You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
MEMORIE DI LUNIGIANA<br />
<strong>di</strong><br />
ADRIANA G. HOLLETT<br />
3
Foto e <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> A. G. Hollett ©<br />
4
a mio marito Reginald<br />
che con<strong>di</strong>vide l’amore per la mia terra.<br />
5
<strong>Lunigiana</strong>, terra <strong>di</strong> luna...<br />
6
SULLE TRACCE DI MEMORIE PERDUTE<br />
Le storie <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> raccolte e raccontate da Adriana Giorgi<br />
Hollett, sono il frutto <strong>di</strong> una lunga e laboriosa indagine nei luoghi<br />
della memoria che costellano questa antica “zona <strong>di</strong> confine”,<br />
arroccata e chiusa tra Liguria e Toscana.<br />
L’idea <strong>di</strong> questo lavoro, svolto sul doppio registro della<br />
documentazione fotografica e della scrittura, è nato nell’ambito<br />
del corso <strong>di</strong> “Teoria e metodo dei mass-me<strong>di</strong>a” dell’Accademia <strong>di</strong><br />
Belle Arti <strong>di</strong> Carrara, nell’anno accademico 1994-95.<br />
Il tema monografico <strong>di</strong> quell’anno era infatti “Le forme visive<br />
del racconto”: come si può raccontare una storia attraverso una<br />
sequenza <strong>di</strong> immagini, nel cinema, nel video, nella fotografia sia<br />
documentaristica che artistica.<br />
Da questo tema Adriana Giorgi Hollett, iscritta al corso, ha<br />
ricavato lo spunto e una metodologia operativa per dare un corpo<br />
organico, visivo e letterario, alla sua passione per la terra <strong>di</strong><br />
<strong>Lunigiana</strong> e le sue storie. Non tanto le storie ufficiali, quelle che<br />
sono depositate nei documenti noti e celebrate nella memoria<br />
storica collettiva, quanto piuttosto le vicende in<strong>di</strong>viduali, donne<br />
soprattutto, che hanno vissuto all’ombra <strong>di</strong> un quoti<strong>di</strong>ano spesso<br />
doloroso, quando non ad<strong>di</strong>rittura tragico, segnato dalla fatica o<br />
7
dalla costrizione.<br />
L’autrice descrive con tono <strong>di</strong>screto e un linguaggio semplice<br />
l’umiltà silenziosa che accomuna creature <strong>di</strong> epoche <strong>di</strong>verse, <strong>di</strong><br />
nobile lignaggio o semplici conta<strong>di</strong>ni, facendo trapelare il mistero<br />
<strong>di</strong> anime, delle quali oggi non si trova neanche più una lapide,<br />
solo pochi, scarsissimi, in<strong>di</strong>zi nella trasmissione orale e che solo<br />
l’immaginazione può ormai riempire.<br />
Sullo sfondo, un paesaggio oscuro e <strong>di</strong>fficile, che non conosce<br />
la soavità delle colline toscane, la ricchezza dei vigneti e degli<br />
uliveti, il calore <strong>di</strong> quel sole e l’accessibilità <strong>di</strong> quel mare.<br />
Una terra i cui frutti sono conquistati con il sacrificio più duro<br />
e dove la miseria è compagna <strong>di</strong> strada.<br />
Il tempo stesso scorre attraverso i secoli consumando le tracce<br />
del passato ma lasciando immutata la durezza del vivere.<br />
Ne sono emblemi - accuratamente scelti dall’occhio fotografico<br />
dell’autrice - le austere fortificazioni, i palazzi e i vicoli <strong>di</strong> pietra,<br />
con gli archi bassi, le prospettive labirintiche, i contrasti taglienti<br />
tra luce e ombra.<br />
Questo percorso a ritroso sulle tracce <strong>di</strong> memorie perdute è<br />
allora un modo per evocare con le parole e le immagini quelle voci<br />
<strong>di</strong> cui è ancora pieno lo strano silenzio della terra <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>.<br />
ANDREA BALZOLA<br />
Docente <strong>di</strong> “Teoria e metodo dei Mass Me<strong>di</strong>a”<br />
all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Carrara<br />
8
...SE NOVELLA VERA<br />
DI VALDIMAGRA, O DI PARTE VICINA SAI,<br />
DILLA A ME, CHE GIÀ GRANDE LÀ ERA<br />
9<br />
DANTE - Purg. VIII
Cenni storici sulla <strong>Lunigiana</strong><br />
La <strong>Lunigiana</strong> è una regione<br />
storicamente situata attorno<br />
al bacino della Magra. Abitata<br />
fin dal paleolitico da popolazioni<br />
liguri-apuane, sentì dapprima<br />
l’influenza della civiltà etrusca fino al<br />
177 a.C., quando subì la colonizzazione<br />
romana e da Luni, caposaldo importante<br />
e centro principale, prese il nome. Alla<br />
caduta dell’impero romano passò sotto i bizantini e, unita alla<br />
parte orientale della Liguria, formò la Provincia maritima<br />
italorum.<br />
Cedette poi all’invasione longobarda e venne aggregata al<br />
Ducato <strong>di</strong> Lucca. Tale aggregazione si mantenne anche sotto la<br />
dominazione dei Franchi nell’or<strong>di</strong>namento della marca<br />
carolingia.<br />
Oberto I, entrato in possesso della marca orientale ligure,<br />
staccò la <strong>Lunigiana</strong> dalla Toscana (951) per unirla ai comitati <strong>di</strong><br />
Genova e Tortona. Quando i posse<strong>di</strong>menti Obertenghi si <strong>di</strong>visero<br />
11
in quattro rami, Malaspina, Estensi, Pallavicini e Massa, la<br />
<strong>Lunigiana</strong> nel secolo XI <strong>di</strong>pese dai marchesi <strong>di</strong> Massa.<br />
Il dominio obertengo nella regione venne contrastato dai<br />
Vescovi <strong>di</strong> Luni che avevano già conseguito da Berengario (900),<br />
Ottone I (961), Ottone II (963), autorizzazioni sulle zone più<br />
ricche e popolose. Ai vescovi venne riconosciuto il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />
coniare moneta e giuris<strong>di</strong>zione oltre che sulla <strong>Lunigiana</strong>,<br />
sull’appennino parmense, sulle valli del Frigido e del Serchio,<br />
sulle isole Capraia, Gorgona, Palmaria e Tino. Questi loro <strong>di</strong>ritti<br />
temporali, esercitati sin dall’inizio del secolo, furono sanciti<br />
ufficialmente nel 1185 da Federico I.<br />
A seguito <strong>di</strong> ciò, si acuirono i contrasti con i Malaspina,<br />
finchè nel 1288 il vescovo<br />
Gualtieri decise <strong>di</strong> spostare la<br />
propria sede a Sarzana e ai<br />
Malaspina venne riconosciuta<br />
larga influenza su tutta la<br />
<strong>Lunigiana</strong>. Nei secoli successivi,<br />
XIII e XIV, si aggravò la crisi<br />
dell’autorità politica dei vescovi e<br />
a trarne beneficio furono le<br />
numerose, seppur frazionate,<br />
signorie malaspiniane.<br />
Castruccio Castracani nel I322<br />
tentò, senza successo, <strong>di</strong> unificare<br />
la regione sotto un unico dominio politico, così pure Spinetta<br />
12
Malaspina attorno al I334 , finchè nel secolo XV si definì una<br />
spartizione della <strong>Lunigiana</strong> tra i più forti stati confinanti: Milano<br />
asservì il pontremolese, Genova giunse fin oltre la Magra a<br />
Sarzana e Firenze ebbe Fivizzano, Bagnone e Castiglione del<br />
Terziero.<br />
Questa terra, pur essendo stata<br />
frazionata e associata a molteplici<br />
stati confinanti, conservò sempre<br />
una identità propria e in ogni<br />
borgo, in ogni paese rimasero usi e<br />
costumi pressochè identici. Questa<br />
terra verde <strong>di</strong> boschi come poche<br />
altre, costituita in maggior parte da<br />
zone collinari, si estendeva<br />
dall’appennino sino al mare.<br />
Durante la dominazione<br />
malaspiniana venne <strong>di</strong>visa, seguendo il corso della Magra, in<br />
Spino Secco alla sinistra e Spino Fiorito alla destra del fiume<br />
stesso.<br />
Sulle colline, sui dorsali selvosi, si creò un rosario <strong>di</strong> piccoli<br />
paesi e solitarie pievi. Sulle alture e sui valichi, oltre<br />
quattrocento tra castellari, torri e castelli sorsero a <strong>di</strong>fesa del<br />
piccolo territorio.<br />
Di loro più che le vecchie carte, risparmiate dal tempo,<br />
parlano ancora, con la voce dei secoli che li videro sorgere, le<br />
costruzioni turrite su cui è passata l’ombra della storia.<br />
13
Dovunque, allo sbocco delle valli, alla confluenza dei fiumi o<br />
lungo antichi percorsi, si levano ancora con la fierezza della loro<br />
origine e del loro passato e col fascino delle leggende fiorite<br />
attorno ad essi.<br />
Molti <strong>di</strong> loro sono ormai scomparsi e <strong>di</strong> alcuni non restano<br />
più che informi rovine, altri, rimaneggiati ad abitazioni private,<br />
hanno perduto l’aspetto e la loro struttura antica; solo qualcuno<br />
conserva ancora la massiccia soli<strong>di</strong>tà del tempo lontano con le<br />
salde mura sostenute da barbacani o da speroni a sghembo a<br />
<strong>di</strong>fendere dall’alto le piccole umili case raggruppate ai suoi<br />
pie<strong>di</strong>.<br />
Solitarie torri mostrano i gravi danni del tempo e le belle case<br />
torri, i borghi dai portali scolpiti, le piccole maestà ai crocevia<br />
14
delle mulattiere, oltre al degrado dovuto al tempo, mostrano<br />
spesso gli insulti dell’uomo. Le belle pietre squadrate, gli<br />
architravi modanati, i selciati<br />
intelligentemente ideati per il<br />
defluire delle acque sono stati, in<br />
alcuni luoghi, indecentemente<br />
ricoperti <strong>di</strong> cemento, così come gli<br />
intonaci colorati hanno fatto<br />
scomparire bellissime architetture<br />
<strong>di</strong> pietra.<br />
Il visitatore che percorre le<br />
strette strade <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, d<strong>avanti</strong><br />
a quelle vecchie pietre, segnate dai<br />
secoli, che conobbero storie <strong>di</strong><br />
terrore e <strong>di</strong> sangue, sogni <strong>di</strong> gloria e<br />
prevaricazioni, prepotenze e umiltà, fatiche e speranze, dolci<br />
episo<strong>di</strong> d’amore e poesia, si sente afferrare dal fascino delle<br />
memorie che risorgono dalla lontananza con la preziosità delle<br />
cose scomparse; ad ogni scorcio <strong>di</strong> panorama può trovare un<br />
piccolo agglomerato <strong>di</strong> case, ora sulla sommità della collina ora<br />
sulla sponda <strong>di</strong> un torrente; il primo mostra ancora<br />
orgogliosamente i ruderi <strong>di</strong> un mastio o <strong>di</strong> una torre, e più spesso<br />
quelli <strong>di</strong> un castello. L’edera avviluppa quelle antiche pietre, le<br />
oltraggia e le sorregge. Ovunque finestre, come orbite vuote,<br />
guardano il cielo attraverso i fitti rami dei rovi. Antichi cancelli,<br />
dove la mano dell’uomo ha creato opere irripetibili, sembrano<br />
15
pendere esanimi dai car<strong>di</strong>ni. Dai portali fatiscenti questi può<br />
intravvedere giar<strong>di</strong>ni interni dove le palme svettano ancora tra<br />
l’intrico <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato del sottobosco che spesso ha cancellato<br />
anche i vialetti e ricoperto le fontane. Sparsi sul territorio gli<br />
or<strong>di</strong>ni monastici hanno lasciato<br />
nei secoli il loro segno: i Serviti,<br />
gli Agostiniani, le Clarisse: i loro<br />
conventi sono ancora ben<br />
evidenti anche se spesso,<br />
rimaneggiati a residenze private,<br />
sono in completo abbandono; nei<br />
chiostri interni gli uccelli<br />
ni<strong>di</strong>ficano tra le volte e le acque piovane cadono in rivoli dai<br />
coppi del tetto. Le alte finestre delle chiesette e delle pievi<br />
mostrano, dai piccoli vetri rotti, i soffitti voltati e spesso<br />
riammodernati con stili successivi.<br />
Mentre percorre la <strong>Lunigiana</strong>, attraversando borghi e resti <strong>di</strong><br />
ruderi, il visitatore è pervaso da una suggestione strana. Nel<br />
grande silenzio che regna ancora in questi piccoli paesi poco<br />
raggiungibili e spesso del tutto deserti, negli stretti vicoli, in ogni<br />
luogo dove l’occhio si posa può leggere i segni del tempo.<br />
Osservando i castelli, le ville o le piccole case, il viandante non<br />
può non avvertire la prepotenza dei primi, l’agiatezza nei<br />
giar<strong>di</strong>ni delle ville e la <strong>di</strong>sperata miseria nelle povere casupole.<br />
Ovunque può trovare portali, stemmi, testine apotropaiche a<br />
guar<strong>di</strong>a dei morti nei cimiteri, protomi d’angelo o <strong>di</strong> demoni sui<br />
16
portali delle case posti a protezione dalle forze demoniache o dal<br />
malocchio, monogrammi <strong>di</strong> famiglie scomparse anche dal<br />
ricordo oltrechè dall’anagrafe, antichi stemmi aral<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> casati<br />
lombar<strong>di</strong> e fiorentini e molto più<br />
frequentemente il cartiglio INRJ a<br />
testimoniare la presenza <strong>di</strong> una<br />
canonica, o una croce anche se inusuale<br />
e strana.<br />
Tutt’attorno la campagna<br />
abbandonata mostra un intrico <strong>di</strong> alberi<br />
aggre<strong>di</strong>ti da liane rampicanti e piante<br />
parassite, mentre il fitto sottobosco<br />
impe<strong>di</strong>sce la vista e ancor più il<br />
passaggio dell’uomo. Chi si addentra<br />
in questo strano mondo incantato<br />
può ancora vedere il piccolo capriolo<br />
che fugge e poi si ferma per<br />
riguardare, così, come ai lati dei<br />
sentieri, la sera, si trovano cinghiali<br />
grufolanti, piccole volpi e grossi<br />
rospi. I rami adunchi dei rovi<br />
pendono sotto il carico delle more<br />
assieme a quelli della rosa canina e<br />
nei campi abbandonati vecchi alberi danno ancora qualche<br />
frutto. Ma trova la meraviglia della natura incontaminata nei<br />
fiori; specie quasi ovunque scomparse ammantano la <strong>Lunigiana</strong><br />
17
in primavera: il croco azzurro che cerca <strong>di</strong> farsi strada tra le<br />
foglie secche e i ricci delle castagne, poi primule, violette,<br />
ciclamini e qualche piccola orchidea selvatica nei prati che<br />
ancora rosseggiano <strong>di</strong> papaveri.<br />
In questo contesto <strong>di</strong> luoghi, rimasti quasi inalterati, è stato<br />
ancora possibile rievocare, anche attraverso le immagini, le<br />
Genoveffa e Anselmo Santini<br />
vicende umane <strong>di</strong> un tempo.<br />
In quei borghi sulle alture,<br />
costruiti con architetture<br />
circolari e archi <strong>di</strong> contrasto<br />
allacciati quasi sempre al<br />
castello o alle fortificazioni e<br />
negli stretti passaggi rettilinei<br />
tra le case nelle cittadelle<br />
fortificate <strong>di</strong> pianura, nelle<br />
piccole aperture, <strong>di</strong>fese da<br />
poderose grate, dove oltre al<br />
nemico non potevano entrare<br />
nemmeno i raggi del sole,<br />
rivivono piccole storie<br />
quoti<strong>di</strong>ane, in un contesto <strong>di</strong> usanze e <strong>di</strong> avvenimenti che nulla<br />
hanno avuto a che fare con le mischie feroci tra turriti castelli e<br />
ferrei signori della <strong>Lunigiana</strong> feudale, <strong>di</strong> cui molti hanno parlato.<br />
In quelle povere <strong>di</strong>more sembrano prender forma le ombre <strong>di</strong><br />
umili creature vissute in un contesto <strong>di</strong> grande miseria, <strong>di</strong> dure<br />
fatiche quoti<strong>di</strong>ane, <strong>di</strong> dolore, <strong>di</strong> rassegnazione e spesso<br />
18
<strong>di</strong>sperazione, che hanno segnato quell’epoca. Rivivono così la<br />
modestia <strong>di</strong> Luisita, la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> Erina, la <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong><br />
Margherita, la rassegnazione <strong>di</strong> Zefra, la saggezza <strong>di</strong> Paulo e<br />
l’umiltà <strong>di</strong> tanta povera gente ormai scomparsa, <strong>di</strong> cui non si<br />
ritrova alcuna traccia scritta e che trovo doveroso ricordare.<br />
19
LUISITA<br />
Pia Caterina, detta Luisita, questo è il nome dell’ultima<br />
Mazzini, nasce in Liguria ma viene subito portata a<br />
Castiglione del Terziero nella casa degli avi paterni,<br />
sulla collina all’Annunziata, e lì trascorre l’infanzia. Nella prima<br />
giovinezza, accompagnata dai genitori, va a Firenze per<br />
frequentare l’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti, appena istituita,<br />
<strong>di</strong>stinguendosi subito per le sue doti <strong>di</strong> pittrice forte e gentile.<br />
Tutto ciò era da considerarsi <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole per una signorina <strong>di</strong><br />
buona famiglia che durante le lezioni avrebbe visto posare i<br />
modelli nu<strong>di</strong>, ma lei non parve scandalizzarsi più <strong>di</strong> tanto.<br />
Rientrata alla S.S. Annunziata, Pia Caterina, aveva aperto il<br />
suo stu<strong>di</strong>o sulla terrazza panoramica della casa e,<br />
quoti<strong>di</strong>anamente, aveva ritratto il mondo che la circondava.<br />
Nelle sue tele rivivevano i colori della <strong>Lunigiana</strong>: il verde cupo<br />
dei boschi, quello chiaro dei germogli, le foglie arrossate delle<br />
21
vigne e quello argenteo degli ulivi, i suoi conta<strong>di</strong>ni al lavoro, “il<br />
ritorno dai campi”, “ l’i<strong>di</strong>llio autunnale ”, “ il primo frutto”.<br />
Ma era nei colori del cielo che la sua pittura si esaltava.<br />
I tramonti <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> hanno colori inusuali: l’azzurro si<br />
fonde col rosa e scolora nell’oro del sole quando lungo tutto il<br />
crinale degli Appennini, nel violazzurro delle vallate si stendono<br />
le prime ombre della sera.<br />
Aveva nella pittura un tocco forte, seppur delicato, come del<br />
resto era la sua stessa persona: una figura piccola e minuta, i<br />
capelli can<strong>di</strong><strong>di</strong>, raccolti morbidamente <strong>di</strong>etro la nuca come <strong>di</strong><br />
costume alle donne <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, incorniciano un volto non bello<br />
ma fine e severo, il sorriso accompagna una voce garbata.<br />
Prima e unica <strong>di</strong>chiarata “ Signora <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>” nell’anno<br />
1990, non porta mai gioielli e veste sempre abiti sobri.<br />
Amava molto la sua casa dalla quale si <strong>di</strong>staccava<br />
malvolentieri. Questa era stata ricavata dalla ristrutturazione<br />
dell’antico convento dei Serviti che giunti al Terziero con la<br />
dominazione fiorentina, rientrando a monte Senario avevano<br />
rivenduto i se<strong>di</strong>ci poderi e l‘intera proprietà al governatore del<br />
capitanato <strong>di</strong> giustizia Raffaello Mazzini, il quale, inviato dalla<br />
repubblica fiorentina, non volendo abitare il castello aveva<br />
creato nel convento una residenza considerata la più elegante e<br />
meglio arredata <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>.<br />
Da un doppio or<strong>di</strong>ne d’archi in pietra una scala portava al<br />
grande salone al centro del quale troneggiava un gran tavolo; un<br />
arma<strong>di</strong>o monumentale era collocato tra le due porte finestra che<br />
23
davano sulla terrazza panoramica dalla quale si dominava il<br />
castello e la valle.<br />
Ai quattro lati del salone si aprivano le porte <strong>di</strong> accesso al<br />
salotto, alla sala da pranzo e alle altre stanze.<br />
Nel salotto le specchiere settecentesche illuminavano <strong>di</strong>vani e<br />
poltrone dalle coperture un poco consunte, così come i tendaggi<br />
apparivano molto sbia<strong>di</strong>ti.<br />
In una pregevole cornice cinquecentesca una Maddalena<br />
bambina sorrideva illuminata dalla luna.<br />
Le cucine, <strong>di</strong> cui una con un grande camino in cui si poteva<br />
entrare in pie<strong>di</strong>, erano molto ben attrezzate come si conviene ad<br />
una comunità quale era stata ed intelligentemente il nuovo<br />
proprietario non aveva voluto mo<strong>di</strong>ficare.<br />
I mobili della casa erano veramente ricchi e soprattutto le<br />
pareti erano interamente ricoperte <strong>di</strong> pregevoli quadri.<br />
La famiglia possedeva ricchi gioielli ma Pia Caterina non ebbe<br />
mai ad indossarli.<br />
La madre soleva acquistare abbigliamento e biancheria dai<br />
cataloghi delle case <strong>di</strong> moda per cui ogni anno veniva<br />
convenientemente informata dell’arrivo <strong>di</strong> nuovi modelli<br />
parigini dalle più rinomate sartorie, ma Pia Caterina, priva <strong>di</strong><br />
vanità e ricca <strong>di</strong> modestia, non se ne era mai curata.<br />
Il visitatore era con lei sempre a proprio agio; Pia Caterina<br />
sapeva ascoltare, consigliare, confortare. Aveva uno sguardo<br />
attento e intelligente e con gli anni aveva assunto pazienza e<br />
sopportazione.<br />
25
Nella sua lontana giovinezza, Pia Caterina, aveva ceduto quasi<br />
passivamente al buon matrimonio, come era <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne. Il<br />
marito, me<strong>di</strong>co, <strong>di</strong> nobile famiglia genovese, proprietario <strong>di</strong> ville<br />
e posse<strong>di</strong>menti, l’aveva lasciata presto vedova con un figlio.<br />
Assennata e modesta, avrebbe conservato intatto per lui il<br />
patrimonio familiare e ne avrebbe fatto un me<strong>di</strong>co come lo erano<br />
stati prima <strong>di</strong> lui il padre e il nonno nella tra<strong>di</strong>zione della<br />
famiglia.<br />
Pia Caterina, nel lungo scorrere degli anni, aveva preso<br />
l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sedere in una poltrona del salotto e lì, come prima<br />
<strong>di</strong> lei la nonna e poi la madre, soleva restare assorta a lungo e<br />
con gli occhi chiusi. Di natura riservata non aveva mai rivelato<br />
quali fossero i suoi pensieri. Nella sua grande modestia non<br />
aveva raccontato mai delle splen<strong>di</strong>de bambole <strong>di</strong> porcellana<br />
possedute, delle sue vacanze al mare <strong>di</strong> bambina ricca, dei premi<br />
e riconoscimenti avuti per la sua pittura e tantomeno del “ felice<br />
notte signoria” che conta<strong>di</strong>ni e servitù le rivolgevano ogni sera.<br />
Accennava talvolta ai suoi amici scultori, ormai celebri e<br />
morti, ai suoi professori dell’Accademia che, ospiti alla<br />
S.S.Annunziata, avevano ritratto i suoi genitori. La sua passata<br />
esperienza <strong>di</strong> insegnante e preside era testimoniata dalle visite<br />
dei suoi ex allievi <strong>di</strong>venuti ormai uomini adulti e maturi.<br />
La generosità con la quale, in perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficili anche per lei,<br />
aveva provveduto ad un piatto <strong>di</strong> minestra per i poveri le era<br />
valsa stima e riconoscenza.<br />
Il suo pensiero, nel volger del tempo, era andato sempre più<br />
27
spesso ai suoi cari ormai tutti sepolti nella grande tomba <strong>di</strong><br />
famiglia; solamente il padre era stato inumato nella loro chiesa<br />
vicino all’acquasantiera e lì, ogni giorno, Pia Caterina Luisita,<br />
dopo aver pregato la sua Madonna miracolosa, era andata ad<br />
inginocchiarsi restando alcuni minuti in devoto colloquio filiale.<br />
Le stagioni si avvicendavano e con lo scorrere degli anni ella<br />
aveva smesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere; si avvicinava il suo compiersi del<br />
secolo nella quiete <strong>di</strong> quella casa ricca <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, arre<strong>di</strong> e<br />
modestia.<br />
Al tramonto, nei pomeriggi estivi, soleva sedere a lungo sulla<br />
terrazza panoramica a riguardare il tramonto del sole e mentre il<br />
suo sguardo spaziava sui dorsali appenninici, che scoloravano<br />
nel viola, esprimeva tutto l’amore per la sua terra chiedendo <strong>di</strong><br />
essere sepolta nel piccolo cimitero del paese accanto al fratellino<br />
morto un secolo prima.<br />
Luisita, oggi, non siede più sulla terrazza dove aveva atteso lo<br />
spegnersi del giorno e della sua vita, così come non esiste più il<br />
salotto un poco stinto e la poltrona nella quale soleva rimanere<br />
assorta nei suoi recon<strong>di</strong>ti pensieri.<br />
L’ombra della storia, scorrendo sotto le oscure volte dove si<br />
<strong>di</strong>ce che ancor oggi risuonino delle litanie dei Serviti, ha<br />
cancellato, una dopo l’altra, le figure delle creature che lì hanno<br />
vissuto.<br />
La grande casa e i poderi sono stati venduti e nuove storie si<br />
avvicenderanno dentro quelle antiche mura sulle quali la minuta<br />
e forte Luisita volle farvi affiggere la scritta “ casa Mazzini ” nel<br />
29
icordo devoto del padre che, inumato d<strong>avanti</strong> all’acquasantiera,<br />
nessuno mai potrà più <strong>di</strong>sseppellire.<br />
31
ERINA<br />
Il sole aggirava ormai la massiccia mole del castello sulla<br />
collina. Le bifore orlate <strong>di</strong> bianco risaltavano sul grigio<br />
scuro delle antiche pietre. Il piccolo cimitero, in basso, era<br />
ormai immerso nell’ombra. Il silenzio avvolgeva la campagna e i<br />
boschi lontani. Dall’arco, nei contrafforti, la stra<strong>di</strong>na <strong>di</strong> accesso<br />
al paese scendeva ripidamente a valle. In tempi ormai remoti,<br />
una donna, Erina, giunta sposa al paese, aveva risalito la ripida<br />
strada per raggiungere la sua nuova casa situata all’ombra del<br />
castello.<br />
Poco prima, passando d<strong>avanti</strong> alla chiesa della S.S.<br />
Annunziata, si era fermata un attimo a guardare, dalla piccola<br />
finestra munita <strong>di</strong> grata, la dolce immagine della Madonna<br />
miracolosa e un senso <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> serenità l’aveva pervasa. Aveva<br />
sussurrato una breve preghiera e, svelta, aveva seguito il marito<br />
verso la strada <strong>di</strong> casa. Erina, entrando per l’arco nell’ombra<br />
33
delle mura, aveva avvertito un certo senso <strong>di</strong> malessere nel<br />
sentirsi nascostamente osservata. Sapeva che <strong>di</strong>etro i vetri delle<br />
piccole finestre innumerevoli occhi stavano spiando incuriositi<br />
la sposa che veniva da fuori.<br />
Il suo promesso l’aveva raggiunta al paese dove il suo parroco<br />
li aveva uniti in matrimonio e dopo una modesta festa alla<br />
presenza <strong>di</strong> pochi amici, aveva seguito il suo uomo…<br />
A metà del vicolo si era trovata improvvisamente d<strong>avanti</strong> al<br />
portone <strong>di</strong> una bella casa, in pietra intonacata, con finestre<br />
regolari e stipiti scolpiti. Un ricco portale, anch’esso <strong>di</strong> pietra<br />
tagliata a punte <strong>di</strong> <strong>di</strong>amante, incorniciava un robusto portone <strong>di</strong><br />
legno.<br />
Gli architravi delle finestre erano in pietra scolpita. Una scala<br />
in ferro battuto portava alla grande sala del primo piano che era<br />
arredata con mobili soli<strong>di</strong> e luci<strong>di</strong>. Nella sua camera c’era un bel<br />
letto con incrostazioni <strong>di</strong> madreperla, due como<strong>di</strong>ni, un comò e<br />
un baule nel quale aveva riposto il corredo. Da questo aveva tolto<br />
il copriletto <strong>di</strong> picchè bianco e le lenzuola tessute a mano coi<br />
quali aveva subito preparato il suo letto nuziale.<br />
Nella sua nuova casa Erina non aveva trovato i famigliari del<br />
marito che erano morti da tempo e così la casa le era sembrata<br />
molto grande e vuota. Si era consolata pensando che una<br />
numerosa prole avrebbe riempito le molte stanze vuote. Ogni<br />
mattina aveva pulito la casa, preparato il desinare e rigovernato.<br />
Ogni domenica, al suono della campana della messa, Erina aveva<br />
portato in sacrestia gli ori per la chiesa e si era poi andata a<br />
35
sedere nella panca della sua famiglia, mentre il marito<br />
raggiungeva gli uomini <strong>di</strong>etro l’altare. Finita la messa riprendeva<br />
