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LAREBBA<br />

Dopo avere raso al suolo Monteggio quella spaventosa valanga d'acqua si buttò sulla<br />

piana della Rebba arrecando danni gravissimi al territorio, devastando case coloniche e<br />

facendo tredici vittime delle quali, ben otto, appartenenti alla sola Famiglia Marenco e<br />

precisamente padre, madre ed i loro sei figli, mentre le altre cinque appartenevano ad un<br />

nucleo familiare che abitava lì accanto.<br />

Ma sentiamo come si svolsero i fatti secondo un testimone oculare, allora diciottenne ed<br />

ora signor Ugo Carosio, noto ed apprezzato costruttore edile residente in Ovada.<br />

Egli, tempo addietro, ebbe a dirmi: "Erano le ore 13,30 circa del 13 Agosto 1935 e<br />

transitavo in Via Rebba diretto verso Ponente per raggiungere il gruppo di case<br />

denominato "La Gelata" dove abitavo con la mia famiglia. Più o meno mi trovavo nel<br />

tratto di strada antistante l'attuale autorimessa della Società Autolinee Alto Monferrato<br />

Ovadese quando, là, davanti a me, nell'ansa dell'Orba ove sfocia il Rio Requaglia, vidi<br />

sbucare un'enorme onda d'acqua che precipitava a valle travolgendo tutto ciò che<br />

incontrava sul proprio cammino.<br />

Mi resi subito conto che quella specie di flagello universale, ben presto, avrebbe<br />

raggiunto anche me per cui, servendomi di un percorso campestre che ben conoscevo mi<br />

portai più in fretta possibile sulla soprastante strada che tuttora fiancheggia lo scalo<br />

ferroviario della Stazione Centrale di Ovada. Fu infatti di là che assistetti sbigottito alla<br />

rovina delle case situate tra la via Rebba ed il torrente Orba ed alla scomparsa tra i flutti<br />

impetuosi di ben tredici persone arniche le quali, in quel momento, si trovavano rifugiate<br />

sui tetti delle case stesse.<br />

Sempre il Signor Ugo Carosio ebbe ancora a dirmi che, malgrado la violenza di quelle<br />

acque e pur lambendo esse i singoli tetti delle case, le medesime, poiché ben strutturate,<br />

non davano segni di cedimento, per cui i tredici sfortunati che lassù avevano cercato<br />

l'ultimo rifugio potevano anche nutrire qualche speranza di uscirne vivi. Ma quel tenue<br />

filo di speranza si ruppe quando, all'improvviso, a pelo d'acqua, quasi per non farsi vedere<br />

e per colpire ancora più a tradimento, affiorò un gigantesco albero, tutto intero, sradicato<br />

chissà dove, il quale, di traverso e trascinato dalla violentissima corrente, come un<br />

enorme clava, urtò contro il primo e subito dopo contro il secondo tetto proprio nei punti<br />

in cui si trovavano tutti quegli amici, i quali purtroppo, non ebbero più scampo.<br />

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