

contrario convergevano, ma nessuno pareva farci caso. Anche al<br />

seminario quando lo avevano esaminato, non avevano dato gran<br />

peso a quello che tutti avevano definito un ticchio.<br />

Pareva ieri quando aveva visto per la prima volta il grande<br />

palazzo vescovile col grande giar<strong>di</strong>no, i cameroni col letto <strong>di</strong><br />

ferro dove, ogni sera, ciascun seminarista, dopo aver acceso il<br />

lume, doveva andare a posarlo sul proprio como<strong>di</strong>no nel<br />

dormitorio prima <strong>di</strong> andare a letto. Aveva accettato <strong>di</strong> fermarvisi<br />

per alleggerire la sua famiglia <strong>di</strong> una bocca da sfamare e perchè<br />

con la sua salute piuttosto cagionevole vedeva il sacrificio<br />

compensato da un avvenire migliore.<br />

Il suo pensiero andava spesso ai genitori lontani e ai suoi<br />

fratelli che non vedeva da tanto tempo. Sembrava invece vicino il<br />

giorno in cui era arrivato al paese.<br />

Il suo accento <strong>di</strong>alettale e il suo latino erano linguaggi<br />

81


incomprensibili a quella povera gente, cionostante era entrato in<br />

quella piccola comunità da rispettato protagonista.<br />

Ogni domenica per celebrare la messa indossava pianeta e<br />

stola <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi colori: rosso per i martiri, verde per i confessori<br />

della chiesa, viola per la settimana <strong>di</strong> passione, nero per i morti,<br />

bianco e oro per le solennità. Ritto sui gra<strong>di</strong>ni dell’altare, a<br />

braccia aperte o incrociate sul petto, si voltava, si inginocchiava,<br />

s’inchinava. I chierichetti spostavano il messale sull’altare ora a<br />

destra ora a sinistra, suonavano il campanello, porgevano<br />

bianche pezzuole. Gli ori rilucevano al lume delle candele e il<br />

profumo dell’incenso mitigava quello <strong>di</strong> sudore dei fedeli. Due<br />

cartelli appesi al muro <strong>di</strong>cevano a gran<strong>di</strong> lettere: “Silenzio” e<br />

“Non si sputa per terra”.<br />

Solo le funzioni religiose a quel tempo <strong>di</strong>stinguevano la<br />

domenica dai giorni feriali. Il sabato pomeriggio le campane<br />

davano i doppi chiocchi a festa e quello scampanio creava un<br />

senso <strong>di</strong> sollievo al pensiero <strong>di</strong> un giorno <strong>di</strong> riposo.<br />

Rimanevano però sempre impegni inderogabili; così il ragazzo<br />

<strong>di</strong> turno, all’alba suonava il corno per chiedere <strong>di</strong> aprire le stalle<br />

e far uscire le pecore che dovevano essere condotte al pascolo sul<br />

monte, gli uomini riparavano il tetto o le botti, le donne<br />

cuocevano un pane <strong>di</strong> grano, rammendavano sacchi e filavano la<br />

lana.<br />

In quel tempo era da considerarsi fortunato colui che<br />

possedeva una pecora nera. Questa doveva esser ben custo<strong>di</strong>ta<br />

perchè con la sua lana si potevano confezionare abiti da lutto.<br />

83


A quel tempo era usanza un mese <strong>di</strong> lutto per un parente, un<br />

anno per i genitori e tutta la vita al marito; <strong>di</strong> lutto in lutto, le<br />

donne finivano con l’esser sempre vestite <strong>di</strong> nero.<br />

Durante le lunghe ore della giornata, il prete soleva recarsi<br />

col suo breviario sul sagrato della chiesa. Questa era rivolta a sud<br />

e sorgeva su un alto muro quasi a strapiombo sui campi.<br />

Del resto, per tutto il paese, i muri delle case creavano un alto<br />

recinto interrotto solo da due archi per l’accesso o l’uscita.<br />

Su quell’altura lo sguardo spaziava, dall’Appennino alle Alpi,<br />

giù per i dorsali sino alla Magra. I castagni dai colori mutevoli<br />

con le stagioni, coprivano come un manto le colline a nord,<br />

mentre a levante, degradavano verso la piana gli argentei ulivi.<br />

Molto più lontano una chiostra <strong>di</strong> monti dalla vegetazione<br />

in<strong>di</strong>stinguibile chiudeva l’orizzonte.<br />

La mente del prete passava oltre quelle cime e volava verso<br />

terre lontane.<br />

Aveva spesso provato a desiderare per sè una vita <strong>di</strong>versa, una<br />

famiglia tutta sua, una donna, dei figli, il calore <strong>di</strong> un focolare.<br />

Lontano, in un luogo dove nessuno lo conosceva, il tempo,<br />

facendogli ricrescere i capelli, avrebbe cancellato la tonsura.<br />

Provava a immaginare la sua partenza anzi, la sua fuga, ma poi<br />

entrava in chiesa e l’immagine del Cristo Patiens sulla croce lo<br />

faceva vergognare dei suoi sogni.<br />

E così gli anni si erano susseguiti, tutti uguali, con la sola<br />

eccezione <strong>di</strong> qualche notizia dalla sua famiglia lontana.<br />

Nel paese i giovani, <strong>di</strong>ventati ormai vecchi, narravano ancora,<br />

85


in veglia, della loro partecipazione alla presa <strong>di</strong> Caporetto, del<br />

monte Grappa e del passaggio del Piave, quando un brutto giorno<br />

arrivò il postino con la cartolina <strong>di</strong> precetto per i giovani e<br />

quella <strong>di</strong> richiamo per gli adulti: era scoppiata una seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Divise straniere occuparono il paesino, <strong>di</strong>chiarato zona <strong>di</strong><br />

rastrellamento, e il prete fu il primo a essere rinchiuso in una<br />

stanza dalle finestre inchiodate.<br />

La miseria aveva ceduto allora il posto alla fame ed erano<br />

arrivati i Cavalieri dell’Apocalisse.<br />

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LA BAMBINA<br />

La bambina aveva rincorso il mercante che si<br />

allontanava con le pecore che il padre gli aveva<br />

appena venduto. Era sempre stata lei a condurle al<br />

pascolo e quin<strong>di</strong> andava a riven<strong>di</strong>care la sua ben<strong>di</strong>ga. La bimba<br />

non sapeva che il termine significava “Dio ti bene<strong>di</strong>ca”, ma felice<br />

intascava il cavrin, e poco le importava che il soldo avesse preso<br />

il nome dal conte <strong>di</strong> Cavour che ne aveva voluto il conio;<br />

conosceva invece il valore del”cavurino” che le avrebbe<br />

consentito <strong>di</strong> comprarsi alla fiera del paese un torroncino o una<br />

scatoletta <strong>di</strong> liquirizie.<br />

Per la festa del patrono, sulla piazzetta del paese e sul sagrato<br />

comparivano gli ambulanti con le loro bancarelle; i vecchi si<br />

compravano gli occhiali dopo averli ben provati, le donne un<br />

velo nuovo per coprirsi il capo in chiesa, gli uomini il lattonzo<br />

che, a loro parere, promettesse <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare bello grasso e infine i<br />

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ambini adocchiavano le stecche <strong>di</strong> zucchero colorate.<br />

Non esisteva una bancarella con le bambole e la bambina se<br />

ne era cucita una con degli stracci mentre pascolava il gregge.<br />

La mattina andava a scuola nella pluriclasse del paese e con<br />

vivo interesse e impegno aveva letto e imparato a memoria tutto<br />

quanto c’era scritto nel libro, ma, giunta alla fine della terza<br />

classe, solo ai suoi fratelli maschi era stato consentito <strong>di</strong><br />

frequentare la quarta e la quinta nel paese vicino; a lei, con<br />

grande rammarico, era toccato <strong>di</strong> seguire le sorelle maggiori nel<br />

lavoro dei campi.<br />

Era una bella bambina dai capelli neri inanellati, era operosa<br />

e intelligente, così, fin da piccola, le avevano accollato <strong>di</strong>verse<br />

responsabilità; tenere le vacche lontane dall’erba me<strong>di</strong>ca e dal<br />

trifoglio che, se lo avessero mangiato, si sarebbero gonfiate fino a<br />

scoppiare; fare attenzione alle pecore che, se una fosse caduta<br />

dal <strong>di</strong>rupo, le altre l’avrebbero seguita, riguardarsi dagli<br />

sconosciuti e vagabon<strong>di</strong> che poteva incontrare nei campi; portare<br />

a casa, la sera, legna per il fuoco e erba per i conigli.<br />

La sua giornata era ritmata dal suono delle campane e a<br />

queste faceva riferimento per alzarsi, mangiare e far ritorno a<br />

casa con il gregge.<br />

In <strong>Lunigiana</strong> le campane hanno sempre avuto un ruolo<br />

speciale nell’informazione per chi le sa capire.<br />

L’Angelus del mattino suona <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per la sveglia, a<br />

mezzogiorno la pausa per il desinare, quello della sera il ritorno<br />

dai campi. Il sabato annunciano coi doppi chiocchi a festa la<br />

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domenica e, prima <strong>di</strong> ogni messa, chiocchi e chiocchetti quando il<br />

prete sale i gra<strong>di</strong>ni dell’altare. Ci sono poi i rintocchi a morto,<br />

<strong>di</strong>versi da uomo a donna, l’allarme per una <strong>di</strong>sgrazia, e infine,<br />

usanza unica al mondo, lo scampanio a festa per la morte <strong>di</strong> un<br />

bambino. Povera consolazione per una madre che crede così <strong>di</strong><br />

aver partorito un angelo.<br />

E la bambina lo aveva visto, falciato dalla spagnola, un piccolo<br />

angelo uscire dalla sua casa per essere sepolto con gli altri<br />

bambini in un apposito angolo del cimitero.<br />

La bambina crescendo si faceva sempre più bella e i suoi<br />

coetanei l’invitavano al ballo e le facevano le serenate. I genitori<br />

avrebbero voluto accasarla con un proprietario terriero <strong>di</strong><br />

Cassiolana che l’aveva chiesta in sposa, ma la ragazzina fuggiva<br />

dalla porta dell’orto, quando questi arrivava, per non doverlo<br />

incontrare. Ella non avrebbe mai acconsentito a sposare un<br />

conta<strong>di</strong>no nè tantomeno vivere in un paese <strong>di</strong> campagna.<br />

Crescendo nel paese, aveva potuto sentire, poco a poco, quasi<br />

impalpabile, avvolgerla un malcelato o<strong>di</strong>o, forse dettato da<br />

antichi rancori familiari o <strong>di</strong> faida, perciò, per il motivo inverso<br />

a chi al paese era venuto da fuori, guardava alla cerchia dei<br />

monti con un desiderio, sempre nuovo e forte, <strong>di</strong> fuga.<br />

Nei giorni <strong>di</strong> festa, mentre la processione si snodava per la<br />

stra<strong>di</strong>na del paese, il suo sguardo era attratto dal gruppo <strong>di</strong><br />

uomini che anticipavano il baldacchino sotto il quale procedeva<br />

il prete con l’ostensorio levato in alto. Gli appartenenti alla<br />

confraternita del S.S. Sacramento, indossando una lunga cappa<br />

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ianca legata in vita con un gran cordone, la mantellina rossa<br />

sulle spalle, con gran<strong>di</strong> lanternoni accesi, aprivano il corteo.<br />

La brillantina faceva rilucere i loro capelli. Gli sguar<strong>di</strong> dei<br />

giovani incrociandosi portavano messaggi, ma lontano la<br />

portavano i suoi desideri e altrove ella volgeva gli occhi.<br />

Una mattina la ragazzina non aveva potuto alzarsi dal letto.<br />

Una febbre altissima le bruciava le guance. Il me<strong>di</strong>co non poteva<br />

essere chiamato perchè mancavano i sol<strong>di</strong>; solo nei casi gravi<br />

veniva chiamato il veterinario, che un animale valeva, per quella<br />

povera gente, più <strong>di</strong> un cristiano.<br />

Erano venute le esperte del paese che con la moneta d’argento<br />

segnavano la torta e la risipola e col bianco dell’uovo<br />

ingessavano le bende. Col chinino avevano calmato la febbre ma<br />

la ragazzina non si era ripresa...<br />

Ancora, dal suo letto, guardava verso quei monti che non<br />

aveva potuto valicare, sognava la città tanto desiderata, vista solo<br />

in cartolina, e il mare che qualcuno le aveva descritto grande e<br />

azzurro come un cielo.<br />

sposa.<br />

I suoi sogni rimasero con lei sotto un vestito bianco da piccola<br />

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LAURINA<br />

Sul terrazzino prospiciente la piazzetta, Laurina sedeva,<br />

come d’abitu<strong>di</strong>ne, in ogni pomeriggio della buona<br />

stagione e da lì osservava il viavai delle persone che<br />

animava il paese. Durante il giorno solo i ragazzini si<br />

rincorrevano sull’acciottolato, qualche gatto vagava annusando<br />

qua e là, i cani rimanevano sdraiati all’ombra del portico,<br />

qualche gallina uscita dal pollaio razzolava alla ricerca del<br />

chicco sfuggito dai sacchi.<br />

La passiflora sul muro <strong>di</strong> fronte era già fiorita; la sua corolla<br />

<strong>di</strong> petali bianchi circondava chio<strong>di</strong> e corona <strong>di</strong> spine, simboli<br />

della passione. Anche il melograno, simbolo <strong>di</strong> prosperità,<br />

mostrava i suoi fiori oltre il muro del castello. Una bena già<br />

carica <strong>di</strong> attrezzi, nell’angolo della piazza, stava per essere<br />

aggiogata. Lontano, dai campi , arrivava il canto del cuculo.<br />

Armida pensava che presto sarebbero arrivati gli stornellatori<br />

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a cantar maggio. Sul balconcino nei barattoli della conserva il<br />

basilico era già alto; sui gerani tutti in fiore ronzavano le api.<br />

Di fronte alla sua si ergeva una casa gentilizia. Sotto l’arco,<br />

un pilastro portava la data del 1114. L’incisione era stata fatta<br />

con cura e scavata arretrata sulla superficie della pietra per non<br />

consentirne l’usura alle intemperie.<br />

Una potente famiglia, in secoli precedenti era venuta a<br />

stabilirvisi. Dalle eleganti bifore, orlate <strong>di</strong> marmi, ogni tanto<br />

appariva un viso coronato <strong>di</strong> capelli bianchi raccolti <strong>di</strong>etro la<br />

nuca. La signora era venuta in sposa <strong>di</strong>versi anni ad<strong>di</strong>etro e ora,<br />

rimasta vedova, viveva in riserbo e <strong>di</strong>gnità.<br />

Anch’ella, come Armida, non aveva conosciuto la gioia della<br />

maternità.<br />

I bambini si rincorrevano ancora sulla piazza e già qualche<br />

donna appariva con la secchia appoggiata, sopra al renchingolo,<br />

sul capo per andare alla fontana ad attinger acqua per il<br />

desinare. Armida era contenta; lei era tornata ricca dall’America<br />

e poteva permettersi <strong>di</strong> restare comoda e riposata sul balcone,<br />

mentre una domestica provvedeva alla bisogna.<br />

Non che fosse del tutto felice, perchè la mancanza <strong>di</strong> figli<br />

metteva in crisi il suo matrimonio e la sua sterilità la faceva<br />

sentire una donna menomata.<br />

Spesso le venivano a raccontare che il marito era stato visto<br />

ora con questa, ora con un’altra donna e la gelosia la<br />

tormentava. Anzi, era la fedele domestica a provvedere <strong>di</strong> tenerla<br />

aggiornata sugli spostamenti quoti<strong>di</strong>ani del marito e delle sue<br />

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scappatelle.<br />

La sera, quando il marito tornava dal lavoro dei campi, sulla<br />

piazza risuonava l’eco dei loro alterchi e spesso le urla della<br />

donna stavano a testimoniare il dolore per le botte ricevute.<br />

Durante il giorno, stando al balcone, quando Armida vedeva<br />

passare le presunte rivali, le apostrofava con ira, e gli insulti e le<br />

urla riempivano l’aria.<br />

I litigi erano assai frequenti e nessuno ormai si meravigliava<br />

più <strong>di</strong> tanto.<br />

Un giorno la portatrice d’acqua, che non era sposata, aveva<br />

cominciato a incedere nella piazza con un’andatura chiaramente<br />

da donna incinta, anzi, quasi a esibizione della propria<br />

gravidanza, soleva passare più volte, senza motivo apparente,<br />

sotto il balconcino della padrona dalla quale aveva smesso <strong>di</strong><br />

lavorare.<br />

Armida, insospettita per le menzogne subite e per<br />

l’atteggiamento ormai del tutto strafottente della fantesca<br />

gravida, preso il binocolo che aveva portato dall’America, dal<br />

retro della casa, aveva cominciato a perlustrare il panorama e,<br />

spaziando nella valle, aveva visto una cosa che l’aveva resa certa<br />

della tresca e della ottenuta paternità del marito.<br />

Quando l’uomo era rientrato in casa il litigio era scoppiato<br />

violento come non mai. Le orecchie del paese si erano tese e<br />

occhi in<strong>di</strong>screti <strong>di</strong>etro gli infissi avevano spiato il balconcino.<br />

Sulla piazzetta, buia e deserta, si avvertiva l’incombere <strong>di</strong> un<br />

dramma. Come in una rappresentazione tragica le urla <strong>di</strong>sperate<br />

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della donna erano cessate <strong>di</strong> colpo quando si erano sentite<br />

fronare le molli.<br />

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ANNA MARIA<br />

Icancelli della tomba <strong>di</strong> famiglia, chiudendosi <strong>di</strong>etro ad<br />

Anna Maria, avevano concluso l’ultimo capitolo <strong>di</strong> una<br />

grande <strong>di</strong>nastia antica <strong>di</strong> cinquecento anni. L’oblò,<br />

colorato dallo stemma dei Me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, lasciava<br />

penetrare i raggi del sole che, durante il corso della giornata,<br />

scorrendo sulle lapi<strong>di</strong>, andavano ad illuminare, uno dopo l’altro,<br />

i volti dei componenti la nobile famiglia ormai riunita nel sonno<br />

della morte.<br />

Dal cimiterino sulla collina, volgendo il capo a occidente, si<br />

poteva vedere il castello che era stata la <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> questa<br />

<strong>di</strong>nastia ormai estinta.<br />

Il maniero, l’antichissima reggia degli Obertenghi, dopo il<br />

900 era passato al marchese Adalberto I <strong>di</strong> Toscana; nel 1000 da<br />

posse<strong>di</strong>mento estense a feudo dei Malaspina, finchè, sotto<br />

l’egemonia fiorentina, la rocca, rimaneggiata a palazzo signorile,<br />

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era stata scelta quale residenza dei Me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>. Nel<br />

salone del castello il frontespizio del grande camino recava<br />

ancora un’incisione: “ANNIBAL MEDICES 1540 FECIT”.<br />

Nel giar<strong>di</strong>no pensile, a nord del castello, si intravvedevano<br />

ancora i resti <strong>di</strong> un mastio gravemente degradato. Anche il<br />

palazzo appariva trascurato e del tutto deserto. Chiuse le<br />

imposte, niente fiori nei vasi della terrazza, non più il tubare dei<br />

bianchi piccioni o il latrare dei cani da guar<strong>di</strong>a. Solo nel trompe<br />

l’oeil <strong>di</strong>pinto sotto la gronda del tetto era rimasta visibile<br />

l’immagine <strong>di</strong> un gatto bianco sul davanzale <strong>di</strong> una finestra.<br />

La rosa tea che saliva dal giar<strong>di</strong>no al grande terrazzo non c’era<br />

più, così pure, da tempo, erano seccati il melograno, il nespolo, le<br />

due palme e la magnolia.<br />

vita.<br />

Il tempo e la morte avevano cancellato ormai ogni forma <strong>di</strong><br />

Rimaneva solo nel ricordo l’immagine <strong>di</strong> lei, Anna Maria,<br />

quando ancora bambina con le treccine legate dal fiocco, gli<br />

occhi vivaci ed un sorriso sempre allegro, scappava all’aperto<br />

dopo le lezioni che la famiglia le imponeva.<br />

Nel salotto rosso, durante quelle <strong>di</strong> pianoforte, dal ritratto a<br />

olio, la nonna marchesa vigilava austera sulla nipote che tentava<br />

ogni espe<strong>di</strong>ente per sfuggire alla maestra chiamata apposta per<br />

lei dalla città vicina.<br />

Anna Maria era nata secondogenita al fratello, che avrebbe<br />

ere<strong>di</strong>tato, come era sempre stato in uso nella sua famiglia, nome<br />

e proprietà.<br />

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La potente famiglia marchionale, ricca <strong>di</strong> vasti posse<strong>di</strong>menti<br />

terrieri, usava lasciare in<strong>di</strong>viso il patrimonio famigliare, per cui<br />

la bimba, crescendo, avrebbe <strong>di</strong>feso sicuramente i propri <strong>di</strong>ritti,<br />

rompendo la tra<strong>di</strong>zione, se una morte prematura non avesse<br />

falciato la giovane vita del fratello.<br />

Anna Maria non era particolarmente bella, ma certo sapeva<br />

essere gentile e simpatica. Il latino e la letteratura non le<br />

andavano molto a genio, ma da una nonna maestra e soprattutto<br />

dalla madre aveva ricevuto una buona educazione.<br />

Alla morte del primogenito la famiglia aveva cessato ogni<br />

rapporto col bel mondo che era usa frequentare, si era chiusa in<br />

un lutto inconsolabile e lentamente aveva cominciato a isolarsi.<br />

Solo lei, piccola e vivace, possedeva una gran voglia <strong>di</strong> vivere e<br />

trovava sempre ogni pretesto per correre dove si festeggiava. Alle<br />

sagre <strong>di</strong> paese, ai balli sotto la pergola o sulle aie la si poteva<br />

vedere allegramente confusa tra i suoi conta<strong>di</strong>ni.<br />

Molti furono i pretendenti alla sua mano: blasonati e plebei,<br />

ricchi e poveri, professori universitari e modesti ambulanti. Ella<br />

aveva sempre respinto ogni proposta e non si era mai capito cosa<br />

l’avesse indotta ad avviarsi ad una vita solitaria senza volersi<br />

costruire, come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, una famiglia.<br />

