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<strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong><br />

<strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong><br />

L'idea di rievocare storicamente le mal note figure di due <strong>Poeti</strong>, fior<strong>it</strong>i<br />

dal patriziato leccese <strong>nel</strong> movimentalo e turbinoso Settecento — Isabella<br />

Castriota-Skanderberg e Pietro Belli — sorse in me anni or sono, quando<br />

una signora di nobile famiglia, che ad essi fu imparentata, mi fece vedere<br />

un piccolo vecchio libro manoscr<strong>it</strong>to, trovato fra polverose carte familiari<br />

e forse destinato alle fiamme.<br />

Ma di quel manoscr<strong>it</strong>to aveva compreso il valore un dotto magistrato<br />

e cultore di belle lettere, mar<strong>it</strong>o della signora, che me ne fece dono.<br />

Scr<strong>it</strong>to su fine carta bambacina filogranata, era quello il w Libro di<br />

Ricordi di me D. Alessandro Castriota-Skandergerg in anno 1682 » cioè<br />

del padre di Isabella ; e, tra conti familiari e consigli alla figliolanza, tra<br />

notizie di avvenimenti pubblici e di segreti di famiglia, tra elenchi di pergamene<br />

ed estratti di albarani ed atti notarili, conteneva qua e là quasi<br />

tutto il curriculum v<strong>it</strong>ae della Poetessa in brevi note che, cr<strong>it</strong>icamente coordinate<br />

e valutate, permettevano di ricostruire, almeno in parte, la tragica<br />

esistenza di colei che, buttata a sedici anni tra le braccia di un sessantenne<br />

inabile mar<strong>it</strong>o, dopo varie dolorose vicende unì il suo destino a quello<br />

che fu il prescelto del suo cuore, il poeta e filosofo cui non meno avversa<br />

fu la sorte, Pietro Belli.<br />

Per qualche tempo l'idea ho fecondala, consultando vecchie pubblicazioni<br />

in Biblioteca ed antichi repertori notarili in Archivio; ed oggi che,<br />

per la inazione forzata in cui il periodo bellico costringe la classe forense,<br />

ho tempo da dedicare a lavori che dànno pane, ab<strong>it</strong>uato come sono a lavorare<br />

per amor del lavoro, come è tradizione <strong>nel</strong>la mia famiglia, mi son<br />

messo a scrivere della Castriota e del Belli, movimentandone le poliedriche<br />

figure <strong>nel</strong>l'ambiente storico <strong>salentino</strong> in cui vissero e soffrirono e poetarono,<br />

<strong>nel</strong>la prima metà del Settecento,


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66 `Rinascenza Salentina<br />

Epoca fu quella pol<strong>it</strong>icamente ed economicamente assai triste pel Salento,<br />

<strong>nel</strong> trapasso dalla lunga deprimente dominazione spagnola e dalla<br />

breve austriaca al Regno napoletano di Carlo III; ma, d'altra parte, feconda<br />

di alti valori spir<strong>it</strong>uali in Arte, <strong>nel</strong>la Scienza e <strong>nel</strong>la Pol<strong>it</strong>ica, perchè<br />

gli uomini veramente superiori, estraniandosi dall'ambiente che li opprimeva,<br />

cercarono negli studi un più libero ed ampio respiro.<br />

Non ho la pretesa di dire molle cose nuove: mi propongo soltanto<br />

di dare una visione panoramica ed armonica, direi quasi dinamica, di quella<br />

che fu la v<strong>it</strong>a leccese del Settecento, seguendo ed illustrando le traccie dei<br />

< Ricordi » di D. Alessandro Castriota, attorno alle figure centrali dei due<br />

<strong>Poeti</strong>, che al loro tempo ebbero rinomanza e che dai più furono ingiustamente<br />

dimenticati.<br />

I Castriota a Lecce<br />

Fu sullo scorcio del 1682 che don V<strong>it</strong>antonio Castriota-Skanderberg<br />

dei signori d'Albania e il figlio don Alessandro lasciarono la natia Copertino<br />

per venire a stabilirsi in Lecce, capoluogo di Terra d'Otranto,<br />

che allora aveva una popolazione di 3300 fuochi, pari a circa 15000 ab<strong>it</strong>anti,<br />

ed era per civiltà e nobiltà di v<strong>it</strong>a la seconda c<strong>it</strong>tà del Mezzogiorno.<br />

Essi si trasferivano <strong>nel</strong> capoluogo obbedendo al fenomeno di urbanesimo,<br />

che la scaltra pol<strong>it</strong>ica del Vice-reame spagnolo incoraggiava ed imponeva<br />

per tenere più da vicino e sorvegliati, <strong>nel</strong>la Cap<strong>it</strong>ale e <strong>nel</strong>le C<strong>it</strong>tà regie,<br />

i nobili viventi alla periferia; ma specialmente perchè don Alessandro si<br />

era promesso sposo in Lecce ad una fanciulla del dovizioso casato dei<br />

Giustiniani.<br />

Poco più che ventenne, il Castriota figlio era allora usc<strong>it</strong>o dalle Scuole<br />

di Nardò, ancor fiorenti, acquistandovi una certa cultura; e con la venuta<br />

a Lecce, iniziando v<strong>it</strong>a nuova, incominciò a scrivere un libro di suoi ricordi<br />

in cui, prima con sicura e ferma mano giovanile e poi col carattere<br />

incerto e tremante della senil<strong>it</strong>à, andò brevemente annotando le principali<br />

vicende sue, della famiglia e della c<strong>it</strong>tà.<br />

La prima notizia, da lui in quel libro lasciata, riguarda il suo primo<br />

matrimonio — perchè don Alessandro in ottantaquattro anni di esistenza<br />

ebbe tre mogli -- : K Addì 25 settembre 1682 si fecero li cap<strong>it</strong>oli matrimoniali<br />

tra me D. Alessandro Castriota e la sig. Caterina Giustiniani,<br />

fatti in Lecce da notar Staibano ».


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 67<br />

Discendeva egli da quel Giorgio Castriota, principe di Albania, detto<br />

lo Skanderberg che, sbarcato in Puglia <strong>nel</strong> 1460, a premure di papa Pio . Il,<br />

in aiuto di Federico d'Aragona contro gli Angioini, si ebbe in premio<br />

alcuni feudi, dove, a guerra fin<strong>it</strong>a, lasciò suoi luogotenenti per tornare in<br />

patria minacciata dai turchi. Invasa e soggiocata da questi l'Albania, e morto<br />

Giorgio in Alessio, il figlio Giovanni con la madre Andronica Comneno<br />

cercò scampo in Italia e fu ascr<strong>it</strong>to al patriziato veneto; un figlio di costui,<br />

un altro Giorgio, passò <strong>nel</strong> Napoletano, dove <strong>nel</strong> 1513 fu Tesoriere del<br />

duca di Amalfi e dove i suoi discendenti furono conti di Copertino e di<br />

Atripalda, duchi di Galatina e Soleto, baroni di Cagliano e signori di<br />

molte altre terre. Dal ramo galatinese, estintosi <strong>nel</strong> 1565 con Irene, lasciando<br />

di sè triste memoria nei vassalli, germinò quello che ebbe a capostip<strong>it</strong>e<br />

Pardo, nato in Galatina <strong>nel</strong> 1570, da cui venne Costantino e<br />

da costui Alessandro, che si trasferì per matrimonio a Copertino e fu padre<br />

di V<strong>it</strong>antonio ed avo di quell'Alessandro, che hanno dato inizio a<br />

questa nostra narrazione.<br />

Nulla più tratteneva il giovane gentiluomo e il padre <strong>nel</strong>la terra natale<br />

: morta era la madre, morta una giovane sorella e passata a nozze<br />

l'altra ; il magnifico castello, che fu già degli avi e che un arch<strong>it</strong>etto mil<strong>it</strong>are<br />

paesano, Evangelista Menga, aveva <strong>nel</strong> 1540 edificato, decorandolo<br />

in sull'ingresso delle figure dei grandi condottieri del Casato, era purtroppo<br />

passato col feudo <strong>nel</strong> dominio degli Squarciafico, mercanti genovesi di recente<br />

nobil<strong>it</strong>ati.<br />

Il desiderio di sottrarsi alla soggezione dei nuovi padroni, la speranza<br />

di iniziare <strong>nel</strong>l'ambiente c<strong>it</strong>tadino una miglior v<strong>it</strong>a, il miraggio del prossimo<br />

matrimonio che li imparentava con una delle famiglie più ricche e potenti<br />

del patriziato leccese, insieme alle ragioni pol<strong>it</strong>iche ed urbanistiche di cui<br />

abbiamo fatto cenno, spinsero i due Castriota a cambiar cielo.<br />

La famiglia della sposa, i Giustiniani, emergeva allora per ricchezza<br />

e fasto: veniva da Genova, ove ebbe dogi e cap<strong>it</strong>ani di mare, magistrati e<br />

commercianti ; e proprio <strong>nel</strong> 1682 aveva acquistato il marchesato di Caprarica,<br />

di cui Fabiano, mar<strong>it</strong>o di Lucrezia Tafuri, fu il primo marchese. Il suo<br />

palazzo, tra Porta S. Biagio e la Chiesa di S. Matteo, sorgeva, come<br />

tuttora si vede, alto nobile e massiccio, col caratteristico portone di motivo<br />

gotico, che servì poi di modello a molti altri ingressi di palazzi signorili,<br />

Il più maestoso portone del genere • lo chiama il barone Filippo<br />

Baciie, che di storia d'arte locale se ne intendeva; e mostrava scolp<strong>it</strong>a<br />

<strong>nel</strong>la cornice superiore, sullo scudo inclinato, l'Arma di famiglia, ripro-<br />

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68 • Winascenza Salentina<br />

dotta a colori sulla volta dell'androne : di rosso alla torre d'argento ed al<br />

capo di oro caricato di un'aquila di nero (1).<br />

Le famiglie genovesi venute tra noi a scopo di commerci, e che poi<br />

acquistarono feudi e t<strong>it</strong>oli nobiliari, erano numerose : gli Adorni, discendenti<br />

di quell'Almirante che costruì il bello e severo palazzo Cugnato,<br />

<strong>nel</strong>la odierna via Umberto arieggiante l'arch<strong>it</strong>ettura fiorentina di Palazzo<br />

Strozzi, i baroni Cicala grandi guerrieri e letterati, i Vernazza duchi di<br />

Castrì, i Graffoglietti, i Levanto, gli Squarciafico, gli Imperiali principi di<br />

