Mexia - Maurizio Ferrarotti

Posted 24/04/2006 h 10.00 a.m., CET. Non occorre avere un master in
neurofisiologia per capire quanto sia problematico e insieme angosciante
figurarsi le partite ascoltandole alla radio; il canadese Derrick De
Kerckhove, per lungo tempo assistente del geniale e stracitato (spesso ad
minchiam) mass-mediologo Marshall McLuhan, potrebbe scriverci su un
libro: La civilizzazione radioagonica. Il Verona attaccava in forze
colpendo pure l’incrocio del pali con una mirabile stoccata di Italiano –
una tipologia di giocatore che ci sarebbe tanto utile – e io m’immaginavo
sbuffi di gas mostarda dinanzi alla porta di Taibi stringendomi i gioiellini
di famiglia e imprecando a tutto spiano. Finalmente intorno al 30' il Toro
in carne e ossa si decideva a entrare in campo in luogo del proprio
ologramma slavato, di conseguenza la Stella di Lazetic iniziava a
sfavillare lungo le corsie laterali della Stazione Bentegodi. Si andava al
riposo col punteggio a occhiali e io ponevo sul piatto del giradischi la
bradburiana Don’t Bring Harry degli Stranglers, dove Harry sta per
Eroina. Durante i primi dieci minuti del secondo tempo il segnale radio
veniva ripetutamente disturbato da raffiche di tachioni. M’incaponivo
sull’antenna finendo per storcerla. Poi tutt’a un tratto una nube imbevuta
di cloroformio calava sulla cancha ma Nikola si stringeva nelle spalle, lui
è come il mitico Eta Beta che il cloroformio se lo mangia a colazione con
la naftalina. Entrava Robberto Stellone per uno spento Abbruscato. Io
ormai totalmente rassegnato al pareggio mi stendevo sul letto artigliando
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