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A Kiev, rileggendo La guardia bianca - East

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A <strong>Kiev</strong>, <strong>rileggendo</strong><br />

<strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong><br />

I palazzi ottocenteschi della Volodymyrska come quello, in tipico stile russo, al numero 43, in<br />

cui nacque il famoso giornalista Alexander Vertinsky, o quello al civico 40/2 decorato con torri<br />

barocche, sede a partire dal 1907 di una scuola privata dove insegnò Pyotr Korolyov, padre di<br />

Serghey, l’ingegnere spaziale della navicella Soyuz, sono in grado di restituirci a livello visua-<br />

le l’atmosfera della <strong>Kiev</strong> ginnasiale in cui si<br />

muove l’adolescente Michail Afanasevich Bul-<br />

gakov. . Che cosa è rimasto dei luoghi e<br />

delle atmosfere raccontate in uno dei suoi libri<br />

più famosi, <strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong>? .<br />

testo e foto di Massimiliano Di Pasquale<br />

REPORTAGE . 2<br />

D<br />

S’inverno, come in nessun’altra città al mondo, la<br />

quiete calava sulle vie e sui vicoli sia della Città alta,<br />

in collina, sia della Città bassa che si distendeva<br />

nell’ansa del Dnepr intirizzito, e tutto il frastuono delle<br />

macchine si perdeva all’interno degli edifici di pietra,<br />

s’attutiva e, alquanto assordito si trasformava in borbottio.<br />

Tutta l’energia della Città, accumulata in un’estate di<br />

sole e di temporali, si sublimava in luce” (Michail Bulgakov,<br />

<strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong>).<br />

<strong>Kiev</strong>, la “Città” – come viene sempre chiamata da Bulgakov<br />

– è la vera protagonista de <strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong>, un libro<br />

che, scrive la storica Giulia <strong>La</strong>mi, “rende in maniera<br />

magistrale l’atmosfera di <strong>Kiev</strong> nel 1918-1919”.<br />

Tra il ‘18 e il ‘19 la capitale dell’Ucraina viene occupata<br />

a turno dai bolscevichi, dai tedeschi, dai nazionalisti<br />

comandati da Petljura, e poi ancora dai bolscevichi e dai<br />

Bianchi, prima che questi capitolino definitivamente.<br />

Nelle memorie dei Bianchi (espressione usata in epoca<br />

sovietica per indicare gli emigrati russi) che vissero a<br />

<strong>Kiev</strong> in quegli anni, sottolinea la <strong>La</strong>mi, “si ritrova in forma<br />

prosaica molto di ciò che lo scrittore ha posto nella<br />

trama dell’opera, descrivendo le vite dei Turbin e dei loro<br />

amici, dando corpo alle loro inquietudini, paure, stupori,<br />

sogni, speranze, disillusioni ed amarezze, sofferenze<br />

e tragedie”.<br />

<strong>La</strong> bufera che sconvolge la città in quei mesi – il romanzo<br />