Francavilla, i D'Ospina, i Venneri e i Pieve-Sauli ricchissimi commercianti<br />

di olio in Gallipoli, i Saluzzo duchi di Corigliano e i Castelli marchesi<br />

di Grottaglie, i Centurione feudatari di Torre Pinta, i Castagneto<br />

baroni di Carovigno, i De Leone di Vanze, i D'Oria di Ginosa e Lequile,<br />

i Gentile di Castellaneta, gli Spinola di Galatina e di Soleto, per<br />

nominarne soltanto qualcuna, formavano una colonia genovese così fiorente<br />

che ottenne un Tribunale speciale per la trattazione dei suoi piati giudiziari<br />

( 2 ), ed ebbe <strong>nel</strong>la chiesa del Carmine, sin dal 500, propria sepoltura<br />

(3).<br />

Furono a palazzo Giustiniani, il 25 settembre 1682, celebrate le nozze<br />

tra Caterina e don Alessandro, dopo che notar Staibano ebbe redatto i<br />

cap<strong>it</strong>oli matrimoniali, in cui Fabiano Giustiniani, marchese di Caprarica,<br />

dava alla figlia vergine in capillis mille ducati in pecunia, 300 in ori e<br />

gioie, <strong>700</strong> in rami vesti e biancheria, più un fondo detto il Pugliese di<br />

orte nove con casa e palmento e pilacci in feudo di Lequile, ed un cred<strong>it</strong>o<br />

di ducati mille verso il barone di Galugnano.<br />

Ma la v<strong>it</strong>a in Lecce, per chi volesse nobilmente viverla, era a quel<br />

tempo assai costosa; e perciò i Castriota vendettero alcune proprietà lontane,<br />

e si equipaggiarono in modo da mettersi alla pari con i migliori gentiluomini<br />

della c<strong>it</strong>tà, che facevano sfoggio di spagnolesche vesti, di bei<br />

cavalli da sella e da tiro, e di tutto un treno di lusso così poco confacente<br />

allo stato generale di miseria in cui languiva la popolazione ed a<br />

quello di quasi tutti gli stessi nobili, che erano indeb<strong>it</strong>ati fino ai capelli<br />

con mercanti usurai ebrei e cristiani, i quali sulla rovina degli aristocratici<br />

del sangue andavano costruendo una nuova nobiltà del danaro.<br />

Il bel nome che portava e il recente matrimonio aprirono, <strong>nel</strong> 1685,<br />

al Castriota le porte del Seggio di C<strong>it</strong>tà, ed il 3 giugno di quell'anno,<br />

(1) B a c il e, Scr<strong>it</strong>ti vari di arte e storia, p. 55.<br />

(2) De Simone, Lecce e t suoi monumenti, vol. 1, p. 36.<br />

(3) In fantino, Lecce sacra, in Lecce presso Micheli 1634, p. 46.


N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 69<br />

come egli stesso annota, « fu accettato <strong>nel</strong>la nobiltà leccese e nominato<br />

cap<strong>it</strong>ano della paranza del Portaggio di S. `Masi, insieme ad Oronzo dell'Jlntoglietta,<br />

Diego Maremonti e lato quarino ».<br />

« La c<strong>it</strong>tà tutta -- scrive l'abate Infantino — era divisa in quattro compagnie,<br />

sotto quattro cap<strong>it</strong>ani gentiluomini leccesi. I quattro cap<strong>it</strong>ani con<br />

lor compagnie, avevano poi obbligo di star pronti ad ogni occasione d'armata<br />

nemica lutto l'anno » (1).<br />

Per mettersi, però, stabilmente a posto cap<strong>it</strong>an Castriota sentiva bisogno<br />

di avere una casa propria, ed anche in questo la fortuna gli andò<br />

propizia, perchè i Padri domenicani, avendo necess<strong>it</strong>à di far danaro per<br />

menare a termine la loro nuova chiesa — l'odierno Rosario — che era stata<br />

iniziata <strong>nel</strong> 1691, gli vendettero un'ab<strong>it</strong>azione, attaccata a palazzo Giustiniani<br />

« per ducati 513, così apprezzata da mastro Leonardo Protopapa<br />

», ab<strong>it</strong>azione in cui <strong>nel</strong> 1695 egli andò con donna Caterina ad ab<strong>it</strong>are,<br />

dopo di « averci speso altri ducati 165 per mastri d'ascia e fabbricatori,<br />

per porte nuove, scale per salire da dentro e chiancate alle camere ».<br />

Questo palazzetto esisteva fino a quasi cinquanta anni a dietro, ed<br />

il Palumbo, che lo vide, così <strong>nel</strong>la sua Storia di Lecce ne scrive : « Meno<br />

esteso del palazzo dei Giustiniani, sorgeva accanto quello dei Castriota<br />

loro parenti, di data alquanto posteriore. Sembra una costruzione veneziana,<br />

guardando il mignano non sporgente incoronato da tre archi sostenuti<br />

da svelte colonnine e con modiglioni eleganti. Sull'arco dell'alcova,<br />

<strong>nel</strong>la camera nuziale, spiccava su sfondo d'oro l'aquila bicipide con la<br />

stella splendente <strong>nel</strong>lo scudo triangolare, emblema dei Castriota ».<br />

Ma donna Caterina non potè godere a lungo della nuova casa, e sotto<br />

la data del 20 novembre 1702 il non inconsolabile mar<strong>it</strong>o <strong>nel</strong> libro di<br />

suoi ricordi annotava : « passò da questa a miglior v<strong>it</strong>a la Beata Memoria<br />

di mia moglie Caterina Qiustiniani, havendola havuta in moglie anni<br />

venti e mesi sette meno sei giorni, ed è sepel<strong>it</strong>a <strong>nel</strong> Convento degli Antoniani.<br />

»<br />

Per i funerali della moglie Don Alessandro, che per gran parte della<br />

v<strong>it</strong>a si dibattè tra i deb<strong>it</strong>i, pur ogni tanto rimpinguando il patrimonio con<br />

ered<strong>it</strong>à donazioni e benefici che gli venivano dal largo e facoltoso parentado,<br />

dovette « pigliare a censo ducati 200 dalle donne Monache delli<br />

Cheta, alla ragione del sette e mezzo per cento, come appare dall'atto<br />

di notar Leonardo Pizziniaco di Lecce, e detto danaro ha serv<strong>it</strong>o per li<br />

(1) Infantino, o. c., p. 215.


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70 Rinascenza Salentina<br />

funerali di detta signora mia Moglie, che sono stati ducati 115, ed il resto<br />

per le mille messe lasciate in contemplazione della donazione fattami ».<br />

Così si chiude il primo ventennale periodo della v<strong>it</strong>a leccese del<br />

gentiluomo, che doveva essere padre della Poetessa di cui ricostruiremo<br />

la tragica vicenda; periodo incolore di decaduto signore di campagna non<br />

ancora completamente inurbato e riarricch<strong>it</strong>o : periodo tutto occupato dal<br />

matrimonio con la Giustiniani; matrimonio d'interesse, come quelli contratti<br />

in segu<strong>it</strong>o, che fu come la catapulta da cui il casato dei Castriota-<br />

Skanderberg di Lecce prese nuovo impulso per r<strong>it</strong>ornare in primo piano<br />

sulla scena della v<strong>it</strong>a leccese del tempo.<br />

Un « Portaggio » di Lecce del <strong>700</strong><br />

Guardiamo un po' i luoghi in cui le persone di questa narrazione<br />

vissero ed operarono; facciamoci un'idea del < Portaggio di S. Biagio ><br />

dove sorgevano i loro palazzi e dove in gran parte le vicende della loro<br />

v<strong>it</strong>a si svolsero.<br />

Era questo uno dei quattro Portaggi o quartieri della c<strong>it</strong>tà di Lecce,<br />

che pigliavano nome dalle quattro porte che vi davano accesso e che si<br />

aprivano <strong>nel</strong>la muraglia di cinta, edificata dal barone Giangiacomo dell'Acaia,<br />

celebre arch<strong>it</strong>etto mil<strong>it</strong>are leccese, per ordine di Carlo V imperatore:<br />

Rugge, S. Biagio, S. Martino e S. Giusto, che prese poi nome<br />

di Porta Napoli o Arco di Trionfo o anche Porta Reale. .<br />

I portaggi si dividevano in isole, denominate per lo più da chiese o<br />

cappelle che ne facevano parte; e le vie ancora non avevano nome nè<br />

numerazione le case.<br />

A guardia dei Portaggi vigilavano le quattro Paranze di milizia c<strong>it</strong>tadina,<br />

comandate, come abbiamo visto, da quattro cap<strong>it</strong>ani scelti tra giovani<br />

nobili.<br />

La via che Porta S. Biagio univa a quello che è tuttora il centro<br />

di Lecce, tra la piazza detta allora « dei Mercanti » e il quadrivio delle<br />

< Quattro spezierie > e le strade 4, dei Librai » dei « Notai > degli « Scarpari<br />

» era una delle vie principali e più frequentate, perchè menava alla<br />

pubblica passeggiata sul < Viale del Parco » e nei giardini che cingevano<br />

la torre di Giovanni Antonio del Balzo-Orsini. Inoltre da S. Biagio<br />

irraggiavano verso il Capo di Leuca le vecchie vie, risalenti all'epoca preromana,<br />

maltenute, incavate <strong>nel</strong> masso, consunte dal trans<strong>it</strong>o secolare e<br />

solo praticabili alle cavalcature e a cani pesanti trainati da muli o da bovi;


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 71<br />

come da Rugge s'iniziava la via che per Arnesano Novoli e Campi portava<br />

a Napoli, e quella verso Nardò e Gallipoli; come da S. Giusto si<br />

svolgeva la via per Brindisi e come fuori porta S. Martino s'incontrava<br />

tutta una rete viaria, tracciata dal trans<strong>it</strong>o millenario, che andava al vecchio<br />

porto di S. Cataldo ed a tutta quella distesa di oliveti di terreni<br />

sativi di boschi di paludi, che formava la Grande foresta di Lecce »<br />

Entrando a Lecce da Porta S. Biagio, si trovava a sinistra il palazzo<br />

dei mercanti b<strong>it</strong>ontini Altilia, che dava il nome alla via, e che <strong>nel</strong><br />