calice, patena e pisside e li riportava a casa nel cassetto del comò<br />
assieme all’ostensorio e al resto dei paramenti.<br />
La sua nuova famiglia era tra le più abbienti del paese e, oltre<br />
a essere la proprietaria degli ori della parrocchia, era anche<br />
depositaria <strong>di</strong> un altro lasciato: “ il pane dei poveri ”. Questo<br />
significava che, da secoli, la famiglia doveva mettere fuori della<br />
porta <strong>di</strong> casa una cesta <strong>di</strong> pane per i poveri ed Erina, ogni<br />
settimana, aveva cotto il pane e l’aveva posto fuori dell’uscio <strong>di</strong><br />
casa.<br />
Ogni notte aveva giaciuto a fianco del suo sposo nel letto <strong>di</strong><br />
ferro e <strong>di</strong> madreperla, ma, con gli anni, aveva perso prima la<br />
speranza <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare madre e poi il marito.<br />
Erina era alta e sottile. I suoi capelli castani, quasi bion<strong>di</strong>,<br />
erano raccolti morbidamente <strong>di</strong>etro la nuca. La sua andatura era<br />
naturalmente elegante. Molto riservata, ma sorridente,<br />
rispondeva sottovoce e brevemente.<br />
I suoi occhi azzurri avevano un’espressione dolce e <strong>di</strong>gnitosa.<br />
I suoi abiti un pò lisi tra<strong>di</strong>vano una lontana raffinatezza.<br />
Nel paese le altre donne non l’avevano mai accettata perchè “<br />
era <strong>di</strong> fuori” e dopo la morte del marito, come del resto prima, la<br />
si vedeva uscire solo per andare nei campi o alla messa. Nessuno<br />
l’invitava in veglia o l’andava a trovare a casa. La solitu<strong>di</strong>ne<br />
l’attanagliava, ma Erina non cercava nessuno; viveva vestita <strong>di</strong><br />
nero e <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità.<br />
37
Dalla sua casa, <strong>di</strong>etro le finestre con le ten<strong>di</strong>ne ricamate, il<br />
suo sguardo spaziava sopra la catena dei monti lontani e quando<br />
arrivava alle cime rosate delle Apuane si soffermava a ricreare,<br />
<strong>di</strong>etro <strong>di</strong> esse, l’immagine della sua casa paterna. In quei<br />
momenti i ricor<strong>di</strong> la sommergevano, ma anche la sorreggevano:<br />
la chiesetta del suo paese, il profumo dell’incenso bruciato nel<br />
turibolo, le violaciocche sul muro dell’orto, la fiera del paese, il<br />
ballo sotto la pergola, le serenate, i canti dei giovani nelle notti<br />
d’estate, le prime gioie del cuore innamorato...<br />
La sua felicità <strong>di</strong> giovane sposa era ormai un ricordo lontano.<br />
Dentro quelle antiche mura, nell’ombra del castello, folate <strong>di</strong><br />
vento gelido le avevano spento il corpo e l’anima. La sera d<strong>avanti</strong><br />
al camino acceso guardava le fiamme che, danzando, creavano<br />
luci e ombre sulle pareti; silenziosi fantasmi testimoni della sua<br />
solitu<strong>di</strong>ne. Mentre le mani sgranavano la corona, le sue labbra,<br />
senza suono, recitavano il rosario.<br />
Questo, interrotto da nuove folate <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, veniva ripreso<br />
più volte, finchè, occhi e mente cedevano lentamente alla<br />
stanchezza ed Erina si assopiva. Il lume a olio sul camino<br />
spandeva una luce talmente fioca che spesso Erina lo accendeva<br />
solo per andare a letto.<br />
Uno scalpiccio <strong>di</strong> passi sull’acciottolato talvolta la risvegliava;<br />
era raro in quel paese quasi deserto sentire suoni <strong>di</strong> voci umane,<br />
ma mai Erina aveva ceduto alla tentazione <strong>di</strong> scostare le ten<strong>di</strong>ne<br />
od origliare poichè, educazione e <strong>di</strong>gnità erano state compagne<br />
alla solitu<strong>di</strong>ne della sua vita.<br />
39
Solo alla sua dolce amica, la Madonna miracolosa della<br />
S.S.Annunziata, Erina confidava sempre i suoi pensieri.<br />
Un tempo l’aveva lungamente pregata, Lei, miracolosa<br />
Madonna del Parto, affinchè le concedesse la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un<br />
figlio. Spesso, quasi ogni sera, tornando dal lavoro dei campi,<br />
Erina si fermava alla chiesa del convento, posava il carico sul<br />
muro della strada, si avvicinava alla finestrella e nella penombra<br />
cercava il dolce volto dell’immagine santa come il giorno in cui<br />
era giunta sposa e come allora si rinnovava in lei un senso <strong>di</strong><br />
protezione e <strong>di</strong> pace.<br />
Nella chiesa del paese andava per il dovere impostole quale<br />
custode degli ori, ma a quella della S.S. Annunziata si recava per<br />
trovare conforto alla sua tetra solitu<strong>di</strong>ne.<br />
Quando un giorno aveva sentito che era giunta ormai l’ora<br />
della sua morte, Erina aveva rifatto il letto con cura, aveva steso<br />
il copriletto <strong>di</strong> picchè bianco tessuto a mano, ultimo ricordo<br />
tangibile della sua giovinezza, si era vestita con l’abito nero dei<br />
<strong>dì</strong> <strong>di</strong> festa, la corona tra le mani, si era stesa sul pavimento della<br />
cucina e invocando il nome della Dolce Amica si era coperto il<br />
volto con un fazzoletto.<br />
41
MARGHERITA<br />
In un passato molto antico le ombre della sera avevano già<br />
imbrunito Castiglione del Terziero e la ripida stra<strong>di</strong>na<br />
acciottolata che portava all’arco del paese. Lo stemma dei<br />
Malaspina dello ”Spino Fiorito” si intravvedeva appena quando<br />
Margherita, avvolta in un ampio mantello, era scesa dal carro e<br />
si era apprestata a salire al castello.<br />
Correva l’anno 1288 e Alberto, figlio <strong>di</strong> Obizzino marchese <strong>di</strong><br />
Filattiera, le aveva offerto asilo e protezione. Il lungo viaggio<br />
l’aveva stremata. Passando sotto l’arco <strong>di</strong> accesso al castello il suo<br />
sguardo si era posato sullo stemma gentilizio dei Malaspina; una<br />
rinnovata angoscia l’aveva riportata a quello della sua famiglia,<br />
la fiera aquila, che in quei giorni veniva scalpellinata e <strong>di</strong>strutta<br />
su ogni muro <strong>di</strong> Pisa mentre si spargeva sale sulle rovine della<br />
sua casa.<br />
Nella sua fuga, Margherita aveva trovato rifugio presso gli<br />
43
“Incappucciati dell’Assunta” al Duomo, e su quell’altare, grata,<br />
aveva deposto la preziosa collana d’oro e ambra, dono <strong>di</strong> nozze<br />
del marito; in seguito, non sentendosi più al sicuro in Pisa, aveva<br />
accettato la me<strong>di</strong>azione e l’ospitalità <strong>di</strong> Manfre<strong>di</strong>na, figlia <strong>di</strong><br />
Fiesca dei Fieschi e Alberto Malaspina, andata sposa a Bonduccio<br />
della Gherardesca, figlio spurio del suo Ugolino, presso i signori<br />
del Terziero in <strong>Lunigiana</strong>.<br />
Margherita era nata “dei Pannocchieschi”, nobile famiglia<br />
senese, e giovanissima era andata sposa a Ugolino della<br />
Gherardesca, conte <strong>di</strong> Donoratico, proprietario <strong>di</strong> vasti feu<strong>di</strong> in<br />
Maremma e in Sardegna.<br />
La sua bella casa, allineata sul Lungarno tra quelle dei<br />
Gambacorta e dei Lanfranchi, era stata presto allietata da<br />
numerosa figliolanza. Le sue figlie erano già tutte accasate e<br />
anzi, Gemma, moglie <strong>di</strong> Pietruccio da Lucca, si era offerta <strong>di</strong><br />
ospitarla nei posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Lucchesia, ma Margherita,<br />
istintivamente, <strong>di</strong>ffidando del genero, aveva rifiutato.<br />
Correva l’anno 1288; l’autunno cedeva posto all’inverno.<br />
Fredde folate <strong>di</strong> vento cominciavano a spazzare spalti e cortili del<br />
castello del Terziero.<br />
Margherita alzava gli occhi all’alta torre quadrata che<br />
sovrastava il maniero e l’immagine della Torre della Muda si<br />
sovrapponeva a questa.<br />
La torre dei Gualan<strong>di</strong>, chiamata anche della Muda perchè vi<br />
venivano rinchiuse le aquile del comune <strong>di</strong> Pisa al cambio delle<br />
penne, l’orrenda torre racchiudeva nel profondo delle sue<br />
45
segrete il marito, i suoi figli, i suoi nipoti.<br />
Avvolta dal vento e dall’angoscia aveva cercato <strong>di</strong> guardare,<br />
dagli spalti, oltre l’ampia vallata della Magra e, seminascosta<br />
ormai dalle brume invernali, a oriente, la catena degli<br />
Appennini, imbiancati dalla neve, <strong>di</strong>etro i quali si stendeva la<br />
piana con la sua città.<br />
Correva l’anno 1288; i giovani pisani, dopo quattro lunghi<br />
anni, erano rientrati dalle galere genovesi nelle quali erano stati<br />
rinchiusi dopo la battaglia della Meloria. Molti <strong>di</strong> loro non erano<br />
tornati, perchè, per la legge del contrappasso, quando i riscatti<br />
non venivano pagati, i prigionieri erano destinati a morire <strong>di</strong><br />
fame.<br />
Margherita sapeva; era stato il suo sposo, il conte Ugolino, ad<br />
accettare la sfida dei Genovesi alla Meloria, sicuro della vittoria,<br />
perchè il sei agosto era stato sempre un giorno fausto per i<br />
Pisani, ma quando si era reso conto della sicura <strong>di</strong>sfatta aveva<br />
riparato in porto facendo tirare la catena, per cui aveva lasciato<br />
fuori i genovesi sì ma anche “la miglior gioventù pisana”. E i suoi<br />
concitta<strong>di</strong>ni non avevano sicuramente <strong>di</strong>menticato.<br />
Il tempo scorreva lento e doloroso, l’inverno era ormai<br />
passato e poi la primavera e l’estate; da nove lunghi mesi i suoi<br />
cari giacevano nell’oscurità <strong>di</strong> una cella. Lei stessa, sra<strong>di</strong>cata<br />
dalla propria casa e dalle sue abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> signora, esule in terra<br />
straniera, era obbligata a men<strong>di</strong>care un tetto e il pane.<br />
La “gallina dalle uova d’oro”, <strong>di</strong> cui si parlerà nei secoli<br />
successivi, perchè una leggenda vuole che sia stata sepolta con<br />
47
lei, era nascosta tra le sue vesti.<br />
Ben sapeva Margherita che, se voleva aver salva la vita,<br />
doveva tener celata la propria identità. I suoi ospiti, Fiesca e<br />
Alberto Malaspina, avevano nascosto a tutti la sua presenza al<br />
castello per cui ella intuiva che, se fosse morta in quel luogo,<br />
nessuno mai avrebbe onorato la sua sepoltura senza nome.<br />
Un giorno era corsa voce che il suo Ugolino fosse stato<br />
imprigionato, quale tra<strong>di</strong>tore della patria, per aver ceduto a<br />
nemici confinanti alcune castella della repubblica pisana, ma<br />
Margherita avvertiva che il grande o<strong>di</strong>o dei concitta<strong>di</strong>ni verso la<br />
sua famiglia aveva ben altro motivo. Quell’o<strong>di</strong>o, covato per quasi<br />
un lustro, si era acuito in coloro che non avevano potuto<br />
riabbracciare, tra i reduci, i propri figli morti <strong>di</strong> fame nelle<br />
prigioni genovesi. Infatti, perchè imprigionare anche i figli e i<br />
nipoti, se l’unico responsabile del tra<strong>di</strong>mento era stato il conte<br />
Ugolino?<br />
Nel cuore, greve d’angoscia, <strong>di</strong> Margherita si affaccia un<br />
dubbio che invano cerca <strong>di</strong> scacciare. E il presentimento si fa<br />
certezza quando un messaggero arriva per riferire che la porta<br />
della segreta nella torre della Muda è stata inchiodata.<br />
“ Pisa vituperio delle genti...”. I suoi cari erano destinati a<br />
morire <strong>di</strong> fame!<br />
Mai nessuno potrà descrivere la <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> una madre<br />
che, impotente, segue la lenta agonia dei propri figli. I suoi figli,<br />
Gaddo e Uguccione, i suoi nipoti, Nino e il piccolo Anselmuccio e<br />
Ugolino...<br />
49
La sua figura, notte e giorno, senza posa, appariva e<br />
scompariva sugli spalti come un nero fantasma. Il suo corpo <strong>di</strong><br />
donna, ormai <strong>avanti</strong> negli anni, era del tutto scheletrico; i suoi<br />
lunghi capelli bion<strong>di</strong> solo un ricordo. Avvolta nel suo mantello e<br />
nel suo dolore, alla notizia che era giunto un emissario da Lucca,<br />
fidando in una notizia <strong>di</strong> conforto, Margherita corre a<br />
raggiungerlo nella grande sala del camino e cade trafitta da un<br />
ferro rovente per mano dello stesso Pietruccio da Lucca.<br />
Nessuna penna nel corso dei secoli ha speso una sola parola<br />
per lei, Margherita della Gherardesca, e del suo<br />
incommensurabile dolore <strong>di</strong> madre e <strong>di</strong> sposa.<br />
Nessuno mai, nella storia, <strong>di</strong>rà più della sua morte, della sua<br />
tomba.<br />
Il suo spirito angosciato aleggerà per sempre nello spazio e<br />
fuori del tempo a ricercar <strong>di</strong> sè e della sua ignorata sepoltura.<br />
51
MARIA<br />
Il pianto della bambina riempiva per molte ore al giorno il<br />
pianto.<br />
silenzio dell’aia. Forse aveva fame, forse freddo e quasi<br />
certamente entrambe le cose. Aveva pochi mesi e già tanto<br />
Le galline, in<strong>di</strong>fferenti, continuavano instancabili a razzolare<br />
sull’aia alla ricerca del cibo. Il gatto pigro e sonnacchioso<br />
seguiva con gli occhi gli insetti che gli passavano vicino.<br />
Le persone che passavano per il vicolo compiangevano la<br />
bambina ma tiravano oltre.<br />
Anche la madre, che ogni mattina doveva lasciarla sola nel<br />
grande letto, doveva ignorare quel pianto per andare a lavorare<br />
nei campi. Erano una famiglia <strong>di</strong> mezzadri e il loro dovere era<br />
custo<strong>di</strong>re accuratamente le terre che il padrone aveva loro<br />
assegnato, che se questi li avesse mandati via sarebbero finiti alla<br />
fame.<br />
53
In quel paese le tre uniche con<strong>di</strong>zioni sociali trascritte nei<br />
registri della parrocchia al battesimo erano: possidente,<br />
mezzadro e miserabile. I secon<strong>di</strong> lavoravano i campi dei primi e<br />
ne abitavano le case, gli ultimi non possedevano nulla e vivevano<br />
<strong>di</strong> elemosina.<br />
I mezzadri si alzavano <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per recarsi al lavoro nei<br />
campi e a mezz<strong>dì</strong>, al suono dell’Angelus, posavano gli attrezzi e<br />
si segnavano la fronte attendendo il cesto del desinare.<br />
Solo la madre correva a casa, prendeva la secchia per andare<br />
alla fonte ad attinger acqua e, con rassegnata tristezza, ascoltava,<br />
in lontananza, il pianto accorato della sua bambina, che, bagnata<br />
e infreddolita, reclamava il cibo.<br />
Stranamente le stagioni per i miseri si riducono solo a due:<br />
una brevissima e torrida estate e un lunghissimo e gelido<br />
inverno. Il freddo tra quelle povere case sembrava regnare<br />
perenne.<br />
La madre affannata spingeva l’uscio <strong>di</strong> casa, che rimaneva<br />
sempre aperto, si toglieva la secchia dal capo e correva ad<br />
allattare quella che sarebbe stata la sua unica figlia.<br />
Maria, questo era il nome della madre, aveva sposato un<br />
uomo vedovo con due figli, già cresciuti che, presto, se ne erano<br />
andati da casa.<br />
L’aspetto della donna era indefinibile, così pure l’età. Un viso<br />
senza bellezza e senza sorriso, i capelli, semmai avessero avuto<br />
un colore, non erano stati mai visti da alcuno, perchè sempre<br />
coperti da un fazzoletto un tempo nero. Il corpo appariva senza<br />
55
forme sotto un vestito scolorito e coperto in parte da un<br />
grembiule che le serviva sia per proteggere la sporgenza del<br />
ventre che per contenere le verdure che raccoglieva nei campi.<br />
Ai pie<strong>di</strong>, d’estate, calzava zoccoli <strong>di</strong> legno intagliati a mano<br />
dal marito e, quando faceva freddo, aggiungeva grosse calze fatte<br />
ai ferri con lana <strong>di</strong> pecora. D’inverno, nelle lunghe ore <strong>di</strong> veglia,<br />
sola accanto al fuoco, con la bambina che dormiva nella paniera,<br />
Maria filava la lana con la conocchia infilata nella cintura e<br />
quando il fuso era pieno raccoglieva la lana in un gomitolo per<br />
continuare la maglia.<br />
Quando il fuoco perdeva la fiamma e rimanevano solo<br />
tizzoni, Maria non vi aggiungeva più legna, prendeva la corona<br />
del rosario e la sgranava sino al rientro del marito dall’osteria.<br />
La legna non doveva essere sprecata, così pesante da<br />
trasportare dai campi sulla schiena, e spesso nascostamente.<br />
Il padrone arrivava sulle terre a sorvegliare il lavoro e il raccolto.<br />
Occorreva il suo benestare per tagliare una pianta e si doveva<br />
comunque <strong>di</strong>videre con lui ogni cosa. Al padrone andavano le<br />
primizie e la metà <strong>di</strong> ogni ricavato col buon peso.<br />
Durante la breve estate, alla fine <strong>di</strong> ogni giornata, la madre<br />
stava seduta sulla panca nell’aia a sgranare ceci, fagioli,<br />
granturco e la bimba le stava aggrappata alle gonne. Quando era<br />
stata in grado <strong>di</strong> reggersi da sola, la piccola, aveva cominciato a<br />
gattonare <strong>di</strong>etro ogni cosa che si muoveva sull’aia: un piccione,<br />
un cane o un gatto, spesso le lucertole.<br />
Aveva anche preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> mettersi in bocca ogni cosa<br />
57
che le fosse capitata tra le mani, per cui spesso aveva inghiottito<br />
foglie, incauti insetti e spesso i loro escrementi.<br />
Dopo alcuni anni, forse quattro e non più <strong>di</strong> cinque, la bimba,<br />
cessato il pianto, non era più uscita al sole sull’aia a giocare con<br />
gli animali o guardare i fiori, perchè la madre, prima <strong>di</strong> andare<br />
nei campi, accendeva il fuoco nel camino, attaccava il paiolo<br />
pieno d’acqua alla catena, la faceva sedere su un panchetto e le<br />
consegnava un cesto <strong>di</strong> verdure. Le piccole mani pelavano le<br />
patate, sgusciavano i fagioli, accu<strong>di</strong>vano al fuoco, per ore, finchè<br />
la minestra non era pronta.<br />
La bimba crebbe senza conoscere la spensieratezza<br />
dell’infanzia, ma la madre non ebbe mai ad accorgersene perchè<br />
lei stessa era passata dal latte alla fatica. Maria non aveva<br />
conosciuto l’amore e neppure la giovinezza perchè, presto, era<br />
stata accasata a un vecchio e una morte prematura le aveva<br />
impe<strong>di</strong>to poi <strong>di</strong> conoscere, seppure attraverso la figlia, la gioia e<br />
la felicità della vita.<br />
59
MADDALENA<br />
Maddalena era nata “dei Ventura”. La sua casa <strong>di</strong><br />
quattro piani, la più alta del paese, aveva spigoli<br />
perpen<strong>di</strong>colari e i muri alla base si allargavano,<br />
come <strong>di</strong>remmo ora, a scarpa. Due archi, sovrastando i due vicoli<br />
del crocevia, l’allacciavano uno alla casa <strong>di</strong> fronte e l’altro, <strong>di</strong><br />
lato, a un alto resede <strong>di</strong> terreno sovrastato da un’antica torre<br />
ormai quasi <strong>di</strong>strutta. Le finestre del primo piano erano protette<br />
da robuste inferriate e quelle dei piani superiori erano ingentilite<br />
da architravi scolpiti e ten<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> pizzo. Sui davanzali <strong>di</strong> pietra<br />
fiorivano gerani e negli angoli delle scale e sul pavimento <strong>di</strong><br />
mattoni rossi erano <strong>di</strong>sposti molti vasi <strong>di</strong> aspi<strong>di</strong>stra. Nel portone<br />
d’ingresso, chiodato, uno spioncino in ferro consentiva <strong>di</strong><br />
guardare nel vicolo. Suo padre era nato possidente e<br />
nell’infanzia era stato mandato per qualche anno a Firenze, dagli<br />
Scolopi nel loro collegio della Ba<strong>di</strong>a Fiesolana, ad imparare a<br />
61
leggere e far <strong>di</strong> conto e, dopo un adeguato matrimonio, passava<br />
la vita andando a caccia e sorvegliando i mezzadri nei campi.<br />
Sua madre, una donna piacente e <strong>di</strong> carattere assai remissivo, si<br />
era subito de<strong>di</strong>cata alla casa e, con l’aiuto <strong>di</strong> qualche fantesca,<br />
accu<strong>di</strong>va le figlie.<br />
Maddalena, la maggiore, aveva appena raccolto i capelli<br />
<strong>di</strong>etro la nuca come si conveniva alle giovinette, mentre le<br />
sorelle, piu piccole <strong>di</strong> lei, portavano ancora i capelli sulle spalle<br />
legati da un nastro colorato. Gli abiti smessi da Maddalena<br />
passavano regolarmente alle sorelle minori; solo quando si<br />
doveva andare a messa o al vespro si poteva indossare l’abito<br />
nuovo <strong>di</strong> velluto. La madre vestiva sempre <strong>di</strong> nero con un colletto<br />
<strong>di</strong> pizzo bianco e quando usciva <strong>di</strong> casa portava sempre con sè<br />
un bastoncino dal pomo d’argento.<br />
Durante il giorno, assieme alle sorelle minori Marianna e<br />
Margherita, Maddalena tesseva la tela <strong>di</strong> cotone per il corredo e<br />
quando la pezza era terminata si tagliava la biancheria che poi<br />
sarebbe stata ricamata dalle mani abili delle donne <strong>di</strong> casa.<br />
In famiglia veniva conservato un anello d’oro che doveva<br />
essere tramandato, <strong>di</strong> generazione in generazione, al<br />
primogenito maschio e Maddalena già sapeva che, mancando<br />
questi, l’anello sarebbe stato suo.<br />
Le tre sorelle non sapevano leggere nè scrivere, perchè la<br />
scuola nel paese sarebbe arrivata da lì a poco con l’Unità d’Italia<br />
e quel poco che avevano imparato dal padre era il saper fare la<br />
propria firma. Così negli anni avevano ignorato, e prima <strong>di</strong> loro i<br />
63
genitori e i nonni, un baule chiuso in soffitta pieno <strong>di</strong> libri<br />
rilegati in cuoio.<br />
Del resto, nella civiltà conta<strong>di</strong>na, l’interesse primario era<br />
sempre stato il possesso della terra. Con i terreni dati a<br />
mezzadria le cantine della casa erano sempre ben fornite: botti<br />
piene <strong>di</strong> vino, orci d’olio, scrigni <strong>di</strong> granaglie, formaggi e salumi<br />
appesi ai ganci e poi tanti sacchetti bianchi pieni <strong>di</strong> fichi secchi,<br />
<strong>di</strong> mandorle e nocciole.<br />
Per carnevale, dopo l’imbrunire, nel vicolo anulare del paese<br />
giravano i mascri e questi, quando ballando e cantando<br />
bussavano alla porta chiodata, ricevevano i frutti dei sacchetti<br />
bianchi. Gli stessi frutti erano regalati quando, legate le campane<br />
durante la settimana <strong>di</strong> passione, i ragazzi passavano per il paese<br />
agitando sgricciole <strong>di</strong> legno per segnare le ore.<br />
Maddalena e le altre donne, per tempo, seminavano il grano<br />
nei vasi, che, riposti in cantina al buio, avrebbero germogliato<br />
bianchi steli per adornare il Sepolcro e i bambini si recavano nei<br />
prati a raccogliere violette per decorare piccole croci devozionali<br />
da porre ai pie<strong>di</strong> dell’altare. Quando al sabato santo le campane<br />
suonavano a <strong>di</strong>stesa la resurrezione <strong>di</strong> Cristo, Maddalena e le<br />
sorelle andavano a lavarsi gli occhi.<br />
La sua famiglia, in una generazione precedente, avendo un<br />
avo abate <strong>di</strong> nome Bonaventura Peccini, aveva assunto l’obbligo<br />
<strong>di</strong> provvedere a uno dei sei altari laterali della chiesa e<br />
precisamente quello al quale <strong>di</strong>ceva messa l’abate, il primo a<br />
sinistra vicino al fonte battesimale. A tal scopo, il ricavato <strong>di</strong> un<br />
65
campo, detto poi da sempre il prato <strong>di</strong> S. Caterina, era stato<br />
devoluto al fabbisogno <strong>di</strong> cera e tovaglie per quell’altare.<br />
Una panca, allineata or<strong>di</strong>natamente tra le altre nella navata della<br />
chiesa, portava scolpito nel legno il cognome della sua famiglia e<br />
la domenica Maddalena, assieme alla madre e le sorelle, vi si<br />
andava a sedere.<br />
Solo in chiesa si potevano ritrovare i cognomi delle persone<br />
perchè per tutto il resto si apparteneva a precisi gruppi familiari<br />
con il relativo soprannome: quelli dei Ventura, dei Capitani,<br />
dell’Alfiere, dei Nibai... Solo a queste famiglie importanti era<br />
riservato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> far precedere il proprio corteo funebre<br />
dalla croce d’argento. Questi nomi, sussurrati sotto gli archi <strong>di</strong><br />
pietra del paese, parevano ancora far risorgere ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> antichi<br />
agguati, <strong>di</strong> armigeri, <strong>di</strong> soperchierie.<br />
Un giorno il padre <strong>di</strong> Maddalena venne indotto da tal Picciati<br />
<strong>di</strong> Licciana a giocare in borsa e ben presto, con operazioni<br />
sbagliate, si ridusse in miseria. Perduto l’intero parimonio,<br />
Maddalena lo aveva visto partire a pie<strong>di</strong> per la Corsica a fare la<br />
stagione delle olive per ritornare, dopo un mese, con una quareta<br />
<strong>di</strong> grano per paga.<br />
Perduta anche la sua bella casa, nei registri della chiesa venne<br />
scritto che “Maddalena, Marianna e Margherita erano emigrate<br />
nella piana <strong>di</strong> Molesana.”<br />
Il destino aveva riportato Maddalena, sposa, nel paese in cui<br />
era nata e con lei era ritornato l’anello, testimone, tutt’oggi<br />
tangibile, <strong>di</strong> questa antica storia. Maddalena non seppe mai che<br />
67
la sua casa natale era stata una casa-torre me<strong>di</strong>oevale, che,<br />
qualche secolo prima, il suo avo abate e poeta Bonaventura<br />
Peccini da Panicale, aveva scritto, in versi latini, quei libri<br />
d’coram, <strong>di</strong> cui rimangono copia <strong>di</strong> poche pagine al museo civico<br />
della Spezia, perchè dopo la ven<strong>di</strong>ta della casa erano stati<br />
bruciati sotto le mura del paese.<br />
69
ROMEO<br />
Il sole non raggiungeva mai la misera casupola ai pie<strong>di</strong><br />
della casa-torre. L’ombra regnava perenne tra le alte felci<br />
sotto gli alberi <strong>di</strong> noci. L’acqua del canale, scrosciando,<br />
rompeva un silenzio profumato <strong>di</strong> muschio.<br />
Dietro un uscio sconnesso, nell’unica stanza, in un angolo un<br />
focolare spento, in un altro un mucchio <strong>di</strong> foglie che serviva da<br />
giaciglio, viveva Romeo.<br />
Apparteneva costui alla categoria dei miserabili.<br />
Non possedeva casa nè campi, non aveva famiglia e gli unici suoi<br />
stracci li portava indosso.<br />
Nessuno conosceva la sua età, anzi, nessuno si era mai curato<br />
<strong>di</strong> saperla e forse nemmeno lui; l’avevano conosciuto sempre con<br />
la lunga barba bianca e i capelli incolti sulle spalle curve.<br />
Nella buona stagione compariva sull’uscio <strong>di</strong> buon’ora e si<br />
allontanava su per la mulattiera oltre il colle per raggiungere<br />
71
luoghi lontani; passava per borghi e pievi, <strong>di</strong> casa in casa, a<br />
men<strong>di</strong>care il pane.<br />
Il suo unico tesoro era un organetto, col mantice molto<br />
sciupato, che Romeo sapeva suonare. Nelle fiere <strong>di</strong> paese le sue<br />
allegre musichette gli fruttavano qualche soldo e più spesso un<br />
pò <strong>di</strong> cibo.<br />
Quando cominciavano a cadere le foglie, che i venti geli<strong>di</strong><br />
delle Alpi facevano turbinare lungo il vicolo, Romeo tornava al<br />
paese. Durante il giorno si sedeva a suonare seduto su uno<br />
scalino in un angolo riparato della piazzetta e subito il gruppo<br />
dei bambini gli si raccoglieva attorno. Egli amava molto quelle<br />
