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Isola Nera 1/26 Febbraio 2006 - Il Dialogo

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agazza provava i suoi passi, io accendevo il mio vecchio grammofono per farle sentire “Maria<br />

Elena”, “Aquellos ojos verdes”. A quel tempo, già cantavano Beetles e Rolling Stones, ragazzi<br />

come me. Mi scorse in un pomeriggio di sabato. Una collega, seduta sul marciapiede di<br />

Copacabana, si sentiva male e lei la ventilava con un quaderno. Casualità. Puramente. Passavo io<br />

in quel momento. Un ignoto gentile? Ha voluto sapere che cosa io facessi, se studiavo, se lavoravo,<br />

dove. Le nascosi alcune cose. Avrebbe giurato che già mi aveva visto. Dalla finestra, ballava per<br />

me, la bella piccoletta, labbre di rubino. E quando, musica alta, si inclinava sui libri e succhiava la<br />

matita in quel modo... La seguivo con le gambe e lo sguardo mentre andava per le strade. Occhi<br />

verdi-sereni-esperti mi avrebbero visto già nella caccia. Incontro provvidenziale. Fortuito? Io<br />

diffido.<br />

Nelle verdi zone tropicali di Rio avvenne un fatto. Di amore. Intenso, tempestoso. Di passione.<br />

Le mie notti da girovago, nessun indirizzo, dai miei genitori non ricevevo soldi. Denaro, ne avevo<br />

sempre. Come? Rimasugli di temporali. I nostri grandi momenti? Le sale da ballo, le lunghe<br />

passeggiate sui marciapiedi di Copacabana per contemplare l’andirivieni voluttuoso delle acque<br />

argentate dalla luna. Ah, passeggi di barca, delizia pura, di fronte alla città illuminata. Baci, amore<br />

con frenesia, come se fosse ogni notte l’ultima volta. La laurea. <strong>Il</strong> ballo si è fatto con tutte le pompe<br />

in un club raffinato. <strong>Il</strong> pianto della madre alla fine della festa che avrebbe molto voluto esibire la<br />

figlia laureata nella sua città. Niente di tutto ciò. Maria Elena era a Rio, lei già lavorava in un<br />

ospedale per l’infanzia. Aveva altro da fare che studiare. Dopo le feste, Elena ha rifiutato i miei<br />

baci, ha respinto le mie carezze. Aveva saputo, una sera, che io ero stato arrestato, accusato di... Per<br />

un certo tempo negava ogni cosa, quando lei aveva sospetti riguardo ai miei affari. Sperava di<br />

laurearsi per annunciare che io non facevo più parte dei suoi sogni... Vivere con un camaleonte?<br />

Dirle che lei era il mio cuore, che il nostro amore era infinito... Non necessario. Neppure una volta<br />

e niente più. Ultima notte quella. L’orologio segnava l’ultima ora. Ciao. Fu secca, aspra, nonostante<br />

la luce intensa di quei sereni occhi verdi.<br />

Quando mi laureai, volli lasciare Rio. Noi non ci vedemmo per un anno. Si nascondeva,<br />

fuggiva... Se io, se lei... I due... La cercai nell’ospedale dove lavorava. Mi ricevette, sorriso di perla<br />

in labbra vermiglie. Che mi incontrasse là, nessuno lo poteva immaginare. Lei arrivò vestita di<br />

luna. Io la inviati ad una festa. Per due. <strong>Il</strong> salone dorato, decorazione, molti fiori, un’orchestra<br />

completa. Io l’aspettai nel salone principale del Copacabana Pálace, quello che si poteva ritenere il<br />

più bello, affascinante ed elegante albergo di Rio a quel tempo. Prima, noi avevamo pensato di<br />

restare là e da una finestra guardare il mare. In una canzone, il pianista nero, denti bianchi, sorriso<br />

aperto suonava “As time goes by”, tema di Casablanca, film che lei aveva visto più di una volta.<br />

Io notai che, al suono della musica, lei tremava, nei suoi vestiti di argento, con i capelli<br />

chiari svolazzanti, orecchini di pietre verdi-occhi suoi. Io avevo preparato la camera da letto per il<br />

dopo la cena, lo champagne, i fiori. Al nostro entrare nel salone dorato, l’orchestra cominciò a<br />

suonare musica dei nostri giorni. Noi ballammo con faccia, corpo ed anima incollati. Io speravo di<br />

arrivare nella stanza per dirle i miei, solamente i miei, piani. Le offrii lo champagne, lei si tolse lo<br />

scialle colore di luna. Io la invitai a più di un ballo. Nell’orecchio, un bisbiglio, io le sussurrai di<br />

venire via con me per il nord del paese perché avevo trovato un lavoro. Parlò di amore per me, ma<br />

non avrebbe mai abbandonato il suo lavoro né gli studi per nulla. Chiesi. Insistei. Implorai. Ero<br />

ubriaco, avevo bevuto molto whisky nel salone dorato. E lei mi rifiutava... Io la odiavo. La portai<br />

con forza sul letto e volli baciarla. Tentò di liberarsi da me ad ogni costo. Non poteva. Quanto più<br />

gridava, con più foga io la baciavo, succhiavo, mordevo. Le tolsi i vestiti. La lasciai completamente<br />

nuda, rimasero solamente gli orecchini verde-occhi. Mi tolsi i pantaloni. Io andai al dunque. Lei<br />

gridava, si dibatté per tutto il tempo, per fortuna che nessuno udì nulla, pochi erano gli ospiti a<br />

quell’ora, perché a Rio la notte non finisce.<br />

Non seppi mai più quello che avvenne di Elena dopo quel momento. Se fosse morta, l’avrei<br />

saputo attraverso i giornali... Quando uscii dall’albergo, io presi un taxi ed andai a casa di amici.<br />

Nella settimana seguente io sono andato all’interno dello stato del Pará, giorni di viaggio, per<br />

lavorare in una miniera. Ero già pronto al lavoro quando, in un pomeriggio, un giovincello mi<br />

contattò per una comunicazione. Che io andassi, alle cinque in punto, alla postazione telefonica<br />

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