Rimaneva il ricordo del tichettio veloce <strong>di</strong> piccoli pie<strong>di</strong>, molto<br />

spesso modestamente calzati da zoccoli come solevano fare le<br />

donne del paese, nella penombra delle gran<strong>di</strong> stanze o nello<br />

scaleo mentre usciva sulla piazzetta del paese.<br />

Il suo paese. Non volle mai allontanarsene. Non ci furono<br />

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viaggi, crociere o altri luoghi che avessero potuto attrarla.<br />

Era stata una creatura semplice; modesta nel vivere e nel<br />

vestire e questo faceva sì che gente ignorante, usa ad esibire<br />

ricchezze e blasoni del tutto inesistenti, tentasse <strong>di</strong> sminuirla e<br />

soprattutto criticarla per le sue scelte.<br />

Con tutti si <strong>di</strong>mostrava socievole, ma sapeva anche imporsi su<br />

coloro che tentavano <strong>di</strong> mancarle <strong>di</strong> rispetto.<br />

Anna Maria rivelava la sua <strong>di</strong>scendenza marchionale,<br />

abituata al comando, quando, contrariata, nei suoi occhi neri<br />

accendeva uno sguardo duro e prepotente.<br />

Trascorso il tempo della giovinezza, nell’età matura, senza<br />

mai lagnarsi, dopo la morte del padre, aveva accu<strong>di</strong>to a lungo la<br />

madre con grande de<strong>di</strong>zione e rispetto.<br />

E i giorni erano scorsi; erano passati i mesi e gli anni nel<br />

castello silenzioso e ormai vuoto. Dalle cornici, i suoi avi<br />

continuavano a vegliare: la marchesa dallo sguardo altero, un<br />

generale in <strong>di</strong>visa carico <strong>di</strong> medaglie, il giovane fratello dallo<br />

sguardo dolce e sorridente.<br />

Nella camera nuziale dei suoi genitori delicate tende <strong>di</strong> tulle<br />

ricamato erano <strong>di</strong>ventate ogni giorno più fragili; gli stemmi<br />

scolpiti sui mobili sempre più coperti dalla polvere, gli orologi<br />

fermi, le pendole silenziose, gli arre<strong>di</strong> stinti.<br />

I gran<strong>di</strong> corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> lino ricamati, i gioielli <strong>di</strong> famiglia, le<br />

posaterie d’argento e le stoviglie d’epoca erano chiusi negli<br />

arma<strong>di</strong> e inutilizzati.<br />

Anna Maria ormai si accingeva a concludere l’ultimo capitolo<br />

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della storia della sua famiglia consapevole che non avendo figli<br />

propri e non ritenendo alcuno degno <strong>di</strong> assumere il suo antico<br />

nome, questo si sarebbe estinto.<br />

Della sua grande solitu<strong>di</strong>ne, nelle lunghe notti silenziose e<br />

forse anche paurose, nel vuoto castello, mai nulla aveva lasciato<br />

trapelare.<br />

Forse in gioventù qualche amante l’aveva raggiunta da uno<br />

dei tanti ingressi del palazzo, forse molti, oppure nessuno. Certo<br />

si era vociferato spesso <strong>di</strong> incontri amorosi notturni ma nessuno<br />

lo aveva potuto mai affermare con certezza.<br />

Forse nel piccolo nascon<strong>di</strong>glio, così impensabile da passare<br />

inosservato, sarebbero rimaste per sempre nascoste le sue cose<br />

più care, come i primi bigliettini del suo biondo amore dagli<br />

occhi azzurri, e forse alcuni tra i suoi più bei gioielli che in<br />

seguito non furono mai più ritrovati.<br />

Anna Maria aveva preso coscienza da tempo che ogni suo<br />

avere sarebbe andato <strong>di</strong>sperso e che per lei sarebbe bastato ormai<br />

l’ultimo posto nella tomba <strong>di</strong> famiglia, per cui, lentamente, aveva<br />

cominciato a <strong>di</strong>sinteressarsi delle sue proprietà. Passati gli anni<br />

degli amorosi sensi era vissuta sempre più innamorata della<br />

propria casa, del suo paese, dei suoi animali, quasi ignara dello<br />

stato <strong>di</strong> abbandono delle proprie cose e del grande nome che<br />

portava.<br />

Il tempo scorreva inesorabile mentre si protendeva verso <strong>di</strong><br />

lei il suo amaro destino.<br />

Nessuno capì lo stato d’animo dei suoi ultimi giorni perchè,<br />

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com’era suo costume, ella non aveva mai gridato apertamente al<br />

vento la <strong>di</strong>sperazione e il dolore che provava. Non potendo più<br />

<strong>di</strong>fendersi dall’inelluttabilita` del fato, aveva ceduto al male<br />

incurabile in un tormento <strong>di</strong> sentimenti.<br />

Quando infine la malattia l’aveva condotta alla morte e la sua<br />

salma era rientrata al castello, improvvisamente i suoi cani,<br />

quasi in segno <strong>di</strong> rispetto, avevano taciuto e quando ne era uscita<br />

per le esequie, latrando all’unisono affacciati al grande balcone,<br />

parvero salutarla per l’ultima volta.<br />

Anna Maria riposa ormai tra i suoi e i raggi del sole, nel<br />

volger del giorno, scorrono sugli antichi ritratti come seguendo l’<br />

or<strong>di</strong>ne del tempo, sin quando al tramonto sfiorando il viso <strong>di</strong> lei,<br />

l’ultima della grande famiglia, si spengono <strong>di</strong>etro i monti.<br />

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LA SERVA<br />

Stava seduta su una se<strong>di</strong>a e alla luce <strong>di</strong> una lampada<br />

cercava <strong>di</strong> specchiarsi nei vetri della finestra che,<br />

chiusa sul buio della notte, le rimandava l’immagine <strong>di</strong><br />

una brutta vecchia grassa. Aveva tirato una lunga boccata <strong>di</strong> vino<br />

dalla bottiglia e aveva considerato che finalmente avrebbe potuto<br />

adornarsi dei gioielli che, sino a pochi giorni prima, poteva solo<br />

guardare, e da lontano.<br />

Era andata a prendere la scatola che la famiglia costu<strong>di</strong>va<br />

<strong>di</strong>etro l’antica cassapanca nel salone in un buco del muro.<br />

L’aveva aperta e per un poco era rimasta in soggezione d<strong>avanti</strong><br />

alle gioie che brillavano nei loro castoni, poi con circospezione e<br />

avi<strong>di</strong>tà, vi aveva affondato le mani e aveva cominciato a provarsi<br />

le parures: zaffiri, rubini, <strong>di</strong>amanti…<br />

Erano suoi! Certo avrebbe dovuto <strong>di</strong>viderli, ma ben sapeva<br />

che da sola non sarebbe mai riuscita ad impossessarsene, così<br />

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aveva accettato l’aiuto <strong>di</strong> un complice che era riuscito a<br />

completare il raggiro del padrone ormai defunto.<br />

Nella notte attorno a lei nella grande casa si sentiva solo lo<br />

scan<strong>di</strong>re delle ore dal pendolo nell’anticamera. Attraverso i vetri<br />

solo l’oscurità della notte e un gran silenzio. Aveva continuato a<br />

infilarsi gli anelli tenendo le mani <strong>di</strong>scoste per meglio ammirarli<br />

e intanto non aveva potuto fare a meno <strong>di</strong> constatare come le sue<br />

<strong>di</strong>ta fossero rovinate. Povere mani sformate dai troppi bucati<br />

nell’acqua fredda, mani use alla scopa, alla vanga, ai rovi. I<br />

geloni avevano lasciato il segno; comparivano a novembre e<br />

andavano via con l’acqua <strong>di</strong> maggio. Mani che avevano sempre<br />

lavorato; piccole mani che lavavano i piatti nella grande casa<br />

dove la sua famiglia l’aveva mandata per serva a pochi anni;<br />

piccole mani che pulivano i tanti pavimenti e i molti camini,<br />

mani che erano cresciute svuotando i vasi da notte e i secchielli<br />

dei lavamani delle camere da letto.<br />

Mentre le donne della grande casa restavano a poltrire nei<br />

cal<strong>di</strong> letti dai materassi <strong>di</strong> lana, lei aveva dovuto riposare le<br />

poche ore su fred<strong>di</strong> giacigli <strong>di</strong> crine; crescendo con poco cibo e<br />

niente affetto, aveva covato anche una certa invi<strong>di</strong>a verso i<br />

padroni e rabbia per la sua cattiva sorte.<br />

A lei si rivolgevano sempre con arroganza, le erano state<br />

addossate colpe che non aveva, e talvolta aveva ricevuto anche<br />

delle botte dalle signore <strong>di</strong> casa.<br />

Erano trascorsi gli anni e lei si era ritrovata da adulta a<br />

vecchia. Aveva continuato a vivere nella grande casa, perchè così<br />

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aveva voluto il suo destino, il destino delle serve che muoiono<br />

nella casa dove hanno servito.<br />

A poco a poco i visi austeri che la controllavano mentre<br />

svolgeva il suo umile lavoro avevano finito con l’osservarla solo<br />

dalle cornici appese ai muri. Erano facce sempre molto serie,<br />

talvolta <strong>di</strong>gnitose, ma con sguar<strong>di</strong> autoritari.<br />

Con piacere si era indotta a pensare che, per sua fortuna, i<br />

suoi padroni erano ormai tutti morti. Uno ad uno se ne erano<br />

andati dopo essere stati deposti nella bara ed esposti nel salone<br />

all’omaggio dei notabili del circondario e del piccolo volgo.<br />

Questa era l’usanza e dal grande salone, durante la veglia<br />

funebre, nella notte, si sentivano recitare rosari e giaculatorie<br />

dalle persone che vegliavano accanto al catafalco; gli specchi del<br />

palazzo venivano velati, gli orologi fermati, le finestre socchiuse,<br />

la porta d’ingresso spalancata alle visite <strong>di</strong> circostanza.<br />

La serva era rimasta sola nella grande casa: il portone chiuso<br />

e la bottiglia tra le mani ingioiellate per ubriacarsi in pace. I suoi<br />

padroni se ne erano andati, uno ad uno, ma lei era sopravvissuta.<br />

Così aveva pensato mentre aveva portato la bottiglia alla bocca e<br />

continuato a tracannare quel vino che da sempre le era stato<br />

misurato; anzi a lei era toccato solo il vino <strong>di</strong> botte e mai quel<br />

buon spumante e biondo vermentino riservato ai padroni e ai<br />

loro ospiti. Ora le bottiglie nere con lo stemma della famiglia<br />

fuso nel vetro sarebbero state tutte sue. Aveva già cominciato a<br />

vuotarle; infatti, non riuscendo più a specchiarsi <strong>di</strong>stintamente<br />

nei vetri della finestra, aveva cominciato ad osservare con<br />

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attenzione, ora che era sua, la grande casa e solo ora aveva<br />

notato come stesse per cadere a pezzi grazie all’incuria dei suoi<br />

proprietari che l’avevano sempre trascurata.<br />

Di padre in figlio mai nessuno aveva riparato il tetto,<br />

sostituito un vetro alle finestre, imbiancato una stanza.<br />

Tutti sapevano che la grande famiglia si sarebbe estinta,<br />

anche i suoi padroni, e forse era stato per questo che avevano<br />

cominciato a <strong>di</strong>sinteressarsi <strong>di</strong> ogni proprietà.<br />

I detti dei vecchi trovano sempre puntualmente riscontro e <strong>di</strong><br />

quel casato si era sempre detto che non sarebbe scampato alla<br />

malasorte. Un loro antenato, sconsacrando una chiesa, aveva<br />

avviato la male<strong>di</strong>zione sulla famiglia che da quel momento aveva<br />

cominciato a estirparsi con tragici lutti.<br />

Lei l’aveva constatato, e, mentre beveva, aveva continuato a<br />

rimirarsi riflessa nei vetri provando coralli e granati.<br />

Ormai erano suoi e così pure i bei mobili che aveva spolverato<br />

da sempre sotto gli occhi superbi delle nobildonne. I gioielli che<br />

ora aveva in mano, in altri tempi, li aveva visti da vicino<br />

solamente quando andava a servire le signore a tavola durante i<br />

pranzi <strong>di</strong> circostanza; a lei non era stato mai consentito toccarli e<br />

nemmeno le era dato sapere dove venivano riposti.<br />

E quanto al cibo, ricordava molto bene come ospiti e padroni<br />

si rimpinzassero e per lei spesso non rimanesse nulla o le venisse<br />

concesso <strong>di</strong> mangiare un uovo.<br />

Certamente nella sua famiglia <strong>di</strong> origine non stavano meglio;<br />

si raccontava <strong>di</strong> un suo fratellino <strong>di</strong> tre anni che, nudo su un<br />

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albero <strong>di</strong> fichi, per potersi sfamare, ne mangiava con tutta la<br />

buccia, maturi e acerbi, fin dove arrivava a raccoglierli.<br />

Con gli anni le era stato concesso, dopo aver servito i<br />

commensali, <strong>di</strong> sedere a tavola, un pò in <strong>di</strong>sparte, e questa le era<br />

parsa una conquista sociale.<br />

La pendola in anticamera aveva continuato a scan<strong>di</strong>re il<br />

tempo e lei a bere.<br />

Il lugubre verso della ciuetta l’aveva riscossa e le aveva<br />

snebbiato un poco la mente riportandola alla realtà.<br />

L’uccello del malaugurio si avvicinava sempre attratto<br />

dall’odore <strong>di</strong> morte. Questa volta era venuto per il suo padrone,<br />

l’ultimo della grande famiglia, che, <strong>di</strong>sgraziatamente per lui,<br />

gravemente malato, era stato da lei obbligato a lasciarla erede <strong>di</strong><br />

ogni suo bene. Da quel momento, serva ormai padrona, aveva<br />

potuto infierire su <strong>di</strong> lui con ogni tipo <strong>di</strong> umiliazione e per<br />

ultima grave ingiuria, nel grande palazzo, niente catafalco nel<br />

salone, nè visite o veglia funebre; la povera salma era stata<br />

collocata al buio in una stanza chiusa a chiave in attesa della<br />

sepoltura.<br />

Il verso della ciuetta si era fatto più <strong>di</strong>stinto e il silenzio nella<br />

casa era parso ancor più profondo. Ora la serva aveva<br />

cominciato a sentire, oltre al tichettio del pendolo in anticamera,<br />

un lieve frusciare sullo scaleo che portava in giar<strong>di</strong>no.<br />

Ripensando a quanti avevano assicurato che in passato molti<br />

membri della famglia si fossero rivisti in castello e nel salone<br />

accanto al camino, cominciò ora anche lei a vedere le ombre<br />

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degli antichi defunti sfilarle d<strong>avanti</strong> agli occhi, come in una lenta<br />

processione, per recarsi a vegliare, con l’orgoglio e la <strong>di</strong>gnità del<br />

casato, l’ultimo dei loro congiunti.<br />

Nessuno <strong>di</strong> loro l’aveva degnata.<br />

In un crescendo <strong>di</strong> sensazioni e terrore per quel che le era<br />

apparso, la serva aveva capito che, da quel momento, assieme<br />

alle ricchezze, la male<strong>di</strong>zione della famiglia era passata su <strong>di</strong> lei.<br />

Per chi aveva usurpato quei beni non ci sarebbero mai stati<br />

<strong>di</strong>scendenti.<br />

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L’INFAME<br />

Una calura insopportabile avvolgeva il paese che<br />

pareva intorpi<strong>di</strong>to. Mentre i conta<strong>di</strong>ni nei campi si<br />

concedevano una breve sosta prima <strong>di</strong> riprendere il<br />

lavoro, le poche persone che erano rimaste in paese cercavano<br />

un pò <strong>di</strong> refrigerio nell’ombra degli an<strong>di</strong>ti o sotto le volte del<br />

vicolo. I gatti sonnecchiavano all’ombra, i cani si mordevano le<br />

pulci. Solo i bambini, incuranti del caldo, si rincorrevano<br />

vociando sulla piazzetta del paese. Le loro grida festose<br />

ricordavano quelle delle ron<strong>di</strong>ni, quando in primavera,<br />

tornavano ai vecchi ni<strong>di</strong> sotto la gronda del tetto del castello.<br />

Il portale della chiesa era aperto; in fondo, a fianco<br />

dell’altare, un lume sempre acceso d<strong>avanti</strong> al S.S.Sacramento<br />

rischiarava la semioscurità della navata. I Santi, dalle loro<br />

cornici, osservavano impassibili il riflesso colorato che il sole<br />

<strong>di</strong>segnava, attraverso le vetrate, sul pavimento della chiesa.<br />

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Lui stava rannicchiato nel buio del confessionale, le ten<strong>di</strong>ne<br />

un pò accostate, lo sguardo attento del felino, mentre, attraverso<br />

la porta della chiesa, continuava ad osservare un gruppo <strong>di</strong><br />

bambini che si rincorrevano festosi.<br />

Dapprima aveva cercato <strong>di</strong> resistere a certi ignobili pensieri<br />

che ormai affollavano quoti<strong>di</strong>anamente la sua mente, aveva<br />

anche tentato <strong>di</strong> chiudere gli occhi per non guardare, ma il<br />

vociare dei fanciulli era un richiamo così allettante che non<br />

aveva potuto resistervi, così aveva ripreso ad osservarli.<br />

Si era nascosto nell’ombra per poter facilmente ricreare<br />

eccitanti ricor<strong>di</strong>; un ossessivo desiderio l’aveva portato ad<br />

appostarsi, ancora, come un animale, in attesa della preda.<br />

Aveva un aspetto piacevole e l’espressione sorridente; non<br />

guardava mai negli occhi il proprio interlocutore. Era <strong>di</strong>ventato<br />

esperto a nascondere le sue brame ed anche terrorizzato che<br />

qualcuno potesse leggere i suoi pensieri.<br />

Da sempre era sembrato un <strong>di</strong>verso, anche se non si sarebbe<br />

potuto spiegarne la ragione; per parte sua, crescendo aveva<br />

lottatto per essere normale, aveva cercato <strong>di</strong> fare quello che<br />

facevano gli altri bambini e quando infine aveva preso una<br />

decisione per la sua vita, un conoscente gli aveva espresso la<br />

propria sorpresa e incredulità per la scelta che aveva fatto.<br />

Lo gratificava essere protagonista ed era conscio <strong>di</strong> avere un<br />

bell’aspetto. Sapeva, anche, come ipocritamente convincere le<br />

persone per ottenere cose che potevano fargli comodo, e come<br />

circuire le giovani donne lusingate dalle sue attenzioni.<br />

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Aveva ignorato ogni scrupolo morale e aveva ottenuto<br />

facilmente favori femminili; spesso erano le donne stesse che gli<br />

si concedevano felici nel ritenersi prescelte.<br />

Un giorno aveva passato un brutto momento quando era stato<br />

scoperto in un luogo e con una persona proibiti per lui ma poi<br />

tutto era stato ignorato e, in ogni modo, la sua vita era scorsa<br />

come se niente fosse accaduto.<br />

Quell’episo<strong>di</strong>o però lo aveva reso prudente, non avrebbe più<br />

dovuto rischiare.<br />

Dalle donne adulte era sceso ad intrallazzare con ragazze<br />

sempre più giovani per poi spostare le sue attenzioni sui<br />

bambini. Aveva cominciato a rimanere più a lungo, anche per<br />

molte ore al giorno, a giocare con loro. Nelle sere d’estate aveva<br />

proposto giochi come il nasconderello, così non si poteva<br />

valutare se, al buio, ne avesse trattenuto uno troppo a lungo tra<br />

le braccia.<br />

Anche adesso che li vedeva correre e ridere avrebbe voluto<br />

essere con loro. Acchiapparli, stringerli a sè…trascinarne uno<br />

nell’ombra…<br />

Un lungo brivido <strong>di</strong> piacere gli aveva percorso la schiena.<br />

Quelle tenere membra profumate, quelle carni delicate e<br />

morbide…<br />

I rintocchi del campanile lo avevano riportato al presente.<br />

Un refolo <strong>di</strong> vento faceva leggermente ondeggiare le tovaglie<br />

degli altari; dalla parete, un angelo <strong>di</strong> marmo col braccio alzato<br />

sembrava minacciarlo.<br />

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Aveva trattenuto il respiro e chiuso gli occhi per la vergogna,<br />

poi si era lasciato andare con la testa abbandonata contro lo<br />

schienale.<br />

Si era rilassato e aveva cercato <strong>di</strong> ricordare quando fosse stata<br />

la prima volta che era stato assalito dal desiderio <strong>di</strong> possedere un<br />

bambino: non avrebbe potuto <strong>di</strong>rlo. Forse era successo quando,<br />

inconsciamente o forse per gioco, ne aveva chiuso uno in una<br />

stanza. Il piccolo era riuscito a scappare ma lui, per un<br />

momento, aveva provato una strana sensazione <strong>di</strong> possesso e<br />

quasi <strong>di</strong> piacere. Poi aveva voluto riprovare con un altro<br />

bambino per verificare se avesse potuto ancora assaporare quella<br />

piacevole e strana sensazione della volta precedente; aveva<br />

scoperto così, come fosse facile ed eccitante approffittarsi <strong>di</strong> una<br />

creatura che fiduciosa, non osa opporsi a quello che crede<br />

semplicemente un gioco.<br />

Aveva anche scoperto che i bambini non si confidano<br />

facilmente con i genitori perchè era ormai passato molto tempo<br />

da quando aveva messo a segno la sua prima infamia e ancora<br />

nessuno lo aveva accusato; comunque, se lo avessero fatto,<br />

pensava che avrebbe potuto facilmente smentire un bambino...<br />

Ricordava spesso gli occhi azzurri <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> loro che, dopo<br />

una sua carezza, l’aveva guardato intensamente come per<br />

ottenere una spiegazione. Quegli occhi innocenti erano per lui<br />

un tormento che, ostinatamente, cercava <strong>di</strong> ricacciare in fondo<br />

alla sua abiezione.<br />

Dall’ombra in cui stava nascosto i suoi occhi, sempre avi<strong>di</strong>,<br />