vivaci creature, quasi fossero figli suoi, e con gioia cominciava a<br />
raccontare dei suoi viaggi, <strong>di</strong> cavalieri <strong>di</strong>retti alla città santa<br />
sulla via francigena, del predominio del giglio rosso fiorentino<br />
sulla rosa celtica, <strong>di</strong> agguati <strong>di</strong> ladroni, <strong>di</strong> assalti <strong>di</strong> lupi...<br />
Le sue storie, sempre <strong>di</strong>verse, erano popolate <strong>di</strong> re, pellegrini,<br />
frati e principi; i bimbi attorno a lui, con gli occhi sgranati,<br />
vedevano passare principesse vestite <strong>di</strong> seta e soldati con le<br />
lunghe spade, carrozze dorate tirate da cavalli bianchi, brutti<br />
ceffi con la barba nera armati <strong>di</strong> pugnali.<br />
L’Angelus del mezzogiorno interrompeva il suo racconto e i<br />
bimbi correvano come ron<strong>di</strong>ni verso il desco vociando allegri; in<br />
un momento la piazzetta risuonava dello scalpiccio <strong>di</strong> tanti<br />
zoccoletti.<br />
Romeo rimaneva lì, solo, col suo organetto.<br />
Da lì a poco, ad uno ad uno, i bimbi ritornavano portando<br />
73
qualche frutto o una fetta <strong>di</strong> polenta per lui e ancora gli<br />
venivano sollecitate nuove storie; trascorreva così buona parte<br />
del giorno.<br />
Verso sera, il suono dell’Angelus pareva <strong>di</strong>verso, più triste. Gli<br />
armenti rientravano dal pascolo lentamente e in fila; i loro<br />
campanacci ritmavano i passi dei mezzadri che, con gli arnesi in<br />
collo, tornavano dai campi. Il profumo della solita minestra<br />
riempiva il vicolo. Mentre le donne scodellavano, gli uomini,<br />
volto lo sguardo al cielo per stimare il tempo del giorno dopo,<br />
chiudevano l’uscio sulla notte.<br />
Romeo non era mai <strong>di</strong>menticato. Un povero meno povero <strong>di</strong><br />
lui gli offriva un posto accanto al ciocco.<br />
Sotto la grada, sulla quale venivano messe la castagne a<br />
seccare, si radunava la famiglia che spartiva con lui il misero<br />
pasto. Al chiarore del fuoco si rimaneva seduti in veglia: si<br />
raccontavano gli avvenimenti del giorno, si facevano previsioni<br />
<strong>di</strong> semine e <strong>di</strong> raccolti. Alla luce dei tizzoni, il nero affumicato<br />
delle pareti pareva lucido e le fiamme danzando creavano<br />
immagini irreali. Le scintille balzavano vivide scoppiettando e il<br />
vento soffiava contro l’uscio facendo frusciare le foglie secche<br />
che creavano strani rumori.<br />
In quell’atmosfera un pò magica, le storie <strong>di</strong> Romeo si<br />
animavano <strong>di</strong> fantastiche creature che apparivano sui crocevia a<br />
mezzanotte, <strong>di</strong> segni lasciati sulla pietra da <strong>di</strong>avoli beffati, <strong>di</strong><br />
fuochi fatui che seguivano i viandanti nella notte. Il Buffardel<br />
era, tra i <strong>di</strong>avoli narrati, il più scherzoso perchè scombinava i<br />
75
calzini nei cassetti, intrigava le code alle vacche nella stalla,<br />
soffiava via la farina dalla ma<strong>di</strong>a, portava via i cappelli dalla<br />
testa e i panni stesi sul filo nell’orto.<br />
Durante il racconto i bambini si rannicchiavano in grembo<br />
alla madre, le donne filavano la lana o rammendavano.<br />
Quando il vecchio dalla lunga barba bianca vedeva che gli<br />
astanti cedevano al sonno, si alzava, si accomiatava e spariva<br />
nella notte.<br />
77
IL PRETE<br />
Quando scendendo per il vicolo rientrava in canonica<br />
il suo passo quasi non si avvertiva. Solo il frusciare<br />
della tonaca contro le gambe magre e nervose<br />
rivelava, alle orecchie sempre tese ai rumori della notte, il suo<br />
passaggio. Nell’interno delle casupole si u<strong>di</strong>va qualche pianto <strong>di</strong><br />
bimbo, l’acciottolare dei piatti, il miagolio del gatto.<br />
La notte calava presto in quel paesino sperduto pieno <strong>di</strong><br />
ombre e <strong>di</strong> volte così basse e oscure che anche <strong>di</strong> giorno il sole<br />
stentava a illuminarle. Le case, arroccate l’una all’altra, quasi<br />
più a <strong>di</strong>fesa dal freddo e dalla miseria che da antichi invasori,<br />
parevano vive ma anche morte per i miseri lumi che filtravano<br />
dalle finestrelle.<br />
Il freddo lo attanagliava, anzi, pareva crearlo lui stesso,<br />
mentre trascinava folate <strong>di</strong> vento con la sua tonaca. Rientrato in<br />
canonica, mentre consumava il suo pasto <strong>di</strong> pane e formaggio, il<br />
79
suo sguardo frugava gli angoli bui e alla scarsa luce <strong>di</strong> una<br />
lampa<strong>di</strong>na, che fortunatamente lui aveva potuto permettersi da<br />
quando in paese era arrivata la corrente elettrica, ritrovava le<br />
solite crepe che, partendo dai travi del soffitto, solcavano le<br />
pareti come una fitta rete <strong>di</strong> rughe.<br />
Lontano, fuori dei vetri resi opachi dalla polvere, intravvedeva<br />
ancora il profilo delle colline e più lontano quello dei monti. Tra<br />
poco sarebbero apparse le stelle.<br />
Dopo aver lavato il piatto e la posata si era messo, come al<br />
solito, a leggere il breviario. Quando leggeva era sempre preso da<br />
irrequietezza. I suoi occhi spesso si spaiavano e <strong>di</strong>vergevano o al<br />
contrario convergevano, ma nessuno pareva farci caso. Anche al<br />
seminario quando lo avevano esaminato, non avevano dato gran<br />
peso a quello che tutti avevano definito un ticchio.<br />
Pareva ieri quando aveva visto per la prima volta il grande<br />
palazzo vescovile col grande giar<strong>di</strong>no, i cameroni col letto <strong>di</strong><br />
ferro dove, ogni sera, ciascun seminarista, dopo aver acceso il<br />
lume, doveva andare a posarlo sul proprio como<strong>di</strong>no nel<br />
dormitorio prima <strong>di</strong> andare a letto. Aveva accettato <strong>di</strong> fermarvisi<br />
per alleggerire la sua famiglia <strong>di</strong> una bocca da sfamare e perchè<br />
con la sua salute piuttosto cagionevole vedeva il sacrificio<br />
compensato da un avvenire migliore.<br />
Il suo pensiero andava spesso ai genitori lontani e ai suoi<br />
fratelli che non vedeva da tanto tempo. Sembrava invece vicino il<br />
giorno in cui era arrivato al paese.<br />
Il suo accento <strong>di</strong>alettale e il suo latino erano linguaggi<br />
81
incomprensibili a quella povera gente, cionostante era entrato in<br />
quella piccola comunità da rispettato protagonista.<br />
Ogni domenica per celebrare la messa indossava pianeta e<br />
stola <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi colori: rosso per i martiri, verde per i confessori<br />
della chiesa, viola per la settimana <strong>di</strong> passione, nero per i morti,<br />
bianco e oro per le solennità. Ritto sui gra<strong>di</strong>ni dell’altare, a<br />
braccia aperte o incrociate sul petto, si voltava, si inginocchiava,<br />
s’inchinava. I chierichetti spostavano il messale sull’altare ora a<br />
destra ora a sinistra, suonavano il campanello, porgevano<br />
bianche pezzuole. Gli ori rilucevano al lume delle candele e il<br />
profumo dell’incenso mitigava quello <strong>di</strong> sudore dei fedeli. Due<br />
cartelli appesi al muro <strong>di</strong>cevano a gran<strong>di</strong> lettere: “Silenzio” e<br />
“Non si sputa per terra”.<br />
Solo le funzioni religiose a quel tempo <strong>di</strong>stinguevano la<br />
domenica dai giorni feriali. Il sabato pomeriggio le campane<br />
davano i doppi chiocchi a festa e quello scampanio creava un<br />
senso <strong>di</strong> sollievo al pensiero <strong>di</strong> un giorno <strong>di</strong> riposo.<br />
Rimanevano però sempre impegni inderogabili; così il ragazzo<br />
<strong>di</strong> turno, all’alba suonava il corno per chiedere <strong>di</strong> aprire le stalle<br />
e far uscire le pecore che dovevano essere condotte al pascolo sul<br />
monte, gli uomini riparavano il tetto o le botti, le donne<br />
cuocevano un pane <strong>di</strong> grano, rammendavano sacchi e filavano la<br />
lana.<br />
In quel tempo era da considerarsi fortunato colui che<br />
possedeva una pecora nera. Questa doveva esser ben custo<strong>di</strong>ta<br />
perchè con la sua lana si potevano confezionare abiti da lutto.<br />
83
A quel tempo era usanza un mese <strong>di</strong> lutto per un parente, un<br />
anno per i genitori e tutta la vita al marito; <strong>di</strong> lutto in lutto, le<br />
donne finivano con l’esser sempre vestite <strong>di</strong> nero.<br />
Durante le lunghe ore della giornata, il prete soleva recarsi<br />
col suo breviario sul sagrato della chiesa. Questa era rivolta a sud<br />
e sorgeva su un alto muro quasi a strapiombo sui campi.<br />
Del resto, per tutto il paese, i muri delle case creavano un alto<br />
recinto interrotto solo da due archi per l’accesso o l’uscita.<br />
Su quell’altura lo sguardo spaziava, dall’Appennino alle Alpi,<br />
giù per i dorsali sino alla Magra. I castagni dai colori mutevoli<br />
con le stagioni, coprivano come un manto le colline a nord,<br />
mentre a levante, degradavano verso la piana gli argentei ulivi.<br />
Molto più lontano una chiostra <strong>di</strong> monti dalla vegetazione<br />
in<strong>di</strong>stinguibile chiudeva l’orizzonte.<br />
La mente del prete passava oltre quelle cime e volava verso<br />
terre lontane.<br />
Aveva spesso provato a desiderare per sè una vita <strong>di</strong>versa, una<br />
famiglia tutta sua, una donna, dei figli, il calore <strong>di</strong> un focolare.<br />
Lontano, in un luogo dove nessuno lo conosceva, il tempo,<br />
facendogli ricrescere i capelli, avrebbe cancellato la tonsura.<br />
Provava a immaginare la sua partenza anzi, la sua fuga, ma poi<br />
entrava in chiesa e l’immagine del Cristo Patiens sulla croce lo<br />
faceva vergognare dei suoi sogni.<br />
E così gli anni si erano susseguiti, tutti uguali, con la sola<br />
eccezione <strong>di</strong> qualche notizia dalla sua famiglia lontana.<br />
Nel paese i giovani, <strong>di</strong>ventati ormai vecchi, narravano ancora,<br />
85
in veglia, della loro partecipazione alla presa <strong>di</strong> Caporetto, del<br />
monte Grappa e del passaggio del Piave, quando un brutto giorno<br />
arrivò il postino con la cartolina <strong>di</strong> precetto per i giovani e<br />
quella <strong>di</strong> richiamo per gli adulti: era scoppiata una seconda<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />
Divise straniere occuparono il paesino, <strong>di</strong>chiarato zona <strong>di</strong><br />
rastrellamento, e il prete fu il primo a essere rinchiuso in una<br />
stanza dalle finestre inchiodate.<br />
La miseria aveva ceduto allora il posto alla fame ed erano<br />
arrivati i Cavalieri dell’Apocalisse.<br />
87
LA BAMBINA<br />
La bambina aveva rincorso il mercante che si<br />
allontanava con le pecore che il padre gli aveva<br />
appena venduto. Era sempre stata lei a condurle al<br />
pascolo e quin<strong>di</strong> andava a riven<strong>di</strong>care la sua ben<strong>di</strong>ga. La bimba<br />
non sapeva che il termine significava “Dio ti bene<strong>di</strong>ca”, ma felice<br />
intascava il cavrin, e poco le importava che il soldo avesse preso<br />
il nome dal conte <strong>di</strong> Cavour che ne aveva voluto il conio;<br />
conosceva invece il valore del”cavurino” che le avrebbe<br />
consentito <strong>di</strong> comprarsi alla fiera del paese un torroncino o una<br />
scatoletta <strong>di</strong> liquirizie.<br />
Per la festa del patrono, sulla piazzetta del paese e sul sagrato<br />
comparivano gli ambulanti con le loro bancarelle; i vecchi si<br />
compravano gli occhiali dopo averli ben provati, le donne un<br />
velo nuovo per coprirsi il capo in chiesa, gli uomini il lattonzo<br />
che, a loro parere, promettesse <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare bello grasso e infine i<br />
89
ambini adocchiavano le stecche <strong>di</strong> zucchero colorate.<br />
Non esisteva una bancarella con le bambole e la bambina se<br />
ne era cucita una con degli stracci mentre pascolava il gregge.<br />
La mattina andava a scuola nella pluriclasse del paese e con<br />
vivo interesse e impegno aveva letto e imparato a memoria tutto<br />
quanto c’era scritto nel libro, ma, giunta alla fine della terza<br />
classe, solo ai suoi fratelli maschi era stato consentito <strong>di</strong><br />
frequentare la quarta e la quinta nel paese vicino; a lei, con<br />
grande rammarico, era toccato <strong>di</strong> seguire le sorelle maggiori nel<br />
lavoro dei campi.<br />
Era una bella bambina dai capelli neri inanellati, era operosa<br />
e intelligente, così, fin da piccola, le avevano accollato <strong>di</strong>verse<br />
responsabilità; tenere le vacche lontane dall’erba me<strong>di</strong>ca e dal<br />
trifoglio che, se lo avessero mangiato, si sarebbero gonfiate fino a<br />
scoppiare; fare attenzione alle pecore che, se una fosse caduta<br />
dal <strong>di</strong>rupo, le altre l’avrebbero seguita, riguardarsi dagli<br />
sconosciuti e vagabon<strong>di</strong> che poteva incontrare nei campi; portare<br />
a casa, la sera, legna per il fuoco e erba per i conigli.<br />
La sua giornata era ritmata dal suono delle campane e a<br />
queste faceva riferimento per alzarsi, mangiare e far ritorno a<br />
casa con il gregge.<br />
In <strong>Lunigiana</strong> le campane hanno sempre avuto un ruolo<br />
speciale nell’informazione per chi le sa capire.<br />
L’Angelus del mattino suona <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per la sveglia, a<br />
mezzogiorno la pausa per il desinare, quello della sera il ritorno<br />
dai campi. Il sabato annunciano coi doppi chiocchi a festa la<br />
91
domenica e, prima <strong>di</strong> ogni messa, chiocchi e chiocchetti quando il<br />
prete sale i gra<strong>di</strong>ni dell’altare. Ci sono poi i rintocchi a morto,<br />
<strong>di</strong>versi da uomo a donna, l’allarme per una <strong>di</strong>sgrazia, e infine,<br />
usanza unica al mondo, lo scampanio a festa per la morte <strong>di</strong> un<br />
bambino. Povera consolazione per una madre che crede così <strong>di</strong><br />
aver partorito un angelo.<br />
E la bambina lo aveva visto, falciato dalla spagnola, un piccolo<br />
angelo uscire dalla sua casa per essere sepolto con gli altri<br />
bambini in un apposito angolo del cimitero.<br />
La bambina crescendo si faceva sempre più bella e i suoi<br />
coetanei l’invitavano al ballo e le facevano le serenate. I genitori<br />
avrebbero voluto accasarla con un proprietario terriero <strong>di</strong><br />
Cassiolana che l’aveva chiesta in sposa, ma la ragazzina fuggiva<br />
dalla porta dell’orto, quando questi arrivava, per non doverlo<br />
incontrare. Ella non avrebbe mai acconsentito a sposare un<br />
conta<strong>di</strong>no nè tantomeno vivere in un paese <strong>di</strong> campagna.<br />
Crescendo nel paese, aveva potuto sentire, poco a poco, quasi<br />
impalpabile, avvolgerla un malcelato o<strong>di</strong>o, forse dettato da<br />
antichi rancori familiari o <strong>di</strong> faida, perciò, per il motivo inverso<br />
a chi al paese era venuto da fuori, guardava alla cerchia dei<br />
monti con un desiderio, sempre nuovo e forte, <strong>di</strong> fuga.<br />
Nei giorni <strong>di</strong> festa, mentre la processione si snodava per la<br />
stra<strong>di</strong>na del paese, il suo sguardo era attratto dal gruppo <strong>di</strong><br />
uomini che anticipavano il baldacchino sotto il quale procedeva<br />
il prete con l’ostensorio levato in alto. Gli appartenenti alla<br />
confraternita del S.S. Sacramento, indossando una lunga cappa<br />
93
ianca legata in vita con un gran cordone, la mantellina rossa<br />
sulle spalle, con gran<strong>di</strong> lanternoni accesi, aprivano il corteo.<br />
La brillantina faceva rilucere i loro capelli. Gli sguar<strong>di</strong> dei<br />
giovani incrociandosi portavano messaggi, ma lontano la<br />
portavano i suoi desideri e altrove ella volgeva gli occhi.<br />
Una mattina la ragazzina non aveva potuto alzarsi dal letto.<br />
Una febbre altissima le bruciava le guance. Il me<strong>di</strong>co non poteva<br />
essere chiamato perchè mancavano i sol<strong>di</strong>; solo nei casi gravi<br />
veniva chiamato il veterinario, che un animale valeva, per quella<br />
povera gente, più <strong>di</strong> un cristiano.<br />
Erano venute le esperte del paese che con la moneta d’argento<br />
segnavano la torta e la risipola e col bianco dell’uovo<br />
ingessavano le bende. Col chinino avevano calmato la febbre ma<br />
la ragazzina non si era ripresa...<br />
Ancora, dal suo letto, guardava verso quei monti che non<br />
aveva potuto valicare, sognava la città tanto desiderata, vista solo<br />
in cartolina, e il mare che qualcuno le aveva descritto grande e<br />
azzurro come un cielo.<br />
sposa.<br />
I suoi sogni rimasero con lei sotto un vestito bianco da piccola<br />
95
LAURINA<br />
Sul terrazzino prospiciente la piazzetta, Laurina sedeva,<br />
come d’abitu<strong>di</strong>ne, in ogni pomeriggio della buona<br />
stagione e da lì osservava il viavai delle persone che<br />
animava il paese. Durante il giorno solo i ragazzini si<br />
rincorrevano sull’acciottolato, qualche gatto vagava annusando<br />
qua e là, i cani rimanevano sdraiati all’ombra del portico,<br />
qualche gallina uscita dal pollaio razzolava alla ricerca del<br />
chicco sfuggito dai sacchi.<br />
La passiflora sul muro <strong>di</strong> fronte era già fiorita; la sua corolla<br />
<strong>di</strong> petali bianchi circondava chio<strong>di</strong> e corona <strong>di</strong> spine, simboli<br />
della passione. Anche il melograno, simbolo <strong>di</strong> prosperità,<br />
mostrava i suoi fiori oltre il muro del castello. Una bena già<br />
carica <strong>di</strong> attrezzi, nell’angolo della piazza, stava per essere<br />
aggiogata. Lontano, dai campi , arrivava il canto del cuculo.<br />
Armida pensava che presto sarebbero arrivati gli stornellatori<br />
97
a cantar maggio. Sul balconcino nei barattoli della conserva il<br />
basilico era già alto; sui gerani tutti in fiore ronzavano le api.<br />
Di fronte alla sua si ergeva una casa gentilizia. Sotto l’arco,<br />
un pilastro portava la data del 1114. L’incisione era stata fatta<br />
con cura e scavata arretrata sulla superficie della pietra per non<br />
consentirne l’usura alle intemperie.<br />
Una potente famiglia, in secoli precedenti era venuta a<br />
stabilirvisi. Dalle eleganti bifore, orlate <strong>di</strong> marmi, ogni tanto<br />
appariva un viso coronato <strong>di</strong> capelli bianchi raccolti <strong>di</strong>etro la<br />
nuca. La signora era venuta in sposa <strong>di</strong>versi anni ad<strong>di</strong>etro e ora,<br />
rimasta vedova, viveva in riserbo e <strong>di</strong>gnità.<br />
Anch’ella, come Armida, non aveva conosciuto la gioia della<br />
maternità.<br />
I bambini si rincorrevano ancora sulla piazza e già qualche<br />
donna appariva con la secchia appoggiata, sopra al renchingolo,<br />
sul capo per andare alla fontana ad attinger acqua per il<br />
desinare. Armida era contenta; lei era tornata ricca dall’America<br />
e poteva permettersi <strong>di</strong> restare comoda e riposata sul balcone,<br />
mentre una domestica provvedeva alla bisogna.<br />
Non che fosse del tutto felice, perchè la mancanza <strong>di</strong> figli<br />
metteva in crisi il suo matrimonio e la sua sterilità la faceva<br />
sentire una donna menomata.<br />
Spesso le venivano a raccontare che il marito era stato visto<br />
ora con questa, ora con un’altra donna e la gelosia la<br />
tormentava. Anzi, era la fedele domestica a provvedere <strong>di</strong> tenerla<br />
aggiornata sugli spostamenti quoti<strong>di</strong>ani del marito e delle sue<br />
99
100
scappatelle.<br />
La sera, quando il marito tornava dal lavoro dei campi, sulla<br />
piazza risuonava l’eco dei loro alterchi e spesso le urla della<br />
donna stavano a testimoniare il dolore per le botte ricevute.<br />
Durante il giorno, stando al balcone, quando Armida vedeva<br />
passare le presunte rivali, le apostrofava con ira, e gli insulti e le<br />
urla riempivano l’aria.<br />
I litigi erano assai frequenti e nessuno ormai si meravigliava<br />
più <strong>di</strong> tanto.<br />
Un giorno la portatrice d’acqua, che non era sposata, aveva<br />
cominciato a incedere nella piazza con un’andatura chiaramente<br />
da donna incinta, anzi, quasi a esibizione della propria<br />
gravidanza, soleva passare più volte, senza motivo apparente,<br />
sotto il balconcino della padrona dalla quale aveva smesso <strong>di</strong><br />
lavorare.<br />
Armida, insospettita per le menzogne subite e per<br />
l’atteggiamento ormai del tutto strafottente della fantesca<br />
gravida, preso il binocolo che aveva portato dall’America, dal<br />
retro della casa, aveva cominciato a perlustrare il panorama e,<br />
spaziando nella valle, aveva visto una cosa che l’aveva resa certa<br />
della tresca e della ottenuta paternità del marito.<br />
Quando l’uomo era rientrato in casa il litigio era scoppiato<br />
violento come non mai. Le orecchie del paese si erano tese e<br />
occhi in<strong>di</strong>screti <strong>di</strong>etro gli infissi avevano spiato il balconcino.<br />
Sulla piazzetta, buia e deserta, si avvertiva l’incombere <strong>di</strong> un<br />
dramma. Come in una rappresentazione tragica le urla <strong>di</strong>sperate<br />
101
102
della donna erano cessate <strong>di</strong> colpo quando si erano sentite<br />
fronare le molli.<br />
103
104
ANNA MARIA<br />
Icancelli della tomba <strong>di</strong> famiglia, chiudendosi <strong>di</strong>etro ad<br />
Anna Maria, avevano concluso l’ultimo capitolo <strong>di</strong> una<br />
grande <strong>di</strong>nastia antica <strong>di</strong> cinquecento anni. L’oblò,<br />
colorato dallo stemma dei Me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>, lasciava<br />
penetrare i raggi del sole che, durante il corso della giornata,<br />
scorrendo sulle lapi<strong>di</strong>, andavano ad illuminare, uno dopo l’altro,<br />
i volti dei componenti la nobile famiglia ormai riunita nel sonno<br />
della morte.<br />
Dal cimiterino sulla collina, volgendo il capo a occidente, si<br />
poteva vedere il castello che era stata la <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> questa<br />
<strong>di</strong>nastia ormai estinta.<br />
Il maniero, l’antichissima reggia degli Obertenghi, dopo il<br />
900 era passato al marchese Adalberto I <strong>di</strong> Toscana; nel 1000 da<br />
posse<strong>di</strong>mento estense a feudo dei Malaspina, finchè, sotto<br />
l’egemonia fiorentina, la rocca, rimaneggiata a palazzo signorile,<br />
105
106
era stata scelta quale residenza dei Me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong>. Nel<br />
salone del castello il frontespizio del grande camino recava<br />
ancora un’incisione: “ANNIBAL MEDICES 1540 FECIT”.<br />
Nel giar<strong>di</strong>no pensile, a nord del castello, si intravvedevano<br />
ancora i resti <strong>di</strong> un mastio gravemente degradato. Anche il<br />
palazzo appariva trascurato e del tutto deserto. Chiuse le<br />
imposte, niente fiori nei vasi della terrazza, non più il tubare dei<br />
bianchi piccioni o il latrare dei cani da guar<strong>di</strong>a. Solo nel trompe<br />
l’oeil <strong>di</strong>pinto sotto la gronda del tetto era rimasta visibile<br />
l’immagine <strong>di</strong> un gatto bianco sul davanzale <strong>di</strong> una finestra.<br />
La rosa tea che saliva dal giar<strong>di</strong>no al grande terrazzo non c’era<br />
più, così pure, da tempo, erano seccati il melograno, il nespolo, le<br />
due palme e la magnolia.<br />
vita.<br />
Il tempo e la morte avevano cancellato ormai ogni forma <strong>di</strong><br />
Rimaneva solo nel ricordo l’immagine <strong>di</strong> lei, Anna Maria,<br />
quando ancora bambina con le treccine legate dal fiocco, gli<br />
occhi vivaci ed un sorriso sempre allegro, scappava all’aperto<br />
dopo le lezioni che la famiglia le imponeva.<br />
Nel salotto rosso, durante quelle <strong>di</strong> pianoforte, dal ritratto a<br />
olio, la nonna marchesa vigilava austera sulla nipote che tentava<br />
ogni espe<strong>di</strong>ente per sfuggire alla maestra chiamata apposta per<br />
lei dalla città vicina.<br />
Anna Maria era nata secondogenita al fratello, che avrebbe<br />
ere<strong>di</strong>tato, come era sempre stato in uso nella sua famiglia, nome<br />
e proprietà.<br />
107
108
La potente famiglia marchionale, ricca <strong>di</strong> vasti posse<strong>di</strong>menti<br />
terrieri, usava lasciare in<strong>di</strong>viso il patrimonio famigliare, per cui<br />
la bimba, crescendo, avrebbe <strong>di</strong>feso sicuramente i propri <strong>di</strong>ritti,<br />
rompendo la tra<strong>di</strong>zione, se una morte prematura non avesse<br />
falciato la giovane vita del fratello.<br />
Anna Maria non era particolarmente bella, ma certo sapeva<br />
essere gentile e simpatica. Il latino e la letteratura non le<br />
andavano molto a genio, ma da una nonna maestra e soprattutto<br />
dalla madre aveva ricevuto una buona educazione.<br />
Alla morte del primogenito la famiglia aveva cessato ogni<br />
rapporto col bel mondo che era usa frequentare, si era chiusa in<br />
un lutto inconsolabile e lentamente aveva cominciato a isolarsi.<br />
Solo lei, piccola e vivace, possedeva una gran voglia <strong>di</strong> vivere e<br />
trovava sempre ogni pretesto per correre dove si festeggiava. Alle<br />
sagre <strong>di</strong> paese, ai balli sotto la pergola o sulle aie la si poteva<br />
vedere allegramente confusa tra i suoi conta<strong>di</strong>ni.<br />
Molti furono i pretendenti alla sua mano: blasonati e plebei,<br />
ricchi e poveri, professori universitari e modesti ambulanti. Ella<br />
aveva sempre respinto ogni proposta e non si era mai capito cosa<br />
l’avesse indotta ad avviarsi ad una vita solitaria senza volersi<br />
costruire, come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, una famiglia.<br />
Rimaneva il ricordo del tichettio veloce <strong>di</strong> piccoli pie<strong>di</strong>, molto<br />
spesso modestamente calzati da zoccoli come solevano fare le<br />
donne del paese, nella penombra delle gran<strong>di</strong> stanze o nello<br />
scaleo mentre usciva sulla piazzetta del paese.<br />
Il suo paese. Non volle mai allontanarsene. Non ci furono<br />
109
110
viaggi, crociere o altri luoghi che avessero potuto attrarla.<br />
Era stata una creatura semplice; modesta nel vivere e nel<br />
vestire e questo faceva sì che gente ignorante, usa ad esibire<br />
ricchezze e blasoni del tutto inesistenti, tentasse <strong>di</strong> sminuirla e<br />
soprattutto criticarla per le sue scelte.<br />
Con tutti si <strong>di</strong>mostrava socievole, ma sapeva anche imporsi su<br />
coloro che tentavano <strong>di</strong> mancarle <strong>di</strong> rispetto.<br />
Anna Maria rivelava la sua <strong>di</strong>scendenza marchionale,<br />
abituata al comando, quando, contrariata, nei suoi occhi neri<br />
accendeva uno sguardo duro e prepotente.<br />
Trascorso il tempo della giovinezza, nell’età matura, senza<br />
mai lagnarsi, dopo la morte del padre, aveva accu<strong>di</strong>to a lungo la<br />
madre con grande de<strong>di</strong>zione e rispetto.<br />
E i giorni erano scorsi; erano passati i mesi e gli anni nel<br />
castello silenzioso e ormai vuoto. Dalle cornici, i suoi avi<br />
continuavano a vegliare: la marchesa dallo sguardo altero, un<br />
generale in <strong>di</strong>visa carico <strong>di</strong> medaglie, il giovane fratello dallo<br />
sguardo dolce e sorridente.<br />
