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Raccontava sempre Giacinto che "Da Venanzio" anche l'estate 1935 stava scorrendo come<br />

negli anni precedenti; l'unica cosa che i Gastaldi si auguravano, come d'altronde tante<br />

altre persone, era solo un po' di pioggia che servisse a mitigare la grande calura.<br />

Sicché raccontava ancora Giacinto: "La mattina di quel 13 Agosto quando si scatenò il<br />

temporale e prese a cadere la pioggia, pure a casa nostra venne emesso un convinto<br />

sospiro di sollievo, come dire: ci siamo, finalmente piove! Ma fu gioia breve perché la<br />

perturbazione si presentò subito in maniera assai diversa dalle solite burrasche.<br />

L'intensità del fenomeno atmosferico aumentava di momento in momento tanto che, al<br />

breve entusiasmo iniziale, subentrò un senso di preoccupazione. L'Orba ben presto<br />

prese a tracimare in maniera violenta e disordinata dagli argini di protezione; nell'aia di<br />

casa non giungeva più la solita acqua cheta con i pesci che tranquillamente guizzavano<br />

qui e là ma correva un potente e vorticoso rivo d'acqua che trascinava via tutto ciò che<br />

poteva ghermire. Fu così che vedemmo partire per chissà dove il nostro bel carro<br />

agricolo a quattro ruote, la bigoncia in legno, tutti gli attrezzi da lavoro nonché le<br />

scorte di paglia, di fieno e di legna da ardere, che si trovavano sotto i porticati. In breve<br />

venne eroso anche il pollaio e trascinati via tutti gli animali che in esso si trovavano<br />

ricoverati.<br />

Venne presto a trovarsi in grave difficoltà anche il bestiame di stalla il quale, con molto<br />

rischio anche per noi, poté essere liberato delle catene che lo tenevano vincolato alle<br />

rispettive mangiatoie, per evitare che là vi morisse annegato ed incatenato. Poi, non senza<br />

sforzo, lo facemmo uscire dalla stalla, ma una volta giunto all'esterno, anch'esso ben<br />

presto divenne preda delle acque mentre noi, per non soffrire, ci voltammo dall'altra parte<br />

e di quei poveri animali non si seppe mai più niente.<br />

Le acque, mi diceva sempre Giacinto, stavano ormai impadronendosi di ogni spazio per<br />

cui i genitori, preclusa purtroppo ogni via di fuga, decisero di riparare tutti insieme sul<br />

tetto della casa. Così di gradino in gradino, di scala in scala, sempre più incalzati dalle<br />

acque che continuavano ad aumentare di livello raggiungemmo quella nuova posizione di<br />

relativa sicurezza. Ma quando ci trovammo su quel tetto, un minuscolo puntino rosso in<br />

mezzo ad una grande distesa d'acqua giallastra che vorticosamente scendeva a valle, noi,<br />

come formiche, ci sentimmo ancora più di prima schiacciati tra cielo ed acqua. Si perché<br />

mentre l'acqua, dal basso inesorabilmente saliva, il cielo pareva doverci cadere addosso<br />

da un momento all'altro poiché sempre più squarciato da accecanti fendenti, mentre il<br />

tuono, insolitamente basso, lugubre e continuo, sembrava foriero anch'esso di catastrofici<br />

avvenimenti.<br />

Noi, in un simile contesto di cose, totalmente isolati da ogni contatto umano, sempre più<br />

stretti l'uno all'altro, ci preparavamo intanto a morire.<br />

Poi, come volgemmo lo sguardo verso l'ansa del torrente che delimita la zona della<br />

Rebba da quella del Geirino, ci fu dato vedere una spaventosa onda d'acqua che puntava<br />

dritto verso di noi. Fu subito chiaro che quella altro non poteva essere se non l'acqua<br />

della diga di Molare e perciò, già si annunciava la nostra imminente fine. Poi, 200 metri,<br />

100 metri, 50 metri ancora, appena il tempo per l'ultimo addio, per invocare San Paolo<br />

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