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continuavano ad osservare i bambini che passavano nello<br />

specchio <strong>di</strong> luce della porta come un volo <strong>di</strong> ron<strong>di</strong>ni.<br />

L’infame aveva continuato a crogiolarsi nei suoi turpi pensieri<br />

e, come sempre, stava cercando una buona occasione che gli<br />

permettesse <strong>di</strong> mettere le mani su uno <strong>di</strong> loro. Non sempre gli<br />

riusciva, troppe volte aveva fallito per l’intervento <strong>di</strong> qualche<br />

estraneo che inopportunamente gli aveva rovinato l’agguato.<br />

Spesso le stesse madri arrivavano tempestivamente a<br />

riprendersi i piccoli, talvolta un vecchio andava a sedersi sulla<br />

panchina della piazza e passava il tempo intento ad osservare.<br />

Questi, specialmente un vecchio, sarebbe stato un testimone<br />

<strong>di</strong>fficile da ingannare; ben sapeva quanto spesso i suoi stessi<br />

bramosi pensieri erano passati per la mente <strong>di</strong> un vecchio<br />

maschio.<br />

Improvvisamente, come materializzato dal nulla, il bambino<br />

era apparso d<strong>avanti</strong> a lui. Forse si era <strong>di</strong>stratto e il piccolo era<br />

entrato per giocare a nascon<strong>di</strong>no o forse era già all’interno<br />

prima che lui si fosse nascosto nel confessionale. Il piccolo era<br />

rimasto immobile a guardarlo senza parlare o sorridere.<br />

Sicuramente lo aveva osservato durante tutto il tempo in cui la<br />

sua mente elaborava pensieri infami.<br />

Sembrava che quegli occhi innocenti arrivassero a leggergli<br />

l’inferno che aveva nell’anima.<br />

Non aveva osato toccarlo.<br />

Dopo un tempo che non avrebbe saputo definire ma che gli<br />

era parso senza fine, il bambino aveva puntato un <strong>di</strong>to contro <strong>di</strong><br />

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lui e gli aveva detto: “tu andrai all’inferno”. Poi si era voltato<br />

verso la porta ed era uscito nella luce per associarsi al volo <strong>di</strong><br />

ron<strong>di</strong>ni dei suoi piccoli amici.<br />

L’infame aveva tremato; le parole del bambino sembravano<br />

evocare quelle del Vangelo sulla macina da mulino da<br />

appendersi al collo per coloro che abusavano dei fanciulli.<br />

L’innocenza l’aveva condannato e gli aveva detto che per lui si<br />

stava preparando una giustizia <strong>di</strong>vina.<br />

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LA MAESTRA<br />

La Maestra aveva vissuto in una grande e solida casa<br />

che sorgeva fuori delle mura del paese. La costruzione<br />

aveva belle inferriate alle finestre del pianterreno e<br />

una ricca ringhiera al balcone centrale del primo piano.<br />

Sopra l’arco <strong>di</strong> marmo che incorniciava il portale, lo stemma<br />

della famiglia riproduceva le iniziali del parroco, PLG, che aveva<br />

voluto apporvela nei secoli passati. Sulla linea del marcapiano<br />

un’iscrizione latina <strong>di</strong>ceva:”… questa casa sarà alloggio al<br />

pellegrino…” Le parole erano appena percettibili poichè le<br />

lettere incise sulle due fasce <strong>di</strong> marmo erano molto consunte e la<br />

pietra, negli anni, aveva assunto il colore grigio del resto<br />

dell’intonaco. Nel corso del tempo qualcuno poteva averla notata<br />

e forse non avendo saputo tradurla era stata presto ignorata.<br />

Certo è che un lato della casa era stato ingran<strong>di</strong>to con le<br />

pietre che i conta<strong>di</strong>ni avevano dovuto portare per contribuire<br />

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alla costruzione, anche se non c’è traccia che in seguito, questa<br />

fosse stata mai usata quale alloggio ai pellegrini.<br />

Le genti del contado, la domenica, <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong>, col lume in<br />

mano, passando a guado il canale per andare ad ascoltare la<br />

prima messa , avevano dovuto raccogliere ciascuno una pietra e<br />

avevano dovuto deporla in un bel mucchio che presto avrebbe<br />

ampliato la costruzione.<br />

Queste poveri cristiani, pur <strong>di</strong> santificare in qualche modo la<br />

festa, avevano accettato questa ulteriore fatica ben sapendo che<br />

al termine della messa li avrebbe attesi ancora per tutto il giorno<br />

il duro lavoro dei campi. Diversamente da coloro che essendo<br />

meno bisognosi si vestivano dalla festa e andavano alla messa<br />

cantata nella tarda mattinata, questi vestivano gli abiti da tutti i<br />

<strong>dì</strong> e non possedevano il soldo da mettere nel sacchetto delle<br />

elemosine che il chierichetto a metà messa raccoglieva passando<br />

tra le panche.<br />

Quando la Maestra era venuta sposa al paese, la grande casa<br />

era stata ormai ultimata, gli arre<strong>di</strong> interni erano ricchi e soli<strong>di</strong>,<br />

nel sottotetto fioriva una piccola industria <strong>di</strong> allevamento <strong>di</strong><br />

bachi da seta e lei, al pianterreno in una piccola stanza, aveva<br />

cominciato a insegnare ai bimbi.<br />

In seguito, con la proclamazione del regno d’Italia, era stata<br />

costruita una vera scuola con una pluriclasse nella quale<br />

venivano riuniti bambini dalla prima alla terza e spesso erano<br />

stati ammessi anche molti adulti, cosicchè lei , essendo stata la<br />

maestra <strong>di</strong> tutti, era ormai chiamata unicamente la signora<br />

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Maestra.<br />

Era buona e generosa e il suo unico figlio ne aveva ere<strong>di</strong>tato<br />

l’intelligenza e l’amore verso il prossimo. Ella ne aveva seguito lo<br />

sviluppo intellettivo e lo aveva accu<strong>di</strong>to con de<strong>di</strong>zione.<br />

Quando bambino si allontanava su per la stra<strong>di</strong>na chiamata la<br />

crosa per andare in collegio prima e all’Università dopo, la<br />

madre usciva fuori dal portoncino della casa a guardarlo salire<br />

verso il santuario sulla sommità della collina e lì il figlio, era uso<br />

salutarla prima <strong>di</strong> sparire oltre il crinale. Lo aveva visto me<strong>di</strong>co<br />

stimato uscire per andare nelle campagne innevate a curare i<br />

conta<strong>di</strong>ni e clinico illustre raggiungere in città il <strong>di</strong>spensario<br />

antitubercolare che recava il suo nome a lettere cubitali sulla<br />

facciata.<br />

“Mamma…”<br />

Il grido era sceso lungo il crinale sfiorando le cime dei<br />

castagni fino a raggiungere la madre che, come sempre,<br />

immobile sulla soglia della casa guardava il figlio che si<br />

allontanava. Quel grido, quasi un ultimo saluto, aveva<br />

comunicato alla madre il dolore, la <strong>di</strong>sperazione e l’ amore che il<br />

figlio provava in quel momento terribile.<br />

La Maestra sapeva che non lo avrebbe più rivisto!<br />

Nel tempo che precede una trage<strong>di</strong>a pare che la natura e la<br />

vita si arrestino. Ogni cosa sembrava tacere, un silenzio irreale<br />

sembrava avvolgere la natura. Occhi spaventati avevano spiato<br />

tra le piccole imposte socchiuse; orecchi attenti avevano<br />

ascoltato l’affievolirsi dei passi chiodati del plotone <strong>di</strong> esecuzione<br />

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dei nazisti che, risalendo la mulattiera, avviava il dottore al luogo<br />

dell’esecuzione. Si intuiva il verificarsi <strong>di</strong> un crimine, perchè la<br />

fucilazione non veniva effettuata sulla piazza del paese, ma al<br />

riparo delle fronde <strong>di</strong> un bosco.<br />

A mani giunte la madre era rimasta a guardare il suo unico<br />

figliolo, mentre al centro del plotone <strong>di</strong> esecuzione saliva su per<br />

la crosa per andare a morire. Mentre si raccomandava alla<br />

Madonna aveva pensato che anche il Figlio Suo aveva dovuto<br />

subire la Crosa e come l’altra Madre anche lei ora avrebbe<br />

dovuto soffrire un immenso dolore.<br />

“Mamma…”<br />

Alla seconda invocazione, sulla sommità della collina, il figlio<br />

si era voltato e si era fermato un attimo a riguardar la madre,<br />

prima <strong>di</strong> sparire nel folto del bosco, come per attingere da lei la<br />

forza per proseguire sino ai colpi degli spari che gli avrebbero<br />

stroncato la vita.<br />

Sul sagrato antistante la chiesa un gruppo <strong>di</strong> donne vestite <strong>di</strong><br />

nero avevano guardato con occhi impauriti e stravolti<br />

alternativamente la povera madre e il piccolo drappello che si<br />

allontanava su per la crosa.<br />

Nome più appropriato la piccola strada non avrebbe potuto<br />

avere, e la scena pareva apparecchiata per un vener<strong>dì</strong> santo.<br />

Attraverso le lacrime e la <strong>di</strong>sperazione la madre aveva<br />

continuato a guardare il punto in cui era sparito il figlio.<br />

Le donne vestite <strong>di</strong> nero avevano allora circondato la madre,<br />

anzi la loro Maestra, che tanti anni prima, era venuta giovane<br />

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sposa da un paese al <strong>di</strong> là della Civiglia e avevano pianto con lei.<br />

Nel punto in cui il figlio l’aveva invocata per l’ultima volta la<br />

madre aveva piantato una rosa e per lunghi anni, anche dopo la<br />

morte della Maestra, essa aveva continuato a fiorire; pochi<br />

ricordarono e presto <strong>di</strong>menticarono il motivo per cui essa era<br />

stata piantata.<br />

Oggi la rosa non c’è più, rivive solo in queste righe a<br />

testimoniare l’amore <strong>di</strong> una madre.<br />

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GENOVEFFA<br />

sev stà brut furmigon?” Genoveffa non<br />

aveva dato molto peso alle parole del marito<br />

“Dov<br />

che pazientemente l’aveva aspettata nella<br />

piazza in fondo al paese. Col suo solito sorriso bonario si era<br />

accostata a lui e, sod<strong>di</strong>sfatta, gli aveva fatto l’elenco delle cose<br />

che aveva appena acquistato con i sol<strong>di</strong> delle loro pensioni<br />

appena incassate: una se<strong>di</strong>a a sdraio, un nuovo colapasta,<br />

qualche pacco <strong>di</strong> biscotti… Il marito si era così reso conto che<br />

per lui in quel mese non ci sarebbe stato piu` un soldo da<br />

spendere.<br />

Da quando lo Stato aveva erogato una piccola pensione<br />

sociale, i vecchi si erano sentiti veramente ricchi e l’uomo poteva<br />

finalmente comprarsi i toscani ed il tabacco da pipa senza dover<br />

fare grossi sacrifici.<br />

Un altro motivo <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione per Genoveffa era dovuto al<br />

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fatto che al momento della riscossione della pensione lei, con<br />

orgoglio e <strong>di</strong>versamente dalla maggioranza che soleva firmare<br />

con una croce, aveva saputo apporre la propria firma sul modulo<br />

per la ricevuta.<br />

Dopo l’Unità d’Italia al suo paese era <strong>di</strong>ventato obbligatorio<br />

per i bambini frequentare la scuola sino alla terza classe e per<br />

lei, adulta, imparare a leggere e scrivere era stato un privilegio<br />

dovuto alla generosa maestra dei suoi figli che l’aveva accettata<br />

in classe ancorchè adulta.<br />

Sempre brontolando sul suo libretto della pensione<br />

desolatamente vuoto e ripromettendosi <strong>di</strong> non consentire più a<br />

Genoveffa <strong>di</strong> metterci sopra le mani il mese seguente, l’uomo si<br />

era avviato alla mulattiera per tornare a casa.<br />

La moglie lo aveva seguito come sempre, anche se da tempo, il<br />

seguirlo era <strong>di</strong>ventata una normale abitu<strong>di</strong>ne e non una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> inferiorità. Per tutta la vita non gli aveva mai<br />

camminato a fianco, sempre un passo in<strong>di</strong>etro.<br />

Quel giorno, mentre il marito la precedeva come al solito, un<br />

passo <strong>di</strong>etro l’altro con ritmo regolare, ma un pò lento,<br />

Genoveffa si era messa a considerare che il suo uomo era<br />

<strong>di</strong>ventato veramente vecchio: i calzoni un pò sformati<br />

mostravano gambe piuttosto magre, così come la giacca<br />

sembrava un poco ciondolargli dalle spalle ossute.<br />

Era stato sempre un bell’uomo, alto, biondo e forte e lei<br />

l’aveva sempre amato tanto e ne era anche sempre stata gelosa<br />

nei confronti delle altre donne. Un giorno si era anche sentita<br />

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<strong>di</strong>re da una <strong>di</strong> loro: “brutta malattia la gilosia Ginoefa…” Anche<br />

ora che era vecchio se lo riguardava con gli occhi innamorati <strong>di</strong><br />

sempre.<br />

Era un pò risentita e anche un pò offesa per essere stata<br />

definita da lui brut furmigon; lei lo capiva bene <strong>di</strong> somigliare ad<br />

una grossa formica nera, ma il sentirselo <strong>di</strong>re da lui le aveva<br />

procurato un certo malessere.<br />

Da sempre, cioè da quando si era fatta adulta, il solo colore<br />

dei suoi abiti era sempre stato il nero come si conviene alle<br />

donne <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> dopo maritate, così pure i capelli che da neri,<br />

con gli anni, potevano solo <strong>di</strong>ventare grigi. Bella poi non era<br />

stata mai, forse graziosa, buona, semplice, laboriosa e generosa;<br />

questo sì, e chiunque si fosse rivolto a lei avrebbe dovuto<br />

riconoscerle una grande <strong>di</strong>sponibilità e una rara onestà.<br />

Ora poi con gli anni e le molteplici gravidanze i suoi fianchi<br />

si erano fatti larghi e sformati e quel pò <strong>di</strong> grazia che aveva<br />

posseduto era sparita.<br />

Genoveffa veniva da una buona famiglia che abitava una casa<br />

<strong>di</strong> quattro piani con una bella terrazza antistante, un balconcino<br />

sul retro con vista sulla vallata e un’antica meri<strong>di</strong>ana sulla<br />

facciata verso il sole. Quando era stata chiesta in sposa, ne era<br />

stata molto felice, anche se la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> mezzadro del suo<br />

futuro marito non lo faceva ritenere adatto alla sua famiglia che<br />

era invece possidente.<br />

Dopo le nozze il suo uomo aveva voluto emigrare nel Nuovo<br />

Messico per far fortuna e ricomprare le proprietà che il suocero<br />

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si era giocate in borsa ed ella lo aveva seguito negli States<br />

<strong>di</strong>videndo con lui ogni esperienza. A lei era toccato andare in<br />

banca a depositare il denaro, poichè per strada mai sarebbe stata<br />

rapinata e anzi, qualsiasi poliziotto, a manganellate, avrebbe<br />

fatto scendere dal marciapiede il malcapitato che non avesse<br />

ottemperato all’uso <strong>di</strong> cedere il passo ad una signora, e così in<br />

banca la fila degli uomini, allo sportello, si sarebbe scansata per<br />

far posto a una donna onorata.<br />

Là era nata la prima bambina che, avendo ere<strong>di</strong>tato la<br />

straor<strong>di</strong>naria bellezza del padre, aveva scatenato il malocchio<br />

dalle altre madri. Là il suo uomo per anni era sceso in miniera e<br />

quando era miracolosamente scampato al grisou, avevano<br />

contato i risparmi e avevano deciso <strong>di</strong> tornare al paese.<br />

Genoveffa era una moglie felice. Aveva una bella casa con<br />

accanto la stalla e il fienile. L’ovile e il pollaio erano vicino ai due<br />

orti annessi all’aia. Il marito le aveva costruito anche un piccolo<br />

cess che era stato molto invi<strong>di</strong>ato e spesso anche usato dai vicini.<br />

Accanto alla finestrella della grada, usata solo al momento<br />

della raccolta delle castagne, si apriva quella del pozzo e questo<br />

era stato veramente un gran regalo, poichè la fontana era assai<br />

lontana e il marito glielo aveva realizzato per alleviarle qualche<br />

fatica dopo che la casa era stata rallegrata dall’arrivo <strong>di</strong> altri<br />

sette figli.<br />

Con il denaro faticosamente risparmiato avevano comperato<br />

molti campi e anche una seconda casa che veniva genericamente<br />

definita la cà vecchia.<br />

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In questa erano costu<strong>di</strong>te le scorte alimentari della famiglia:<br />

una stanza con gli scrigni delle granaglie, una con ceci, fagioli,<br />

fave e piselli, ben <strong>di</strong>visi sul pavimento per qualità, mentre dai<br />

travi pendevano collane <strong>di</strong> pomodori secchi, agli e cipolle.<br />

Un’altra stanza aveva la frutta appesa ai travi: i fichi secchi nei<br />

gran<strong>di</strong> sacchetti bianchi, le mele sulle tavole o a fette in collane, i<br />

sacchetti con le noci e le nocciole. Le patate erano <strong>di</strong>stese sul<br />

pavimento <strong>di</strong> un’altra stanza che conteneva, allineate su tavole<br />

sospese al soffitto, le formagette che Genoveffa preparava e poi<br />

accu<strong>di</strong>va mentre stagionavano.<br />

Il vino era invece custo<strong>di</strong>to dal marito, il quale provvedeva<br />

anche a travasare l’olio dalla preda <strong>di</strong> pietra agli orci <strong>di</strong><br />

terracotta per evitare che inaci<strong>di</strong>sse.<br />

Mentre seguiva il suo uomo, Genoveffa pensava alla sua vita<br />

trascorsa con lui e considerava che ormai, paragonandosi ai loro<br />

vecchi, pochi anni ancora sarebbero rimasti loro da vivere.<br />

In quanto alla sua figura, Genoveffa rimuginava ancora sul<br />

<strong>di</strong>scorso del marito, sapeva bene <strong>di</strong> somigliare ormai al furmigon,<br />

non fosse altro che per il suo incedere col corpo un poco obliquo<br />

in <strong>avanti</strong>, ma sentirselo <strong>di</strong>re l’aveva proprio offesa.<br />

Presa da questi pensieri, giunta sulla sommità della collina,<br />

Genoveffa si era fermata un momento a riguardare da un lato il<br />

santuario che l’ aveva vista sposa felice, si era segnata e volgendo<br />

il capo al cancello del piccolo cimitero nel quale erano sepolti<br />

ormai tutti i suoi cari, compreso il suo piccolo Emilio morto <strong>di</strong><br />

spagnola, con un sospiro che lei stessa non avrebbe saputo<br />

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spiegarsi, aveva oltrepassato il dosso e si era avviata verso la sua<br />

casa pensando che presto, forse molto presto, avrebbe, come<br />

sempre, seguito il suo uomo anche dentro quel cancello.<br />

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ANSELMO<br />

Quando rientrava la sera era abituato a passare dal<br />

cadr dell’orto per non sporcare il pavimento della<br />

casa con gli zoccoli infangati. Passava sotto la pergola<br />

d<strong>avanti</strong> alla stalla delle pecore e saliva fin sulla terrazza d<strong>avanti</strong><br />

alla casa dove sua moglie aveva già preparato per lui la bolia<br />

piena d’acqua. Anselmo si sedeva sullo scalino della porta, si<br />

toglieva gli zoccoli, le pezze dai pie<strong>di</strong> e li immergeva nell’acqua.<br />

Ritornava da un paese lontano dove si recava <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per fare il<br />

muratore percorrendo a pie<strong>di</strong> molti chilometri.<br />

Gli zoccoli che calzava li preparava un suo figlio che li<br />

intagliava in un ceppo <strong>di</strong> cerro e fissava la tomaia, cucita dalla<br />

moglie, con una strisciolina <strong>di</strong> latta ritagliata dai barattoli della<br />

conserva. L’acqua fresca dava un incre<strong>di</strong>bile sollievo ai suoi<br />

pie<strong>di</strong> stanchi e, mentre si asciugava, pensava che dopo il piatto <strong>di</strong><br />

minestra della cena avrebbe potuto <strong>di</strong>stendersi nel suo letto per<br />

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un breve sonno e troppo presto avrebbe dovuto alzarsi per una<br />

nuova e lunga giornata <strong>di</strong> lavoro.<br />

L’orario <strong>di</strong> lavoro era da “sole a sole” e poteva <strong>di</strong>rsi fortunato<br />

se poi il padrone lo avrebbe pagato. Infatti Anselmo che<br />

possedeva una piana vicino al cimitero, avendogli chiesto la<br />

famiglia del dottore <strong>di</strong> costruirgli una cappella mortuaria sulla<br />

sua proprietà, aveva ad<strong>di</strong>rittura regalato loro la terra sperando<br />