Nella camera nuziale dei suoi genitori delicate tende <strong>di</strong> tulle<br />
ricamato erano <strong>di</strong>ventate ogni giorno più fragili; gli stemmi<br />
scolpiti sui mobili sempre più coperti dalla polvere, gli orologi<br />
fermi, le pendole silenziose, gli arre<strong>di</strong> stinti.<br />
I gran<strong>di</strong> corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> lino ricamati, i gioielli <strong>di</strong> famiglia, le<br />
posaterie d’argento e le stoviglie d’epoca erano chiusi negli<br />
arma<strong>di</strong> e inutilizzati.<br />
Anna Maria ormai si accingeva a concludere l’ultimo capitolo<br />
111
112
della storia della sua famiglia consapevole che non avendo figli<br />
propri e non ritenendo alcuno degno <strong>di</strong> assumere il suo antico<br />
nome, questo si sarebbe estinto.<br />
Della sua grande solitu<strong>di</strong>ne, nelle lunghe notti silenziose e<br />
forse anche paurose, nel vuoto castello, mai nulla aveva lasciato<br />
trapelare.<br />
Forse in gioventù qualche amante l’aveva raggiunta da uno<br />
dei tanti ingressi del palazzo, forse molti, oppure nessuno. Certo<br />
si era vociferato spesso <strong>di</strong> incontri amorosi notturni ma nessuno<br />
lo aveva potuto mai affermare con certezza.<br />
Forse nel piccolo nascon<strong>di</strong>glio, così impensabile da passare<br />
inosservato, sarebbero rimaste per sempre nascoste le sue cose<br />
più care, come i primi bigliettini del suo biondo amore dagli<br />
occhi azzurri, e forse alcuni tra i suoi più bei gioielli che in<br />
seguito non furono mai più ritrovati.<br />
Anna Maria aveva preso coscienza da tempo che ogni suo<br />
avere sarebbe andato <strong>di</strong>sperso e che per lei sarebbe bastato ormai<br />
l’ultimo posto nella tomba <strong>di</strong> famiglia, per cui, lentamente, aveva<br />
cominciato a <strong>di</strong>sinteressarsi delle sue proprietà. Passati gli anni<br />
degli amorosi sensi era vissuta sempre più innamorata della<br />
propria casa, del suo paese, dei suoi animali, quasi ignara dello<br />
stato <strong>di</strong> abbandono delle proprie cose e del grande nome che<br />
portava.<br />
Il tempo scorreva inesorabile mentre si protendeva verso <strong>di</strong><br />
lei il suo amaro destino.<br />
Nessuno capì lo stato d’animo dei suoi ultimi giorni perchè,<br />
113
114
com’era suo costume, ella non aveva mai gridato apertamente al<br />
vento la <strong>di</strong>sperazione e il dolore che provava. Non potendo più<br />
<strong>di</strong>fendersi dall’inelluttabilita` del fato, aveva ceduto al male<br />
incurabile in un tormento <strong>di</strong> sentimenti.<br />
Quando infine la malattia l’aveva condotta alla morte e la sua<br />
salma era rientrata al castello, improvvisamente i suoi cani,<br />
quasi in segno <strong>di</strong> rispetto, avevano taciuto e quando ne era uscita<br />
per le esequie, latrando all’unisono affacciati al grande balcone,<br />
parvero salutarla per l’ultima volta.<br />
Anna Maria riposa ormai tra i suoi e i raggi del sole, nel<br />
volger del giorno, scorrono sugli antichi ritratti come seguendo l’<br />
or<strong>di</strong>ne del tempo, sin quando al tramonto sfiorando il viso <strong>di</strong> lei,<br />
l’ultima della grande famiglia, si spengono <strong>di</strong>etro i monti.<br />
115
116
LA SERVA<br />
Stava seduta su una se<strong>di</strong>a e alla luce <strong>di</strong> una lampada<br />
cercava <strong>di</strong> specchiarsi nei vetri della finestra che,<br />
chiusa sul buio della notte, le rimandava l’immagine <strong>di</strong><br />
una brutta vecchia grassa. Aveva tirato una lunga boccata <strong>di</strong> vino<br />
dalla bottiglia e aveva considerato che finalmente avrebbe potuto<br />
adornarsi dei gioielli che, sino a pochi giorni prima, poteva solo<br />
guardare, e da lontano.<br />
Era andata a prendere la scatola che la famiglia costu<strong>di</strong>va<br />
<strong>di</strong>etro l’antica cassapanca nel salone in un buco del muro.<br />
L’aveva aperta e per un poco era rimasta in soggezione d<strong>avanti</strong><br />
alle gioie che brillavano nei loro castoni, poi con circospezione e<br />
avi<strong>di</strong>tà, vi aveva affondato le mani e aveva cominciato a provarsi<br />
le parures: zaffiri, rubini, <strong>di</strong>amanti…<br />
Erano suoi! Certo avrebbe dovuto <strong>di</strong>viderli, ma ben sapeva<br />
che da sola non sarebbe mai riuscita ad impossessarsene, così<br />
117
118
aveva accettato l’aiuto <strong>di</strong> un complice che era riuscito a<br />
completare il raggiro del padrone ormai defunto.<br />
Nella notte attorno a lei nella grande casa si sentiva solo lo<br />
scan<strong>di</strong>re delle ore dal pendolo nell’anticamera. Attraverso i vetri<br />
solo l’oscurità della notte e un gran silenzio. Aveva continuato a<br />
infilarsi gli anelli tenendo le mani <strong>di</strong>scoste per meglio ammirarli<br />
e intanto non aveva potuto fare a meno <strong>di</strong> constatare come le sue<br />
<strong>di</strong>ta fossero rovinate. Povere mani sformate dai troppi bucati<br />
nell’acqua fredda, mani use alla scopa, alla vanga, ai rovi. I<br />
geloni avevano lasciato il segno; comparivano a novembre e<br />
andavano via con l’acqua <strong>di</strong> maggio. Mani che avevano sempre<br />
lavorato; piccole mani che lavavano i piatti nella grande casa<br />
dove la sua famiglia l’aveva mandata per serva a pochi anni;<br />
piccole mani che pulivano i tanti pavimenti e i molti camini,<br />
mani che erano cresciute svuotando i vasi da notte e i secchielli<br />
dei lavamani delle camere da letto.<br />
Mentre le donne della grande casa restavano a poltrire nei<br />
cal<strong>di</strong> letti dai materassi <strong>di</strong> lana, lei aveva dovuto riposare le<br />
poche ore su fred<strong>di</strong> giacigli <strong>di</strong> crine; crescendo con poco cibo e<br />
niente affetto, aveva covato anche una certa invi<strong>di</strong>a verso i<br />
padroni e rabbia per la sua cattiva sorte.<br />
A lei si rivolgevano sempre con arroganza, le erano state<br />
addossate colpe che non aveva, e talvolta aveva ricevuto anche<br />
delle botte dalle signore <strong>di</strong> casa.<br />
Erano trascorsi gli anni e lei si era ritrovata da adulta a<br />
vecchia. Aveva continuato a vivere nella grande casa, perchè così<br />
119
120
aveva voluto il suo destino, il destino delle serve che muoiono<br />
nella casa dove hanno servito.<br />
A poco a poco i visi austeri che la controllavano mentre<br />
svolgeva il suo umile lavoro avevano finito con l’osservarla solo<br />
dalle cornici appese ai muri. Erano facce sempre molto serie,<br />
talvolta <strong>di</strong>gnitose, ma con sguar<strong>di</strong> autoritari.<br />
Con piacere si era indotta a pensare che, per sua fortuna, i<br />
suoi padroni erano ormai tutti morti. Uno ad uno se ne erano<br />
andati dopo essere stati deposti nella bara ed esposti nel salone<br />
all’omaggio dei notabili del circondario e del piccolo volgo.<br />
Questa era l’usanza e dal grande salone, durante la veglia<br />
funebre, nella notte, si sentivano recitare rosari e giaculatorie<br />
dalle persone che vegliavano accanto al catafalco; gli specchi del<br />
palazzo venivano velati, gli orologi fermati, le finestre socchiuse,<br />
la porta d’ingresso spalancata alle visite <strong>di</strong> circostanza.<br />
La serva era rimasta sola nella grande casa: il portone chiuso<br />
e la bottiglia tra le mani ingioiellate per ubriacarsi in pace. I suoi<br />
padroni se ne erano andati, uno ad uno, ma lei era sopravvissuta.<br />
Così aveva pensato mentre aveva portato la bottiglia alla bocca e<br />
continuato a tracannare quel vino che da sempre le era stato<br />
misurato; anzi a lei era toccato solo il vino <strong>di</strong> botte e mai quel<br />
buon spumante e biondo vermentino riservato ai padroni e ai<br />
loro ospiti. Ora le bottiglie nere con lo stemma della famiglia<br />
fuso nel vetro sarebbero state tutte sue. Aveva già cominciato a<br />
vuotarle; infatti, non riuscendo più a specchiarsi <strong>di</strong>stintamente<br />
nei vetri della finestra, aveva cominciato ad osservare con<br />
121
122
attenzione, ora che era sua, la grande casa e solo ora aveva<br />
notato come stesse per cadere a pezzi grazie all’incuria dei suoi<br />
proprietari che l’avevano sempre trascurata.<br />
Di padre in figlio mai nessuno aveva riparato il tetto,<br />
sostituito un vetro alle finestre, imbiancato una stanza.<br />
Tutti sapevano che la grande famiglia si sarebbe estinta,<br />
anche i suoi padroni, e forse era stato per questo che avevano<br />
cominciato a <strong>di</strong>sinteressarsi <strong>di</strong> ogni proprietà.<br />
I detti dei vecchi trovano sempre puntualmente riscontro e <strong>di</strong><br />
quel casato si era sempre detto che non sarebbe scampato alla<br />
malasorte. Un loro antenato, sconsacrando una chiesa, aveva<br />
avviato la male<strong>di</strong>zione sulla famiglia che da quel momento aveva<br />
cominciato a estirparsi con tragici lutti.<br />
Lei l’aveva constatato, e, mentre beveva, aveva continuato a<br />
rimirarsi riflessa nei vetri provando coralli e granati.<br />
Ormai erano suoi e così pure i bei mobili che aveva spolverato<br />
da sempre sotto gli occhi superbi delle nobildonne. I gioielli che<br />
ora aveva in mano, in altri tempi, li aveva visti da vicino<br />
solamente quando andava a servire le signore a tavola durante i<br />
pranzi <strong>di</strong> circostanza; a lei non era stato mai consentito toccarli e<br />
nemmeno le era dato sapere dove venivano riposti.<br />
E quanto al cibo, ricordava molto bene come ospiti e padroni<br />
si rimpinzassero e per lei spesso non rimanesse nulla o le venisse<br />
concesso <strong>di</strong> mangiare un uovo.<br />
Certamente nella sua famiglia <strong>di</strong> origine non stavano meglio;<br />
si raccontava <strong>di</strong> un suo fratellino <strong>di</strong> tre anni che, nudo su un<br />
123
124
albero <strong>di</strong> fichi, per potersi sfamare, ne mangiava con tutta la<br />
buccia, maturi e acerbi, fin dove arrivava a raccoglierli.<br />
Con gli anni le era stato concesso, dopo aver servito i<br />
commensali, <strong>di</strong> sedere a tavola, un pò in <strong>di</strong>sparte, e questa le era<br />
parsa una conquista sociale.<br />
La pendola in anticamera aveva continuato a scan<strong>di</strong>re il<br />
tempo e lei a bere.<br />
Il lugubre verso della ciuetta l’aveva riscossa e le aveva<br />
snebbiato un poco la mente riportandola alla realtà.<br />
L’uccello del malaugurio si avvicinava sempre attratto<br />
dall’odore <strong>di</strong> morte. Questa volta era venuto per il suo padrone,<br />
l’ultimo della grande famiglia, che, <strong>di</strong>sgraziatamente per lui,<br />
gravemente malato, era stato da lei obbligato a lasciarla erede <strong>di</strong><br />
ogni suo bene. Da quel momento, serva ormai padrona, aveva<br />
potuto infierire su <strong>di</strong> lui con ogni tipo <strong>di</strong> umiliazione e per<br />
ultima grave ingiuria, nel grande palazzo, niente catafalco nel<br />
salone, nè visite o veglia funebre; la povera salma era stata<br />
collocata al buio in una stanza chiusa a chiave in attesa della<br />
sepoltura.<br />
Il verso della ciuetta si era fatto più <strong>di</strong>stinto e il silenzio nella<br />
casa era parso ancor più profondo. Ora la serva aveva<br />
cominciato a sentire, oltre al tichettio del pendolo in anticamera,<br />
un lieve frusciare sullo scaleo che portava in giar<strong>di</strong>no.<br />
Ripensando a quanti avevano assicurato che in passato molti<br />
membri della famglia si fossero rivisti in castello e nel salone<br />
accanto al camino, cominciò ora anche lei a vedere le ombre<br />
125
126
degli antichi defunti sfilarle d<strong>avanti</strong> agli occhi, come in una lenta<br />
processione, per recarsi a vegliare, con l’orgoglio e la <strong>di</strong>gnità del<br />
casato, l’ultimo dei loro congiunti.<br />
Nessuno <strong>di</strong> loro l’aveva degnata.<br />
In un crescendo <strong>di</strong> sensazioni e terrore per quel che le era<br />
apparso, la serva aveva capito che, da quel momento, assieme<br />
alle ricchezze, la male<strong>di</strong>zione della famiglia era passata su <strong>di</strong> lei.<br />
Per chi aveva usurpato quei beni non ci sarebbero mai stati<br />
<strong>di</strong>scendenti.<br />
127
128
L’INFAME<br />
Una calura insopportabile avvolgeva il paese che<br />
pareva intorpi<strong>di</strong>to. Mentre i conta<strong>di</strong>ni nei campi si<br />
concedevano una breve sosta prima <strong>di</strong> riprendere il<br />
lavoro, le poche persone che erano rimaste in paese cercavano<br />
un pò <strong>di</strong> refrigerio nell’ombra degli an<strong>di</strong>ti o sotto le volte del<br />
vicolo. I gatti sonnecchiavano all’ombra, i cani si mordevano le<br />
pulci. Solo i bambini, incuranti del caldo, si rincorrevano<br />
vociando sulla piazzetta del paese. Le loro grida festose<br />
ricordavano quelle delle ron<strong>di</strong>ni, quando in primavera,<br />
tornavano ai vecchi ni<strong>di</strong> sotto la gronda del tetto del castello.<br />
Il portale della chiesa era aperto; in fondo, a fianco<br />
dell’altare, un lume sempre acceso d<strong>avanti</strong> al S.S.Sacramento<br />
rischiarava la semioscurità della navata. I Santi, dalle loro<br />
cornici, osservavano impassibili il riflesso colorato che il sole<br />
<strong>di</strong>segnava, attraverso le vetrate, sul pavimento della chiesa.<br />
129
130
Lui stava rannicchiato nel buio del confessionale, le ten<strong>di</strong>ne<br />
un pò accostate, lo sguardo attento del felino, mentre, attraverso<br />
la porta della chiesa, continuava ad osservare un gruppo <strong>di</strong><br />
bambini che si rincorrevano festosi.<br />
Dapprima aveva cercato <strong>di</strong> resistere a certi ignobili pensieri<br />
che ormai affollavano quoti<strong>di</strong>anamente la sua mente, aveva<br />
anche tentato <strong>di</strong> chiudere gli occhi per non guardare, ma il<br />
vociare dei fanciulli era un richiamo così allettante che non<br />
aveva potuto resistervi, così aveva ripreso ad osservarli.<br />
Si era nascosto nell’ombra per poter facilmente ricreare<br />
eccitanti ricor<strong>di</strong>; un ossessivo desiderio l’aveva portato ad<br />
appostarsi, ancora, come un animale, in attesa della preda.<br />
Aveva un aspetto piacevole e l’espressione sorridente; non<br />
guardava mai negli occhi il proprio interlocutore. Era <strong>di</strong>ventato<br />
esperto a nascondere le sue brame ed anche terrorizzato che<br />
qualcuno potesse leggere i suoi pensieri.<br />
Da sempre era sembrato un <strong>di</strong>verso, anche se non si sarebbe<br />
potuto spiegarne la ragione; per parte sua, crescendo aveva<br />
lottatto per essere normale, aveva cercato <strong>di</strong> fare quello che<br />
facevano gli altri bambini e quando infine aveva preso una<br />
decisione per la sua vita, un conoscente gli aveva espresso la<br />
propria sorpresa e incredulità per la scelta che aveva fatto.<br />
Lo gratificava essere protagonista ed era conscio <strong>di</strong> avere un<br />
bell’aspetto. Sapeva, anche, come ipocritamente convincere le<br />
persone per ottenere cose che potevano fargli comodo, e come<br />
circuire le giovani donne lusingate dalle sue attenzioni.<br />
131
132
Aveva ignorato ogni scrupolo morale e aveva ottenuto<br />
facilmente favori femminili; spesso erano le donne stesse che gli<br />
si concedevano felici nel ritenersi prescelte.<br />
Un giorno aveva passato un brutto momento quando era stato<br />
scoperto in un luogo e con una persona proibiti per lui ma poi<br />
tutto era stato ignorato e, in ogni modo, la sua vita era scorsa<br />
come se niente fosse accaduto.<br />
Quell’episo<strong>di</strong>o però lo aveva reso prudente, non avrebbe più<br />
dovuto rischiare.<br />
Dalle donne adulte era sceso ad intrallazzare con ragazze<br />
sempre più giovani per poi spostare le sue attenzioni sui<br />
bambini. Aveva cominciato a rimanere più a lungo, anche per<br />
molte ore al giorno, a giocare con loro. Nelle sere d’estate aveva<br />
proposto giochi come il nasconderello, così non si poteva<br />
valutare se, al buio, ne avesse trattenuto uno troppo a lungo tra<br />
le braccia.<br />
Anche adesso che li vedeva correre e ridere avrebbe voluto<br />
essere con loro. Acchiapparli, stringerli a sè…trascinarne uno<br />
nell’ombra…<br />
Un lungo brivido <strong>di</strong> piacere gli aveva percorso la schiena.<br />
Quelle tenere membra profumate, quelle carni delicate e<br />
morbide…<br />
I rintocchi del campanile lo avevano riportato al presente.<br />
Un refolo <strong>di</strong> vento faceva leggermente ondeggiare le tovaglie<br />
degli altari; dalla parete, un angelo <strong>di</strong> marmo col braccio alzato<br />
sembrava minacciarlo.<br />
133
134
Aveva trattenuto il respiro e chiuso gli occhi per la vergogna,<br />
poi si era lasciato andare con la testa abbandonata contro lo<br />
schienale.<br />
Si era rilassato e aveva cercato <strong>di</strong> ricordare quando fosse stata<br />
la prima volta che era stato assalito dal desiderio <strong>di</strong> possedere un<br />
bambino: non avrebbe potuto <strong>di</strong>rlo. Forse era successo quando,<br />
inconsciamente o forse per gioco, ne aveva chiuso uno in una<br />
stanza. Il piccolo era riuscito a scappare ma lui, per un<br />
momento, aveva provato una strana sensazione <strong>di</strong> possesso e<br />
quasi <strong>di</strong> piacere. Poi aveva voluto riprovare con un altro<br />
bambino per verificare se avesse potuto ancora assaporare quella<br />
piacevole e strana sensazione della volta precedente; aveva<br />
scoperto così, come fosse facile ed eccitante approffittarsi <strong>di</strong> una<br />
creatura che fiduciosa, non osa opporsi a quello che crede<br />
semplicemente un gioco.<br />
Aveva anche scoperto che i bambini non si confidano<br />
facilmente con i genitori perchè era ormai passato molto tempo<br />
da quando aveva messo a segno la sua prima infamia e ancora<br />
nessuno lo aveva accusato; comunque, se lo avessero fatto,<br />
pensava che avrebbe potuto facilmente smentire un bambino...<br />
Ricordava spesso gli occhi azzurri <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> loro che, dopo<br />
una sua carezza, l’aveva guardato intensamente come per<br />
ottenere una spiegazione. Quegli occhi innocenti erano per lui<br />
un tormento che, ostinatamente, cercava <strong>di</strong> ricacciare in fondo<br />
alla sua abiezione.<br />
Dall’ombra in cui stava nascosto i suoi occhi, sempre avi<strong>di</strong>,<br />
135
136
continuavano ad osservare i bambini che passavano nello<br />
specchio <strong>di</strong> luce della porta come un volo <strong>di</strong> ron<strong>di</strong>ni.<br />
L’infame aveva continuato a crogiolarsi nei suoi turpi pensieri<br />
e, come sempre, stava cercando una buona occasione che gli<br />
permettesse <strong>di</strong> mettere le mani su uno <strong>di</strong> loro. Non sempre gli<br />
riusciva, troppe volte aveva fallito per l’intervento <strong>di</strong> qualche<br />
estraneo che inopportunamente gli aveva rovinato l’agguato.<br />
Spesso le stesse madri arrivavano tempestivamente a<br />
riprendersi i piccoli, talvolta un vecchio andava a sedersi sulla<br />
panchina della piazza e passava il tempo intento ad osservare.<br />
Questi, specialmente un vecchio, sarebbe stato un testimone<br />
<strong>di</strong>fficile da ingannare; ben sapeva quanto spesso i suoi stessi<br />
bramosi pensieri erano passati per la mente <strong>di</strong> un vecchio<br />
maschio.<br />
Improvvisamente, come materializzato dal nulla, il bambino<br />
era apparso d<strong>avanti</strong> a lui. Forse si era <strong>di</strong>stratto e il piccolo era<br />
entrato per giocare a nascon<strong>di</strong>no o forse era già all’interno<br />
prima che lui si fosse nascosto nel confessionale. Il piccolo era<br />
rimasto immobile a guardarlo senza parlare o sorridere.<br />
Sicuramente lo aveva osservato durante tutto il tempo in cui la<br />
sua mente elaborava pensieri infami.<br />
Sembrava che quegli occhi innocenti arrivassero a leggergli<br />
l’inferno che aveva nell’anima.<br />
Non aveva osato toccarlo.<br />
Dopo un tempo che non avrebbe saputo definire ma che gli<br />
era parso senza fine, il bambino aveva puntato un <strong>di</strong>to contro <strong>di</strong><br />
137
138
lui e gli aveva detto: “tu andrai all’inferno”. Poi si era voltato<br />
verso la porta ed era uscito nella luce per associarsi al volo <strong>di</strong><br />
ron<strong>di</strong>ni dei suoi piccoli amici.<br />
L’infame aveva tremato; le parole del bambino sembravano<br />
evocare quelle del Vangelo sulla macina da mulino da<br />
appendersi al collo per coloro che abusavano dei fanciulli.<br />
L’innocenza l’aveva condannato e gli aveva detto che per lui si<br />
stava preparando una giustizia <strong>di</strong>vina.<br />
139
140
LA MAESTRA<br />
La Maestra aveva vissuto in una grande e solida casa<br />
che sorgeva fuori delle mura del paese. La costruzione<br />
aveva belle inferriate alle finestre del pianterreno e<br />
una ricca ringhiera al balcone centrale del primo piano.<br />
Sopra l’arco <strong>di</strong> marmo che incorniciava il portale, lo stemma<br />
della famiglia riproduceva le iniziali del parroco, PLG, che aveva<br />
voluto apporvela nei secoli passati. Sulla linea del marcapiano<br />
un’iscrizione latina <strong>di</strong>ceva:”… questa casa sarà alloggio al<br />
pellegrino…” Le parole erano appena percettibili poichè le<br />
lettere incise sulle due fasce <strong>di</strong> marmo erano molto consunte e la<br />
pietra, negli anni, aveva assunto il colore grigio del resto<br />
dell’intonaco. Nel corso del tempo qualcuno poteva averla notata<br />
e forse non avendo saputo tradurla era stata presto ignorata.<br />
Certo è che un lato della casa era stato ingran<strong>di</strong>to con le<br />
pietre che i conta<strong>di</strong>ni avevano dovuto portare per contribuire<br />
141
142
alla costruzione, anche se non c’è traccia che in seguito, questa<br />
fosse stata mai usata quale alloggio ai pellegrini.<br />
Le genti del contado, la domenica, <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong>, col lume in<br />
mano, passando a guado il canale per andare ad ascoltare la<br />
prima messa , avevano dovuto raccogliere ciascuno una pietra e<br />
avevano dovuto deporla in un bel mucchio che presto avrebbe<br />
ampliato la costruzione.<br />
Queste poveri cristiani, pur <strong>di</strong> santificare in qualche modo la<br />
festa, avevano accettato questa ulteriore fatica ben sapendo che<br />
al termine della messa li avrebbe attesi ancora per tutto il giorno<br />
il duro lavoro dei campi. Diversamente da coloro che essendo<br />
meno bisognosi si vestivano dalla festa e andavano alla messa<br />
cantata nella tarda mattinata, questi vestivano gli abiti da tutti i<br />
<strong>dì</strong> e non possedevano il soldo da mettere nel sacchetto delle<br />
elemosine che il chierichetto a metà messa raccoglieva passando<br />
tra le panche.<br />
Quando la Maestra era venuta sposa al paese, la grande casa<br />
era stata ormai ultimata, gli arre<strong>di</strong> interni erano ricchi e soli<strong>di</strong>,<br />
nel sottotetto fioriva una piccola industria <strong>di</strong> allevamento <strong>di</strong><br />
bachi da seta e lei, al pianterreno in una piccola stanza, aveva<br />
cominciato a insegnare ai bimbi.<br />
In seguito, con la proclamazione del regno d’Italia, era stata<br />
costruita una vera scuola con una pluriclasse nella quale<br />
venivano riuniti bambini dalla prima alla terza e spesso erano<br />
stati ammessi anche molti adulti, cosicchè lei , essendo stata la<br />
maestra <strong>di</strong> tutti, era ormai chiamata unicamente la signora<br />
143
144
Maestra.<br />
Era buona e generosa e il suo unico figlio ne aveva ere<strong>di</strong>tato<br />
l’intelligenza e l’amore verso il prossimo. Ella ne aveva seguito lo<br />
sviluppo intellettivo e lo aveva accu<strong>di</strong>to con de<strong>di</strong>zione.<br />
Quando bambino si allontanava su per la stra<strong>di</strong>na chiamata la<br />
crosa per andare in collegio prima e all’Università dopo, la<br />
madre usciva fuori dal portoncino della casa a guardarlo salire<br />
verso il santuario sulla sommità della collina e lì il figlio, era uso<br />
salutarla prima <strong>di</strong> sparire oltre il crinale. Lo aveva visto me<strong>di</strong>co<br />
stimato uscire per andare nelle campagne innevate a curare i<br />
conta<strong>di</strong>ni e clinico illustre raggiungere in città il <strong>di</strong>spensario<br />
antitubercolare che recava il suo nome a lettere cubitali sulla<br />
facciata.<br />
“Mamma…”<br />
Il grido era sceso lungo il crinale sfiorando le cime dei<br />
castagni fino a raggiungere la madre che, come sempre,<br />
immobile sulla soglia della casa guardava il figlio che si<br />
allontanava. Quel grido, quasi un ultimo saluto, aveva<br />
comunicato alla madre il dolore, la <strong>di</strong>sperazione e l’ amore che il<br />
figlio provava in quel momento terribile.<br />
La Maestra sapeva che non lo avrebbe più rivisto!<br />
Nel tempo che precede una trage<strong>di</strong>a pare che la natura e la<br />
vita si arrestino. Ogni cosa sembrava tacere, un silenzio irreale<br />
sembrava avvolgere la natura. Occhi spaventati avevano spiato<br />
tra le piccole imposte socchiuse; orecchi attenti avevano<br />
ascoltato l’affievolirsi dei passi chiodati del plotone <strong>di</strong> esecuzione<br />
145
146
dei nazisti che, risalendo la mulattiera, avviava il dottore al luogo<br />
dell’esecuzione. Si intuiva il verificarsi <strong>di</strong> un crimine, perchè la<br />
fucilazione non veniva effettuata sulla piazza del paese, ma al<br />
riparo delle fronde <strong>di</strong> un bosco.<br />
A mani giunte la madre era rimasta a guardare il suo unico<br />
figliolo, mentre al centro del plotone <strong>di</strong> esecuzione saliva su per<br />
la crosa per andare a morire. Mentre si raccomandava alla<br />
Madonna aveva pensato che anche il Figlio Suo aveva dovuto<br />
subire la Crosa e come l’altra Madre anche lei ora avrebbe<br />
dovuto soffrire un immenso dolore.<br />
“Mamma…”<br />
Alla seconda invocazione, sulla sommità della collina, il figlio<br />
si era voltato e si era fermato un attimo a riguardar la madre,<br />
prima <strong>di</strong> sparire nel folto del bosco, come per attingere da lei la<br />
forza per proseguire sino ai colpi degli spari che gli avrebbero<br />
stroncato la vita.<br />
Sul sagrato antistante la chiesa un gruppo <strong>di</strong> donne vestite <strong>di</strong><br />
nero avevano guardato con occhi impauriti e stravolti<br />
alternativamente la povera madre e il piccolo drappello che si<br />
allontanava su per la crosa.<br />
Nome più appropriato la piccola strada non avrebbe potuto<br />
avere, e la scena pareva apparecchiata per un vener<strong>dì</strong> santo.<br />
Attraverso le lacrime e la <strong>di</strong>sperazione la madre aveva<br />
continuato a guardare il punto in cui era sparito il figlio.<br />
Le donne vestite <strong>di</strong> nero avevano allora circondato la madre,<br />
anzi la loro Maestra, che tanti anni prima, era venuta giovane<br />
147
148
sposa da un paese al <strong>di</strong> là della Civiglia e avevano pianto con lei.<br />
Nel punto in cui il figlio l’aveva invocata per l’ultima volta la<br />
madre aveva piantato una rosa e per lunghi anni, anche dopo la<br />
morte della Maestra, essa aveva continuato a fiorire; pochi<br />
ricordarono e presto <strong>di</strong>menticarono il motivo per cui essa era<br />