1747 per matrimonio passò ai Foscarini, che ancor lo possiedono; a destra<br />

il palazzo dei Castriota ed, attaccato ad esso, quello dei Giustiniani;<br />

di rimpetto avevano loro case i Cattani, altri ricchissimi mercanti e, poi<br />

i Perrone giuristi e filosofi, <strong>nel</strong> palazzo detto del « Pollicastro » da cui<br />

l'intera isola prendeva nome. Era così chiamato, perchè <strong>nel</strong>l'alto del portone<br />

mostrava scolp<strong>it</strong>o — come pur oggi si vede — un Angelo discendente<br />

dal Cielo, recante tra mani un pezzo di pane (vulgo « pollicastro »), scultura<br />

su cui i secoli hanno intessuto una leggenda, che ancora a Lecce si ripete,<br />

e che il cronista Piccinni ci ha tramandata:<br />

Dimorando a Lecce (1219) S. Francesco di Assisi, girava secondo<br />

il sol<strong>it</strong>o dei mendicanti religiosi, limosinando per la c<strong>it</strong>tà; giunse davanti<br />

il palazzo di un patrizio (oggi si possiede dai Perrone ed è immemorabile<br />

tradizione tra i leccesi che questo fosse stato anticamente il palazzo<br />

del nostro primo Vescovo S. Oronzo), vi picchiò la porta, e chiese per<br />

l'amor di `Dio la limosina; in un sub<strong>it</strong>o vaghissimo un paggio dietegli un<br />

bianco e grande pane, e disparve. Al picchiarsi della porta, era accorso<br />

un familiare di casa, a cui Francesco renda le grazie in nome di Dio per<br />

il pane ricevuto e che fino a quel punto teneva in mano. Disse colui non<br />

esser pane di loro casa; onde, conosciutosi da S. Francesco il tratto della<br />

Divina Provvidenza, e da quelli della casa il miracolo, ne dia l'uno i<br />

ringraziamenti all'Altissimo, e gli altri conservar ne vollero perpetue le memorie<br />

mentre fecero <strong>nel</strong>l'arco della porta scolpire un Angelo in atteggiamento<br />

di scendere dal Cielo ed ogrire un pane ».<br />

Di lato al palazzo dei Perrone era quello grandioso dei fratelli dottor<br />

fisico Giuseppe e dottore di leggi Bernardino Grassi di Ruffano, che<br />

poi venne in potere dei baroni Rossi, e nei pressi altri palazzi di gran<br />

signori sorgevano : quelli dei Castromediano, dei Vernazza, dei Personè,<br />

degli Stomeo, dei De Marco, degli Antoglietta, dei Prato e dei Lubelli.<br />

Nella piazzetta, su cui palazzo Grassi faceva angolo, al principio del<br />

<strong>700</strong> era stata innalzata la chiesa di S. Matteo col Monastero delle Pao-


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• 72 Rinascenza Salentina<br />

lotte; e rimpetto alla chiesa si vedeva — e vi rimase sin circa il 1832 ( I ) —<br />

la « Colonna infame » che dicevano messa a memoria di un tradimento<br />

consumato ai danni della c<strong>it</strong>tà da un suo governante. Ecco come il barone<br />

Anto<strong>nel</strong>lo Coniger, sotto la data del 1157, ne scrive <strong>nel</strong>le sue Cronache,<br />

tanto aspramente cr<strong>it</strong>icate <strong>nel</strong> <strong>700</strong> dal ner<strong>it</strong>ino Bernardino Tafuri<br />

e strenuamente difese dal leccese dottor Pasquale Ampolo:<br />

« Rpgieri 'Duca di Calabria, primogen<strong>it</strong>o di ne Guglielmo il Malo,<br />

per non li aver voluto dare obbedienza la C<strong>it</strong>ò de Lecce e tutte le altre<br />

del 'Duca di Jlthena et conte de Lecce, per retrovarse in Francia detto<br />

Duca d',/lthena, venne in campo ad Lecce cum molto eserc<strong>it</strong>o, dove la<br />

tenne assediata anni tre. Infine la pillao per tradimento che fè lo Camberlingo,<br />

entran dentro dillo`Rogieri, iettao le mura et tutte le case a terra,<br />

reservato quelle l'addimandao de grazia, et a lui li fè talliare la testa » (2).<br />

Porta S. Biagio, ai primi del <strong>700</strong> quasi cadente per vetustà, <strong>nel</strong> 1774<br />

fu riedificata, come oggi appare, essendo sindaco il marchese Nicola Prato.<br />

Alla porta s'addossava una cappellina che le dava il nome, « devotissima<br />

per rispetto del mal di gola, particolarmente dacchè è arrivato a queste<br />

nostre parti questo pestifero morbo; che perciò <strong>nel</strong> giorno di S. Biagio vi<br />

concorre divotamente il popolo, raccomandandosi con ogni affetto alla intercessione<br />

del Santo Vescovo » (Infantino).<br />

Attorno alle mura la campagna era triste e spianata, perché, quando<br />

Carlo V volle edificare la nuova cinta e il castello, espropriò ai privati<br />

le terre vicine e, sino ad un tiro di spingarda e più oltre, abbattè i vecchissimi<br />

opimi oliveti, che da ogni parte lambivano col loro verde perenne<br />

l'ab<strong>it</strong>ato, impedendo la visuale ai difensori e il tiro alle bocche da<br />

fuoco dei baluardi e delle cortine.<br />

Nella spianata erbosa, fuori porta, <strong>nel</strong> 1679 fu messa la fontana che<br />

era già <strong>nel</strong>la piazza dei mercanti, e — nota il Cino, altro autorevole cronista<br />

« buttò acqua per due giorni continui » !<br />

Un lungo viale menava alla Torre, cinta di fossato, tra giardini ombrosi<br />

e artificiosi zampilli d'acqua; e <strong>nel</strong>la Torre e nei contigui edifizi,<br />

oggi scomparsi, risiedè per molto tempo con la sua Corte il Preside della<br />

Provincia.<br />

La passione dei pubblici passeggi alberati e infiorati è, come si vede,<br />

tradizionale <strong>nel</strong> popolo leccese, che ha sempre avuto il gusto del verde<br />

e del fiore; passione che è poi prettamente <strong>it</strong>aliana. Sui primi anni del-<br />

(1) De Simone, o. c., pag. 300 vol. I.<br />

(2) Conige r, Cronache della C<strong>it</strong>tà di Lecce, ediz. Brindisi, 1<strong>700</strong> p. 3.<br />

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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 73<br />

, 1'800 Gaetano Stella, medico ed agronomo, diede sviluppo a questa tendenza,<br />

alberando riccamente i viali estramurali e dotando Lecce di un<br />

Pubblico giardino e di un Orto Botanico, prima tra tutte le c<strong>it</strong>tà del Mezzogiorno.<br />

Sicchè non diceva cosa rispondente al vero lo Stendhal quando<br />

<strong>nel</strong>le sue « Passeggiate romane » proprio ai giorni dello Stella, affermava<br />

che « gli <strong>it</strong>aliani del tempo abborrivano gli alberi, e dove in Italia si vede<br />

un passeggio alberato, si può essere sicuri che è opera di un governante<br />

francese ».<br />

Che cosa era il Parco, quando fu centro della suburbana v<strong>it</strong>a leccese?<br />

Pel viale, fiancheggiato da alberi d'ombra e da piramidi sorreggenti<br />

vasi di fiori — così ornato <strong>nel</strong> 1632 dal preside Ferrante Caracciolo duca<br />

di Airola — s'accedeva al Parco, che <strong>nel</strong>l'atrio d'ingresso, dopo l'arcata con<br />

le insegne del Re e del Duca, accoglieva un'altra più antica fontana « fatta<br />

dai leccesi per soddisfazione di donna Caterina Acquaviva duchessa di<br />

Nardò e moglie di Giulio Acquaviva<br />

Entrando « dentro al dilettevole Parco » come ci fa sapere l'Infantino,<br />

attorno alla torre edificata <strong>nel</strong> 400 dal figlio della Regina Maria,<br />

« per propria sua delizia » erano giardini sempre in fiore ed orti di varie<br />

frutta e un bosco profumato di aranci con artificiose fontane e fresche e<br />

segrete grotte. Con la dominazione spagnola il Parco divenne luogo di<br />

pubblico diporto; e nei tiepidi pomeriggi invernali e <strong>nel</strong>le calde serate<br />

estive richiamava la migliore nobiltà del sangue e del censo, che vi andava<br />

a passeggio con berline e cavalli e portantine.<br />

Qui <strong>nel</strong> giorno di S. Giacomo, durante la caldura estiva, s'adunavano<br />

la nobiltà e le milizie, scortando il labaro della c<strong>it</strong>tà portato da un<br />

barone, ed issandolo sulla torre a sicurtà del mercato, che attorno al Parco<br />

per otto giorni si svolgeva col concorso di numerosi produttori e mercanti,<br />

convenuti da ogni parte di Puglia e dalle opposte sponde adriatiche e sin<br />

da Venezia e dalle Isole Ioniche. « Tale mercato o fiera — aggiunge l'Infantino<br />

— prima che il Turco occupasse la Grecia, era il maggiore d'Italia<br />

» I).<br />

La sgargiante cavalcata della nobiltà e delle milizie, dopo le evoluzioni<br />

di parata e lo sfilamento sotto la loggia del Preside, era accolta in<br />

grandi mense all'aperto, dove il fortunato barone vessillifero per otto giorni<br />

teneva a sue spese tavola imband<strong>it</strong>a. In compenso, però, egli aveva dr<strong>it</strong>to<br />

di liberare un condannato a morte.<br />

(1) Infantino, o. c., pag. 214.