copre l’arco temporale che va dal dicembre 1918 al febbraio<br />

1919 – non risparmia neanche il focolare dei Tur-<br />

“<br />

Le nuove costruzioni<br />

nel quartiere residenziale di Obolon.<br />

bin, la famiglia attorno alla quale ruotano le vicende narrate<br />

da Bulgakov.<br />

Ma va altresì a infrangere quell’inviolabilità domestica<br />

che Aleksey, il maggiore dei fratelli, medico ventottenne,<br />

in cui è facile ravvisare lo stesso Michail Afanasevich,<br />

aveva posto alla base della sua esistenza borghese.<br />

Tant’è che con il proseguire della narrazione, l’ideale<br />

del focolare domestico e i suoi oggetti simbolo – la chitarra<br />

dal suono dolce e sordo, le tende écru che riparano illusoriamente<br />

dalla violenza e dall’idiozia del mondo<br />

esterno – si sgretolano di fronte all’incalzare della tragedia<br />

collettiva.<br />

Una tragedia che Bulgakov, grazie a una penna immaginifica<br />

e onirica, ricca di suggestioni cromatiche, restituisce<br />

con accenti apocalittici.<br />

“Era un sole così grande come mai nessuno aveva visto<br />

in Ucraina, e completamente rosso come sangue schietto.<br />

Dalla sfera che attraverso la cortina delle nuvole a fatica<br />

raggiava, indolenti s’allungarono strisce di sangue<br />

raggrumato e siero”.<br />

A DESTRA Il tramonto in Andriyvsky uzviz.<br />

SOTTO Il porto fluviale di Podil.<br />

56 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 57


<strong>Kiev</strong> nei primi del Novecento<br />

“<br />

L<br />

architettura di <strong>Kiev</strong> meriterebbe un capitolo a<br />

’<br />

parte”, scrive Ryszard Kapuscinski in Imperium.<br />

“Non c’è epoca o stile che non vi sia rappresentato,<br />

a partire dai monasteri e dalle chiese medievali miracolosamente<br />

sopravvissute, fino all’orrendo realismo<br />

socialista staliniano. Tra gli uni e l’altro, il barocco, il neoclassico<br />

e soprattutto una dovizia del liberty più lussureggiante”.<br />

Passeggiando lungo la Volodymyrska, all’incrocio<br />

con la Prorizna, in una dolce mattina di primavera,<br />

il palazzo al civico 39, che in epoca sovietica ospitava<br />

il ristorante Lipsia, riporta subito alla memoria le pagine<br />

del reporter polacco.<br />

“Che bella città doveva essere una volta! <strong>La</strong> devastazione<br />

di questa perla architettonica cominciò nel 1917 e praticamente<br />

non si è ancora arrestata”.<br />

L’edifico costruito dall’architetto Shiman nel 1900, su<br />

commissione di Piotr Grigorovich Barsky, un commerciante<br />

di armi da caccia che voleva realizzare il palazzo<br />

più sontuoso di <strong>Kiev</strong> e che finì in bancarotta, non è solo<br />

un fulgido esempio del “liberty più lussureggiante”, ma<br />

un vero e proprio simbolo dell’eleganza architettonica<br />

della città all’inizio del secolo scorso.<br />

Il palazzo, un tempo, al piano terra, sede della famosa<br />

confetteria Marquise, citata anche ne <strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong> –<br />

è qui che Aleksey Turbin con un sussulto del cuore s’imbatte<br />

nelle odiate truppe petljuriane – è uno dei superstiti<br />

della furia distruttrice dei bolscevichi. “Un giorno – scrive<br />

ancora Kapuscinski – ho comprato uno strano documento,<br />

edito di recente dagli amatori della vecchia <strong>Kiev</strong>:<br />

una pianta della città con la lista degli edifici, delle chiese,<br />

dei palazzi e dei cimiteri programmaticamente distrutti.<br />

<strong>La</strong> lista elenca 254 costruzioni rase al suolo dai bolscevichi<br />

per cancellare ogni traccia della cultura di <strong>Kiev</strong>”.<br />

Celebri kieviti d’inizio secolo<br />

I<br />

palazzi ottocenteschi della Volodymyrska come<br />

quello, in tipico stile russo, al numero 43, in cui<br />

nacque il famoso giornalista Alexander Vertinsky,<br />

o quello al civico 40/2 decorato con torri barocche,<br />

sede a partire dal 1907 di una scuola privata dove insegnò<br />

Pyotr Korolyov, padre di Serghey, l’ingegnere spazia-<br />

A SINISTRA Una locandina pubblicitaria.<br />

AL CENTRO Maidan Nezalezhnosti,<br />

luogo simbolo della Rivoluzione arancione del 2004.<br />

A DESTRA <strong>La</strong> cattedrale di Sant’Andrea,<br />

realizzata nel 1754 dall’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli.<br />

le della navicella Soyuz, sono in grado di restituirci a livello<br />

visuale l’atmosfera della <strong>Kiev</strong> ginnasiale in cui si<br />

muove l’adolescente Michail Afanasevich.<br />

Distaccato, fiero monarchico (ne <strong>La</strong> <strong>guardia</strong> <strong>bianca</strong> farà<br />

dire al suo alter ego Aleksey Turbin: “Non sono socialista,<br />

purtroppo: sono… monarchico. E devo dire, la parola<br />

‘socialista’ non la posso proprio sopportare”), assorto<br />

nella sua vita privata, il giovane Bulgakov è totalmente<br />

impermeabile ai fermenti politico-sociali che sin dal<br />

1905 interessano la Russia zarista.<br />

Cinque anni più tardi – ricorda Jury Bukreev, un suo ex<br />

compagno di classe – mentre gran parte della popolazione<br />

studentesca partecipa alla manifestazione per la morte<br />

di Lev Tolstoj, Bulgakov, studente al primo anno di medicina,<br />

continua a preferire ai bagni di folla l’intimità della<br />

sua casa, fra amici, musica e danze.<br />

<strong>La</strong> figura dell’autore de Il Maestro e Margherita ricorda<br />

molto da vicino quella di un altro celebre kievita dell’epoca:<br />

Volodymyr Horowitz.<br />

L’adolescenza del celebre pianista ebreo raccontata nel<br />

libro di Alexis Salatko, Horowitz e mio padre, è scandita<br />

dagli stessi rituali, dalle stesse abitudini. Anche il mondo<br />

di riferimento, quello della media borghesia di insegnanti<br />

e funzionari di Stato, è a ben vedere lo stesso.<br />

<strong>La</strong> rivoluzione metterà fine a quel mondo dorato per entrambi.<br />