stata piantata.<br />
Oggi la rosa non c’è più, rivive solo in queste righe a<br />
testimoniare l’amore <strong>di</strong> una madre.<br />
149
150
GENOVEFFA<br />
sev stà brut furmigon?” Genoveffa non<br />
aveva dato molto peso alle parole del marito<br />
“Dov<br />
che pazientemente l’aveva aspettata nella<br />
piazza in fondo al paese. Col suo solito sorriso bonario si era<br />
accostata a lui e, sod<strong>di</strong>sfatta, gli aveva fatto l’elenco delle cose<br />
che aveva appena acquistato con i sol<strong>di</strong> delle loro pensioni<br />
appena incassate: una se<strong>di</strong>a a sdraio, un nuovo colapasta,<br />
qualche pacco <strong>di</strong> biscotti… Il marito si era così reso conto che<br />
per lui in quel mese non ci sarebbe stato piu` un soldo da<br />
spendere.<br />
Da quando lo Stato aveva erogato una piccola pensione<br />
sociale, i vecchi si erano sentiti veramente ricchi e l’uomo poteva<br />
finalmente comprarsi i toscani ed il tabacco da pipa senza dover<br />
fare grossi sacrifici.<br />
Un altro motivo <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione per Genoveffa era dovuto al<br />
151
152
fatto che al momento della riscossione della pensione lei, con<br />
orgoglio e <strong>di</strong>versamente dalla maggioranza che soleva firmare<br />
con una croce, aveva saputo apporre la propria firma sul modulo<br />
per la ricevuta.<br />
Dopo l’Unità d’Italia al suo paese era <strong>di</strong>ventato obbligatorio<br />
per i bambini frequentare la scuola sino alla terza classe e per<br />
lei, adulta, imparare a leggere e scrivere era stato un privilegio<br />
dovuto alla generosa maestra dei suoi figli che l’aveva accettata<br />
in classe ancorchè adulta.<br />
Sempre brontolando sul suo libretto della pensione<br />
desolatamente vuoto e ripromettendosi <strong>di</strong> non consentire più a<br />
Genoveffa <strong>di</strong> metterci sopra le mani il mese seguente, l’uomo si<br />
era avviato alla mulattiera per tornare a casa.<br />
La moglie lo aveva seguito come sempre, anche se da tempo, il<br />
seguirlo era <strong>di</strong>ventata una normale abitu<strong>di</strong>ne e non una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> inferiorità. Per tutta la vita non gli aveva mai<br />
camminato a fianco, sempre un passo in<strong>di</strong>etro.<br />
Quel giorno, mentre il marito la precedeva come al solito, un<br />
passo <strong>di</strong>etro l’altro con ritmo regolare, ma un pò lento,<br />
Genoveffa si era messa a considerare che il suo uomo era<br />
<strong>di</strong>ventato veramente vecchio: i calzoni un pò sformati<br />
mostravano gambe piuttosto magre, così come la giacca<br />
sembrava un poco ciondolargli dalle spalle ossute.<br />
Era stato sempre un bell’uomo, alto, biondo e forte e lei<br />
l’aveva sempre amato tanto e ne era anche sempre stata gelosa<br />
nei confronti delle altre donne. Un giorno si era anche sentita<br />
153
154
<strong>di</strong>re da una <strong>di</strong> loro: “brutta malattia la gilosia Ginoefa…” Anche<br />
ora che era vecchio se lo riguardava con gli occhi innamorati <strong>di</strong><br />
sempre.<br />
Era un pò risentita e anche un pò offesa per essere stata<br />
definita da lui brut furmigon; lei lo capiva bene <strong>di</strong> somigliare ad<br />
una grossa formica nera, ma il sentirselo <strong>di</strong>re da lui le aveva<br />
procurato un certo malessere.<br />
Da sempre, cioè da quando si era fatta adulta, il solo colore<br />
dei suoi abiti era sempre stato il nero come si conviene alle<br />
donne <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> dopo maritate, così pure i capelli che da neri,<br />
con gli anni, potevano solo <strong>di</strong>ventare grigi. Bella poi non era<br />
stata mai, forse graziosa, buona, semplice, laboriosa e generosa;<br />
questo sì, e chiunque si fosse rivolto a lei avrebbe dovuto<br />
riconoscerle una grande <strong>di</strong>sponibilità e una rara onestà.<br />
Ora poi con gli anni e le molteplici gravidanze i suoi fianchi<br />
si erano fatti larghi e sformati e quel pò <strong>di</strong> grazia che aveva<br />
posseduto era sparita.<br />
Genoveffa veniva da una buona famiglia che abitava una casa<br />
<strong>di</strong> quattro piani con una bella terrazza antistante, un balconcino<br />
sul retro con vista sulla vallata e un’antica meri<strong>di</strong>ana sulla<br />
facciata verso il sole. Quando era stata chiesta in sposa, ne era<br />
stata molto felice, anche se la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> mezzadro del suo<br />
futuro marito non lo faceva ritenere adatto alla sua famiglia che<br />
era invece possidente.<br />
Dopo le nozze il suo uomo aveva voluto emigrare nel Nuovo<br />
Messico per far fortuna e ricomprare le proprietà che il suocero<br />
155
156
si era giocate in borsa ed ella lo aveva seguito negli States<br />
<strong>di</strong>videndo con lui ogni esperienza. A lei era toccato andare in<br />
banca a depositare il denaro, poichè per strada mai sarebbe stata<br />
rapinata e anzi, qualsiasi poliziotto, a manganellate, avrebbe<br />
fatto scendere dal marciapiede il malcapitato che non avesse<br />
ottemperato all’uso <strong>di</strong> cedere il passo ad una signora, e così in<br />
banca la fila degli uomini, allo sportello, si sarebbe scansata per<br />
far posto a una donna onorata.<br />
Là era nata la prima bambina che, avendo ere<strong>di</strong>tato la<br />
straor<strong>di</strong>naria bellezza del padre, aveva scatenato il malocchio<br />
dalle altre madri. Là il suo uomo per anni era sceso in miniera e<br />
quando era miracolosamente scampato al grisou, avevano<br />
contato i risparmi e avevano deciso <strong>di</strong> tornare al paese.<br />
Genoveffa era una moglie felice. Aveva una bella casa con<br />
accanto la stalla e il fienile. L’ovile e il pollaio erano vicino ai due<br />
orti annessi all’aia. Il marito le aveva costruito anche un piccolo<br />
cess che era stato molto invi<strong>di</strong>ato e spesso anche usato dai vicini.<br />
Accanto alla finestrella della grada, usata solo al momento<br />
della raccolta delle castagne, si apriva quella del pozzo e questo<br />
era stato veramente un gran regalo, poichè la fontana era assai<br />
lontana e il marito glielo aveva realizzato per alleviarle qualche<br />
fatica dopo che la casa era stata rallegrata dall’arrivo <strong>di</strong> altri<br />
sette figli.<br />
Con il denaro faticosamente risparmiato avevano comperato<br />
molti campi e anche una seconda casa che veniva genericamente<br />
definita la cà vecchia.<br />
157
158
In questa erano costu<strong>di</strong>te le scorte alimentari della famiglia:<br />
una stanza con gli scrigni delle granaglie, una con ceci, fagioli,<br />
fave e piselli, ben <strong>di</strong>visi sul pavimento per qualità, mentre dai<br />
travi pendevano collane <strong>di</strong> pomodori secchi, agli e cipolle.<br />
Un’altra stanza aveva la frutta appesa ai travi: i fichi secchi nei<br />
gran<strong>di</strong> sacchetti bianchi, le mele sulle tavole o a fette in collane, i<br />
sacchetti con le noci e le nocciole. Le patate erano <strong>di</strong>stese sul<br />
pavimento <strong>di</strong> un’altra stanza che conteneva, allineate su tavole<br />
sospese al soffitto, le formagette che Genoveffa preparava e poi<br />
accu<strong>di</strong>va mentre stagionavano.<br />
Il vino era invece custo<strong>di</strong>to dal marito, il quale provvedeva<br />
anche a travasare l’olio dalla preda <strong>di</strong> pietra agli orci <strong>di</strong><br />
terracotta per evitare che inaci<strong>di</strong>sse.<br />
Mentre seguiva il suo uomo, Genoveffa pensava alla sua vita<br />
trascorsa con lui e considerava che ormai, paragonandosi ai loro<br />
vecchi, pochi anni ancora sarebbero rimasti loro da vivere.<br />
In quanto alla sua figura, Genoveffa rimuginava ancora sul<br />
<strong>di</strong>scorso del marito, sapeva bene <strong>di</strong> somigliare ormai al furmigon,<br />
non fosse altro che per il suo incedere col corpo un poco obliquo<br />
in <strong>avanti</strong>, ma sentirselo <strong>di</strong>re l’aveva proprio offesa.<br />
Presa da questi pensieri, giunta sulla sommità della collina,<br />
Genoveffa si era fermata un momento a riguardare da un lato il<br />
santuario che l’ aveva vista sposa felice, si era segnata e volgendo<br />
il capo al cancello del piccolo cimitero nel quale erano sepolti<br />
ormai tutti i suoi cari, compreso il suo piccolo Emilio morto <strong>di</strong><br />
spagnola, con un sospiro che lei stessa non avrebbe saputo<br />
159
160
spiegarsi, aveva oltrepassato il dosso e si era avviata verso la sua<br />
casa pensando che presto, forse molto presto, avrebbe, come<br />
sempre, seguito il suo uomo anche dentro quel cancello.<br />
161
162
ANSELMO<br />
Quando rientrava la sera era abituato a passare dal<br />
cadr dell’orto per non sporcare il pavimento della<br />
casa con gli zoccoli infangati. Passava sotto la pergola<br />
d<strong>avanti</strong> alla stalla delle pecore e saliva fin sulla terrazza d<strong>avanti</strong><br />
alla casa dove sua moglie aveva già preparato per lui la bolia<br />
piena d’acqua. Anselmo si sedeva sullo scalino della porta, si<br />
toglieva gli zoccoli, le pezze dai pie<strong>di</strong> e li immergeva nell’acqua.<br />
Ritornava da un paese lontano dove si recava <strong>avanti</strong> <strong>dì</strong> per fare il<br />
muratore percorrendo a pie<strong>di</strong> molti chilometri.<br />
Gli zoccoli che calzava li preparava un suo figlio che li<br />
intagliava in un ceppo <strong>di</strong> cerro e fissava la tomaia, cucita dalla<br />
moglie, con una strisciolina <strong>di</strong> latta ritagliata dai barattoli della<br />
conserva. L’acqua fresca dava un incre<strong>di</strong>bile sollievo ai suoi<br />
pie<strong>di</strong> stanchi e, mentre si asciugava, pensava che dopo il piatto <strong>di</strong><br />
minestra della cena avrebbe potuto <strong>di</strong>stendersi nel suo letto per<br />
163
164
un breve sonno e troppo presto avrebbe dovuto alzarsi per una<br />
nuova e lunga giornata <strong>di</strong> lavoro.<br />
L’orario <strong>di</strong> lavoro era da “sole a sole” e poteva <strong>di</strong>rsi fortunato<br />
se poi il padrone lo avrebbe pagato. Infatti Anselmo che<br />
possedeva una piana vicino al cimitero, avendogli chiesto la<br />
famiglia del dottore <strong>di</strong> costruirgli una cappella mortuaria sulla<br />
sua proprietà, aveva ad<strong>di</strong>rittura regalato loro la terra sperando<br />
<strong>di</strong> vedersi almeno pagato il lavoro, ma, trascorsi gli anni,<br />
ciascuno, per ragioni <strong>di</strong>verse, aveva preferito <strong>di</strong>menticare.<br />
Anselmo era un bell’uomo, alto e biondo, ma soprattutto era<br />
forte e molto saggio. Discendeva per parte <strong>di</strong> madre dai Ventura,<br />
una ricca famiglia proprietaria della casa torre, e dal poeta<br />
Bonaventura Peccini da Panicale che aveva scritto un poema in<br />
versi latini, oggi introvabile.<br />
A causa dei debiti contratti dal padre, che amava giocare in<br />
borsa, <strong>di</strong>ventato mezzadro aveva dovuto lavorare duramente per<br />
mantenere la sua famiglia.<br />
Raramente andava all’unica osteria del paese, perchè il suo<br />
vino era migliore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Sarafin d’ l’ost però, ogni tanto, gli<br />
piaceva andare per ritrovarsi tra uomini e parlare <strong>di</strong> argomenti<br />
legati alle semine o al governo; stava seduto tra gli altri con la<br />
pipa tra i denti e ascoltava più che parlare.<br />
I suoi abiti erano lisi e sformati ma aveva sempre la camicia<br />
pulita e il gilè abbottonato sotto la giacca. Portava sempre il<br />
cappello, come era in uso all’epoca, e sapeva soprattutto quando<br />
doveva toglierselo.<br />
165
166
Era considerato un uomo educato e riservato e sapeva farsi<br />
rispettare, da potenti e prepotenti. Una volta era riuscito a<br />
<strong>di</strong>sarmare un delinquente che nella notte era entrato nella sua<br />
camera per sgozzarlo con un rasoio e da quel momento Anselmo<br />
l’aveva usato ogni mattina per radersi ringraziando la<br />
provvidenza <strong>di</strong> averlo lasciato in vita. Ma l’episo<strong>di</strong>o si riferiva al<br />
periodo in cui viveva nel nuovo mondo dove era andato per<br />
guadagnare i sol<strong>di</strong> per comperarsi una casa e nuova terra dopo<br />
che la sua casa natale, la casa torre, era stata venduta per i debiti<br />
contratti dal padre.<br />
Anselmo rimboccandosi le maniche, aveva acquistato e<br />
ricostruito una vecchia casa ben esposta al sole con una bella<br />
vista verso il santuario e, dopo la morte del padre, aveva accolto<br />
nella propria casa, la madre, i suoi due fratelli e una sorella<br />
ancora nubile. Aveva comprato terre da semina e da foraggio,<br />
vigneti e uliveti sufficienti a mantenere la sua grossa famiglia. In<br />
un suo castagneto <strong>di</strong> fronte alla casa tre grossi tumuli segnavano<br />
le tombe delle sue vacche morte <strong>di</strong> malattia e quando i fuochi<br />
fatui danzavano la notte tra quegli alberi, Anselmo pensava alla<br />
grave per<strong>di</strong>ta economica subita e al supplemento <strong>di</strong> lavoro subito<br />
per comprarne altre.<br />
Le vacche, la mora e la bionda venivano aggiogate e per arare<br />
la terra e per trasportare con la bena e la viola ogni tipo <strong>di</strong> carico<br />
dai campi. Nella bena potevano trovare posto attrezzi pesanti,<br />
sacchi, botti e fasci <strong>di</strong> legna mentre sulla viola si potevano<br />
caricare materiali voluminosi che si potevano comprimere come<br />
167
168
foraggi, paglia o fieno.<br />
Anselmo amava la sua casa e i suoi campi.<br />
Nelle sere <strong>di</strong> maggio sedeva sulla terrazza e restava a<br />
guardare nel buio le lucciole che silenziose animavano la notte<br />
oppure si perdeva ad ascoltare l’unisono dei grilli o il gracidare<br />
dei rospi. Al tramonto guardava le ron<strong>di</strong>ni che volavono alte nel<br />
cielo a significare il bel tempo e, quando queste volavano basse,<br />
Anselmo si preparava un lavoro al coperto per l’indomani. Egli<br />
amava tutti gli animali fuorchè le cicale che, <strong>di</strong> giorno, con il<br />
loro frinire parevano aumentare la calura dell’estate.<br />
D’inverno, quando la terra dormiva, andava dove era<br />
chiamato a fare opere <strong>di</strong> muratura nelle quali era molto bravo.<br />
Era altrettanto ricercato per conciare le carni <strong>di</strong> maiale che, sotto<br />
le sue mani, <strong>di</strong>ventavano salami, salsicce e prosciutti. Accu<strong>di</strong>va<br />
personalmente anche alla sua cantina; sapeva quanto doveva<br />
durare la fermentazione del mosto, prima <strong>di</strong> svinare, a seconda<br />
della temperarura e del grado <strong>di</strong> maturazione dell’uva.<br />
Nessuno l’aveva mai sentito cantare, neppure da giovane e<br />
anche il suo conversare era raro. Poteva all’occorrenza<br />
intervenire per dare un consiglio o fare qualche esclamazione <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sappunto per un lavoro fatto male, ma niente più.<br />
L’espressione del suo viso era molto seria e gli occhi<br />
impenetrabili per cui istintivamente i figli crescevano rispettosi<br />
ed educati e gli estranei gli usavano molto riguardo. Se nella casa<br />
regnava la moglie, lui era il padrone della cantina: due grosse<br />
botti su pilastri servivano per la pigiatura dell’uva e nell’angolo<br />
169
170
lo strengin era pronto coi suoi fiscoli impilati e puliti; due brevi<br />
scalini portavano alla cantina sotterranea dove da un lato erano<br />
allineate le botticelle col vino a maturare e la spina innestata a<br />
quello che man mano veniva vuotato, mentre dall’altro lato<br />
erano allineate le damigiane col loro bel barattolo capovolto sul<br />
tappo a <strong>di</strong>fesa dai topi. Molte bottiglie nere <strong>di</strong> vino spumante<br />
erano nelle loro rastrelliere e in un angolo c’erano prede <strong>di</strong><br />
pietra piene d’olio coperte da una tavola su cui posava una<br />
grossa pietra. Anselmo amava il vino e non beveva mai liquori;<br />
anzi a quel tempo il solo liquore conosciuto era il cognac, e<br />
semmai che ce ne fosse stato in casa, sarebbe servito soltanto a<br />
rinfrancare un malato; questo perchè la povertà <strong>di</strong> quel tempo<br />
non avrebbe mai permesso a nessuno <strong>di</strong> comperarne anche solo<br />
una piccola bottiglia.<br />
Anselmo ricordava spesso, ai figli e ai nipoti, quando nella sua<br />
infanzia non si giocava a biglie, ma coi tappi da birra, e chi<br />
perdeva pagava i debiti la sera a cucchiai <strong>di</strong> minestra e come<br />
puntualmente il vincente si presentasse a riscuotere.<br />
La salute <strong>di</strong> Anselmo era sempre stata buona, anzi amava <strong>di</strong>re<br />
che per lui tutti i dottori potevano anche morire <strong>di</strong> fame, perchè<br />
nella sua vita non ne aveva avuto mai bisogno, e così era stato<br />
sino al momento in cui aveva cominciato, durante il giorno, a<br />
restare seduto a lungo e in silenzio. Gli occhi sembravano<br />
guardare lontano; forse pensava alla sua trascorsa gioventù<br />
oppure al duro lavoro in miniera, nessuno sapeva perchè<br />
Anselmo non amava parlarne.<br />
171
172
Talvolta teneva gli occhi chiusi fingendo forse <strong>di</strong> dormire e<br />
spesso pareva assopito. Un giorno una vecchia del paese<br />
osservandolo, con un sospiro rassegnato, presagì per lui<br />
“durmindo murindo”; la sua ora era vicina.<br />
Era stato chiamato il dottore che, con un grosso spillone, gli<br />
aveva bucato le piante dei pie<strong>di</strong> per sincerarsi che fosse morto,<br />
ma Anselmo non lo aveva potuto vedere nè soffrire perchè era<br />
già andato a raggiungere i suoi vecchi nel piccolo cimitero sulla<br />
collina.<br />
173
174
LAURA<br />
Il carro funebre sostava d<strong>avanti</strong> al grande portale. La bara<br />
aveva <strong>di</strong>sceso lo scaleo in marmo, aveva traversato l’atrio<br />
ed era stata deposta dentro il carro. Un tappeto <strong>di</strong> gerbere<br />
bianche con lunghi bianchi nastri inanellati scendendo dal<br />
tappeto fiorito aveva incorniciato la bara. Era gennaio e i rari<br />
passanti si erano fermati a riguardare il funerale con l’aria <strong>di</strong><br />
non capire.<br />
Dall’atrio del nobile palazzo, abitato da sempre da donna<br />
Laura, era uscita una piccola salma. La signora del palazzo aveva<br />
da tempo compiuto i cento anni e col tempo si era fatta<br />
veramente minuscola, ma i fiori bianchi erano inspiegabili.<br />
Il portale era stato aperto completamente cosicchè dalla via si<br />
poteva osservare il grande atrio dalle volte incrociate poggianti<br />
su colonne, col pavimento in pietra e le gran<strong>di</strong> inferriate alle<br />
finestre. Un grande arco sul fondo apriva ad un giar<strong>di</strong>no interno<br />
175
176
con aiuole, gran<strong>di</strong> palme e piccoli cespugli ver<strong>di</strong> che in<br />
primavera dovevano coprirsi <strong>di</strong> fiori. Tutt’attorno un alto muro<br />
lo racchiudeva nascondendolo agli occhi in<strong>di</strong>screti anche se<br />
qualche finestra, nei secoli, aveva osato affacciarsi su questo<br />
angolo recon<strong>di</strong>to.<br />
Lo scaleo portava al primo piano dove un grande portone<br />
introduceva a un appartamento che si affacciava sul giar<strong>di</strong>no e<br />
sulla via principale <strong>di</strong> fronte al Duomo.<br />
L’appartamento era molto grande. Una teoria <strong>di</strong> salotti con<br />
mobili d’epoca e soffitti affrescati portava alle stanze della<br />
famiglia altrettanto riccamente arredate. I tendaggi e le<br />
coperture erano <strong>di</strong> fine damasco e broccati <strong>di</strong> seta, nei vari<br />
colori, ricoprivano se<strong>di</strong>e e poltrone nelle <strong>di</strong>verse stanze.<br />
La policromia dei vetri alle finestre alternava ai gran<strong>di</strong> tappeti<br />
<strong>di</strong>segni multicolori sui pavimenti. Ricami a piccolo punto<br />
decoravano gli arazzi dei parafuochi e delicate trine<br />
arricchivano le tovaglie <strong>di</strong>stese sui luci<strong>di</strong> mogani.<br />
Donna Laura raramente aveva abitato questa parte della casa<br />
preferendole il piano superiore, dove abitualmente viveva, e vi<br />
scendeva solo quando i suoi innumerevoli nipoti venivano a farle<br />
visita e si trattenevano da lei per qualche tempo. Anche il piano<br />
superiore era riccamente arredato: quadri, stampe e mobilia<br />
erano <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimo valore. Le argenterie splendevano dentro le<br />
cristalliere e le sovrapporte erano decorate con la foglia d’oro.<br />
Nella zona <strong>di</strong> servizio un lungo terrazzo coperto si affacciava<br />
sul giar<strong>di</strong>no, un tempo chiostro, e consentiva <strong>di</strong> sciorinare al<br />
177
178
coperto il bucato. Sempre da una zona riservata si poteva<br />
accedere alle stanze della servitù che erano collocate all’ultimo<br />
piano nel sottotetto e da queste si accedeva ad un enorme<br />
stanzone aperto e voltato, dal quale si poteva godere un<br />
magnifico panorama sulla città.<br />
A questo punto dal pavimento sembrava fuoruscire un’ampia<br />
cupola e ci si rendeva allora conto <strong>di</strong> essere sulla sommità <strong>di</strong><br />
quella che doveva essere stata la cappella del convento e così era,<br />
poichè <strong>di</strong>versi secoli prima, nel Seicento, il palazzo era stato un<br />
convento delle Clarisse.<br />
La millenaria famiglia Magni Griffi, da cui donna Laura<br />
<strong>di</strong>scendeva, ascritta nel 1528 nell’albo d’oro della nobiltà<br />
italiana e imparentata con papa Niccolò V Parentuccelli, lo aveva<br />
acquistato agli inizi del settecento, lo aveva rimaneggiato e<br />
adattato a propria <strong>di</strong>mora.<br />
Donna Laura era nata a Napoli perchè il padre, generale<br />
dell’esercito, era <strong>di</strong> stanza in quella città, e del fatto <strong>di</strong> non esser<br />
nata in <strong>Lunigiana</strong> si era sempre <strong>di</strong>spiaciuta; <strong>di</strong>versamente da lei,<br />
i suoi fratelli, la sorella e così pure il padre erano venuti al<br />
mondo nel palazzo <strong>di</strong> Sarzana. La marchesa sua madre era una<br />
<strong>di</strong>scendente degli Spinola e <strong>di</strong> questa grande famiglia genovese<br />
Laura aveva ere<strong>di</strong>tato, attraverso la madre, un prezioso velo da<br />
sposa che, non avendo mai potuto indossare, religiosamente<br />
aveva conservato sino alla morte.<br />
Laura era cresciuta timida e riservata e, sebbene avesse<br />
frequentato il liceo, a causa <strong>di</strong> una salute un poco cagionevole, il<br />
179
180
padre non le aveva permesso <strong>di</strong> frequentare l’Università. Aveva<br />
avuto lezioni <strong>di</strong> piano e <strong>di</strong> ricamo come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne e in più<br />
da un professore dell’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Firenze, spesso<br />
loro ospite, aveva imparato a <strong>di</strong>pingere.<br />
Nell’arco della sua vita aveva visto i fratelli e la sorella,<br />
sposati, con la loro numerosa prole, invadere nei giorni <strong>di</strong> festa il<br />
grande palazzo che i genitori avevano lasciato in ere<strong>di</strong>tà a lei,<br />
rimasta nubile.<br />
Aveva amato la lettura e per questo aveva passato molto del<br />
suo tempo nello stu<strong>di</strong>o dove una ricca biblioteca raccoglieva<br />
opere <strong>di</strong> vario genere: dai classici, al teatro, alla narrativa. Aveva<br />
amato anche scrivere; <strong>di</strong> lei rimane una pubblicazione della<br />
storia della sua famiglia ultimata alcuni mesi prima della morte.<br />
Aveva trascorso il suo tempo tra le visite delle nobili signore,<br />
il ricamo e il pianoforte. Solo quando aveva ormai superato il<br />
secolo <strong>di</strong> vita, aveva confessato che nella sua ormai antica<br />
giovinezza si era innamorata <strong>di</strong> un professore del liceo, ma aveva<br />
tenuto a precisare che mai la cosa era stata palesata. In seguito,<br />
un suo corteggiatore, ufficiale dell’esercito, l’unico che le avesse<br />
manifestato affettuose attenzioni, le era stato allontanato dal<br />
padre perchè de<strong>di</strong>to al gioco.<br />
Il tempo scorreva nel grande palazzo allineato tra quelli dei<br />
notabili; tanto ne era passato che Laura era riuscita a conoscere<br />
tre secoli. Ma nella sua lunga vita non aveva mai conosciuto la<br />
gioia dell’amore, mai una carezza <strong>di</strong> innamorato sui suoi capelli<br />
nè un casto bacio maschile sulle sue labbra.<br />
181
182
Nell’antico convento delle Clarisse, si era compiuto il suo<br />
destino <strong>di</strong> donna che senza essersi votata a Dio, aveva vissuto<br />
come le antiche consorelle in solitu<strong>di</strong>ne, castità e in preghiera.<br />
Laura, come loro, aveva vissuto vergine nel corpo e nello<br />
spirito e quando era venuto il grande momento per lei <strong>di</strong> passare<br />
ad altra vita, un’anima gentile, forse interpretando il muto<br />
desiderio del suo cuore, ricoprendole il feretro <strong>di</strong> fiori e nastri<br />
bianchi, aveva voluto onorare la sua purezza.<br />
183
184
PAULO<br />
Er ano i giorni della merla. L’ultimo intensissimo freddo<br />
dell’inverno. La brina imbiancava l’erba e i rovi.<br />
Ancora un poco e poi il gelo sarebbe sparito sotto la<br />
prima pioggia. Il tempo sarebbe andato in dolciura e sui poggi si<br />
sarebbero affacciate le primule e le viole.<br />
Già le prime giunchiglie cercavano <strong>di</strong> fiorire a ridosso del<br />
muro del cimitero nell’angolo dove <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne venivano<br />
sepolti i bambini.<br />
A ridosso delle siepi cristallizzate dal ghiaccio sarebbero<br />
sparite le piagnole, perchè gli uccelletti, trovando più facilmente<br />
cibo altrove, non si sarebbero lasciati schiacciare dalla pietra<br />
mentre andavano a beccare il chicco ingannatore.<br />
Il paese pareva addormentato, immerso com’era, in una<br />
ferrea cortina <strong>di</strong> ghiaccio che, negli angoli appena illuminati dal<br />
sole, si trasformava in un triste umidore. Per lo stretto vicolo<br />
185
186
anulare, prima <strong>di</strong> inoltrarsi in una lunga galleria, si poteva<br />
accedere ad un’aia chiusa da un portone ormai molto fessurato e<br />
usurato dal tempo. Una bella scala in pietra, con una pensilina<br />
sorretta da colonne anch’esse <strong>di</strong> pietra, portava al piano<br />
padronale.<br />
Al limitare dell’aia un basso muro fungeva da parapetto allo<br />
strapiombo sottostante.<br />
Sul fondo tra le pietre del canale si intravvedeva una cortina<br />
<strong>di</strong> ghiaccioli, mentre l’acqua scorreva con un piccolo gorgoglio<br />
liberando un sottile odore <strong>di</strong> muschio. Le piagne umide del<br />
selciato lucevano al pallido sole.<br />
Da un lato dell’ara una porta sconnessa dava accesso al luogo<br />
in cui da sempre viveva Paulo. Una finestrella inferriata, nei<br />
giorni <strong>di</strong> sole, <strong>di</strong>segnava sul pavimento della stanzetta una nitida<br />
croce. In un letto <strong>di</strong> legno con le sponde, su un giaciglio <strong>di</strong><br />
scarfuglia, giaceva da tempo Paulo.<br />
Rimaneva <strong>di</strong>steso per tutto il giorno, poichè le sue gambe per<br />