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74 ninascenza Salentina<br />

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Fu nei viali del Parco che, agli ultimi di Carnevale del 1698, quando<br />

don Alessandro Castriota era giovane sposo, sfilò la cavalcata e la mascherata<br />

dei nobili in onore del nuovo Preside marchese di Santa Fiora — Tra le<br />

altre cose — narra il Cino — « ci fu un carro trionfale fatto in modo di<br />

galera, che aveva a poppa il Governatore della c<strong>it</strong>tà ed altri signori mascherati<br />

lussuosamente da marinai, e un'altra mascherata di nobili a cavallo<br />

che buttava confetture a guisa di grandinata ».<br />

Fu in una domenica del maggio 1716 che passò pel Parco, tra due<br />

ali di popolo plaudente « la ricchissima quadriglia di Signore nobili con<br />

un carro trionfale sontuosissimo, tutto fregiato di trofei imperiali con musica,<br />

su cui sedevano quattro nobili, rappresentanti le quattro parti del<br />

mondo, con cavalli scapoli e sfrenati, coverei di ricche qualdrappe, guidati<br />

da staffieri e montati da gentiluomini vest<strong>it</strong>i da antichi imperatori ». Arrivata<br />

in piazza la cavalcata, furono dai gentiluomini che la formavano « buttate<br />

al popolo molte monete di argento, mentre il sindaco faceva lo stesso<br />

da sopra il Sedile ».<br />

Oggi di tutto ciò non restano, pallido ricordo, che il viale e la Torre,<br />

priva di ponte levatoio e di merli e di difese, già fatta prigione di monaci<br />

e poi modesta ab<strong>it</strong>azione borghese. Guarda attorno, incalzata dalle<br />

modernissime costruzioni stile Novecento, che dalla c<strong>it</strong>tà dilagano verso<br />

quelli che furono i giardini orsiniani, sentendosi estranea in un mondo così<br />

lontano e diverso da quello in cui il magnifico figliuolo della Regina Maria<br />

e di Raimondello la eresse a sua villeggiatura principesca e diletto.<br />

In fondo al Parco erano gli orti, dove si coltivava la verdura per<br />

pubblica alimentazione, così come tuttora si pratica; e quegli orti, verso<br />

la metà del <strong>700</strong>, erano tenuti in f<strong>it</strong>to da tal Lorenzo De Paulis « alias<br />

Scozzese » che, non contento dei guadagni dell'industria ortalizia, si dilettava<br />

anche di strozzinaggio, facendo prest<strong>it</strong>i a signori della nobiltà sopra<br />

pegni di ori e di gemme.<br />

Nasce donna Isabella<br />

La vedovanza di don Alessandro non durò a lungo. Uomo freddo<br />

e calcolatore, quale egli si dimostrerà per tutta la v<strong>it</strong>a, e non essendo più<br />

a quarant'anni un giovane di primo pelo, pensò con un nuovo matrimonio<br />

di migliorare la sua posizione economica e di impedire che il ramo del<br />

casato in lui si spegnesse, giacchè donna Caterina non era riusc<strong>it</strong>a in vent'anni<br />

di matrimonio a dargli un erede.


N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 75<br />

La sua scelta cadde su di una donzella gallipolina, Irene Pieve-Sauli,<br />

appartenente a ricca famiglia di mercanti di olio, anche essi, come i Giustiniani,<br />

di illustre origine genovese.<br />

Menando la v<strong>it</strong>a degli oziosi signori del tempo, tra giuoco cavalli cicisbeismo<br />

e cerimonie religiose, poco curanti d'amministrare le loro proprietà<br />

lontane e spesso in luoghi di malaria ed esposti alle incursioni dei<br />

pirati, il vedovo consolato si trovava però, come al sol<strong>it</strong>o, in ristrettezze<br />

finanziarie; e, per affrontare le spese matrimoniali e fare buona figura verso<br />

i doviziosi nuovi parenti, fu costretto a € pigliare a censo dal Seminario<br />

di Lecce ducati 270 alla ragione del sette e mezzo per cento, con istrumento<br />

per not. Pizziniaco »: alcuni giorni dopo le nozze, il 30 gennaio 1704,<br />

a stipulare altro censo per ducati 150 con l'abate Bacco canonico della<br />

Cattedrale; e poco appresso fin anche a vendere lo schiavo di casa, Giovanni,<br />

a don Franco Capece per ducati 80.<br />

Le nozze furono celebrate a Gallipoli con quella magnificenza che<br />

era ab<strong>it</strong>uale <strong>nel</strong>le grandi famiglie gallipol<strong>it</strong>ane, il 17 decembre 1703, vale<br />

a dire un anno dopo la morte della Giustiniani; e furono a differenza delle<br />

prime assai brevi e fecondissime, perchè, quando i nove mesi non erano<br />

del tutto trascorsi, donna Irene mise al mondo non una ma due bambine,<br />

assist<strong>it</strong>a dalla « ostetrica approbata Caterina Mucciato ». Così annota il<br />

mar<strong>it</strong>o: « II 1. settembre 1704, giorno di lunedì, ad bore venti in circa<br />

partorì D. Irene Sauli e fece due figliole, una delle quali nacque e le fu<br />

data l'acqua benedetta e se ne andò ín Paradiso. L'ultima nata fu battezzata<br />

dal padre don Gaetano Zunica, cherico regolare teatino, il laico<br />

il sig. D. Cesare Belli, la commare la signora Ippol<strong>it</strong>a Guarini, e le fu<br />

imposto il nome dí Isabella Giuseppa eXCaria Petronilla ».<br />

Ma la duplice matern<strong>it</strong>à costò cara alla Pieve-Sauli, che, ammalatasi<br />

di febbre puerpuerale, otto giorni dopo era in fin di v<strong>it</strong>a e dettava il<br />

suo testamento in cui cost<strong>it</strong>uiva erede universale la neonata Isabella.<br />

Nota don Alessandro con la sua sol<strong>it</strong>a insensibile laconic<strong>it</strong>à « Addì<br />

9 settembre 1704 se ne andò in Paradiso la Beata 7Z'emoria di mia moglie<br />

donna Irene, ad hore 24, e fu sepolta <strong>nel</strong>la chiesa dei Padri Domenicani<br />

in San Giovanni » Quasi con le stesse parole con cui, due anni<br />

innanzi, aveva annotato la scomparsa della prima moglie !<br />

In queste tragiche circostanze venne al mondo Colei che sarà la protagonista<br />

centrale di questo studio sul Settecento <strong>salentino</strong> ; nacque dando<br />

la morte alla giovanissima madre e alla sorella e — ironia della sorte presaga<br />

l — fu tenuta al fonte battesimale da un Belli e da una Guarini, cioè<br />

da due di quelle famiglie in cui ella doveva <strong>nel</strong>la sua v<strong>it</strong>a dolorosa en-


76 `rinascenza Salentina<br />

trare per vivere e soffrire, sposando prima, a soli sedici anni, il vecchio<br />

barone don Filippo Guar ini, e, vent'anni dopo, quello che fu l'eletto del<br />

suo cuore di Poetessa, ma che le diede altri dieci anni di v<strong>it</strong>a travagliata,<br />

Pietro Belli, il poeta e filosofo caro a Giambattista Vico.<br />

Venne al mondo per portare coi primi suoi vag<strong>it</strong>i una contrarietà al<br />

padre, sempre avido di danaro, che <strong>nel</strong>l'atto della moglie morente, che<br />

lo diseredava a favore della figlia, vide un'offesa alla patria potestà ed una<br />

menomazione al suo smodato desiderio di ricchezza. E tale suo stato d'animo<br />

verso la figliuola doveva certamente acuirsi ed invelenirsi al pensiero<br />

che due giovani spose, e .specie la madre di lei, che tanto si era manifestata<br />

feconda, non gli avevano dato un figlio maschio.<br />

Forse sin d'allora <strong>nel</strong>l'animo del Castriota sorse l'idea di seppelire<br />

in un convento la sua creatura, seguendo l'uso del tempo che ai figli<br />

primogen<strong>it</strong>i delle nobili famiglie dava ricchezze ed onori, ed i cadetti, e<br />

specie le donne, destinava alla v<strong>it</strong>a claustrale.<br />

Ancora la piccola non aveva l'uso della ragione, e il padre si rivolse<br />

ad un chiromante perchè ne avesse predetto la sorte; e dal docile<br />

divinatore del futuro, conforme al suo divisamento gli venne il responso,<br />

che ci tramandò <strong>nel</strong> libro dei ricordi : « sarà Monaca. Sui quattro anni<br />

entrerà in Monastero e sarà aConaca sui diciotto. Negli anni 42 sarà abbadessa,<br />

ed altri honori minori riceverà successivamente. Sarà inferma, patirà<br />

di dolori alla matrice e flussioni al collo e dolori di testa acuti con<br />

riscaldamento anche di testa. Avrà amicizie con persone grandi. Avrà ingegno<br />

assai, spir<strong>it</strong>osa e pronta. »<br />

Come vedremo, fu profetico il chiromante quando la disse di alto ingegno<br />

e di spir<strong>it</strong>o e circondata di grandi amicizie, ma errò <strong>nel</strong> profetizzarla<br />

monaca a diciotto anni, chè Isabella Castriota entrò in Convento,<br />

ma a soli sedici anni ne uscì per andare sposa ad un uomo che poteva<br />

esserle più che padre, e che non seppe sfogliare i suoi immacolati fiori<br />

d'arancio.<br />

Nel vero fu la profezia che la disse di alto ingegno, spir<strong>it</strong>osa e pronta<br />

ed onorata dell'amicizia dei grandi, perchè ella fu una delle poche donne —<br />

tre o quattro — che <strong>nel</strong>la v<strong>it</strong>a intellettuale del Settecento <strong>salentino</strong> emersero<br />

per altezza d'ingegno e di cultura, il cui nome è giunto fino a noi,<br />

quantunque ancora avvolto in un alone incerto ed evanescente, che ci<br />

siamo proposti di chiarire.<br />

Vedovo di due mogli, solo <strong>nel</strong>la casa piena di ricordi e di rimpianti,<br />

col vecchio padre e con la piccola figlia affidata alle cure della nutrice<br />

Saveria Buttazzo di S. Pietro in Lama, don Alessandro volle correre l'alea


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 77<br />

di un terzo matrimonio, ed andò a scovare sino a Trani un'altra moglie<br />

nobile e ricca, donna Giuseppa De Torres, di famiglia romana, che a<br />

Trani si era trasfer<strong>it</strong>a seguendo uno zio, l'Arcivescovo Pietro De Torres.<br />

Ancora due anni non erano passati dalla morte di Irene Pieve-Sauli,<br />

e don Alessandro annotava il terzo matrimonio, come scrivendo di altri:<br />

« A 13 giugno 1706 affidò con procura don Alessandro Castriota la signora<br />

D. Giuseppa De Vorres della C<strong>it</strong>tà di Trane. 11 procuratore don<br />

Domenico de Nicastro di Lucera, cognato di detta signora. Li cap<strong>it</strong>oli matrimoniali<br />

per mano di noi. Francesco dell'Aquila di 'nane ».<br />

Come sempre, le spese di quest'altro matrimonio furono dal Castriota<br />

sostenute contraendo deb<strong>it</strong>i con don Angelo Panico, con la signora Anna<br />