<strong>di</strong> vedersi almeno pagato il lavoro, ma, trascorsi gli anni,<br />

ciascuno, per ragioni <strong>di</strong>verse, aveva preferito <strong>di</strong>menticare.<br />

Anselmo era un bell’uomo, alto e biondo, ma soprattutto era<br />

forte e molto saggio. Discendeva per parte <strong>di</strong> madre dai Ventura,<br />

una ricca famiglia proprietaria della casa torre, e dal poeta<br />

Bonaventura Peccini da Panicale che aveva scritto un poema in<br />

versi latini, oggi introvabile.<br />

A causa dei debiti contratti dal padre, che amava giocare in<br />

borsa, <strong>di</strong>ventato mezzadro aveva dovuto lavorare duramente per<br />

mantenere la sua famiglia.<br />

Raramente andava all’unica osteria del paese, perchè il suo<br />

vino era migliore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Sarafin d’ l’ost però, ogni tanto, gli<br />

piaceva andare per ritrovarsi tra uomini e parlare <strong>di</strong> argomenti<br />

legati alle semine o al governo; stava seduto tra gli altri con la<br />

pipa tra i denti e ascoltava più che parlare.<br />

I suoi abiti erano lisi e sformati ma aveva sempre la camicia<br />

pulita e il gilè abbottonato sotto la giacca. Portava sempre il<br />

cappello, come era in uso all’epoca, e sapeva soprattutto quando<br />

doveva toglierselo.<br />

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Era considerato un uomo educato e riservato e sapeva farsi<br />

rispettare, da potenti e prepotenti. Una volta era riuscito a<br />

<strong>di</strong>sarmare un delinquente che nella notte era entrato nella sua<br />

camera per sgozzarlo con un rasoio e da quel momento Anselmo<br />

l’aveva usato ogni mattina per radersi ringraziando la<br />

provvidenza <strong>di</strong> averlo lasciato in vita. Ma l’episo<strong>di</strong>o si riferiva al<br />

periodo in cui viveva nel nuovo mondo dove era andato per<br />

guadagnare i sol<strong>di</strong> per comperarsi una casa e nuova terra dopo<br />

che la sua casa natale, la casa torre, era stata venduta per i debiti<br />

contratti dal padre.<br />

Anselmo rimboccandosi le maniche, aveva acquistato e<br />

ricostruito una vecchia casa ben esposta al sole con una bella<br />

vista verso il santuario e, dopo la morte del padre, aveva accolto<br />

nella propria casa, la madre, i suoi due fratelli e una sorella<br />

ancora nubile. Aveva comprato terre da semina e da foraggio,<br />

vigneti e uliveti sufficienti a mantenere la sua grossa famiglia. In<br />

un suo castagneto <strong>di</strong> fronte alla casa tre grossi tumuli segnavano<br />

le tombe delle sue vacche morte <strong>di</strong> malattia e quando i fuochi<br />

fatui danzavano la notte tra quegli alberi, Anselmo pensava alla<br />

grave per<strong>di</strong>ta economica subita e al supplemento <strong>di</strong> lavoro subito<br />

per comprarne altre.<br />

Le vacche, la mora e la bionda venivano aggiogate e per arare<br />

la terra e per trasportare con la bena e la viola ogni tipo <strong>di</strong> carico<br />

dai campi. Nella bena potevano trovare posto attrezzi pesanti,<br />

sacchi, botti e fasci <strong>di</strong> legna mentre sulla viola si potevano<br />

caricare materiali voluminosi che si potevano comprimere come<br />

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foraggi, paglia o fieno.<br />

Anselmo amava la sua casa e i suoi campi.<br />

Nelle sere <strong>di</strong> maggio sedeva sulla terrazza e restava a<br />

guardare nel buio le lucciole che silenziose animavano la notte<br />

oppure si perdeva ad ascoltare l’unisono dei grilli o il gracidare<br />

dei rospi. Al tramonto guardava le ron<strong>di</strong>ni che volavono alte nel<br />

cielo a significare il bel tempo e, quando queste volavano basse,<br />

Anselmo si preparava un lavoro al coperto per l’indomani. Egli<br />

amava tutti gli animali fuorchè le cicale che, <strong>di</strong> giorno, con il<br />

loro frinire parevano aumentare la calura dell’estate.<br />

D’inverno, quando la terra dormiva, andava dove era<br />

chiamato a fare opere <strong>di</strong> muratura nelle quali era molto bravo.<br />

Era altrettanto ricercato per conciare le carni <strong>di</strong> maiale che, sotto<br />

le sue mani, <strong>di</strong>ventavano salami, salsicce e prosciutti. Accu<strong>di</strong>va<br />

personalmente anche alla sua cantina; sapeva quanto doveva<br />

durare la fermentazione del mosto, prima <strong>di</strong> svinare, a seconda<br />

della temperarura e del grado <strong>di</strong> maturazione dell’uva.<br />

Nessuno l’aveva mai sentito cantare, neppure da giovane e<br />

anche il suo conversare era raro. Poteva all’occorrenza<br />

intervenire per dare un consiglio o fare qualche esclamazione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sappunto per un lavoro fatto male, ma niente più.<br />

L’espressione del suo viso era molto seria e gli occhi<br />

impenetrabili per cui istintivamente i figli crescevano rispettosi<br />

ed educati e gli estranei gli usavano molto riguardo. Se nella casa<br />

regnava la moglie, lui era il padrone della cantina: due grosse<br />

botti su pilastri servivano per la pigiatura dell’uva e nell’angolo<br />

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lo strengin era pronto coi suoi fiscoli impilati e puliti; due brevi<br />

scalini portavano alla cantina sotterranea dove da un lato erano<br />

allineate le botticelle col vino a maturare e la spina innestata a<br />

quello che man mano veniva vuotato, mentre dall’altro lato<br />

erano allineate le damigiane col loro bel barattolo capovolto sul<br />

tappo a <strong>di</strong>fesa dai topi. Molte bottiglie nere <strong>di</strong> vino spumante<br />

erano nelle loro rastrelliere e in un angolo c’erano prede <strong>di</strong><br />

pietra piene d’olio coperte da una tavola su cui posava una<br />

grossa pietra. Anselmo amava il vino e non beveva mai liquori;<br />

anzi a quel tempo il solo liquore conosciuto era il cognac, e<br />

semmai che ce ne fosse stato in casa, sarebbe servito soltanto a<br />

rinfrancare un malato; questo perchè la povertà <strong>di</strong> quel tempo<br />

non avrebbe mai permesso a nessuno <strong>di</strong> comperarne anche solo<br />

una piccola bottiglia.<br />

Anselmo ricordava spesso, ai figli e ai nipoti, quando nella sua<br />

infanzia non si giocava a biglie, ma coi tappi da birra, e chi<br />

perdeva pagava i debiti la sera a cucchiai <strong>di</strong> minestra e come<br />

puntualmente il vincente si presentasse a riscuotere.<br />

La salute <strong>di</strong> Anselmo era sempre stata buona, anzi amava <strong>di</strong>re<br />

che per lui tutti i dottori potevano anche morire <strong>di</strong> fame, perchè<br />

nella sua vita non ne aveva avuto mai bisogno, e così era stato<br />

sino al momento in cui aveva cominciato, durante il giorno, a<br />

restare seduto a lungo e in silenzio. Gli occhi sembravano<br />

guardare lontano; forse pensava alla sua trascorsa gioventù<br />

oppure al duro lavoro in miniera, nessuno sapeva perchè<br />

Anselmo non amava parlarne.<br />

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Talvolta teneva gli occhi chiusi fingendo forse <strong>di</strong> dormire e<br />

spesso pareva assopito. Un giorno una vecchia del paese<br />

osservandolo, con un sospiro rassegnato, presagì per lui<br />

“durmindo murindo”; la sua ora era vicina.<br />

Era stato chiamato il dottore che, con un grosso spillone, gli<br />

aveva bucato le piante dei pie<strong>di</strong> per sincerarsi che fosse morto,<br />

ma Anselmo non lo aveva potuto vedere nè soffrire perchè era<br />

già andato a raggiungere i suoi vecchi nel piccolo cimitero sulla<br />

collina.<br />

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LAURA<br />

Il carro funebre sostava d<strong>avanti</strong> al grande portale. La bara<br />

aveva <strong>di</strong>sceso lo scaleo in marmo, aveva traversato l’atrio<br />

ed era stata deposta dentro il carro. Un tappeto <strong>di</strong> gerbere<br />

bianche con lunghi bianchi nastri inanellati scendendo dal<br />

tappeto fiorito aveva incorniciato la bara. Era gennaio e i rari<br />

passanti si erano fermati a riguardare il funerale con l’aria <strong>di</strong><br />

non capire.<br />

Dall’atrio del nobile palazzo, abitato da sempre da donna<br />

Laura, era uscita una piccola salma. La signora del palazzo aveva<br />

da tempo compiuto i cento anni e col tempo si era fatta<br />

veramente minuscola, ma i fiori bianchi erano inspiegabili.<br />

Il portale era stato aperto completamente cosicchè dalla via si<br />

poteva osservare il grande atrio dalle volte incrociate poggianti<br />

su colonne, col pavimento in pietra e le gran<strong>di</strong> inferriate alle<br />

finestre. Un grande arco sul fondo apriva ad un giar<strong>di</strong>no interno<br />

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con aiuole, gran<strong>di</strong> palme e piccoli cespugli ver<strong>di</strong> che in<br />

primavera dovevano coprirsi <strong>di</strong> fiori. Tutt’attorno un alto muro<br />

lo racchiudeva nascondendolo agli occhi in<strong>di</strong>screti anche se<br />

qualche finestra, nei secoli, aveva osato affacciarsi su questo<br />

angolo recon<strong>di</strong>to.<br />

Lo scaleo portava al primo piano dove un grande portone<br />

introduceva a un appartamento che si affacciava sul giar<strong>di</strong>no e<br />

sulla via principale <strong>di</strong> fronte al Duomo.<br />

L’appartamento era molto grande. Una teoria <strong>di</strong> salotti con<br />

mobili d’epoca e soffitti affrescati portava alle stanze della<br />

famiglia altrettanto riccamente arredate. I tendaggi e le<br />

coperture erano <strong>di</strong> fine damasco e broccati <strong>di</strong> seta, nei vari<br />

colori, ricoprivano se<strong>di</strong>e e poltrone nelle <strong>di</strong>verse stanze.<br />

La policromia dei vetri alle finestre alternava ai gran<strong>di</strong> tappeti<br />

<strong>di</strong>segni multicolori sui pavimenti. Ricami a piccolo punto<br />

decoravano gli arazzi dei parafuochi e delicate trine<br />

arricchivano le tovaglie <strong>di</strong>stese sui luci<strong>di</strong> mogani.<br />

Donna Laura raramente aveva abitato questa parte della casa<br />

preferendole il piano superiore, dove abitualmente viveva, e vi<br />

scendeva solo quando i suoi innumerevoli nipoti venivano a farle<br />

visita e si trattenevano da lei per qualche tempo. Anche il piano<br />

superiore era riccamente arredato: quadri, stampe e mobilia<br />

erano <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimo valore. Le argenterie splendevano dentro le<br />

cristalliere e le sovrapporte erano decorate con la foglia d’oro.<br />

Nella zona <strong>di</strong> servizio un lungo terrazzo coperto si affacciava<br />

sul giar<strong>di</strong>no, un tempo chiostro, e consentiva <strong>di</strong> sciorinare al<br />

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coperto il bucato. Sempre da una zona riservata si poteva<br />

accedere alle stanze della servitù che erano collocate all’ultimo<br />

piano nel sottotetto e da queste si accedeva ad un enorme<br />

stanzone aperto e voltato, dal quale si poteva godere un<br />

magnifico panorama sulla città.<br />

A questo punto dal pavimento sembrava fuoruscire un’ampia<br />

cupola e ci si rendeva allora conto <strong>di</strong> essere sulla sommità <strong>di</strong><br />

quella che doveva essere stata la cappella del convento e così era,<br />

poichè <strong>di</strong>versi secoli prima, nel Seicento, il palazzo era stato un<br />

convento delle Clarisse.<br />

La millenaria famiglia Magni Griffi, da cui donna Laura<br />

<strong>di</strong>scendeva, ascritta nel 1528 nell’albo d’oro della nobiltà<br />

italiana e imparentata con papa Niccolò V Parentuccelli, lo aveva<br />

acquistato agli inizi del settecento, lo aveva rimaneggiato e<br />

adattato a propria <strong>di</strong>mora.<br />

Donna Laura era nata a Napoli perchè il padre, generale<br />

dell’esercito, era <strong>di</strong> stanza in quella città, e del fatto <strong>di</strong> non esser<br />

nata in <strong>Lunigiana</strong> si era sempre <strong>di</strong>spiaciuta; <strong>di</strong>versamente da lei,<br />

i suoi fratelli, la sorella e così pure il padre erano venuti al<br />

mondo nel palazzo <strong>di</strong> Sarzana. La marchesa sua madre era una<br />

<strong>di</strong>scendente degli Spinola e <strong>di</strong> questa grande famiglia genovese<br />

Laura aveva ere<strong>di</strong>tato, attraverso la madre, un prezioso velo da<br />

sposa che, non avendo mai potuto indossare, religiosamente<br />

aveva conservato sino alla morte.<br />

Laura era cresciuta timida e riservata e, sebbene avesse<br />

frequentato il liceo, a causa <strong>di</strong> una salute un poco cagionevole, il<br />

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padre non le aveva permesso <strong>di</strong> frequentare l’Università. Aveva<br />

avuto lezioni <strong>di</strong> piano e <strong>di</strong> ricamo come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne e in più<br />

da un professore dell’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Firenze, spesso<br />

loro ospite, aveva imparato a <strong>di</strong>pingere.<br />

Nell’arco della sua vita aveva visto i fratelli e la sorella,<br />

sposati, con la loro numerosa prole, invadere nei giorni <strong>di</strong> festa il<br />

grande palazzo che i genitori avevano lasciato in ere<strong>di</strong>tà a lei,<br />

rimasta nubile.<br />

Aveva amato la lettura e per questo aveva passato molto del<br />

suo tempo nello stu<strong>di</strong>o dove una ricca biblioteca raccoglieva<br />

opere <strong>di</strong> vario genere: dai classici, al teatro, alla narrativa. Aveva<br />

amato anche scrivere; <strong>di</strong> lei rimane una pubblicazione della<br />

storia della sua famiglia ultimata alcuni mesi prima della morte.<br />

Aveva trascorso il suo tempo tra le visite delle nobili signore,<br />

il ricamo e il pianoforte. Solo quando aveva ormai superato il<br />

secolo <strong>di</strong> vita, aveva confessato che nella sua ormai antica<br />

giovinezza si era innamorata <strong>di</strong> un professore del liceo, ma aveva<br />

tenuto a precisare che mai la cosa era stata palesata. In seguito,<br />

un suo corteggiatore, ufficiale dell’esercito, l’unico che le avesse<br />

manifestato affettuose attenzioni, le era stato allontanato dal<br />

padre perchè de<strong>di</strong>to al gioco.<br />

Il tempo scorreva nel grande palazzo allineato tra quelli dei<br />

notabili; tanto ne era passato che Laura era riuscita a conoscere<br />

tre secoli. Ma nella sua lunga vita non aveva mai conosciuto la<br />

gioia dell’amore, mai una carezza <strong>di</strong> innamorato sui suoi capelli<br />

nè un casto bacio maschile sulle sue labbra.<br />

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Nell’antico convento delle Clarisse, si era compiuto il suo<br />

destino <strong>di</strong> donna che senza essersi votata a Dio, aveva vissuto<br />

come le antiche consorelle in solitu<strong>di</strong>ne, castità e in preghiera.<br />

Laura, come loro, aveva vissuto vergine nel corpo e nello<br />

spirito e quando era venuto il grande momento per lei <strong>di</strong> passare<br />

ad altra vita, un’anima gentile, forse interpretando il muto<br />

desiderio del suo cuore, ricoprendole il feretro <strong>di</strong> fiori e nastri<br />

bianchi, aveva voluto onorare la sua purezza.<br />

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PAULO<br />

Er ano i giorni della merla. L’ultimo intensissimo freddo<br />

dell’inverno. La brina imbiancava l’erba e i rovi.<br />

Ancora un poco e poi il gelo sarebbe sparito sotto la<br />

prima pioggia. Il tempo sarebbe andato in dolciura e sui poggi si<br />

sarebbero affacciate le primule e le viole.<br />

Già le prime giunchiglie cercavano <strong>di</strong> fiorire a ridosso del<br />

muro del cimitero nell’angolo dove <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne venivano<br />

sepolti i bambini.<br />

A ridosso delle siepi cristallizzate dal ghiaccio sarebbero<br />

sparite le piagnole, perchè gli uccelletti, trovando più facilmente<br />

cibo altrove, non si sarebbero lasciati schiacciare dalla pietra<br />

mentre andavano a beccare il chicco ingannatore.<br />

Il paese pareva addormentato, immerso com’era, in una<br />

ferrea cortina <strong>di</strong> ghiaccio che, negli angoli appena illuminati dal<br />

sole, si trasformava in un triste umidore. Per lo stretto vicolo<br />

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anulare, prima <strong>di</strong> inoltrarsi in una lunga galleria, si poteva<br />

accedere ad un’aia chiusa da un portone ormai molto fessurato e<br />

usurato dal tempo. Una bella scala in pietra, con una pensilina<br />

sorretta da colonne anch’esse <strong>di</strong> pietra, portava al piano<br />

padronale.<br />

Al limitare dell’aia un basso muro fungeva da parapetto allo<br />

strapiombo sottostante.<br />

Sul fondo tra le pietre del canale si intravvedeva una cortina<br />

<strong>di</strong> ghiaccioli, mentre l’acqua scorreva con un piccolo gorgoglio<br />

liberando un sottile odore <strong>di</strong> muschio. Le piagne umide del<br />

selciato lucevano al pallido sole.<br />

Da un lato dell’ara una porta sconnessa dava accesso al luogo<br />

in cui da sempre viveva Paulo. Una finestrella inferriata, nei<br />

giorni <strong>di</strong> sole, <strong>di</strong>segnava sul pavimento della stanzetta una nitida<br />

croce. In un letto <strong>di</strong> legno con le sponde, su un giaciglio <strong>di</strong><br />

scarfuglia, giaceva da tempo Paulo.<br />

Rimaneva <strong>di</strong>steso per tutto il giorno, poichè le sue gambe per<br />

vecchiaia o per malattia non lo reggevano più, ma, pur non<br />

potendo uscire, poteva stabilire le ore della giornata dall’ombra<br />

della croce che scorreva sul pavimento e, dalla intensità<br />

dell’ombra stessa, conoscere anche le con<strong>di</strong>zioni del tempo.<br />

Spesso i bimbi per curiosità o per gioco spingevano<br />

quell’uscio, sempre aperto, per cercare <strong>di</strong> vederlo e il vecchio<br />

non li sgridava mai, rimaneva a guardarli in silenzio o forse<br />

neanche più li vedeva.<br />

Da tempo immemorabile, nella buona stagione, fin quando ne<br />

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era stato capace, nei giorni <strong>di</strong> festa era andato a sedersi sul lungo<br />

gra<strong>di</strong>no <strong>di</strong> pietra posto appena fuori dell’arco <strong>di</strong> accesso al<br />

paese, e lì rimaneva assorto, le palpebre molto abbassate, quasi<br />

socchiuse, una pipa spenta tra i denti, a riguardare lontano.<br />

Paulo non amava parlare, anzi preferiva ascoltare senza<br />

intervenire nei <strong>di</strong>scorsi altrui.<br />

Il suo aspetto era severo, l’espressione quasi impassibile non<br />

rivelava i suoi pensieri.<br />

Durante la sua infanzia la povertà era stata così terribile che<br />

spesso ricordava quando i bambini, giocando ai tappi sul<br />

selciato, andavano la sera in casa dei perdenti a reclamare i<br />

cucchiai <strong>di</strong> minestra vinti al gioco.<br />

Paulo era nato miserabile; nel paese chi non era possidente e<br />

non era stato assunto mezzadro, nei registri della parrocchia<br />

veniva definito <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione miserabile.<br />

Della sua famiglia non era rimasta notizia e nessuno si era<br />

mai interessato del suo cognome.<br />

Nel paese si apparteneva ad una razza e, spesso, si<br />

riconoscevano in tutti coloro che ne facevano parte, le<br />

peculiarità o il mestiere che avevano determinato il soprannome:<br />

quei <strong>di</strong> barbota, mengota, barca , scaletta, biasin, marangon.<br />