vecchiaia o per malattia non lo reggevano più, ma, pur non<br />
potendo uscire, poteva stabilire le ore della giornata dall’ombra<br />
della croce che scorreva sul pavimento e, dalla intensità<br />
dell’ombra stessa, conoscere anche le con<strong>di</strong>zioni del tempo.<br />
Spesso i bimbi per curiosità o per gioco spingevano<br />
quell’uscio, sempre aperto, per cercare <strong>di</strong> vederlo e il vecchio<br />
non li sgridava mai, rimaneva a guardarli in silenzio o forse<br />
neanche più li vedeva.<br />
Da tempo immemorabile, nella buona stagione, fin quando ne<br />
187
188
era stato capace, nei giorni <strong>di</strong> festa era andato a sedersi sul lungo<br />
gra<strong>di</strong>no <strong>di</strong> pietra posto appena fuori dell’arco <strong>di</strong> accesso al<br />
paese, e lì rimaneva assorto, le palpebre molto abbassate, quasi<br />
socchiuse, una pipa spenta tra i denti, a riguardare lontano.<br />
Paulo non amava parlare, anzi preferiva ascoltare senza<br />
intervenire nei <strong>di</strong>scorsi altrui.<br />
Il suo aspetto era severo, l’espressione quasi impassibile non<br />
rivelava i suoi pensieri.<br />
Durante la sua infanzia la povertà era stata così terribile che<br />
spesso ricordava quando i bambini, giocando ai tappi sul<br />
selciato, andavano la sera in casa dei perdenti a reclamare i<br />
cucchiai <strong>di</strong> minestra vinti al gioco.<br />
Paulo era nato miserabile; nel paese chi non era possidente e<br />
non era stato assunto mezzadro, nei registri della parrocchia<br />
veniva definito <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione miserabile.<br />
Della sua famiglia non era rimasta notizia e nessuno si era<br />
mai interessato del suo cognome.<br />
Nel paese si apparteneva ad una razza e, spesso, si<br />
riconoscevano in tutti coloro che ne facevano parte, le<br />
peculiarità o il mestiere che avevano determinato il soprannome:<br />
quei <strong>di</strong> barbota, mengota, barca , scaletta, biasin, marangon.<br />
Di lui non si conosceva nulla, forse era stato un trovatello<br />
preso all’ospizio e allevato per qualche soldo. Eppure Paulo era<br />
stato un uomo <strong>di</strong> un certo rilievo, aveva una profonda saggezza e<br />
un grande riserbo e la particolare caratteristica <strong>di</strong> ricordare con<br />
precisione le date degli avvenimenti. Era la memoria vivente del<br />
189
190
paese.<br />
Durante le varie stagioni, sempre all’alba, si recava nei campi<br />
altrui, dopo che i mezzadri avevano terminato il raccolto e, con<br />
pazienza e umiltà, raccoglieva le poche spighe sfuggite ai covoni,<br />
qualche frutto rimasto sull’albero, un grappolo d’uva nascosto<br />
da una foglia, qualche grana d’uliva rimasta tra l’erba. Questa<br />
era una legge non scritta che consentiva anche ai miserabili <strong>di</strong><br />
sopravvivere.<br />
Sui suoi vestiti le pezze si coprivano <strong>di</strong> ulteriori rammen<strong>di</strong> e i<br />
suoi pie<strong>di</strong> erano sempre scalzi. Durante l’inverno si metteva sulle<br />
spalle e attorno al collo un vecchio scialle nero smesso da una<br />
qualche vecchia. Non aveva mai posseduto un cappello e spesso<br />
guardando il lavoro dell’ombrellaio che veniva apposta al paese<br />
per cambiare le stecche rotte agli ombrelli, aveva tanto<br />
desiderato possedere almeno un ombrello per ripararsi dalla<br />
pioggia, invece, quando era necessario, gli toccava farsi un<br />
cappuccio con un vecchio sacco ripiegato che gli faceva anche da<br />
mantello.<br />
Nella buona stagione, una volta all’anno, arrivava al paese un<br />
carro carico <strong>di</strong> paglia e <strong>di</strong> ragazzi dalla testa rasata e denutriti; a<br />
cassetta sedeva un uomo ben pasciuto con una catena d’oro che<br />
gli traversava il panciotto. Il cavallo veniva alloggiato in una<br />
stalla e i ragazzi nel fienile.<br />
La mattina all’alba cominciavano ad arrivare le se<strong>di</strong>e da<br />
rimpagliare e sulla piazza del paese i poveri ragazzi si<br />
adoperavano alacremente ad attorcigliare la paglia nuova o sfare<br />
191
192
la vecchia, il tutto sotto lo sguardo non certo paterno<br />
dell’ambulante.<br />
Paulo sapeva bene interpretare nei loro gran<strong>di</strong> occhi straniti<br />
la paura, la fame, il ricordo della loro famiglia, ma nulla poteva<br />
perchè i suoi pie<strong>di</strong> erano scalzi come i loro con la <strong>di</strong>fferenza che<br />
la loro giovinezza poteva ancora farli sperare in un futuro<br />
migliore.<br />
Alla fiera del paese Paulo avrebbe voluto comperarsi, come<br />
tanti altri, un paio <strong>di</strong> occhiali e una volta aveva avuto anche il<br />
coraggio <strong>di</strong> avvicinarsi alla bancarella e nel provarsene<br />
velocemente un paio aveva scoperto un mondo <strong>di</strong> piccole cose.<br />
Quanto avrebbe desiderato possederli poter osservare tante<br />
piccole meraviglie!<br />
La cosa più <strong>di</strong>fficile per lui era infilare il filo nella cruna<br />
dell’ago, quando doveva rammendare qualche strappo e per<br />
questo chiedeva sempre aiuto a qualche bambino che gli passava<br />
accanto.<br />
Oggi i pie<strong>di</strong> scalzi <strong>di</strong> Paulo non lasciano più orma sulla neve<br />
fresca, così come i gusci delle pannocchie non gli fanno più da<br />
giaciglio; i bambini, nel volger degli anni dopo la sua scomparsa<br />
non si sono mai più avvicinati a quella porta rimasta socchiusa,<br />
anzi timorosi e impauriti hanno imparato a sorpassare <strong>di</strong> corsa il<br />
portone <strong>di</strong> accesso all’aia nel timore <strong>di</strong> vederlo forse<br />
ricomparire.<br />
Nel piccolo cimitero sulla collina non c’è traccia della sua<br />
sepoltura, nessuno ricorda quando sia morto e quale fosse stato il<br />
193
194
suo cognome. Nella grande storia stanno scritti tutti i nomi <strong>di</strong><br />
coloro che nel corso dei secoli si sono avvicendati nel possesso<br />
del paese, dagli antichissimi Obertenghi ai gran<strong>di</strong> Malaspina e ai<br />
più recenti Me<strong>di</strong>ci.<br />
Molti possidenti, talvolta arroganti e presuntuosi, sono vissuti<br />
con la prepotenza del danaro o del casato ma <strong>di</strong> nessuno è<br />
rimasta traccia nella piccola storia, quella che non è scritta sui<br />
libri ma rivive nel cuore e nella memoria dei semplici.<br />
E mentre il viandante percorre il vicolo anulare del paese,<br />
chiunque ancor oggi, col <strong>di</strong>to, gli sa in<strong>di</strong>care l’ara <strong>di</strong> Paulo.<br />
195
196
LA SIGNORA<br />
C’era stato un tempo in cui la signora del castello, nei<br />
pomeriggi estivi, nel ricevere le amiche, amasse<br />
condurle nel giar<strong>di</strong>no all’ombra degli alberi, dove, in<br />
un luogo riparato alla vista degli estranei, era stato costruito nel<br />
bosso, un piccolo bersò.<br />
Anche quel giorno ella le aveva fatte accomodare sotto gli<br />
alberi, poichè l’estate inoltrata tormentava ancora con<br />
un’insopportabile calura, e l’ombra scura <strong>di</strong> quel recesso<br />
ombroso era molto invitante.<br />
Il giar<strong>di</strong>niere con arte e pazienza aveva potato i rami del<br />
bosso sino a formare un capanno fresco nel quale erano<br />
sistemate <strong>di</strong>verse panche e se<strong>di</strong>li <strong>di</strong> ferro; le signore strette nei<br />
busti, i colletti chiusi da nastri in velluto, chiusi i ventagli, si<br />
erano sedute a godersi la frescura del luogo.<br />
Dalle piccole finestre aperte nel verde esse potevano,<br />
197
198
nascoste, sorvegliare i figli che le avevano seguite in visita.<br />
I maschietti correvano <strong>di</strong>etro i cerchi che sospingevano con una<br />
bacchetta, mentre le bambine, dai fiocchi <strong>di</strong> taffetas tra i capelli,<br />
cullavano le loro bambole <strong>di</strong> porcellana. Talvolta, giocando, i<br />
fanciulli si scambiavano tra loro, lanciandoli con due<br />
bastoncelli, dei piccoli cerchi <strong>di</strong> legno che dovevano essere<br />
raccolti e infilzati al volo come nelle antiche giostre tra cavalieri.<br />
Nessuno si era mai saputo spiegare perchè i figli dei ricchi<br />
fossero anche sempre così belli.<br />
Quel giorno la signora era particolarmente felice, perchè<br />
erano state ormai fissate le nozze del suo primogenito. Questo<br />
era quin<strong>di</strong> l’argomento che interessava le signore; per l’erede<br />
della casata ci sarebbero stati gran<strong>di</strong> festeggiamenti e sarebbero<br />
intervenuti anche molti ospiti blasonati.<br />
La signora si sarebbe preoccupata delle toilettes e del<br />
ricevimento, mentre il marito avrebbe calcolato quante quarete<br />
<strong>di</strong> grano avrebbe dovuto <strong>di</strong>stribuire ai poveri per questi sponsali,<br />
come era in uso in <strong>Lunigiana</strong> presso le famiglie ricche.<br />
La signora amava la futura nuora che era bruna ed elegante,<br />
<strong>di</strong> buona famiglia, anzi era l’erede <strong>di</strong> ricchi posse<strong>di</strong>menti<br />
nell’alta <strong>Lunigiana</strong>; era anche bella e, quando a fianco del suo<br />
promesso cavalcava per i sentieri e le fratte, i conta<strong>di</strong>ni si<br />
fermavano a guardare la giovane coppia con muta ammirazione.<br />
Erano veramente due belle creature. La signora era<br />
innamorata del suo ragazzo che rispecchiava i canoni della<br />
bellezza maschile del tempo: alto, una bella testa <strong>di</strong> capelli, la<br />
199
200
faccia bianca e rossa dall’espressione buona e sorridente,<br />
somigliante in tutto alla madre.<br />
La signora ne era fiera e, mentre preparava per il suo<br />
primogenito uno sposalizio degno del nome che portava,<br />
ritornava col pensiero a quando era giunta lei stessa al paese,<br />
giovane sposa in una grande famiglia. Aveva se<strong>di</strong>ci anni quando<br />
aveva conosciuto colui che avrebbe sposato <strong>di</strong> lì a qualche mese.<br />
Amici comuni avevano presentato il giovane bene alla<br />
famiglia <strong>di</strong> lei e, anche se li <strong>di</strong>videva un certo numero <strong>di</strong> anni,<br />
quando la sposa era entrata felice nella cappella del proprio<br />
palazzo per passare dal braccio del padre a quello dello sposo,<br />
aveva portato con sè una ricca dote fatta <strong>di</strong> palazzi, terre e<br />
gioielli.<br />
Quando la fanciulla fu giunta alla strada mulattiera per<br />
arrivare al paese dove avrebbe vissuto nella nuova famiglia, i<br />
conta<strong>di</strong>ni, che lavoravano come mezzadri le loro terre avevano<br />
fatto ala ad una bellissima sposa dall’aspetto quasi <strong>di</strong> bambina.<br />
La voce della sua bellezza si era sparsa in tutta la <strong>Lunigiana</strong>, e<br />
nessuno mai si era stupito che, contrariamente all’uso dei maschi<br />
della famiglia, il marito le avesse portato sempre grande amore e<br />
rispetto.<br />
Dopo le nozze, la sposa era entrata come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne in<br />
casa dei suoceri che l’avevano ben accolta e ben trattata.<br />
La giovane coppia aveva preso possesso del piano nobile, mentre<br />
i suoceri si erano ritirarati al piano superiore, chiamato<br />
genericamente “in castello”, perchè le stanze avevano le finestre<br />
201
202
con le bifore e un avanzo <strong>di</strong> mastio era rimasto accanto alla<br />
cappella <strong>di</strong> famiglia nel giar<strong>di</strong>no pensile.<br />
La camera da letto della nuova signora aveva un’ anticamera,<br />
nella quale trovavano posto il lavamani e la commode, che si<br />
apriva sul salotto rosso attorno al quale erano <strong>di</strong>stribuite la altre<br />
camere da letto destinate ai loro futuri figli. Era stata arredata<br />
con mobili lussuosi che avevano sostituito quelli con lo stemma<br />
<strong>di</strong> famiglia che i suoceri avevano traslocato “in castello”. Il<br />
corredo era stato riposto nel grande arma<strong>di</strong>o e leggerissime<br />
tende <strong>di</strong> tulle ricamato erano state appese d<strong>avanti</strong> alle finestre.<br />
Il fotografo aveva immortalato le due coppie, la giovane e la<br />
vecchia, entrambe sedute; alle loro spalle, in pie<strong>di</strong>, avevano<br />
posato gli altri membri della famiglia che, per tra<strong>di</strong>zione, non<br />
avevano potuto sposare per non dover <strong>di</strong>videre il patrimonio.<br />
La giovane sposa aveva avuto in dono <strong>di</strong> nozze due orecchini <strong>di</strong><br />
brillanti dalla marchesa sua suocera la quale, a sua volta, li<br />
aveva portati in dote preferendoli ad un podere.<br />
Il nuovo signore si alzava all’alba per andare a caccia o a<br />
sorvegliare i mezzadri nel lavoro dei campi e, quando rientrava<br />
in casa, coglieva una rosa tea dal giar<strong>di</strong>no per omaggiare la<br />
giovane moglie. Questa, dopo essersi accu<strong>di</strong>ta nella persona,<br />
andava a sorvegliare che le domestiche facessero bene il loro<br />
lavoro, cucinava il pranzo consultando il libro <strong>di</strong> ricette, l’Artusi,<br />
avuto dalla madre, e nel pomeriggio raggiungeva la suocera che<br />
viveva ormai in compagnia del suo pappagallo, mentre il suocero<br />
cercava <strong>di</strong> rincorrere le domestiche più prosperose.<br />
203
204
Con la suocera la sposina ricamava i gran<strong>di</strong> corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> lino<br />
che sarebbero serviti per il primogenito già gran<strong>di</strong>cello e per la<br />
bambina che pur piccola mostrava già un carattere forte e<br />
prepotente come quello del padre.<br />
La signora era una sposa molto felice e molto invi<strong>di</strong>ata.<br />
Col prossimo matrimonio, sapeva che anche lei avrebbe<br />
dovuto lasciare il piano nobile per lasciar posto alla nuova<br />
generazione <strong>di</strong> sposi, il fotografo avrebbe immortalato <strong>di</strong> nuovo<br />
entrambe le coppie e gli orecchini <strong>di</strong> brillanti sarebbero passati<br />
ai lobi della giovane nuora.<br />
Il problema invece sarebbe stata la presenza dell’antica<br />
signora, sua suocera, che, sopravvissuta al marito, occupava<br />
ancora “in castello”; tra l’altro, questa aveva anche assunto, negli<br />
ultimi tempi, un comportamento riservato, anzi schivo e triste.<br />
Non sarebbe stato facile, con lei, la coabitazione.<br />
Sua suocera da qualche tempo non aveva voluto più ricevere<br />
visite, non era più uscita <strong>di</strong> casa per le funzioni religiose e non<br />
aveva più frequentato il suo salotto.<br />
Da qualche tempo aveva preso a osservare a lungo il nipote, e<br />
quando le veniva chiesta una qualche spiegazione per questo<br />
strano comportamento, la nonna abbassava tristemente lo<br />
sguardo e si ritirava. Questo atteggiamento, che la impensieriva,<br />
la signora avrebbe voluto commentarlo con le amiche, ma<br />
temendo che potessero sorgere spiacevoli chiacchiere, non ne<br />
aveva fatto parola continuando a <strong>di</strong>alogare e a scambiare con<br />
loro sorrisi e complimenti.<br />
205
206
Quando le amiche si furono accomiatate, la nuora era salita<br />
“in castello” per una breve visita alla suocera e l’aveva trovata<br />
seduta ad un tavolo d<strong>avanti</strong> al mazzo dei tarocchi.<br />
Nel piegarsi per baciarla, aveva gettato lo sguardo alla <strong>di</strong>stesa<br />
delle carte, poi, allarmata per quanto aveva potuto leggervi,<br />
aveva guardato gli occhi spaventati dell’anziana signora che<br />
velocemente aveva cercato <strong>di</strong> raccogliere le carte.<br />
La signora si era messa allora a sedere e, con apprensione le<br />
aveva chiesto <strong>di</strong> stendere un nuovo giro: ecco nuovamente la<br />
casa, la sventura, il picchiotto della porta, un uomo giovane della<br />
famiglia, la malattia, la morte.<br />
Ora conosceva il motivo della tristezza della suocera.<br />
Poco tempo sarebbe passato che una fulminea mortale<br />
malattia avrebbe cancellato le nozze e la vita del giovane erede e<br />
lei sarebbe <strong>di</strong>ventata la signora più commiserata <strong>di</strong> tutta la<br />
<strong>Lunigiana</strong>.<br />
207
208
ZEFRA<br />
Zefra si era alzata come ogni altra mattina dopo aver<br />
scavalcato nel letto il bambino che le aveva dormito a<br />
fianco. Era abituata a tenere il suo ultimo nato dal lato<br />
esterno del letto anzichè all’interno, nel timore che il marito,<br />
girandosi durante la notte, inavvertitamente lo soffocasse. Ciò<br />
non era del tutto inusuale; lei aveva sentito parlare spesso <strong>di</strong><br />
simili <strong>di</strong>sgrazie.<br />
Aveva indossato il vestito che la sera aveva appeso ai pie<strong>di</strong> del<br />
letto e su questo aveva messo lo scialle che, incrociato sul<br />
d<strong>avanti</strong>, veniva fermato <strong>di</strong>etro i fianchi. Preso il mazzetto <strong>di</strong><br />
foglie secche che la sera <strong>avanti</strong> aveva posto vicino al fuoco ad<br />
asciugare l’ aveva posto nel fornello e col furminant aveva<br />
cercato <strong>di</strong> accenderlo per ottenere un pò <strong>di</strong> fuoco per scaldare il<br />
latte ai figli più gran<strong>di</strong>celli, che, grazie a Dio, quello piccolo<br />
prendeva ancora il suo.<br />
209
210
Anche quella mattina, l’umi<strong>di</strong>tà aveva reso inservibili i<br />
fiammiferi, per cui Zefra sarebbe dovuta andare dalla vicina a<br />
chiedere in prestito un tizzo e sventolarlo per strada perchè<br />
potesse arrivare ad accendere le foglie secche nel suo focolare.<br />
Scaldato il latte, la donna aveva preso il piccolo lume ad olio<br />
e, dopo aver allungato con le <strong>di</strong>ta il paver perchè facesse più<br />
luce, lo aveva appeso al trave per rischiarare la stanza. Il paver<br />
era <strong>di</strong>ventato troppo corto e Zefra doveva ricordarsi <strong>di</strong><br />
sfilacciare un poco la coperta <strong>di</strong> cotone per procurarsene uno<br />
più lungo e anche <strong>di</strong> aggiungere altro olio al lume.<br />
Col prossimo raccolto, se la stagione fosse andata bene, il<br />
marito le avrebbe comperato alla fiera un lume nuovo, <strong>di</strong>verso da<br />
quello a olio: uno che aveva una rotellina, girando la quale, si<br />
sarebbe potuto ottenere più luce quando serviva.<br />
Preso il piccolo, la madre lo aveva sfasciato e aveva cercato <strong>di</strong><br />
pulirlo con gli stessi drapisei che gli aveva tolto, l’aveva avvolto<br />
in un grande rettangolo pulito <strong>di</strong> cotone che aveva ottenuto<br />
lacerando vecchie lenzuola, l’aveva riavvolto da capo a pie<strong>di</strong> con<br />
una fascia asciutta e, <strong>di</strong>versamente dalla consuetu<strong>di</strong>ne, gli aveva<br />
lasciato libere le braccia. Il piccolo, attaccato al petto, suggendo<br />
avidamente con la manina appoggiata al seno, gli occhi fissi in<br />
quelli della madre, aveva avviato il solito scambievole colloquio<br />
d‘amore.<br />
Zefra aveva voluto lasciare i suoi bambini con le braccia<br />
libere e non costrette dentro la fasciatura; era per lei una gioia<br />
osservarli mentre giocavano con le loro stesse mani e quando si<br />
211
212
succhiavano un <strong>di</strong>to in attesa del pasto.<br />
Dopo la fasciatura, Zefra aveva baciato lo scapolare e con una<br />
spilla a balia lo aveva attaccato alla maglietta del bambino, lo<br />
aveva sdraiato nella piccola cuna per portarlo nei campi dove<br />
avrebbe dovuto andare a vangare nella mattinata. Intanto i bimbi<br />
più gran<strong>di</strong>celli si erano svegliati, ma non avevano alcuna voglia<br />
<strong>di</strong> scendere dal letto, malgrado la fame, perchè amavano stare<br />
nel tepore delle coperte e anche perchè sapevano che ci<br />
sarebbero stati anche per loro dei piccoli lavori da sbrigare: le<br />
pecore o la vacca da portare al pascolo, la legna da raccogliere<br />
per il focolare o l’erba per sfamare i conigli.<br />
I suoi figli avrebbero desiderato essere ricchi per poter<br />
dormire sino a tar<strong>di</strong> la mattina come solevano fare quelli che<br />
vivevano nella casa più bella sulla piazza del paese, loro invece<br />
avevano una casa piccola, posta nel vicolo e dovevano alzarsi<br />
all’alba per andare a lavorare. Sul portale, proprio sulla pietra<br />
che faceva da chiave <strong>di</strong> volta all’arco stesso, qualcuno, chissà<br />
quando, vi aveva scolpito un omino, forse un paggio o un<br />
guerriero, così loro avevano sperato che fosse proprio lo stemma<br />
<strong>di</strong> un ricco cavaliere che, tornando da terre lontane, li avrebbe<br />
resi favolosamente ricchi.<br />
Avevano viste spesso, scolpite in pietre più gran<strong>di</strong>, queste<br />
figure stilizzate e talvolta rozze, uomini con pugnali e donne con<br />
seni e collane, poste qua e là nei muri e nei campi; <strong>di</strong>ssotterrate<br />
dall’aratro, quelle figure un secolo dopo, sarebbero finite nei<br />
musei col nome <strong>di</strong> Statue Stele.<br />
213
214
Spesso i suoi bambini puntavano il <strong>di</strong>to sull’omino del portale<br />
e chiedevano spiegazioni che lei non sapeva dare, così Zefra<br />
inventava per loro qualche piccola storia o recitava a memoria<br />
una filastrocca imparata a sua volta dalla nonna, una storia <strong>di</strong><br />
numeri progressivi in cui il primo era:” uno è il nome <strong>di</strong> Gesù<br />
Cristo <strong>di</strong> casa Emanuele evviva questo regno e sempre sia lodà,<br />
due sono i testamenti <strong>di</strong> casa Emanuele…., tre sono le persone<br />
dello Spirito Santo…, quattro gli evangelisti, cinque i profeti, sei<br />
le strade <strong>di</strong> Betlemme, sette le lampade <strong>di</strong> Gerusalemme…” e i<br />
suoi bimbi con gli occhi sgranati imparavano i numeri con le<br />
storie <strong>di</strong> luoghi lontani, <strong>di</strong> personaggi straor<strong>di</strong>nari che avevano<br />
ricevuto le Tavole della Legge, che erano vissuti eremiti nel<br />
deserto o avevano riconosciuto in un pastore un grande re. Zefra<br />
aveva la corona del rosario appesa al chiodo e tutte le sere,<br />
durante la veglia, seduta accanto al fuoco coi suoi figli, recitava<br />
il rosario mentre attendeva il marito che, per vendere spille e<br />
rocchetti <strong>di</strong> refe, girava <strong>di</strong> borgo in borgo fin oltre l’ arpa e<br />
quando rientrava raccontava loro sempre nuove storie <strong>di</strong><br />
briganti che incontrava sui valichi delle Apuane.<br />
Quel giorno i figli più piccoli tossivano, perchè si erano<br />
raffreddati cadendo nell’acqua.<br />
Era accaduto che tenendo il piccino nella cuna sotto il braccio<br />
e quello più gran<strong>di</strong>cello per mano, nel cercare <strong>di</strong> passare a<br />
guado il canale per andare a vangare nel campo, scivolando sulle<br />
pietre brinate, Zefra li aveva trascinati entrambi in acqua.<br />
Faceva freddo ed era corsa a casa a cambiarli col risultato <strong>di</strong><br />
215
216
averli fatti ammalare e <strong>di</strong> aver anche perduto lei stessa mezza<br />
giornata <strong>di</strong> lavoro. Ma ormai era cosa fatta e Zefra sapeva che<br />
non si doveva piangere sul latte versato, così aveva deciso <strong>di</strong><br />
profittare della restante parte della giornata per stare a casa e<br />
fare il bucato.<br />
All’aperto, sull’angolo dell’aia, un grosso concone era alzato e<br />
appoggiato su due grosse pietre per consentire al ranno che<br />
fuorusciva dalla spina <strong>di</strong> essere raccolto in un secchio. Il ranno<br />
veniva scaldato nel grande lavegg che stava sul fuoco e, quando<br />
era caldo, doveva venire ripetutamente versato dall’alto sulla<br />
cenere che copriva i panni dentro il concone, finchè il bucato<br />
fosse pronto per essere sciacquato. L’aria era fredda ma il tempo<br />
aveva l’aria <strong>di</strong> mantenersi bello, così, posti i panni strizzati in<br />
una panera Zefra aveva pensato che all’indomani, sciacquati<br />
all’acqua corrente del canale e stesi sull’erba ad asciugare,<br />
avrebbero profumato <strong>di</strong> pulito il suo povero letto <strong>di</strong> foglie.<br />
Mentre le campane suonavano l’Angelus della sera la polenta<br />
era già scodellata sulla povera mensa. Nel vicolo si sentivano i<br />
campanacci delle vacche che passavano per rientrare nelle stalle<br />
e il vociare allegro dei ragazzi che si rincorrevano facendo<br />
scalpitare gli zoccoli sulle pietre del selciato.<br />
I figli, accorsi al primo richiamo, con le loro belle guance<br />
rosate, si erano seduti d<strong>avanti</strong> alla scodella in attesa della fetta<br />
fumante della polenta che la madre tagliava col filo <strong>di</strong> lana.<br />
Zefra li osservava con amore e, mentre la luce del sole si<br />
affievoliva, pensava che un altro giorno era passato e<br />
217
218
sicuramente quelli a venire avrebbero portato sempre più gioia e<br />
serenità.<br />
219
220
GIULIETTA<br />
La madre le aveva dato il nome <strong>di</strong> una delle sue sorelle<br />
così come, prima <strong>di</strong> lei, aveva chiamato le altre figlie<br />
coi nomi delle donne della sua famiglia.<br />
Giulietta era alta e bionda, perchè, <strong>di</strong>versamente dalla madre<br />
che era bruna, aveva ere<strong>di</strong>tato la bellezza e i colori del padre. Era<br />
cresciuta assieme alle sue sorelle, ne aveva <strong>di</strong>viso il pane e il<br />
letto; ogni sera le aveva sentite bisbigliare, loro che erano più<br />
gran<strong>di</strong>, dei loro pretendenti, degli sguar<strong>di</strong> che mandavano<br />
messaggi, degli appuntamenti al ballo la domenica.<br />
Durante la settimana, lei che era la più piccola, aveva il<br />
compito <strong>di</strong> portare, dopo la scuola, a pascolare le due vacche, la<br />
bionda e la mora, e mentre quelle lentamente brucavano l’erba<br />
con la loro lunga lingua nera, doveva preparare un piccolo fascio<br />
<strong>di</strong> legna da portare a casa la sera.<br />
Aveva con sè l’abecedario da leggere e il quaderno sul quale<br />
221
222
scriveva i compiti con una matita copiativa.<br />
La mattina la madre le preparava il cavagnin con le fugazzine<br />
o le pattone che dovevano essere il suo pasto del mezzogiorno;<br />
Giulietta alle prime che erano fatte <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> granturco<br />
preferiva le altre che erano <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> castagne e quin<strong>di</strong> dolci.<br />
La madre impastava la farina <strong>di</strong> castagne con l’acqua,<br />
prendeva due foglie <strong>di</strong> castagno dal mazzo che aveva preparato<br />
nella stagione primaverile, le appaiava, vi versava la pasta molle,<br />
le ripiegava e le metteva accostate l’una all’altra nei testi <strong>di</strong> ghisa<br />
che aveva precedentemente fatto arroventare al fuoco sulle<br />
fascine. Quando i testi venivano scoperchiati il profumo delle<br />
pattone si spandeva nell’aria e Giulietta, pur scottandosi le <strong>di</strong>ta,<br />
ne prendeva subito una e dopo averla liberata dalle foglie la<br />
mangiava golosamente.<br />
Questo accadeva la sera quando la famiglia si riuniva per la<br />
cena e queste venivano servite calde con dentro la ricotta che la<br />
madre ricavava dal siero del latte quando faceva il formaggio.<br />
La madre, che sapeva quanto le piacessero, gliene conservava<br />
alcune per il pranzo dell’’indomani.<br />
Giulietta nel cestino, assieme al cibo, metteva i calzetti o gli<br />
scapinei con i ferri che la madre le aveva iniziato e che lei doveva<br />
finire entro sera; talvolta metteva anche calze bucate da<br />
rammendare.<br />