Maria Galassi, con mastro Gioacchino Panareo e col reverendo don Bartolo<br />

Libetta, pagando l'interesse allora strozzatorio del nove per cento.<br />

Donna Peppa » come egli chiama sempre la terza moglie nei « Ricordi<br />

gli diede finalmente, tra gli altri, due figli maschi, Francesco Paolo<br />

e V<strong>it</strong>antonio; e naturalmente, come tutte le matrigne, non ebbe che un<br />

desiderio condiviso dal mar<strong>it</strong>o: disfarsi della piccola figliastra, che ormai<br />

era un'intrusa <strong>nel</strong>la casa paterna, e solo affetto trovava <strong>nel</strong>la fedele nutrice;<br />

disfarsi della disgraziata creatura, chiudendola in convento e godendone<br />

le rend<strong>it</strong>e.<br />

Dopo di essere stata cresimata <strong>nel</strong> Vescovado di Lecce, avendo a<br />

madrina donn'Anna Giustiniani, Isabella dunque, seguendo il suo destino,<br />

si preparava ad entrare educanda in un monastero, come il chiromante<br />

alla sua nasc<strong>it</strong>a aveva predetto.<br />

Miseria e nobiltà del <strong>700</strong><br />

Mentre Isabella passa la prima adolescenza <strong>nel</strong>la casa che le diventa<br />

sempre più estranea, diamo uno sguardo alla v<strong>it</strong>a leccese del tempo con<br />

tutte le sue miserie e i suoi splendori : v<strong>it</strong>a turbinosa quanto in altra epoca<br />

fu mai, <strong>nel</strong> succedersi e <strong>nel</strong>l'accavallarsi di tre regimi pol<strong>it</strong>ici che imperversarono<br />

in pochi anni <strong>nel</strong> Napoletano, sovrapponendo miserie pol<strong>it</strong>iche<br />

ed economiche su miserie, pronunciamenti di nobili e di ecclesiastici, generose<br />

insurrezioni e dure repressioni, lotte di fazioni cruente e vuote accademie<br />

di arcadi, in un ambiente di usurai e di nobili dilapidatori, di<br />

guerrieri e di cicisbei, di prelati onnipotenti e di civici amministratori gelosi<br />

di lor prerogative, di monaci e monache salmodianti in quaranta con-


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78 `rinascenza Salentina<br />

venti, di soldati mercenari, di negromanti, di schiavi, di popolino abbrut<strong>it</strong>o<br />

<strong>nel</strong>le c<strong>it</strong>tà dall'ignoranza e di contadini vassalli, legati alla gleba da<br />

ingordi feudatari.<br />

Solo raggio di sole tra tanta tenebra, addensata da secoli di malgoverno,<br />

veniva da un piccolo gruppo di intellettuali, economisti e filosofi,<br />

poeti e teologi, cronisti e traduttori, p<strong>it</strong>tori, scultori, arch<strong>it</strong>etti, sopra tutto<br />

arch<strong>it</strong>etti, che tra la fine del 600 e i primi del <strong>700</strong> innalzarono in Lecce<br />

le più fastose chiese barocche e i più bei palazzi.<br />

Nati per lo più dal patriziato erano gli uomini d'arme e di pensiero<br />

e gli alti prelati; venivano dal ceto dei civili e arricchivano e insignorivano<br />

col lavoro medici e legali; le classi più modeste davano il basso<br />

clero; e dal popolo sorgevano quegli artigiani-artisti che senza laure e diplomi<br />

diventavano spesso, per la innata genial<strong>it</strong>à di nostra gente, grandi<br />

arch<strong>it</strong>etti civili e mil<strong>it</strong>ari, p<strong>it</strong>tori, scultori, argentieri, incisori. Nella indigenza<br />

più nera, <strong>nel</strong>la ignoranza e <strong>nel</strong>la superstizione cresceva e prolifica va<br />

nei quartieri eccentrici della « Misciagna » e del < P<strong>it</strong>tacio » la plebe.<br />

E non mancavano neppure gli schiavi, di cui in casa Castriota-Skanderberg<br />

troviamo, oltre a quel Giovanni venduto al Capece, « il schiavo<br />

Becchi da Coron fatto cristiano e postoli nome Domenico »; una fedele<br />

schia vetta di quindici anni a nome Zaira, « comprata per ducati cinquanta<br />

e dopo due mesi fatta cristiana e chiamata 2`'eresa » che visse e morì<br />

ottantenne <strong>nel</strong>la casa dei padroni; un altro schiavo di tre anni « comprato<br />

dal Governatore di Brindisi don Luis Francisco De Leon, con istrumento<br />

per notar laco di quella c<strong>it</strong>tà ». Altro schiavo a nome Amet era in casa<br />

Tafuri, parenti dei Castriota, e fu fatto libero per testamento di D. Orazio,<br />

a patto che per altri dieci anni avesse serv<strong>it</strong>o la famiglia; ed una<br />

« piccola schiava bianca » serviva i Pieve-Sauli di Gallipoli, che coi Castriota<br />

s'erano recentemente imparentati.<br />

Era nei porti di mare, e specialmente a Taranto e a Brindisi, che<br />

si eserc<strong>it</strong>ava il mercato degli schiavi. « Non solo i cristianissimi cap<strong>it</strong>ani<br />

delle galere dell'Ordine di Malta vendevano schiavi, ma l'Arcivescovo di<br />

Taranto era giudice chiamato a dirimere le vertenze. E non si trattava<br />

soltanto di nemici presi in combattimento, o di ciurme di galere avversarie,<br />

ma molto spesso di fanciulli e di donne » (1).<br />

Su questi ceti sorgeva e si imponeva una novella aristocrazia, formata<br />

da mercanti genovesi veneziani lombardi napoletani fiorentini e ra-<br />

(I) Spezial e, Storia mil<strong>it</strong>are di Taranto, Bari, ed. Laterza, 1930, pag. 103, nota 1.


1u<br />

N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 79<br />

gusci, che nei fondachi sotto le .< Capanne » vendevano telerie e seterie,<br />

generi coloniali, legnami e ferramenti, mentre dal porto di S. Cataldo<br />

esportavano lino, cotone, olio e vino, e nei retrobottega eserc<strong>it</strong>avano l'usura<br />

per lettere di cambio e sopra pegni.<br />

Di queste ultime operazioni si occupavano anche i conventi, che ogni<br />

giorno più arricchivano per lasc<strong>it</strong>i, donazioni, cappellanie, ,benefizi, tanto<br />

da essere padroni di oltre una metà del terr<strong>it</strong>orio.<br />

Usufruendo di rend<strong>it</strong>e superiori ai loro bisogni, gli enti ecclesiastici,<br />

dopo di aver edificato chiese grandiose e comodi e sfarzosi conventi, impiegavano<br />

il danaro superfluo in prest<strong>it</strong>i redd<strong>it</strong>izi.<br />

Le memorie del nostro D. Alessandro sono piene di note riguardanti<br />

deb<strong>it</strong>i da lui contratti con le monache delle Chetrì della Nova e delle<br />

Angiolille, col convento di Santa Croce, col priore di S. Francesco, col<br />

Seminario di Lecce, coi domenicani di Galatina, con l'abate Bruno, col<br />

canonico Bacco, nonchè coi più noti negozianti di piazza come l'Arigliani,<br />

il Farraroli, il Libetta, il Veneziani, il Buia, il Casotti. E come lui, con<br />

i conventi e con i mercanti erano indeb<strong>it</strong>ati tutti o quasi tutti i patrizi,<br />

come appare dal Catasto onciario della c<strong>it</strong>tà, compilato per ordine di<br />

Carlo III <strong>nel</strong> 1755.<br />

Oltre ai censi ed ai deb<strong>it</strong>i contratti su cambiali, troviamo nei « Ricordi<br />

» del Castriota annotati molti prest<strong>it</strong>i ottenuti sopra pegni. « A 5<br />

gennaio 1709 da don Domenico Arcudi di Galatina per mano di Domenico<br />

mio Schiavo ricevuto ducati 30 di argento per li quali tiene in<br />

pegno una crocetta d'oro con smeraldi, due para di orecchini con perle<br />

e una tazza d'argento -- Fatto biglietto a don Cola Filippi di ducati 68<br />

e questi per il pegno di una cortina ricamata in oro d'armisino turchino,<br />

<strong>nel</strong>la fine del mese di luglio 1716, quale dice tenerla in pegno Agostino<br />

Albanese di S. Cesario fattore di Torrepinta — addì 6 gennaio 1725 dato<br />

in pegno da me, <strong>nel</strong>la chiesa di S. Antonio di Lecce, al signor Giuseppe<br />

Ampolo un a<strong>nel</strong>lo di smeraldi ed una catenina d'oro per ducati 10 —<br />

Don Domenico della Ratta tiene pegno per ducati 76 in circa una catena<br />

a maglie d'oro di oncie cinque con cinquantasette rubini ».<br />

Lo strozzinaggio era eserc<strong>it</strong>ato anche da gente di cattiva fama e da<br />

pubbliche meretrici, ed il Piccinni, altro cronista, ci narra che <strong>nel</strong> maggio<br />

del 1729 fu <strong>nel</strong>la sua casa « uccisa con ventidue fer<strong>it</strong>e, e cinque particolari<br />

<strong>nel</strong>la parte putenda, una donna di malaffare detta Cateri<strong>nel</strong>la dal<br />

signor Pasquale Cerasino nobile, a causa che tenendo essa alcuni pegni<br />

di lui e chiestogli più volte il suo danaro, alfine l'uccise, levandole da<br />

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80 Rinascenza Salentina<br />

casa non solo i pegni ma quanto teneva. d non ebbe pena, chè prima si<br />

rifugiò in una chiesa e poi ebbe l'indulto ».<br />

Incosciente e noncurante, come tutte le clasi in decadenza, la nobiltà<br />

s'adagiava in un apparente lusso esteriore; ed ogni giorno più s'indeb<strong>it</strong>ava<br />

ed andava in prigione per deb<strong>it</strong>i, ma non rinunziava al gioco di<br />

azzardo, ai bei cavalli da sella, alle dispendiose lotte di fazione, alle sfarzose<br />

parate e mascherate, cui si aggiunsero gli spettacoli teatrali.<br />

Questo nuovo genere di pubblico divertimento ebbe inzio <strong>nel</strong> 1637,<br />

quando venne a Lecce il conte di Conversano, che fu osp<strong>it</strong>ato dal Preside<br />

Boccapianola « <strong>nel</strong>la cui casa si fecero balli e commedie »; e <strong>nel</strong><br />

Carnevale del 1709 un altro Preside, il conte di Montuoro « fece le commedie<br />

a musica e rec<strong>it</strong>ative, e fece venire da Napoli diverse canterine ed<br />

eunuchi, tassando ogni ceto di persone, ed in Lecce concorsero molti filolati<br />

e forestieri »<br />

L'invadenza del Clero<br />

Dietro una lustra di manierata allegria, su tutta la v<strong>it</strong>a leccese del<br />

Settecento incombeva una grigia cappa di piombo: la gente viveva come<br />

entro una campana pneumatica, da cui monaci e preti e mercanti e percettori<br />

d'imposte toglievano continuamente l'aria. E furono preti e percettori<br />

che diedero causa a due degli avvenimenti più gravi che turbarono<br />

il paese nei primi decenni del <strong>700</strong>.<br />

L'onnipotenza sacerdotale, sino all'avvento al governo di Bernardo<br />

Tanucci, ministro di Carlo III, ingombrò ed oppresse ogni altra attiv<strong>it</strong>à ed<br />

iniziativa. Monaci, abati, preti e monsignori facevano a lor lib<strong>it</strong>o il sereno<br />

e la tempesta.<br />

Ogni sera, verso due ore di notte, due padri di S. Giovanni di Dio<br />

si ferma vano ad ogni capo di strada della c<strong>it</strong>tà e davano segno col campa<strong>nel</strong>lo<br />

e poi con voce alta e sonora ricordavano a tutti « che lasciassero<br />

il peccato, ricordassero di essere mortali e di fare qualche bene per le<br />

anime del Purgatorio » ( 2 ) .<br />

I frati cappuccini si occuparono sin anche del modo di vestire delle<br />

donne, imponendo il velo alle vergini. Gli stessi Vescovi promulgarono<br />

(I) De Simone, o. c. p. 79 - Piccinni, Priorlsla 1709.<br />

(2) Infantino, o. c., p. 28.