Di lui non si conosceva nulla, forse era stato un trovatello<br />

preso all’ospizio e allevato per qualche soldo. Eppure Paulo era<br />

stato un uomo <strong>di</strong> un certo rilievo, aveva una profonda saggezza e<br />

un grande riserbo e la particolare caratteristica <strong>di</strong> ricordare con<br />

precisione le date degli avvenimenti. Era la memoria vivente del<br />

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paese.<br />

Durante le varie stagioni, sempre all’alba, si recava nei campi<br />

altrui, dopo che i mezzadri avevano terminato il raccolto e, con<br />

pazienza e umiltà, raccoglieva le poche spighe sfuggite ai covoni,<br />

qualche frutto rimasto sull’albero, un grappolo d’uva nascosto<br />

da una foglia, qualche grana d’uliva rimasta tra l’erba. Questa<br />

era una legge non scritta che consentiva anche ai miserabili <strong>di</strong><br />

sopravvivere.<br />

Sui suoi vestiti le pezze si coprivano <strong>di</strong> ulteriori rammen<strong>di</strong> e i<br />

suoi pie<strong>di</strong> erano sempre scalzi. Durante l’inverno si metteva sulle<br />

spalle e attorno al collo un vecchio scialle nero smesso da una<br />

qualche vecchia. Non aveva mai posseduto un cappello e spesso<br />

guardando il lavoro dell’ombrellaio che veniva apposta al paese<br />

per cambiare le stecche rotte agli ombrelli, aveva tanto<br />

desiderato possedere almeno un ombrello per ripararsi dalla<br />

pioggia, invece, quando era necessario, gli toccava farsi un<br />

cappuccio con un vecchio sacco ripiegato che gli faceva anche da<br />

mantello.<br />

Nella buona stagione, una volta all’anno, arrivava al paese un<br />

carro carico <strong>di</strong> paglia e <strong>di</strong> ragazzi dalla testa rasata e denutriti; a<br />

cassetta sedeva un uomo ben pasciuto con una catena d’oro che<br />

gli traversava il panciotto. Il cavallo veniva alloggiato in una<br />

stalla e i ragazzi nel fienile.<br />

La mattina all’alba cominciavano ad arrivare le se<strong>di</strong>e da<br />

rimpagliare e sulla piazza del paese i poveri ragazzi si<br />

adoperavano alacremente ad attorcigliare la paglia nuova o sfare<br />

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la vecchia, il tutto sotto lo sguardo non certo paterno<br />

dell’ambulante.<br />

Paulo sapeva bene interpretare nei loro gran<strong>di</strong> occhi straniti<br />

la paura, la fame, il ricordo della loro famiglia, ma nulla poteva<br />

perchè i suoi pie<strong>di</strong> erano scalzi come i loro con la <strong>di</strong>fferenza che<br />

la loro giovinezza poteva ancora farli sperare in un futuro<br />

migliore.<br />

Alla fiera del paese Paulo avrebbe voluto comperarsi, come<br />

tanti altri, un paio <strong>di</strong> occhiali e una volta aveva avuto anche il<br />

coraggio <strong>di</strong> avvicinarsi alla bancarella e nel provarsene<br />

velocemente un paio aveva scoperto un mondo <strong>di</strong> piccole cose.<br />

Quanto avrebbe desiderato possederli poter osservare tante<br />

piccole meraviglie!<br />

La cosa più <strong>di</strong>fficile per lui era infilare il filo nella cruna<br />

dell’ago, quando doveva rammendare qualche strappo e per<br />

questo chiedeva sempre aiuto a qualche bambino che gli passava<br />

accanto.<br />

Oggi i pie<strong>di</strong> scalzi <strong>di</strong> Paulo non lasciano più orma sulla neve<br />

fresca, così come i gusci delle pannocchie non gli fanno più da<br />

giaciglio; i bambini, nel volger degli anni dopo la sua scomparsa<br />

non si sono mai più avvicinati a quella porta rimasta socchiusa,<br />

anzi timorosi e impauriti hanno imparato a sorpassare <strong>di</strong> corsa il<br />

portone <strong>di</strong> accesso all’aia nel timore <strong>di</strong> vederlo forse<br />

ricomparire.<br />

Nel piccolo cimitero sulla collina non c’è traccia della sua<br />

sepoltura, nessuno ricorda quando sia morto e quale fosse stato il<br />

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suo cognome. Nella grande storia stanno scritti tutti i nomi <strong>di</strong><br />

coloro che nel corso dei secoli si sono avvicendati nel possesso<br />

del paese, dagli antichissimi Obertenghi ai gran<strong>di</strong> Malaspina e ai<br />

più recenti Me<strong>di</strong>ci.<br />

Molti possidenti, talvolta arroganti e presuntuosi, sono vissuti<br />

con la prepotenza del danaro o del casato ma <strong>di</strong> nessuno è<br />

rimasta traccia nella piccola storia, quella che non è scritta sui<br />

libri ma rivive nel cuore e nella memoria dei semplici.<br />

E mentre il viandante percorre il vicolo anulare del paese,<br />

chiunque ancor oggi, col <strong>di</strong>to, gli sa in<strong>di</strong>care l’ara <strong>di</strong> Paulo.<br />

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LA SIGNORA<br />

C’era stato un tempo in cui la signora del castello, nei<br />

pomeriggi estivi, nel ricevere le amiche, amasse<br />

condurle nel giar<strong>di</strong>no all’ombra degli alberi, dove, in<br />

un luogo riparato alla vista degli estranei, era stato costruito nel<br />

bosso, un piccolo bersò.<br />

Anche quel giorno ella le aveva fatte accomodare sotto gli<br />

alberi, poichè l’estate inoltrata tormentava ancora con<br />

un’insopportabile calura, e l’ombra scura <strong>di</strong> quel recesso<br />

ombroso era molto invitante.<br />

Il giar<strong>di</strong>niere con arte e pazienza aveva potato i rami del<br />

bosso sino a formare un capanno fresco nel quale erano<br />

sistemate <strong>di</strong>verse panche e se<strong>di</strong>li <strong>di</strong> ferro; le signore strette nei<br />

busti, i colletti chiusi da nastri in velluto, chiusi i ventagli, si<br />

erano sedute a godersi la frescura del luogo.<br />

Dalle piccole finestre aperte nel verde esse potevano,<br />

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nascoste, sorvegliare i figli che le avevano seguite in visita.<br />

I maschietti correvano <strong>di</strong>etro i cerchi che sospingevano con una<br />

bacchetta, mentre le bambine, dai fiocchi <strong>di</strong> taffetas tra i capelli,<br />

cullavano le loro bambole <strong>di</strong> porcellana. Talvolta, giocando, i<br />

fanciulli si scambiavano tra loro, lanciandoli con due<br />

bastoncelli, dei piccoli cerchi <strong>di</strong> legno che dovevano essere<br />

raccolti e infilzati al volo come nelle antiche giostre tra cavalieri.<br />

Nessuno si era mai saputo spiegare perchè i figli dei ricchi<br />

fossero anche sempre così belli.<br />

Quel giorno la signora era particolarmente felice, perchè<br />

erano state ormai fissate le nozze del suo primogenito. Questo<br />

era quin<strong>di</strong> l’argomento che interessava le signore; per l’erede<br />

della casata ci sarebbero stati gran<strong>di</strong> festeggiamenti e sarebbero<br />

intervenuti anche molti ospiti blasonati.<br />

La signora si sarebbe preoccupata delle toilettes e del<br />

ricevimento, mentre il marito avrebbe calcolato quante quarete<br />

<strong>di</strong> grano avrebbe dovuto <strong>di</strong>stribuire ai poveri per questi sponsali,<br />

come era in uso in <strong>Lunigiana</strong> presso le famiglie ricche.<br />

La signora amava la futura nuora che era bruna ed elegante,<br />

<strong>di</strong> buona famiglia, anzi era l’erede <strong>di</strong> ricchi posse<strong>di</strong>menti<br />

nell’alta <strong>Lunigiana</strong>; era anche bella e, quando a fianco del suo<br />

promesso cavalcava per i sentieri e le fratte, i conta<strong>di</strong>ni si<br />

fermavano a guardare la giovane coppia con muta ammirazione.<br />

Erano veramente due belle creature. La signora era<br />

innamorata del suo ragazzo che rispecchiava i canoni della<br />

bellezza maschile del tempo: alto, una bella testa <strong>di</strong> capelli, la<br />

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faccia bianca e rossa dall’espressione buona e sorridente,<br />

somigliante in tutto alla madre.<br />

La signora ne era fiera e, mentre preparava per il suo<br />

primogenito uno sposalizio degno del nome che portava,<br />

ritornava col pensiero a quando era giunta lei stessa al paese,<br />

giovane sposa in una grande famiglia. Aveva se<strong>di</strong>ci anni quando<br />

aveva conosciuto colui che avrebbe sposato <strong>di</strong> lì a qualche mese.<br />

Amici comuni avevano presentato il giovane bene alla<br />

famiglia <strong>di</strong> lei e, anche se li <strong>di</strong>videva un certo numero <strong>di</strong> anni,<br />

quando la sposa era entrata felice nella cappella del proprio<br />

palazzo per passare dal braccio del padre a quello dello sposo,<br />

aveva portato con sè una ricca dote fatta <strong>di</strong> palazzi, terre e<br />

gioielli.<br />

Quando la fanciulla fu giunta alla strada mulattiera per<br />

arrivare al paese dove avrebbe vissuto nella nuova famiglia, i<br />

conta<strong>di</strong>ni, che lavoravano come mezzadri le loro terre avevano<br />

fatto ala ad una bellissima sposa dall’aspetto quasi <strong>di</strong> bambina.<br />

La voce della sua bellezza si era sparsa in tutta la <strong>Lunigiana</strong>, e<br />

nessuno mai si era stupito che, contrariamente all’uso dei maschi<br />

della famiglia, il marito le avesse portato sempre grande amore e<br />

rispetto.<br />

Dopo le nozze, la sposa era entrata come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne in<br />

casa dei suoceri che l’avevano ben accolta e ben trattata.<br />

La giovane coppia aveva preso possesso del piano nobile, mentre<br />

i suoceri si erano ritirarati al piano superiore, chiamato<br />

genericamente “in castello”, perchè le stanze avevano le finestre<br />

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con le bifore e un avanzo <strong>di</strong> mastio era rimasto accanto alla<br />

cappella <strong>di</strong> famiglia nel giar<strong>di</strong>no pensile.<br />

La camera da letto della nuova signora aveva un’ anticamera,<br />

nella quale trovavano posto il lavamani e la commode, che si<br />

apriva sul salotto rosso attorno al quale erano <strong>di</strong>stribuite la altre<br />

camere da letto destinate ai loro futuri figli. Era stata arredata<br />

con mobili lussuosi che avevano sostituito quelli con lo stemma<br />

<strong>di</strong> famiglia che i suoceri avevano traslocato “in castello”. Il<br />

corredo era stato riposto nel grande arma<strong>di</strong>o e leggerissime<br />

tende <strong>di</strong> tulle ricamato erano state appese d<strong>avanti</strong> alle finestre.<br />

Il fotografo aveva immortalato le due coppie, la giovane e la<br />

vecchia, entrambe sedute; alle loro spalle, in pie<strong>di</strong>, avevano<br />

posato gli altri membri della famiglia che, per tra<strong>di</strong>zione, non<br />

avevano potuto sposare per non dover <strong>di</strong>videre il patrimonio.<br />

La giovane sposa aveva avuto in dono <strong>di</strong> nozze due orecchini <strong>di</strong><br />

brillanti dalla marchesa sua suocera la quale, a sua volta, li<br />

aveva portati in dote preferendoli ad un podere.<br />

Il nuovo signore si alzava all’alba per andare a caccia o a<br />

sorvegliare i mezzadri nel lavoro dei campi e, quando rientrava<br />

in casa, coglieva una rosa tea dal giar<strong>di</strong>no per omaggiare la<br />

giovane moglie. Questa, dopo essersi accu<strong>di</strong>ta nella persona,<br />

andava a sorvegliare che le domestiche facessero bene il loro<br />

lavoro, cucinava il pranzo consultando il libro <strong>di</strong> ricette, l’Artusi,<br />

avuto dalla madre, e nel pomeriggio raggiungeva la suocera che<br />

viveva ormai in compagnia del suo pappagallo, mentre il suocero<br />

cercava <strong>di</strong> rincorrere le domestiche più prosperose.<br />

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Con la suocera la sposina ricamava i gran<strong>di</strong> corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> lino<br />

che sarebbero serviti per il primogenito già gran<strong>di</strong>cello e per la<br />

bambina che pur piccola mostrava già un carattere forte e<br />

prepotente come quello del padre.<br />

La signora era una sposa molto felice e molto invi<strong>di</strong>ata.<br />

Col prossimo matrimonio, sapeva che anche lei avrebbe<br />

dovuto lasciare il piano nobile per lasciar posto alla nuova<br />

generazione <strong>di</strong> sposi, il fotografo avrebbe immortalato <strong>di</strong> nuovo<br />

entrambe le coppie e gli orecchini <strong>di</strong> brillanti sarebbero passati<br />

ai lobi della giovane nuora.<br />

Il problema invece sarebbe stata la presenza dell’antica<br />

signora, sua suocera, che, sopravvissuta al marito, occupava<br />

ancora “in castello”; tra l’altro, questa aveva anche assunto, negli<br />

ultimi tempi, un comportamento riservato, anzi schivo e triste.<br />

Non sarebbe stato facile, con lei, la coabitazione.<br />

Sua suocera da qualche tempo non aveva voluto più ricevere<br />

visite, non era più uscita <strong>di</strong> casa per le funzioni religiose e non<br />

aveva più frequentato il suo salotto.<br />

Da qualche tempo aveva preso a osservare a lungo il nipote, e<br />

quando le veniva chiesta una qualche spiegazione per questo<br />

strano comportamento, la nonna abbassava tristemente lo<br />

sguardo e si ritirava. Questo atteggiamento, che la impensieriva,<br />

la signora avrebbe voluto commentarlo con le amiche, ma<br />

temendo che potessero sorgere spiacevoli chiacchiere, non ne<br />

aveva fatto parola continuando a <strong>di</strong>alogare e a scambiare con<br />

loro sorrisi e complimenti.<br />

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Quando le amiche si furono accomiatate, la nuora era salita<br />

“in castello” per una breve visita alla suocera e l’aveva trovata<br />

seduta ad un tavolo d<strong>avanti</strong> al mazzo dei tarocchi.<br />

Nel piegarsi per baciarla, aveva gettato lo sguardo alla <strong>di</strong>stesa<br />

delle carte, poi, allarmata per quanto aveva potuto leggervi,<br />

aveva guardato gli occhi spaventati dell’anziana signora che<br />

velocemente aveva cercato <strong>di</strong> raccogliere le carte.<br />

La signora si era messa allora a sedere e, con apprensione le<br />

aveva chiesto <strong>di</strong> stendere un nuovo giro: ecco nuovamente la<br />

casa, la sventura, il picchiotto della porta, un uomo giovane della<br />

famiglia, la malattia, la morte.<br />

Ora conosceva il motivo della tristezza della suocera.<br />

Poco tempo sarebbe passato che una fulminea mortale<br />

malattia avrebbe cancellato le nozze e la vita del giovane erede e<br />

lei sarebbe <strong>di</strong>ventata la signora più commiserata <strong>di</strong> tutta la<br />

<strong>Lunigiana</strong>.<br />

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ZEFRA<br />

Zefra si era alzata come ogni altra mattina dopo aver<br />

scavalcato nel letto il bambino che le aveva dormito a<br />

fianco. Era abituata a tenere il suo ultimo nato dal lato<br />

esterno del letto anzichè all’interno, nel timore che il marito,<br />

girandosi durante la notte, inavvertitamente lo soffocasse. Ciò<br />

non era del tutto inusuale; lei aveva sentito parlare spesso <strong>di</strong><br />

simili <strong>di</strong>sgrazie.<br />

Aveva indossato il vestito che la sera aveva appeso ai pie<strong>di</strong> del<br />

letto e su questo aveva messo lo scialle che, incrociato sul<br />

d<strong>avanti</strong>, veniva fermato <strong>di</strong>etro i fianchi. Preso il mazzetto <strong>di</strong><br />

foglie secche che la sera <strong>avanti</strong> aveva posto vicino al fuoco ad<br />

asciugare l’ aveva posto nel fornello e col furminant aveva<br />

cercato <strong>di</strong> accenderlo per ottenere un pò <strong>di</strong> fuoco per scaldare il<br />

latte ai figli più gran<strong>di</strong>celli, che, grazie a Dio, quello piccolo<br />

prendeva ancora il suo.<br />

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Anche quella mattina, l’umi<strong>di</strong>tà aveva reso inservibili i<br />

fiammiferi, per cui Zefra sarebbe dovuta andare dalla vicina a<br />

chiedere in prestito un tizzo e sventolarlo per strada perchè<br />

potesse arrivare ad accendere le foglie secche nel suo focolare.<br />

Scaldato il latte, la donna aveva preso il piccolo lume ad olio<br />

e, dopo aver allungato con le <strong>di</strong>ta il paver perchè facesse più<br />

luce, lo aveva appeso al trave per rischiarare la stanza. Il paver<br />

era <strong>di</strong>ventato troppo corto e Zefra doveva ricordarsi <strong>di</strong><br />

sfilacciare un poco la coperta <strong>di</strong> cotone per procurarsene uno<br />

più lungo e anche <strong>di</strong> aggiungere altro olio al lume.<br />

Col prossimo raccolto, se la stagione fosse andata bene, il<br />

marito le avrebbe comperato alla fiera un lume nuovo, <strong>di</strong>verso da<br />

quello a olio: uno che aveva una rotellina, girando la quale, si<br />

sarebbe potuto ottenere più luce quando serviva.<br />

Preso il piccolo, la madre lo aveva sfasciato e aveva cercato <strong>di</strong><br />

pulirlo con gli stessi drapisei che gli aveva tolto, l’aveva avvolto<br />

in un grande rettangolo pulito <strong>di</strong> cotone che aveva ottenuto<br />

lacerando vecchie lenzuola, l’aveva riavvolto da capo a pie<strong>di</strong> con<br />

una fascia asciutta e, <strong>di</strong>versamente dalla consuetu<strong>di</strong>ne, gli aveva<br />

lasciato libere le braccia. Il piccolo, attaccato al petto, suggendo<br />

avidamente con la manina appoggiata al seno, gli occhi fissi in<br />

quelli della madre, aveva avviato il solito scambievole colloquio<br />

d‘amore.<br />

Zefra aveva voluto lasciare i suoi bambini con le braccia<br />

libere e non costrette dentro la fasciatura; era per lei una gioia<br />

osservarli mentre giocavano con le loro stesse mani e quando si<br />

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succhiavano un <strong>di</strong>to in attesa del pasto.<br />

Dopo la fasciatura, Zefra aveva baciato lo scapolare e con una<br />

spilla a balia lo aveva attaccato alla maglietta del bambino, lo<br />

aveva sdraiato nella piccola cuna per portarlo nei campi dove<br />

avrebbe dovuto andare a vangare nella mattinata. Intanto i bimbi<br />

più gran<strong>di</strong>celli si erano svegliati, ma non avevano alcuna voglia<br />

<strong>di</strong> scendere dal letto, malgrado la fame, perchè amavano stare<br />

nel tepore delle coperte e anche perchè sapevano che ci<br />

sarebbero stati anche per loro dei piccoli lavori da sbrigare: le<br />

pecore o la vacca da portare al pascolo, la legna da raccogliere<br />

per il focolare o l’erba per sfamare i conigli.<br />

I suoi figli avrebbero desiderato essere ricchi per poter<br />

dormire sino a tar<strong>di</strong> la mattina come solevano fare quelli che<br />

vivevano nella casa più bella sulla piazza del paese, loro invece<br />

avevano una casa piccola, posta nel vicolo e dovevano alzarsi<br />

all’alba per andare a lavorare. Sul portale, proprio sulla pietra<br />

che faceva da chiave <strong>di</strong> volta all’arco stesso, qualcuno, chissà<br />

quando, vi aveva scolpito un omino, forse un paggio o un<br />

guerriero, così loro avevano sperato che fosse proprio lo stemma<br />

<strong>di</strong> un ricco cavaliere che, tornando da terre lontane, li avrebbe<br />

resi favolosamente ricchi.<br />

Avevano viste spesso, scolpite in pietre più gran<strong>di</strong>, queste<br />

figure stilizzate e talvolta rozze, uomini con pugnali e donne con<br />

seni e collane, poste qua e là nei muri e nei campi; <strong>di</strong>ssotterrate<br />

dall’aratro, quelle figure un secolo dopo, sarebbero finite nei<br />

musei col nome <strong>di</strong> Statue Stele.<br />

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Spesso i suoi bambini puntavano il <strong>di</strong>to sull’omino del portale<br />

e chiedevano spiegazioni che lei non sapeva dare, così Zefra<br />

inventava per loro qualche piccola storia o recitava a memoria<br />

una filastrocca imparata a sua volta dalla nonna, una storia <strong>di</strong><br />

numeri progressivi in cui il primo era:” uno è il nome <strong>di</strong> Gesù<br />

Cristo <strong>di</strong> casa Emanuele evviva questo regno e sempre sia lodà,<br />

due sono i testamenti <strong>di</strong> casa Emanuele…., tre sono le persone<br />

dello Spirito Santo…, quattro gli evangelisti, cinque i profeti, sei<br />

le strade <strong>di</strong> Betlemme, sette le lampade <strong>di</strong> Gerusalemme…” e i<br />

suoi bimbi con gli occhi sgranati imparavano i numeri con le<br />

storie <strong>di</strong> luoghi lontani, <strong>di</strong> personaggi straor<strong>di</strong>nari che avevano<br />

ricevuto le Tavole della Legge, che erano vissuti eremiti nel<br />

deserto o avevano riconosciuto in un pastore un grande re. Zefra<br />

aveva la corona del rosario appesa al chiodo e tutte le sere,<br />

durante la veglia, seduta accanto al fuoco coi suoi figli, recitava<br />

il rosario mentre attendeva il marito che, per vendere spille e<br />

rocchetti <strong>di</strong> refe, girava <strong>di</strong> borgo in borgo fin oltre l’ arpa e<br />

quando rientrava raccontava loro sempre nuove storie <strong>di</strong><br />

briganti che incontrava sui valichi delle Apuane.<br />

Quel giorno i figli più piccoli tossivano, perchè si erano<br />

raffreddati cadendo nell’acqua.<br />

Era accaduto che tenendo il piccino nella cuna sotto il braccio<br />

e quello più gran<strong>di</strong>cello per mano, nel cercare <strong>di</strong> passare a<br />

guado il canale per andare a vangare nel campo, scivolando sulle<br />

pietre brinate, Zefra li aveva trascinati entrambi in acqua.<br />

Faceva freddo ed era corsa a casa a cambiarli col risultato <strong>di</strong><br />