Un giorno, che aveva lasciato incostu<strong>di</strong>to il cestino, aveva<br />
visto una vacca che si era mangiata il gomitolo <strong>di</strong> lana nel quale<br />
lei aveva infilato il grosso ago da rammendo. Le aveva preso il<br />
223
224
panico.<br />
Ben sapeva che entro poco tempo l’ago avrebbe perforato<br />
l’intestino dell’animale e suo padre, dovendolo sotterrare<br />
avrebbe cercato e trovato la causa della morte.<br />
Lo spavento della punizione era pari alla preoccupazione del<br />
danno che avrebbe subito la sua famiglia con la per<strong>di</strong>ta della<br />
vacca.<br />
Si era buttata in ginocchio sulle ricce delle castagne e con le<br />
ginocchia sanguinanti aveva fatto solenne voto che ogni sera, se<br />
l’animale non fosse morto, avrebbe recitato tre pater ave gloria<br />
alla Madonna <strong>di</strong> Loreto. L’animale non era morto e dopo poco la<br />
vacca era stata anche venduta ma lei aveva deciso <strong>di</strong> perseverare<br />
nel suo voto fino alla morte.<br />
Era iniziato forse da questo episo<strong>di</strong>o il particolare<br />
comportamento <strong>di</strong> Giulia che aveva vissuto, la sua giovinezza<br />
prima e il resto della sua vita poi, con un comportamento quasi<br />
maniacale. Alla vita spensierata scelta dalle sorelle aveva scelto<br />
quello della compostezza e della riservatezza.<br />
Aveva cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare l’amore che nutriva per un<br />
giovane che, innamorato, le faceva dolci serenate dall’aia vicina<br />
e a dormire accanto alla nonna con la quale ogni notte <strong>di</strong>ceva il<br />
rosario e che le aveva anche assicurato, che se fosse stato<br />
possibile, sarebbe ritornata a lei dal mondo dei morti per farsi<br />
rivedere.<br />
Assieme alla nonna aveva recitato le preghiere, frequentato la<br />
chiesa del paese per mettere fiori sull’altare, spazzato il<br />
225
226
pavimento, lavato le tovaglie degli altari e lucidato i candelieri.<br />
Assieme avevano preparato il presepe ed il sepolcro e<br />
naturalmente avevano assistito alle messe e fatto penitenza in<br />
quaresima.<br />
Giulietta era <strong>di</strong>ventata rigorosa nell’osservanza religiosa:<br />
comunicarsi il primo vener<strong>di</strong> del mese, mangiare <strong>di</strong> magro nei<br />
giorni prescritti e osservare il <strong>di</strong>giuno.<br />
Forse avrebbe scelto la strada del convento se qualcuno avesse<br />
potuto darle in<strong>di</strong>cazioni. La madre, intuendo in quella tendenza<br />
un possibile pericolo, era riuscita a in<strong>di</strong>rizzarla al matrimonio,<br />
l’aveva spinta a sposare un cugino, figlio <strong>di</strong> una sorella, che<br />
viveva nel paese vicino.<br />
Giulia si era lasciata convincere e dopo il matrimonio aveva<br />
cominciato una vita <strong>di</strong> sposa in casa della suocera che,<br />
ovviamente, le voleva bene per il duplice motivo <strong>di</strong> esserle anche<br />
zia.<br />
La sua vita appariva serena e così sarebbe parsa agli occhi <strong>di</strong><br />
tutti, se non fosse stato per l’eccessivo ardore che metteva nella<br />
frequentazione delle funzioni religiose e che lasciava indovinare<br />
quello che mai Giulietta avrebbe rivelato ad alcuno: una totale<br />
infelicità.<br />
Non frequentava nessuno, non aveva amiche. Usciva per fare<br />
la spesa e subito ritornava a casa.<br />
Nei giorni <strong>di</strong> primavera aveva preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> salire sulla<br />
collina verso il santuario e, mentre percorreva la mulattiera,<br />
recitava il rosario.<br />
227
228
Talvolta si univano a lei le ragazze che recitavano novene per<br />
trovare marito; altre volte andava a trovare la madre e, in<br />
alternativa, al piccolo cimitero per pregare sulla tomba <strong>di</strong> quella<br />
nonna che, dopo morta, non le era riapparsa mai, nemmeno in<br />
sogno.<br />
In tutti gli altri giorni stava seduta d<strong>avanti</strong> alla porta <strong>di</strong> un<br />
piccolo terrazzo che spaziava alto sul fiume e sulla pianura<br />
antistante.<br />
Nessuno lassù poteva vederla. Nessun testimone della sua<br />
<strong>di</strong>sperazione. Mentre guardava l’acqua scorrere sotto il ponte,<br />
avrebbe voluto essere trascinata via lontano, <strong>di</strong>menticare,<br />
morire.<br />
Tali erano state per lei le delusioni nel matrimonio, la<br />
solitu<strong>di</strong>ne che si era imposta e il rigore delle penitenze, che,<br />
quando era giunta per lei l’ora della morte, l’aveva accettata con<br />
sollievo, quasi con la certezza che la vita nell’al<strong>di</strong>là non avrebbe<br />
potuto essere peggiore <strong>di</strong> quella che aveva vissuto.<br />
229
230
MARIA e VERGIÒ<br />
Arrivavano, la domenica mattina, dalla corte vicina per<br />
scure.<br />
assistere alla messa cantata. Erano entrambi alti e<br />
molto magri, quasi allampanati; due gran<strong>di</strong> ombre<br />
Maria vestiva <strong>di</strong> nero, estate e inverno, con abiti dalle<br />
maniche lunghe. Nessuna donna <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> sarebbe andata a<br />
messa con abiti dalle maniche corte, assolutamente mai si<br />
sarebbe presentata in chiesa con la men che minima scollatura e<br />
senza velo in testa.<br />
Anche le ragazze dovevano mettersi uno scialle sulle spalle<br />
per coprirsi le braccia nude, ed era tollerato per loro un velo<br />
bianco e anche un piccolo fazzoletto, ma il capo scoperto mai,<br />
perchè il prete le avrebbe vergognosamente fatte uscire dalla<br />
chiesa.<br />
Maria portava calze <strong>di</strong> lana nera fatte in casa, scarpe col<br />
231
232
tacco basso, stringate e nere, che parevano da uomo e forse erano<br />
proprio del marito. Un fazzolettone, anch’esso nero, cercava <strong>di</strong><br />
raccogliere e trattenere i suoi lunghi capelli che, sempre folti e<br />
inanellati, ancora adesso, ai lati del viso, fuoruscivano<br />
ostinatamente in grossi boccoli grigi.<br />
L’abito nero era stato scelto con piccoli puntini grigi proprio<br />
con l’intenzione <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re allo sguardo <strong>di</strong> rilevare segni <strong>di</strong><br />
polvere o qualche rammendo.<br />
Tra le mani, quando veniva in chiesa, aveva sempre la corona<br />
del rosario e il libro della messa.<br />
Forse Maria non sapeva leggere e il messale era del tutto<br />
superfluo, ma la domenica era d’obbligo portarlo assieme al velo<br />
nero, col quale si sarebbe coperta il capo, come tutte le altre<br />
donne.<br />
Vergiò le camminava accanto. Anzi si potrebbe <strong>di</strong>re che Maria<br />
camminava, contrariamente all’uso <strong>di</strong> quel tempo, a fianco del<br />
suo Vergiò.<br />
L’uomo era straor<strong>di</strong>nariamente alto e ossuto. Il cappello nero<br />
e sformato copriva una can<strong>di</strong>da capigliatura folta e arricciata; i<br />
suoi lunghi baffi, con le punte rivolte all’in sù, denotavano la<br />
cura con cui egli sapeva custo<strong>di</strong>rseli.<br />
Anche lui indossava l’abito della festa; il panciotto<br />
rigorosamente nero, anzi lo era stato, ma ora era <strong>di</strong>ventato molto<br />
stinto e consumato negli orli. Nei calzoni erano modellati i segni<br />
delle ginocchia e la sua camicia chiara, ma senza un colore<br />
definito e piuttosto stropicciata, era decorosamente abbottonata<br />
233
234
al collo.<br />
Quelli erano gli abiti che avevano indossato al momento del<br />
matrimonio e in circostanze particolari, ed entrambi sapevano<br />
che sarebbero stati anche quelli che avrebbero indossato dentro<br />
la bara. Farsi una muda <strong>di</strong> drappi nuova era stato impossibile in<br />
tutti gli anni passati e per il futuro del tutto impensabile.<br />
Quando si erano conosciuti, tanto tempo prima, era stato in<br />
un paese piuttosto lontano in una fiera importante.<br />
La chiamavano la fiera <strong>di</strong> San Ginesio e si svolgeva d’estate<br />
sotto le frasche <strong>di</strong> un grande castagneto che tutti <strong>di</strong>cevano che<br />
fosse sempre esistito e dove popoli antichi si riunivano per<br />
combinare matrimoni e svernare.<br />
Nella Selva <strong>di</strong> Filetto sarebbero stati poi rinvenuti reperti<br />
archeologici che avrebbero avvalorato i detti dei vecchi, e le<br />
Statue Stele del museo del castello del Piagnaro sono oggi<br />
contrassegnate coi nomi <strong>di</strong> Filetto primo, Filetto secondo…<br />
I castagni che tutt’oggi costituiscono la Selva appaiono più<br />
che centenari; ve ne è poi uno, in particolare, che viene chiamato<br />
“il castagno <strong>di</strong> Dante”.<br />
Quando si erano conosciuti Maria era giovane e snella e i suoi<br />
capelli neri le ricadevano sulle spalle in morbide volute. Vergiò<br />
era alto e forte e quando rideva i suoi baffi incorniciavano una<br />
bella chiostra <strong>di</strong> denti.<br />
Nel bosco ombroso i due giovani si erano cercati con gli occhi<br />
e quando Vergiò si era persuaso dell’interesse che suscitava in<br />
Maria, aveva cercato <strong>di</strong> sapere da quale paese provenisse e subito<br />
235
236
era andato a chiederla in moglie.<br />
Allora non c’era tempo da de<strong>di</strong>care agli svaghi amorosi, si<br />
doveva guardare se la donna aveva una dote, se l’uomo sarebbe<br />
stato in grado <strong>di</strong> mantenerla, se viveva sui suoi campi o se era<br />
mezzadro e <strong>di</strong> chi, poi si andava dal parroco del paese per<br />
informazioni, e per finire il giovane si presentava alla famiglia<br />
della ragazza e la chiedeva in sposa.<br />
Dopo il loro matrimonio nessuno più aveva ricordato <strong>di</strong> quale<br />
paese Maria fosse originaria nè quale fosse stato il suo cognome,<br />
quin<strong>di</strong>, per <strong>di</strong>stinguerla dalle innumerevoli omonime, venne<br />
chiamata semplicemente la Maria <strong>di</strong> Vergiò.<br />
Di lui sapevano tutti che possedeva un asino che gli serviva<br />
per trasportare la legna e il carbone dai boschi mentre lei<br />
accu<strong>di</strong>va i campi, l’orto e le galline.<br />
Vergiò faceva il taglialegna; andava sui monti col suo asinello<br />
e per qualche tempo si fermava a dormire nei boschi per<br />
accumulare la legna tagliata e per fare il carbone.<br />
Egli sapeva come si <strong>di</strong>sponeva la legna nella carbonaia,<br />
perchè una volta ricoperta <strong>di</strong> terra la catasta,questa, bruciando<br />
in assenza <strong>di</strong> ossigeno, si sarebbe trasformata in carbone da<br />
portare al mercato. Egli sapeva lasciare liberi giusti spazi interni<br />
per creare fumarole dalle quali sarebbe fuoruscito il fumo e<br />
quanto tempo sarebbe occorso al carbone per raffreddarsi prima<br />
<strong>di</strong> togliere la terra che lo ricopriva. Quando il carbone era<br />
pronto, per venderlo, lo trasportava in paese e talvolta anche in<br />
città chiuso dentro sacchi legati al basto del suo asinello.<br />
237
238
Passava molto tempo lontano da casa; sui monti per accu<strong>di</strong>re<br />
le carbonaie e in viaggio per andare a vendere in città, ma<br />
quando era a casa, ogni domenica, Vergiò con la sua Maria,<br />
arrivava lungo la mulattiera; entravano in chiesa, lui dalla parte<br />
degli uomini <strong>di</strong>etro l’altare, lei con le donne nelle panche,<br />
assistevano alla messa e all “ite missa est” si ritrovavano nella<br />
piazzetta del paese; insieme andavano all’osteria dove Vergiò<br />
offriva alla sua Maria un bicchiere <strong>di</strong> vino prima <strong>di</strong> rientrare a<br />
casa.<br />
Quello era stato l’unico lusso, l’unica concessione alla loro<br />
vita grama fatta <strong>di</strong> fatica e <strong>di</strong> stenti.<br />
Quando apparivano, sempre insieme, era una gioia constatare<br />
come una coppia, ancorchè senza figli, potesse vivere un<br />
rapporto <strong>di</strong> costante serenità e reciproco affetto, ed ancor più<br />
stupefacente era stato risapere che Maria, dopo le nozze e in<br />
seguito per sempre, alle richieste maritali <strong>di</strong> Vergiò, si era<br />
rifugiata <strong>di</strong> corsa nel fienile e col forcone in mano, puntato al<br />
suo Vergiò, gli aveva ripetuto: “ven su se t’ghe coragh”.<br />
239
240
T u<br />
FILOMENA<br />
tti la chiamavano Filomena, ma il suo nome era<br />
Maria.<br />
Al tempo in cui era nata era quasi sempre il prete a<br />
decidere il nome al battesimo e quello per non sbagliare<br />
imponeva il nome della Madonna.<br />
Talvolta le madri protestavano:” a lu, a go già una fiola cla s’<br />
chiam Maria” e il prete concedeva allora un altro nome pur che<br />
fosse semplice e <strong>di</strong> famiglia. Così, per <strong>di</strong>stinguerla dalle altre, e<br />
non essendo ancora maritata, avevano cominciato a chiamarla<br />
Filò.<br />
Abitava con la sua famiglia in un paese sperduto tra le colline<br />
che si susseguivano, sempre più in<strong>di</strong>stinte, fino ad un’alta catena<br />
<strong>di</strong> monti.<br />
La sua casa era tra il vicolo del paese e l’angolo della piazza.<br />
Su un esiguo ballatoio, d<strong>avanti</strong> all’ingresso, poteva trovar posto<br />
241
242
una se<strong>di</strong>a; <strong>di</strong>etro una stalla, la cantina e l’orto.<br />
In un basso muricciolo che recintava l’aia, vi era stata murata<br />
una piccola maestà marmorea.<br />
Era un piccolo bassorilievo e, <strong>di</strong>versamente da quasi tutte le<br />
icone che rappresentavano invece la Madonna, questo portava<br />
scolpita la passione del Golgota col Cristo morto, Maria e<br />
S.Giovanni. Filomena a causa dell’abbigliamento, aveva<br />
scambiato il santo con un altra Maria, era quin<strong>di</strong> stata lieta del<br />
proprio nome che, nella vita, pensava, le avrebbe portato bene.<br />
Filò passava le giornate a lavorare i campi come il resto dei<br />
suoi famigliari; quando ritornava a casa la sera, e sempre che il<br />
tempo lo avesse permesso, sedeva su una se<strong>di</strong>a sul terrazzino a<br />
guardare le persone che che si aggiravano sulla piazza.<br />
Da tempo aveva adocchiato un bel ragazzo che si era<br />
trasferito dalla Toscana in <strong>Lunigiana</strong> e a lei era piaciuto, perchè<br />
le era parso, oltrechè bello, anche intraprendente, poichè,<br />
<strong>di</strong>versamente dai suoi famigliari, che avevano accettato <strong>di</strong> fare i<br />
mezzadri ad un ricco proprietario terriero, <strong>di</strong> lui si sapeva che<br />
era andato a cercare lavoro in città.<br />
Francesco, questo era il nome del ragazzo, era un giovane<br />
robusto con un bel paio <strong>di</strong> baffi e due gran<strong>di</strong> occhi neri. Erano<br />
proprio gli occhi a fare <strong>di</strong> Francesco un tipo affascinante. Aveva<br />
nelle iri<strong>di</strong> il colore mutevole dei castagni, dal verde al marrone, a<br />
seconda dell’umore e del tempo e nello sguardo una vivacità <strong>di</strong><br />
interesse per ogni cosa che lo circondava.<br />
Filò era alta e magra; i suoi capelli, raccolti in un nodo <strong>di</strong>etro<br />
243
244
la nuca, erano castani e lisci; il naso un tantino aquilino. Non era<br />
certamente una bellezza e, per fortuna, nella sua <strong>di</strong>scendenza<br />
non era rimasta traccia della sua fisionomia, mentre gli<br />
straor<strong>di</strong>nari occhi <strong>di</strong> Francè si potevano riconoscere sin dalla<br />
prima volta che il neonato apriva gli occhi.<br />
La donna aveva anche il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> possedere un cattivo<br />
carattere tant’è vero che, in seguito, il nome <strong>di</strong> Filò era stato<br />
usato per definire un carattere impossibile.<br />
Certo in un qualche modo e per un qualche merito era<br />
riuscita a farsi sposare dal bel ragazzo e con lui era emigrata in<br />
città; era andata a vivere in una zona collinare, e lì erano nati i<br />
<strong>di</strong>eci figli che Filò aveva accu<strong>di</strong>to durante la giornata, durante il<br />
duro lavoro dei campi che la famiglia aveva a mezzadria.<br />
Francesco lavorava come operaio alla costruzione <strong>di</strong> un<br />
grande porto che sarebbe stato, nel secolo successivo, <strong>di</strong> grande<br />
importanza militare; Filò, per guadagnare qualche soldo in più,<br />
quando il marito rientrava la sera, era solita andare con lui, per<br />
qualche ora, in una cava <strong>di</strong> pietre a cielo aperto in una zona<br />
vicina.<br />
Era una donna forte e volitiva, laboriosa e straor<strong>di</strong>nariamente<br />
pulita.<br />
La prima figlia era stata chiamata, come al solito, Maria e la<br />
seconda per non ripetere il nome della primogenita e della<br />
madre era stata battezzata Assunta.<br />
I figli maschi, nati uno dopo l’altro, avevano avuto i nomi <strong>di</strong><br />
famiglia.<br />
245
246
Il carattere particolare <strong>di</strong> Filò faceva sì che, spesso, gelosa<br />
dell’avvenenza <strong>di</strong> Francè, senza ragione alcuna, gli si scagliasse<br />
contro e lo picchiasse con un bastone; riusciva ad essere gelosa<br />
anche delle sue stesse figlie ed in particolare della sua stessa<br />
primogenita così come, poco maternamente, era solita<br />
manifestare la propria pre<strong>di</strong>lezione e la forte antipatia per uno o<br />
l’altro figlio.<br />
Durante la sua lunga vita e dopo la morte del marito, alcuni<br />
dei suoi figli non le sopravvissero: il giovane Umberto, che aveva<br />
ricevuto da lei più botte che pane, le era venuto a mancare a<br />
causa della tubercolosi e delle notti passate all’ad<strong>di</strong>accio quando<br />
lo chiudeva fuori <strong>di</strong> casa, e Dante il suo ultimogenito, da lei<br />
invece adorato, che era morto in guerra.<br />
Filò aveva passato gli ultimi suoi anni ora con uno, ora con un<br />
altro dei suoi figli, sempre mal sopportata a causa del suo<br />
terribile carattere.<br />
Il giorno della sua morte, alcuni parenti che circondavano il<br />
suo letto d’agonia, l’avevano sentita salutare Umberto, il figlio da<br />
lei tanto esecrato, e dopo un lungo colloquio, avevano capito che<br />
Filomena si era avviata con lui per un altro spazio.<br />
247
248
TELLIO<br />
A<br />
v eva atteso la notte prima <strong>di</strong> rientrare in casa per<br />
non mostrare in paese il viso pesto dalle botte.<br />
L’umiliazione lo rimordeva assieme alla rabbia<br />
impotente dell’uomo, ormai privo <strong>di</strong> forze, alle soglie della<br />
vecchiaia.<br />
Si erano appostati fuori al buio e quando Tellio gli era passato<br />
d<strong>avanti</strong> lo avevano aggre<strong>di</strong>to e malmenato.<br />
Antichi rancori avevano concorso ad armare le mani, vecchi<br />
ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> soprusi e violenze subite un tempo da parte del signore<br />
del castello; quei tempi erano ormai lontani, ma la memoria era<br />
rimasta e la vendetta era spesso consumata su “un piatto<br />
freddo”.<br />
Era nato signore del castello e <strong>di</strong> tutte le terre che a vista<br />
d’occhio circondavano il paese. Alto e fisicamente molto forte,<br />
dal padre, prima <strong>di</strong> ogni proprietà, aveva ere<strong>di</strong>tato la<br />
249
250
prepotenza. Adulti e bambini al suo passaggio si scostavano<br />
velocemente, apparentemente per rispetto, col timore invece <strong>di</strong><br />
subire qualche inaspettata punizione.<br />
Senza motivo alcuno il malcapitato che gli fosse arrivato a tiro<br />
avrebbe certamente subito una soperchieria. Era del tutto degno<br />
del padre che arrivava <strong>di</strong>rettamente a rapinare i propri mezzadri<br />
e cercava <strong>di</strong> appropriarsi con ogni mezzo dei beni altrui.<br />
Quando vendeva un pezzo <strong>di</strong> terra ad un conta<strong>di</strong>no, si<br />
limitava a firmare soltanto un compromesso con la promessa <strong>di</strong><br />
farne fare trascrizione da un notaio, ma in seguito si rifiutava <strong>di</strong><br />
presentarsi a sottoscriverlo e, alle ragionevoli proteste, il<br />
malcapitato era rabbonito con botte e ritorsioni varie per cui le<br />
proprietà, con gli anni, ritornavano sempre a lui.<br />
Quando trovava un in<strong>di</strong>viduo che sapeva resistergli, cercava<br />
<strong>di</strong> colpirlo a tra<strong>di</strong>mento colpendolo dall’alto, quando gli passava<br />
sotto le finestre, con un mattone o una tegola. Se poi finiva col<br />
rompere i denti a qualcuno con una scarica <strong>di</strong> botte gli era<br />
sufficiente tacitarlo con una damigiana d’olio, specialmente se il<br />
ferito aveva una famiglia numerosa.<br />
Era certamente un in<strong>di</strong>viduo temuto e pericoloso.<br />
Nella notte usciva <strong>di</strong> casa col fucile a tracolla per recarsi nei<br />
propri campi apparentemente a controllare i raccolti, ma in<br />
realtà a spostare i testimoni sui confini per ingran<strong>di</strong>re i suoi<br />
campi.<br />
Diversamente dalla Toscana in cui era in uso piantare un<br />
cipresso ai confini <strong>di</strong> ogni proprietà, era abitu<strong>di</strong>ne in <strong>Lunigiana</strong><br />
251
252
sistemare, al posto dell’albero, una pietra centrale con altre due<br />
ai lati, orientate verso il testimone del lato opposto.<br />
Tellio aveva sposato, un pò in là negli anni, una moglie molto<br />
giovane e ricca, ma in compenso ancor più esperta <strong>di</strong> lui a<br />
derubare del giusto compenso chi lavorava per quella casa.<br />
Viveva nel castello con la coppia dei vecchi genitori: la madre<br />
marchesa, in compagnia dell’antico pappagallo che sapeva<br />
avvertire la padrona quando un estraneo si presentava fuori<br />
della sua stanza, e il padre, vecchio satiro che rincorreva le<br />
servotte e strappava le corde dalla spinetta secentesca quando<br />
aveva bisogno <strong>di</strong> un pezzo <strong>di</strong> filo.<br />
C’era Sante, lo zio, che non aveva mai potuto sposare perchè<br />
non poteva <strong>di</strong>sporre dei beni della famiglia e non aveva <strong>di</strong> che<br />
mantenere una moglie; l’asse patrimoniale non doveva essere<br />
<strong>di</strong>viso, il primogenito maschio <strong>di</strong>ventava <strong>di</strong> fatto l’unico erede<br />
per cui Sante, secondogenito, in casa, aveva solo il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> una<br />
stanza e del puro mantenimento.<br />
Valter, il fratello più giovane, stu<strong>di</strong>ava agraria all’Università<br />
<strong>di</strong> Pisa e, anche se, come voleva la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> famiglia, non<br />
avrebbe mai potuto vantare <strong>di</strong>ritti sulle proprietà e tantomeno<br />
sul castello, non ebbe a competere con Tellio perchè, ancor<br />
giovane e scapolo, era morto <strong>di</strong>ssanguato in un incidente <strong>di</strong><br />
caccia.<br />
Tellio, unico erede <strong>di</strong> un grande nome e <strong>di</strong> un cospicuo<br />
patrimonio, la mattina prima dell’alba, era già in pie<strong>di</strong> e coi cani<br />
al seguito se ne andava a caccia; nel pomeriggio, assieme al<br />
253
254
fattore, si occupava della conduzione dei campi.<br />
Sapeva che era importante avere alla propria tavola il prete, il<br />
dottore e il maresciallo dei carabinieri, perciò li invitava spesso.<br />
Quando gli era morta la madre, aveva combinato in fretta un<br />
nuovo matrimonio per il padre con una maestra, gentile ma in là<br />
negli anni, onde evitare che l’arzillo vecchietto, pronto invece a<br />
sposare una giovane servotta, gli regalasse numerosi fratelli<br />
bastar<strong>di</strong>, certamente pronti, coi tempi che cambiavano, ad<br />
esigere una qualche parte <strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà.<br />
Astuto e prepotente, aveva l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> uccidere, con la<br />
fionda, piccioni e galline, non suoi, che gli fossero venuti a tiro.<br />
Senza il rumore dello sparo che avrebbe potuto mettere in<br />
allarme il proprietario, dopo averli colpiti, attendeva la notte per<br />
andare ad appropriarsene.<br />
Un maledetto giorno, per sbaglio, o per lo meno è preferibile<br />
pensarlo, con una pietra della fionda aveva colpito in un occhio<br />
una conta<strong>di</strong>na e l’aveva quasi accecata.<br />
Naturalmente la natura malvagia <strong>di</strong> Tellio aveva considerato il<br />
fatto del tutto trascurabile, ma così non era stato: la donna, c’è<br />
chi ancor oggi può ricordare, aveva maledetto colui che l’aveva<br />
colpita e gli aveva augurato la completa cecità.<br />
Poco tempo dopo aveva cominciato a non uscire più <strong>di</strong> casa; la<br />
famiglia non aveva fatto mai commenti, ma i rari ospiti che lo<br />
frequentavano avevano notato che l’uomo restava quasi sempre<br />
seduto e qualcuno doveva leggergli i documenti scritti.<br />
Se “la vendetta è un piatto freddo” c’è un proverbio che <strong>di</strong>ce:<br />
255
256
“ciò che è fatto è reso”.<br />
Tellio era <strong>di</strong>ventato cieco.<br />
257
258
Angiolina<br />
L<br />
a pergola gettava un’ombra invitante sull’aia dove<br />
Angiolina sedeva in quel caldo pomeriggio estivo; il<br />
suo pensiero andava al suo amato marito che<br />
quest’anno non era piu’al suo fianco a godere la frescura estiva<br />
della vigna; erano ormai sei mesi che giaceva sotta una lastra <strong>di</strong><br />
marmo nel piccolo cimitero poco lontano dal paese. Una<br />
fulminea malattia l’aveva sottratto alla loro semplice<br />
quoti<strong>di</strong>aneita’ fatta <strong>di</strong> stagioni, <strong>di</strong> annate buone e cattive, <strong>di</strong><br />
raccolti abbondanti e grami, <strong>di</strong> tetto da riparare ed estimo da<br />
pagare.<br />
Durante l’ultimo inverno forti temporali avevano spostato le<br />
piagne del tetto e quando pioveva l’acqua entrava a rovesci<br />
soprattutto nella prima stanza, quella d’angolo che dava verso il<br />
borgo, dove gli antichi travi, fortemente incurvati, lasciavano<br />
intravvedere il cielo attraverso le sconnessure.<br />
259
260
Quella stanza era stata per lei il rifugio e il soggiorno <strong>di</strong> tutta<br />
la sua lunga vita <strong>di</strong> sposa. Una delle due finestre dava sulla via<br />
antistante la casa e l’altra <strong>di</strong>rettamente verso il borgo cosicche’<br />
lei, pur non uscendo <strong>di</strong> casa, da quell’altezza, vedeva e sentiva<br />
ogni cosa che avveniva nel paese.<br />
Dopo che le era morto il marito Angiolina aveva fatto<br />
chiudere quelle finestre con mattoni e grosse tavole <strong>di</strong> legno e<br />
mai piu’ aveva voluto abitare quella bella stanza che, si <strong>di</strong>ceva,<br />
fosse stata quella <strong>di</strong> una certa Irene, donna bellissima arrivata<br />
come lei da Treschietto ad abitare il palazzo che era stato la<br />
prima e piu’ bella casa <strong>di</strong> Jera.<br />
Nel corso dei secoli, ogni persona che transitava per il<br />
sentiero acciottolato <strong>di</strong> la’ dal fosso che costeggiava la casa,<br />
alzava gli occhi a guardare le strane pietre scolpite che avevano<br />
inserito nelle mura durante la costruzione del palazzo. Queste<br />
epigrafi erano innumerevoli e chiaramente <strong>di</strong> epoche <strong>di</strong>verse:<br />
piu’ recenti quelle <strong>di</strong> forma quadrata, piu’ antiche quelle<br />
rettangolari <strong>di</strong>sposte simmetricamente sul prospetto della casa.<br />
Incomprensibilmente le pietre erano state poste cosi’ in alto che<br />
era impossibile dalla strada leggervi anche una sola parola.<br />
Nell’ultimo secolo, dopo che il canale era stato ricoperto, era<br />