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N. De Simone-Paladini - '<strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 81<br />

scomuniche contro gli osti che annacquavano e sofisticavano il vino. I confessori,<br />

assistendo in estremis i moribondi, consigliavano donazioni e lasc<strong>it</strong>i<br />

di migliaia di messe al clero ed ai monasteri.<br />

E ce ne erano tanti di monaci e di preti! . Dal Catasto onciario risulta<br />

che, verso la metà del <strong>700</strong>, oltre ai canonici ed alle altre dign<strong>it</strong>à<br />

del Duomo, Lecce aveva un clero regolare di 132 sacerdoti e 369 chierici;<br />

che i monaci e le monache affollavano circa 40 conventi: benedettine,<br />

clarisse, francescane, angiolille, domenicane, teresiane scalze, cappucci<strong>nel</strong>le,<br />

pent<strong>it</strong>e, paolotte, oltre a un gran numero di bizzoche, centinaia di<br />

donne sottratte alla famiglia ed alla santa matern<strong>it</strong>à; teatini, celestini, carmel<strong>it</strong>ani,<br />

alcantarini, agostiniani, gesu<strong>it</strong>i, francescani, domenicani, gente che<br />

viveva quasi fuori della legge comune, solo dipendente dai suoi superiori<br />

spir<strong>it</strong>uali, e che si credeva privilegiata e non soggetta al braccio civile.<br />

Certo fra di essi non mancavano elementi di alta levatura mentale<br />

e morale; e sulla schiera incolore si ergevano personal<strong>it</strong>à come l'abate Infantino,<br />

l'Arcidiacono Domenico De Angelis e il canonico Palma, che<br />

illustrarono le antiche memorie civiche; il beato Bernardino Realino e il<br />

padre Onofrio Paradiso, due gesu<strong>it</strong>i di gran cuore e di santa v<strong>it</strong>a, che<br />

profusero tesori di bontà, che soccorsero i poveri i malati i sofferenti, che<br />

precorsero i tempi e, dicendo una parola di pace tra le fazioni in lotta,<br />

fondarono ospedali, asili per le donne traviate, monti di pietà e scuole di<br />

economia domestica e di buon governo della casa; il teologo e parroco<br />

di S. Maria della Porta don Saverio De Blasi, accademico degli Spioni,<br />

che, in tempo di carestia fece a pezzi minuti le statue d'argento della<br />

sua chiesa per distribuirli ai poveri, dicendo che « la Madonna non amava<br />

di essere adorata in vesti di argento ( i ) * E dai conventi e dai seminari<br />

del Salento uscì quella schiera di colti sacerdoti e frati che, tra i carbonari<br />

e i giacobini dal 1792 al 1799 congiurarono per la libertà e finirono<br />

<strong>nel</strong>le galere borboniche e sulle forche, come il brindisino abate<br />

Monticelli ed il leccese Ignazio Falconieri.<br />

Tutto questo clero officiava in 109 chiese e cappelle ed ogni giorno<br />

ne sorgevano di nuove, mentre altre 20 cappelle erano state demol<strong>it</strong>e in<br />

segu<strong>it</strong>o a breve pontificio dell'8 maggio 1596, ad istanza dell'Univers<strong>it</strong>à,<br />

che voleva destinarne il suolo a case di ab<strong>it</strong>azione.<br />

La ricchezza del clero, se da una parte impoverì il paese, dall'altra<br />

incoraggiò le belle arti, perchè fu una gara tra ecclesiastici in elevare<br />

(I) P i c e i ne i. Cronache, Annata sterile 1760.


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82 `Rinascenza Salentina<br />

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chiese, <strong>nel</strong> dotarle di torri campanarie e decorarle di statue e di quadri,<br />

dando lavoro ad artigiani e ad artisti, <strong>nel</strong> fondare scuole ed ist<strong>it</strong>uzioni<br />

culturali. La v<strong>it</strong>a del nostro <strong>700</strong> non fu soltanto baraonda molle di cicisbei<br />

e salmodiare di frati e prepotenza di abati e signori in parrucca e<br />

calze bianche di seta, ma vide dagli studi dei conventi e dal fervore delle<br />

arti e delle scienze sorgere un contrasto di energie, da cui scattarono spir<strong>it</strong>i<br />

ribelli <strong>nel</strong>la fatale maturazione delle rivolte spir<strong>it</strong>uali e di piazza che<br />

incendiarono la fine del secolo.<br />

S'era iniziata <strong>nel</strong> 600 e s'andò sempre intensificando la febbre di<br />

rinnovamento edilizio della c<strong>it</strong>tà : <strong>nel</strong> 1681 si mise la prima pietra della<br />

colonna romana in piazza; <strong>nel</strong> 1682 lo Zimbalo finì di edificare il campanile<br />

del Duomo; l'anno appresso s'iniziò la costruzione della chiesa e<br />

del convento di S. Pietro d'Alcantara; <strong>nel</strong> 1687 si cominciò a fabbricare<br />

la chiesa di S. Chiara, e <strong>nel</strong> 1691 quella dei Domenicani, ambedue sotto<br />

la direzione dello Zimbalo, che era diventato il grande arch<strong>it</strong>etto del barocco<br />

leccese; di quel fantastico caratteristico nostro barocco che culminò<br />

<strong>nel</strong> 1697 con la facciata fantasmagorica della basilica di S. Croce, dovuta<br />

a lui ed a Gabriele Ricciardi. Nel 1694 l'arch<strong>it</strong>etto Cino, che fu<br />

anche scrupoloso cronista, diè principio, per incarico del vescovo Pignatelli,<br />

alla costruzione del Seminario in cui un sobrio ed elegante Rinascimento<br />

armonizza con delicati accenni al Barocco; <strong>nel</strong> 1<strong>700</strong> il Carducci<br />

edificò la chiesa di S. Matteo, che poi il Gregorovius definì Panteon<br />

del barocco leccese »; <strong>nel</strong> 1711 lo stesso Cino riedificò quella del Carmine;<br />

<strong>nel</strong> 1728 fu aperta al culto la chiesa del Rosario, lavoro originalissimo<br />

del grande Zimbalo; <strong>nel</strong> 1709 il Preside Diego Genoino ricostruì<br />

il Palazzo del Pubblico Governo.<br />

La vasta mole delle nuove costruzioni diede anche lavoro e rinomanza<br />

a p<strong>it</strong>tori, scultori e decoratori. Negli ultimi del 600 il gallipolino<br />

Coppola dipinse, tra l'altro, il bel quadro di S. Oronzo per l'altare eretto<br />

in Duomo dalla Univers<strong>it</strong>à, altare che <strong>nel</strong>la linea arch<strong>it</strong>ettonica non ha<br />

nulla di sacro e ricorda quelli del Tempio Malatestiano dedicato paganamente<br />

dal signore di Rimini alla sua divina Isaotta; tutta una famiglia<br />

pure gallipolina, i Genuino — arch<strong>it</strong>etti scultori e p<strong>it</strong>tori -- innalzava cattedrali,<br />

dipingeva scolpiva alluminava; due alessanesi fratelli, Cesare e Placido<br />

Buffelli, decoravano la chiesa di S. Matteo con , le statue degli Apostoli<br />

e la Piazza dei mercanti col monumento equestre di Carlo V; il sacerdote<br />

Liborio Riccio di Muro dava le sue tele a chiese e palazzi feudali;<br />

i leccesi Serafino Elmo ed Oronzo Tiso, canonico del Duomo, ambo<br />

allievi del Solimene, dipingevano grandi quadri per la Cattedrale di Lecce


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 83<br />

e per le parrocchie della provincia; un altro leccese, l'orafo ed argentiere<br />

Domenico Gigante, modellava in argento la bella statua del nuovo Patrono<br />

S. Oronzo.<br />

Bei gesti erano spesso compiuti da patrizi e mercanti di larghe vedute<br />

con ist<strong>it</strong>uzioni di pubblica util<strong>it</strong>à e di beneficenza; e tra tanti piace<br />

ricordare quello di don Prospero Lubelli barone di S. Cassiano e Guagnano,<br />

che con testamento del 25 decembi e 1<strong>700</strong> per mano di notar Gervasi<br />

« lasciò ducali 500 per farsene la Porta nuova di Rugge, quanto<br />

più galante e bella si poteva, ordinando alla figlia ed erede Waimondina<br />

che sub<strong>it</strong>o dopo la sua morte si desse principio all'opera, vendendo a tale<br />

scopo tutti gli argenti di famiglia, consistenti in due sotto-coppe, dodici<br />

posate, due cucchiaioni, un tortello, un trinciante, tre bicchieri, un bacile<br />

ed uno sicchio di libre 2, ed il compimento per detta somma di ducati 500<br />

pigliando dalla vend<strong>it</strong>a delli grani »<br />

Questo risveglio di opere non nasceva però, generalmente, da sincero<br />

sentimento religioso e assistenziale, poichè allora la religione era più forma<br />

che sostanza: essa era diventata una specie di feticismo. Si erigevano<br />

chiese ed oratori per impiegare gli ingenti cap<strong>it</strong>ali dei monasteri e per<br />

mania di grandezza tra rivali ordini monastici; si fondavano ist<strong>it</strong>uzioni di<br />

beneficenza e si facevano larghe elemosine, non tanto per il piacere di<br />

compiere opera buona, ma <strong>nel</strong>la comoda credenza di salvare l'anima peccatrice<br />

dalle fiamme dell'Inferno e di alleviare quelle del Purgatorio a<br />

suon di ducati.<br />

Per farsi un'idea di questo modo di sentire la religione basta leggere<br />

<strong>nel</strong> libro dell'Infantino — sacerdote osservante e scrupoloso ma anche<br />

uomo colto e spregiudicato — l'elenco delle reliquie che si adoravano<br />

<strong>nel</strong>le chiese di Lecce: in S. Matteo il cordone della Maddalena, in<br />

S. Maria degli Angeli il sangue delle Undicimila Vergini, in Duomo la<br />

camicia di S. Carlo Borromeo, in S. Teresa un pezzo di carne della Santa,<br />

in Santa Croce i capelli della Maddalena il latte della Madonna il sangue<br />

di S. Giovanni Battista la gola di S. Cristoforo e un pezzo dell'altare<br />

di S. Pietro celestino « la cui polvere, bevuta dagli infermi, che<br />

patiscono mal di petto per terzana o febbre quartana, ricevono ordinariamente<br />

la salute » (2).<br />

Per la posizione privilegiata del clero, non era casa patrizia o anche<br />

(I) Archivio di Stato di Lecce, Atti not. Gervasi - gennaio 1<strong>700</strong>,<br />

(2) lnfantin o, o. c., pag. 122.