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averli fatti ammalare e <strong>di</strong> aver anche perduto lei stessa mezza<br />

giornata <strong>di</strong> lavoro. Ma ormai era cosa fatta e Zefra sapeva che<br />

non si doveva piangere sul latte versato, così aveva deciso <strong>di</strong><br />

profittare della restante parte della giornata per stare a casa e<br />

fare il bucato.<br />

All’aperto, sull’angolo dell’aia, un grosso concone era alzato e<br />

appoggiato su due grosse pietre per consentire al ranno che<br />

fuorusciva dalla spina <strong>di</strong> essere raccolto in un secchio. Il ranno<br />

veniva scaldato nel grande lavegg che stava sul fuoco e, quando<br />

era caldo, doveva venire ripetutamente versato dall’alto sulla<br />

cenere che copriva i panni dentro il concone, finchè il bucato<br />

fosse pronto per essere sciacquato. L’aria era fredda ma il tempo<br />

aveva l’aria <strong>di</strong> mantenersi bello, così, posti i panni strizzati in<br />

una panera Zefra aveva pensato che all’indomani, sciacquati<br />

all’acqua corrente del canale e stesi sull’erba ad asciugare,<br />

avrebbero profumato <strong>di</strong> pulito il suo povero letto <strong>di</strong> foglie.<br />

Mentre le campane suonavano l’Angelus della sera la polenta<br />

era già scodellata sulla povera mensa. Nel vicolo si sentivano i<br />

campanacci delle vacche che passavano per rientrare nelle stalle<br />

e il vociare allegro dei ragazzi che si rincorrevano facendo<br />

scalpitare gli zoccoli sulle pietre del selciato.<br />

I figli, accorsi al primo richiamo, con le loro belle guance<br />

rosate, si erano seduti d<strong>avanti</strong> alla scodella in attesa della fetta<br />

fumante della polenta che la madre tagliava col filo <strong>di</strong> lana.<br />

Zefra li osservava con amore e, mentre la luce del sole si<br />

affievoliva, pensava che un altro giorno era passato e<br />

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sicuramente quelli a venire avrebbero portato sempre più gioia e<br />

serenità.<br />

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GIULIETTA<br />

La madre le aveva dato il nome <strong>di</strong> una delle sue sorelle<br />

così come, prima <strong>di</strong> lei, aveva chiamato le altre figlie<br />

coi nomi delle donne della sua famiglia.<br />

Giulietta era alta e bionda, perchè, <strong>di</strong>versamente dalla madre<br />

che era bruna, aveva ere<strong>di</strong>tato la bellezza e i colori del padre. Era<br />

cresciuta assieme alle sue sorelle, ne aveva <strong>di</strong>viso il pane e il<br />

letto; ogni sera le aveva sentite bisbigliare, loro che erano più<br />

gran<strong>di</strong>, dei loro pretendenti, degli sguar<strong>di</strong> che mandavano<br />

messaggi, degli appuntamenti al ballo la domenica.<br />

Durante la settimana, lei che era la più piccola, aveva il<br />

compito <strong>di</strong> portare, dopo la scuola, a pascolare le due vacche, la<br />

bionda e la mora, e mentre quelle lentamente brucavano l’erba<br />

con la loro lunga lingua nera, doveva preparare un piccolo fascio<br />

<strong>di</strong> legna da portare a casa la sera.<br />

Aveva con sè l’abecedario da leggere e il quaderno sul quale<br />

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scriveva i compiti con una matita copiativa.<br />

La mattina la madre le preparava il cavagnin con le fugazzine<br />

o le pattone che dovevano essere il suo pasto del mezzogiorno;<br />

Giulietta alle prime che erano fatte <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> granturco<br />

preferiva le altre che erano <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> castagne e quin<strong>di</strong> dolci.<br />

La madre impastava la farina <strong>di</strong> castagne con l’acqua,<br />

prendeva due foglie <strong>di</strong> castagno dal mazzo che aveva preparato<br />

nella stagione primaverile, le appaiava, vi versava la pasta molle,<br />

le ripiegava e le metteva accostate l’una all’altra nei testi <strong>di</strong> ghisa<br />

che aveva precedentemente fatto arroventare al fuoco sulle<br />

fascine. Quando i testi venivano scoperchiati il profumo delle<br />

pattone si spandeva nell’aria e Giulietta, pur scottandosi le <strong>di</strong>ta,<br />

ne prendeva subito una e dopo averla liberata dalle foglie la<br />

mangiava golosamente.<br />

Questo accadeva la sera quando la famiglia si riuniva per la<br />

cena e queste venivano servite calde con dentro la ricotta che la<br />

madre ricavava dal siero del latte quando faceva il formaggio.<br />

La madre, che sapeva quanto le piacessero, gliene conservava<br />

alcune per il pranzo dell’’indomani.<br />

Giulietta nel cestino, assieme al cibo, metteva i calzetti o gli<br />

scapinei con i ferri che la madre le aveva iniziato e che lei doveva<br />

finire entro sera; talvolta metteva anche calze bucate da<br />

rammendare.<br />

Un giorno, che aveva lasciato incostu<strong>di</strong>to il cestino, aveva<br />

visto una vacca che si era mangiata il gomitolo <strong>di</strong> lana nel quale<br />

lei aveva infilato il grosso ago da rammendo. Le aveva preso il<br />

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panico.<br />

Ben sapeva che entro poco tempo l’ago avrebbe perforato<br />

l’intestino dell’animale e suo padre, dovendolo sotterrare<br />

avrebbe cercato e trovato la causa della morte.<br />

Lo spavento della punizione era pari alla preoccupazione del<br />

danno che avrebbe subito la sua famiglia con la per<strong>di</strong>ta della<br />

vacca.<br />

Si era buttata in ginocchio sulle ricce delle castagne e con le<br />

ginocchia sanguinanti aveva fatto solenne voto che ogni sera, se<br />

l’animale non fosse morto, avrebbe recitato tre pater ave gloria<br />

alla Madonna <strong>di</strong> Loreto. L’animale non era morto e dopo poco la<br />

vacca era stata anche venduta ma lei aveva deciso <strong>di</strong> perseverare<br />

nel suo voto fino alla morte.<br />

Era iniziato forse da questo episo<strong>di</strong>o il particolare<br />

comportamento <strong>di</strong> Giulia che aveva vissuto, la sua giovinezza<br />

prima e il resto della sua vita poi, con un comportamento quasi<br />

maniacale. Alla vita spensierata scelta dalle sorelle aveva scelto<br />

quello della compostezza e della riservatezza.<br />

Aveva cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare l’amore che nutriva per un<br />

giovane che, innamorato, le faceva dolci serenate dall’aia vicina<br />

e a dormire accanto alla nonna con la quale ogni notte <strong>di</strong>ceva il<br />

rosario e che le aveva anche assicurato, che se fosse stato<br />

possibile, sarebbe ritornata a lei dal mondo dei morti per farsi<br />

rivedere.<br />

Assieme alla nonna aveva recitato le preghiere, frequentato la<br />

chiesa del paese per mettere fiori sull’altare, spazzato il<br />

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pavimento, lavato le tovaglie degli altari e lucidato i candelieri.<br />

Assieme avevano preparato il presepe ed il sepolcro e<br />

naturalmente avevano assistito alle messe e fatto penitenza in<br />

quaresima.<br />

Giulietta era <strong>di</strong>ventata rigorosa nell’osservanza religiosa:<br />

comunicarsi il primo vener<strong>di</strong> del mese, mangiare <strong>di</strong> magro nei<br />

giorni prescritti e osservare il <strong>di</strong>giuno.<br />

Forse avrebbe scelto la strada del convento se qualcuno avesse<br />

potuto darle in<strong>di</strong>cazioni. La madre, intuendo in quella tendenza<br />

un possibile pericolo, era riuscita a in<strong>di</strong>rizzarla al matrimonio,<br />

l’aveva spinta a sposare un cugino, figlio <strong>di</strong> una sorella, che<br />

viveva nel paese vicino.<br />

Giulia si era lasciata convincere e dopo il matrimonio aveva<br />

cominciato una vita <strong>di</strong> sposa in casa della suocera che,<br />

ovviamente, le voleva bene per il duplice motivo <strong>di</strong> esserle anche<br />

zia.<br />

La sua vita appariva serena e così sarebbe parsa agli occhi <strong>di</strong><br />

tutti, se non fosse stato per l’eccessivo ardore che metteva nella<br />

frequentazione delle funzioni religiose e che lasciava indovinare<br />

quello che mai Giulietta avrebbe rivelato ad alcuno: una totale<br />

infelicità.<br />

Non frequentava nessuno, non aveva amiche. Usciva per fare<br />

la spesa e subito ritornava a casa.<br />

Nei giorni <strong>di</strong> primavera aveva preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> salire sulla<br />

collina verso il santuario e, mentre percorreva la mulattiera,<br />

recitava il rosario.<br />

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Talvolta si univano a lei le ragazze che recitavano novene per<br />

trovare marito; altre volte andava a trovare la madre e, in<br />

alternativa, al piccolo cimitero per pregare sulla tomba <strong>di</strong> quella<br />

nonna che, dopo morta, non le era riapparsa mai, nemmeno in<br />

sogno.<br />

In tutti gli altri giorni stava seduta d<strong>avanti</strong> alla porta <strong>di</strong> un<br />

piccolo terrazzo che spaziava alto sul fiume e sulla pianura<br />

antistante.<br />

Nessuno lassù poteva vederla. Nessun testimone della sua<br />

<strong>di</strong>sperazione. Mentre guardava l’acqua scorrere sotto il ponte,<br />

avrebbe voluto essere trascinata via lontano, <strong>di</strong>menticare,<br />

morire.<br />

Tali erano state per lei le delusioni nel matrimonio, la<br />

solitu<strong>di</strong>ne che si era imposta e il rigore delle penitenze, che,<br />

quando era giunta per lei l’ora della morte, l’aveva accettata con<br />

sollievo, quasi con la certezza che la vita nell’al<strong>di</strong>là non avrebbe<br />

potuto essere peggiore <strong>di</strong> quella che aveva vissuto.<br />

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MARIA e VERGIÒ<br />

Arrivavano, la domenica mattina, dalla corte vicina per<br />

scure.<br />

assistere alla messa cantata. Erano entrambi alti e<br />

molto magri, quasi allampanati; due gran<strong>di</strong> ombre<br />

Maria vestiva <strong>di</strong> nero, estate e inverno, con abiti dalle<br />

maniche lunghe. Nessuna donna <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> sarebbe andata a<br />

messa con abiti dalle maniche corte, assolutamente mai si<br />

sarebbe presentata in chiesa con la men che minima scollatura e<br />

senza velo in testa.<br />

Anche le ragazze dovevano mettersi uno scialle sulle spalle<br />

per coprirsi le braccia nude, ed era tollerato per loro un velo<br />

bianco e anche un piccolo fazzoletto, ma il capo scoperto mai,<br />

perchè il prete le avrebbe vergognosamente fatte uscire dalla<br />

chiesa.<br />

Maria portava calze <strong>di</strong> lana nera fatte in casa, scarpe col<br />

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tacco basso, stringate e nere, che parevano da uomo e forse erano<br />

proprio del marito. Un fazzolettone, anch’esso nero, cercava <strong>di</strong><br />

raccogliere e trattenere i suoi lunghi capelli che, sempre folti e<br />

inanellati, ancora adesso, ai lati del viso, fuoruscivano<br />

ostinatamente in grossi boccoli grigi.<br />

L’abito nero era stato scelto con piccoli puntini grigi proprio<br />

con l’intenzione <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re allo sguardo <strong>di</strong> rilevare segni <strong>di</strong><br />

polvere o qualche rammendo.<br />

Tra le mani, quando veniva in chiesa, aveva sempre la corona<br />

del rosario e il libro della messa.<br />

Forse Maria non sapeva leggere e il messale era del tutto<br />

superfluo, ma la domenica era d’obbligo portarlo assieme al velo<br />

nero, col quale si sarebbe coperta il capo, come tutte le altre<br />

donne.<br />

Vergiò le camminava accanto. Anzi si potrebbe <strong>di</strong>re che Maria<br />

camminava, contrariamente all’uso <strong>di</strong> quel tempo, a fianco del<br />

suo Vergiò.<br />

L’uomo era straor<strong>di</strong>nariamente alto e ossuto. Il cappello nero<br />

e sformato copriva una can<strong>di</strong>da capigliatura folta e arricciata; i<br />

suoi lunghi baffi, con le punte rivolte all’in sù, denotavano la<br />

cura con cui egli sapeva custo<strong>di</strong>rseli.<br />

Anche lui indossava l’abito della festa; il panciotto<br />

rigorosamente nero, anzi lo era stato, ma ora era <strong>di</strong>ventato molto<br />

stinto e consumato negli orli. Nei calzoni erano modellati i segni<br />

delle ginocchia e la sua camicia chiara, ma senza un colore<br />

definito e piuttosto stropicciata, era decorosamente abbottonata<br />

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al collo.<br />

Quelli erano gli abiti che avevano indossato al momento del<br />

matrimonio e in circostanze particolari, ed entrambi sapevano<br />

che sarebbero stati anche quelli che avrebbero indossato dentro<br />

la bara. Farsi una muda <strong>di</strong> drappi nuova era stato impossibile in<br />

tutti gli anni passati e per il futuro del tutto impensabile.<br />

Quando si erano conosciuti, tanto tempo prima, era stato in<br />

un paese piuttosto lontano in una fiera importante.<br />

La chiamavano la fiera <strong>di</strong> San Ginesio e si svolgeva d’estate<br />

sotto le frasche <strong>di</strong> un grande castagneto che tutti <strong>di</strong>cevano che<br />

fosse sempre esistito e dove popoli antichi si riunivano per<br />

combinare matrimoni e svernare.<br />

Nella Selva <strong>di</strong> Filetto sarebbero stati poi rinvenuti reperti<br />

archeologici che avrebbero avvalorato i detti dei vecchi, e le<br />

Statue Stele del museo del castello del Piagnaro sono oggi<br />

contrassegnate coi nomi <strong>di</strong> Filetto primo, Filetto secondo…<br />

I castagni che tutt’oggi costituiscono la Selva appaiono più<br />

che centenari; ve ne è poi uno, in particolare, che viene chiamato<br />

“il castagno <strong>di</strong> Dante”.<br />

Quando si erano conosciuti Maria era giovane e snella e i suoi<br />

capelli neri le ricadevano sulle spalle in morbide volute. Vergiò<br />

era alto e forte e quando rideva i suoi baffi incorniciavano una<br />

bella chiostra <strong>di</strong> denti.<br />

Nel bosco ombroso i due giovani si erano cercati con gli occhi<br />

e quando Vergiò si era persuaso dell’interesse che suscitava in<br />

Maria, aveva cercato <strong>di</strong> sapere da quale paese provenisse e subito<br />

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era andato a chiederla in moglie.<br />

Allora non c’era tempo da de<strong>di</strong>care agli svaghi amorosi, si<br />

doveva guardare se la donna aveva una dote, se l’uomo sarebbe<br />

stato in grado <strong>di</strong> mantenerla, se viveva sui suoi campi o se era<br />

mezzadro e <strong>di</strong> chi, poi si andava dal parroco del paese per<br />

informazioni, e per finire il giovane si presentava alla famiglia<br />

della ragazza e la chiedeva in sposa.<br />

Dopo il loro matrimonio nessuno più aveva ricordato <strong>di</strong> quale<br />

paese Maria fosse originaria nè quale fosse stato il suo cognome,<br />

quin<strong>di</strong>, per <strong>di</strong>stinguerla dalle innumerevoli omonime, venne<br />

chiamata semplicemente la Maria <strong>di</strong> Vergiò.<br />

Di lui sapevano tutti che possedeva un asino che gli serviva<br />

per trasportare la legna e il carbone dai boschi mentre lei<br />

accu<strong>di</strong>va i campi, l’orto e le galline.<br />

Vergiò faceva il taglialegna; andava sui monti col suo asinello<br />

e per qualche tempo si fermava a dormire nei boschi per<br />

accumulare la legna tagliata e per fare il carbone.<br />

Egli sapeva come si <strong>di</strong>sponeva la legna nella carbonaia,<br />

perchè una volta ricoperta <strong>di</strong> terra la catasta,questa, bruciando<br />

in assenza <strong>di</strong> ossigeno, si sarebbe trasformata in carbone da<br />

portare al mercato. Egli sapeva lasciare liberi giusti spazi interni<br />

per creare fumarole dalle quali sarebbe fuoruscito il fumo e<br />

quanto tempo sarebbe occorso al carbone per raffreddarsi prima<br />

<strong>di</strong> togliere la terra che lo ricopriva. Quando il carbone era<br />

pronto, per venderlo, lo trasportava in paese e talvolta anche in<br />

città chiuso dentro sacchi legati al basto del suo asinello.<br />

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Passava molto tempo lontano da casa; sui monti per accu<strong>di</strong>re<br />

le carbonaie e in viaggio per andare a vendere in città, ma<br />

quando era a casa, ogni domenica, Vergiò con la sua Maria,<br />

arrivava lungo la mulattiera; entravano in chiesa, lui dalla parte<br />

degli uomini <strong>di</strong>etro l’altare, lei con le donne nelle panche,<br />

assistevano alla messa e all “ite missa est” si ritrovavano nella<br />

piazzetta del paese; insieme andavano all’osteria dove Vergiò<br />

offriva alla sua Maria un bicchiere <strong>di</strong> vino prima <strong>di</strong> rientrare a<br />

casa.<br />

Quello era stato l’unico lusso, l’unica concessione alla loro<br />

vita grama fatta <strong>di</strong> fatica e <strong>di</strong> stenti.<br />

Quando apparivano, sempre insieme, era una gioia constatare<br />

come una coppia, ancorchè senza figli, potesse vivere un<br />

rapporto <strong>di</strong> costante serenità e reciproco affetto, ed ancor più<br />

stupefacente era stato risapere che Maria, dopo le nozze e in<br />

seguito per sempre, alle richieste maritali <strong>di</strong> Vergiò, si era<br />

rifugiata <strong>di</strong> corsa nel fienile e col forcone in mano, puntato al<br />

suo Vergiò, gli aveva ripetuto: “ven su se t’ghe coragh”.<br />

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T u<br />

FILOMENA<br />

tti la chiamavano Filomena, ma il suo nome era<br />

Maria.<br />

Al tempo in cui era nata era quasi sempre il prete a<br />

decidere il nome al battesimo e quello per non sbagliare<br />

imponeva il nome della Madonna.<br />

Talvolta le madri protestavano:” a lu, a go già una fiola cla s’<br />

chiam Maria” e il prete concedeva allora un altro nome pur che<br />

fosse semplice e <strong>di</strong> famiglia. Così, per <strong>di</strong>stinguerla dalle altre, e<br />

non essendo ancora maritata, avevano cominciato a chiamarla<br />

Filò.<br />

Abitava con la sua famiglia in un paese sperduto tra le colline<br />

che si susseguivano, sempre più in<strong>di</strong>stinte, fino ad un’alta catena<br />

<strong>di</strong> monti.<br />

La sua casa era tra il vicolo del paese e l’angolo della piazza.<br />

Su un esiguo ballatoio, d<strong>avanti</strong> all’ingresso, poteva trovar posto<br />

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una se<strong>di</strong>a; <strong>di</strong>etro una stalla, la cantina e l’orto.<br />

In un basso muricciolo che recintava l’aia, vi era stata murata<br />

una piccola maestà marmorea.<br />

Era un piccolo bassorilievo e, <strong>di</strong>versamente da quasi tutte le<br />

icone che rappresentavano invece la Madonna, questo portava<br />

scolpita la passione del Golgota col Cristo morto, Maria e<br />

S.Giovanni. Filomena a causa dell’abbigliamento, aveva<br />

scambiato il santo con un altra Maria, era quin<strong>di</strong> stata lieta del<br />

proprio nome che, nella vita, pensava, le avrebbe portato bene.<br />

Filò passava le giornate a lavorare i campi come il resto dei<br />

suoi famigliari; quando ritornava a casa la sera, e sempre che il<br />

tempo lo avesse permesso, sedeva su una se<strong>di</strong>a sul terrazzino a<br />

guardare le persone che che si aggiravano sulla piazza.<br />

Da tempo aveva adocchiato un bel ragazzo che si era<br />

trasferito dalla Toscana in <strong>Lunigiana</strong> e a lei era piaciuto, perchè<br />

le era parso, oltrechè bello, anche intraprendente, poichè,<br />

<strong>di</strong>versamente dai suoi famigliari, che avevano accettato <strong>di</strong> fare i<br />

mezzadri ad un ricco proprietario terriero, <strong>di</strong> lui si sapeva che<br />

era andato a cercare lavoro in città.<br />

Francesco, questo era il nome del ragazzo, era un giovane<br />

robusto con un bel paio <strong>di</strong> baffi e due gran<strong>di</strong> occhi neri. Erano<br />

proprio gli occhi a fare <strong>di</strong> Francesco un tipo affascinante. Aveva<br />

nelle iri<strong>di</strong> il colore mutevole dei castagni, dal verde al marrone, a<br />

seconda dell’umore e del tempo e nello sguardo una vivacità <strong>di</strong><br />

interesse per ogni cosa che lo circondava.<br />

Filò era alta e magra; i suoi capelli, raccolti in un nodo <strong>di</strong>etro<br />