Andriyivsky uzviz<br />

L<br />

asciata alle spalle la cattedrale di Santa Sofia –<br />

eretta nel 1037, dopo vent’anni di lavoro, per celebrare<br />

la vittoria del principe Yaroslav il Saggio,<br />

ultimo grande sovrano della Rus’ di <strong>Kiev</strong>, contro i peceneghi,<br />

nomadi turchi che minacciavano con le loro razzie<br />

la città – proseguo lungo la Volodymyrska fino ad Andriyivsky<br />

uzviz, forse il più celebre luogo bulgakoviano.<br />

<strong>La</strong> Discesa di Andrea, dedicata al primo predicatore<br />

cristiano di <strong>Kiev</strong>, nonostante l’atmosfera turistica testimoniata<br />

dall’invasione di bancarelle di antiquari e venditori<br />

di souvenir, mantiene intatto tutto il suo fascino.<br />

Basta sollevare lo sguardo, estraniarsi dal vociare ridanciano<br />

di turisti e commercianti, per venire rapiti dalla<br />

suggestiva visione delle guglie verdi e oro della Chiesa<br />

barocca di Sant’Andrea che luccicano sullo sfondo del<br />

cielo terso.<br />

Costruita nel 1754 dall’architetto italiano Bartolomeo<br />

Rastrelli, famoso per avere realizzato il Palazzo d’Inverno<br />

a Pietroburgo, la splendida basilica dai tenui colori<br />

bianco e azzurro domina la Città Alta, proiettando il suo<br />

58 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 59


cono d’ombra su Podil, il quartiere mercantile fluviale –<br />

oggi abitato dagli young urban professional della capitale<br />

– che sorge alla fine della lunga discesa, là dove le bancarelle<br />

cedono il passo a un gomitolo di strade fiancheggiate<br />

da edifici dei primi del Novecento.<br />

<strong>La</strong> casa dei Turbin<br />

“<br />

I<br />

pavimenti sono lucidi e anche ora in pieno dicembre<br />

sulla tavola, nel vaso opaco a colonna, ci<br />

sono le ortensie azzurre e due cupe e calde rose<br />

che stanno a ribadire la bellezza e la continuità della vita,<br />

nonostante che alle porte della Città stia il nemico perfido<br />

che, forse, potrà persino distruggere l’innevata,<br />

splendida Città e calpestare sotto i tacchi le ultime schegge<br />

di pace”. <strong>La</strong> <strong>Kiev</strong> di Bulgakov, “la più bella città della<br />

Russia, la più ricca di verde e di giardini”, la città santa<br />

del Battesimo che assume la valenza di luogo sacro contrapposto<br />

alla Mosca demoniaca de Il Maestro e Margherita,<br />

è tale anche in virtù della splendida descrizione degli<br />

interni della casa dei Turbin.<br />

Interni in cui la vita – prima dell’arrivo “del terribile<br />

anno 1918 dopo la nascita di Cristo”, anno segnato da due<br />

stelle, la vespertina Venere e il “rosso fremente di Marte”<br />

– scorreva placida e serena. Gli oggetti che ne costituiscono<br />

l’arredo sono i simboli di un’infanzia felice e l’emblema<br />

di una vita colta e raffinata cui Bulgakov guarderà con<br />

una certa malinconia negli anni moscoviti.<br />

L’edificio giallo al civico 13 di Andriyivsky uzviz, dove<br />

lo scrittore visse tra il 1906 e il 1919, trasformato nel<br />

SOTTO Una veduta della cattedrale di Santa Sofia.<br />

A DESTRA IN ALTO Visitatori all’ingresso della casa di Bulgakov.<br />

SOTTO Andriyivskyy Descent, una delle strade più famose del Paese.<br />

IN BASSO AL CENTRO Bagnanti sull’isola di Trukhaniv.<br />

1991 in un museo letterario a lui dedicato, è ancora oggi<br />

meta privilegiata di tanti visitatori.<br />

Alcuni dei quali, cullati dall’atmosfera romantica che<br />

si respira in questa zona della capitale, non a caso definita<br />

la Montmartre di <strong>Kiev</strong>, sperano di cogliere quel senso<br />

di nostalgia che emerge dalla pagine del romanzo.<br />

Khreshchatyk, 31 agosto 1991<br />

“<br />

Dire via Khreshchatyk è come dire gli Champs-Elysées<br />

locali”, scrive Ryszard Kapuscinski in visita<br />

a <strong>Kiev</strong> il 31 agosto del 1991, una settimana dopo<br />

la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina dall’Urss.<br />

Sulla Maidan Nezalezhnosti, la stessa piazza dove 13<br />

anni più tardi gli arancioni daranno vita alla “più elegante<br />

rivoluzione di tutti i tempi”, come scriverà André<br />

60 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 61


Glucksmann, alcuni operai stanno montando una gru destinata<br />

a portare via il monumento a Lenin.<br />

<strong>La</strong> <strong>Kiev</strong> raccontata dal reporter polacco, nonostante la<br />