stata appoggiata una lunga scala per poter arrivare a vedere cosa<br />
vi fosse inciso; si <strong>di</strong>sse che fosse scritto in latino, ma a causa della<br />
scarsa conoscenza delle abbreviazioni, si decreto’ che fosse una<br />
lingua sconosciuta. In seguito si preferi’ <strong>di</strong>menticarle del tutto e<br />
nessuno se ne curo’ mai piu’.<br />
261
262
Angiolina aveva subito visto quelle memorie <strong>di</strong> pietra e aveva<br />
accettato, come gli altri, la loro presenza senza aver potuto mai<br />
sapere, per tutto il corso della sua vita, cosa vi fosse scritto e chi<br />
ve le avesse collocate.<br />
Un tempo, i genitori del marito, le avevano detto che in quella<br />
casa vi aveva abitato un prete, il quale aveva voluto aggiungere<br />
due epigrafi alle <strong>di</strong>verse gia’ presenti sulla facciata, proprio ai<br />
due lati della stanza che a lei era sempre piaciuta, ma lei non<br />
aveva potuto mai vederle da vicino neanche sporgendosi dal<br />
parapetto dell’aia posta al terzo piano a fianco alla stanza. Certo<br />
era che le memorie <strong>di</strong> pietra sul prospetto erano <strong>di</strong>verse da quelle<br />
due che si <strong>di</strong>ceva fossero state aggiunte, anche perche’ le prime<br />
erano nate incastonate, mentre le ultime erano state ingraffettate<br />
e incorniciate da un decoro in stucco. Tutta la facciata della casa<br />
verso il canale mostrava ancora un intonaco molto stinto ma<br />
colorato in azzurro con affreschi attorno alle finestre e gli stessi<br />
architravi in facciata apparivano piu’ riccamente scolpiti,<br />
mentre il lato a est della casa sembrava reintonacato a malta solo<br />
al terzo piano attorno alle ultime memorie <strong>di</strong> pietra ingraffettate.<br />
Angiolina, malgrado l’eta’ avanzata, aveva conservato un<br />
aspetto dolcissimo; era garbata nei mo<strong>di</strong> e nel parlare. Portava<br />
un fazzoletto legato attorno al capo alla maniera conta<strong>di</strong>na per<br />
cui i capelli non si potevano vedere ma due gran<strong>di</strong> occhi azzurri<br />
le illuminavano il viso. La sua persona, coperta da un abito lento,<br />
stinto, con le maniche lunghe <strong>di</strong>mostrava oltre ottant’anni.Il suo<br />
corpo era molto magro e si faceva fatica a pensare che lei sola,<br />
263
264
cosi’ piccola e minuta, avesse potuto accu<strong>di</strong>re un marito che nei<br />
mesi della malattia era <strong>di</strong>ventato molto grasso e pesante.<br />
Angiolina non aveva avuto figli ma nessuno l’aveva mai<br />
sentita dolersene. Aveva accettato la sorte cosi’ come il Signore<br />
aveva voluto.<br />
Era arrivata a ca’ Brunelli giovane sposa; era entrata in<br />
famiglia come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, aveva visto sposare i fratelli del<br />
marito i quali, in seguito, si erano allontananati dalla casa<br />
paterna che era destinata a suo marito, il primogenito.<br />
Aveva convissuto con i suoceri col rispetto dovuto, li aveva<br />
accu<strong>di</strong>ti con pazienza nella loro vecchiaia e nella morte, ne<br />
aveva curate le tombe a fianco dell’oratorio <strong>di</strong> S.Biagio nel<br />
piccolo cimitero del paese e infine aveva sepolto il marito a<br />
fianco ai suoceri.<br />
Da oltre sessant’anni, da quando aveva sposato, aveva<br />
faticosamente lavorato per sostenere quella grande casa, pur<br />
sapendo che, a suo tempo, avrebbe dovuto lasciarla ad altri.<br />
Angiolina non aveva mai saputo che in una delle memorie <strong>di</strong><br />
pietra JOSEPH BRUNELLI invocava: “POSTERI SISTITE LOCO<br />
HAEDES HAS ET MAENIA LABORIOSE CONSERVATAS SUSTINETE<br />
EGOMET NO MIHI SIC VOS NON VOBIS [AD OMNES]<br />
CALAMIT~ MDCCCIX”<br />
265
266
MICHELE<br />
Il vecchio sedeva sul poggio erboso con lo sguardo rivolto<br />
alla stretta e lunga gola che saliva fino a raggiungere la<br />
cima dell’alpe.<br />
A destra e a sinistra il pen<strong>di</strong>o ripido dell’Appennino, ricoperto<br />
da un manto verde scuro <strong>di</strong> alberi, convergeva verso un ripido<br />
torrente che, malgrado fosse molto in basso e lontano, si sentiva<br />
<strong>di</strong>stintamente rombare.<br />
In certi punti, sui dorsali della costa, si <strong>di</strong>stingueva<br />
nitidamente dove gli alberi, più piccoli e meno ver<strong>di</strong>, avevano<br />
ricoperto le frane antiche.<br />
Piccoli nembi punteggiavano un cielo sereno.<br />
Michele quella mattina aveva attraversato il paese, come al<br />
solito, per recarsi alla fontana delle tre cannelle che <strong>di</strong>stava<br />
qualche centinaio <strong>di</strong> metri dall’ultima casa del paese. Un tempo<br />
era usata dai pastori per abbeverare le greggi, ora era <strong>di</strong>ventata<br />
267
268
la meta quoti<strong>di</strong>ana della sua passeggiata.<br />
Giunto alla fontana, aveva visto questi tre potenti getti<br />
d’acqua che, tracimando dal lungo abbeveratoio, avevano<br />
allagato tutta la strada e si perdevano lungo il pen<strong>di</strong>o fino al<br />
torrente; aveva pensato, con tristezza, che un tempo lontano<br />
quell’acqua fresca e chiara era stata la fortuna per le mandrie<br />
che a primavera ritornavano all’alpe per la transumanza.<br />
Con una certa fatica, data la ragguardevole età, Michele si era<br />
chinato per bere; non aveva sete, ma l’acqua aveva un richiamo<br />
molto invitante ed egli aveva voluto immergervi anche le mani.<br />
Avrebbe voluto proseguire per il sentiero fino al vecchio mulino,<br />
ormai abbandonato, ma il torrente d’acqua che attraversava la<br />
strada glielo aveva impe<strong>di</strong>to, così era tornato sui suoi passi e, per<br />
passare il tempo, si era fermato a esaminare la maestà posta sul<br />
ciglio della strada.<br />
Una dolce Madonna col Bambino scolpita nel marmo era<br />
incassata in un volo <strong>di</strong> angeli intagliati nella pietra.<br />
Un profumo <strong>di</strong> erba nuova, <strong>di</strong> margherite e violette, <strong>di</strong> fresche<br />
foglie sui rami degli alberi denunciavano una primavera<br />
inoltrata.<br />
Michele aveva un ricordo vivido del giorno in cui era arrivato<br />
in quel paese, l’ultimo sull’alpe, dove la strada moriva e si viveva<br />
come nella Bibbia; il suocero, proprietario <strong>di</strong> greggi, la sera<br />
riempiva alcuni stazzi con le pecore e a lui, appena era arrivato<br />
giovane sposo in una famiglia <strong>di</strong> pastori, aveva chiesto <strong>di</strong><br />
mungerle.<br />
269
270
Era stato felice <strong>di</strong> poterlo accontentare perchè a casa sua<br />
l’aveva fatto fin dall’età <strong>di</strong> sei anni, in quanto anche al suo paese<br />
al <strong>di</strong> là del costone appenninico si viveva <strong>di</strong> pastorizia.<br />
Non era mai andato a scuola, ma il prete ricambiava, con una<br />
specie <strong>di</strong> servizio scolastico che gli aveva permesso <strong>di</strong> imparare a<br />
leggere e scrivere, un aiuto per la conduzione delle proprietà<br />
della parrocchia.<br />
Era ancora bambino quando aveva visto il fratello maggiore<br />
riparare un muro della chiesa e inaspettatamente trovare una<br />
tomba col morto e un sacchetto <strong>di</strong> marenghi d’oro nella cassa.<br />
Il parroco aveva fatto imme<strong>di</strong>atamente sparire nelle sue tasche il<br />
sacchetto coi marenghi, ma al ragazzo era sempre rimasto in<br />
mente la bellezza del luccichio dell’oro.<br />
Nato sull’ arpa era <strong>di</strong>ventato alpino e sui monti aveva<br />
combattuto quando la patria glielo aveva chiesto. Aveva visto i<br />
suoi compagni uccisi dal fuoco del nemico. Li aveva visti cadere<br />
durante la drammatica ritirata <strong>di</strong> Russia e morire nei lunghi anni<br />
della prigionia ai confini della Mongolia.<br />
Si moriva <strong>di</strong> fame, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenteria, <strong>di</strong> tifo petecchiale e <strong>di</strong> botte,<br />
ma Michele era sempre riuscito a sopravvivere.<br />
Quando finalmente era riuscito a tornare a casa, si era<br />
guardato attorno; i tempi erano cambiati e non si poteva più<br />
vivere come al tempo della sua prima giovinezza. Quin<strong>di</strong>,<br />
abbracciata nuovamente la moglie, era ripartito per andare a<br />
lavorare in Francia; da là poi era passato in Argentina e in<br />
seguito, come Dio volle, il figlio cresciuto e la vecchiaia<br />
271
272
assicurata, era rientrato nella sua casa, al fianco della sua donna,<br />
al suo paese. IL suo bel paese dai portali scolpiti, dagli architravi<br />
modanati, dalle Madonne marmoree nelle nicchie <strong>di</strong> pietra.<br />
Questo era il paese dei più bravi scalpellini <strong>di</strong> tutta la<br />
<strong>Lunigiana</strong> e non vi è un altro paese così riccamente arredato da<br />
queste straor<strong>di</strong>narie opere d’arte: ovunque protomi d’angelo e <strong>di</strong><br />
demoni, Madonne e cornucopie, angeli e simboli <strong>di</strong> rose celtiche<br />
o gigli fiorentini, a seconda che la dominazione del momento<br />
fosse lombarda o fiorentina.<br />
Michele era stato molto felice <strong>di</strong> tornare a passare gli ultimi<br />
giorni della sua fortunosa vita <strong>di</strong> uomo errante e già assaporava<br />
il piacere <strong>di</strong> vivere il resto dei suoi giorni nella sua casa, accanto<br />
al camino, coi nipoti tra le ginocchia ai quali raccontare della<br />
sua lunga marcia nella neve, dei fiumi che aveva attraversato,<br />
della prigionia ai confini della Mongolia.<br />
Stava seduto, coi suoi pensieri, sul ciglio del sentiero e<br />
guardava il cielo solcato da qualche piccolo cumulo bianco. In<br />
alto sulle vette ancora qualche ombra <strong>di</strong> neve. L’aria un poco<br />
frizzante, un grande silenzio.<br />
Ora, uscendo <strong>di</strong> casa, aveva attraversato come ogni mattina il<br />
paese; un paese silenzioso dalle porte sprangate e sulle quali un<br />
residuo <strong>di</strong> cartello portava la scritta “vendesi”. Di alcuni cartelli<br />
rimaneva qualche lembo strappato dal vento o dai proprietari<br />
quando, andandosene, avevano anche perduto la speranza <strong>di</strong><br />
trovare un compratore. Nello stretto borgo non c’era più ombra<br />
<strong>di</strong> vita e non solo umana. Non più il chiocciare delle galline nel<br />
273
274
pollaio o l’abbaiare <strong>di</strong> un cane alla catena. Ma neppure l’ombra<br />
<strong>di</strong> un gatto o qualche altro segno <strong>di</strong> vita. Anche ora che sedeva<br />
sul ciglio del sentiero, Michele, non sentiva la presenza <strong>di</strong> altri<br />
animali, nè lo sfrecciare <strong>di</strong> rapaci e nemmeno il solito cinguettio<br />
degli uccelli.<br />
Da tempo questi suoni usuali avevano abbandonato la<br />
campagna circostante.<br />
Il piccolo cimitero del paese, nel quale avrebbe voluto<br />
riposare per sempre, stava franando sulla bella chiesa che,<br />
almeno per ora, non mostrava ancora segni <strong>di</strong> ce<strong>di</strong>mento, come<br />
pure il solido campanile <strong>di</strong> pietra sembrava ancora sfidare con la<br />
sua perpen<strong>di</strong>colarità ogni cattiva sorte.<br />
La chiesa, un tempo con le porte sbarrate, era ora aperta in<br />
ogni ora del giorno, i fiori freschi dei campi sull’altare a<br />
testimoniare la devozione delle due uniche famiglie rimaste<br />
ancora in paese.<br />
Due grosse frane avevano abbracciato il paese come in una<br />
morsa e lentamente lo facevano sprofondare.<br />
Michele aveva sempre visto le gran<strong>di</strong> voragini che<br />
inghiottivano gran<strong>di</strong> superfici <strong>di</strong> boschi sul crinale dall’altro lato<br />
del torrente, ma non avrebbe mai pensato che delle<br />
straitificazioni <strong>di</strong> gesso fossero presenti anche sotto il suo paese.<br />
Camporaghena, l’ultimo paese sull’alpe, era abitato dai più<br />
bravi scalpellini <strong>di</strong> tutta la <strong>Lunigiana</strong>; ogni casa aveva finestre e<br />
portale <strong>di</strong> pietra scolpita, in ogni casa, sulla facciata,<br />
un’immagine sacra e la data della costruzione. Per tutta la<br />
275
276
lunghezza del borgo una fila <strong>di</strong> bellissimi portali stavano a<br />
testimoniare la bravura e l’amore che gli abitanti <strong>di</strong>mostravano<br />
al loro paese.<br />
Michele aveva avuto le prime avvisaglie del <strong>di</strong>sastro<br />
incombente, quando in un suo bosco improvvisamente gli alberi<br />
erano seccati. Le ra<strong>di</strong>ci, rimaste nel vuoto <strong>di</strong> una caverna<br />
formatasi per il degrado <strong>di</strong> uno strato sottostante, avevano fatto<br />
rinsecchire gli alberi in superficie; poco dopo tutto ciò che vi era<br />
sul suolo era stato inghiottito nella voragine.<br />
Michele sapeva che avrebbe dovuto andarsene molto presto e<br />
forse sperava <strong>di</strong> poter morire, lui che aveva tanto lottato per<br />
vivere, prima <strong>di</strong> assistere alla totale <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> quelli che<br />
erano stati tutti i ricor<strong>di</strong> della sua vita.<br />
Nessuno più poteva essere sepolto nel cimiterino che stava<br />
sprofondando; chiusi i portali del borgo, quelli non puntellati<br />
con il cartello “vendesi”e il paese deserto.<br />
Sempre seduto sulla sponda erbosa, Michele aveva continuato<br />
a fissare l’ultima casa del paese. La montagna le incombeva sopra<br />
paurosamente e gli abitanti, andandosene per sempre, nell’orbita<br />
vuota <strong>di</strong> una finestra, avevano posto il simbolo <strong>di</strong> Colui che,<br />
Unico ormai, avrebbe potuto fermarne la <strong>di</strong>struzione.<br />
277
278
COLOMBA<br />
Stava seduta sulla grande terrazza e, in attesa che<br />
arrivassero gli ospiti, aveva tolto il portacipria dalla<br />
piccola borsa, si era specchiata e incipriata il viso.<br />
Annoiata, osservava con in<strong>di</strong>fferenza il panorama. Laggiù, un pò<br />
più in basso, il piccolo paese dominato dal castello e tutt’attorno<br />
la grande vallata della Magra solcata dal fiume. Le alture<br />
circostanti punteggiate da piccoli agglomerati <strong>di</strong> case che<br />
parevano stringersi l’una all’altra, qualche pieve solitaria e i<br />
ruderi <strong>di</strong> una torre quasi sepolti dal verde. Il panorama <strong>di</strong><br />
sempre.<br />
Ogni mattina svegliandosi aveva ritrovato le stesse immagini,<br />
gli stessi boschi, la stessa grande solitu<strong>di</strong>ne, e ogni notte sognava<br />
del suo bel mare e della vita elegante che aveva condotto sino al<br />
momento del matrimonio.<br />
Riandava col pensiero a quando con la sorella passeggiava sul<br />
279
280
lungomare, ai suoi vestiti <strong>di</strong> taffetas, ai cappellini guarniti <strong>di</strong><br />
fiori e al parasole.<br />
Sognava la riviera, dove la primavera inoltrata portava<br />
sempre tiepi<strong>di</strong> refoli <strong>di</strong> vento dal mare, e dai muri dei giar<strong>di</strong>ni la<br />
mimosa traboccava prepotente con i suoi tralci solari. Il mare<br />
increspato era <strong>di</strong> un turchino acceso e piccole onde si<br />
infrangevano sulla barriera <strong>di</strong> scogli appena sotto la passeggiata.<br />
Colomba ricordava il momento in cui aveva preso coscienza<br />
<strong>di</strong> dover lasciare quei luoghi, così ameni e solatii, per relegarsi in<br />
un luogo sperduto <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong> e ne era amareggiata, ma sapeva<br />
anche <strong>di</strong> doversi ritenere fortunata, per aver trovato marito, lei<br />
che si avviava ormai a rimaner zitella.<br />
Certamente la sorella era stata più fortunata <strong>di</strong> lei che<br />
sposando un ingegnere era rimasta a vivere in città e avrebbe<br />
condotto un’ elegante vita sociale.<br />
Colomba era decisamente brutta; era molto bassa <strong>di</strong> statura<br />
come se in lei la crescita si fosse arrestata sui do<strong>di</strong>ci anni. Il suo<br />
viso era allungato e gli occhi avevano un’espressione dura. Il suo<br />
carattere si era fatto sempre più <strong>di</strong>fficile e arrogante quando, col<br />
tempo, si era evidenziata tra le due sorelle una notevole <strong>di</strong>versità:<br />
brutta e sgraziata la prima quanto graziosa e garbata la seconda.<br />
Quando passeggiavano, accompagnate da una domestica che<br />
le seguiva a rispettosa <strong>di</strong>stanza, non poteva non notarsi la<br />
gran<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong>fferenza per cui le due sorelle in città erano<br />
commentate e conosciute da tutti.<br />
Colomba apparteneva ad una ricca famiglia ligure e per parte<br />
281
282
<strong>di</strong> madre vantava anche un’ importante parentela: Giuseppe<br />
Mazzini; casualmente, dal matrimonio con un fiorentino<br />
trapiantato in <strong>Lunigiana</strong>, lei ne avrebbe ripreso il cognome.<br />
La sua famiglia era felice che il matrimonio fosse stato<br />
concluso, poichè trovare un marito a una figlia così brutta, era<br />
stata cosa non facile. Dopo ripetuti ripensamenti si era cercato in<br />
un’altra regione una persona adeguata e inconsapevole della<br />
notoria bruttezza <strong>di</strong> Colomba e dopo un certo tempo si era<br />
trovata la soluzione.<br />
Enrico era un ricco <strong>di</strong>scendente <strong>di</strong> una nobile famiglia<br />
fiorentina trapiantata in <strong>Lunigiana</strong> al tempo della dominazione<br />
me<strong>di</strong>cea, praticava l’arte del notaio, era buono e scapolo, ma era<br />
soprattutto miope.<br />
Si racconta ancora che era stato invitato da conoscenti<br />
comuni a casa della fanciulla e al posto <strong>di</strong> Colomba gli fosse stata<br />
fatta conoscere Luigia la bella sorella minore; la fanciulla era<br />
piaciuta e il promesso sposo era ripartito.<br />
Dopo poco la presentazione si era parlato <strong>di</strong> dote e fissata la<br />
data delle nozze che sarebbero state, per sicurezza, celebrate in<br />
<strong>Lunigiana</strong>, nella chiesa del palazzo dello sposo.<br />
Il gioco era fatto.<br />
Quando la sposa era arrivata all’altare coperta da can<strong>di</strong><strong>di</strong><br />
veli, celebrati gli sponsali, il buon uomo aveva capito <strong>di</strong> essere<br />
stato ingannato ma aveva preferito tacere e anzi, mai più aveva<br />
voluto commentare l’accaduto.<br />
Colomba aveva aveva apprezzato quella cerimonia sfarzosa. Il<br />
283
284
marito non aveva badato a spese, come si conveniva ai signori del<br />
tempo e soprattutto perchè la chiesa era grande e non una<br />
semplice cappella gentilizia. Costruita al tempo della<br />
dominazione me<strong>di</strong>cea in <strong>Lunigiana</strong>, era stata eretta da un or<strong>di</strong>ne<br />
monastico, i Serviti, che aveva privilegiato le <strong>di</strong>mensioni della<br />
chiesa rispetto a quelle del convento annesso.<br />
Quando questo era stato trasformato in residenza signorile,<br />
del convento era rimasta la struttura, che, non essendo stata<br />
ampliata, aveva reso al confronto la chiesa monumentale.<br />
Per la cerimonia erano stati or<strong>di</strong>nati fiori e cere dalle più<br />
premiate <strong>di</strong>tte italiane e un allestito nel salone del palazzo un<br />
sontuoso banchetto.<br />
Colomba aveva apprezzato subito la ricchezza della famiglia,<br />
le molte domestiche, il “felice notte signoria” che le rivolgevano i<br />
conta<strong>di</strong>ni alla sera, i numerosi poderi e la grande bontà del<br />
marito.<br />
Col matrimonio la coppia aveva ottenuto la stanza da letto più<br />
grande, come in uso a quel tempo, mentre i suoceri erano andati<br />
ad occuparne un’altra, sempre al piano nobile, ma meno<br />
sontuosa.<br />
La stanza da letto degli sposi comunicava <strong>di</strong>rettamente con<br />
quella destinata alla balia e ai bambini piccoli.<br />
Colomba aveva presto partorito il suo primogenito ma, sorda<br />
alle richieste del marito che avrebbe voluto usare per il neonato<br />
un nome della tra<strong>di</strong>zione famigliare, aveva imposto quello <strong>di</strong><br />
Pierino.<br />
285
286
Il carattere prepotente <strong>di</strong> Colomba non era il suo unico<br />
<strong>di</strong>fetto. Ella, con la conquista del matrimonio e la mancanza del<br />
<strong>di</strong>retto paragone con una donna più bella o più giovane nella<br />
casa, era <strong>di</strong>ventata molto vanitosa.<br />
Possedeva uno splen<strong>di</strong>do corredo <strong>di</strong> lino fatto ricamare dalla<br />
sua famiglia: camicie da notte e da giorno, corsetti, sottogonne e<br />
biancheria varia; le lenzuola <strong>di</strong> lino portavano ad<strong>di</strong>rittura il<br />
numero ricamato in rosso in un angolo, come pure era stato<br />
ricamato il numero nelle tovaglie e nei tovaglioli. Possedeva<br />
magnifici centri ricamati a punto inglese e a punto rinascimento<br />
e per le finestre aveva ten<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> organ<strong>di</strong>s ricamato.<br />
Tutto questo a Colomba non era bastato; la sua sete<br />
insaziabile <strong>di</strong> eleganza la portava ad or<strong>di</strong>nare tele <strong>di</strong> lino dalle<br />
più rinomate fabbriche italiane e straniere che venivano poi<br />
mandate ad un convento <strong>di</strong> monache perchè fossero ricamate.<br />
Or<strong>di</strong>nava un numero incalcolabile <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong> bellezza<br />
dalle più reclamizzate case <strong>di</strong> cosmetici; crème, ciprie, colonia e<br />
profumi, prodotti contro la caduta dei capelli.<br />
Arrivavano figurini <strong>di</strong> moda da Parigi dove Colomba si serviva<br />
per il proprio abbigliamento e cataloghi che proponevano un<br />
ampio assortimento <strong>di</strong> calze.<br />
Da Bologna le arrivava un invito personale da un atelier <strong>di</strong><br />
moda che le comunicava l’arrivo da Parigi delle ultime novità in<br />
fatto <strong>di</strong> cappellini per signora e signorine.<br />
Il marito non ebbe mai a rimproverarla per la grande<br />
quantità <strong>di</strong> denaro che Colomba <strong>di</strong>ssipava a piene mani, semmai<br />
287
288
era ella stessa che, annoiata della vita poco brillante che<br />
conduceva, aveva preso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> rimproverarlo e anche <strong>di</strong><br />
umiliarlo con il termine “piccagiun“ che, dalle sue parti al mare,<br />
aveva il significato <strong>di</strong> “buono a niente.”<br />
Colomba aveva anche un gran desiderio <strong>di</strong> frequentare il bel<br />
mondo per cui in ogni momento la grande casa era allietata da<br />
molti ospiti che vi soggiornavano a lungo e rallegravano con la<br />
loro presenza la sua monotona vita <strong>di</strong> padrona <strong>di</strong> casa.<br />
Tra gli ospiti che frequentavano quoti<strong>di</strong>anamente la casa<br />
erano da annoverarsi il parroco della parrocchia e gli altri del<br />
circondario, i quali, quando per una qualche festa religiosa si<br />
allestiva la grande chiesa, erano invitati a officiare cerimonie<br />
solenni alle quali usavano partecipare anche mezzadri e contado.<br />
Anche le feste e i ricevimenti privati erano assai frequenti e<br />
ben se ne rendeva conto il buon marito quando arrivavano i<br />
conti dai <strong>di</strong>versi fornitori.<br />
Ma a Colomba non bastava la devozione del marito, nè il<br />
confuso parlottio del suo piccino perchè, sempre annoiata da<br />
quoti<strong>di</strong>ane mansioni domestiche, preferiva oziare nei ricor<strong>di</strong> del<br />
passato.<br />
Non era una buona madre; il suo bambino era accu<strong>di</strong>to da<br />
una balia e lei quasi si <strong>di</strong>menticava della sua esistenza, presa<br />
com’era ad agghindarsi e profumarsi. E forse non ebbe a soffrire<br />
neanche quando il piccino, morì prima ancora <strong>di</strong> riconoscere in<br />
lei la mamma.<br />
Di Colomba oggi rimane un ritratto che per la sua bruttezza<br />
289
290
nessun erede ha mai voluto; rimangono i resti del suo buon<br />
marito, sepolto vicino all’acquasantiera della grande chiesa e<br />
quelli del piccolo Pierino, che giace sotto una lastra bianca, al<br />
fianco della sorella, Pia Caterina detta Luisita.<br />
Sotto le arcate <strong>di</strong> pietra, ombrose e fresche, dove si <strong>di</strong>ce che si<br />
risentano i Salmi dei Serviti, <strong>di</strong>sperse le proprietà, le tra<strong>di</strong>zioni e<br />
le memorie, solo il vento sussurrerà ormai “ felice notte<br />
Signoria…”<br />
291
stra<strong>di</strong>ne quasi abbandonate portano ai piccoli cimiteri<br />
sperduti nei boschi <strong>di</strong> <strong>Lunigiana</strong><br />
292
293
qualche gra<strong>di</strong>no <strong>di</strong> pietra e un vetusto cancello <strong>di</strong> ferro<br />
appaiono d<strong>avanti</strong> a noi<br />
294
295
alte file <strong>di</strong> cipressi ci accolgono sulla soglia<br />
296
297
una croce leggera pare danzare nell’aria<br />
298
299
l’alta erba e l’oblio nascondono ormai le tombe <strong>di</strong> molte<br />
creature scomparse anche dalla memoria<br />
300
301
<strong>di</strong>gnitose croci <strong>di</strong> ferro, senza nome, che il tempo consuma, si<br />
confondono quasi tra le alte erbe<br />
302
303
antiche lapi<strong>di</strong>, dove i secoli sono riusciti a cancellare ogni<br />
traccia <strong>di</strong> nome, restano mute testimoni <strong>di</strong> umili vite, <strong>di</strong> fatiche,<br />
dolore e povertà, <strong>di</strong> antiche storie e <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni perdute.<br />
304
305
E L’OCCHIO SCORRE QUESTA DI CASTELLI<br />
ERMI TURRITA NOBIL TERRA; IL MAGRA<br />
PER UN GREMBO DI MONTI IN SINUOSO<br />
E LA RISPECCHIA.<br />
ARCO SI ADIMA<br />
Ceccardo Roccatagliata Ceccar<strong>di</strong><br />
306
307
308
Bibliografia<br />
E. Branchi: Storia della <strong>Lunigiana</strong> Feudale – Forni E<strong>di</strong>tore<br />
Bologna, vol.III, pp.20,21,22,23.<br />
I Castelli della <strong>Lunigiana</strong>. A cura <strong>di</strong> P. Ferrari – E<strong>di</strong>zione<br />
Cavanna -Pontremoli 1927. Tav.6,pp.20,21,22.<br />
L’Aral<strong>di</strong>ca, fonti e meto<strong>di</strong>. A cura <strong>di</strong> Laura Galoppini – E<strong>di</strong>tore<br />
– La Mandragora, ( Giunta Regionale Toscana) e<strong>di</strong>zione fuori<br />
commercio da G. Sercambi.<br />
Le illustrazioni delle Croniche Lucchesi, commenti <strong>di</strong> O.Banti,<br />
E. Cristiani e De Simoni :Medaglioni Storici Pisani. 1932.<br />
Mappa planimetrica della <strong>Lunigiana</strong> ricordata da Almagia`:<br />
“Monumenta Italiae Cartographica”pag. 60-Acquerello su carta-<br />
Piante antiche dei confini del 1643- rappresentante i vari feu<strong>di</strong><br />
lunigianesi.<br />
309
INDICE<br />
Cenni storici sulla <strong>Lunigiana</strong> pag. 11<br />
Luisita ” 21<br />
Erina ” 33<br />
Margherita ” 43<br />
Maria ” 53<br />
Maddalena ” 61<br />
Romeo ” 71<br />
Il prete ” 79<br />
La bambina ” 89<br />
Laurina ” 97<br />
Anna Maria ” 105<br />
La serva ” 117<br />
L’infame ” 129<br />
La Maestra ” 141<br />
Genoveffa ” 151<br />
Anselmo ” 163<br />
Laura ” 175<br />
Paulo ” 185<br />
La signora ” 197<br />
Zefra ” 209<br />
Giulietta ” 221<br />
Maria e Vergiò ” 231<br />
Filomena ” 241<br />
Tellio ” 249<br />
Michele ” 259<br />
Colomba ” 271<br />
Bibliografia ” 301<br />
310
Prima e<strong>di</strong>zione agosto 2002<br />
Seconda e<strong>di</strong>zione settembre 2009<br />
Tipografia Digitale - Carrara<br />
311
312