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84 `rinascenza Salentina<br />

civile che non contasse tra suoi cadetti un figlio prete o monaco o semplicemente<br />

chierico beneficiato; ed uno di questi in casa metteva l'intera<br />

famiglia quasi fuori legge, incominciando dal pagamento delle gabelle, che<br />

tutte gravavano sulle classi meno abbienti.<br />

Fu a causa di questa invadenza che il malcontento generale, covato<br />

per tanti anni sotto la cenere di una bigotta passiva obbedienza, ad un<br />

tratto esplose dando luogo ad un ag<strong>it</strong>ato caratteristico periodo della storia<br />

leccese, di cui la memoria arrivò fino a noi, tramandataci dai cronisti sotto<br />

il nome di c 'Dieci anni d'Interdetto .<br />

L' Interdetto »<br />

L' Interdetto ! » Di questo strano decennio, dal 10 febbraio 1710,<br />

quando il sindaco Brunetti, autorizzato dal Vice-Re cardinal Grimani —<br />

essendo Vescovo Don Fabrizio Pignatelli — « Ordinò che ai preti si lasse<br />

un rotolo di pane al giorno in franchigia, e che si dovessero levare tutti<br />

li molini dalli monasteri e conventi e pure quelli di fuori la c<strong>it</strong>tà, mettendosi<br />

alli posti le statele per misurarsi le farine » ( 1 ), sino al 24 aprile 1719,<br />

quando Monsignor Pignatelli tornò dall'esilio, il Cino, cronista contemporaneo,<br />

ci ha lasciato dettagliata notizia. Come tutti gli altri storiografi, che<br />

poi se ne occuparono ( 2), egli afferma in modo indubbio che i provvedimenti<br />

presi contro gli ecclesiastici — da cui vennero interdizioni e scomuniche<br />

— fossero dovuti al generale malcontento per la intollerabile posizione<br />

di privilegio fiscale e pol<strong>it</strong>ico goduta dal clero, da cui derivarono<br />

le angustie finanziarie in che Univers<strong>it</strong>à e popolazione languivano.<br />

Contro tutta una letteratura sincrona e posteriore, per quella mania<br />

venuta di moda per cui certi studiosi moderni si compiacciono, a dir cose<br />

nuove, di andar contro corrente, cercando di prospettare sotto altra luce<br />

fatti e figure già pienamente lumeggiate dalla storia, Luigi Guglielmo in<br />

un sua libro sull' « Interdetto di Lecce » consultando esclusivamente gli Archivi<br />

Vaticani, ha sostenuto che i provvedimenti repressivi del Sindaco<br />

Brunetti e del Vice-Re contro il clero, non alle ragioni innanzi dette fos-<br />

(1) Cino, o. c., anni dal 1710 al 1719.<br />

(2) De Simone, o. c.; P a I u m b o, Storia di Lecce; Guerrieri, Interdetto<br />

contro la Diocesi di Lecce; Barrella, 1 Gesu<strong>it</strong>i <strong>nel</strong> Salento; Paladini, La Chiesa<br />

Cattedrale di Lecce; B r i g g s, Nel Vallone d'Italia ecc.


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 85<br />

sero dovuti, ma ad antica ruggine esistente tra Governo e Univers<strong>it</strong>à ed<br />

Episcopio per certi dir<strong>it</strong>ti feudali in contesa.<br />

A sfatare questa tesi basta solo osservare che in Vaticano il Guglielmo<br />

non poteva trovare se non carte provenienti da gente interessata<br />

a travisare i fatti per sua discolpa — Vescovo, Vicario e prelati su cui<br />

gravava la responsabil<strong>it</strong>à di avvenimenti che certo dovevano spiacere alla<br />

Santa Sede — mentre il cronista c<strong>it</strong>tadino, timorato di Dio e della Chiesa<br />

e legato al Vescovo da vincoli di amicizia e di grat<strong>it</strong>udine dirigendo per<br />

di lui ordine i lavori di costruzione in atto del Palazzo del Seminario, e<br />

di alcune chiese della c<strong>it</strong>tà, andò annotando giorno per giorno le varie<br />

fasi di quel movimentato periodo come si svolgevano sotto i suoi occhi e<br />

con un certo senso di doloroso rincrescimento e mai pensando che il suo<br />

manoscr<strong>it</strong>to dovesse un giorno diventare fonte di storia.<br />

Basta leggere l'ingenuo annotatore per convincersene e per vedere<br />

con quale esultanza egli annotò l'arrivo di un procaccia latore del dispaccio<br />

vicereale « ordinante di togliere il sequestro ad aff<strong>it</strong>ti e rend<strong>it</strong>e della Mensa<br />

Vescovile » con cui si preludiava alla fine dell'Interdetto.<br />

Seguiamo, dunque, col Cino la narrazione degli avvenimenti.<br />

Appresa l'abolizione delle franchigie, Monsignor Pignatelli, strenuamente<br />

secondato dal suo battagliero Vicario don Scipione Martirani, « fece<br />

c<strong>it</strong>azione di scomunica al Sindaco e al Governo, chiamandoli a comparirgli<br />

innanzi <strong>nel</strong>le ventiquattr'ore ». In risposta il Sindaco « pose le guardie<br />

alle porte per impedire i contrabandi »; e il Vescovo affisse alle chiese<br />

i cedoloni di scomunica.<br />

Ma la sera del 17 febbraio il Cancelliere di Curia D. Domenico<br />

Colelli, a sfida delle autor<strong>it</strong>à civili, entrò a cavallo da Porta S. Giusto,<br />

portando due tomoli di grano. Inv<strong>it</strong>ato a pagar la gabella, rifiutò; gli fu<br />

sequestrato il grano; ebbe braccio forte da due preti che strapparono il<br />

grano alle guardie; nacque una baruffa in cui un tal Mongiò gli ruppe<br />

la testa.<br />

Informatone il Vicerè-Cardinale, venne da Napoli al Vescovo ordine<br />

di recarsi alla Cap<strong>it</strong>ale per discolparsi; il Vescovo non obbedì, e il 28<br />

maggio gli furono confiscati i beni della Mensa.<br />

Si imponevano mezzi più persuasivi, e nei « Ricordi » del nostro Castriota<br />

infatti leggiamo : « Addì 11 novembre 1711 fu trasportato, per<br />

ordine regio, da questo signor Preside D. Saverio Rocca l'ill.mo D. Fabrizio<br />

Pignatelli Vescovo di Lecce per la volta de Trane per trasportarlo<br />

poi alli confini del Regno ».<br />

A mezzanotte l'Episcopio fu circondato da quaranta soldati di cam-<br />

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21.11.11<br />

86 Rinascenza Salentina<br />

pagna e il Vescovo fu arrestato e guardato a vista da ministri e scrivani<br />

per non dargli tempo a rimaner solo per fulminare censure e interdetti.<br />

Ma ciò nonostante, fingendo voler fare pos<strong>it</strong>ivo bisogno corporale,<br />

sotto un lampione vicino alla porta dei comuni, ebbe il tempo di firmare<br />

li mon<strong>it</strong>ori e l'Ed<strong>it</strong>to d'Interdetto senza accorgersi nè ministri nè scrivani<br />

della R. Udienza, e di consegnarli al Vicario Generale D. Scipione Martirani<br />

» (I).<br />

Una v<strong>it</strong>tima dell'Interdetto<br />

Fu il Martirani inflessibile oppos<strong>it</strong>ore agli ordini del Vice-Re e del<br />

Sindaco, e tale si mantenne <strong>nel</strong>l'esilio del Vescovo, tanto che venne anche<br />

lui arrestato e il 22 novembre, messo su di un calesse, sped<strong>it</strong>o manu<br />

mil<strong>it</strong>ari fuori Regno.<br />

Narra il cronista che il calabrese Vicario cercò in ogni modo di opporsi<br />

alla abolizione dei privilegi più <strong>nel</strong> suo interesse privato che in quello<br />

del Clero, poichè -- come anche il Guglialmo, apologista del Pignatelli,<br />

afferma <strong>nel</strong> suo libro — egli eserc<strong>it</strong>ava per suo conto la mercatura ed anche<br />

il contrabando, tanto da essere denunziato al Tribunale della Nunziatura.<br />

E non smise tale esercizio illec<strong>it</strong>o — continua il Guglielmo — neppure<br />

quando col Vescovo tornò a Lecce ad Interdetto fin<strong>it</strong>o, e perciò gli<br />

fu tolta la carica di General Vicario (2).<br />

Il Cino rincara la dose e, narrandone la morte, scrive: « Il 19 luglio<br />

1722 passò a miglior v<strong>it</strong>a il Vicario Martirani <strong>nel</strong> casale di S. Donaci,<br />

<strong>nel</strong>le sue masserie ivi comprate, pel dolore di essere stato levato da<br />

Vicario. Uomo veramente degno, ma per essere calabrese non aveva riguardo<br />

a niuno ; nunc iacet inter pecora el stercora » (3).<br />

Come amato e stimato, malgrado le divergenze, era Monsignor Pignatelli,<br />

una corrente contraria doveva avere il suo Vicario, se il m<strong>it</strong>e e<br />

buon Cino, cdsì propenso alla cristiana indulgenza, e pur riconoscendolo<br />

veramente degno di stima, non seppe di lui darci, quantunque in lingua<br />

latina, ep<strong>it</strong>affio meno oltraggioso!<br />

Ma, dopo quasi due secoli e mezzo, lo studioso sereno, giudicando<br />

(I) Cino, o. c. Secondo anno doloroso dell'Interdetto.<br />

(2) Cuglielrn o, o. c. Nota a pag. 21.<br />

(3) C i n o, o. c. Anno 1722.