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la nuca, erano castani e lisci; il naso un tantino aquilino. Non era<br />

certamente una bellezza e, per fortuna, nella sua <strong>di</strong>scendenza<br />

non era rimasta traccia della sua fisionomia, mentre gli<br />

straor<strong>di</strong>nari occhi <strong>di</strong> Francè si potevano riconoscere sin dalla<br />

prima volta che il neonato apriva gli occhi.<br />

La donna aveva anche il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> possedere un cattivo<br />

carattere tant’è vero che, in seguito, il nome <strong>di</strong> Filò era stato<br />

usato per definire un carattere impossibile.<br />

Certo in un qualche modo e per un qualche merito era<br />

riuscita a farsi sposare dal bel ragazzo e con lui era emigrata in<br />

città; era andata a vivere in una zona collinare, e lì erano nati i<br />

<strong>di</strong>eci figli che Filò aveva accu<strong>di</strong>to durante la giornata, durante il<br />

duro lavoro dei campi che la famiglia aveva a mezzadria.<br />

Francesco lavorava come operaio alla costruzione <strong>di</strong> un<br />

grande porto che sarebbe stato, nel secolo successivo, <strong>di</strong> grande<br />

importanza militare; Filò, per guadagnare qualche soldo in più,<br />

quando il marito rientrava la sera, era solita andare con lui, per<br />

qualche ora, in una cava <strong>di</strong> pietre a cielo aperto in una zona<br />

vicina.<br />

Era una donna forte e volitiva, laboriosa e straor<strong>di</strong>nariamente<br />

pulita.<br />

La prima figlia era stata chiamata, come al solito, Maria e la<br />

seconda per non ripetere il nome della primogenita e della<br />

madre era stata battezzata Assunta.<br />

I figli maschi, nati uno dopo l’altro, avevano avuto i nomi <strong>di</strong><br />

famiglia.<br />

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Il carattere particolare <strong>di</strong> Filò faceva sì che, spesso, gelosa<br />

dell’avvenenza <strong>di</strong> Francè, senza ragione alcuna, gli si scagliasse<br />

contro e lo picchiasse con un bastone; riusciva ad essere gelosa<br />

anche delle sue stesse figlie ed in particolare della sua stessa<br />

primogenita così come, poco maternamente, era solita<br />

manifestare la propria pre<strong>di</strong>lezione e la forte antipatia per uno o<br />

l’altro figlio.<br />

Durante la sua lunga vita e dopo la morte del marito, alcuni<br />

dei suoi figli non le sopravvissero: il giovane Umberto, che aveva<br />

ricevuto da lei più botte che pane, le era venuto a mancare a<br />

causa della tubercolosi e delle notti passate all’ad<strong>di</strong>accio quando<br />

lo chiudeva fuori <strong>di</strong> casa, e Dante il suo ultimogenito, da lei<br />

invece adorato, che era morto in guerra.<br />

Filò aveva passato gli ultimi suoi anni ora con uno, ora con un<br />

altro dei suoi figli, sempre mal sopportata a causa del suo<br />

terribile carattere.<br />

Il giorno della sua morte, alcuni parenti che circondavano il<br />

suo letto d’agonia, l’avevano sentita salutare Umberto, il figlio da<br />

lei tanto esecrato, e dopo un lungo colloquio, avevano capito che<br />

Filomena si era avviata con lui per un altro spazio.<br />

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TELLIO<br />

A<br />

v eva atteso la notte prima <strong>di</strong> rientrare in casa per<br />

non mostrare in paese il viso pesto dalle botte.<br />

L’umiliazione lo rimordeva assieme alla rabbia<br />

impotente dell’uomo, ormai privo <strong>di</strong> forze, alle soglie della<br />

vecchiaia.<br />

Si erano appostati fuori al buio e quando Tellio gli era passato<br />

d<strong>avanti</strong> lo avevano aggre<strong>di</strong>to e malmenato.<br />

Antichi rancori avevano concorso ad armare le mani, vecchi<br />

ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> soprusi e violenze subite un tempo da parte del signore<br />

del castello; quei tempi erano ormai lontani, ma la memoria era<br />

rimasta e la vendetta era spesso consumata su “un piatto<br />

freddo”.<br />

Era nato signore del castello e <strong>di</strong> tutte le terre che a vista<br />

d’occhio circondavano il paese. Alto e fisicamente molto forte,<br />

dal padre, prima <strong>di</strong> ogni proprietà, aveva ere<strong>di</strong>tato la<br />

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prepotenza. Adulti e bambini al suo passaggio si scostavano<br />

velocemente, apparentemente per rispetto, col timore invece <strong>di</strong><br />

subire qualche inaspettata punizione.<br />

Senza motivo alcuno il malcapitato che gli fosse arrivato a tiro<br />

avrebbe certamente subito una soperchieria. Era del tutto degno<br />

del padre che arrivava <strong>di</strong>rettamente a rapinare i propri mezzadri<br />

e cercava <strong>di</strong> appropriarsi con ogni mezzo dei beni altrui.<br />

Quando vendeva un pezzo <strong>di</strong> terra ad un conta<strong>di</strong>no, si<br />

limitava a firmare soltanto un compromesso con la promessa <strong>di</strong><br />

farne fare trascrizione da un notaio, ma in seguito si rifiutava <strong>di</strong><br />

presentarsi a sottoscriverlo e, alle ragionevoli proteste, il<br />

malcapitato era rabbonito con botte e ritorsioni varie per cui le<br />

proprietà, con gli anni, ritornavano sempre a lui.<br />

Quando trovava un in<strong>di</strong>viduo che sapeva resistergli, cercava<br />

<strong>di</strong> colpirlo a tra<strong>di</strong>mento colpendolo dall’alto, quando gli passava<br />

sotto le finestre, con un mattone o una tegola. Se poi finiva col<br />

rompere i denti a qualcuno con una scarica <strong>di</strong> botte gli era<br />

sufficiente tacitarlo con una damigiana d’olio, specialmente se il<br />

ferito aveva una famiglia numerosa.<br />

Era certamente un in<strong>di</strong>viduo temuto e pericoloso.<br />

Nella notte usciva <strong>di</strong> casa col fucile a tracolla per recarsi nei<br />

propri campi apparentemente a controllare i raccolti, ma in<br />

realtà a spostare i testimoni sui confini per ingran<strong>di</strong>re i suoi<br />

campi.<br />

Diversamente dalla Toscana in cui era in uso piantare un<br />

cipresso ai confini <strong>di</strong> ogni proprietà, era abitu<strong>di</strong>ne in <strong>Lunigiana</strong><br />

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sistemare, al posto dell’albero, una pietra centrale con altre due<br />

ai lati, orientate verso il testimone del lato opposto.<br />

Tellio aveva sposato, un pò in là negli anni, una moglie molto<br />

giovane e ricca, ma in compenso ancor più esperta <strong>di</strong> lui a<br />

derubare del giusto compenso chi lavorava per quella casa.<br />

Viveva nel castello con la coppia dei vecchi genitori: la madre<br />

marchesa, in compagnia dell’antico pappagallo che sapeva<br />

avvertire la padrona quando un estraneo si presentava fuori<br />

della sua stanza, e il padre, vecchio satiro che rincorreva le<br />

servotte e strappava le corde dalla spinetta secentesca quando<br />

aveva bisogno <strong>di</strong> un pezzo <strong>di</strong> filo.<br />

C’era Sante, lo zio, che non aveva mai potuto sposare perchè<br />

non poteva <strong>di</strong>sporre dei beni della famiglia e non aveva <strong>di</strong> che<br />

mantenere una moglie; l’asse patrimoniale non doveva essere<br />

<strong>di</strong>viso, il primogenito maschio <strong>di</strong>ventava <strong>di</strong> fatto l’unico erede<br />

per cui Sante, secondogenito, in casa, aveva solo il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> una<br />

stanza e del puro mantenimento.<br />

Valter, il fratello più giovane, stu<strong>di</strong>ava agraria all’Università<br />

<strong>di</strong> Pisa e, anche se, come voleva la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> famiglia, non<br />

avrebbe mai potuto vantare <strong>di</strong>ritti sulle proprietà e tantomeno<br />

sul castello, non ebbe a competere con Tellio perchè, ancor<br />

giovane e scapolo, era morto <strong>di</strong>ssanguato in un incidente <strong>di</strong><br />

caccia.<br />

Tellio, unico erede <strong>di</strong> un grande nome e <strong>di</strong> un cospicuo<br />

patrimonio, la mattina prima dell’alba, era già in pie<strong>di</strong> e coi cani<br />

al seguito se ne andava a caccia; nel pomeriggio, assieme al<br />

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fattore, si occupava della conduzione dei campi.<br />

Sapeva che era importante avere alla propria tavola il prete, il<br />

dottore e il maresciallo dei carabinieri, perciò li invitava spesso.<br />

Quando gli era morta la madre, aveva combinato in fretta un<br />

nuovo matrimonio per il padre con una maestra, gentile ma in là<br />

negli anni, onde evitare che l’arzillo vecchietto, pronto invece a<br />

sposare una giovane servotta, gli regalasse numerosi fratelli<br />

bastar<strong>di</strong>, certamente pronti, coi tempi che cambiavano, ad<br />

esigere una qualche parte <strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà.<br />

Astuto e prepotente, aveva l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> uccidere, con la<br />

fionda, piccioni e galline, non suoi, che gli fossero venuti a tiro.<br />

Senza il rumore dello sparo che avrebbe potuto mettere in<br />

allarme il proprietario, dopo averli colpiti, attendeva la notte per<br />

andare ad appropriarsene.<br />

Un maledetto giorno, per sbaglio, o per lo meno è preferibile<br />

pensarlo, con una pietra della fionda aveva colpito in un occhio<br />

una conta<strong>di</strong>na e l’aveva quasi accecata.<br />

Naturalmente la natura malvagia <strong>di</strong> Tellio aveva considerato il<br />

fatto del tutto trascurabile, ma così non era stato: la donna, c’è<br />

chi ancor oggi può ricordare, aveva maledetto colui che l’aveva<br />

colpita e gli aveva augurato la completa cecità.<br />

Poco tempo dopo aveva cominciato a non uscire più <strong>di</strong> casa; la<br />

famiglia non aveva fatto mai commenti, ma i rari ospiti che lo<br />

frequentavano avevano notato che l’uomo restava quasi sempre<br />

seduto e qualcuno doveva leggergli i documenti scritti.<br />

Se “la vendetta è un piatto freddo” c’è un proverbio che <strong>di</strong>ce:<br />

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“ciò che è fatto è reso”.<br />

Tellio era <strong>di</strong>ventato cieco.<br />

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Angiolina<br />

L<br />

a pergola gettava un’ombra invitante sull’aia dove<br />

Angiolina sedeva in quel caldo pomeriggio estivo; il<br />

suo pensiero andava al suo amato marito che<br />

quest’anno non era piu’al suo fianco a godere la frescura estiva<br />

della vigna; erano ormai sei mesi che giaceva sotta una lastra <strong>di</strong><br />

marmo nel piccolo cimitero poco lontano dal paese. Una<br />

fulminea malattia l’aveva sottratto alla loro semplice<br />

quoti<strong>di</strong>aneita’ fatta <strong>di</strong> stagioni, <strong>di</strong> annate buone e cattive, <strong>di</strong><br />

raccolti abbondanti e grami, <strong>di</strong> tetto da riparare ed estimo da<br />

pagare.<br />

Durante l’ultimo inverno forti temporali avevano spostato le<br />

piagne del tetto e quando pioveva l’acqua entrava a rovesci<br />

soprattutto nella prima stanza, quella d’angolo che dava verso il<br />

borgo, dove gli antichi travi, fortemente incurvati, lasciavano<br />

intravvedere il cielo attraverso le sconnessure.<br />

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Quella stanza era stata per lei il rifugio e il soggiorno <strong>di</strong> tutta<br />

la sua lunga vita <strong>di</strong> sposa. Una delle due finestre dava sulla via<br />

antistante la casa e l’altra <strong>di</strong>rettamente verso il borgo cosicche’<br />

lei, pur non uscendo <strong>di</strong> casa, da quell’altezza, vedeva e sentiva<br />

ogni cosa che avveniva nel paese.<br />

Dopo che le era morto il marito Angiolina aveva fatto<br />

chiudere quelle finestre con mattoni e grosse tavole <strong>di</strong> legno e<br />

mai piu’ aveva voluto abitare quella bella stanza che, si <strong>di</strong>ceva,<br />

fosse stata quella <strong>di</strong> una certa Irene, donna bellissima arrivata<br />

come lei da Treschietto ad abitare il palazzo che era stato la<br />

prima e piu’ bella casa <strong>di</strong> Jera.<br />

Nel corso dei secoli, ogni persona che transitava per il<br />

sentiero acciottolato <strong>di</strong> la’ dal fosso che costeggiava la casa,<br />

alzava gli occhi a guardare le strane pietre scolpite che avevano<br />

inserito nelle mura durante la costruzione del palazzo. Queste<br />

epigrafi erano innumerevoli e chiaramente <strong>di</strong> epoche <strong>di</strong>verse:<br />

piu’ recenti quelle <strong>di</strong> forma quadrata, piu’ antiche quelle<br />

rettangolari <strong>di</strong>sposte simmetricamente sul prospetto della casa.<br />

Incomprensibilmente le pietre erano state poste cosi’ in alto che<br />

era impossibile dalla strada leggervi anche una sola parola.<br />

Nell’ultimo secolo, dopo che il canale era stato ricoperto, era<br />

stata appoggiata una lunga scala per poter arrivare a vedere cosa<br />

vi fosse inciso; si <strong>di</strong>sse che fosse scritto in latino, ma a causa della<br />

scarsa conoscenza delle abbreviazioni, si decreto’ che fosse una<br />

lingua sconosciuta. In seguito si preferi’ <strong>di</strong>menticarle del tutto e<br />

nessuno se ne curo’ mai piu’.<br />

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Angiolina aveva subito visto quelle memorie <strong>di</strong> pietra e aveva<br />

accettato, come gli altri, la loro presenza senza aver potuto mai<br />

sapere, per tutto il corso della sua vita, cosa vi fosse scritto e chi<br />

ve le avesse collocate.<br />

Un tempo, i genitori del marito, le avevano detto che in quella<br />

casa vi aveva abitato un prete, il quale aveva voluto aggiungere<br />

due epigrafi alle <strong>di</strong>verse gia’ presenti sulla facciata, proprio ai<br />

due lati della stanza che a lei era sempre piaciuta, ma lei non<br />

aveva potuto mai vederle da vicino neanche sporgendosi dal<br />

parapetto dell’aia posta al terzo piano a fianco alla stanza. Certo<br />

era che le memorie <strong>di</strong> pietra sul prospetto erano <strong>di</strong>verse da quelle<br />

due che si <strong>di</strong>ceva fossero state aggiunte, anche perche’ le prime<br />

erano nate incastonate, mentre le ultime erano state ingraffettate<br />

e incorniciate da un decoro in stucco. Tutta la facciata della casa<br />

verso il canale mostrava ancora un intonaco molto stinto ma<br />

colorato in azzurro con affreschi attorno alle finestre e gli stessi<br />

architravi in facciata apparivano piu’ riccamente scolpiti,<br />

mentre il lato a est della casa sembrava reintonacato a malta solo<br />

al terzo piano attorno alle ultime memorie <strong>di</strong> pietra ingraffettate.<br />

Angiolina, malgrado l’eta’ avanzata, aveva conservato un<br />

aspetto dolcissimo; era garbata nei mo<strong>di</strong> e nel parlare. Portava<br />

un fazzoletto legato attorno al capo alla maniera conta<strong>di</strong>na per<br />

cui i capelli non si potevano vedere ma due gran<strong>di</strong> occhi azzurri<br />

le illuminavano il viso. La sua persona, coperta da un abito lento,<br />

stinto, con le maniche lunghe <strong>di</strong>mostrava oltre ottant’anni.Il suo<br />

corpo era molto magro e si faceva fatica a pensare che lei sola,<br />

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cosi’ piccola e minuta, avesse potuto accu<strong>di</strong>re un marito che nei<br />

mesi della malattia era <strong>di</strong>ventato molto grasso e pesante.<br />

Angiolina non aveva avuto figli ma nessuno l’aveva mai<br />

sentita dolersene. Aveva accettato la sorte cosi’ come il Signore<br />

aveva voluto.<br />

Era arrivata a ca’ Brunelli giovane sposa; era entrata in<br />

famiglia come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, aveva visto sposare i fratelli del<br />

marito i quali, in seguito, si erano allontananati dalla casa<br />

paterna che era destinata a suo marito, il primogenito.<br />

Aveva convissuto con i suoceri col rispetto dovuto, li aveva<br />

accu<strong>di</strong>ti con pazienza nella loro vecchiaia e nella morte, ne<br />

aveva curate le tombe a fianco dell’oratorio <strong>di</strong> S.Biagio nel<br />

piccolo cimitero del paese e infine aveva sepolto il marito a<br />

fianco ai suoceri.<br />

Da oltre sessant’anni, da quando aveva sposato, aveva<br />

faticosamente lavorato per sostenere quella grande casa, pur<br />

sapendo che, a suo tempo, avrebbe dovuto lasciarla ad altri.<br />

Angiolina non aveva mai saputo che in una delle memorie <strong>di</strong><br />

pietra JOSEPH BRUNELLI invocava: “POSTERI SISTITE LOCO<br />

HAEDES HAS ET MAENIA LABORIOSE CONSERVATAS SUSTINETE<br />

EGOMET NO MIHI SIC VOS NON VOBIS [AD OMNES]<br />

CALAMIT~ MDCCCIX”<br />

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MICHELE<br />

Il vecchio sedeva sul poggio erboso con lo sguardo rivolto<br />

alla stretta e lunga gola che saliva fino a raggiungere la<br />

cima dell’alpe.<br />

A destra e a sinistra il pen<strong>di</strong>o ripido dell’Appennino, ricoperto<br />

da un manto verde scuro <strong>di</strong> alberi, convergeva verso un ripido<br />

torrente che, malgrado fosse molto in basso e lontano, si sentiva<br />

<strong>di</strong>stintamente rombare.<br />

In certi punti, sui dorsali della costa, si <strong>di</strong>stingueva<br />

nitidamente dove gli alberi, più piccoli e meno ver<strong>di</strong>, avevano<br />

ricoperto le frane antiche.<br />

Piccoli nembi punteggiavano un cielo sereno.<br />

Michele quella mattina aveva attraversato il paese, come al<br />

solito, per recarsi alla fontana delle tre cannelle che <strong>di</strong>stava<br />

qualche centinaio <strong>di</strong> metri dall’ultima casa del paese. Un tempo<br />

era usata dai pastori per abbeverare le greggi, ora era <strong>di</strong>ventata<br />

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la meta quoti<strong>di</strong>ana della sua passeggiata.<br />

Giunto alla fontana, aveva visto questi tre potenti getti<br />

d’acqua che, tracimando dal lungo abbeveratoio, avevano<br />

allagato tutta la strada e si perdevano lungo il pen<strong>di</strong>o fino al<br />

torrente; aveva pensato, con tristezza, che un tempo lontano<br />

quell’acqua fresca e chiara era stata la fortuna per le mandrie<br />

che a primavera ritornavano all’alpe per la transumanza.<br />

Con una certa fatica, data la ragguardevole età, Michele si era<br />

chinato per bere; non aveva sete, ma l’acqua aveva un richiamo<br />

molto invitante ed egli aveva voluto immergervi anche le mani.<br />

Avrebbe voluto proseguire per il sentiero fino al vecchio mulino,<br />

ormai abbandonato, ma il torrente d’acqua che attraversava la<br />

strada glielo aveva impe<strong>di</strong>to, così era tornato sui suoi passi e, per<br />

passare il tempo, si era fermato a esaminare la maestà posta sul<br />

ciglio della strada.<br />

Una dolce Madonna col Bambino scolpita nel marmo era<br />

incassata in un volo <strong>di</strong> angeli intagliati nella pietra.<br />

Un profumo <strong>di</strong> erba nuova, <strong>di</strong> margherite e violette, <strong>di</strong> fresche<br />

foglie sui rami degli alberi denunciavano una primavera<br />

inoltrata.<br />

Michele aveva un ricordo vivido del giorno in cui era arrivato<br />

in quel paese, l’ultimo sull’alpe, dove la strada moriva e si viveva<br />

come nella Bibbia; il suocero, proprietario <strong>di</strong> greggi, la sera<br />

riempiva alcuni stazzi con le pecore e a lui, appena era arrivato<br />

giovane sposo in una famiglia <strong>di</strong> pastori, aveva chiesto <strong>di</strong><br />

mungerle.<br />

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Era stato felice <strong>di</strong> poterlo accontentare perchè a casa sua<br />

l’aveva fatto fin dall’età <strong>di</strong> sei anni, in quanto anche al suo paese<br />

al <strong>di</strong> là del costone appenninico si viveva <strong>di</strong> pastorizia.<br />

Non era mai andato a scuola, ma il prete ricambiava, con una<br />

specie <strong>di</strong> servizio scolastico che gli aveva permesso <strong>di</strong> imparare a<br />

leggere e scrivere, un aiuto per la conduzione delle proprietà<br />

della parrocchia.<br />

Era ancora bambino quando aveva visto il fratello maggiore<br />

riparare un muro della chiesa e inaspettatamente trovare una<br />

tomba col morto e un sacchetto <strong>di</strong> marenghi d’oro nella cassa.<br />