bellezza architettonica di molti edifici, è avvolta nei colori<br />

grigi dell’epoca sovietica.<br />

“Poiché il regime non è stato in grado di buttare giù tutto,<br />

rimangono ancora molte chiese e palazzi degni di nota,<br />

splendidi da vedere”.<br />

Ma la bellezza esterna – ammonisce Kapuscinski – non<br />

deve trarre in inganno dal momento che in interi quartieri<br />

le abitazioni sono un disastro.<br />

Scale sporche, vetri rotti, facciate sul retro e cortili senza<br />

luce, per via delle lampadine rotte o rubate.<br />

Degne di nota le descrizioni degli interni delle komunalky.<br />

“In certe case manca l’acqua fredda, in altre la calda,<br />

spesso entrambe.<br />

Piaga senza eccezione di tutti gli appartamenti sono<br />

scarafaggi e altri insetti molesti: parlo per esperienza,<br />

avendoci abitato ed essendovi andato a trovare amici e<br />

conoscenti”.<br />

A SINISTRA Un murale lungo il fiume Dnepr.<br />

AL CENTRO Decorazione liberty di un palazzo.<br />

Cabaret e locali notturni<br />

un tiepido sabato di fine marzo quando percorro<br />

placidamente la Khreshchatyk. È<br />

Nel weekend gli Champs-Elysées di <strong>Kiev</strong>, trasformati<br />

in un’enorme zona pedonale brulicante di gente<br />

che affolla caffè e negozi dalle insegne sfavillanti, contrastano<br />

piacevolmente con l’arredo urbano stalinista di<br />

cui sono stati rivestiti nel dopoguerra.<br />

Anche l’enorme palazzo costruttivista al civico 23, che<br />

scorgo dalla Bohdana Khmelnistkoho, mentre faccio la<br />

fila al Kyivska Perepichka per un fumante pirozhki, sembra<br />

perdere la sua rigida postura marziale immerso in<br />

quel tripudio di colori.<br />

Nonostante l’arancione abbia perso un po’ d’intensità<br />

e c’è chi teme un ritorno alle tonalità grigie del post-soviet,<br />

l’immagine che la città tanto amata da Bulgakov offre<br />

oggi di sé è quella di una metropoli moderna e vivace.<br />

A DESTRA IN ALTO <strong>La</strong> famosa Porta d’oro nella città alta.<br />

QUI ACCANTO L’ingresso a Podil.<br />

Come quella ritratta nei romanzi di Andrei Kurkov, uno<br />

scrittore pietroburghese dalla sorprendente vena ironica,<br />

che da tempo ha scelto di vivere nella capitale ucraina.<br />

<strong>La</strong> sua <strong>Kiev</strong>, che ha fatto piazza pulita dei monocromatismi<br />

dell’epoca sovietica (quella la si può ritrovare sfogliando<br />

i libri fotografici d’antan al mercato di Petrivka),<br />

privilegia altri luoghi.<br />

Luoghi “desacralizzati” quali l’Hydropark, lo zoo, l’isola<br />

di Trukhaniv e il quartiere residenziale di Obolon, funzionali<br />

alle storie surreali di Kurkov, ma pure emblematici<br />

dei mutamenti avvenuti in città. L’unica cosa che<br />

sembra accomunare la <strong>Kiev</strong> odierna, pulsante di vita, alla<br />

Città di Bulgakov è l’atmosfera lasciva di certi locali<br />

che animano le notti brave della capitale. “E la notte nei<br />

cabaret suonava musica di strumenti a corde, e attraverso<br />

il fumo del tabacco rilucevano d’innaturale bellezza i<br />

volti di pallide, sfinite e cocainizzate prostitute”, scrive-<br />

va Michail Afanasevich rievocando la primavera del<br />

1918, quando nella Città, riempitasi di forestieri in fuga<br />

dal terrore che già imperversava su Mosca e Pietroburgo,<br />

si erano aperti innumerevoli luoghi di ristoro che commerciavano<br />

fino a notte fonda.<br />

“Caffè dove si serviva il caffè ma si poteva comprare<br />

una donna...”. .<br />

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