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N. De Simone-Paladini - <strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> travaglialo <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 87<br />

senza veli di passioni pol<strong>it</strong>iche, religiose e fazionali, non può fare a meno<br />

di diradare, attorno alla memoria del tanto discusso prelato, quella foschia<br />

denigrante che i contemporanei in buona o mala fede avevano addensato.<br />

E fuor di dubbio che, venendo da Tropea a Lecce al segu<strong>it</strong>o del Pignatelli,<br />

don Scipione non era un qualunque prete e un qualunque squattrinato.<br />

Apparteneva a nobile famiglia calabrese, che in patria ebbe onori<br />

e cariche pubbliche e religiose e che era ded<strong>it</strong>o al commercio. Non dunque<br />

può far meraviglia se a quei tempi, in cui i sacerdoti eserc<strong>it</strong>avano le<br />

arti liberali e si occupavano anche di mercatura, a Lecce egli avesse per<br />

suo conto avviato scambi di merci con la Calabria, e che ne avesse tratto<br />

buon guadagno, impiegato in acquisti di palazzi e di masserie, avendo a<br />

socio il nipote Antonio, venuto tra noi pel suo matrimonio con una di<br />

casa Guarini.<br />

Buon calabrese testardo e pugnace, ed insieme sacerdote zelante ed<br />

inflessibile <strong>nel</strong> sostenere gli interessi di casta, e senza riguardi per alcuno,<br />

il Martirano fece il suo dovere quando tenne obbedienza al Vescovo e<br />

ne pubblicò i bandi di scomunica ed affrontò le ire delle autor<strong>it</strong>à vicereali<br />

e municipali e le subdole manovre dello stesso clero, che con sever<strong>it</strong>à<br />

richiamò al dovere e denunziò anche alla Curia Romana per i metodi<br />

accomodanti coi quali applicava l'Interdetto.<br />

Contro di lui si scatenarono quindi, e per opposte ragioni, le ire dell'Univers<strong>it</strong>à<br />

e del Governo e del Clero, e fu accusato di contrabando alla<br />

Nunziatura, mentre il Papa fece sospendere il processo che non fu mai<br />

riaperto; e fu persegu<strong>it</strong>ato anche nei suoi parenti di Tropea, che furono<br />

arrestati e privati delle cariche e dei beni (1).<br />

Lo stesso suo ultimo gesto, quando, vecchio ormai e malato e stanco<br />

di più lottare, e dolente p" el perduto Vicariato, si ridusse a vivere lontano<br />

dai rumori e dalle passioni c<strong>it</strong>tadine, <strong>nel</strong>le masserie di S. Donaci,<br />

per finirvi, dimenticato e dimenticando la v<strong>it</strong>a, ci mostra l'anima altera<br />

e disdegnosa di questo prelato che in Lecce fu una delle figure più emergenti<br />

dell'epoca, e che fu molto calunniato per aver molto operato : un<br />

forte carattere stagliato <strong>nel</strong>la roccia dura delle sue montagne silane, in un<br />

secolo frollo ed accomodante come il <strong>700</strong> leccese.<br />

(I) Guglielmo, 'Per la storia dell'Interdetto pag. IO.


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88 Rinascenza Salentina<br />

Verso la fine dell'Interdetto : muore il<br />

Sindaco scomunicato.<br />

Gli anni dell'Interdetto per una c<strong>it</strong>tà come Lecce, allora cattolica<br />

fino al fanatismo, furono da principio assai duri : proib<strong>it</strong>o il suono delle<br />

campane; proib<strong>it</strong>o dar sepoltura ai morti in chiesa; proib<strong>it</strong>o ascoltar la<br />

Messa ed accedere ai Sacramenti, proib<strong>it</strong>e le prediche in pubblico.<br />

Ma, poco per volta, con quel tale senso di apatia tradizionale che<br />

non è ancora tra noi scomparsa, tutti si ab<strong>it</strong>uarono a questo ordine di cose;<br />

e il nuovo Vicerè mandò quattro cappellani ad officiare <strong>nel</strong>le chiese di<br />

regio patronato; alle Moline di Rugge, <strong>nel</strong> Torrione della Strèttola vecchia<br />

e presso Porta S. Biagio s'improvvisarono Cim<strong>it</strong>eri di fortuna; i padri<br />

Gesu<strong>it</strong>i — gente colta e di signorili ab<strong>it</strong>udini che non s'interessava d'esenzioni<br />

di gabelle — compirono regolarmente le funzioni religiose <strong>nel</strong>la<br />

Casa dell'Ordine e confessarono, comunicarono e tennero anche un corso<br />

di esercizi, spir<strong>it</strong>uali ( 1 ); nei giorni solenni, come Natale e Pasqua, per<br />

concessione pontificia tutte le chiese si aprirono al pubblico.<br />

E quando <strong>nel</strong>l'ultimo giorno delle Feste Patronali — il 26 agosto<br />

1714 — ebbe a morire il Sindaco Giuseppe Paladini « essendo scomunicato<br />

per l'Interdetto, la C<strong>it</strong>tà gli fece grandi onori, avendogli fatto un<br />

baulle foderato di seta color mosco, guarn<strong>it</strong>o di galloni d'oro con coltra<br />

della stessa maniera, con quattro cuscini consimili con le armi gentilizie,<br />

portandolo per la c<strong>it</strong>tà associato da tutta la nobiltà con torcie alli quattro<br />

angoli della bara. I quattro eletti ossiano decurioni, portavano le bandiere<br />

negre in mano, e dietro il cadavere tutto il segu<strong>it</strong>o della c<strong>it</strong>tà, lo condusse<br />

con tale pompa sopra il Sedile, ed ivi fu seppell<strong>it</strong>o (2).<br />

Ma il dotto e venerando abate Domenico De Angelis, Canonico pen<strong>it</strong>enziere<br />

della Cattedrale ed autore delle « V<strong>it</strong>e dei letterati salentini »<br />

e di altre opere, uomo di spir<strong>it</strong>i superiori ed amantissimo della sua c<strong>it</strong>tà,<br />

dove era r<strong>it</strong>ornato dopo lunghi anni di assenza in cerca di riposo, si preoccupò<br />

dalla piega che le cose andavano prendendo, e malgrado la tarda<br />

età e le sofferenze fisiche, si recò a Napoli e a Roma per cercare una<br />

conciliazione tra potere civile ed ecclesiastico, che era poi sent<strong>it</strong>a ed<br />

. auspicata dalla c<strong>it</strong>tadinanza. Egli trovò la via spianata da un altro lec-<br />

(I) P. Barrella, I Gesu<strong>it</strong>i <strong>nel</strong> Salento p. 87.<br />

(2) C i n o, o. c. Anno 1714.


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N. De Simone-Paladini - '<strong>Due</strong> <strong>Poeti</strong> <strong>nel</strong> <strong>travagliato</strong> <strong>700</strong> <strong>salentino</strong> 89<br />

tese, il gesu<strong>it</strong>a padre Domenico Viva dei baroni di Specchiarosa, ed aveva<br />

già bene avviate le trattative con papa Clemente XI, quando venne a<br />

morire <strong>nel</strong>l'agosto del 1718. Ma il buon seme da lui sparso presto fruttificò,<br />

e un anno di poi, festosamente accolto, Monsignor Fabrizio Pignatelli,<br />

tornava a Lecce.<br />

Il nostro don Alessandro Castriota in quel giorno annotava : « Addì<br />

24 settembre 1719 arrivò in Lecce Don Fabrizio Pignatelli, vescovo di<br />

Lecce, e finì l'Interdetto di detta C<strong>it</strong>tà, ed assolse tutti li censurati con<br />

giubilo e fede di tutta la C<strong>it</strong>tà e la Provincia ».<br />

E tanto fu il giubilo e tale lo scampanio delle torri campanarie pel<br />

r<strong>it</strong>orno del Presule, che il campanone del Duomo si ruppe, e un mercante<br />

veneziano, Pier Maria Ferraroli, fece voto a S. Oronzo di rifarlo<br />

a sue spese (I).<br />

Per la storia diremo che, oltre ai Gesu<strong>it</strong>i, non tutti religiosi leccesi<br />

furono solidali col Vescovo <strong>nel</strong>l'Interdetto ; ed un esposto al Cardinal Segretario<br />

Paolucci, a firma di un Giovanni Antonio Caputo, in data 18 novembre<br />

1711, sta a provarlo. Si accusa in quell'esposto il P. Rettore dei<br />

Gesu<strong>it</strong>i che ostentatamente si faceva vedere a passeggio col Preside Rocca,<br />

cioè con lo scomunicato che aveva arrestato il Vescovo, dando con ciò<br />

pubblico scandalo; il P. Luna e il P. Franzini, anche gesu<strong>it</strong>i, a che non<br />

si sono arross<strong>it</strong>i di scrivere contro la sentenza di scomunica, dichiarandola<br />

nulla »; il P. Maestro Alari dei Carmel<strong>it</strong>ani, che in un'assemblea di teologi,<br />

indetta <strong>nel</strong> R. Castello « non si vergognava di dire che, non ostante<br />

l'Interdetto, poteva darsi sepoltura ai cadaveri in ogni chiesa »; e si finisce<br />

con l'accusare « lo restante Clero regolare, che va sparlando contro<br />

dette censure, di modo che gli stessi censurati se ne ridono » (2).<br />

Fu provvidenziale per ciò il r<strong>it</strong>orno di Monsignor Pignatelli, specie<br />

negli interessi della Chiesa, chè, se egli avesse ancora tardato a riprendere<br />

il governo della Diocesi, forse avremmo visto sorgere <strong>nel</strong> Salénto e<br />

svilupparsi un centro ereticale, così come, in tempi di Riforma, se n'erano<br />

qua e là cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i in Italia; e forse noi oggi saremmo qualche cosa come<br />

i Valdesi di Puglia.<br />

(Continua)<br />

19<br />

Nicola De Simone-Paladini<br />

(1) Picc in n i, priorista - Anno 1725 - La campana rotta era stata fusa <strong>nel</strong> 1701<br />

da re Berardino Cricelli nostro paesano - C i n o, o. c., anno 1701.<br />

(2) Guglielmo, o. c, pag. 66.

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