Il parroco aveva fatto imme<strong>di</strong>atamente sparire nelle sue tasche il<br />

sacchetto coi marenghi, ma al ragazzo era sempre rimasto in<br />

mente la bellezza del luccichio dell’oro.<br />

Nato sull’ arpa era <strong>di</strong>ventato alpino e sui monti aveva<br />

combattuto quando la patria glielo aveva chiesto. Aveva visto i<br />

suoi compagni uccisi dal fuoco del nemico. Li aveva visti cadere<br />

durante la drammatica ritirata <strong>di</strong> Russia e morire nei lunghi anni<br />

della prigionia ai confini della Mongolia.<br />

Si moriva <strong>di</strong> fame, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenteria, <strong>di</strong> tifo petecchiale e <strong>di</strong> botte,<br />

ma Michele era sempre riuscito a sopravvivere.<br />

Quando finalmente era riuscito a tornare a casa, si era<br />

guardato attorno; i tempi erano cambiati e non si poteva più<br />

vivere come al tempo della sua prima giovinezza. Quin<strong>di</strong>,<br />

abbracciata nuovamente la moglie, era ripartito per andare a<br />

lavorare in Francia; da là poi era passato in Argentina e in<br />

seguito, come Dio volle, il figlio cresciuto e la vecchiaia<br />

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assicurata, era rientrato nella sua casa, al fianco della sua donna,<br />

al suo paese. IL suo bel paese dai portali scolpiti, dagli architravi<br />

modanati, dalle Madonne marmoree nelle nicchie <strong>di</strong> pietra.<br />

Questo era il paese dei più bravi scalpellini <strong>di</strong> tutta la<br />

<strong>Lunigiana</strong> e non vi è un altro paese così riccamente arredato da<br />

queste straor<strong>di</strong>narie opere d’arte: ovunque protomi d’angelo e <strong>di</strong><br />

demoni, Madonne e cornucopie, angeli e simboli <strong>di</strong> rose celtiche<br />

o gigli fiorentini, a seconda che la dominazione del momento<br />

fosse lombarda o fiorentina.<br />

Michele era stato molto felice <strong>di</strong> tornare a passare gli ultimi<br />

giorni della sua fortunosa vita <strong>di</strong> uomo errante e già assaporava<br />

il piacere <strong>di</strong> vivere il resto dei suoi giorni nella sua casa, accanto<br />

al camino, coi nipoti tra le ginocchia ai quali raccontare della<br />

sua lunga marcia nella neve, dei fiumi che aveva attraversato,<br />

della prigionia ai confini della Mongolia.<br />

Stava seduto, coi suoi pensieri, sul ciglio del sentiero e<br />

guardava il cielo solcato da qualche piccolo cumulo bianco. In<br />

alto sulle vette ancora qualche ombra <strong>di</strong> neve. L’aria un poco<br />

frizzante, un grande silenzio.<br />

Ora, uscendo <strong>di</strong> casa, aveva attraversato come ogni mattina il<br />

paese; un paese silenzioso dalle porte sprangate e sulle quali un<br />

residuo <strong>di</strong> cartello portava la scritta “vendesi”. Di alcuni cartelli<br />

rimaneva qualche lembo strappato dal vento o dai proprietari<br />

quando, andandosene, avevano anche perduto la speranza <strong>di</strong><br />

trovare un compratore. Nello stretto borgo non c’era più ombra<br />

<strong>di</strong> vita e non solo umana. Non più il chiocciare delle galline nel<br />

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pollaio o l’abbaiare <strong>di</strong> un cane alla catena. Ma neppure l’ombra<br />

<strong>di</strong> un gatto o qualche altro segno <strong>di</strong> vita. Anche ora che sedeva<br />

sul ciglio del sentiero, Michele, non sentiva la presenza <strong>di</strong> altri<br />

animali, nè lo sfrecciare <strong>di</strong> rapaci e nemmeno il solito cinguettio<br />

degli uccelli.<br />

Da tempo questi suoni usuali avevano abbandonato la<br />

campagna circostante.<br />

Il piccolo cimitero del paese, nel quale avrebbe voluto<br />

riposare per sempre, stava franando sulla bella chiesa che,<br />

almeno per ora, non mostrava ancora segni <strong>di</strong> ce<strong>di</strong>mento, come<br />

pure il solido campanile <strong>di</strong> pietra sembrava ancora sfidare con la<br />

sua perpen<strong>di</strong>colarità ogni cattiva sorte.<br />

La chiesa, un tempo con le porte sbarrate, era ora aperta in<br />

ogni ora del giorno, i fiori freschi dei campi sull’altare a<br />

testimoniare la devozione delle due uniche famiglie rimaste<br />

ancora in paese.<br />

Due grosse frane avevano abbracciato il paese come in una<br />

morsa e lentamente lo facevano sprofondare.<br />

Michele aveva sempre visto le gran<strong>di</strong> voragini che<br />

inghiottivano gran<strong>di</strong> superfici <strong>di</strong> boschi sul crinale dall’altro lato<br />

del torrente, ma non avrebbe mai pensato che delle<br />

straitificazioni <strong>di</strong> gesso fossero presenti anche sotto il suo paese.<br />

Camporaghena, l’ultimo paese sull’alpe, era abitato dai più<br />

bravi scalpellini <strong>di</strong> tutta la <strong>Lunigiana</strong>; ogni casa aveva finestre e<br />

portale <strong>di</strong> pietra scolpita, in ogni casa, sulla facciata,<br />

un’immagine sacra e la data della costruzione. Per tutta la<br />

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lunghezza del borgo una fila <strong>di</strong> bellissimi portali stavano a<br />

testimoniare la bravura e l’amore che gli abitanti <strong>di</strong>mostravano<br />

al loro paese.<br />

Michele aveva avuto le prime avvisaglie del <strong>di</strong>sastro<br />

incombente, quando in un suo bosco improvvisamente gli alberi<br />

erano seccati. Le ra<strong>di</strong>ci, rimaste nel vuoto <strong>di</strong> una caverna<br />

formatasi per il degrado <strong>di</strong> uno strato sottostante, avevano fatto<br />

rinsecchire gli alberi in superficie; poco dopo tutto ciò che vi era<br />

sul suolo era stato inghiottito nella voragine.<br />

Michele sapeva che avrebbe dovuto andarsene molto presto e<br />

forse sperava <strong>di</strong> poter morire, lui che aveva tanto lottato per<br />

vivere, prima <strong>di</strong> assistere alla totale <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> quelli che<br />

erano stati tutti i ricor<strong>di</strong> della sua vita.<br />

Nessuno più poteva essere sepolto nel cimiterino che stava<br />

sprofondando; chiusi i portali del borgo, quelli non puntellati<br />

con il cartello “vendesi”e il paese deserto.<br />

Sempre seduto sulla sponda erbosa, Michele aveva continuato<br />

a fissare l’ultima casa del paese. La montagna le incombeva sopra<br />

paurosamente e gli abitanti, andandosene per sempre, nell’orbita<br />

vuota <strong>di</strong> una finestra, avevano posto il simbolo <strong>di</strong> Colui che,<br />

Unico ormai, avrebbe potuto fermarne la <strong>di</strong>struzione.<br />

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COLOMBA<br />

Stava seduta sulla grande terrazza e, in attesa che<br />

arrivassero gli ospiti, aveva tolto il portacipria dalla<br />

piccola borsa, si era specchiata e incipriata il viso.<br />

Annoiata, osservava con in<strong>di</strong>fferenza il panorama. Laggiù, un pò<br />

più in basso, il piccolo paese dominato dal castello e tutt’attorno<br />

la grande vallata della Magra solcata dal fiume. Le alture<br />

circostanti punteggiate da piccoli agglomerati <strong>di</strong> case che<br />

parevano stringersi l’una all’altra, qualche pieve solitaria e i<br />

ruderi <strong>di</strong> una torre quasi sepolti dal verde. Il panorama <strong>di</strong><br />

sempre.<br />

Ogni mattina svegliandosi aveva ritrovato le stesse immagini,<br />

gli stessi boschi, la stessa grande solitu<strong>di</strong>ne, e ogni notte sognava<br />

del suo bel mare e della vita elegante che aveva condotto sino al<br />

momento del matrimonio.<br />

Riandava col pensiero a quando con la sorella passeggiava sul<br />

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lungomare, ai suoi vestiti <strong>di</strong> taffetas, ai cappellini guarniti <strong>di</strong><br />

fiori e al parasole.<br />

Sognava la riviera, dove la primavera inoltrata portava<br />

sempre tiepi<strong>di</strong> refoli <strong>di</strong> vento dal mare, e dai muri dei giar<strong>di</strong>ni la<br />

mimosa traboccava prepotente con i suoi tralci solari. Il mare<br />

increspato era <strong>di</strong> un turchino acceso e piccole onde si<br />

infrangevano sulla barriera <strong>di</strong> scogli appena sotto la passeggiata.<br />

Colomba ricordava il momento in cui aveva preso coscienza<br />

<strong>di</strong> dover lasciare quei luoghi, così ameni e solatii, per relegarsi in<br />

un luogo sperduto <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> e ne era amareggiata, ma sapeva<br />

anche <strong>di</strong> doversi ritenere fortunata, per aver trovato marito, lei<br />

che si avviava ormai a rimaner zitella.<br />

Certamente la sorella era stata più fortunata <strong>di</strong> lei che<br />

sposando un ingegnere era rimasta a vivere in città e avrebbe<br />

condotto un’ elegante vita sociale.<br />

Colomba era decisamente brutta; era molto bassa <strong>di</strong> statura<br />

come se in lei la crescita si fosse arrestata sui do<strong>di</strong>ci anni. Il suo<br />

viso era allungato e gli occhi avevano un’espressione dura. Il suo<br />

carattere si era fatto sempre più <strong>di</strong>fficile e arrogante quando, col<br />

tempo, si era evidenziata tra le due sorelle una notevole <strong>di</strong>versità:<br />

brutta e sgraziata la prima quanto graziosa e garbata la seconda.<br />

Quando passeggiavano, accompagnate da una domestica che<br />

le seguiva a rispettosa <strong>di</strong>stanza, non poteva non notarsi la<br />

gran<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong>fferenza per cui le due sorelle in città erano<br />

commentate e conosciute da tutti.<br />

Colomba apparteneva ad una ricca famiglia ligure e per parte<br />

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<strong>di</strong> madre vantava anche un’ importante parentela: Giuseppe<br />

Mazzini; casualmente, dal matrimonio con un fiorentino<br />

trapiantato in <strong>Lunigiana</strong>, lei ne avrebbe ripreso il cognome.<br />

La sua famiglia era felice che il matrimonio fosse stato<br />

concluso, poichè trovare un marito a una figlia così brutta, era<br />

stata cosa non facile. Dopo ripetuti ripensamenti si era cercato in<br />

un’altra regione una persona adeguata e inconsapevole della<br />

notoria bruttezza <strong>di</strong> Colomba e dopo un certo tempo si era<br />

trovata la soluzione.<br />

Enrico era un ricco <strong>di</strong>scendente <strong>di</strong> una nobile famiglia<br />

fiorentina trapiantata in <strong>Lunigiana</strong> al tempo della dominazione<br />

me<strong>di</strong>cea, praticava l’arte del notaio, era buono e scapolo, ma era<br />

soprattutto miope.<br />

Si racconta ancora che era stato invitato da conoscenti<br />

comuni a casa della fanciulla e al posto <strong>di</strong> Colomba gli fosse stata<br />

fatta conoscere Luigia la bella sorella minore; la fanciulla era<br />

piaciuta e il promesso sposo era ripartito.<br />

Dopo poco la presentazione si era parlato <strong>di</strong> dote e fissata la<br />

data delle nozze che sarebbero state, per sicurezza, celebrate in<br />

<strong>Lunigiana</strong>, nella chiesa del palazzo dello sposo.<br />

Il gioco era fatto.<br />

Quando la sposa era arrivata all’altare coperta da can<strong>di</strong><strong>di</strong><br />

veli, celebrati gli sponsali, il buon uomo aveva capito <strong>di</strong> essere<br />

stato ingannato ma aveva preferito tacere e anzi, mai più aveva<br />

voluto commentare l’accaduto.<br />

Colomba aveva aveva apprezzato quella cerimonia sfarzosa. Il<br />

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284


marito non aveva badato a spese, come si conveniva ai signori del<br />

tempo e soprattutto perchè la chiesa era grande e non una<br />

semplice cappella gentilizia. Costruita al tempo della<br />

dominazione me<strong>di</strong>cea in <strong>Lunigiana</strong>, era stata eretta da un or<strong>di</strong>ne<br />

monastico, i Serviti, che aveva privilegiato le <strong>di</strong>mensioni della<br />

chiesa rispetto a quelle del convento annesso.<br />

Quando questo era stato trasformato in residenza signorile,<br />

del convento era rimasta la struttura, che, non essendo stata<br />

ampliata, aveva reso al confronto la chiesa monumentale.<br />

Per la cerimonia erano stati or<strong>di</strong>nati fiori e cere dalle più<br />

premiate <strong>di</strong>tte italiane e un allestito nel salone del palazzo un<br />

sontuoso banchetto.<br />

Colomba aveva apprezzato subito la ricchezza della famiglia,<br />

le molte domestiche, il “felice notte signoria” che le rivolgevano i<br />

conta<strong>di</strong>ni alla sera, i numerosi poderi e la grande bontà del<br />

marito.<br />

Col matrimonio la coppia aveva ottenuto la stanza da letto più<br />

grande, come in uso a quel tempo, mentre i suoceri erano andati<br />

ad occuparne un’altra, sempre al piano nobile, ma meno<br />

sontuosa.<br />

La stanza da letto degli sposi comunicava <strong>di</strong>rettamente con<br />

quella destinata alla balia e ai bambini piccoli.<br />

Colomba aveva presto partorito il suo primogenito ma, sorda<br />

alle richieste del marito che avrebbe voluto usare per il neonato<br />

un nome della tra<strong>di</strong>zione famigliare, aveva imposto quello <strong>di</strong><br />

Pierino.<br />

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Il carattere prepotente <strong>di</strong> Colomba non era il suo unico<br />

<strong>di</strong>fetto. Ella, con la conquista del matrimonio e la mancanza del<br />

<strong>di</strong>retto paragone con una donna più bella o più giovane nella<br />

casa, era <strong>di</strong>ventata molto vanitosa.<br />

Possedeva uno splen<strong>di</strong>do corredo <strong>di</strong> lino fatto ricamare dalla<br />

sua famiglia: camicie da notte e da giorno, corsetti, sottogonne e<br />

biancheria varia; le lenzuola <strong>di</strong> lino portavano ad<strong>di</strong>rittura il<br />

numero ricamato in rosso in un angolo, come pure era stato<br />

ricamato il numero nelle tovaglie e nei tovaglioli. Possedeva<br />

magnifici centri ricamati a punto inglese e a punto rinascimento<br />

e per le finestre aveva ten<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> organ<strong>di</strong>s ricamato.<br />

Tutto questo a Colomba non era bastato; la sua sete<br />

insaziabile <strong>di</strong> eleganza la portava ad or<strong>di</strong>nare tele <strong>di</strong> lino dalle<br />

più rinomate fabbriche italiane e straniere che venivano poi<br />

mandate ad un convento <strong>di</strong> monache perchè fossero ricamate.<br />

Or<strong>di</strong>nava un numero incalcolabile <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong> bellezza<br />

dalle più reclamizzate case <strong>di</strong> cosmetici; crème, ciprie, colonia e<br />

profumi, prodotti contro la caduta dei capelli.<br />

Arrivavano figurini <strong>di</strong> moda da Parigi dove Colomba si serviva<br />

per il proprio abbigliamento e cataloghi che proponevano un<br />

ampio assortimento <strong>di</strong> calze.<br />

Da Bologna le arrivava un invito personale da un atelier <strong>di</strong><br />

moda che le comunicava l’arrivo da Parigi delle ultime novità in<br />

fatto <strong>di</strong> cappellini per signora e signorine.<br />

Il marito non ebbe mai a rimproverarla per la grande<br />

quantità <strong>di</strong> denaro che Colomba <strong>di</strong>ssipava a piene mani, semmai<br />

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era ella stessa che, annoiata della vita poco brillante che<br />

conduceva, aveva preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> rimproverarlo e anche <strong>di</strong><br />

umiliarlo con il termine “piccagiun“ che, dalle sue parti al mare,<br />

aveva il significato <strong>di</strong> “buono a niente.”<br />

Colomba aveva anche un gran desiderio <strong>di</strong> frequentare il bel<br />

mondo per cui in ogni momento la grande casa era allietata da<br />

molti ospiti che vi soggiornavano a lungo e rallegravano con la<br />

loro presenza la sua monotona vita <strong>di</strong> padrona <strong>di</strong> casa.<br />

Tra gli ospiti che frequentavano quoti<strong>di</strong>anamente la casa<br />

erano da annoverarsi il parroco della parrocchia e gli altri del<br />

circondario, i quali, quando per una qualche festa religiosa si<br />

allestiva la grande chiesa, erano invitati a officiare cerimonie<br />

solenni alle quali usavano partecipare anche mezzadri e contado.<br />

Anche le feste e i ricevimenti privati erano assai frequenti e<br />

ben se ne rendeva conto il buon marito quando arrivavano i<br />

conti dai <strong>di</strong>versi fornitori.<br />

Ma a Colomba non bastava la devozione del marito, nè il<br />

confuso parlottio del suo piccino perchè, sempre annoiata da<br />

quoti<strong>di</strong>ane mansioni domestiche, preferiva oziare nei ricor<strong>di</strong> del<br />

passato.<br />

Non era una buona madre; il suo bambino era accu<strong>di</strong>to da<br />

una balia e lei quasi si <strong>di</strong>menticava della sua esistenza, presa<br />

com’era ad agghindarsi e profumarsi. E forse non ebbe a soffrire<br />

neanche quando il piccino, morì prima ancora <strong>di</strong> riconoscere in<br />

lei la mamma.<br />

Di Colomba oggi rimane un ritratto che per la sua bruttezza<br />

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nessun erede ha mai voluto; rimangono i resti del suo buon<br />

marito, sepolto vicino all’acquasantiera della grande chiesa e<br />

quelli del piccolo Pierino, che giace sotto una lastra bianca, al<br />

fianco della sorella, Pia Caterina detta Luisita.<br />

Sotto le arcate <strong>di</strong> pietra, ombrose e fresche, dove si <strong>di</strong>ce che si<br />

risentano i Salmi dei Serviti, <strong>di</strong>sperse le proprietà, le tra<strong>di</strong>zioni e<br />

le memorie, solo il vento sussurrerà ormai “ felice notte<br />

Signoria…”<br />

291


stra<strong>di</strong>ne quasi abbandonate portano ai piccoli cimiteri<br />

sperduti nei boschi <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong><br />

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qualche gra<strong>di</strong>no <strong>di</strong> pietra e un vetusto cancello <strong>di</strong> ferro<br />

appaiono d<strong>avanti</strong> a noi<br />

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alte file <strong>di</strong> cipressi ci accolgono sulla soglia<br />

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una croce leggera pare danzare nell’aria<br />

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l’alta erba e l’oblio nascondono ormai le tombe <strong>di</strong> molte<br />

creature scomparse anche dalla memoria<br />

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<strong>di</strong>gnitose croci <strong>di</strong> ferro, senza nome, che il tempo consuma, si<br />

confondono quasi tra le alte erbe<br />

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antiche lapi<strong>di</strong>, dove i secoli sono riusciti a cancellare ogni<br />

traccia <strong>di</strong> nome, restano mute testimoni <strong>di</strong> umili vite, <strong>di</strong> fatiche,<br />

dolore e povertà, <strong>di</strong> antiche storie e <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni perdute.<br />

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E L’OCCHIO SCORRE QUESTA DI CASTELLI<br />

ERMI TURRITA NOBIL TERRA; IL MAGRA<br />

PER UN GREMBO DI MONTI IN SINUOSO<br />

E LA RISPECCHIA.<br />

ARCO SI ADIMA<br />

Ceccardo Roccatagliata Ceccar<strong>di</strong><br />

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307


308


Bibliografia<br />

E. Branchi: Storia della <strong>Lunigiana</strong> Feudale – Forni E<strong>di</strong>tore<br />

Bologna, vol.III, pp.20,21,22,23.<br />

I Castelli della <strong>Lunigiana</strong>. A cura <strong>di</strong> P. Ferrari – E<strong>di</strong>zione<br />

Cavanna -Pontremoli 1927. Tav.6,pp.20,21,22.<br />

L’Aral<strong>di</strong>ca, fonti e meto<strong>di</strong>. A cura <strong>di</strong> Laura Galoppini – E<strong>di</strong>tore<br />

– La Mandragora, ( Giunta Regionale Toscana) e<strong>di</strong>zione fuori<br />

commercio da G. Sercambi.<br />

Le illustrazioni delle Croniche Lucchesi, commenti <strong>di</strong> O.Banti,<br />

E. Cristiani e De Simoni :Medaglioni Storici Pisani. 1932.<br />

Mappa planimetrica della <strong>Lunigiana</strong> ricordata da Almagia`:<br />

“Monumenta Italiae Cartographica”pag. 60-Acquerello su carta-<br />

Piante antiche dei confini del 1643- rappresentante i vari feu<strong>di</strong><br />

lunigianesi.<br />

309


INDICE<br />

Cenni storici sulla <strong>Lunigiana</strong> pag. 11<br />

Luisita ” 21<br />

Erina ” 33<br />

Margherita ” 43<br />

Maria ” 53<br />

Maddalena ” 61<br />

Romeo ” 71<br />

Il prete ” 79<br />

La bambina ” 89<br />

Laurina ” 97<br />

Anna Maria ” 105<br />

La serva ” 117<br />

L’infame ” 129<br />

La Maestra ” 141<br />

Genoveffa ” 151<br />

Anselmo ” 163<br />

Laura ” 175<br />

Paulo ” 185<br />

La signora ” 197<br />

Zefra ” 209<br />

Giulietta ” 221<br />

Maria e Vergiò ” 231<br />

Filomena ” 241<br />

Tellio ” 249<br />

Michele ” 259<br />

Colomba ” 271<br />

Bibliografia ” 301<br />

310


Prima e<strong>di</strong>zione agosto 2002<br />

Seconda e<strong>di</strong>zione settembre 2009<br />

Tipografia Digitale - Carrara<br />

311


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